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5.1 – I gruppi di contatto

> Non confondere gli stereotipi con altre forme di generalizzazione. Tutte le scienze – e anche le procedure d’indagine – poggiano sul principio della generalizzazione ma alla condizione di mettere alla prova le ipotesi così formulate. Gli stereotipi, come si è visto, hanno la particolare caratteristica di non essere soggetti alla disconferma, tanto che, se la realtà non corrisponde allo stereotipo, quasi sempre si dice che quell’esempio rappresenta un’eccezione e non può che confermare lo stereotipo stesso. Procedere per “ipotesi di lavoro” può essere la metodologia corretta: esse possono corrispondere o no ad uno stereotipo (per es., gli svizzeri sono ricchi perciò questo svizzero è ricco) ma richiedono però la verifica della loro fondatezza.

Qualche anno fa, nell’ambito di un progetto denominato PAVEMENT, si realizzarono una serie d’incontri a intervalli regolari tra operatori di Polizia di Stato e Polizie Municipali di Modena, Bologna e Torino, e gruppi di persone immigrate come complemento alla formazione in aula alle forze di polizia. Il gruppo di contatto aveva lo scopo di avviare il dialogo fra i cittadini immigrati e le Polizie di Stato e Municipali su un periodo di tempo sufficientemente lungo a sviluppare una reciproca conoscenza delle attività, delle esigenze e bisogni, degli atteggiamenti, credenze, modi di vita e ruoli professionali degli operatori di polizia e dei cittadini di etnia minoritaria, e di concetti quali sicurezza, ordine pubblico, legalità, discriminazione, diritti. Aderendo al programma, le due parti coinvolte si impegnavano a sostenere un dialogo continuo in modo che il gruppo di contatto potesse continuare, anche dopo il termine del progetto, come luogo fisso di dialogo e consultazione. Le persone di etnia minoritaria erano scelte dalle associazioni dei cittadini non comunitari o dall’Ufficio Immigrazione del Comune, mentre gli operatori di polizia erano volontari tra coloro formati nel corso che partecipavano alle riunioni nelle ore di servizio. Dietro questa scelta dei gruppi di contatto esistono riflessioni che riportiamo, anche se parzialmente, perché ne mettono in evidenza vantaggi e limiti.

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Sembra essere un fatto che l’assoluta maggioranza dei poliziotti ha contatti diretti soprattutto con immigrati che delinquono o che essi suppongono abbiano adottato comportamenti devianti12 e sarebbe eticamente grave se una formazione rivolta agli operatori di polizia ignorasse questo fatto. Tale squilibrio di conoscenze che, a differenza del contatto con i gruppi sociali di etnia maggioritaria, non viene compensato da altre e più approfondite conoscenze, sia nella vita professionale che sociale, con colleghi, parenti, appartenenti ad associazioni, ecc., contribuisce ad una visione parziale e deforme della società e particolarmente dei cittadini immigrati e/o di etnia minoritaria, spesso visti come categoria e non come individui. Poiché per la polizia è essenziale avere un quadro il più veritiero possibile dei reali bisogni dei cittadini e promuovere relazioni positive e costruttive con i vari gruppi che costituiscono una società, è indispensabile che essa abbia un feedback dai diversi settori della comunità sull’efficacia e la rilevanza delle proprie politiche e dei propri programmi (come di fatto già avviene per alcune categorie di cittadini). Dobbiamo segnalare che la posizione assunta dal progetto non era unanimemente condivisa e le ragioni che, secondo alcuni, motivano la creazione di gruppi di contatto erano contestate. Costoro pensavano infatti che, se i poliziotti ritengono di conoscere solo gli italiani che delinquono, ciò non è certo perché essi hanno contatti diretti con la totalità degli italiani. Se per natura del proprio lavoro gli operatori di polizia conoscono più delinquenti che onesti cittadini, ciò dovrebbe essere vero sia per l’un gruppo che per l’altro. Sembra così di potere affermare che con gli italiani funzioni la presunzione di onestà mentre con gli immigrati ci si avvicina molto alla situazione del tipo “non sei onesto fino a quando non dimostri di esserlo” e ciò proverebbe ancor di più che il “conoscersi per rispettarsi”, in tema di rapporti interculturali può generare grosse e inaccettabili confusioni. In ogni caso, qualunque fosse la posizione adottata dai singoli consulenti del progetto a questo riguardo, era opinione condivisa che una conoscenza distorta da parte della polizia sui cittadini immigrati e di etnia minoritaria, unita a presunzioni di onestà o disonestà applicate a categorie di cittadini, producono un rapporto malsano da combattere. D’altra parte, nei gruppi di contatto anche le persone di etnia minoritaria possono vedere un interesse diretto nel sentirsi considerati “cittadini”, con il diritto di esprimersi e di essere ascoltati e di potere parlare “alla pari” con rappresentanti delle istituzioni con i quali, di norma, il rapporto è forse particolarmente conflittuale per le ragioni già più volte espresse.

Il concetto di gruppo di contatto usato nel progetto non si riduceva ad un’occasione di conoscenza. Infatti, come è provato da diversi studi di psicologia sociale, questi incontri, se non accuratamente preparati e gestiti, non hanno molte speranze di superare i soliti rapporti stereotipati frequenti nei contatti sociali in altri contesti. Un’adeguata preparazione e gestione dei gruppi di contatto deve comprendere almeno i punti seguenti: 1) i partecipanti di origine etnica minoritaria devono essere scelti tra persone che hanno una buona conoscenza dell’italiano, note per la loro capacità di dialogo e per l’abilità nell’essere assertivi senza incorrere in atteggiamenti che possano portare ad uno scontro. Gli uffici comunali, le associazioni degli stranieri e di lotta alla discriminazione possono fornire un valido aiuto nell’individuazione delle persone più adatte; 2) tutti i partecipanti – persone di origine etnica minoritaria e poliziotti - vanno bene informati degli scopi degli incontri e questo prima che gli incontri comincino; 3) gli incontri devono essere gestiti possibilmente da due facilitatori provenienti dai due gruppi rappresentati; 4) all’inizio degli incontri si deve stabilire un accordo fra i componenti del gruppo sugli obiettivi e le modalità di lavoro, in modo da garantire un’autogestione molto più proficua di quella che ci si potrebbe attendere da un gruppo spontaneo. In appendice C abbiamo riportato le riflessioni metodologiche frutto del lavoro svolto nelle tre città del progetto PAVEMENT, sperando che possano essere utili anche a voi. A ciò possiamo aggiungere quanto segnalato nelle considerazioni di un piccolo gruppo di polizia relative alla Dichiarazione di Rotterdam: “La Polizia di Stato inserisce tra le necessità della formazione anche quella dell’apprendimento delle lingue straniere più diffuse, necessaria onde permettere al personale la comprensione delle esigenze di un’utenza che non parla o mal comprende la nostra lingua, e l’opportunità di soggiorni all’estero per perfezionare la conoscenza linguistica. Il documento inoltre sottolinea l’opportunità di integrare i seminari di conoscenza sulle culture straniere con stages, tenuti da sociologi e psicologi, “incentrati sull’individuazione degli elementi e delle cause di comportamenti a carattere razzista”.

ESEMPIO

ESEMPIO

Ad Osmannoro, l’area industriale di Sesto Fiorentino, vivono e lavorano più di duecento cinesi in piccole unità produttive e sono presenti più di un migliaio di cinesi come lavoratori. Quest’area è sempre un punto “caldo” per i controlli delle forze dell’ordine. Un giorno una macchina della polizia con due operatori a bordo, fermatasi all’ingresso di un laboratorio, avendo intravisto qualcuno fuggire dal retro, cominciò ad interrogare il proprietario. Poiché questi non rispondeva alle domande (probabilmente il suo italiano non era così buono da permettergli di rispondere o, forse, era spaventato per via di qualche lavoratore irregolare), uno degli intervenuti cominciò ad alterarsi e ad apostrofarlo in malo modo pensando che il silenzio esprimesse una mancanza di volontà nel collaborare. Quando la persona in questione mi raccontò l’accaduto gli chiesi se voleva segnalare l’episodio alla Polizia ma la risposta fu negativa per timore di ritorsioni. Ogniqualvolta, inoltre, arriva nel quartiere una macchina delle Forze dell’Ordine, i bambini cinesi che giocano nella strada corrono impauriti dai genitori. Mi chiedo cosa sono per questi bambini i poliziotti, che immagine hanno degli operatori di polizia e quale effetto avrà sulla loro vita da adulti l’essere cresciuti in questa atmosfera.

Testimonianza di un rappresentante di gruppo etnico minoritario

Un operatore della guardia di finanza entrò un giorno in una fabbrica cinese e trovò che c’erano alcuni lavoratori irregolari. Sembravano molto giovani e il proprietario fu subito accusato di impiegare forza lavoro minorile, oltre che irregolare. In realtà i ragazzi erano tutti maggiorenni ma i cinesi sembrano sempre più giovani della loro età! Il proprietario spiegò che non si trattava di minorenni ma il finanziere non prestò alcuna attenzione. Il cinese disse anche che i ragazzi lavoravano soltanto da poche settimane ma l’operatore di polizia registrò che i ragazzi lavoravano in quella fabbrica da più di un anno. Agli occhi di molti operatori di polizia la ricchezza dei proprietari di imprese cinesi è il risultato dell’impiego sistematico di forza lavoro irregolare, persone che, secondo loro, sono trattati come schiavi ed è grazie a questo sfruttamento che alcuni cinesi possono ostentare ottime auto, orologi costosi e cellulari dell’ultima generazione. Di fatto molti cinesi, non appena hanno guadagnato qualche denaro, amano mostrare il proprio benessere attraverso appunto l’ostentazione di status symbol, come d’altronde succede in molti gruppi umani, non esclusi gli italiani. È spesso un modo di fare che importano direttamente dalla loro zona di provenienza, specie se un’area rurale. Bisogna invece sapere che molte fabbrichette sono a conduzione familiare, dove il proprietario lavora le stesse lunghe ore dei suoi impiegati e mangia e dorme negli stessi luoghi e con gli stessi ritmi. È spesso attraverso questo lavoro pesante che essi accrescono il proprio benessere e non sempre attraverso lo sfruttamento sistematico di altri.

Testimonianza di un rappresentante di gruppo etnico minoritario

note

1 Mantovani G., L’elefante invisibile. Tra negazione e affermazione delle diversità: scontri e incontri multiculturali, Giunti, Firenze, 1998. 2 Hofstede G., Culture and Organization: Software of the Mind, McGraw-Hill, 1991. 3 Hofstede G., op. cit., Preface to the revised edition, pag XII, traduzione a cura dell’autrice. 4 Un esempio che dimostra le difficoltà a definire un “gruppo razziale” viene da una sentenza della Camera dei Lord britannica (che potremmo equiparare alla Corte di

Cassazione in Italia), emessa nel 1983 in relazione ad un caso di discriminazione razziale.

La corte stabilì una lista di criteri per definire un “gruppo razziale”: una storia lunga e condivisa, una propria tradizione culturale, un’origine geografica comune o una discendenza da un numero limitato e comune di antenati, una lingua comune, una letteratura comune, una religione comune, costituire una minoranza o una maggioranza in una comunità più ampia. Si diceva anche nella sentenza che una persona doveva essere considerata membro di un “gruppo razziale” se ella stessa si ritenesse parte di quel gruppo e da quel gruppo fosse accettata come tale. Nonostante l’apparente precisione della definizione, si noti che i criteri usati sono soprattutto criteri culturali e sono gli stessi che vengono usati per definire un “gruppo etnico”. 5 Per chi ha responsabilità di assicurare che il personale di polizia non subisca l’influenza fuorviante di stereotipi e pregiudizi, può essere utile notare che gli stereotipi di solito costituiscono la controparte sociale dei pregiudizi i quali tendono ad essere più personali. Contrastare gli effetti dei pregiudizi, quindi, richiede attenzione soprattutto agli individui più che al gruppo. L’effetto dello stereotipo tende invece a propagarsi a livello sociale, con effetti probabilmente più ampi, attraverso i media e nella cultura dell’organizzazione, nel linguaggio e nel gergo usato. In questo caso, occorre perciò attenzione al livello del gruppo piuttosto che a livello individuale. 6 Mantovani G., op. cit., p. 37. 7 Fabietti U., L’identità etnica, Carocci, Roma, 1998. 8 Sciolla L. (a cura di), Identità. Percorsi di analisi in sociologia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1983. 9 Tuning in to Diversity. Immigranti e minoranze etniche nei media, Roma, CENSIS, 2002. 10 Racism and cultural diversity in the mass media. An overview of research and examples of good practice in the EU Mamber States, EUMC, 2000. 11 “Il mainstreaming ha lo scopo di integrare la lotta contro il razzismo come un obiettivo in tutte le azioni di una comunità e nelle politiche a qualunque livello (…). Per questo, si devono usare azioni generali e politiche per combattere il razzismo prendendo in considerazione attivamente, e in modo che sia visibile a tutti, l’impatto che queste azioni e politiche avranno nella lotta contro il razzismo, sin dal momento in cui esse sono pensate”. Da Realizzazione del piano d’azione contro il razzismo – mainstreaming la lotta contro il razzismo, rapporto della Commissione Europea. 12 Opinione condivisa da quasi tutti i progetti nazionali NAPAP e riportata anche da Robin

Oakley in Note da sottoporre per l’indagine sull’omicidio di Stephen Lawrence, documento non pubblicato.

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