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2.1 – Che cosa si intende per cultura

tamento di persone secondo se sono maschi o femmine, bambini o adolescenti, di mezza età o anziani, secondo il loro ceto sociale, le origini regionali, se sono cristiani o ebrei e tanti altri fattori. Senza questa comprensione di base, l’intelligence che possiamo raccogliere per prevenire o indagare reati serve a poco. È in questo senso che parliamo di rapporti fra culture o gruppi etnici ed è chiaro che i problemi sono reciproci. Persone che provengono da zone dove la polizia è, o è percepita come, completamente inaffidabile o semplicemente il braccio armato di un regime dittatoriale, possono avere difficoltà a fidarsi di voi, così come potrebbero anche non fidarsi di voi perché sono costantemente oggetto di controlli da parte vostra (su questo argomento si veda il capitolo 2). Quindi, una sfida per la polizia oggi è di trovare modi di valutare i rapporti esistenti fra la polizia e tutti i gruppi nel territorio e di fare in modo che essi continuino in maniera positiva e soddisfacente o vengano migliorati dove necessario.

Sebbene ogni individuo sia unico, dobbiamo riconoscere che i suoi valori e le sue azioni sono molto legati alle aspettative e alle norme prevalenti nella società in cui vive. In una definizione semplice, possiamo dire che la cultura consiste dell’insieme dei valori degli appartenenti ad un determinato gruppo, delle norme che essi seguono e dei beni materiali che essi producono, è insomma l’insieme dei valori e dei sistemi di comportamento che permettono a quel gruppo di persone di attribuire senso al mondo. La lingua che si parla è un elemento importante di una cultura ed i diversi linguaggi sono spesso rivelatori di idee e concetti di una cultura, compresi quelli che tendono a perpetuare e rafforzare la disparità e lo svantaggio. La cultura e il linguaggio che la esprime fanno da sfondo ad ogni accadimento della vita e producono pensieri e azioni che sono date per scontate e diventano routine da non mettere in discussione. Spesso possono quindi avere l’effetto di veicolare idee e concetti che vanno al di là di ciò che veramente si intende, anche nell’inconsapevolezza dello stesso autore. È anche a livello culturale, oltre che individuale e sociale, che gruppi e individui possono essere esclusi ed emarginati nella creazione di un “noi”

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e di un “loro”. È chiaro che il senso di appartenenza, il dare per scontate una serie di cose, ha anche un aspetto positivo, quello di sentirsi sicuri e integrati e di avere radici e ci permette di affrontare il quotidiano senza dovere mettere in dubbio qualsiasi cosa facciamo, è insomma uno strumento necessario per non avere un corto circuito informativo. Molte persone sono orgogliose della propria cultura perché essa esprime ciò a cui danno valore, cosa sono e cosa vogliono essere ma il pericolo, sempre in agguato, nel quale si rischia di incorrere, è l’etnocentrismo, cioè la tendenza a vedere il mondo attraverso i limitati confini della propria cultura e a proiettare su altri gruppi il proprio insieme di valori e norme. L’etnocentrismo offre il maggiore contributo al razzismo perché: > non riconosce le differenze culturali e la loro importanza per le persone coinvolte; > si basa sull’erronea premessa che ci sono culture superiori alle altre. L’etnocentrismo si traduce spesso nella riduzione di un’altra cultura a pochi, stereotipati, elementi: gli albanesi sono violenti, i cinesi sono furbi, gli italiani sono brava gente. Eppure, appena ci accorgiamo dell’enorme complessità di ogni cultura umana, appare immediatamente ridicolo operare questa generalizzazione e stilare una gerarchia delle culture, così come è insensato fare una gerarchia del cibo, della famiglia, del lavoro. Si tratta in tutti i casi di concetti così ricchi, così complessi e così difficilmente comprensibili, se non inquadrati nel contesto ampio e ancor più complesso della cultura che li produce, che paragonarli l’uno con l’altro non ha senso. Questo non significa che tutto è “relativo”, che non possiamo più dire “io credo che provocare dolore inutilmente sia cattivo” o “io credo che aiutare il prossimo sia una cosa buona”. Questi giudizi però vanno riferiti ciascuno ad un elemento particolare di una cultura e non ad una cultura nel suo complesso. Si può quindi criticare come vengano trattate le donne in una certa cultura e, al tempo stesso, ammirare il sistema giuridico di risoluzione dei conflitti di quella stessa cultura. L’incontro con le altre culture è un momento di arricchimento perché ci offre la possibilità di estendere i confini dell’identità personale e sociale. Tuttavia, quell’incontro può anche disorientare, mettendoci a confronto con mondi così diversi che addirittura certe cose possono apparire per noi moralmente ripugnanti mentre sono un gesto splendido per un’altra cultura. Per esempio, come ci racconta efficacemente Mantovani1, nono-

stante la pratica sia oggi bandita, nell’87 ci raggiunse la notizia di un episodio di suttee in India: una studentessa si immolò sulla pira dove bruciava il cadavere del suo sposo, così come avevano fatto la gran parte delle vedove indù prima di lei. A noi ciò può sembrare ripugnante e immorale ma per molte delle persone che appartengono a quella cultura quell’atto, non solo è dotato di senso, ma è addirittura “santo”, perché nella concezione indù la morte non è la fine della vita ma l’inizio di qualcos’altro. Come comportarci dunque di fronte a queste sconcertanti differenze? La risposta non è facile, però è d’aiuto sapere che queste differenze esistono, essere preparati ad un incontro che può essere anche molto disorientante, non abdicare a principi che riteniamo imprescindibili (per esempio quelli che fanno riferimento ai diritti umani) e nel contempo non respingere nella “incultura” o inciviltà, nella barbarie, ciò che è “semplicemente” diverso. D’altra parte, per tenere alta la guardia su questo fenomeno, possiamo sottolinearne l’universalità. È vero infatti che certe culture sono più aggressive di altre ma è altrettanto vero che nessuna cultura è esente dal produrre pregiudizi. Non sono pochi i popoli che dividono l’umanità in due: gli Uomini, cioè se stessi, e gli altri, qualunque cosa ciò significhi e qualunque effetto possa determinare nei rapporti con essi. Per molto tempo gli europei hanno pensato che esistesse un’unica storia lineare del progresso umano e che in essa le culture dovessero essere collocate in un continuum che, partendo da forme più arretrate e “primitive”, salissero fino alla cultura per eccellenza, quella occidentale moderna. Questa concezione è ora respinta da tutte le discipline sociali, prima fra tutte l’antropologia. Senza lanciarci in disquisizioni teoriche complesse, appare evidente che ogni cultura ha dei problemi nel sistema di valori cui si ispira e difficilmente si potrà trovare una cultura che sia migliore, più giusta o anche solo più razionale di un’altra: non è forse nostra la prerogativa di avere schiavizzato e deportato milioni di neri dall’Africa o di avere ucciso la quasi totalità degli indios delle Americhe, o, ancor più recente, l’uccisione di milioni di ebrei, zingari, persone omosessuali e dissidenti politici? E non siamo forse noi gli stessi che affittiamo le camere ad affitti indecenti agli immigrati, che siamo i clienti delle prostitute nigeriane e albanesi e quelli che offrono i documenti necessari ad ottenere il soggiorno solo dietro il pagamento di una mazzetta?

Ti invitiamo a riflettere sul concetto di cultura e a tentarne una definizione:

La cultura è

Fatto? È stato semplice?

È cosa complessa cercare di capire le culture,compresa la propria;significa prendere in considerazione molti aspetti della vita,alcuni dei quali sono meglio visibili,mentre per altri bisogna indagare a fondo.Ti proponiamo di seguito una lista di elementi che contribuiscono a definire una cultura e ti invitiamo a cercare di rispondere pensando alla cultura alla quale senti di appartenere (per esempio,italiana o italiana del Nord,o altro):

> Cosa è bene e cosa è male secondo la cultura alla quale senti di appartenere? > Qual è la struttura familiare? > Come sono le relazioni tra uomini e donne? > Come sono percepiti spazio e tempo? > Quali tradizioni sono importanti? > Quali lingue si parlano? > Quali norme e consuetudini regolano il consumo di cibo e bevande? > Come circola l’informazione? > Chi ha il potere e come lo ottiene? > Come si reagisce alle altre culture? > Cosa è ritenuto spiritoso e buffo? > Che parte ha il gioco? > Che ruolo gioca la religione?

La lista si può allungare.Hai in mente elementi che si potrebbero aggiungere?

Alcune risposte potrebbero sembrare ovvie ma non lo sono perché cambia-

suggerimenti per la formazione

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no secondo i tempi e i luoghi e anche rispetto a sottogruppi di appartenenza:pensiamo ad esempio a chi è italiano e di religione valdese,o di lingua ladina.Che dire poi delle opinioni politiche che in ognuno di noi possono segnare differenze anche molto marcate nei comportamenti e nell’indicare in modo inequivocabile la nostra appartenenza ad una cultura,al punto che si parla anche di “sub-culture”per indicare le differenze che segnano gruppi diversi all’interno di una stessa matrice culturale.Per esempio la sub-cultura giovanile e ancora,al suo interno,potremmo distinguere i diversi segmenti dei neo-punk e dei giovani in carriera che indicano addirittura stili di vita diversissimi e quasi opposti! Siamo convinti che, nel complesso, non sia stato facile rispondere alle domande, sebbene ti avessimo proposto di applicarle alla cultura nella quale meglio ti riconosci. Aggiungiamo a questa lista un’altra domanda alla quale ci sembra interessante rispondere:a quale aspetti o elementi della tua cultura di appartenenza sei disposto a rinunciare? Dopo avere cercato di rispondere alle domande alle quali anche tu hai cercato di rispondere abbiamo fatto le seguenti osservazioni che proponiamo alla tua valutazione: • la cultura italiana è ricca e complessa,tanto che possiamo individuare diverse culture “regionali”o di porzioni ancora più limitate. Non esiste dunque “una cultura italiana”e tantomeno ne esiste “una”immobile nel tempo; • non è sempre facile riconoscere la propria identità culturale né le proprie origini o ‘retroterra’culturale o etnici; • non è possibile conoscere tutto della cultura italiana; • nessuno incorpora o esprime tutta la cultura italiana ma solo una parte; • nessun individuo può rappresentare la cultura italiana.

Quindi:

• possiamo supporre che ogni cultura sia ricca e complessa e mutevole nel corso del tempo; • una cultura è più grande dell’identità culturale di qualsiasi individuo; • l’identità etnica e culturale di una singola persona non rappresenta la totalità di un’etnia o cultura; • non importa quanto sai di un’etnia o di una cultura,la persona che ti trovi davanti non è una cultura,non rappresenta una cultura e non è “tipica”di una cultura,è un individuo. <>

per chi vuole approfondire

Cosa sia una cultura è tema dibattuto e controverso,per lo più studiato in campo antropologico,tanto da fare dire ad alcuni autori (Clifford) che il concetto di cultura è “un imbarazzo”,“un impiccio”per le sue incongruenze e per lo scarso potere di essere un elemento di riferimento sia sul piano empirico che teorico. È solo alla fine del Settecento che il termine cultura viene usato in riferimento a popoli e nazioni e non più solo come attributo dell’individuo “colto”.Si deve ad Edward Tylor una prima,fortunata,definizione di cultura:

«La cultura,o civiltà,intesa nel suo ampio senso etnografico,è quell’insieme complesso che include la conoscenza,le credenze,l’arte,la morale,il diritto,il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società».(Tylor,1871)

Franz Boas,un altro padre fondatore della moderna antropologia culturale,fondava le proprie ricerche sull’assunto che una cultura è data dall’esistenza di una storia comune ad un gruppo e di una lingua nella quale si esprime la cultura in questione.Nell’accezione di Boas,e di tutta l’antropologia moderna,le culture non esistono in una gerarchia ma sono pari tra loro,anche se stereotipi,pregiudizi e oppressioni sono lì a dimostrare che esistono dei rapporti di forza tra gruppi diversi. Oggi si tende a vedere la cultura come il risultato di un accordo tra individui che “negoziano”un certo significato.Ne segue che la cultura non è definita una volta per tutte ma è qualcosa che scaturisce da un’interazione e da un accordo tra soggetti comunicanti e, dunque,in continuo movimento. C’è poi chi (Mantovani) vede la cultura come un insieme di mappe che ci sono fornite e per mezzo delle quali esploriamo la realtà.Quando ci avventuriamo in terre sconosciute non possiamo fare a meno delle mappe ma dobbiamo anche sapere che,per quanto accurate,esse non esauriscono il territorio e ogni individuo dovrà trovare un proprio modo di orientarsi una volta trovati i capisaldi forniti dalla mappa.Inoltre,le persone usano le loro mappe più o meno lacunose per orientarsi rispetto ai propri obiettivi e per questo ognuno arricchisce di dettagli importanti la sua mappa che può dunque differire anche notevolmente dalla mappa di uno stesso territorio perfezionata da un’altra persona. Si è però anche affermata in un passato recente l’idea di cultura come qualcosa di analogo ai programmi del computer e c’è chi ha definito la cultura come “il software della mente” 2 . Secondo Hofstede,ogni persona ha un software mentale,costituito da una serie di file di sistema.È la cultura che definisce la programmazione mentale collettiva che distingue i membri di un gruppo o categoria da quelli di un altro gruppo o categoria.Nonostante i continui e sempre più rapidi cambiamenti in tutte le società del mondo globalizzato,

«tutte le società umane hanno in comune alcuni problemi di base che sono sempre esistiti e che continueranno ad esistere.Sono i problemi di (in)uguaglianza,della solidarietà di gruppo,del ruolo dei generi,del futuro incerto e del bisogno di gratificazioni.Nel corso dei millenni le diverse società hanno sviluppato le proprie soluzioni a questi problemi e le hanno trasmesse alle generazioni successive.Per coloro che appartengono ad una società le proprie soluzioni appaiono naturali,razionali e moralmente giuste,ma da una società all’altra le soluzioni sono diverse e per ragioni che non appaiono sempre ovvie.Questo è l’ambito dei valori fondanti che costituiscono l’elemento centrale delle culture nazionali e si scopre ciò solo quando si entra in contatto con un’altra cultura».3

Questa visione è però giudicata insoddisfacente da alcuni perché considera la cultura come qualcosa che rende tutto uniforme e non rende possibile la comprensione della grande variabilità di credenze,convinzioni e comportamenti anche tra persone appartenenti ad una stessa cultura.Inoltre essa sembra sottostimare il fatto che le culture si incontrano in continuazione e si scambiano idee,oggetti,persone e che tutte le culture sono il prodotto di interazioni,di scambi,di influssi provenienti da altrove:non esiste dunque una cultura “pura”.

ogni società è profondamente influenzata

Ogni società è profondamente influenzata da ogni altra ed è il risultato di dinamiche che si sviluppano al proprio interno e di influenze indotte dalla presenza di altre culture che ogni società assorbe e rielabora secondo le proprie premesse culturali e le proprie strutture sociali. Di ciò dà conto il brano che riportiamo,citato in L’identità etnica (Fabietti,1998) da Studio dell’Uomo, un trattato di antropologia pubblicato nel 1936 da Ralph Linton:

“Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente ma che venne poi modificato nel Nord Europa prima di essere importato in America. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone,pianta originaria del vicino Oriente;o di lana di pecora,animale originariamente addomesticato nel vicino Oriente;o di seta,il cui uso fu scoperto in Cina.Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente.Si infila i mocassini,inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est,e va nel bagno,i cui accessori sono un misto di invenzioni europee ed americane,entrambe di data recente.Si leva il pigiama,indumento inventato in India,e si lava con il sapone,inventato dalle antiche popolazioni galliche.Poi si fa la barba,rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani (…). Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale,pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia.Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture:il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina;il suo coltello è d’acciaio,lega fatta per la prima volta nell’India del Sud,la sua forchetta ha origini medievali italiane,il cucchiaio è un derivato dell’originale romano (…). Quando il nostro amico ha finito di mangiare si appoggia alla spalliera della sedia e fuma,secondo un’abitudine degli indiani d’America (…). Mentre fuma legge le notizie del giorno,stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti,su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania.Mentre legge i resoconti dei problemi che s’agitano all’estero,se è un buon cittadino conservatore,con un linguaggio indoeuropeo,ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano.”

Fabietti U.,L’identità etnica,Carrocci Editore,Roma,1998.pag 22/23

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