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C – La comunicazione interculturale

ne, sia se la persona che si ha davanti è colpevole di qualche reato oppure no, il che rende la vita più semplice per tutti. Alcuni altri esempi di situazioni nelle quali è bene avere qualche informazione sulle comunità che abitano il territorio e sulle loro usanze, abitudini, principi: il sistema dei nomi (qual è il nome e qual è il cognome? Esiste un cognome?); le pratiche rispetto alla morte (se, nel caso di una morte violenta, si dovesse eseguire un’autopsia, come conciliare questo con l’usanza – o precetto - di seppellire la salma entro ventiquattro ore?); quali lingue si parlano (nel caso in cui si presenti il bisogno e la possibilità di chiamare un’interprete); ebrei ortodossi possono essere più vulnerabili durante il sabato se seguono il principio di non usare il telefono (non potranno chiamare aiuto se non in caso di pericolo di morte e gruppi antisemiti spesso ne approfittano). Infine, perché delle schede sulle religioni e non su gruppi etnici? Per un primo, ovvio, motivo. Questo manuale è indirizzato ad operatori di polizia che lavorano su tutto il territorio dello stato italiano dove oggi risiedono centinaia di comunità e di persone di diverse origini etnico-culturali e provenienze geografiche. Sarebbe perciò impossibile fornire delle informazioni sensate ed utili a tutti. Esiste tuttavia un secondo motivo, legato al momento storico attuale che, specie dopo l’11 settembre, vede particolarmente forte (e pericolosamente viva) la contrapposizione di un “noi” e di un “loro”, di un “noi contro loro” che si radica in una contrapposizione religiosa (quasi sempre confusa con appartenenza etnica e culturale) che non ha alcuna giustificazione e che potrebbe essere ancora più pericolosa se condivisa da operatori di polizia che svolgono compiti così delicati e importanti per il mantenimento dell’ordine e della pace sociale. L’invito è dunque a leggere queste schede cogliendone gli elementi che possono essere utili per il vostro lavoro, a verificare se esse descrivono con sufficiente precisione le comunità presenti nel vostro territorio e, infine, a migliorarle e a completarle dove necessario.

scheda su ISLAM

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Parlare di Islam significa abbracciare una realtà complessa e diversificata al suo interno, in termini sociologici, culturali e anche strettamente religiosi. Non è opportuno mai affermare recisamente qualcosa pensando che sia applicabile all’intero “universo islamico”. La maggioranza dei musulmani segue il rito sunnita (oltre 80%) che si divide in quattro scuole di diritto. Le differenze sono minime e non riguardano i dogmi e gli obblighi fondamentali. Anche i musulmani sciiti seguono le stesse prescrizioni e si differenziano soprattutto per alcune norme giuridiche. A loro volta gli sciiti sono suddivisi in varie correnti. Gli sciiti si trovano in Iran, Iraq, in parte del Libano, Yemen, India e Pakistan. In Italia il numero dei musulmani è aumentato in rapporto all’ondata migratoria che ha investito il Paese soprattutto dalla fine degli anni ’80. Si può ritenere che oggi vi siano in Italia 6-700.000 musulmani regolarmente residenti. La percentuale di clandestini musulmani tocca probabilmente oltre il 50% di essi. Esistono diverse decine di migliaia di musulmani italiani, in parte naturalizzati, ma anche italiani d’origine. La maggior parte degli immigrati musulmani proviene dal Marocco, dalla Tunisia, da altri Paesi arabi (Egitto, Siria, Algeria, Libia, Yemen, Palestina ecc.) e inoltre dal Pakistan, Bangladesh, Iran, Turchia, Somalia, Senegal e altri Paesi dell’Asia e dell’Africa, nonché molti bosniaci e albanesi.

Origini L’Islam nasce in Arabia dalla predicazione del Profeta Muhammad (Maometto, ma la parola italianizzata è sgradita ai musulmani) nel settimo secolo dell’era cristiana: centro spirituale dell’Islam è la città di Mecca (Makka) in Arabia Saudita.

Credenze Islam significa sottomissione alla volontà di Dio (Allah); esso si basa su cinque Pilastri: 1) la dichiarazione di fede (Non c’è altro Dio che Iddio (Allah) e Muhammad è l’Inviato di Dio); 2) la Preghiera canonica cinque volte al giorno per tutti gli adulti; 3) l’elemosina rituale (zakat) ossia una sorta di decima annuale sulle proprietà devoluta per le necessità della comunità; 4) il digiuno (dall’alba al tramonto) per i trenta giorni del mese di Ramadan; 5) il Pellegrinaggio a Mecca almeno una volta in vita se non impossibile economicamente o per ragioni di salute. La religione islamica riconosce, oltre all’ultimo Profeta Muhammad, una serie di altri messaggeri precedenti da Adamo a Noè ad Abramo, Mosè e Gesù. Tutti gli uomini e donne sono uguali di fronte a Dio e responsabili delle loro azioni;

per quanto riguarda la dimensione sociale vi è in alcune realtà una divisione di ruoli tra una donna che cura la casa e l’educazione dei figli e un uomo dedito al lavoro esterno.

Sacre scritture e altre fonti La Torà e i Vangeli sono stati superati dalla discesa del Sacro Corano in arabo. Non occorre leggerlo nella lingua originale. Il volume che racchiude il Corano non va toccato con mani sporche o impure. Altra fonte di conoscenza della Legge divina è la Tradizione del Profeta (Sunna), racchiusa in raccolte canoniche tra cui le più importanti sono quelle di al-Bukhari e Muslim.

Luoghi di culto Un musulmano può pregare ovunque con la sola condizione che il luogo sia pulito, abitualmente si usa pregare su un tappetino specifico. La moschea (casa di Allah) è il luogo comunitario per la preghiera. Può consistere di un semplice cortile o di una stanza. Le grandi moschee sono destinate ad accogliere la preghiera del venerdì a mezzogiorno in cui i musulmani, pur non essendo individualmente obbligati, si raccolgono ad ascoltare il sermone di un Imam (semplice guida spirituale e non col ruolo di tramite tra il fedele e Dio). In tal caso uomini e donne pregano separatamente. La preghiera non può essere interrotta tranne in casi di estrema urgenza. Occorre perciò attenderne la fine prima di ottenere una risposta anche da chi prega in casa ed è sconsigliato passare davanti a chi sta pregando. Per la preghiera occorre essere in stato di purità (abluzioni preventive) e correttamente vestiti di abiti puliti (che coprano dall’ombelico alle ginocchia per gli uomini e tutto il corpo a esclusione di viso e mani per le donne).

Festività Vi sono solo due festività nel corso dell’anno, oltre ad alcuni giorni solenni (la ricorrenza della morte di Husain per gli Sciiti, il Natale del Profeta, la Sua ascesa in cielo, la notte del destino, ecc.). La Grande Festa (al-Id al-Kabir o Id al-Adha) ricorda il sacrificio di Abramo e si celebra il 10 del dodicesimo mese lunare durante il Pellegrinaggio. La Piccola Festa (al-Id as-Saghir o Id al-Fitr) si celebra al termine del mese di Ramadan (nono mese lunare). Il calendario lunare islamico inizia nell’anno 622 e consiste di 354 giorni (mediamente 11 giorni meno di quello solare): il 1424 è iniziato il 4 marzo 2003. Rispetto al calendario internazionale quindi le festività risultano mobili.

Morte Il musulmano viene sepolto in terra col viso rivolto alla Mecca avvolto in un sudario bianco e dopo che il corpo è stato lavato, possibilmente nella stessa giornata. In Italia si seguono i regolamenti vigenti. Non è ammessa la cremazione e le cerimonie si limitano a una speciale preghiera comunitaria.

Norme alimentari È proibita la carne di maiale e di animali non macellati secondo le regole rituali, che consistono nel taglio delle arterie carotidi e il dissanguamento dell’animale (anche il sangue è vietato come alimento) dopo aver pronunciato sull’animale un’invocazione a Dio. In Italia tale tipo di macellazione è consentita dalle leggi vigenti che sono le stesse per gli ebrei. La carne macellata con rito ebraico è lecita (halal) per i musulmani. Altri tipi di carne che per consuetudine sono considerati proibiti (haram) sono quella di asino, degli animali carnivori (cani, gatti, aquile ecc.), dei rettili e degli anfibi. Gli alcolici e gli stupefacenti sono considerati proibiti in quanto ottenebrano la coscienza. In genere tutte le sostanze nocive alla salute, se non proibite sono sconsigliate (tabacco ecc.).

Usi Presso molti musulmani vigono regole che riguardano il vestiario soprattutto femminile e il contatto fisico tra i due sessi. Le donne evitano di mostrare in pubblico parti del corpo che non siano il viso e le mani. La copertura del viso è una pratica che non trova fondamento nella religione. La modestia nel vestire si addice comunque sia a uomini che a donne e comporta anche la non ostentazione di ricchezze (proibiti agli uomini gioielli d’oro e l’uso della seta). Molti uomini non stringono la mano alle donne quando salutano. In genere presso le comunità arabe la posizione della donna è di netta subordinazione. Meno marcato tale uso presso comunità asiatiche e africane. La separazione dei sessi è piuttosto forte, comunque, e ciò si riverbera in molte situazioni (visite mediche effettuata da dottoresse su donne, perquisizioni, ecc.). Spesso usi e tradizioni poco o nulla hanno a che vedere con la religione e si tratta solo di costumi in uso nei Paesi d’origine, talvolta anche in contrasto con la religione (per es. l’infibulazione). La circoncisione è d’uso presso i maschi, meno presso le femmine, ma è semplice tradizione e non obbligo. Ogni pratica mutilante o modificante il corpo è proibita (compreso il tatuaggio e il piercing). L’uso dei cosmetici è proibito quando si prega (ma non sono tali l’henné e il rimmel (kuhl) sugli occhi).

Lingua Non è obbligatoria la conoscenza dell’arabo, ma tale lingua rimane la lingua del Corano e quindi riveste grande importanza nella preghiera. Le comunità musulmane in Italia hanno diverse lingue. Gli arabi stessi spesso non conoscono la lingua standard e parlano solo il dialetto del Paese d’origine. Molti maghrebini parlano berbero, i senegalesi in genere il wolof, i somali il somalo: tutte lingue molto diverse dall’arabo. I Pakistani in genere parlano urdu o panjabi e i bangladeshi il bengali. Altre lingue “islamiche” importanti sono il turco e le altre lingue della stessa famiglia, il persiano (farsi), il curdo, il malese/indonesiano ecc. Gli albanesi parlano inoltre albanese e i bosniaci una varietà di serbo-croato.

Nomi La casistica dei nomi è varia e complessa: in genere dipende dal Paese di provenienza. Tra i musulmani italiani è d’uso spesso acquisire un nuovo nome al momento della conversione, ma senza valore ufficiale. In molti Paesi non esiste il cognome, ma si usa il patronimico. In genere molti musulmani anche non arabi hanno un nome arabo. Spesso esiste il problema dell’identificazione di persone il cui nome è scritto in caratteri latini in modi diversi: in realtà il nome è uno solo se scritto per esempio in caratteri arabi, ma viene traslitterato in modi diversissimi, spesso nello stesso Paese di origine. Per esempio uno stesso nome si trova trascritto Hussein, Husain, Hosein, Houssine, Hocine, Husseen, Housaine e in altri modi ancora. Le signore non prendono il cognome del marito. In genere in Italia oggi si considera cognome anche il patronimico, ma tale pratica può ingenerare confusione: i figli di una signora hanno “cognome” diverso dalla madre.

Scheda su EBRAISMO

Essere ebrei vuol dire far parte di una popolazione che segue delle tradizioni che risalgono a quelle dei tre Patriarchi: Abramo, Isacco e sopratutto Giacobbe. Quest’ultimo viene chiamato anche Israel, e dà il nome al popolo ebraico di cui è uno dei patriarchi. La tradizione ed il comportamento del popolo ebraico o popolo di Israele è dettata dalla Torà, (termine che significa insegnamento) conosciuta anche con il temine Pentateuco, in quanto è composta da cinque libri, scritti secondo la tradizione ebraica da Mosé, sommo Profeta di Israele, sotto dettatura divina. Gli ebrei sono sparsi in diverse parti del mondo: la Diaspora è la dispersione del popolo ebraico al di fuori della terra di Israele. L’elemento di unità è quindi dato dal mantenimento delle tradizioni e dal perseguimento degli stessi precetti. Il numero di cittadini ebrei è diminuito in Europa del 75% e in Italia del 25% in seguito alle persecuzioni razziali iniziate in Germania nel 1933 ed in Italia nel 1938 e culminate nello sterminio durante la seconda guerra mondiale. Oggigiorno gli ebrei Italiani sono circa 35.000 e 12 milioni sono gli ebrei nel mondo.

Origini L’origine del popolo ebraico risale ad Abramo, il quale ha per primo la percezione dell’unità di un unico Dio che è padrone non soltanto della terra e creatore di ogni essere vivente, ma è colui che ha creato l’universo e tutto ciò che è in esso. Il patto eterno stabilito fra Dio ed Abramo riguarda tutta la sua discendenza, ed è la circoncisione a cui si sottopongono tutti i figli maschi al compimento dell’ottavo giorno di vita. Ne sono esenti soltanto coloro che hanno dei seri e accertati rischi di salute.

Credenze L’ebraismo è la prima delle tre grandi religioni comandate monoteiste. Nell’ebraismo non esistono santi e non viene fatta dall’uomo nessuna raffigurazione iconografica di tipo religioso. Il giudizio morale ha un valore personale in quanto l’uomo è a diretto contatto con Dio e non esistono intermediari, come non si pratica la confessione. Gli ebrei sono ancora in attesa dell’età messianica. I Rabbini sono maestri, persone sagge che hanno studiato ma non c’è una dottrina ebraica. Esiste invece una comune prassi ebraica: secondo il loro insegnamento (la Torà) gli ebrei si devono identificare per quello che fanno, non per quello in cui credono.

Sacre scritture La TORAH (Pentateuco) di Mosè (la prima e la più importante delle tre parti dell’Antico Testamento) è considerato il libro sacro per eccellenza, per il contenuto fondamentale rispetto alle regole da seguire. Alla Torà scritta, si integra la Torà orale, ricevuta secondo la tradizione sempre da Mosé sul Monte Sinai ma tramandata oralmente da padre in figlio fino a che nel 200 d.e.v.6 è stata codificata da Rabby Jehudà. Il commento e la discussione rabbinica al testo è raccolto in un’opera mastodontica chiamata TALMUD.

Luoghi di culto Il luogo di culto per eccellenza era il Tempio di Gerusalemme. Dopo la sua distruzione, non sono più esistiti altri templi ma solo Sinagoghe. La sinagoga (parola che deriva dal greco) è il luogo di riunione della comunità e di studio, l’intensa attività di studio è infatti una parte fondamentale della formazione degli ebrei.

Festività Il calendario ebraico segue un ritmo lunare e non solare come quello a cui qui siamo abituati, la dicitura dei mesi è differente e gli anni non si contano ovviamente dalla nascita di Cristo, bensì dalla creazione del mondo: all’inizio del 21° secolo il calendario ebraico segna 5764 anni d.e.v. dalla comparsa del primo uomo sulla terra. Le festività ebraiche sono dettate dal testo della Torà e sono in considerazione di episodi fondamentali inerenti la formazione storico-politico-religiosa del popolo ebraico. Eccone alcune tra le fondamentali: SHALOSH REGALIM, tre Pellegrinaggi, chiamati così in base ad uno specifico precetto del testo mosaico che dice: “per tre volte durante l’anno, ti mostrerai al cospetto del Signore tuo Dio”; PESACH: cade intorno al Periodo della Pasqua cattolica e ricorda l’uscita dall’Egitto ed il passaggio del Mar Rosso, in questo periodo é proibito cibarsi di pane e cibi lievitati, in ricordo di quando gli ebrei, nella fretta di uscire dall’Egitto, non ebbero il tempo di far lievitare il pane; SHAVUOT: cade sette settimane dopo la festa di Pesach e ricorda la donazione del Decalogo, elemento fondamentale per la costruzione di un popolo; SUCCOTH: verso ottobre c’è la festa delle “capanne”, durante la quale, attraverso l’abitazione dentro capanne di frasche, si ricorda il periodo di quarant’ anni di permanenza del popolo nel deserto, prima dell’ingresso nella terra di Israele; ROSH HA SHANA’: il capodanno in cui si commemora la creazione del mondo e la comparsa dell’uomo sulla terra. In questo giorno inizia un periodo penitenziale, in cui si fa un esame delle azioni buone e non buone commesse nell’anno appena trascorso per promettersi in seguito un miglioramento di vita nell’anno che è appena entrato; KIPPUR è il giorno dell’espiazione delle colpe commesse nell’anno trascorso. Il riposo settimanale per gli ebrei è lo SHABBATH che dura dal venerdì all’imbrunire fino al tramonto del sabato. Durante questo lasso di tempo un ebreo praticante non può svolgere nessuna attività che rientri nella categoria ”lavoro”. Sarebbe auspicabile quindi rispettare la sua posizione qualora si rifiutasse di guidare, di scrivere o anche solo firmare un documento; di usufruire di mezzi pubblici o privati (quindi, per esempio, anche salire su una “volante”).

Norme alimentari Le regole inerenti l’alimentazione ebraica vengono chiamate dalla tradizione KASHERUT, termine che deriva da KASHER che significa adatto; nel caso specifico adatto ad essere mangiato dagli ebrei. Le regole della kasherut sono estremamente complesse e minuziose e si basano prettamente su una forma di rispetto per la vita di esseri viventi e la non mescolanza di forme diverse di generi alimentari. La regola fondamentale da seguire in questo caso è la divisione tra carne e latticini. Sono inoltre proibiti alcuni tipi di carne come quella di cavallo. Questi punti possono essere tenuti in conto ad esempio nel caso dei pasti in carcere per un detenuto ebreo.

Lingua L’ebraico è la lingua ufficiale dello stato d’Israele. Esso è una rielaborazione dell’ebraico biblico, che è la lingua dei testi sacri e della liturgia sinagogale, per la lettura e lo studio della Torà per tutti gli ebrei. La sua utilizzazione ha la finalità di tenere il popolo unito spiritualmente, anche se fisicamente abita in ogni parte del globo terrestre. È una forma e un mezzo di unità.

Leggi È importante sapere che esiste una legge dello Stato chiamata INTESA (vi è un’intesa per molte religioni) che tutela gli ebrei che vogliono rispettare le loro festività col diritto all’astensione dal lavoro su richiesta del singolo. Anche nell’esercito può essere concessa questa facoltà. Ovviamente, nel rispetto di questo accordo, il sabato e le altre festività ebraiche non si possono tenere concorsi o esami pubblici.

scheda su CRISTIANESIMO

Il Cristianesimo si rifà all’insegnamento e alla testimonianza di Gesù Cristo, riconosciuto come Figlio e Rivelatore di Dio, come sua Parola venuta nel mondo a rivelarne il “mistero”. In quanto religione, il Cristianesimo propone una serie di riti, gesti e parole attraverso i quali ci si mette in contatto con Dio. In quanto a religione che, però, si rifà alla testimonianza di Gesù Cristo, esso suppone una decisiva adesione di fede. Senza fede in Cristo, Signore e Rivelatore del Padre, oltre che Maestro di vita e di sapienza, i riti resterebbero un fatto meramente oggettivo, senza nessuna valenza soggettiva e, dunque, una realtà incapace di coinvolgere la vita e i sentimenti delle persone.

Divisioni Il Cristianesimo, a causa di contingenze storiche drammatiche e nelle loro conseguenze, purtroppo, non ancora superate, appare oggi diviso in diversi tronconi che seguitano ad essere tali nonostante un lodevole e sempre più significativo impegno nella ricerca dell’unità. Le confessioni cristiane, che pure riconoscono l’unico Cristo e ritengono il suo Vangelo come fondamento e ragione di vita, si separano in Cattolicesimo, Ortodossia, Luteranesimo, Anglicanesimo e altre confessioni minori. Il Cattolicesimo, che si riconosce sotto la guida del Romano Pontefice, abbraccia il mondo occidentale, il Centro e Sud America, parte del Nord America, alcuni stati balcani, Nazioni Africane cresciute all’ombra di Stati Europei e cristianizzate dai missionari, giovani nazioni dell’Estremo Oriente. L’Ortodossia raccoglie i popoli e le nazioni dell’antico Oriente greco-romano e la Russia, guidata dal Patriarcato di Mosca. Il Luteranesimo è presente in modo particolare nella Germania, nell’Olanda e nei Paesi del Nord Europa. L’Anglicanesimo riguarda l’Inghilterra e il Regno Unito. Esso mantiene ancora quelle dimensioni di Chiesa nazionale che, per ragioni storiche, lo caratterizzarono fin dalle origini. Sarebbe difficile dare delle varie confessioni le specificità teologiche. Basti sapere che gli studiosi sono impegnati nella ricerca di quell’unità, indubbiamente difficile, ma che pur tanto gioverebbe al futuro, alla crescita e alla credibilità del Cristianesimo.

Credenze I Misteri fondamentali della fede cristiana sono tre – tre sono le cose veramente straordinarie, è stato scritto: l’unità e la trinità di Dio, la divinità e l’umanità di Gesù Cristo, la verginità e la maternità di Maria Santissima. Il calendario cristiano si sviluppa e ruota intorno a questi elementi fondamentali che sono, allo stesso tempo, oggetto di estatica contemplazione e motivo di stupita venerazione.

Il Cristianesimo insegna a condurre la vita intorno ai Dieci Comandamenti e alle Otto Beatitudini. I Comandamenti sono gli stessi affidati da Dio a Mosè sul monte Sinai; le Beatitudini sono quelle che Gesù proclamò dal monte come da una cattedra solenne. Il Cristianesimo, infatti, riconosce come ispirati da Dio, e quindi come storia sacra, dunque come libro di Dio, sia i libri che raccontano le vicende e la saggezza del popolo d’Israele (Antico Testamento), sia i libri che raccontano la vicenda e la saggezza di Gesù e della Chiesa apostolica (Nuovo Testamento). I Dieci Comandamenti sono come la grande strada su cui i singoli e i popoli sono chiamati a strutturare la loro vita individuale e sociale. Le Otto Beatitudini sono invece la strada della perfezione praticata ed insegnata da Gesù. Fra gli uni e le altre nessuna opposizione, ma continuità e crescita, in coerenza con quanto affermato da Gesù stesso, il quale disse: “Non sono venuto ad abolire, ma a perfezionare la Legge” (Mt 5,17). L’amore di Dio e l’amore del prossimo costituiscono la quintessenza del Cristianesimo. Nella visione Cristiana, “prossimo” è ogni uomo. Qui, dunque, si supera il concetto di clan o nazione o di razza o di condizione e si stabilisce il criterio dell’amore universale. L’uomo è amabile perché è figlio di Dio. Questa affermazione vale sempre e comunque, in tutte le direzioni dello spazio e della storia. Il Cristianesimo predica un Dio attento alla storia dell’umanità. Come sua creatura privilegiata, l’uomo è seguito passo passo dal Signore che ne riscatta il destino, sia con la redenzione operata da Gesù con la sua morte e risurrezione, sia con la salvezza eterna generosamente offerta a quanti, amando, praticano la giustizia e la verità. Il Dio del Cristianesimo è un Dio condiscendente, e l’espressione massima di questa sua condiscendenza sono proprio le braccia di Gesù aperte sul mondo.

Nomi e Volti Nomi importanti del cristianesimo sono: Maria, la Madre di Gesù e la Madre di Dio; Giuseppe, padre putativo di Gesù; Pietro, apostolo e primo Papa; Paolo, organizzatore di cristianità, testimone e martire; Giovanni Evangelista, discepolo e apostolo, fondatore di una scuola di pensiero all’interno della quale furono redatti il quarto vangelo e l’Apocalisse; gli apostoli.

Sacre scritture I libri cristiani sono: i quattro vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), gli Atti degli Apostoli (Luca), le Lettere (Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, Giuda), la Lettera agli Ebrei (Anonimo), l’Apocalisse (Giovanni). A questi libri, che narrano direttamente o interpretano la vicenda storica di Gesù, sono da aggiungere i libri dell’Antico Testamento, che la figura di Cristo preparano o profetizzano: il Pentateuco, i Libri Storici, i Libri Sapienziali e Libri Profetici. Tutti questi libri sono inseriti in un’unica grande collezione che ha come titolo la “Bibbia”. Per chi la desideri, sono varie le edizioni che aiutano a leggere e a capire la Bibbia. Fra le altre, per l’essenzialità e per la competenza scientifica, ricordiamo in questa scheda La Bibbia di Gerusalemme.

I Luoghi del Culto Le chiese hanno un duplice scopo: quello di consentire alla comunità in quanto tale di radunarsi e di raccogliersi, e quello di conservare le specie eucaristiche, sia per l’adorazione personale e comunitaria, sia per il conforto dei malati e dei moribondi.

Le feste Cristiane Le principali feste cristiane sono: la Pasqua, che fa memoria della Risurrezione di Gesù e che è preceduta da quello che appunto è chiamato il triduo pasquale: giovedì santo (che ricorda l’ultima cena), venerdì santo (che ricorda la passione e morte del Signore), sabato santo (che nella celebrazione della veglia pasquale rivive tutte le tappe della storia della salvezza); la Pentecoste, che ricorda la discesa dello Spirito Santo; il Natale (25 dicembre), che ricorda la nascita di Gesù.

Usi Nel giorno del Battesimo, giorno in cui il cristiano s’innesta nella Chiesa, al cristiano si impone il nome. La Cresima è il giorno della piena assunzione di responsabilità circa la fede e dunque impegno forte alla testimonianza. La Comunione è il giorno del primo incontro con il Signore nell’Eucaristia. Questi tre sacramenti sono detti i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Il calendario cristiano è scandito dai nomi dei santi. Giorni di digiuno e astinenza sono il Mercoledì delle Ceneri, con il quale comincia il tempo penitenziale della Quaresima, e il Venerdì Santo, in cui la Chiesa ricorda la morte del Signore Gesù. Sono giorni di astinenza dalle carni, ma non di digiuno, tutti i venerdì di Quaresima.

Scheda su BUDDHISMO

Il buddhismo rappresenta una forma di spiritualità molto diversa da quelle delle religioni bibliche (ebraismo, cristianesimo, islamismo) e costituisce un insieme di tradizioni e di fenomeni molto complesso, con profonde differenziazioni al suo interno, che però, in genere, non sono sfociate in scontri violenti. Due sono le maggiori correnti del buddhismo, il Theravada (“Dottrina degli antichi”), più comunemente noto con il nome di Hinayana (“Piccolo veicolo”), che però è denominazione molto limitativa, e pertanto è preferibile evitarla, e il Mahayana (“Grande veicolo”): i seguaci del Theravada sono diffusi soprattutto a Sri Lanka e nell’Indocina, quelli del Mahayana nell’Asia centrale e orientale. La forma di Mahayana diffusa in Tibet e tra i tibetani all’estero è conosciuta come lamaismo dal nome lama (“superiore”) attribuito ai maestri spirituali. Una denominazione complessiva del buddhismo che si fa strada anche in Occidente è buddhadharma, termine indiano che vale all’incirca come “dottrina e pratica buddhista”. I dati statistici relativi al numero dei buddhisti nel mondo variano anche di molto: secondo alcune fonti i buddhisti sono circa 360 milioni di persone, secondo altre parecchi di più. Questa incertezza è dovuta anche al fatto che almeno in alcuni Paesi è diffusa l’usanza di aderire sia al buddhismo sia a un’altra tradizione spirituale, per esempio in Giappone spesso le stesse persone seguono sia la tradizione nazionale, lo shintoismo, soprattutto per le usanze e le pratiche della famiglia e della comunità, sia il buddhismo, specialmente per le esigenze di una spiritualità più intima. Il buddhismo non si è mai posto limiti geografici o etnici per la diffusione del suo messaggio, e almeno dalla fine del sec. XIX si sta diffondendo anche in Occidente. Oggi i buddhisti italiani sono forse 75.000 circa. Bisogna comunque tenere presente che anche in Italia le forme di adesione possono essere molto varie e non escludono necessariamente un’adesione ad altre tradizioni.

Testi fondamentali e lingue I testi più antichi del buddhismo sono molto probabilmente quelli in pali, un’antica lingua indiana, che costituiscono il canone, cioè la raccolta delle opere fondamentali, del Theravada: si tratta del cosiddetto Tipitaka (“I tre canestri”, che comprendono discorsi attribuiti al Buddha, insegnamenti e racconti vari); ai secoli attorno all’inizio della nostra era risalgono i principali testi del Mahayana, che sono in sanscrito, l’antica lingua dei dotti dell’India. Va chiarito che solo in certi casi le opere canoniche assumono un valore analogo per esempio alle sacre scritture che il cristianesimo considera rivelate da Dio: in genere si tratta comunque di testi autorevoli, che sono tali soprattutto all’interno di una certa corrente o in determinate diramazioni di essa. Nel corso del tempo sono stati spesso reinterpretati, integrati, o addirittura sostituiti con altri. Naturalmente con la diffusione del buddhismo al di fuori dell’India alle opere indiane se ne sono aggiunte altre, originali o tradotte, in cinese, giapponese, coreano, tibetano, ecc. Queste sono le lingue usate dai buddhisti dei vari Paesi; ad esse si aggiungono oggi le lingue europee, e l’inglese come lingua internazionale.

Origini, storia e dottrine Il buddhismo deve le sue origini storiche a un nobile indiano d’incerta età (V sec. a.C.?) nato nella regione himalayana orientale, Siddhartha Gautama, che, rinunciando agli agi, avrebbe abbandonato la casa e la famiglia dandosi a vita ascetica, per cercare la soluzione al problema angoscioso del dolore e dell’insoddisfazione dell’esistenza, un problema universale che in India assume una dimensione del tutto speciale a causa della credenza che la vita sia solo un anello di una catena senza principio e senza fine fatta di nascite, morti, rinascite, ecc., il samsara, regolata da una legge di retribuzione delle opere compiute (il karman). Il futuro Buddha era uno dei tanti giovani che in quel periodo cercavano la liberazione dal samsara. Dopo una ricerca di anni avrebbe trovato la verità, raggiungendo il risveglio (bodhi), e da allora è stato conosciuto come il Buddha, lo “Svegliato”. Senza entrare in quei tecnicismi in cui eccelle la sottile intelligenza analitica buddhista, si può sintetizzare la verità da lui raggiunta nel riconoscimento che la dolorosità e l’insoddisfazione dell’esistenza nascono da fattori come il desiderio e l’ignoranza: annullandoli con una rigida disciplina di autocontrollo si può giungere a una condizione non dipendente da alcunché, cioè il nirvana (“estinzione”), che è molto difficile da definire, perché non è una specie di paradiso per anime perfette, tanto più che il buddhismo antico nega l’esistenza di un’anima permanente (è molto probabile che i buddhisti nel corso del tempo e a seconda della corrente del buddhismo di appartenenza abbiano inteso, e intendano, il nirvana in modi diversi). Dopo una vita tutta dedicata alla predicazione e all’insegnamento, il Buddha sugli ottant’anni sarebbe entrato nel parinirvana (“estinzione completa”). Ai suoi discepoli, soprattutto monaci e monache, ma anche laici, questi ultimi ovviamente tenuti a una disciplina meno rigida, il Buddha lasciò, oltre al modello della sua vita, una dottrina e un’embrionale organizzazione monastica che, con vari mutamenti, continua ancora oggi. Il Buddha in origine non era un dio, il buddhismo era una dottrina di perfezionamento spirituale e di distacco dal mondo, più che una religione come la si intende in Occidente; ma poi la venerazione per questa grande figura spirituale, le esigenze dei devoti, le tradizioni dei vari Paesi in cui il buddhismo si è diffuso, aprirono ampi spazi a bisogni che possiamo chiamare religiosi. Il Buddha storico fu visto come uno dei tanti Buddha che nei vari cieli e sulla terra incarnano la perfezione e la verità. Queste esigenze trovarono un pieno sviluppo nel Mahayana, nel quale i Buddha, i loro collaboratori Bodhisattva, che potremmo chiamare dei quasi-Buddha, e le loro partner femminili costituiscono un pantheon ricchissimo. Molti sono stati e sono gli sviluppi del Mahayana che in parte lo avvicinano all’induismo: tra questi, oltre all’intensa devozione religiosa e alla fioritura di grandi scuole filosofiche, la diffusione di pratiche di tipo yogico, in particolare di uno yoga che si usa denominare, dai testi (tantra) in cui è insegnato, tantrico e che punta soprattutto alla ricerca di una condizione di libertà e di potenza che possiamo chiamare magica: lo yoga tantrico ha avuto una grande diffusione in Tibet e in altri Paesi. Nelle diversissime forme del buddhismo un elemento centrale comune è dato dall’attenzione per l’interiorità, per la ricerca meditativa.

Luoghi di culto Il grandissimo rispetto per il Buddha mentre era in vita non si traduceva ancora in atti di culto. Alla sua morte, dopo la cremazione, cominciò ben presto una forma di venerazione per le sue reliquie. A poco a poco, a partire da sacrari e tumuli, si è sviluppata una ricchissima tradizione figurativa: templi, pagode, statue, pitture, con alcuni capolavori di valore mondiale. A tutti i luoghi legati agli avvenimenti principali della vita del Buddha e delle figure principali del buddhismo vanno in pellegrinaggio, per portare offerte, purificarsi, ecc., numeri consistenti di devoti. Comunque i buddhisti, pur non disdegnando, certo, i luoghi e le immagini direttamente destinati a finalità di culto, come anche musiche, canti, processioni e rappresentazioni, possono praticare dappertutto e anche in silenzio, dato il carattere soprattutto interiore di questa tradizione. All’inizio i monaci si dovevano accontentare di ripari provvisori. Poi, grazie alla generosità di patroni devoti, comparvero i primi monasteri. Strutture di questo tipo si sono poi diffuse, raggiungendo talora dimensioni gigantesche, in tutte le terre nelle quali è avvenuta l’espansione del buddhismo: insieme luoghi di perfezionamento spirituale, di devozione, di culto e anche di studio (sono rimaste famose le cosiddette antiche università buddhiste: conventi indiani dove giungevano per istruirsi nel dharma, ma anche nelle varie scienze, cinesi, tibetani, coreani, ecc.).

Feste In genere i buddhisti rispettano i calendari delle diverse tradizioni, quindi le feste stagionali, ecc., magari reinterpretandole. Una rilevanza ancor maggiore hanno alcune feste tipicamente buddhiste, come quella del vesàkh che nella notte di plenilunio del mese omonimo (tra aprile e maggio) celebra i tre massimi avvenimenti della vita del Buddha: la nascita, il conseguimento del risveglio e la completa estinzione. Si festeggiano anche le ricorrenze di altri avvenimenti, per esempio gli anniversari dei grandi santi, nei Paesi in cui essi sono vissuti, ma anche all’estero, tra i buddhisti emigrati da tali Paesi.

Usanze funebri Il buddhismo ha grandi capacità di adattamento alle usanze dei vari Paesi in cui giunge, ovviamente se non contrastano in misura troppo forte con il dharma. Anche le usanze e le pratiche funerarie variano da Paese a Paese, e a seconda dei defunti: è ovvio che le onoranze funebri per un grande santo sono molto diverse da quelle rese ai defunti comuni, perché nel primo caso si tratta, per così dire, di un patrimonio spirituale con cui tutta una comunità vuole mantenere un legame, non soltanto di una persona la cui morte coinvolge presumibilmente solo un numero ristretto di familiari e conoscenti. I rituali sono spesso celebrati da monaci, come accade per esempio in Sri Lanka, dove si pensa che cerimonie funebri caratterizzate da donazioni agli officianti servano a un propizio trasferimento del merito acquisito da questi ultimi. Per passare a un altro Paese di cultura tipicamente buddhista, ma profondamente radicata in tradizioni e usanze locali, come il Tibet, nel Paese delle nevi le salme ricevono e soprattutto ricevevano, prima dell’omologazione che gli occupanti cinesi cerca-

no d’imporre, i trattamenti più vari: cremazione, sepoltura, abbandono dopo uno smembramento perché possano cibarsene gli animali, ecc.: è evidente che usanze di quest’ultimo tipo, praticabili in Tibet, molto vasto e con bassissima densità di popolazione, non possono essere mantenute dai tibetani emigrati nel nostro Occidente così densamente popolato. Specialmente degna di nota è la recitazione del cosiddetto Libro tibetano dei morti, in realtà “Liberazione dallo stato intermedio (tra la morte e un’eventuale nuova nascita) mediante l’ascolto”, recitazione che si compie dopo il decesso, per liberare il defunto dalla rinascita o almeno per indirizzarne la rinascita verso le migliori condizioni spirituali possibili.

Alimentazione Il buddhismo più antico prediligeva un’alimentazione di tipo vegetariano, questo soprattutto per ragioni di carattere morale (esigenze di rispetto per la vita anche animale, di evitare l’accumulazione di karman negativo) ma i monaci, dovendo vivere di elemosina, sono tenuti ad accettare in dono qualunque cibo, purché non si tratti di animali uccisi espressamente per loro. I buddhisti hanno usanze alimentari molto varie a seconda del Paese da cui provengono, e anche a seconda della corrente o tradizione cui appartengono, comunque molti di loro sono vegetariani, integrali o solo parzialmente. In genere comunque si pensa che il cibo debba essere assunto con quella moderazione che il buddhismo raccomanda come via di mezzo tra gli eccessi, secondo un ideale di vita semplice che mira a non provocare né squilibri né eccessivi coinvolgimenti con le esigenze del corpo.

Nomi Molti buddhisti, e in linea generale i monaci, hanno nomi che si richiamano al Buddha, al dharma, ecc., come Buddhadasa (“Servo del Buddha”), Buddhadatta (“Dato dal Buddha”), ecc.

I gruppi di contatto

tra cittadini di origine etnica minoritaria e operatori di Polizia

Riflessioni metodologiche su di un’esperienza a Bologna, Modena e Torino

Le indicazioni che seguono sono state elaborate in seguito all’esperienza dei gruppi di contatto riunitisi a Torino, Modena e Bologna in seno ai progetti Napap e Pavement7. Non rappresentano uno schema di regole assolute perché per ogni situazione sono necessarie modalità di organizzazione e di gestione differenti. Tuttavia possono fornire alcuni utili suggerimenti per gestire al meglio incontri di tal genere, nel caso in cui si ripeta l’esperienza.

Partecipazione

La costanza nella partecipazione ai gruppi di contatto è lo strumento migliore, anche se non sufficiente, per la buona riuscita del progetto, pertanto l’organizzazione, insieme alla preoccupazione di sollecitare la massima presenza degli immigrati e/o cittadini di etnie minoritarie, deve aggiungere la premura di assicurarsi la collaborazione dei dirigenti degli uffici delle Forze dell’Ordine di cui è richiesta la presenza, di modo che nei periodi programmati non siano loro assegnati altri incarichi.

Programma degli incontri

È importante stabilire fin dall’inizio il numero minimo degli incontri in base ad una griglia di argomenti da trattare, programmando un tempo determinato per la discussione di ogni tema. I punti focali da trattare possono ovviamente essere modificati nel corso degli incontri: può accadere che i partecipanti propongano essi stessi nuove problematiche, oppure che ritengano poco importanti alcuni punti prestabiliti, o ancora impieghino tempi diversi da quelli previsti per la trattazione di un certo argomento. Parimenti, anche il numero di incontri dovrebbe potere essere variabile.

Orari e durata degli incontri

Gli orari e le giornate devono essere stabiliti assieme ai partecipanti per andare incontro alle esigenze dei più. Se infatti per le forze dell’ordine queste ore rientrano nelle giornate lavorative, allo stesso tempo per gli stranieri si tratta di ‘tempo libero’, per cui è necessario individuare la fascia oraria (preferibilmente il tardo pomeriggio) che non coincida con le ore di lavoro. Inoltre è possibile scegliere giornate non lavorative - per es. il sabato - solo su esplicita richiesta del gruppo, perché è impensabile pretendere disponibilità nelle uniche giornate di riposo della settimana. È utile stabilire la data dell’incontro volta per volta, cercando per quanto possibile di conciliare le esigenze della maggioranza. La durata degli incontri non dovrebbe (se non in casi eccezionali) superare le due ore; la concentrazione diminuisce e la discussione rischia di diventare meno proficua. È inoltre consigliabile non accumulare più di un incontro per settimana. Tuttavia, queste non dovrebbero essere regole fisse: dove un gruppo si sente di proseguire oltre le due ore o decide di incontrarsi in momenti sociali (cene, ecc.) questo dovrebbe essere incoraggiato.

Facilitatori

Deve essere chiaro ai partecipanti che il facilitatore non ha il compito di insegnare loro qualcosa. Il ruolo del facilitatore dovrebbe essere quello di proporre gli argomenti (essendo quindi preparato sull’argomento), di stimolare il dibattito, di fare in modo che la discussione non venga monopolizzata dai più loquaci sollecitando gli interventi dei più timidi, infine di evitare che la discussione si allontani dal tema intrapreso. È ugualmente importante che il facilitatore non domini il gruppo. Se possibile dovrebbe portare il gruppo ad un’autonomia che renderà possibile la continuazione del lavoro del gruppo anche senza il supporto di un facilitatore esterno. È importante che il facilitatore arrivi per primo agli appuntamenti e sia pronto ad accogliere gli altri. È il punto di riferimento del gruppo, e questo contribuisce a creare coesione fra i partecipanti, premessa indispensabile perché si riesca a lavorare insieme con profitto.

Uso di strumenti

È necessario prendere nota della discussione. Anzitutto, è importante avere materiale scritto da rielaborare al momento della stesura delle conclusioni; in secondo luogo, è fondamentale che il gruppo non abbia l’impressione che del dibattito, alla fine, non rimanga traccia. È utile quindi l’uso della lavagna a fogli mobili su cui un facilitatore o uno dei partecipanti scriva ed evidenzi parole e ‘concetti chiave’ durante il corso della discussione. Appesi intorno alla sala, i cartelloni così preparati possono diventare utili in qualunque momento del dibattito per riprendere discorsi precedenti, per evitare di ritornare su argomenti considerati conclusi e per mettere in evidenza le contraddizioni che spesso emergono. Altrettanto utile può essere la presenza di un osservatore non partecipante, esterno al gruppo, che raccolga in maniera più estesa la discussione, riportando quindi anche singoli interventi che possono risultare decisivi nella stesura delle conclusioni. In questo caso è necessaria la totale estraneità dell’osservatore alla discussione. È anche possibile, per introdurre nuovi argomenti, fornire al gruppo articoli, o altro materiale, come spunto per la discussione o per presentare aspetti particolari del problema affrontato.

Stesura delle conclusioni

Perché l’incontro conclusivo non risulti dispersivo, sarebbe utile che il facilitatore e l’osservatore non partecipante preparassero in anticipo una bozza di conclusioni tenendo ben presenti tutti gli appunti raccolti e facendola pervenire prima dell’ultimo incontro al gruppo che avrebbe così il tempo di rielaborarlo per presentare poi le proprie proposte di modifica. Nel caso non lo si faccia, potrebbero riaccendersi dibattiti considerati ormai esauriti e ciò impedirebbe la necessaria concentrazione per la stesura del documento finale. Inoltre una bozza di conclusioni faciliterebbe i partecipanti nel ripercorrere le varie tappe della discussione.

Compenso per i cittadini di etnia minoritaria

Se per le forze dell’ordine gl’incontri rientrano nelle ore di servizio, i cittadini di etnia minoritaria, mettendo a disposizione il proprio tempo libero, hanno diritto ad un compenso, o quanto meno ad un rimborso spese. Questo peraltro potrebbe costituire un incentivo importante alla partecipazione.

Il luogo d’incontro

Il luogo d’incontro deve essere facilmente raggiungibile da tutti. La scelta del luogo degli incontri deve prendere in considerazione la disparità di potere tra gli immigrati e/o i cittadini di etnie minoritarie e le forze dell’ordine. Quindi potrebbe essere inopportuno tenere gli incontri presso la Questura o il Comando di PM che potrebbero, tra l’altro, indurre un rischio di accuse di “collaborazionismo” da parte di altri rappresentanti delle comunità immigrate. Meglio sarebbe organizzare gli incontri presso la sede di un’organizzazione degli immigrati o dei cittadini di etnie minoritarie o in un luogo neutro, quale una sede del Comune (o dei quartieri) diversa dal Comando di Polizia Municipale e normalmente frequentata da persone di origine etnica minoritaria e immigrati.

Alla fine degli incontri

Se gli incontri fanno parte di un progetto più ampio, è importante che tutti i partecipanti, terminati gli incontri, siano tenuti al corrente degli sviluppi del progetto e di eventuali aggiornamenti per mantenere costante l’interesse e il loro coinvolgimento, e quindi motivarli nel caso in cui si richieda loro un ulteriore contributo anche in momenti successivi del progetto. Il gruppo di contatto può costituire la premessa per la creazione di un dialogo costante tra immigrati e/o cittadini di etnie minoritarie e forze dell’ordine che continui anche al di là del progetto.

Bologna, gennaio 2001 Il gruppo di lavoro dei Gruppi di contatto tra cittadini di origine etnica minoritaria e operatori di Polizia nei progetti NAPAP e PAVEMENT

D - Lista delle organizzazioni italiane impegnate nella lotta alla discriminazione razziale, etnica e religiosa

Nota: la lista non è certamente esaustiva e nemmeno aggiornata all’ultima ora ma può costituire una traccia per i nostri lettori che si trovano ad operare in tutta Italia. A loro spetta comunque il compito di verificarne l’attualità ed eventualmente completarla.

COSPE - Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti Via Slataper 10 - 50134 Firenze Via Lombardia 36 - 40139 Bologna c/o ITIC G. Galilei P.zza Sopranis 5 - 16126 Genova www.cospe.it CICL - Centro Islamico Culturale della Liguria Via Coronata 2/r - IT16152 Genova ciclge@uno.it ANOLF - Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere P.zza Campetto1/7 - Genova IT ANOLF - Associazione Nazionale Oltre Le frontiere Via Rainusso 56/58 IT 41100 Modena anolf@cislmodena.org www.cislmodena.it/anolf/index Anolf Lombardia - Associazione Nazionale Oltre le Frontiere-Lombardia Viale F. Testi, 42 - IT 20099 Sesto San Giovanni anolf.lombardia@cisl.it Anolf - Matera - Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Piazza Matteotti, 11, c/o Cisl - IT 75100 Matera Laboratorio migrazioni Salita della Fava Greca 8 - IT 16128 Genova labmigrazione@comune.genova.it CSTM - Centro Studi Terzo Mondo via G. B. Morgagni, 39 - IT 20129 Milano cstm@libero.it LIDLIP - Lega Internazionele per i Diritti e la Liberazione dei Popoli - sezione di Milano via Bagutta, 12 - IT 20121 Milano lidlip@libero.it Microcosmo Onlus Via Sport 9/D - IT 20020 Arese (MI) microcosmo@interfree.it