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alla stessa cultura

2 - La comunicazione tra persone che non appartengono alla stessa cultura

La comunicazione interculturale è invece interazione nella quale le competenze comunicative di due persone entrano in gioco in una relazione tra sfondi culturali differenti, infatti straniero e autoctono fanno riferimento a competenze comunicative diverse, efficaci e pertinenti per la comunicazione nei contesti di appartenenza e non automaticamente anche in altri.

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competenze comunicative

“ (…) Tutti gli individui,in quanto membri di una comunità linguistica e sociale,possiedono la capacità di produrre e capire messaggi e quindi di interagire con altri soggetti. Questa fondamentale capacità viene definita competenza comunicativa e si riferisce all’insieme delle presupposizioni reciproche,delle conoscenze e delle regole che rendono possibile uno scambio comunicativo.(…) In specifico,la competenza comunicativa comprende le seguenti abilità: • competenza linguistica,cioè la capacità di produrre e di interpretare segni verbali; • competenza paralinguistica,la capacità di produrre e interpretare elementi che modulano la comunicazione,come l’enfasi,la cadenza nella pronuncia,le risate,le esclamazioni; • competenza cinesica,la capacità di realizzare la comunicazione anche mediante gesti (cenni,mimica del volto,movimenti delle mani,ecc.); • competenza prossemica,la capacità di variare il rapporto con lo spazio in cui avviene l’interazione (la distanza interpersonale,il contatto reciproco,ecc.); • competenza performativa,la capacità di usare intenzionalmente un atto linguistico per realizzare gli scopi della comunicazione; • competenza pragmatica,la capacità di usare i segni linguistici e non linguistici in maniera adeguata e funzionale alla situazione e ai propri scopi; • competenza socioculturale,la capacità di interpretare correttamente le situazioni sociali,i rapporti di ruolo e gli elementi che caratterizzano una cultura. Le competenze comunicative non sono un patrimonio stabile e possono modificarsi o aumentare e ciò significa sempre porre mano ad aspetti profondi della propria identità”.

Da Zani B.,Selleri P.,David D.,LA COMUNICAZIONE.Modelli teorici e contesti sociali,Carocci,Roma,1998,pag.31.

Pensate ad esempio all’uso delle metafore che abbondano, anche nella nostra inconsapevolezza, nei discorsi quotidiani. La frase “Laura è un angelo” potrebbe risultare totalmente incomprensibile nel suo significato letterale e metaforico a chi non è cresciuto, non conosce profondamente o non è stato educato nella religione cristiana per la quale esistono “angeli” in cielo, esseri meravigliosi, uno dei quali è addirittura responsabile della cacciata agli inferi di Lucifero.

«La metafora attribuisce a qualcosa di cui si sta parlando un attributo preso da un altro dominio di realtà. (…) Se non siamo consapevoli dell’effetto cornice, non comprendiamo che la prospettiva che adottiamo per inquadrare una situazione non è l’unica possibile, né è necessariamente la migliore in circolazione. Il caso più tragico è quello di chi non pensa di star vedendo le cose da un particolare punto di vista, ma è sicuro di vederle così come sono.»1

Le più recenti ricerche sulla comunicazione sostengono che essa, per svilupparsi, ha bisogno che tra gli interlocutori esista un terreno comune a cui essi possono fare riferimento per esplorare le intenzioni reciproche. Quando Colombo arrivò a Trinidad e cercò di fare salire gli indigeni sulla nave, decise di fare una festa sperando di attrarli con canti e balli. Fu a quel punto che gli indigeni imbracciarono gli archi e incominciarono a tirare frecce. Un chiaro esempio di malinteso: ciò che era un segno di pace nella Spagna di allora era per i nativi di Trinidad una dichiarazione di guerra. In situazioni come queste si aprono due strade:

«o sviluppare una comunicazione aperta all’altro, multiculturale, faticosa e frustrante per gli europei, tutti presi dal loro sogno di conquista. Oppure rinunciare a comunicare, impadronirsi al più presto di tutto ciò che si può afferrare, sfruttare l’altro senza riguardi, partendo dal principio che l’altro non ha diritti, non ha tradizioni, non ha dignità che meritino di essere rispettati».2

L’importante è avere la consapevolezza che non esiste mai un unico punto di vista, che le cose non le vediamo “così come sono” e che la lettura che ciascuno di noi dà della realtà è determinata in gran parte dal colore delle lenti che ci vengono assegnate in dotazione dalla nostra cultura, dalla nostra posizione sociale, dalla nostra educazione, dalla famiglia, dalla scuola e dagli altri ambienti di socializzazione. Il nostro modello di comunicazione si complica quindi, introduce la “cultura” come elemento fondamentale per dare senso ad una comunicazione ed appare come rappresentato in questa figura:

cultura cultura emittente ricevente

emittente ricevente

messaggio messaggio intenzionato interpretato messaggio messaggio rumore espresso ricevuto

codifica decodifica contesto

Poiché sarebbe impossibile acquisire competenze comunicative proprie dei tanti diversi background culturali ai quali appartengono le persone di minoranza etnica presenti nel nostro Paese, è importante riconoscere due regole fondamentali: > tenere presente che ciò che è implicito nella comunicazione tra persone che condividono lo stesso background culturale non può essere dato per scontato per chi appartiene a cultura diversa e va dunque reso esplicito nella comunicazione interculturale. Un esempio desunto dal calcio: se parlo del risultato di una partita che

suggerimenti per la formazione

mi ha entusiasmato, riferendomi al fuori gioco che è costato l’insuccesso della mia squadra del cuore, la persona che sta ascoltando deve sapere cos’è il fuorigioco per capire la portata del fatto ed io devo sincerarmi che la persona effettivamente lo sappia. Altrimenti dovrò esplicitare ciò che avevo dato per scontato; > non solo le parole ma anche i gesti, la posizione del corpo, lo spazio tra le persone che stanno comunicando, lo sguardo, ecc., insomma tutti gli elementi della comunicazione non verbale sono culturalmente determinati e poiché, come si vede altrove in questo capitolo, la comunicazione non verbale spesso prevale sul contenuto verbale in una comunicazione, dobbiamo prestare grande attenzione a questi aspetti. Come? Di nuovo, non dando per scontato che ciò che io faccio sia interpretato esattamente come è nelle mie intenzioni e che io sto capendo esattamente ciò che l’altro sta cercando di comunicarmi.

Nelle borse di tre persone sono stati trovati questi oggetti:

Persona 1: agenda elettronica carta di credito American Express burro di cacao per labbra chiavi con anello senza portachiavi

Persona 2: gomme da masticare aspirine salviette “fresh and clean” agenda cartacea

Persona 3: biglietti dell’autobus fazzoletti di carta libro “Con i Palestinesi” preventivo di spesa per lavori di ristrutturazione della casa Il Manifesto

Quale tipo di persona ti sembra questi oggetti svelino? uomo o donna? giovane o anziana? quale potrebbe essere il loro lavoro? e il loro carattere? e le inclinazioni politiche? la classe sociale? la formazione? sposati o singoli? la loro appartenenza etnica/culturale?

Concediti qualche attimo ma,senza troppo pensare,prendi nota delle cose che questi oggetti ti suggeriscono.

Adesso chiediti:incontrando le persone alle quali questi oggetti appartengono,la mia comunicazione con loro sarebbe libera da qualunque “pre-giudizio”? oppure il mio comportamento e il mio giudizio su di loro sarebbe in buona parte guidato dalle idee che me ne sono fatta? e che conseguenze avrebbe tutto ciò sul nostro rapporto?

Leggi quanto segue solo dopo avere fatto l’esercizio.

Qualunque sia stata la risposta,siamo convinti che gli oggetti ti abbiano immediatamente ed inevitabilmente suggerito un’opinione sulle persone in questione e che la relazione che si dovesse instaurare fra te e queste persone sarebbe fortemente condizionata da questi pre-giudizi. Il pregiudizio comunicativo interviene quando vengono attribuite delle caratteristiche psico-socio-culturali o socio-economiche a delle persone in base alla loro comunicazione.Si può basare su tutti gli elementi che una persona trasmette e che vengono utilizzati per accumulare velocemente informazioni sull’altro.Come tutti i pregiudizi esso ha dunque un valore positivo.Tuttavia dobbiamo stare molto attenti nell’attribuire un valore definitivo e assoluto a queste sensazioni e opinioni e dobbiamo essere pronti a sospendere il giudizio in attesa di conoscere veramente l’individuo che ci troveremo davanti.

suggerimenti per la formazione

Il linguaggio non è qualcosa di neutro, un mero strumento: attraverso il linguaggio noi selezioniamo la realtà e la apprendiamo. Esso, nell’uomo, è un punto di vista privilegiato per capire il mondo e per costruire “una” visione della realtà. Nell’ipotesi di due linguisti moderni (Sapir e Whorf) esiste una realtà oggettiva e una nostra realtà e quest’ultima è importante perché spesso noi ci muoviamo da una all’altra delle due, scoprendo che esistono dei limiti oggettivi nei nostri percorsi, che possono essere superati scivolando nell’altra e questo ci porta pericolosamente a non tenere conto di quanto avviene “fuori” di noi e da cui dobbiamo spesso difenderci e con cui dobbiamo spesso interagire. Così non dobbiamo credere che per un giapponese sia davvero impossibile distinguere tra verde e azzurro, perché così ci fa credere la sua lingua. Egli vede gli stessi colori che vediamo tutti, a meno che non sia daltonico, ma il suo interesse è attirato verso una divisione dello spettro diversa da quella di un italiano. I sensi attraverso i quali conosciamo il mondo sono quelli che sono ma diversa è l’attenzione che poniamo alle cose.

L’idea che ogni elemento di una cultura sia relativo unicamente a quella cultura può nascondere delle trappole. Un rappresentante di un gruppo sindacale, durante un seminario al quale partecipavano dodici mediatori linguistico-culturali, sosteneva che i diversi concetti del tempo di vari gruppi culturali rendeva questi gruppi inadatti a lavori con orari fissi. La conseguenza sarebbe dunque che si dovrebbero indirizzare immigrati non comunitari a lavori senza orari fissi, contrariamente a ciò che accade negli uffici e nelle fabbriche. I mediatori rispondevano che, nonostante possibili differenze concettuali, nei loro Paesi (che includevano Algeria, Camerun, Cina, Marocco, Nigeria, Perù, Repubblica Dominicana e Somalia) l’orario scolastico, di ufficio o di fabbrica, andava rispettato esattamente come in Italia. In questo caso una presunta diversità culturale rischiava di escludere molte persone da normali opportunità di lavoro.

Testimonianza di un formatore di una ONG

ESEMPIO

Prendiamo ad esempio il concetto del tempo. La misurazione del tempo determina una percezione della realtà attraverso tale misura. Nelle società capitalistiche, nate in ambiente calvinista, il tempo è denaro. Altrove il tempo è associato ad altri valori. Lo spagnolo, per il quale la componente culturale islamica non è insignificante, “perder tempo” lo esprime con ganar tiempo, cioè “guadagnare tempo”, per sé, per fermarsi a guardare nei propri spazi interiori. Dunque la valutazione del valore del tempo è soggettiva ed è indubbiamente culturale. Spesso la mentalità dei musulmani rifiuta il concetto di una democrazia basata sul consenso di una maggioranza perché nociva alla coesione di una comunità, dove le minoranze sarebbero scontente. Dunque, solo l’unanimità vale e questa si ottiene a prezzo di lunghe, estenuanti discussioni. Non economiche? Forse più durature. E le minoranze non esistono? Più facile per noi pensare che in quelle società non sono rispettate le minoranze, tacciando di immobilismo il mondo islamico antico dove invece hanno sempre trovato posto anche cristiani ed ebrei. Ma il calendario e l’orologio, almeno loro, sono realtà oggettive? Certamente no. Non solo la varietà di modi per calcolare il tempo è facilmente dimostrabile ma il tempo si misura a partire da date diverse. Per il musulmano il tempo che conta inizia con l’Egira del Profeta il 16 luglio del 622 dell’era cristiana. E se oggi siamo nel 1417 è perché il computo degli anni avviene sulla base dei cicli lunari, per cui ogni 32 anni solari il calendario islamico guadagna, grosso modo, un anno. Le ore del giorno, poi, sono diverse e tale diversità si basa su un fatto importante: l’osservazione diretta (astronomica) del tempo. Sebbene in molti Paesi oggi l’orologio funzioni come in Europa, in altri (e nel passato) il giorno comincia al tramonto. La notte di giovedì, dunque, è quella tra mercoledì e giovedì, in quanto giovedì termina al tramonto, di conseguenza, le tre europee sono in realtà le nove. Di più. L’orologio non serve, né i telescopi, per determinare i momenti importanti della vita. Gli arabi sono famosi per i loro studi astronomici e ancor oggi oltre duecento stelle sono ricordate con i nomi dati da astronomi arabi del passato. Eppure, per determinare l’inizio del ramadan, il mese del digiuno, non serve saperne calcolare la data, non serve saper usare un computer: l’inizio è determinato a vista. Occorrono due validi testimoni che annuncino al mondo di aver osservato in cielo il sorgere della nuova luna.

Quando un immigrato cinese rinnova il proprio permesso di soggiorno, se ci sono variazioni, è quasi certo che l’operatore di polizia farà qualche errore nella trascrizione dei documenti, come una scorretta ortografia del nome o lo stato civile errato. Questo perché la maggior parte dei cinesi non parlano bene l’italiano e non sono perciò in grado di fare rilevare immediatamente l’errore che apparirà evidente solo quando la persona in questione dovrà mostrare il permesso di soggiorno per ottenere altri documenti (con la possibilità che a quel punto l’errore abbia già prodotto conseguenze negative spesso di altissimo costo per l’immigrato). Ma anche quando la persona immigrata è in grado di segnalare immediatamente l’errore, per lo più i poliziotti non vogliono apportare la correzione e insistono per correggerlo alla successiva occasione di rinnovo del permesso di soggiorno. Questi errori sono dovuti a una certa pigrizia dell’operatore di polizia che non considera i tanti problemi che questa apparente banalità causerà all’immigrato. Altre volte gli errori sono in realtà delle valutazioni arbitrarie e soggettive da parte dell’operatore di polizia, come nel caso in cui un uomo cinese che vive in una stanza in affitto presso una donna cinese, al rinnovo del permesso di soggiorno si vede “attribuita” una moglie e si può bene immaginare a quale sequela di interminabili procedure burocratiche dovrà ottemperare quando vorrà aprire una pratica di ricongiungimento familiare con la sua vera moglie che si trova ancora in Cina.

Testimonianza di un rappresentante di gruppo etnico minoritario

per chi vuole approfondire

“Non si può non comunicare”,ha affermato uno dei più grandi studiosi della comunicazione della nostra epoca,Paul Watzlawick.Ogni individuo comunica in maniera molteplice e non può esimersi dal farlo in alcun modo.Basti pensare al viaggiatore che,seduto sul treno,spalanca il suo quotidiano e si tuffa nella lettura:non volendo comunicare non può esimersi tuttavia dal comunicare,e in modo forte e chiaro,che non vuole dialogare e preferisce leggere! Eppure questo processo,che può sembrare normale e quasi meccanico,è fonte di molti malintesi ed una delle esperienze che più spesso abbiamo nella vita è quella frustrante di fare in modo che ciò che esce dalle nostre labbra raggiunga l’orecchio dell’altro con il significato delle nostre intenzioni. Per misurare l’efficacia di una comunicazione non abbiamo altro strumento che il responso che se ne ottiene. Ma perché è così difficile comunicare con efficacia? Perché la comunicazione è il risultato

ESEMPIO

della combinazione di un processo di acquisizione di regole che comincia quando nasciamo e di una serie complessa di calcoli che apprendiamo nel corso della vita.Di tutto ciò siamo solo in parte consapevoli.Infatti,a meno di non essere degli esperti di comunicazione,difficilmente saremo consapevoli in ogni momento che quando comunichiamo usiamo spesso tre linguaggi diversi,o meglio,tre livelli di comunicazione:il livello verbale, paraverbale e non verbale. L’elemento verbale è legato alle parole,dunque al linguaggio,che esprime il contenuto della comunicazione:“cosa”stiamo comunicando. Gli altri due elementi invece sono legati al “come”comunichiamo.Gli elementi paraverbali sono il tono,il volume,il ritmo e il timbro della voce.Gli elementi non verbali sono la gestualità,le espressioni del viso,l’abbigliamento,la gestione dello spazio.Ciò cui si presta più attenzione nella comunicazione solitamente è il linguaggio verbale (cioè le parole che si scelgono) e si tende a trascurare,almeno coscientemente,gli altri due aspetti.Ciò è curioso poiché alcune ricerche (Mehrabian) sembrano dimostrare che,mediamente,in una comunicazione il peso della parte verbale è attorno al 7%,il peso della parte paraverbale è del 38% e il rimanente 55% è comunicazione non verbale. Ma perché usiamo il linguaggio non verbale e paraverbale? Perché le parole non bastano? Perché non tutto si può esprimere con le parole in modo adeguato.Lo usiamo così per completare il messaggio (per esempio usando l’abbigliamento come un ulteriore modo per inviare informazioni),per rafforzarlo (la gestualità),a volte lo usiamo al posto del contenuto (pensate a un eloquente,ancorché silenziosa,alzata di sopracciglia) o per comunicare uno stato emotivo (con la voce,il volto,i movimenti del corpo) o gli atteggiamenti che si hanno nei confronti degli altri (con la vicinanza fisica e lo sguardo). Gli elementi non verbali e paraverbali sono così potenti che,nel caso di un conflitto tra la comunicazione verbale e quella paraverbale e non verbale,quest’ultima prevale.In altre parole:il “come”lo dico prevale sul “cosa”dico.Pensate ad esempio,in quanti modi è possibile proferire la parola “bravo”, veicolando di volta in volta sincera approvazione o disappunto o addirittura il significato opposto!

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