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La nuova Area Progetti

Intervista a Francesco Campana

di Fabrizio Mattevi

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Francesco, raccontaci il percorso che ha portato alla creazione della nuova Area “Progetti”, di cui sei responsabile.

Nel 2016 sono stato assunto a tempo determinato da “La Strada-Der Weg”, come coordinatore della seconda fase del Progetto “Alba”, dedicata all’accoglienza abitativa e all’accompagnamento educativo di vittime di tratta e sfruttamento grave. È capitato che “Alba”, insieme ai partner trentini, sia stata chiamata a rispondere a un avviso del ministero, connesso al co-finanziamento del progetto e alla messa in rete di tutti i soggetti nazionali impegnati su questo fronte. Si trattava di elaborare un progetto da inviare a Roma, per essere poi valutati. “La Strada-Der Weg” è risultata al quarto posto a livello nazionale. Nello svolgimento di questo compito è emersa una mia attitudine per tale tipo di mansione, ossia mettere per iscritto e formalizzare contenuti e metodologie proprie della progettazione sociale. Anche io mi sono scoperto coinvolto e interessato a questo ambito operativo, tanto che al momento del rinnovo del contratto di lavoro, nel 2017, ho espresso la mia predilezione per la progettazione rispetto all’operatività educativa e la volontà di non proseguire il coordinamento di un servizio. Non è stato un passaggio facile per me, ha richiesto del tempo per essere messo a fuoco, perché noi che ci avviciniamo al sociale cerchiamo il contatto diretto e la dimensione relazionale. In realtà la progettazione costituisce un modo diverso di essere attivo e presente nel sociale, non direttamente sul campo, ma sullo sfondo, predisponendo strumenti di intervento il

più possibile confacenti e adeguati. L’Associazione e, in particolare, la direzione hanno accolto il mio orientamento e mi hanno proposto di entrare a far parte del Centro studi come progettista a tempo pieno. Si è trattato di una scelta importante e coraggiosa, che il direttore ha motivato come investimento che avrebbe dato frutto e si sarebbe ripagata nel tempo. Mi sembra si possa riconoscere che la previsione e la conseguente decisione del direttore si sono dimostrate del tutto azzeccate. Infatti l’impegno per elaborare progetti da presentare a enti esterni per ottenerne il finanziamento è cresciuto rapidamente. Nel 2019 sono stato affiancato da Elena Faccio e nel 2020 da Jessica Fabro. Con loro si è costituito, sempre all’interno del Centro studi, un “Ufficio progettazione”, di cui ero coordinatore, con una composizione multidisciplinare: io ho una formazione sociologica, Elena pedagogica, Jessica giuridica. La combinazione non è casuale, ma voluta e motivata dalla convinzione che nella progettazione sociale occorre coniugare diversi saperi e competenze: leggere e analizzare bisogni sociali, rispondere ai bandi attivando strumenti giuridici ed economici, elaborare strategie educative che generino un mutamento e una trasformazione della realtà di partenza. La progettazione sociale mira infatti al cambiamento dell’esistente ed è proprio a partire dal cambiamento desiderato che vanno individuati passi e azioni che conducano al risultato atteso. Ciò richiede una potente capacità immaginativa, in grado anticipare e “pre-figurare” realtà diverse e ignote.

Il tuo gruppo di lavoro ha saputo raggiungere traguardi lusinghieri e assai significativi per lo sviluppo dell’Associazione…

Sì, l’Ufficio ha via via conseguito risultati importanti. Con l’Area “Cultura, territorio, famiglia”, che comprendeva anche il settore scuola, abbiamo affrontato il gravoso capitolo dei bandi del Fondo Sociale Europeo. Il buon esito di questa progettazione ha permesso di accrescere gli interventi nelle scuole, tanto da dare vita ad un’Area operativa autonoma. Sempre con l’Area “Cultura, territorio, famiglia” e, successivamente, con la nuova Area “Scuola” abbiamo risposto con successo al bando promosso dalla Fondazione nazionale “Con i

bambini”, che elargisce fondi, raccolti tra le fondazioni bancarie, a sostegno di interventi che contrastino la povertà educativa. Il nostro progetto, che prevede il coinvolgimento di più attori locali, è stato approvato: è la prima volta che la Fondazione assegna contributi diretti sul territorio della nostra provincia. Tale risultato è stato molto apprezzato dalla Fondazione Sparkasse, che è tra i finanziatori di “Con i bambini” ed è dunque soddisfatta per questa ricaduta in ambito sudtirolese. Abbiamo risposto positivamente ad altri bandi; siamo riusciti anche a riaccreditare la nostra Associazione presso il Fondo Sociale Europeo, come era in passato, rendendo in tal modo possibile progetti come “V.I.T.E.”, “V.I.A.” e, ultimo, “Go Housing” valutato con 97 punti su 100, il più alto punteggio assegnato negli ultimi otto anni. Abbiamo anche offerto un supporto tecnico al nostro partner “Hands” e a un ente più piccolo, il CIRS. Nomino questi risultati non per un mio delirio autocelebrativo, ma per evidenziare come la scelta del direttore, a suo tempo tutt’altro che scontata, si sia rivelata oculata e feconda.

Come si è giunti alla decisione di costituirvi come Area operativa a sé stante?

Il nostro compito richiede di interagire con più interlocutori. È cruciale la collaborazione con i coordinatori dei servizi, per cogliere, dai loro dati e resoconti, mutamenti, evoluzioni, richieste della realtà sociale quotidiana. Contestualmente ci confrontiamo continuamente con la direzione e i responsabili d’area per muoverci all’interno di una prospettiva e una visione organiche e coerenti. È irrinunciabile anche il raccordo con gli uffici amministrativi. Per riuscire a coniugare attenzione alla dimensione operativa e strategie organizzative è risultato opportuno, direi quasi necessario, costituirci come area autonoma, a diretto contatto dei vari attori che costituiscono la struttura associativa. Diventando area a sé stante, il team è chiamato a svolgere una funzione di consulenza nella gestione dei progetti. Non basta, infatti, conseguire l’approvazione, è altrettanto risolutivo gestire correttamente e completare ciascuna delle iniziative intraprese. Ci proponiamo di affiancare i coordinatori, che si trovano a seguire progetti e servizi che impongono una

complessità tecnica, amministrativa, gestionale del tutto sconosciuta alle procedure passate, per le quali, a fronte di un finanziamento, si chiedeva una semplice rendicontazione finale. Oggi un coordinatore si trova di fatto investito del ruolo di project manager e deve misurarsi con vincoli di tempi e risorse molto stretti. Le procedure comportano specifiche tecniche e metodologie per la gestione di ciascuna impresa o intervento. Ci riproponiamo dunque di supportare i coordinatori nell’acquisizione di tali strumenti, affinché siano più autonomi ed efficaci nell’attuazione dei progetti. Se cinque anni fa si è affrontata l’incognita di una nuova progettualità adeguata alle richieste dei bandi, oggi dobbiamo misurarci con la capacità di gestire e portare a termine i progetti approvati. Anche questo fattore ha inciso sulla decisione, assunta dal Consiglio di Amministrazione, di istituire una nuova Area, dedicata alla progettazione e alla consulenza gestionale.

Oggi, con questa importante responsabilità, come valuti il tuo percorso professionale in Associazione e la tua opzione a favore di questo specifico ambito di interesse?

Sono soddisfatto e sono convinto che la direzione intrapresa mi si confà. La progettazione sociale mi permette di tenere insieme e coltivare le mie diverse anime: l’aspirazione a mettere ordine e strutturare la realtà che appare caotica e tumultuosa; l’applicazione di tecniche e saperi acquisiti nei miei studi; la fedeltà alla dimensione valoriale e alla ricerca di senso. Mi pare che il mio incarico permetta di coniugare tecnica, accademia ed etica, di mettere in pratica uno slogan forse abusato: “fare del bene, bene!”. Vi è infatti una profonda implicazione etica e civile nello svolgimento di questo lavoro: l’impegno a investire e amministrare con accuratezza e oculatezza i fondi che vengono elargiti e che sono, comunque, un bene collettivo; fare in modo che siano destinati a offrire risposte a bisogni reali e non fittizi; perseguire la soddisfazione di chi viene coinvolto. Il progettista svolge, di fatto, una costante azione di mediazione tra diverse istanze: i bisogni dell’utente, le priorità della direzione, le attese del politico, i vincoli del finanziatore, le necessità dell’amministrazione. Inevitabilmente ciascuno degli attori in

campo sarà in parte soddisfatto ma non interamente: il progettista governa queste spinte e le differenti visioni, cercando di sintetizzarle e accordarle in un progetto unitario e coerente.

La costituzione di questa nuova Area segna un mutamento strutturale nell’organizzazione dell’Associazione?

Sì, certamente.

Ritengo si tratti di un passaggio inevitabile, conseguente all’azione di più fattori. A livello macro va evidenziata l’incidenza della recente riforma del terzo settore, che ha trasformato le onlus in ETS (enti del terzo settore), spingendole a considerarsi imprese sociali. Questa è la prospettiva verso cui muovere. A livello interno va considerato il dato della crescita quantitativa avvenuta negli ultimi anni, del numero di dipendenti e di conseguenza della consistenza del bilancio. Questo processo ha determinato anche un mutamento qualitativo e organizzativo, generando l’esigenza di un’adeguata strumentazione tecnico-gestionale: ecco allora il potenziamento dell’Amministrazione, la costituzione dell’Ufficio “Risorse umane” e dell’Ufficio “Progettazione”. La rilevanza del bilancio, inoltre, impone una diversificazione delle voci di entrata, come richiesto dal Consiglio di Amministrazione, per evitare di essere vincolati a un solo o a pochi finanziatori.

Quali sono difficoltà e fatiche che segnano il tuo compito di responsabile?

Siamo un’area nuova e dunque siamo impegnati a normalizzare le nuove modalità organizzative, ma ciò sta procedendo senza particolari attriti. Una fatica è costituita invece dall’ansia dovuta all’essere costantemente soggetti a valutazione. Come se noi, componenti dell’Area, fossimo regrediti al ruolo di studenti che settimanalmente ricevono una valutazione scritta relativa a qualche compito svolto. Si tratta di una condizione tutt’altro che facile. Anche perché vi sono, inevitabilmente, insuccessi e dunque valutazioni negative, magari dopo mesi di lavoro. Nel mio ruolo di responsabile questi passaggi sono particolarmente ansiogeni e richiedono capacità di resistenza e reazione. Opposte e complementari a queste delusioni sono la soddisfazione, la gratificazione, la gioia per il buon risultato raggiunto, il superamento della prova, il traguardo conquistato. Accanto alla fatica personale vi è una fatica organizzativa: di quando in quando c’è bisogno di respirare, rallentare, riossigenare. L’organizzazione non è una macchina, ma un organismo, con esigenze specifiche di ristoro e riposo. Dobbiamo rispettare i nostri limiti, essere capaci di frenare, non eccedere evitando così il rischio della tracotanza, che per gli antichi Greci era una colpa grave, a cui l’uomo è particolarmente esposto. Quindi abbiamo il compito di dosare le forze e segnalare alla direzione il grado di sostenibilità delle richieste che ci arrivano. Anche perché l’elaborazione di nuovi progetti non implica solo uno sforzo per la nostra Area ma si traduce, una volta approvati, in nuovi impegni e nuovo lavoro per i vari ambiti associativi, quelli operativi e quelli amministrativi.

Quali sono le prospettive e gli obiettivi verso cui l’Area si orienta e si proietta?

Un primo traguardo è consolidare la consulenza offerta, in collaborazione con l’amministrazione, ai colleghi che gestiscono i progetti. Inoltre, come dicevo, vogliamo dosare forze e possibilità, senza crescere troppo. Una potenzialità, da approfondire e concretizzare in futuro, è proporci come servizio, a pagamento o gratuito, a disposizione del territorio o quantomeno dei nostri partner più stretti.

L’Ufficio progettazione era sorto all’interno del Centro studi e ora se ne distaccato, divenendo un’area autonoma. A tuo avviso in che modo il vostro lavoro può mantenere una valenza culturale, di conoscenza, analisi, riflessione, a favore di tutta l’Associazione?

Mi pare sia un nodo che coinvolge tutte le Aree: come fare in modo che il “Centro studi” non sia soltanto un ufficio specifico, ma, piuttosto, una funzione allargata, condivisa dalle Aree, per cui tutti, in particolare responsabili e coordinatori, siamo promotori di studi e saperi? Ciascuna Area dovrebbe proporsi anche come area di senso e significati e dunque sollevare interrogativi, porre questioni, segnalare tematiche da approfondire, offrire riflessioni legate alla propria esperienza operativa e professionale.

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