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Family Support
intervista a Anna Mattiuzzo e Nadia Piroddi
di Fabrizio Mattevi
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Anna Mattiuzzo, educatrice, è coordinatrice del progetto “Family support”; con lei opera Nadia Piroddi, ostetrica, in servizio presso “All together”, sono le referenti del progetto “Family Support” A loro chiediamo di aiutarci a conoscere questa nuova iniziativa di supporto alla genitorialità.
Anna e Nadia, come e quando è stato avviato “Family support”?
“Family support” nasce nella zona di Lana, all’interno della rete degli ELKI (Centri “Genitori e bambini”), ispirandosi a iniziative simili in atto nel Nord Europa. L’intento è supportare i genitori, in particolare le mamme, dopo il parto. L’esperienza di Lana è stata estesa sul territorio provinciale, proponendola a varie associazioni. A Bolzano sono state interpellate ELKI, Cooperativa “Vispa Teresa”, Associazione “Donne Nissà”, “All together” de “La Strada-Der Weg”, che nel 2019 ha accettato di farsi carico del progetto. La prima fase è stata dedicata a conoscere bene l’impostazione del servizio e a prepararne l’avvio, ma la pandemia ha imposto una sosta forzata. “Family support” ha sede nei locali che si affacciano sulle passeggiate lungo l’Isarco, dove opera “All together”, altro servizio di supporto alla genitorialità. I due progetti sono tra loro intrecciati e si integrano a vicenda.
Quindi si tratta di un supporto ai genitori…
Sì, all’origine vi è il riconoscimento dei bisogni delle neo-famiglie, che chiedono aiuto, un aiuto concreto nelle faccende quotidiane e, al contempo,
un aiuto emotivo ed empatico. Spesso i giovani genitori si trovano soli, con i suoceri che ancora lavorano; a volte le figure parentali sono lontane, il papà deve rientrare al lavoro dopo cinque giorni dal parto. Accade così che la mamma si ritrova a casa da sola, in una fase molto delicata e particolare, anche dal punto di vista emotivo. La fatica delle nuove incombenze pratiche si somma al senso di solitudine. Ecco che il supporto di altre mamme, altri genitori, altri adulti diventa prezioso. Magari prima si manifesta il bisogno concreto, una richiesta di un aiuto per questioni specifiche (“sono stanca, non ho tempo neppure per una doccia!”), dietro cui trapela la fatica emotiva, connessa al carico mentale e al carico fisico. Senso di solitudine, incombenze che si susseguono, timori e incertezze incidono su altri aspetti, come l’allattamento, rendendolo difficoltoso e costringendo a utilizzare latte artificiale. Sono stati d’animo che anche noi abbiamo vissuto direttamente, dato che entrambe siamo mamme di bimbi piccoli. Da qui l’importanza di offrire alle neo-madri momenti e occasioni per rilassarsi, ritrovarsi, concentrarsi sulla relazione con il bambino.
L’iniziativa è connessa anche ai mutamenti che caratterizzano l’attuale modello familiare?
In effetti, in passato i genitori potevano contare su una rete di appoggi familiari, che oggi è invece più ridotta e difficoltosa. Peraltro ci sono anche mamme che, pur avendo un supporto parentale, cercano ugualmente un interlocutore esterno, per sottrarsi al carico di aspettative e di giudizi che grava sul loro operato. Avere accanto una suocera o la propria madre giudicante incide negativamente sul modo di vivere il tempo del post-parto. Anche perché procedure, indicazioni sanitarie, abitudini mutano nel tempo e ciò che si considerava opportuno alcuni decenni fa è ora valutato in altro modo. Le discussioni riguardano il dormire con il neonato, l’allattamento a richiesta, l’uso della fascia per tenerli legati al corpo della mamma: i consigli che arrivano dalle mamme sono oggi considerati sbagliati, ma l’operato della neo-mamma viene considerato errato e inesperto. Le divergenze su quel che è meglio fare alimentano conflitti generazionali e insofferenze reciproche. Inoltre rivolgere richieste ai parenti
è fonte di scrupoli e sensi di colpa, poiché si teme di disturbare o essere invadenti; con le nostre volontarie è invece possibile instaurare un rapporto molto libero, spontaneo, immediato, all’interno del quale manifestare le proprie esigenze, senza sentirsi squalificate: “mi puoi lavare i piatti, puoi tenere il bambino, facciamo due chiacchiere, mi accompagni al negozio…”. Fine ultimo del “Family support” è proprio normalizzare la richiesta di aiuto.
Come si articola il supporto alle mamme?
Il progetto è basato sull’apporto di un gruppo di volontarie, specificamente formate, che, ogni anno, sono tenute a seguire cinque appuntamenti formativi. La dimensione di volontariato è un tratto peculiare di questo intervento. Ciascun volontario è messo in contatto con una mamma, che ha fatto richiesta. Nella prima fase si invita la mamma a esplicitare difficoltà e fatiche, a formulare bisogni e aspettative. La volontaria, a sua volta, definisce disponibilità e possibilità. Da qui si sviluppa l’azione di aiuto, che al contempo implica anche un supporto relazionale. A ogni mamma viene abbinata una sola volontaria. Inizialmente la volontaria rimane in casa con la mamma, poi, quando si è stabilito un rapporto di fiducia, capita che esca di casa con il bambino, per lasciare alla mamma del tempo per andare ad esempio dal parrucchiere o a fare una passeggiata. Dopo circa due mesi vi è un momento di valutazione dell’esperienza vissuta, per concordare se proseguire o meno il connubio.
Ai volontari è chiesto un impegno orario fisso?
L’organizzazione è molto aperta e flessibile; questo è uno degli aspetti che le volontarie apprezzano: non ci sono orari fissi e preordinati, ma si possono adeguare alle proprie esigenze, modificare nel corso del tempo, sospendere per un periodo. Qualcuno è disponibile nei giorni feriali, altri solo nel fine settimana. L’accompagnamento alla mamma prosegue per alcuni mesi nel primo anno di vita del piccolo, poi si valuta se proseguire o concludere l’accompagnamento. Attualmente abbiamo sei volontarie. Sin qui abbiamo avuto solo volontarie donne, ma non è preclusa la parteci-
pazione di volontari maschi.
Che cosa motiva le persone a mettersi a disposizione?
Le volontarie con cui abbiamo collaborato e anche quelle che attualmente fanno parte del progetto costituiscono un gruppo assai vario, per età, storie, motivazione: una giovane mamma giunta da noi sull’onda dalla sua esperienza recente, donne in
pensione con figli grandi, chi svolge un lavoro poco coinvolgente e ha del tempo a disposizione, chi ha un impiego part-time, donne senza figli e senza nipoti che stanno bene con i piccoli. Certamente è un’esperienza coinvolgente che trasforma chi la vive. Assistiamo a dei veri mutamenti nelle volontarie, che vivono un nuovo entusiasmo e nuove soddisfazioni, soprattutto per la relazione d’affetto che si instaura con i piccoli e questo coinvolgimento è molto potente. L’altro giorno, al termine di un colloquio di verifica dopo i primi due mesi di accompagnamento, ho visto la bimba abbracciare la volontaria e stare così, abbandonata tra le sue braccia, per dieci minuti: un’immagine bellissima e, naturalmente, la volontaria era molto emozionata.
Avete anche citato la verifica dopo i primi due mesi e a possibili reimpostazioni dell’accompagnamento…
Sì, può capitare che si riscontrino difficoltà relazionali, per cui un accompagnamento non risulta efficace e richiede di essere reimpostato. Il nostro compito consiste nell’individuare buoni abbinamenti tra volontari e famiglie. Quando riceviamo la richiesta da parte di una famiglia, prendiamo contatto e andiamo a conoscerla. Sulla base delle informazioni e delle impressioni che raccogliamo selezioniamo la volontaria di supporto e ne verifichiamo la disponibilità.

Ogni accompagnamento è sempre nuovo e particolare, con una sua specifica situazione: le famiglie sono di vario tipo, le mamme chiedono cose differenti, le diverse età dei neonati comportano esigenze diverse; un neonato di dieci mesi ha più bisogno di giocare e di interagire, mentre con quello più piccolo può essere sufficiente l’uscita con il passeggino mentre la mamma fa la spesa.
“Family support” è aperto a tutti?
Inizialmente era rivolto ai quartierei Don Bosco e Europa-Novacella; ora è proposto a tutta la città. Però, per soddisfare tutte le richieste ci sarebbe bisogno di più volontari. Ciò conferma che le motivazioni del progetto erano fondate e che vi è una diffusa domanda di sostenere e sollevare le mamme dalle fatiche che segnano i mesi dopo il parto, quando, all’improvviso da donna devi diventare mamma: non sai come fare, non ci sono manuali d’istruzione, non si hanno punti di riferimento rassicuranti, ci si affida all’improvvisazione. Tra le altre cose, all’occorrenza, le nostre volontarie forniscono alle mamme informazioni su servizi dedicati e opportunità presenti sul territorio, a volte non conosciuti a sufficienza.
Come avete trovato le volontarie?
Sono arrivate e arrivano a noi attraverso il passaparola; le informazioni comunicate tramite la stampa hanno avuto scarsi riscontri. Approfittiamo anche delle persone che transitano per “All together” per far conoscere “Family support”. Ma il fattore decisivo nel promuovere il servizio è la passione trasmessa dalle volontarie quando ne parlano ad altri: è il loro racconto a generare interesse.
In poco tempo il progetto ha suscitato interesse…
Sì, “Family support” ha preso piede, le richieste delle famiglie sono tantissime, pur non avendo pubblicizzato questa opportunità. Il problema cruciale è trovare nuovi volontari. Dovremmo arrivare ad averne almeno una ventina, ma è difficilissimo crescere di numero. Abbiamo provato anche a intercettare gli studenti universitari, ma con scarsi risultati. Quindi, cogliamo anche l’occasione di questa intervista per spargere la voce.