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2.1 – La vittimizzazione degli immigrati

cittadini italiani; inoltre, a parità di pena inflitta, gli stranieri godono in misura minore delle misure alternative al carcere e delle pene sostitutive rispetto agli autoctoni; infine, sarebbero presenti svantaggi oggettivi anche nella gestione dei riti processuali abbreviati, nonché nell’istituto del patrocinio gratuito (o “d’ufficio”) per gli imputati stranieri. Infine una delle posizioni più radicali, fra quelle attualmente esistenti nel panorama italiano, è quella del sociologo Alessandro Dal Lago. Egli sostiene che gli immigrati, lungi dall’essere colpevoli di una propensione a delinquere maggiore rispetto a quella dei cittadini italiani, sono in realtà vittime di un complesso processo di costruzione sociale che tende, attraverso l’operato congiunto dei mezzi di controllo sociale formale (sistema politico, forze dell’ordine, sistema giudiziario) ed informale (mass-media, opinione pubblica, rappresentanti del mondo intellettuale) ad individuare nell’immigrato il “nemico pubblico numero uno” dell’attuale società italiana. I pregiudizi ed i luoghi comuni esistenti in larghi settori della società italiana e la diffusa percezione d’insicurezza ad essi collegata avrebbero innescato un perverso meccanismo circolare attraverso il quale vengono legittimati gli interventi di carattere repressivo e normativo nei confronti dei migranti (in particolare di quelli irregolari, considerati alla stregua di “non-persone”) e la loro progressiva esclusione dalla nostra società. Secondo questa teoria, quindi, la criminalità stessa degli immigrati sarebbe diventata l’esito finale di tale processo di costruzione sociale, perché funzionale a tale logica di esclusione. Per concludere questa rassegna di studi criminologici condotti in Italia sul rapporto fra criminalità ed immigrazione, possiamo segnalare un paio di studi che si sono posti, per così dire, in una posizione intermedia fra gli approcci presentati in precedenza: le ricerche effettuate da Dario Melossi si sono soffermate, ad esempio, sul ruolo che la devianza degli stranieri ricoprirebbe all’interno della nostra società. Riprendendo le tesi del sociologo nordamericano Kai Erikson (secondo il quale la discussione pubblica di casi famosi ed esemplari di devianza è un modo attraverso il quale una società ridefinisce collettivamente i confini della propria morale e di ciò che è lecito ed illecito), secondo Melossi la questione della criminalità degli immigrati ha assunto una sorta di “funzione specchio” delle disfunzioni e dei comportamenti illeciti già esistenti nel nostro Paese. Attraverso l’ostilità nei confronti degli immigrati e la loro demonizzazione, la popolazione italiana avrebbe in qualche modo rimosso o allontanato i sospetti

relativi alla nostra società ed ai codici morali esistenti al suo interno, addossando tali colpe su un bersaglio comodo ed agevolmente sacrificabile. La tesi, invece, di Vincenzo Ruggiero sulle cosiddette “economie sporche” equipara il ruolo degli immigrati all’interno dei settori criminali e delle economie illegali con quello ricoperto da tali soggetti all’interno dei mercati ufficiali del lavoro. Partendo da un’attenta analisi dei mercati attinenti allo spaccio di sostanze stupefacenti nelle città di Torino e Londra, Ruggiero sostiene che le economie sporche o illegali avrebbero dei criteri di reclutamento della forza lavoro simili a quelli dell’economia legale. Così come all’interno dell’economia legale, nei lavori indesiderati o pericolosi, i cittadini italiani tendono ad essere progressivamente rimpiazzati dagli immigrati, così anche nel mondo illegale le “figure professionali” più basse sarebbero coperte dai soggetti stranieri, cosa che varrebbe in particolare per lo spaccio di droga, per i furti d’appartamento e i furti d’auto. Questa tesi sostiene, pertanto, che non ci sarebbe una produzione aggiuntiva di criminalità da parte degli immigrati, ma semmai una progressiva sostituzione dei soggetti, all’interno di un mercato che risente, così come quelli legali, delle leggi della domanda e dell’offerta.

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Finora, parlando del rapporto fra criminalità ed immigrazione e delle statistiche ufficiali al riguardo, abbiamo sempre guardato alla nazionalità dell’autore del reato. Resta ora da analizzare l’altra faccia della medaglia, ossia la nazionalità di chi subisce quegli eventi criminosi, cioè le vittime. Nelle analisi e nelle cronache giornalistiche che parlano di criminalità, spesso i mass-media e gli esponenti del mondo politico tendono a mettere in risalto soprattutto i delitti commessi da stranieri a danno di cittadini italiani, interpretando tale fenomeno come minaccia per i beni e per l’integrità personale degli autoctoni. In questo modo essi danno per scontato almeno un paio di circostanze: la prima è che i cittadini italiani siano colpiti più frequentemente degli immigrati dai fenomeni delittuosi, ed in particolare da quelli commessi da questi ultimi; la seconda è che in Italia i reati vengano commessi prevalentemente con autore e vittima appartenenti a diversi gruppi nazionali (atti intergroup), anziché avvenire all’interno dello

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