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2007 A Perugia una sola certezza
from LA REPUBBLICA 2002
by Il Globo

Amanda Knox non potrà mai dimenticare il lungo processo per l’omicidio di Perugia: l’unica certezza purtroppo rimane la vittima Meredith Kercher “Tutto quello di più brutto che si può dire di una donna l’hanno riferito a me”

Con la scarcerazione a tutti gli effetti di Rudy Guede (era già dal 2020 in regime di semilibertà, svolgendo un lavoro di volontariato presso la Casa Circondariale Mammagialla di Viterbo) in dicembre dello scorso anno, si è chiuso definitivamente, sotto l’aspetto giudiziario, il caso dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher. Il magistrato di sorveglianza ha accettato, lo scorso novembre, la richiesta relativa allo sconto di pena formulata dalla difesa dell’ivoriano, condannato a 16 anni di reclusione per la dolorosissima vicenda dell’autunno del 2007. Il 34enne aveva già ottenuto mille e 100 giorni di sconto di pena che gli erano stati inflitti in abbreviato per omicidio, in concorso con ignoti, della giovane studentessa.
Poche settimane prima della scarcerazione di Guede, l’americana Amanda Knox, che fu condannata per quel delitto prima di essere assolta in via definitiva solo il 27 marzo del 2015, è ritornata in Italia e ha concesso un’intervista su quella misteriosa e tragica notte di quasi 15 anni fa, quando a Perugia si consumò un omicidio del quale, nonostante i processi, le condanne e le assoluzioni, non si sanno ancora tutti i particolari. L’ex studentessa, amica di Meredith, ha ripercorso davanti alle telecamere l’intera vicenda e il suo epilogo giudiziario. Sull’argomento, Knox non ha dubbi sulla colpevolezza dell’ivoriano: “Penso ci siano tutte le prove e tutti gli elementi per capire cosa sia successo quella notte e tutte portano a Guede. Non ci sono prove che ci collegano a quell’omicidio.


Nelle foto, Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Buon 76esimo anniversario della Festa della Repubblica a tutta la comunità Italiana dell’Australia
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La vittima Meredith Kercher e l’unico colpevole, l’ivoriano Rudy Guede
la giovane donna, che è ritornata a Seattle dopo la sua straordinaria esperienza che le ha fatto trascorrere quattro anni in carcere, ha affermato di aver ricevuto un trattamento estremamente negativo da parte dei media italiani: “Hanno inventato la persona più brutale del mondo. l’immagine di me era di una bugiarda, razzista, ossessionata dal sesso, che voleva male alla gente. tutto quello che di più brutto si può dire di una donna l’hanno riferito a me”. un ritratto che è stato abbinato a quello, tracciato sulle stesse linee dell’allora fidanzato Raffaele Sollecito (anche lui prima condannato e poi assolto) “così da convincere le persone della nostra colpevolezza”. l’assassinio di Meredith Kercher avvenne a perugia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 2007. le indagini e il processo sull’omicidio furono tra i più controversi della storia italiana, e come in molti altri casi di inchieste così mediaticamente seguite e apertamente commentate un po’ da tutti, crearono due fronti nell’opinione pubblica: i colpevolisti – la maggioranza – e gli innocentisti. la sera della sentenza d’appello, il 3 ottobre 2011, quando Knox e Sollecito furono assolti, fuori dal tribunale di perugia decine di studenti americani urlavano: “uSA, uSA”, a sostegno di Knox, mentre altri gridavano: “Vergogna, vergogna”.
Strano in questa misteriosa e incresciosa vicenda il ruolo, sempre di secondo piano, che ha avuto Rudy Guede che, all’epoca dell’assassinio aveva solo 20 anni, e che molti ancora oggi considerano solo il capo espiatorio di un cruento omicidio (Meredith fu uccisa con 47 coltellate). l’opinione pubblica italiana, per qualche strano motivo, non ha mai accettato completamente la sua colpevolezza (mai ammessa) anche se non ci sono dubbi sul fatto che le sue tracce genetiche furono le uniche trovate con certezza, e in abbondanza, nella stanza dove avvenne il delitto. Guede ha sempre ammesso di essere stato nella casa mentre veniva commesso l’omicidio. Ma ha raccontato che si trovava in bagno al momento dell’accoltellamento, dichiarandosi quindi innocente. È comunque l’unico che è stato condannato in via definitiva.
Meredith Kercher era una studentessa inglese che si trovava a perugia per il programma Erasmus. condivideva la casa con altre tre studentesse: un’americana arrivata in Italia poche settimane prima – Amanda Knox – e due italiane. fu uccisa a colpi di coltello. Mortale quella che la raggiunse al collo.
Il delitto fu scoperto in seguito al ritrovamento, da parte di una donna che abitava nelle vicinanze di quella casa in via della pergola, di due cellulari che aveva consegnato alla polizia: erano entrambi di Meredith Kercher. Gli agenti si recarono subito all’indirizzo della studentessa e trovarono Amanda Knox e Raffaele Sollecito seduti su una staccionata mentre aspettavano i carabinieri, che avevano da poco chiamato perché “tornando dalla casa di lui” avevano trovato un vetro rotto e la porta aperta. per prudenza, raccontarono, avevano deciso di non entrare in casa. lasciarono farlo alla polizia, che trovò il corpo della giovane Kercher sotto un piumone. le indagini, quindi, si concentrarono subito su Knox e Sollecito, che divennero ben presto motivo di grande interesse mediatico. Sollecito raccontò ai giornalisti che in Questura gli impedirono di chiamare un avvocato e di avvertire suo padre di quanto stava succedendo. E durante l’interrogatorio disse di aver passato la notte a casa sua con Knox, di avere fumato sempre con lei della marijuana e che avevano guardato al computer il film Il favoloso mondo di Amelie.
Alla domanda se Knox fosse stata sempre con lui, rispose che non lo poteva sapere dato che a un certo punto si era addormentato. Ed è già da qui che cominciarono i dubbi, gli errori e i sospetti. Nel verbale che il ragazzo firmò, infatti, c’era scritto che Knox era uscita di casa. In un secondo momento, e i suoi legali lo confermarono, Sollecito però spiegò che una parte di ciò che aveva detto durante l’interrogatorio era stata omessa dal verbale. In particolare, aveva detto di non poter confermare che la ragazza fosse uscita ma che, se lo avesse fatto, l’avrebbe saputo dato che non aveva la chiave e quindi per farlo avrebbe dovuto suonare il campanello.
Ancora peggio, in fatto di presunte irregolarità, l’interrogatorio di Knox. come poi stabilì la corte di Strasburgo alla cittadina americana, infatti, non fu spiegato che era indagata e non fu chiamato un avvocato; inoltre, l’interprete che tradusse domande e risposte era una funzionaria della Questura e non una professionista esterna, come da protocollo. Knox, tra l’altro, sostenne anche di essere stata colpita a più riprese con schiaffi alla testa.
Raccontando quell’interrogatorio, tutt’altro che legale, nel processo di primo grado disse: “tutti mi urlavano e dicevano che mi avrebbero messo in prigione. la polizia mi ha suggerito di dire che Meredith era stata violentata; per farmelo dire mi hanno picchiata. Sono stata picchiata due volte per farmi dire un nome che io non potevo dare: patrick (…). Non sapevo se il congolese fosse l’assassino perché io non ero in quella casa, ma lumumba è stato arrestato perché io ho fatto il suo nome. Gli agenti volevano testimoniassi contro di lui ma questa cosa non mi piaceva”.
A complicare tutto, il fatto che la polizia ha sempre negato quella versione dei fatti. Alcuni dei 12 poliziotti presenti in Questura quella notte denunciarono Knox addirittura per calunnia, ma il tribunale di firenze respinse le accuse. di concreto c’è, nella ricostruzione che è stata fatta delle indagini che hanno portato a condanne e assoluzioni, che in quel primo interrogatorio Amanda Knox (come e perché rimane poco chiaro) accusò dell’omicidio il suo datore di lavoro, patrick lumumba, titolare di un bar dove la giovane studentessa lavorava. Il giorno dopo, rimasta sola, scrisse una lettera in inglese in cui disse: “per quanto riguarda questa confessione che ho fatto ieri sera, voglio essere molto chiara che sono molto dubbiosa della veridicità delle mie affermazioni perché sono state fatte sotto la pressione dello stress, dello shock, e di estremo esaurimento”. Scrisse: “The truth is, I’m unsure about the truth”, “la verità è che non sono sicura della verità”. lumumba rimase in carcere 14 giorni; poi fu liberato perché trovato totalmente estraneo alla vicenda. per l’accusatrice, invece, una condanna di tre anni per calunnia.
Sollecito e Knox furono comunque arrestati è divennero, da subito, motivo di indagine nell’indagine. A scandagliare il loro passato e la loro vita privata una marea di giornalisti, non solo italiani dato che il caso, visto gli ‘attori’ internazionali, divenne di grande interesse intorno al mondo, specie negli Stati uniti e in Gran bretagna. l’ivoriano Guede fece il suo ingresso ufficiale nell’indagine, almeno per ciò che riguarda la copertura mediatica, solo una quindicina di giorni dopo il delitto, quando fu rivelato che tracce del suo dNA erano state trovate sulla scena dell’omicidio. un ritrovamento, in un certo qual modo, fortuito dovuto al fatto che erano nel database della polizia. pochi giorni prima dell’assassinio di Meredith, infatti, Guede era stato fermato a Milano, e nel suo zainetto erano stati trovati un computer e un telefono rubati nello studio di un avvocato, a perugia.

Amanda e Raffaele ancora giovanissimi durante la prima fase del processo
In questa sagra degli errori, o perlomeno di una certa confusione investigativa, è stato poi reso noto che, prima del suo arresto, in un collegamento Skype con un amico, Guede aveva affermato che Knox non c’entrava nulla con l’omicidio, mentre non si era pronunciato nei riguardi di Sollecito. le indagini intanto avevano preso una direzione piuttosto certa grazie al coltello che era stato trovato nella cucina di Sollecito con sul manico le impronte di Amanda e sulla lama il dNA di Kercher. Il coltello era stato trovato in una busta gialla chiusa in una scatola di cartone assieme a una vecchia agenda. Ma c’è di più a favore dei colpevolisti: sul gancio di un reggiseno di Kercher venne, infatti, rilevato il dNA di Sollecito. E in un video della polizia era stato catalogato il reggiseno senza un gancetto che veniva miracolosamente trovato una quarantina di giorni dopo, con decine di persone che nel frattempo erano andate dentro e fuori della casa del delitto. fu trovato sotto un tappetino che, evidentemente, non era mai stato toccato da nessuno.
Guede, tramite il suo avvocato, scelse il rito abbreviato, mentre gli amici Amanda e Raffaele furono rinviati a giudizio sostenendo la tesi che il giovane ivoriano avesse rotto il vetro per entrare in casa a rubare, fosse stato scoperto dalla vittima e che l’avesse quindi aggredita e uccisa. una tesi che la difesa portò anche in appello e che, alla fine, portò all’assoluzione di Knox e Sollecito.
Stranissima la situazione di Guede dal punto di vista processuale, con continue contraddizioni e versioni di quanto accaduto in quella casa quella sera di novembre a perugia. Non negò mai la sua presenza: nella sua prima versione dei fatti disse che Meredith l’aveva invitato e che tra i due c’era stato un approccio sessuale. poi raccontò che dal bagno che stava usando sentì la ragazza gridare. uscì e vide che c’era un giovane biondo chinato sulla ragazza: indossava una felpa Napijiri e una cuffia bianca e cercò di colpirlo col coltello prima di fuggire. Nel corso del processo d’appello, versione completamente diversa: non era più nel bagno al momento del delitto, ma stava ascoltando musica con le cuffie e quindi non si era accorto di nulla. poi, ancora un cambiamento: ascoltava musica, ma sentì comunque dalla stanza in cui si trovava Meredith litigare con una ragazza, probabilmente la Knox. pur dicendo di non aver in verità visto nessuno, si dichiarò convinto che l’omicidio fosse stato compiuto da Knox e Sollecito. una serie di dichiarazioni che ovviamente non fecero altro che confondere e spostare i sospetti fino ad arrivare alla sua condanna per un delitto mai confessato.
Al processo di primo grado si arrivò appena nel dicembre del 2009, più di due anni dopo dell’assassinio della studentessa inglese. le difese dei due imputati, Amanda Knox e Raffaele Sollecito, chiesero nuove perizie scientifiche, che però vennero negate. Quanto al movente, a dimostrazione di quanti punti interrogativi c’erano in un caso di interesse mondiale (più che comprensibili i susseguenti documentari e il film), l’accusa passò da un presunto rito esoterico a un’aperta ostilità di Knox nei confronti di Kercher, fino ad arrivare a intrecci e giochi sessuali. durante il processo furono ascoltati due testimoni. Il cittadino albanese Hekuran Kokomani, che testimoniò di avere visto Guede, Sollecito e Knox fuori dalla casa di via della pergola la sera del delitto e che Knox, con in mano un coltello, lo aveva minacciato. disse però anche che aveva già conosciuto Knox, insieme a uno zio di lei, nell’agosto del 2007. un punto, questo, nettamente a suo sfavore, in quanto in quel periodo la ragazza americana non era ancora arrivata nella città umbra.
Il secondo testimone era il senzatetto Antonio curatolo, che raccontò di aver visto il primo novembre del 2007 Amanda e Raffaele, nel campetto da basket di piazza Grimana, da dove partivano le navette per le discoteche del perugino. la difesa sostenne però che il primo novembre le discoteche erano chiuse e non c’era alcun autobus. l’ammissione nel processo d’appello che curatolo era un drogato e che nella testimonianza aveva comunque confuso le date della presunta presenza nella piazzetta dei due accusati contribuì all’assoluzione di Knox e Sollecito, che erano stati condannati, in primo grado rispettivamente a 26 e 25 anni.
Nelle motivazioni della sentenza i giudici scrissero, in sostanza, che i due fidanzati volevano aiutare Guede ad abusare di Kercher, e che la uccisero insieme a lui. la ricostruzione degli eventi aveva lasciato intendere che “Rudy, uscendo dal bagno, si sia lasciato trascinare da una situazione avvertita come carica di sollecitazioni sessuali e, cedendo alla propria concupiscenza, abbia cercato di soddisfare le proprie pulsioni portandosi nella stanza di Meredith, che era sola nella propria camera con la porta quantomeno socchiusa. la reazione e il rifiuto di Meredith dovettero essere stati sentiti da Amanda e Raffaele, i quali anzi ne dovettero essere disturbati e intervennero, per quanto evidenziano gli eventi, spalleggiando Rudy, diventando i suoi aggressori e i suoi uccisori (…) La prospettiva di aiutare Rudy nel proposito di soggiogare Meredith per abusarne sessualmente poteva apparire come un eccitante particolare che, pur non previsto, andava sperimentato”.
Amanda Knox fu portata nel carcere di capanne, a perugia, dove già era detenuto Guede; Sollecito andò nel carcere di terni.
Il processo d’appello si tenne nel 2011. la Corte ordinò nuove perizie scientifiche che stabilirono che non c’era il dNA di Kercher sul coltello sequestrato nella cucina di Sollecito, ma soprattutto che la lama di quel coltello non era quella che aveva inferto le ferite sul corpo della vittima. poi spuntò un video che riprendeva gli agenti mentre raccoglievano con gli stessi guanti vari reperti, presumibilmente trasferendo il dNA delle persone da un oggetto all’altro, quindi praticamente contaminando qualsiasi prova.
I due condannati vennero pertanto assolti e nel 2015 il presidente della corte d’appello di perugia, claudio pratillo Hellmann, spiegò, in un’intervista a uno dei maggiori quotidiani italiani, il perché di quella decisione: “l’indagine era del tutto lacunosa e sbagliata sin dall’inizio”.
Secondo pratillo Hellman, Guede era “l’unico a sapere che cosa è davvero accaduto quella notte in via della pergola e chi c’era con lui, se c’era qualcuno”. Il giudice, dopo la sentenza, di assoluzione, subì diversi attacchi mediatici e lasciò la magistratura.
Raffaele Sollecito e Amanda Knox furono comunque liberati, e Knox, già il giorno dopo, tornò a Seattle. Ma non era finita. Clamorosamente, infatti, il 26 marzo 2013 la corte di cassazione annullò la sentenza di assoluzione e ordinò un nuovo processo, che si tenne a firenze. Ancora sorprese e ancora un ribaltamento di fatti e, soprattutto della sentenza. Amanda e Raffaele di nuovo colpevoli e condannati, questa volta a 28 e 25 anni. la giuria accettò totalmente le decisioni del primo processo. Scattò immediatamente, a quel punto, la richiesta di appello-bis e la corte di cassazione il 27 marzo 2015 decise l’assoluzione senza rinvio, quindi senza un nuovo processo. Solo Amanda Knox è stata condannata a tre anni per il reato di calunnia, pena però già scontata dato che sia lei sia Sollecito avevano comunque trascorso quattro anni in carcere.
Subito dopo la sentenza di assoluzione definitiva, da Seattle Amanda Knox aveva dichiarato di essere immensamente grata che giustizia fosse stata fatta e di riavere finalmente di nuovo la sua vita. “Meredith era una mia amica. Meritava moltissimo nella vita. Io sono quella fortunata”, ha aggiunto.
Raffaele Sollecito è scoppiato a piangere non appena ha ricevuto la notizia del verdetto della cassazione. “Sono immensamente felice che quella stessa magistratura che mi ha condannato ingiustamente mi ha restituito la dignità e la libertà”.
Secondo la difesa, non c’era prova certa del DNA di Raffaele sui gancetti del reggiseno di Meredith Kercher. Inoltre, non è stato accertato “il rispetto dei protocolli internazionali che garantiscono margini di certezza scientifica”.
Nelle motivazioni della sentenza si è parlato di un processo con “un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose défaillance o amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine”. Se non ci fossero stati omissioni ed errori sarebbe stato “con ogni probabilità, consentito, sin da subito, delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva, vuoi della colpevolezza vuoi dell’estraneità”.
I giudici esclusero, per Knox e Sollecito, “la loro partecipazione materiale all’omicidio, pur nell’ipotesi della loro presenza nella casa di via della pergola” e sottolinearono la “assoluta mancanza di tracce biologiche a loro riferibili” nella stanza dell’omicidio o sul corpo di Meredith.
Restano tanti gli interrogativi su cosa avvenne quella maledetta notte tra l’1 e il 2 novembre 2007, nella casa di via della pergola: la storia è comunque finita. Esiste, dal punto di vista legale, un colpevole che ha pagato col carcere il verdetto dei tribunali. due coimputati sono stati assolti. c’è solo da augurarsi a questo punto che tutti i protagonisti possano continuare a vivere con un minimo di serenità. Soprattutto la famiglia della giovane vittima, Meredith Kercher.