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la Riviera DOMENICA 27 FEBBRAIO 2011 45

BIBLIOTECA MERIDIONALISTA L’Italia del Mezzogiorno non possiede ancora una coscienza collettiva: le masse popolari, troppo povere, quasi non partecipano ancora alla lotta; la borghesia è, presa nel suo insieme, troppo ignorante per reagire al male, per volere con fermezza qualche cosa. I rappresentanti politici del Mezzogiorno sono generalmente mediocri: la disonestà non è fra essi assai maggiore che fra quelli del Nord; piuttosto essi sono servi di piccoli interessi invece che di grandi. La delinquenza non segnalata dalle statistiche, il brigantaggio bancario, la spoliazione del pubblico e dello Stato, spettano in gran parte al Nord: ciò che ha il Sud è la prevalenza delle clientele, è la mancanza di una vera vita pubblica […]. Il Governo, non ostante ogni affermazione degli uomini che lo compongono, è stato, è sempre nel Mezzogiorno la più grande causa di disordine morale. Il Governo attuale non è migliore dei precedenti: spesso è peggiore. Gli uomini che ora sono all’opposizione, a lor volta, se diventeranno Governo, faranno quasi egualmente male o faranno anche peggio, se la coscienza pubblica non si rinnoverà. La tentazione di formare nel Sud delle maggioranze è troppo grande per poterle resistere. Onde il Governo a sua volta subisce le clientele, ma anche le determina: qualche volta n’è figlio, spesso n’è padre. Strana mischianza, tormentoso incesto di piccoli interessi che prevalgono e s’impongono […]. I politici italiani sono in generale uomini di assai mediocre valore: non amano noie e anche i migliori fra di essi sono incapaci di affrontare i problemi dì larga importanza. Onde dal Governo così com’esso è, com’esso opera, vi è poco o nulla da sperare per la rinnovazione del Mezzogiorno: per necessità di cose, per ignoranza di esse, per quieto vivere, il Governo seconda il male o almeno non lo combatte. Onde la rinnovazione politica del Mezzogiorno non può venire che da due cose: da un miglioramento nella situazione economica, da un maggiore spirito di opposizione; e questo a sua volta da un risveglio, sia pure violento, delle classi popolari. Quando, per esempio, Napoli diventerà una città industriale, alcuni abusi dovranno necessariamente scomparire. Una classe operaja più ricca e più colta, una borghesia più intelligente e sopra tutto meno povera, renderanno impossibili forme dì abuso che fino adesso sono state ritenute quasi inevitabili.D’altra parte si sveglierà il senso politico nel Mezzogiorno solo quando si potrà destare nelle masse un più grande spirito di opposizione: gli uomini più utili al Mezzogiorno sono per conseguenza quelli che seminano il malcontento, che danno lo spirito di diffidenza, prima condizione di una politica di resistenza. In quanto al Governo esso è nello stesso tempo padrone e servo delle clientele: e difficilmente avrà un’azione utile ed efficace almeno per parecchi anni ancora. Del resto il Parlamento italiano, così com’è, non sembra adatto a compiere alcuna opera che esca fuori della mediocrità. Cresce in esso ogni giorno anzi l’amore delle cose mediocri, l’avversione per ogni forma di audacia intellettuale […].. È tale in esso la mancanza di energie nuove, nei partiti di governo, che si è venuto a stabilire come un premio alla longevità. L’Italia è il solo paese del mondo che nelle tre più alte funzioni di Stato abbia chiamato i tre più anziani. Il presidente del Senato, il presidente della Camera, il presidente del Consiglio (1), indipendentemente da ogni altra considerazione, sono almeno i tre più vecchi parlamentari e ciò basta ad attutire le diffidenze. La sopravvivenza è il maggior requisito e l’Italia è troppo spesso costretta a subire il frigido

amplesso di pochi vecchi, burocratici lenti, politici esausti e sospettosi. Il Parlamento non concepisce né meno che un ministro non possa essere altra cosa che un parlamentare più o meno navigato . Così i problemi che più interessano la vita nazionale sono affidati a persone che non li intendono, a uomini che per vecchiaia del corpo e per vecchiaia dello spirito non fanno più parte del loro tempo. Nella vita del Parlamento, del resto, tutto è artificioso: uomini che hanno tutte le responsabilità dei peggiori atti di reazione sono ritenuti liberali, anzi democratici; altri indicati all’odio popolare per colpe assai meno gravi. Tutto è artifizioso e falso e le stesse persone sono giudicate diversamente, secondo interessi di fazioni o di frazioni parlamentari. Il Mezzogiorno non potrà dunque almeno per ora politicamente rinnovarsi per opera di Governo: e i meridionali cominceranno anzi a rinnovarsi quando saranno penetrati di diffidenza verso l’azione politica del Governo. Mutate le condizioni, è solo in seguito che il Governo, quando crederà di aver convenienza, seconderà il movimento rinnovatore. Ma ora nulla si deve sperare: e le basse adulazioni che i meridionali fanno ai politicanti diventati ministri sono piuttosto causa di preoccupazione (2). Ogni meridionale ministro è a sua volta una causa di nuovo disordine e di nuove preoccupazioni. Fatta eccezione di pochissimi casi, i ministri meridionali sono stati gli uomini più dannosi al Mezzogiorno. Poiché nel Sud la coscienza politica è scarsa, tutte le volte che bisogna proporre cosa contraria agli interessi meridionali, si ricorre appunto a un meridionale. Assai di recente un ministro meridionale, elevato per strano caso alle altezze del Governo, forse per riconoscenza ai suoi protettori, ha mentito contro il suo paese, negando perfino l’esistenza di una questione meridionale. Ma se l’opera morale di rinnovazione non può venire dal Governo, quest’ultimo ha però, sopra tutto in Italia, una grande azione nella vita economica del paese. Il regime ferroviario, il regime dei trasporti marittimi, il regime doganale, l’ordinamento delle acque pubbliche, la nuova orientazione della finanza saranno decisi negli anni prossimi: onde il Mezzogiorno potrà diventare ancora più povero, o avere un’alba di rinnovazione, secondo la politica che si seguirà. [F. S. NittiLa questione meridionale, in F. S. Nitti, Napoli e la questione meridionale (Luigi Pierro, Napoli 1903), pp. 4-12]

La questione meridionale è complessa; è prevalentemente, essenzialmente, economica e finanziaria; ma non è solo tale.

Il Governo, non ostante ogni affermazione degli uomini che lo compongono, è stato, è sempre nel Mezzogiorno la più grande causa di disordine morale.

NOTE 1. Essi sono entrati alla Camera per la prima volta:GIUSEPPE SARACCO , Legislatura IV, 5 ottobre 1851; GIUSEPPE BIANCHIERI, Legislatura V, 11 dicembre 1853; GIUSEPPE ZANARDELLI, Legislatura VIII, 26 gennaio 1861 [Nota di Francesco Saverio Nitti].

Il Governo esso è nello stesso tempo padrone e servo delle clientele: e difficilmente avrà un'azione utile ed efficace almeno per parecchi anni ancora

2. II viaggio dell’on. Zanardelli in Basilicata fu mosso da alto ideale e fu per un vecchio uomo impresa ardita. Ma nulla è più deplorevole delle adulazioni che i politicanti credettero di emettere in quell’occasione. In tempo recente si è visto – fatto vergognosissimo e tristissimo – una commissione di elettori del collegio di Monopoli in Puglia, recarsi dal presidente del Consiglio e chiedergli la designazione del candidato; e poscia votare senza vergogna per il capo di gabinetto del ministro. In regime borbonico non si giungeva a più grande bassezza [Nota di Francesco Saverio Nitti].

Una (croni)storia della Calabria attraverso i “forestieri”

Le ragioni di Cetto La qualunque GIUSEPPE FIORENZA In questa cronistoria cercheremo di effettuare un viaggio a ritroso partendo, come avete notato nel secondo capitolo, da avvenimenti e personaggi più recenti per risalire a quello più antichi nel tempo. Questo viaggio a ritroso crediamo sia il più utile per farci capire come sia stato costruita, più che una Calabria in idea (espressione felice coniata dal Prof. Augusto Placanica, che indicava un ideale di Calabria “percepita, immaginata, sognata” che non corrispondeva a quella di fatto ma a cui faceva da schermo), un concetto di calabritudine, che spesso viene usata a sproposito per connotare un popolo e una identità. In questo capitolo ci occuperemo del personaggio creato da Antonio Albanese, Cetto La Qualunque, politico calabrese che ne combina di cotte e di crude, conia improbabili slogan e utilizza spesso il dialetto calabrese. Antonio Albanese, il magnifico attore comico che ha creato il personaggio, è nato in Lombardia da genitori siciliani. Ha un talento istrionico e versatile che gli consente di spaziare da personaggi a tutto tondo delle più svariate categorie sociali e dei luoghi più diversi. Ciò presuppone anche una buona padronanza linguistica dei dialetti. Abbiamo detto sopra che utilizza il dialetto non che lo parla. La cosa si spiega col fatto che il coautore del personaggio è lo scrittore Piero Guerrera, calabrese nato a Palmi, autore televisivo di successo dei testi dei più noti comici italiani. La prima domanda che ci facciamo è la seguente: Perché Cetto La Qualunque è calabrese? Questo film (e gli sketch televisivi in cui appare il personaggio) parla dell’Italia, di un certo modo di far politica, i cui epigoni sono ben rappresentati a livello nazionale, parla di una morale calpestata e di un’etica inesistente…e allora perché il protagonista è calabrese? Abbiamo visto, e ce lo abbiamo tutt’ora sotto gli occhi, che la realtà, quel tipo di realtà che il film (e gli sketch) vorrebbe rappresentare (ma che poi è superato dalla stessa), viene messa in atto principalmente, vuoi per il livello di estensione sovranazionale dello scandalo vuoi per la quantificazione finanziaria dello stesso vuoi per le categorie sociali interessate, da persone che appartengono a una economia non di riserva come quella calabrese, allora….perché il protagonista è calabrese? Basta solo che uno dei coautori sia nato in Calabria per giustificare la tipizzazione della perfetta maschera del politico truffaldino in un calabrese per di più generico e che cita, più che parlare, anche il dialetto, correndo il rischio così di estendere il giudizio al cittadino calabrese (che non è il mafioso o il politico calabrese)? Il politico truffaldino non è un prodotto locale, non viene all’ex mondo contadino, quello che in Calabria non esiste più, semmai viene dagli strati sfilacciati di una borAugusto ghesia che si è dissoluta nel tempo e che ha Placanica ramificato le sue propaggini in tutta l’Italia. E’ un politico che ha acquisito una identità nazionale, non è caratterizzato da elementi che sono solo regionali che lo spingono a rubare o a dedicarsi al malaffare: questi elementi sono il comune denominatore degli italiani che fanno una politica truffaldina, appunto. Non è pertinente, diremmo, per il calabrese. Allora perché Cetto è calabrese? Anzi precisiamo, perché Albanese usa il dialetto calabrese per identificare il suo personaggio in maniera così precisa e voluta? Per dare vita alla sua bravura istrionica? Le battute sulla Salerno-Reggio Calabria, l’unico elemento che potrebbe connotare l’essere regionale (il che non è poi del tutto vero perché L’A3 attraversa anche la Campania e la Basilicata), le fa chiunque, calabrese e non calabrese, mentre per tutto il resto non è essenziale che il personaggio sia di una regione o di un’altra. Lasciamo irrisolta questa domanda e analizziamo il personaggio. Innanzitutto si veste con uno stile indefinibile ma appariscente e…cafone. Meglio esagerato. Questo può essere funzionale all’interprete ma anche alla storia che racconta. Sappiamo però che la criminalità organizzata non è cafona né tamarra, ma è raffinata, scolarizzata, progredita. Allora perché Cetto è un tamarro, grossolano ed esagerato? Facendo così non si riferisce al male più radicato e pericoloso della società non solo calabrese, appunto la criminalità organizzata, ma alla gente calabrese. Per far capire il nostro pensiero, in tutti i testi satirici messi in campo non c’è ne uno che faccia riferimento ai grandi mali, oltre che alla criminalità (ma quello è il risultato secondo noi), che hanno afflitto e affliggono il territorio e la società calabra: emigrazione (se non in termini bozzettistici come fanno altri comici), la miseria, l’ingiustizia sociale, l’assenza di economia e la irresponsabilità di politici e imprenditori locali e nazionali. Dobbiamo dire che negli ultimi dieci anni molti cabarettisti hanno scoperto quanto sia comico sia l’essere calabrese sia il dialetto calabrese. Lo vedremo in questa e nelle prossime puntate. E’ bello pensare dunque che questo sia il solo motivo che spinge molti a fare satira su di noi. Volenti o nolenti, è ciò che viene rappresentato ad essere percepito a livello nazionale e che diventa luogo comune. Anzi vorremmo dire che ciò rafforza un luogo comune che esiste già perché la satira, quel tipo di satira, si poggia su quello. Chiudiamola così: ci vuole molta cultura e intelligenza perché ciò non avvenga, ma noi sappiamo che spesso, anche in presenza di questi due elementi, gli stereotipi possono venire usati perfidamente a fini di strumentalizzazione politica. Questo rischia di inquinare fortemente il tono di sincera denuncia che il personaggio può contenere. (3. – continua)


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