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2016 Il referendum della discordia
from LA REPUBBLICA 2002
by Il Globo
A seguito dell’importante verdetto popolare l’allora premier, uscito rovinosamente sconfitto, diede le dimissioni, ma il capo dello Stato, Sergio Mattarella, non se la sentì di portare il Paese alle urne e nominò presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

Una valanga di ‘No’ contro una profonda riforma della Carta costituzionale
Se c’è stato in Italia un evento che più di tutti ha dato l’immagine del distacco tra classe dirigente, opinione pubblica e cittadini, questo è stato sicuramente il referendum del 2016, che ha visto la completa disfatta dei fautori della modifica della Costituzione e ha portato alla rovinosa caduta di colui che la maggior parte dei media italiani e stranieri aveva descritto come l’astro nascente della politica italiana: Matteo Renzi. la valanga di ‘No’ segnati sulla scheda dal 60% dei cittadini italiani a una riforma che stravolgeva profondamente i principi della Carta nata dalla Resistenza e indirizzava la Penisola verso una Repubblica di tipo presidenziale segnò non solo il crollo della parabola politica di Renzi ma fece anche capire in modo inequivocabile alla classe dirigente che per il popolo italiano la Costituzione non può essere stravolta per interessi politici di parte.
Il referendum del 2016, sul quale Renzi aveva puntato tutto il suo capitale politico dissipandolo in una notte, ha comunque molto diviso il paese durante il corso dell’anno e ha visto ampi strati, soprattutto dei media, ma anche della finanza e delle istituzioni europee, schierarsi attivamente a fianco del progetto politico del primo ministro italiano.
Un sostegno che però, secondo molti opinionisti, non ha davvero favorito Matteo Renzi e il Partito Democratico, che aveva completamente abbracciato la Riforma costituzionale. L’attiva campagna a favore del ‘Sì’ da parte di elementi di spicco del mondo finanziario - famosa quella di JP Morgan - e di esponenti di spicco della politica europea si scontrarono, infatti, con la diffidenza dei cittadini che ancora guardavano a queste realtà come a quelle che erano responsabili della Grande crisi finanziaria, o delle politiche di austerità che avevano messo in ginocchio il Paese.
In un certo senso, il voto referendario fu però anche lo specchio delle forti disuguaglianze e delle profonde divisioni vissute in Italia in quegli anni e che tuttora persistono non solo a livello geografico, con un Nord agganciato alla crescita economica e al benessere europeo e un Sud lasciato sempre più indietro, ma anche demografico, con fasce giovanili investite pesantemente dalla crisi e dalla disoccupazione e fasce più adulte invece meglio inserite nel tessuto economico, con periferie dove la vita si era fatta sempre più difficile e centri storici che vivono in una bolla che non rispecchia la realtà del resto del Paese.
Non a caso i No hanno trionfato in maniera schiacciante proprio al Sud e in particolare in Regioni come la Sardegna, la Sicilia e la campania, con numeri oltre il 70%, mentre nel centro Nord non è stato superiore al 50%, sebbene anche qui siano state solo tre le Regioni dove hanno prevalso i favorevoli: Emilia-Romagna, per un pugno di voti, e più nettamente Toscana e Trentino-Alto Adige. Tra le grandi città non ci fu partita a Roma, Napoli o Genova, dove i No hanno trionfato in maniera inequivocabile, mentre dalla parte del Sì, seppure di poco, risultarono Milano, Bologna e, con più margine, Firenze.
Secondo uno studio del voto dell’Istituto cattaneo, coloro che si sono opposti alla Riforma si sono concentrati soprattutto nelle periferie e nelle zone in difficoltà economica, in particolare nei comuni con alti tassi di disoccupazione e dove maggiore era il disagio sociale. Una simile situazione è stata sottolineata anche dalla suddivisione del voto in fasce di età. Tra gli under 34 il No ha prevalso con percentuale bulgara dell’81%, ma è stato ugualmente predominante al 67% tra i 35-54enni. Il Sì è stato invece predominante tra gli ultra 55enni, ma solo con il 53%, perché il restante 47%, che ha scelto il No, era probabilmente appartenente a quella categoria di pensionati anch’essa in forte difficoltà economica. un aspetto interessante è stato poi il risultato del voto, in controtendenza rispetto a quanto accaduto in Italia, espresso dai cittadini italiani residenti all’estero, dove la maggioranza ha abbracciato con più convinzione la proposta di riforma. In tutta la circoscrizione i Sì hanno prevalso con il 64,7%, mentre i No si sono fermati al 35%. Interessante il voto in Europa a riguardo, con i paesi occidentali nettamente schierati a favore della Riforma Renzi e quelli dell’Est dove invece ha prevalso il voto contrario. Anche nella ripartizione AAOA (Africa Asia Oceania Antartide) il Sì ha avuto la meglio, ma i No hanno raggiunto il risultato più alto che in tutte le altre ripartizioni - oltre il 40%. Quel dicembre, a seguito del referendum, l’allora premier Matteo Renzi, uscito rovinosamente sconfitto, diede le dimissioni, ma il capo dello Stato Sergio Mattarella non se la sentì di portare il Paese alle urne e nominò presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Renzi rimase comunque alla guida del Pd fino al 2018, quando alle elezioni politiche il suo partito venne sconfitto ottenendo il risultato elettorale peggiore dalla sua nascita.