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E – Bibliografia consigliata per l’approfondimento

Gritti R., Allam M., Islam, Italia. Chi sono e cosa pensano i musulmani che vivono tra noi. Guerini e Associati, Roma, 1998. Kenrick D., Zingari dall’India al Mediterraneo. ANICIA, Roma, 1998. Kopciowski E., I libri dei profeti e la Torà oggi. Marietti, Genova, 1994. Marcetti C., Mori T., Solimano N., Pontecorboli A., Zingari in Toscana. Fondazione Giovanni Michelucci, Firenze, 1992/1993. Pardo L., Limud, Limudì – Uno studio, il mio studio. Bologna, Ed. Dehoniane, 1999. Piasere L., Italia Romanì vol. I. Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma, 1996. Piasere L., Italia Romanì vol. II. Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma, 1999. Piasere L., Pontrandolfo S., Italia Romanì vol. III. Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma, 1999. Rivera A., L’inquietudine dell’islam. Edizioni Dedalo, Bari, 2002. Toaff E., Elkann A., Essere ebreo. Bompiani, Milano, 1994. Williams P., Noi non ne parliamo. I vivi e i morti tra i Manus. Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma, 1996. Franci G.R., Il buddhismo (collana “Farsi un’idea”), Il Mulino, Bologna, 2004. Pasqualotto G., Il buddhismo. Bruno Mondatori, Milano, 2003. Gnoli R. (a c. di), La rivelazione del Buddha. Mondadori, Milano, 2001.

Diversità e culture

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Abou S., Diritti e culture dell’uomo. SEI, Roma, 1995. Balboni P., Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale. Marsilio, Venezia, 1998. Bernardi U., La Babele possibile. Per costruire insieme una società multietnica. Franco Angeli, Milano, 1994. Bolaffi G., Gindro S., Tentori T., Dizionario della diversità. Le parole dell’immigrazione, del razzismo e della xenofobia. Liberal Libri, Firenze, 1996. Calafato M., Emozioni e confini. Per una sociologia delle relazioni etniche. Meltemi, Roma, 1996. Mantovani G., L’elefante invisibile. Tra negazione e affermazione delle diversità: scontri e incontri multiculturali. Giunti, Firenze, 1998. Melotti U., L’abbaglio multiculturale. Seam, Roma, 1996.

Wieviorka M., La differenza culturale. Laterza, Bari, 1999. Remotti F., Contro l’identità. Laterza Bari, 1996. Semproni A., Multiculturalismo. La sfida della diversità nelle società contemporanee. Franco Angeli, Milano, 1996, Zani B., Selleri P., David D., La comunicazione. Carocci, Roma, 1998.

Razzismo, xenofobia, discriminazione

Basso P., Razze schiave e razze signore. I Vecchi e nuovi razzismi. Franco Angeli, Milano, 1998. Bernadac C., Sterminateli. Fratelli Melita Editori, Roma, 1991. Bravi L., Altre tracce sul sentiero per Auschwitz. Il genocidio dei Rom sotto il Terzo Reich. Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma, 1999. Burgio A., L’invenzione delle razze. Studi sul razzismo e il revisionismo storico. Manifestolibri, Roma, 1998. Colasanti G., Il pregiudizio. Franco Angeli, Milano, 1994. Cotesta V., Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale. Laterza, Bari, 1999 Delle Donne M., Convivenza civile e xenofobia. Feltrinelli, Milano, 2000. Garonzi L., Art. 13. L’Unione Europea contro le discriminazioni. Istituto Provolo, Verona, 2000. Mazzara B.M., Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale delle relazioni interetniche. Carocci, Roma, 1996. Wieviorka M., Il razzismo. Laterza, Bari, 1996.

Internet

http://www.stranieriinitalia.it http://www.stranieri.it/home.htm http://www.immigra.org http://www.ires.it/osservatori.htm http://www.interno.it/sezioni/attivita/stranieri/s_000000073.htm http://www.redattoresociale.it/SitoMirror/vis/index.htm http://www.nigrizia.it http://www.cospe.it http://www.migranews.net http://www.anolf.it/ http://www.puntodipartenza.org/ http://www.uni.net/sos.razzismo http://www.enar-eu.org/it/ http://digilander.libero.it/asgi.italia/ http://www.dialogo.org/nondiscr/default.htm http://www.tarolavoro.com/info.html http://www.agenziaitalia.it/news.pl?id=agionline.immigrazione http://www.forumimmigrati.org/call2.htm http://www.cna.it/progetti/rifugiati&impresa/ http://www.uil.it/immigrazione/default.htm http://www.amistad.it/ http://www.acli.it/aclicolf.htm http://www.gruppocerfe.org http://www.cgil.it http://www.cgil.milano.it/ http://www.cgilparma.it/stran_doc.htm http://www.lazio.cgil.it/romacentro/celsi.htm http://www.cisl.it/pol.migratorie/ http://www.cnel.it/immigrazione/index.asp http://www.cestim.it/

Definizioni

antisemitismo

Ostilità verso un gruppo particolare di persone che si considerano o vengono considerate ebree. In quanto rappresentazione psicologica, l’antisemitismo contiene elementi di irrazionalità, fanatismo e ossessione; si nutre di pregiudizi e stereotipi. Dal punto di vista sociale, come il razzismo, appare il prodotto degli antagonismi sociali esistenti, funzionale alla razionalizzazione delle crisi e dei conflitti socio-economici (ebreo come “capro espiatorio”).

assimilazione

Definisce un processo unidirezionale di adattamento dello straniero al nuovo ambiente sociale. Ci si aspetta che l’individuo rinunci alle proprie caratteristiche linguistiche, sociali e culturali a favore di un suo completo assorbimento nella società ospitante.

criminalizzare

Dal dizionario Zingarelli: • considerare criminale, trattare alla stregua di criminale, riferito specificamente a problemi o comportamenti politicamente o socialmente rilavanti: p.e., criminalizzare i drogati. Dal dizionario Garzanti: • considerare criminale ciò che giuridicamente non lo è: criminalizzare il dissenso è tipico dei regimi dittatoriali.

discriminazione

Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica Gazzetta ufficiale n. L 180 del 19/07/2000 PAG. 0022 - 0026 ”Articolo 2

Nozione di discriminazione 1. Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. 2. Ai fini del paragrafo 1: a) sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga; b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. 3. Le molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo 1, una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri. 4. L’ordine di discriminare persone a causa della razza o dell’origine etnica è da considerarsi una discriminazione ai sensi del paragrafo 1.”

discriminazione nelle organizzazioni (o istituzionale)

Il fallimento collettivo di un’organizzazione nel rappresentare pienamente ed in ogni aspetto la comunità che serve, a causa delle origini ”razziali” o etniche, della religione o credo, orientamento sessuale, età, disabilità o genre di alcuni membri di quella comunità. Può essere rilevata nelle procedure, negli atteggiamenti e nei comportamenti che portano alla discriminazione attraverso un pregiudizio involontario, ignoranza, incuranza e stereotipo che si traducono in svantaggi per i membri di una comunità. Può verificarsi nel fallimento a fornire un servizio appropriato e professionale a tutti i membri del pubblico e in un fallimento nell’assicurare l’uguaglianza di opportunità ai dipendenti di un’organizzazione o di un’organizzazione dipendente. Il fallimento delle procedure dell’organizzazione stessa nel rilevare la discriminazione, o nell’intraprendere azioni contro di essa, può essere visto come un indicatore di discriminazione nell’organizzazione (o “istituzionale”). Da “Promuovere il mainstreaming: linee guida per l’erogazione e l’uso di servizi di consulenza sulla discriminazione istituzionale”, prodotto nell’ambito del progetto europeo “Consultancy on institutional discrimination” promosso da COSPE, RADAR, Reading CRE, DIMITRA con il sostegno della CE.

diversity management

La “gestione della diversità” è nata come metodo per migliorare la produttività, la creatività e l’efficienza di un’organizzazione, sia questa un’impresa privata, un’istituzione pubblica o un’associazione di volontariato. Tuttavia essa ha anche un effetto di contrasto alla discriminazione perché valorizza le diversità e le considera una ricchezza. Valorizzare la differenza deve avvenire a livello personale, interpersonale e nelle organizzazioni e ad ogni livello devono essere evidenti le ragioni e i vantaggi di valorizzare le diversità. Bisogna dunque cominciare dal livello personale e valutare che la prima differenza da essere valorizzata è la nostra personale. Ogni lavoro che valorizzi la diversità dovrebbe cominciare con una comprensione di chi siamo noi esattamente – culturalmente, demograficamente ed antropologicamente e cioè in relazione all’età, all’appartenenza etnica o cosiddetta “razziale”, alla religione, al genere, al Paese, alla comunità di origine, alla lingua, alle inclinazioni sessuali, all’educazione, alla classe sociale, e ai tanti altri aspetti che voi stessi potete elencare pensando ad una lista di elementi che vi descriva. Molti concordano sul fatto che uno degli scopi più importanti nella vita è di sviluppare al massimo la propria individualità e le proprie potenzialià che, in fondo, è un modo per dire essere i più diversi che possiamo essere, anzi unici, perché il massimo che io posso essere è molto diverso dal massimo di qualcun altro, date le differenze nelle esperienze di vita, nelle prospettive, nei talenti e nelle personalità.

immigrato

La nozione di immigrato indica la persona nata all’estero, che si è installata nel Paese della sua attuale residenza, che abbia o no acquistato la nazionalità del Paese di residenza. Nel linguaggio comune, come in quello istituzionale e mediatico, con questo termine ci si riferisce indifferentemente a migranti, profughi, rifugiati: la categoria di immigrato consente di operare una gerarchizzazione all’interno della totalità apparentemente neutra degli stranieri, ed è spesso usata in modo stigmatizzante. Sono la storia, l’ideologia, la collocazione di classe a decidere la differenza tra straniero e immigrato. Alcuni stranieri non saranno mai immigrati (come ad esempio i nordamericani, i cittadini UE, ecc.); altri lo sono per definizione (come quelli provenienti dal sud del mondo). Se il termine straniero può essere usato semplicemente per designare uno status giuridico, quello di immigrato, in un certo uso che ne viene fatto, può rinviare ad una condizione sociale.

interculturalità

Mira a preservare l’integrità della persona e delle collettività attraverso l’interazione positiva e la pacifica convivenza tra tutte le collettività, compresa quella autoctona. Per questo modello è necessario tenere conto delle esigenze dei nazionali e delle

loro insicurezze di fronte al complesso fenomeno dell’immigrazione. È altrettanto necessario tenere presente le esigenze delle comunità immigrate e quindi l’accoglimento delle istanze dei nazionali va contemperato al riconoscimento delle diversità di tali collettività. Riconoscere e rispettare le differenze non deve però portare alla creazione di cellule isolate: l’obiettivo di fondo dell’integrazione è, al contrario, quello di realizzare interazioni positive tra nazionali e immigrati nel quadro di un dialogo che si articoli in più dimensioni, estendendosi così a tutte le sfere del convivere, e che sia in grado di arricchire entrambe le parti in causa. Una distinzione così netta tra multiculturalità e interculturalità sembra essere soprattutto italiana, mentre nel mondo anglosassone, e anche nell’Unione Europea, si parla più spesso di multiculturalismo, per quanto il termine sia inteso quasi sempre nell’accezione che si dà oggi in Italia alla parola interculturalità. Le società interculturali sono dunque società dove le diverse culture, i diversi gruppi nazionali, etnici e religiosi che vivono in uno stesso territorio mantengono relazioni aperte di interazione, scambio e mutuo riconoscimento dei propri valori e stili di vita e di quelli degli altri. È un processo, non una meta, dove si intrattengono relazioni eque nelle quali è riconosciuta ad ognuno la stessa importanza, dove non ci sono superiori ed inferiori. Molti autori vedono quindi come fondamentale nel termine interculturalità la capacità di lasciarsi “contaminare” e la capacità di decentrare i propri punti di vista. Nel multiculturalismo invece é evidente la separazione tra le culture che si palesa, per esempio, anche nelle separazioni spaziali tra i vari gruppi che vivono nelle grandi città inglesi, americane, canadesi. Dobbiamo a Umberto Eco l’introduzione del termine “transcultura”, che fa riferimento al termine anglosassone “cross-cultural”, per accentuare ulteriormente l’idea di dinamicità delle culture che nell’incontro si influenzano e si modificano reciprocamente. Balboni8 distingue la logica interculturale dalla logica multiculturale intesa, quest’ultima, come fase transitoria verso un’omogeneizzazione che negli Stati Uniti è definita come “melting pot”, dove ogni differenza culturale si deve fondere in una nuova realtà. L’interculturalità sarebbe invece “un atteggiamento costante, che prende atto della ricchezza insita nella varietà, che non si propone l’omogeneizzazione e mira solo a permettere l’interazione più piena e fluida possibile tra le diverse culture”. (…) Entrare in una prospettiva interculturale non significa abbandonare i propri valori e far propri quelli del luogo in cui si espatria, significa: conoscere gli altri; tollerare le differenze almeno fino a quando non entrano nella sfera dell’immoralità che, secondo i nostri standard non intendiamo accettare; rispettare le differenze che non ci pongono problemi morali ma che rimandano solo alle diverse storie delle varie culture; accettare il fatto che alcuni modelli culturali degli altri possono essere migliori dei nostri e, in questo caso, mettere in discussione i modelli culturali con cui siamo cresciuti”. (Balboni, op. cit. pag.17)

La caratterizzazione di Balboni ha il merito di mettere in evidenza ciò che comporta per il gruppo maggioritario la scelta dell’interculturalità. Essa presenta tuttavia, a nostro avviso, due limiti: il primo, di non esplicitare come questa prospettiva, quando riferita allo spazio pubblico e non a quella del privato cittadino, arrivi necessariamente a mettere in discussione l’asimmetria di potere tra il gruppo maggioritario e i gruppi minoritari; il secondo è il richiamo a elementi di moralità/immoralità che attengono unicamente alla sfera etica mentre meglio sarebbe parlare di diritti umani, nozione che chiama in causa l’agire politico e giudiziario. Sappiamo d’altra parte, che il carattere universale dei “diritti umani”, così come espressi dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, è messo in discussione da alcuni analisti e da alcuni governi in quanto frutto di un’elaborazione che riflette la cultura occidentale e il volere dei Paesi occidentali che, in quegli anni, dominavano l’assemblea delle Nazioni Unite, al punto che sono state prodotte altre dichiarazioni (Carta africana dei diritti dell’uomo e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del Consiglio Islamico d’Europa). Tuttavia, in considerazione delle ampie aree di sovrapposizione tra le varie carte dei diritti dell’uomo su questioni come il diritto all’incolumità personale, alla libertà e ad una vita degna, e per l’ampio consenso su cui i principi enunciati sono fondati, alcuni autori (E. Berti, Il contributo della dialettica antica alla cultura europea, Conferenza tenuta al Senato della Repubblica il 25 febbraio 2003) ritengono possibile assumere i diritti umani come premesse a partire dalle quali si può argomentare per costruire le norme fondamentali di un’etica pubblica. COSPE da qualche anno ha adottato il termine interculturalità perché è il più ottimista, anche se si tratta più che altro di un principio che ad oggi non influenza le scelte politiche né a livello centrale né a livello locale e non sembra ancora avere ricadute sulla vita dei cittadini e delle cittadine.

integrazione

C’è chi identifica l’integrazione con l’assimilazione etnica e, per questa via, arriva a dire che “L’integrazione degli immigrati implica la progressiva diminuzione fino all’eliminazione totale delle differenze etnico-culturali tra i vari gruppi di società globale”9 in una progressione che vedrebbe la prima generazione di immigrati disadattata e non integrata, la seconda a metà strada e la terza totalmente integrata. È evidente che questa concezione dell’integrazione è inaccettabile per due ordini di motivi: innanzitutto da un punto di vista etico perché l’assimilazione è generata dalla presunta superiorità della cultura che accoglie; in secondo luogo da un punto di vista pratico perché esso ignora che, accanto a spinte all’omogeneizzazione, esistono, e sempre più forti, dei processi di differenziazione etnico-culturale. Alcuni autori sono passati poi al concetto di conflitto culturale. Per questa via si è arrivati a dipingere un quadro a tinte piuttosto fosche delle migrazioni, trasformando l’immigrato in un individuo per lo più asociale e incapace di adattarsi alle nuove condizioni di vita (criminalità, conflitti familiari, malattie psichiche e psicosomatiche, ghettizzazione, emarginazione) che necessita del nostro aiuto. È evidente l’aspetto paternalistico, e quindi discriminatorio di questo approccio.

Il problema di questo approccio è che vede il conflitto culturale come negativo e dunque da eliminare o ridurre e scarta a priori l’idea che il conflitto culturale possa invece esprimere la dialettica positiva tra le culture. È questo paternalismo il responsabile di molte strumentalizzazioni da parte di coloro che sostengono che rimandare a casa loro gli immigrati sia cosa buona per loro stessi perché li si rimanda nel loro ambiente socio-culturale dove si sentono a proprio agio. È dunque difficile dare una definizione unica del termine “integrazione” anche perché esso non descrive un traguardo ma, secondo il “Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia”10 della Commissione per l’integrazione del 2000, esso si situa piuttosto in un continuum che va dall’assimilazione all’interculturalità:

islamofobia

Paura, diffidenza e rifiuto verso persone di religione musulmana. Alla base di tale disposizione è il pregiudizio antimusulmano, ossia la tendenza a “razzizzare” l’appartenenza religiosa, e a vedere negli individui di religione musulmana i rappresentanti di una totalità assolutizzata, essenzializzata, immutabile, sottratta alla storia e al mutamento, contrapposta ai caratteri di modernità, dinamismo, disposizione al continuo cambiamento attribuiti al mondo europeo. Il musulmano diventa così figura paradigmatica dell’alterità.

mainstreaming

“Il mainstreaming ha lo scopo di integrare la lotta contro il razzismo come un obiettivo in tutte le azioni di una comunità e nelle politiche a qualunque livello (…). Per questo, si devono usare azioni generali e politiche per combattere il razzismo prendendo in considerazione attivamente, e in modo che sia visibile a tutti, l’impatto che queste azioni e politiche avranno nella lotta contro il razzismo, sin dal momento in cui esse sono pensate”. Da Realizzazione del piano d’azione contro il razzismo –mainstreaming la lotta contro il razzismo, rapporto della Commissione Europea.

marginalizzazione o esclusione

Le politiche che si ispirano a questo principio riducono la partecipazione degli individui solo ad alcune, determinate, sfere della società (in genere quelle connesse col mercato del lavoro) rifiutandogli invece l’accesso alle altre dimensioni.

multiculturalismo

Coesistenza tra più gruppi che riescono a preservare le proprie tradizioni nei confronti del gruppo maggioritario. I vari gruppi rimangono distinti tra loro e dal gruppo maggioritario in ordine a lingua, cultura e tradizioni. Il rischio è la segregazione, la costituzione di comunità ripiegate su se stesse e non interagenti tra di loro.

pregiudizio

Opinione o sentimento, di solito sfavorevole, precostituito sulla base di una limitata e inadeguata informazione (o perfino senza riferimento ad alcuna informazione, conoscenza o ragione). Spesso i pregiudizi sono sostenuti perfino di fronte alla prova del contrario.

razza

Può sembrare strano che istituzioni internazionali, soprannazionali e nazionali usino la parola “razza” che, oggi sappiamo, è stata sconfessata dalla comunità scientifica, specie dai biologi che hanno riconosciuto come la divisione degli esseri umani in “razze” non abbia fondamento scientifico. Infatti, gli esseri umani possono più utilmente essere classificati, da un punto di vista biologico, secondo mille altri elementi che attraversano tutti i gruppi cosiddetti “razziali”. Molti gruppi sociali, per parte loro, rivendicano la loro differenza ( i neri, per esempio, e questo non attiene unicamente al colore della pelle), così come le donne l’hanno rivendicata nei confronti degli uomini. L’usare il termine razza offre la possibilità di dare un nome, e quindi riconoscere, la discriminazione che viene operata da alcuni soggetti e da organizzazioni nei confronti di altri proprio sulla base dell’appartenenza razziale e ci permette quindi di identificare il razzismo.

relativismo culturale

Affermazione dell’uguale validità di tutte le culture umane e dei loro sistemi di valore. Proposto dalla scuola antropologica americana del novecento, postula la necessità di giudicare ogni valore in riferimento all’ambiente culturale in cui nasce. In una versione radicale, il relativismo conduce alla separazione tra le culture, considerate ingiudicabili, determinate, chiuse nella loro autonomia e di conseguenza non comunicanti fra loro, e rischia quindi di precludere la via al dialogo ed allo scambio interculturale.

stereotipo

Immagini fisse associate ad una categoria o gruppo sulla base di una limitata ed inadeguata informazione o conoscenza. Incasellando persone in quella categoria o gruppo, si ascrivono loro individualmente le caratteristiche associate alla categoria. Spesso gli stereotipi sono sostenuti perfino di fronte alla prova del contrario.”

xenofobia

Indica la disposizione di una persona ad avere paura di altre persone o gruppi di persone percepiti come stranieri. La paura, la diffidenza e il rifiuto dello straniero nascono dall’idea che la contaminazione con l’Altro possa distruggere la propria identità etnica o culturale.

note

1 Adattato da N. Leotta, E. Margelli (a cura di), Immigrazione svantaggio sociale e diritti umani, Acra (Associazione di Cooperazione Rurale in Africa e America Latina), Milano, 1991, Pubblicazione fuori commercio 2 Nella sola Francia, nel decennio 1990-1999, le acquisizioni di cittadinanza sono state 600.000 (dieci volte di più rispetto all’Italia) e il loro numero continua ad essere in aumento. 3 Per una analisi precisa della ripartizione territoriale e dei modelli d’insediamento si veda

CARITAS, Dossier statistico immigrazione 2003, Ed. Nuova Anterem, Roma, ottobre 2002. 4 Caritas, op. cit. 5 Cfr. A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Sagittari Laterza, Roma-Bari 1988, pagg. 36-38. 6 “dopo l’era volgare”, espressione ebraica per indicare l’era dopo Cristo. 7 NAPAP (NGOs and Police Against Prejudice), progetto transnazionale europeo sulla formazione della Polizia per l’agire in una società multiculturale.

PAVEMENT (Paving the way across Europe for Art.13 of the Amsterdam Treaty), progetto transnazionale europeo con l’obiettivo di produrre raccomandazioni alla CE e ai governi nazionali per un’efficace implementazione dell’Art. 13 del Trattato che si esprime contro le discriminazioni operate sulla base dell’appartenenza etnica e religiosa, di genere, di orientamento sessuale, età e disabilità. 8 Balboni P.E., Parole comuni culture diverse, Marsilio Editori, Venezia, 1999 9 C. Giordano in Demetrio, Favaro, Melotti, Ziglio (a cura di), Lonatano da dove, Franco

Angeli, Milano, 1990. 10 Da Commissione per l’integrazione, Dipartimento per gli Affari Sociali - Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma,

Dicembre 2000, pagg. 4 e seguenti.

progretto grafico: Cardo Riccardo finito di stampare nel giugno 2004

Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti ONLUS

Con il contributo del "programma di lotta contro la discriminzione" della Comunità Europea. Questo lavoro è stato ideato ad uso di quei funzionari, responsabili di Uffici e Reparti della Polizia di Stato italiana, chiamati a formare i propri operatori ad agire come Servizio e non come Forza di Polizia, in un contesto sociale connotato dalla diversità la quale impone l’acquisizione di un saper essere, prima ancora che di un saper fare, improntato alla mediazione dei conflitti, alla negoziazione, alla capacità – come sottolinea il Codice Etico Europeo per i Servizi di Polizia - di comunicare, di comprendere le problematiche sociali, culturali e comunitarie, combattendo il razzismo e la xenofobia. È il compimento di un lavoro avviato cinque anni fa, la storia di una collaborazione tra Polizia di Stato e COSPE (Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti), nata per contribuire a fare della Polizia italiana una polizia capace di adeguarsi alla società che cambia, in grado di offrire un servizio adatto ad una società multietnica e multiculturale. Grazie al progetto europeo NAPAP (NGOs and the Police Against Prejudice), finanziato dalla Commissione Europea e dalle Polizie di molti Paesi europei, nel 1997 (dichiarato “anno europeo contro il razzismo”), prese avvio la formazione a carattere sperimentale di operatori di Polizia di Stato e di alcune Polizie Municipali. Da allora la collaborazione tra COSPE e Polizia di Stato si è consolidata dando vita, tra l’altro, alla formazione di formatori di polizia, alla traduzione della Carta di Rotterdam e, da ultimo, a questo manuale. Anche questo manuale è prodotto nell’ambito di un progetto europeo chiamato TRANSFER e ha perciò potuto godere del sostegno e del parere dei tanti amici e colleghi di altri Paesi dell’Unione, alcuni dei quali ormai ci accompagnano in questo lavoro da anni - come la Scuola di Polizia di Catalogna e il Centre UNESCO de Catalunya; altri - come l’Accademia di Polizia di Stoccolma e Mångfald Utveckling, An Garda Siochana (Polizia d’Irlanda) e i numerosi rappresentanti di associazioni irlandesi - conosciuti proprio grazie al progetto TRANSFER. Il libro è il risultato degli sforzi di una squadra costituita da operatori di polizia, persone a rischio di discriminazione per ragioni “razziali”, etniche e religiose e persone impegnate nella lotta alla discriminazione. E’ dunque il prodotto evidente della possibilità di dialogo e comprensione tra realtà diverse e di quella comunicazione attraverso le diversità che è l’elemento centrale di tutto il testo. Pur nella coralità del lavoro, tutti gli esempi e le riflessioni sulla Polizia vista dalle persone di origine etnica minoritaria sono opera di Tso Chung-Kuen e Demir Mustafa. I riferimenti legislativi, la terminologia specifica e la supervisione sono del Vice Questore Aggiunto Claudia Di Persio che, assieme a Patrick Johnson, ha prodotto il capitolo sulla discriminazione. Il capitolo sulla criminalizzazione dei migranti è da attribuire a Cristian Poletti. Marina Pirazzi ha scritto i capitoli 1, 3,4, i suggerimenti per la formazione e parte delle appendici. Giulio Soravia ha curato la scheda sull’Islam, Alberto Sermoneta, rabbino capo della comunità ebraica di Bologna, la scheda sull’ebraismo, Giorgio Renato Franci la scheda sul buddhismo e padre Francesco Stano la scheda sul cristianesimo. Costantino Tessarin ha redatto l’appendice sui diritti umani. La revisione del testo è di Marina Pirazzi. Il manuale è stato letto dal comitato di consulenza costituito da Udo Enwereuzor, Cosimo Braccesi, Rossella Selmini, Samanta Arsani, Ilaria Galletti, Benjamin Benali, Giulio Soravia, Mato Jora e da numerosi funzionari di polizia che, tutti, hanno saputo offrire spunti e suggerimenti importanti per il suo miglioramento.