June 2019

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Fra la bora e il mare: a Salvore sulle orme di “Rico” Mreule il professore solitario che custodiva il ricordo di Michelstaedter

L’

Istria si spinge sul mare, a Punta Salvore, e disegna una lingua di terra alta e battuta dal vento. Cielo smaltato di blu e terra arrugginita. Olivi e sbandate di bora. Il mare è viola, quando soffia il vento, percorso da brividi di schiuma nervosa. L’Istria è un triangolo di calcare e di terra rossa, il biglietto da visita della Croazia turistica, che si srotola nel Quarnero e poi giù, in Dalmazia. Mare di vetro e gioielli veneziani, da luglio a settembre scoppia letteralmente di turisti. L’autostrada croata comincia subito dopo il confine di Dragonja e arriva fino a Pola, svelando un tavoliere di macchia mediterranea e punteggiato di bianchi campanili. Gli antichi borghi dell’entroterra, tagliati fuori dalla veloce arteria autostradale, si sforzano di non scolorire e offrono case di lusso con piscina, olio di qualità e sontuosi tartufi. La costa invece è una sequenza senza fine di campeggi, residence, alberghi e ristoranti di pesce e l’afflusso turistico dei mesi estivi stordisce il litorale con l’odore di crema solare e il puzzo di gas di scarico. Da Gorizia a Salvore sono un paio d’ore di strada, ad andar piano, e due frontiere da attraversare. Meglio evitare i mesi estivi, per una visita. Una giornata d’inizio primavera o il foliage autunnale sono perfetti. Se anche dovesse soffiare bora scura, si prova il brivido di un mare rabbioso e di una solitudine antica, che spinge a cercar riparo in qualche vecchia osteria. Un piccolo porto, pescherecci che asciugano le reti, solitudine. Puoi passeggiare per chilometri nelle pinete che arrivano a toccare il mare, fino a Umago e più giù, fino a Cittanova, a Parenzo e Rovigno. Ti vien da pensare che potresti star qua per sempre, a guardare il mare, a buttare una nassa o una lenza, e aspettare.

di Anna Cecchini Salvore, spalancato su un mare di cristallo. Rico non approda a Salvore per caso. C’è già stato con Carlo Michelstadter e Nino Paternolli per una breve vacanza nell’estate del 1909, l’ultima passata assieme. Ha visto il faro bianco e le battane che dondolano sull’acqua. Seduto sulla spiaggia, si è giocato la vita a dadi, scommettendo di trovare se stesso salendo su un cargo diretto a Buenos Aires e sparendo in Patagonia, dall’altra parte del mondo, per tredici lunghissimi anni. Ha raccolto il pensiero di Carlo, Carlo che l’ha fregato, che ha impugnato la sua pistola e si è sparato, lasciandogli sulle spalle un’eredità che gli dà il prurito.

corrente, e comprerà una battana per percorrere poche miglia lungo la costa. Il suo universo si rattrappisce in uno spazio angusto, ma con il mare sempre davanti. Sotto il letto sistema una cassa con poche cose, i testi greci annotati a matita, gli scritti di Carlo e la lucerna, quella che illuminava le serate nella soffitta di piazza Grande con Carlo Michelstaedter e Nino Paternolli, che si è spenta per sempre il 17 ottobre 1910 e che la mamma di Carlo gli ha consegnato perché sa che solo lui poteva esserne l’erede. Ma lui non vuol essere l’erede di nessuno. Vuol stare in barca o sul molo, a non far nulla, tranne guardare il mare.

Ha vissuto come un pioniere, guidando mandrie per centinaia di chilometri in una solitudine da castigo, con la sola consolazione dei classici greci. Ha tolto così tanto dalla sua vita e da se stesso che non sa più cosa è diventato. Deve guardarsi allo specchio ogni tanto, ora che è tornato, per essere sicuro che gli occhi siano ancora celesti e la faccia allo stesso posto, con quelle due pieghe profonde ai lati della bocca. Torna a Gorizia a guerra finita, nel 1922. La città gli piace ancor meno di quando è partito. I racconti della guerra lo irritano, la vita che vuol ricominciare lo annienta. Prova a tornare a scuola, da insegnante di greco, ma non è per quello che ha lasciato il Sudamerica.

A forza di togliere, anche la moglie Anita esce dalla sua vita e non poteva che andare così: troppo gravoso l’isolamento, troppe le privazioni che Rico impone a una donna giovane e bella. Sarà Carolina, l’amica di sempre a dividere con lui quella casa sul mare, ad ascoltare la radio in camera con le porte chiuse perché lui non vuol sentire chiasso.

Torna al mare, stavolta per fermarsi in un porto, ma sarà per sempre uno straniero. Alla pensione Predonzani trova la quiete, l’ombra dei pini e un frinire di cicale che anestetizza. Nel 1933 stabilisce a Salvore la sua residenza anagrafica. Si sposerà “perché un uomo solo genera sospetto”, costruirà una casa senza luce né acqua

Gli anni di Salvore passano sempre più solitari e rancorosi, i legami con Carlo che diventano le corde ruvide di un ricordo che sconfina nella venerazione. Bianco di capelli e magro come un asceta, riceve alcune brevi visite di Paula, l’amatissima sorella minore di Carlo, e del poeta Biagio Marin. Enrico Mreule si spegne 5 dicembre 1959 e viene sepolto da Carolina nel cimitero di Salvore. Quattordici anni dopo Carolina Podbersig, detta Lini, viene trovata morta in quella stessa casa e ora riposa accanto a lui, davanti a quel mare di vetro.

Fu questo che fece Enrico Mreule, goriziano, classe 1886. *** Sale le strette scale di legno con la valigia in mano. E’ da tanto ormai che tutto quello di cui ha bisogno sta in così poco spazio. Un paio di camicie, qualche libro. E’ arrivato col traghetto al minuscolo porto di

I movimenti tellurici del “secolo breve” non hanno risparmiato nessuno. Carlo si è tolto la vita, nel 1910. Nino è precipitato dal Poldanovec nel 1923, dopo aver combattuto nell’Imperialregio Esercito, aver sepolto il padre e ricostruito la tipografia. Il Terzo Reich deporta ad Auschwitz la madre e la sorella maggiore di Carlo, e perfino l’Argia, il suo ultimo amore. Nel ’45 l’esercito di Tito arriva fino a Trieste e i titini a Gorizia hanno prelevato la Pina, la moglie di Nino Paternolli. Anche Rico sarà arrestato, in quella parentesi oscura prima di un nuovo ordine, quello della Jugoslavia comunista.

*** Claudio Magris accanto al baule ritrovato nella casa di Mreule

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Abbiamo trovato senza difficoltà la tomba di Rico, in una tiepida


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