4 minute read

3.1 - Tutti hanno diritto a capire e a farsi capire

ra più necessario che persone della stessa comunità possano veicolare loro le corrette informazioni. Per chi volesse approfondire alcuni aspetti della comunicazione interculturale suggeriamo la lettura di un testo breve ma denso di informazioni che è riportato anche nella bibliografia consigliata. Si tratta di “Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale” di Paolo Balboni (1999). In particolare i capitoli 3, 4 e 5 offrono una lista di tipizzazioni di formule comunicative e comportamenti di macro-gruppi umani. Va tenuto presente che Balboni si rifà alla teoria del software mentale di Hofstede che, ricordiamo, dopo avere avuto enorme successo sia di pubblico che nel mondo accademico, è oggi oggetto di critiche da parte di alcune correnti, in particolare di psicologia culturale.

Accade spesso che, nei contatti tra gli operatori di polizia (all’Ufficio Immigrazione delle Questure, ai controlli per strada o nelle case, ecc.) e le persone di origine etnica minoritaria, ci siano per diversi motivi incomprensioni che possono portare anche a gravi conseguenze per i cittadini stranieri o per l’efficacia dell’operato della polizia. Se può essere vero che alcune persone fingono di non capire l’italiano, è però vero che, nella maggioranza dei casi, le persone straniere non hanno una conoscenza della lingua italiana che, specie in momenti di tensione e apprensione come può essere per un immigrato il contatto con la polizia, permetta loro di interloquire con serenità ed efficacia. Sono tanti i casi di persone che arrivano persino ad essere detenute senza sapere nemmeno di quali reati sono accusati.

Advertisement

Tutte le persone – sia operatori della polizia che pubblico - hanno invece diritto a capire e farsi capire e la polizia, per la delicatezza delle questioni che tratta e per il suo impegno nella difesa dei diritti umani, ha un particolare dovere a fare sì che ciò si realizzi. L’interpretariato dovrebbe dunque essere disponibile in tutti i casi in cui le persone in questione non conoscono l’italiano; parlano poco l’italiano; richiedono un interprete per particolari procedure, come la richiesta di un permesso di soggiorno o per denunciare un torto subito.

Oggi molte questure hanno contatti con interpreti (o di persona o tramite un servizio di interpretariato telefonico) e si spera che questa prassi si diffonda sempre di più, anche se, va detto, il mondo dell’interpretariato in campo sociale (o della mediazione linguistico-culturale come, a nostro parere erroneamente, viene spesso chiamata3) è ancora poco sviluppato in Italia, la formazione non è sempre di qualità, non esistono lineeguida, né una politica chiara sull’argomento. Ci sono alcuni pericoli nell’uso d’interpreti che vogliamo mettere in evidenza. Spesso, per assenza o impossibilità a contattare degli interpreti professionalmente preparati, si ricorre ai favori di amici o familiari, cosa che rende ancora più complicata una comunicazione già molto difficile. Alcuni studi realizzati nei Paesi anglosassoni hanno dimostrato infatti che usare interpreti non formati, in alcune circostanze, comporta rischi più alti che non avere interpreti per nulla. La presenza di qualcuno che traduca induce infatti la falsa sensazione di sicurezza - sia per l’operatore, sia per il cliente – che sia in corso una comunicazione accurata. Degli interpreti non formati possono invece, anche involontariamente, introdurre distorsioni nella comunicazione in diversi modi: • aggiungere informazioni che non sono state date dal cliente • omettere di tradurre delle informazioni • alterare le informazioni • fornire consigli • non avere dimestichezza con la terminologia specifica • non rispettare la confidenzialità • provare imbarazzo • provocare imbarazzo

Ciò che deve essere sempre, in ogni circostanza, evitato, è il coinvolgimento di bambini. Anche quando si lavora con interpreti professionalmente preparati, è bene rispettare alcune regole che facilitano la buona comunicazione. Ecco alcuni suggerimenti: • stabilire la regola con l’interprete e con il cliente che ogni cosa detta deve essere tradotta;

• fornire in anticipo all’interprete e al cliente tutti gli elementi che possono aiutarlo a comprendere la situazione e il contesto; • ogni volta che è possibile e appropriato, scegliere un interprete dello stesso sesso del cliente; • considerare le possibili differenze politiche e/o di religione; • concedere tempo per le presentazioni e per tentare di creare il più possibile un clima rilassato; • parlare direttamente al cliente e non all’interprete; • parlare con frasi chiare e pause frequenti; • lasciare che l’interprete interrompa se non ha capito o se pensa di dovere tradurre la frase appena pronunciata dall’operatore; • evitare il gergo, le abbreviazioni e le sigle.

note

1 Mantovani G., op. cit., pag. 69. 2 Mantovani G., op. cit., pag. 95. 3 C’è, purtroppo, molta confusione fra “interpretariato”, “mediazione culturale” e “advocacy”. Un interprete può fare un lavoro puramente tecnico, semplicemente traducendo, parola per parola, quello che dicono le parti. Nella forma più estrema, l’interprete non deve occuparsi della comprensione del messaggio. Se un immigrato britannico non capisce la differenza fra ‘residenza’ e ‘domicilio’ (concetti indistinti nel sistema giuridico inglese) non è responsabilità dell’interprete spiegarla. Un tentativo di colmare questa lacuna nella comunicazione ha dato vita ad una nuova professione: il mediatore culturale.

Purtroppo, i mediatori culturali, per poter svolgere davvero un lavoro di ponte sia linguistico che culturale, dovrebbero avere competenze ampie e approfondite, quasi a diventare antropologi culturali e interpreti specializzati (e probabilmente anche psicologi ed esperti legali). Nell’impossibilità ovvia di essere all’altezza di una prova così difficile, l’operato del mediatore rischia di sfumare nell’”advocacy”, cioè, la difesa di una delle parti.

Quale parte difende può dipendere da fattori personali e politici o semplicemente dal fatto di essere pagato da una parte (nel nostro caso la Questura).

More articles from this publication: