July August 2021

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Gorizia News & Views Anno 5 - n. 6 Luglio-Agosto 2021

Bimbo morto nel pozzo: l’inchiesta a una svolta pag. 11

Tavano: vi racconto la “mia” Gorizia pag. 12-13

©Alberta Basaglia / Fondazione Franco e Franca Basaglia

Anno zero in piazza Vittoria per il Premio Amidei pag. 5

Mostra virtuale per ricordare Basaglia pag. 8-9

Cerchiamo di comprendere il caso-Saman pag. 14

Palazzo Paternolli: luci e ombre del progetto pag. 7


nº 6

Ziberna senza più una maggioranza: il rischio-paralisi è dietro l’angolo

luglio-agosto 2021

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Shoah e foibe: ecco perché l’equazione è impossibile Cinema, è l’”anno zero” in piazza Vittoria per l’edizione numero 40 del Premio Amidei C’è anche un po’ di Gorizia nell’udinese “Notte dei lettori” Bello quel telone che ricopre palazzo Paternolli ma la Pradella protesta: le cose non sono chiare Basaglia a Gorizia, “Diritti al Cubo” ci permette di riscoprire una pagina cruciale della nostra storia Il cipresso calvo, albero del Panovec che vive immerso nell’acqua Bimbo caduto nel pozzo, si va verso l’udienza preliminare L’avvocato di Ziberna: “Sicurezza, macroscopiche omissioni”

Ziberna senza più una maggioranza: il rischio-paralisi è dietro l’angolo

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Sergio Tavano: dalle leggi razziali all’occupazione titina e alla rinascita, vi racconto la Gorizia della mia giovinezza

Il caso-Saman va ricondotto a una “tossicità culturale” Città unica con Nova Gorica, il dibattito non può prescindere dal sentimento che anima le due comunità

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San Rocco, torna la sagra ma con molte limitazioni “Lascio la Biblioteca dopo 25 anni: mi mancheranno il profumo polveroso dei libri e i magazzini carichi di storie” Il dibattito sul Piano del traffico e il senso unico in Corso: le piste ciclabili vanno separate (con un’aiuola?) da auto e pedoni

Il duro ruolo dei dirigenti e un uomo-simbolo: Enzo Cainero Scuola, il Covid ha rivoluzionato anche l’esame di maturità ma le emozioni e le aspettative degli studenti sono le stesse Danza e teatro: gli Artisti associati riprendono l’attività

Gorizia News & Views

D’Annunzio, un progetto per scoprire il Corno e “adottare” il futuro Parco della Valletta

Reg. Trib. Gorizia n. 1/2017 dd 11/12/2017 mensile dell’APS Tutti Insieme http://tuttinsiemegorizia.it/

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uò un’anatra zoppa governare una città per quasi un anno? Diciamolo ancora meglio: potrà Rodolfo Ziberna, sindaco di Gorizia senza più una maggioranza nel Consiglio comunale, guidare la città efficacemente fino al maggio 2022 quando si terranno le future elezioni amministrative? È questo l’interrogativo di fondo della politica cittadina dopo che un mese fa era stato impossibile approvare il bilancio preventivo del Comune a causa delle defezioni nel centrodestra e l’approvazione era arrivata, dopo una settimana di gestione “provvisoria”, soltanto l’8 giugno, complice la riduzione del numero legale necessario per la validità della seduta e l’astensione o il non voto di cinque dei sei consiglieri comunali di centrodestra che una settimana prima avevano portato la giunta Ziberna sull’orlo del commissariamento. Da allora, di fatto, quella in carica è una giunta comunale “di minoranza”, nel senso che è certa del voto a favore di appena 19 dei 40 consiglieri eletti. Altri sei consiglieri comunali di centrodestra hanno chiaramente fatto capire che valuteranno di volta in volta, ma alla prima occasione utile per affondare Ziberna e andare al voto, hanno deciso di non sferrare il colpo mantenendo un atteggiamento quantomeno ambiguo. Il resto dell’opposizione, il centrosinistra, è ovviamente schierato da sempre contro l’attuale giunta comunale, dal Pd al Movimento 5 stelle e alle varie liste civiche di centrosinistra espressione dei candidati sindaci che si erano presentati nel 2017. Più sfumata invece la posizione di altri tre consiglieri (Portelli e i due dell’Unione slovena). Il tema, dunque, è: una città come Gorizia, impegnata nel cammino verso il ruolo di Capitale europea della cultura grazie al partenariato con Nova Gorica nel 2025, cammino che secondo molti rappresenta l’ultima chance per invertire il declino della città, può permettersi quasi un anno perso, con una Giunta comunale azzoppata, di fatto politicamente immobilizzata per l’impossibilità di avere certezza dei numeri dei voti nell’assise comunale? Il rischio paralisi è dietro l’angolo: provvedimenti attesi da molti mesi e sostanzialmente pronti (dal nuovo Regolamento di polizia urbana, destinato a sostituire quello risalente addirittura al 1928! all’approvazione finale del Piano di classificazione acustica, al

di Marco Rossi nuovo regolamento per i contributi alla cultura, per fare degli esempi) non sono ancora calendarizzati e probabilmente dovranno aspettare ancora molto. E una volta in aula, non è certo che verranno approvati: del resto, con questi numeri è chiaro che Ziberna deve accettare il suo essere minoranza e scendere a patti con il centrosinistra o i dissidenti di centrodestra. Non è peregrino pensare che il percorso del prossimo anno sarà molto accidentato.

proprio campo, forse Ziberna avrebbe fatto (farebbe) meglio a dimettersi prendendo atto che il consiglio comunale eletto quattro anni fa non può e non vuole più sostenere questa Giunta. Il tempo dei mea culpa per l’attuale Giunta verrà, semmai, più tardi: che sia stato il senso unico in Corso Italia, o le tante promesse non mantenute, quel che è certo è che qualcosa si è rotto e davvero sembra impossibile che possa essere ricucito.

Se non si può governare, e non si vuole nemmeno mediare con i dissidenti del

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Buone vacanze a tutti

A fine giugno il Daily News, quotidiano di New York, riferendosi alla pandemia ha titolato a caratteri cubitali: «It’s over», è finita. E anche molti di noi, di fronte a decessi e a contagi che calano giorno dopo giorno, ne sono convinti. Senza dubbio l’aria che si respira finalmente è cambiata alla vigilia delle tanto sospirate vacanze: si torna a viaggiare, le località turistiche sono già state prese d’assalto, le mascherine all’aperto sono state abolite e il coprifuoco sembra un lontano ricordo. A chi obietta che l’anno scorso, usciti da un lungo e ben più pesante lockdown, la situazione in Italia era più o meno la stessa, tanto che – al grido, rimasto celebre, del “Non ce n’è Coviddi” – nelle discoteche di tutta Italia si esultava per la morte clinica del virus (come disse il medico personale di Berlusconi) ora si fa notare: sì, però adesso ci sono i vaccini. Giustissimo. Nonostante i pasticci sull’AstraZeneca e sul mix di prodotti, unitamente a una comunicazione disastrosa, la campagna vaccinale sta procedendo speditamente e la letalità del virus è più o meno simile a quella di un’influenza. Ma sul fatto che tutto sia finito andremmo cauti. L’arrivo, per ora ancora non in modo eclatante, dalla Gran Bretagna della variante Delta (ex indiana), impone la massima prudenza. Certo: è bello tornare al cinema, ai concerti, al ristorante. Non vedevamo l’ora di recuperare quel gusto della socialità, quel calore delle relazioni umane che rende dolce la vita, in particolare d’estate. Ma non sottovalutiamo i rischi che ancora esistono. Non pensiamo che la seconda dose del vaccino non serve, o addirittura che non serva più neppure vaccinarsi (chi non lo ha fatto rischia di contagiarsi ed essere ricoverato esattamente come prima). Virologi ed esperti in questi mesi, si sono contraddetti ma almeno su un dato sono concordi: il vaccino serve. Eviterà che il virus torni a diffondersi tra qualche mese con la forza dell’autunno scorso. Protegge dalle varianti. Se non può immunizzarci al cento per cento, ci salva dalle forme più gravi della malattia, e quindi previene l’intasamento degli ospedali e il blocco del sistema sanitario. Di una persona morta per il vaccino — evento dolorosissimo, da non minimizzare — si discute per settimane: ma ci siamo già dimenticati di quando a causa del Covid a centinaia cadevano ogni giorno come mosche? E’ sacrosanto, dunque, allentare ora le rigide prescrizioni per preparare la vera ripartenza per le relazioni umane, per il turismo, per l’economia: quella duratura, non destinata a essere interrotta da nuove emergenze. E per questo l’unica arma possibile è completare le vaccinazioni. Questa è l’esortazione che anche noi di Gorizia News&Views vi rivolgiamo, augurandovi una bella estate e per chi può, piacevoli vacanze: ci rivediamo a settembre, su queste pagine che speriamo continuino a incontrare i vostri consensi che tanto ci hanno gratificato sin qui. (vi.co.)

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Shoah e foibe: ecco perché l’equazione è impossibile di Franco Belci

consenso: per questo va rispedita al mittente, con una battaglia esplicita che metta in chiaro, una volta per tutte, perché i fenomeni, pur frutto di uno stesso contesto, non sono paragonabili. Lo sterminio degli ebrei (ma anche di minoranze considerate “devianti”, come gli omosessuali e i rom, o di quelle, come i disabili, ritenute elementi di inquinamento rispetto alla purezza della razza; e, ancora, degli oppositori politici, dei partigiani, perfino dei prigionieri di guerra) rappresentò l’esito, terribilmente concreto, di un’ideologia di sopraffazione praticata come metodo di governo, attraverso una capillare organizzazione, nell’ambito della teoria della superiorità della razza che avrebbe dovuto portare, con la vittoria nella guerra, al dominio sul mondo del modello nazifascista. Per capire le ragioni delle violenze delle foibe occorre invece fare riferimento non ad una volontà unilaterale e predeterminata, ma a un succedersi di eventi, un sommarsi di effetti, come hanno messo in luce molti studiosi, compresi quelli della commissione bilaterale italo slovena istituita dai rispettivi governi nel 1993 e che lavorò anche su questi temi.

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l capogruppo al Senato di FdI, Luca Ciriani, è il primo firmatario di una proposta di legge che propone di modificare l’articolo 604 bis del codice penale. La norma prevede pene da due a sei anni di reclusione per la «propaganda», «l’istigazione e l’incitamento» alle discriminazioni fondate sulla «negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah» o «dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». L’obiettivo dell’iniziativa è di estendere tale previsione anche ai “massacri delle foibe”, pur ovviamente compresi nelle fattispecie citate, quali “crimini di guerra”, ma per le quali i firmatari ritengono necessario un rifermento specifico. Vedremo in seguito per quale motivo. Del resto, è da tempo che il centro destra, anche a Gorizia, insisteva sul punto. Già nel 2018, nel suo intervento al Senato per il giorno del Ricordo, il sindaco Ziberna aveva sostenuto che “chi ancor oggi nega, minimizza o giustifica il dramma delle foibe e dell’esodo, va emarginato anche attraverso l’estensione ad esso dell’aggravante prevista per il negazionismo dell’olocausto”.

<<Tali avvenimenti - attestano gli studiosi della Commissione - si verificavano in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori reali>>. Il tutto nasceva <<da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani>>. Dunque, nel primo caso, si trattò di un disegno di annientamento che colpì, complessivamente, tra il 1936 e il 1945, 15-17 milioni di persone; nel secondo, di violenze che si verificarono tra il 1943 e il 1945 nel teatro di guerra nord orientale, riguardarono tra le 3 e le 5 mila persone, e si svilupparono nell’ambito delle dinamiche assunte dal conflitto. In particolare, la violenta occupazione fascista della “Provincia di Lubiana” e la successiva assunzione, da

parte dei nazisti, con la collaborazione dei fascisti, dell’amministrazione diretta delle province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, col nome di “Adriatisches Kustenland”, nel corso della quale si sommarono inenarrabili violenze. Naturalmente, non si tratta di giustificare quelle con precedenti violenze: i morti hanno tutti diritto alla stessa pietà. Ma occorre accompagnarne il ricordo con la capacità di distinguere e la volontà di capire. In quanto al merito della proposta, va ricordato che il “negazionismo” delle foibe appartiene, ormai da decenni, all’anacronistica posizione ideologica di sparutissime minoranze. L’obiettivo reale della proposta di legge è utilizzare il concetto di “minimizzazione”, quanto mai aleatorio, nel modo più ampio possibile.

Cinema, è l’”anno zero” in piazza Vittoria per l’edizione numero 40 del Premio Amidei

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iazza Vittoria, anno zero. Per la prima volta il premio Sergio Amidei per la migliore sceneggiatura sarà ospitato, dal 23 al 29 luglio, dall’ampia location ove si trova, fra l’altro, anche il Kinemax-Palazzo del cinema, come sempre deputato ad accogliere le proiezioni e gli incontri al chiuso. Riepiloghiamo in un riquadro a parte i

Non c’è, infatti, e non potrebbe esserci, alcuna verità di Stato sul fenomeno: anche la legge istitutiva del “giorno del ricordo”, che si propone “di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra”, colloca, del resto, quelle tragiche esperienze nella “più complessa vicenda del confine orientale”. Insomma, il progetto che anima la proposta di Ciriani è di “scomunicare” tutte quelle analisi storiografiche che la visione della destra non ritengono in linea con la propria iconografia. La posta in palio non è formale. Si tratta infatti di uno strumento attraverso il quale la destra al governo vorrebbe sostituire, allo studio e alla ricerca storica, un’ideologia ufficiale che non potrebbe essere messa in discussione se non a rischio di un procedimento penale e dell’ esclusione dai finanziamenti pubblici della ricerca “deviante”. Per questo, sul tema, è necessaria una battaglia culturale alla quale, spero, le forze che si richiamano al centro sinistra non si sottrarranno. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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chiuso fintantoché ogni suo centimetro quadrato non sarà messo in sicurezza. Ricorderete tutti il tragico episodio che avvenne lo scorso anno. Nella mattina del 22 luglio (il Premio era appena iniziato) un bambino goriziano di 13 anni, Stefano Borghes, perse la vita cadendo in un pozzo del parco durante una gara di orienteering. Le proiezioni dei film furono ovviamente interrotte, chiusa l’area del drammatico fatto di cronaca (dove, tra l’altro, si trovava la biglietteria) e subito dopo posti i sigilli, per volontà della Fondazione, all’intero parco. Diciamo la verità: sin dall’inizio avevamo sollevato dei dubbi circa l’opportunità di far svolgere l’Amidei nello spiazzo verde di viale XX settembre. A Gorizia molta gente associa ancora il luogo alla terribile tragedia avvenuta un anno fa. Con un ricordo così fresco, insomma, non ci sembrava il caso di organizzare una manifestazione basata sullo spettacolo e anche sul divertimento a pochi metri da quel maledetto pozzo e alle tristissime sensazioni che il posto non può fare a meno di evocare.

Pupi Avati riceverà il premio all’opera d’autore

titoli del 7 film in concorso: ma il palinsetso della manifestazione prevede in tutto una cinquantina di pellicole, che saranno proiettate durante l’arco di tutte le giornate. La quarantesima edizione della manifestazione, durante la quale saranno consegnati fra gli altri il premio all’opera d’autore a Pupi Avati (prevista la sua presenza a Gorizia il 24 luglio, quando sarà proiettato fuori concorso il suo ultimo film “Lei mi parla ancora”) e il premio alla cultura cinematografica a Piera De Tassis, giornalista, saggista, critica cinematografica ma soprattutto direttore artistico dei premi David di Donatello, è stata presentata ufficialmente il 29 giugno e nei giorni che ci separano al “via”il direttore dell’ormai storica kermesse estiva goriziana, Giuseppe Longo, sarà ancora impegnato, con il suo staff di collaboratori, a rifinire gli ultimi dettagli. Longo aveva sperato fino all’ultimo di poter tornare nella sua “cornice” preferita, vale a dire il parco Coronini dove l’Amidei si è trasferito da anni dopo gli esordi al teatro tenda del Castello. Ma, a differenza di quanto gli era stato comunicato all’inizio della primavera, il sindaco Rodolfo Ziberna è stato irremovibile: il parco rimarrà

Si tratta, in realtà, del frutto avvelenato di una stagione nella quale la destra pesca strumentalmente anche nelle tragedie del passato per riattizzare il fuoco di rancori e divisioni e cercare di trarne

di Vincenzo Compagnone

Naturalmente il trasferimento in piazza Vittoria ha provocato un sensibile aumento dei costi e qualche complicazione logistica in più per gli organizzatori, che potranno disporre di un’area transennata contenente 600 posti dei quali però soltanto la metà saranno utilizzati previa prenotazione (prezzo del biglietto, 3 euro), misurazione della febbre e le altre misure anti-Covid previste dal Dpcm Draghi. Alle 20.30 di ogni serata scatterà la chiusura delle strade circostanti, alle 21 si partirà con i film. Il grande schermo da 15 metri per otto, già utilizzato al Parco Coronini, sarà collocato davanti al palazzo della Prefettura. Oltre ai trecento collocati nel “recinto”, va da sé che molti altri spettatori assisteranno alle proiezioni (ovviamente senza prescrizioni di sorta) dai bar posti ai lati dalla piazza, dai gradoni della chiesa di Sant’Ignazio e dall’area della fontana del Pacassi. Come sempre accanto ai 7 film in concorso e ai tre fuori concorso sono previsti, all’interno del Kinemax, retrospettive d’alto livello e incontri con l’autore. Fra le prime, una sezione dedicata al binomio cinema-storia con la quale proseguirà la collaborazione tra il premio Amidei ed èStoria, e una intitolata “1981” che riproporrà 8 film usciti 40 anni fa, tra i quali “Nudo di donna”, diretto e interpretato da Nino Manfredi, la cui figlia, Roberta (protagonista di “Borotalco” di Carlo Verdone, sarà presente a Gorizia. Sarà inoltre

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presentato dall’autore, Nicola Manuppelli, il libro “A Roma con Nino Manfredi”. Da segnalare infine due libri che l’Associazione Premio Amidei sta producendo: il primo verrà presentato durante il festival e si tratta di “Il cervello di Carnè”, un tomo di 550 pagine che raccoglie il ricco epistolario fra i due critici cinematografici Glauco Viazzi e Ugo Casiraghi, edito da La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi con prefazione di Paolo Mereghetti (saranno entrambi a Gorizia). Il secondo invece non è ancora pronto per cui sarà presentato ad ottobre in un evento a se stante: si tratta di un originale “Pagine rosse”, comprendente tutte le critiche cinematografiche apparse dal 1944 al 1969 nei periodici del Partito comunista. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

I film in concorso Miss Marx (di Susanna Nicchiarelli) Est – dittatura last minute (di Antonio Pisu) Il cattivo poeta (di Gianluca Iodice) Un altro giro (di Thomas Vinterberg) Volevo nascondermi (di Giorgio Diritti) Non odiare (di Mauro Mancini) The Father (di Florian Zeller)

Un omaggio a Pipia Il direttore artistico della Casa delle Arti e del Centro chitarristico Mauro Giuliani, maestro Claudio Liviero, ha varato il programma di “Note in città – Stagione concertistica 2021”. 16 gli appuntamenti che si terranno nel giardino di Palazzo De Grazia, in Borgo Castello e nel Parco della Casa di riposo di Lucinico. Due i concerti già svolti, segnaliamo tra quelli rimanenti. 3 luglio: Ksenia Liviero (chitarra). 12 luglio Mercatali Guitar Duo (Gianmarco Ciampa e Francesco Scelzo), 13 luglio Rock History con Gabriele Medeot, 4 agosto Velaska Rock Band. 15 agosto (concerto di ferragosto) Gorizia Guitar Orchestra, 18 agosto Jazz Duo (Marko Cepak Maki, chitarra elettrica e classica, Roberto Franceschini basso acustico), 28 agosto: Di Lena Duo (Marta Di Lena al flauto, Marco di Lena alla chitarra). 8 settembre: Canto, pianoforte e arpa (Ester Pavlic, canto e arpa, Umberto Tristi, pianoforte), 11 settembre Coro Ars Musica (direttore Lucio Rapaccioli, Giulio Chiandetti alla chitarra), 15 settembre Omaggio a Gino Pipia, 20 settembre concerto all’alba in piazzale Seghizzi. Ingresso libero, posti limitati, necessaria la prenotazione al numero 0481383377


C’è anche un po’ di Gorizia nell’udinese “Notte dei lettori” di Martina Delpiccolo

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amor che move il sole e l’altre stelle” è il motore de “La Notte dei Lettori” 2021, nel 700° anno dalla morte del Sommo Poeta. Il Festival, nato da un’idea del Comune di Udine in collaborazione con le librerie, arriva, dopo un anno fin troppo buio, a riaccendere la città con l’ottava edizione, rinnovata nella direzione artistica. Lo spirito del Festival, che ha per protagonista il lettore, si nutre quest’anno di cultura alta e popolare, sapienza e leggerezza, con uno sguardo rivolto alle eccellenze del territorio per un coinvolgimento che attraversa tutti i settori della città. Dopo un’anteprima che, nel corso del mese di giugno, ha visto in 10 Comuni dei dintorni di Udine la presentazione di libri “congelati” dal Covid, editi da 13 case editrici friulane, in aggiunta ad altri 10 eventi per tutti i gusti e le età, arriva la Notte vera e propria, ossia il Festival che animerà Udine venerdì 9 e sabato 10 luglio.

Dora: Hans Kitzmüller, che ha pubblicato il romanzo postumo “Una notte in fondo al cielo”, e l’artista Roberto Dolso. La serata di venerdì sarà un tributo al grande scrittore goriziano Paolo Maurensig, che proprio sulle pagine di Gorizia News & Views si è raccontato alcuni mesi prima della sua scomparsa e a cui il Comune di Udine ha deciso di dedicare l’intero Festival del 2021. Sarà lo scrittore Alberto Garlini ad accompagnarci con incanto e competenza tra le pagine di Maurensig leggendo e commentando “La variante di Lüneburg” alle ore 21.30 nel cuore della città, sotto la Loggia del Lionello. A seguire, durante l’appuntamento che vede per protagonista “La musica nel silenzio della violoncellista Giulia Mazza”, la “Notte dei Lettori” sarà effusa dall’omaggio in note “Canone inverso”, celebre romanzo e poi film. È legato al Goriziano per la tematica del confine, mescolanza di lingue, culture e popoli, il recital che chiuderà il Festival sabato sera: “La Malaluna. Vite, amori, storia e resistenza di una famiglia di frontiera”, tratto dal romanzo di Maurizio Mattiuzza che, in scena, sarà insieme all’attrice Carlotta Del Bianco, i musicisti Jacopo Casadio e Davide Sciacchitano, l’ottetto vocale sloveno Barski Oktet, la voce di Margherita Trusgnach. Mattiuzza dialogherà con lo scrittore e drammaturgo Paolo Patui. Dantesca l’inaugurazione ufficiale del Festival (ore 16, Loggia del Lionello, venerdì 9) che valorizzerà Udine come “Città che Legge” (di cui parlerà la direttrice della Biblioteca Cristina Marsili) e “custode del Codice Florio”, uno degli 800 manoscritti della Divina Commedia, illustrato dal professore Andrea Tilatti, mentre il professor Valerio Vernesi ci mostrerà idealmente la “Comedia” nell’arte. Attesissima l’irruzione friulana, sorprendente e talentuosa del Teatro Incerto. Fabiano Fantini, Claudio Moretti ed Elvio Scruzzi saranno protagonisti di “Ce Comedie! L’incjant d’un cjant”. La chiave comica, o meglio semiseria, di rilettura dantesca,

sarà seguita il giorno seguente da un’impronta satirica, provocatoria, verace, che sgorgherà dalla sapienza e dall’ironia di Angelo Floramo a cui spetterà il “Processo a Dante”. Condannato? Assolto? Glorificato? Finirà all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso? Lo sapremo sabato 9 alle 21. La Loggia ospiterà i due prof scrittori Antonella Sbuelz e Andrea Maggi (in collegamento dal set de “Il Collegio” di Rai2), le Mappe Parlanti del territorio di Radio Magica e, alla vigilia della finale degli Europei, il mitico Bruno Pizzul, tra “Balon e poesie”. Tra le iniziative delle librerie le “cittàzioni” scelte dai lettori che vestiranno i negozi della città, “Faccia Libro”, il selfie con un libro amato tra gli scaffali delle librerie, i gruppi di lettura intorno a un libro con l’incontro dell’autore in occasione del Festival, la caccia al tesoro per le vie della città con in palio una carriola di libri. Tre le passeggiate a tema: “Udine Arti&Mestieri racconta… Far sapere il saper fare”, in collaborazione con Federagit e Promoturismo FVG, “Leggere i sapori e profumi passeggiando per Udine” con Federagit, e infine “Alla ricerca del libro perduto”, passeggiata proustiana in omaggio ai 150 dalla nascita dello scrittore con i direttori artistici del festival nei luoghi del libro: librerie, biblioteca, rilegatoria. Ricchissimo il programma curato dalla Biblioteca, tra gruppi di lettura, omaggio a Dante e appuntamenti per i più piccoli. Non mancherà il teatro. Andrà ad esempio in scena “Sette anime” con la regia di Arianna Romano. Numerosissime e diversissime le proposte di lettura con mescolanza di linguaggi, generi ed età nelle sorprendenti librerie. Ciliegina sulla torta, quella per i 700 anni di Dante, il girone dei golosi che comprende 18 osterie con menù dantesco. Come non assaggiare le “Uova in Purgatorio”? ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Sono 50 gli eventi che si svolgeranno in luoghi suggestivi, “gironi danteschi” per l’occasione, come la Loggia del Lionello o quella di San Giovanni, Corte Morpurgo o piazza Venerio, e nei pressi delle librerie, ognuna con la sua personalità e peculiarità, ruotando attorno alla Biblioteca Civica Joppi, agorà di lettura e di incontri. Ben 100 i protagonisti portatori di emozioni che si racconteranno e daranno vita ai testi. C’è anche un po’ di Gorizia nella città di Udine per “La Notte dei Lettori”. Il primo incontro di venerdì 9 luglio sarà “Colazione con Dora Bassi” presso la Caffetteria Al Vecchio Tram dove sono esposte le fotografie di Danilo De Marco che ritraggono l’artista e scrittrice di cui si ricordano i 100 anni dalla nascita. La ricerca della luce sarà il tema dell’incontro in cui interverranno due amici di

La “nostra” Martina Delpiccolo e il giornalista Paolo Medeossi sono da quest’anno i direttori artistici della “Notte dei lettori”

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Bello quel telone che ricopre palazzo Paternolli ma la Pradella protesta: le cose non sono chiare

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a notizia dei lavori di riqualificazione di Palazzo Paternolli, nel cuore di Gorizia, ha riacceso le speranze di molti nel rivedere vivo un luogo simbolo della città. Da anni, infatti, l’immobile giace nell’oblio nonostante si trovi in mezzo a piazza della Vittoria, rendendo vani gli sforzi negli ultimi anni per cercare di valorizzarlo. In questo senso si batte da tempo Chiara Pradella, studiosa di Carlo Michelstaedter, la stessa che ha gettato recentemente delle ombre su quanto annunciato dalla proprietà, ossia il gruppo immobiliare Visconti di Milano. Questo era stato coinvolto proprio da Pradella, insieme al precedente proprietario Eugenio Perissutti, per dare nuova luce alla storica dimora. Questa, oltre ad essere stata l’abitazione della famiglia Paternolli, aveva ospitato al pianoterra una delle più celebri cartolibrerie e tipografie del Novecento. Negli spazi della soffitta, poi, il giovane Michelstaedter era solito ritrovarsi con gli amici Nino Paternolli ed Enrico Mreule, inseparabili compagni di studio, avventure e riflessioni, oltre che protagonisti de Il dialogo della salute, scritto nelle sue ultime settimane di vita. Proprio nella soffitta, inoltre, Carlo – morto suicida nel 1910 a 23 anni – si dedicò alla stesura della sua tesi di laurea “La persuasione e la rettorica”. Sul telone, invero molto bello e coreografico, che oggi copre la facciata dello stabile (vi è stato apposto nell’imminenza dell’arrivo del Giro d’Italia), si legge dunque “Un’iniziativa del Gruppo Visconti”, cosa che ha mandato Pradella su tutte le furie: “Tutta la città sa che questa cosa è nata da me”. Qui sorgerà una casa dello studente transfrontaliera, insieme a uno spazio museale per ricordare la figura del letterato mitteleuropeo. La studiosa rivendica il fatto che tutto era partito da un lavoro di squadra, che aveva incluso il titolare del gruppo immobiliare: “A fine 2017 sono nati i contatti con Visconti e c’era già l’idea dell’ingegnere Paco Ferrante (figlio del professionista che ha recuperato l’ex ospedale militare di Trieste, ndr) per riqualificare l’area”. Due anni dopo arriva l’acquisto da parte del gruppo lombardo ma, da lì a qualche tempo, qualcosa si rompe: “Oggi la squadra non c’è più, ho saputo dei lavori dalla stampa”. L’amarezza di Pradella appare chiaramente: “Mi ero buttata a pesce sulla vicenda di Michelstaedter - sottolinea ma da quella battaglia non ho ottenuto nulla, se non nemici. Adesso si sta cavalcando l’onda su questo argomento, ma

di Timothy Dissegna senza più il cavallo”. Il dubbio avanzato, poi, è sull’effettiva tempistica dei lavori, il cui completamento è stato annunciato entro la fine del 2022, anche perché sulla facciata esterna manca il cronoprogramma, aspetto essenziale per lo svolgimento di un cantiere. Seppur adirata, l’appassionata studiosa di

Il Palazzo Paternolli, ricoperto da qualche tempo da un coreografico telone, dovrebbe diventare la sede di una casa dello studente transfrontaliera con la valorizzazione della “soffitta di Michelstaedter”

Carlo tende la mano a una nuova collaborazione: “Io ci sono, se si parla di competenze, ma servono criteri chiari. Penso di meritare un ruolo in questo progetto, ma è necessario lavorare in squadra”. Lo spazio lo vede anche in altri punti della città: a qualche metro di distanza, si trova un altro tassello della storia di Michelstaedter, ossia la Biblioteca statale isontina. Qui, sia il direttore Marco Menato che la curatrice del fondo dedicato, Antonella Gallarotti, sono prossimi alla pensione e la stessa Pradella auspica un coinvolgimento ulteriore dell’ente nella promozione del giovane filosofo. La mano è tesa anche verso altre iniziative culturali in città, legate sempre al personaggio sepolto nel cimitero ebraico di Valdirose: “Nel mio ultimo libro “110. Carlo Michelstaedter e il tempo della verità”’, ho scritto di Cinzia, una signora che mi fece visionare i libri del filosofo, tra cui alcune prime edizioni. Potrebbe essere un’idea fare squadra con l’Icm ( Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei) - che ha realizzato recentemente un convegno sul tema in Palazzo Krainer di via Rastello - per studiare e tradurre questi testi. Sono più di mille pagine in latino e greco, con numerose annotazioni, di cui si potrebbe farei una nuova edizione”. Lo stesso Icm ha realizzato una stampa con il ritratto del filosofo sul telone, dal lato che

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conduce a galleria Bombi. L’investimento promesso e annunciato a fine 2020 ammonta a oltre 3 milioni e porterà alla nascita di una nuova casa dello studente, destinata sia agli iscritti degli atenei di Gorizia e Nova Gorica. Oltreconfine, infatti, aumenta sempre più la richiesta di spazi abitativi - visti gli alti costi del mercato immobiliare locale - e l’ateneo sloveno ha già preannunciato la volontà di ampliare i propri corsi di laurea, soprattutto in campo scientifico. Lo storico edificio di piazza della Vittoria dovrebbe cambiare così veste, anche con la valorizzazione dell’ala in cui si trova la soffitta e dove recentemente è stato scoperto il disegno di un frate opera quasi certamente di Carlo Michelstaedter. L’immobile venne gravemente danneggiato durante i bombardamenti della Grande guerra. L’ultima attività commerciale di cui si ha memoria al suo interno è un negozio di articoli per la persona, anch’esso chiuso ormai da un decennio. Già nel 2017, proprio su spinta di Pradella, nacque un progetto del Consorzio per lo sviluppo universitario di Gorizia, sposato fin da subito dall’amministrazione comunale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Cinema alla Transalpina di scena “La frontiera” Con l’estate arriva una ricca offerta di proiezioni cinematografiche sotto le stelle nella città sul confine. Il Kinoatelje, in collaborazione con il Kulturni Dom Nova Gorica e sotto l’egida del Comune di Nova Gorica, organizzerà la 9° edizione del Silvan Furlan Open Air Cinema. In otto serate, dal 30 luglio al 6 agosto, arriveranno a Nuova Gorica i classici del cinema e le fresche produzioni slovene nonché europee. Per la prima volta, in caso di maltempo, quest’anno le proiezioni si spostano al cinema. Per la serata di chiusura, invece, è in programma in piazza Transalpina un evento speciale, omaggio al regista e cinefilo Franco Giraldi (Comeno, 1931 — Trieste, 2020), vincitore del Premio Darko Bratina 2011. Verrà proiettato l’ultimo film della sua trilogia di confine: La frontiera (1996), che fece seguito a La rosa rossa (1973) e Un anno di scuola (1977). Un altro evento speciale è previsto a Kanal, con un cine-concerto nella seconda metà di agosto (data da destinarsi). Nella magica atmosfera tra gli alberi, dei musicisti comporranno dal vivo la colonna sonora del film muto L’Inferno (1911), che quest’anno compie 110 anni.


Basaglia a Gorizia, “Diritti al Cubo” ci permette di riscoprire una pagina cruciale della nostra storia

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di Eleonora Sartori orizia oggi si divide in due parti. Una si avvita, l’altra si rompe.

Le parole di Giovanni Fierro nel suo On/Off tratteggiano l’anima della nostra amata/odiata città, tormentata ma consapevole, tuttavia non ancora abbastanza sicura di sé per guardare con disinvoltura a un futuro denso di sfide. Lo stesso titolo, On/Off, ci suggerisce l’intima lacerazione di un tessuto sociale che si riverbera nel nostro essere e vivere quotidiani. Conduciamo, apparentemente tranquilli, una vita che giorno dopo giorno va avanti senza grossi scossoni. Ci accorgiamo di

coinvolgere Alberta - continua Perazza -. Ha sempre avuto un rapporto faticoso con la città di Gorizia. Il suo apporto al progetto è stato fondamentale e non solo perché figlia di Franco Basaglia e Franca Ongaro, ma soprattutto per il taglio che ha voluto dare al percorso”. Diritti al Cubo non racconta la storia di una tecnica psichiatrica, magari interessante ma statica, ma ricostruisce un percorso, non lineare né privo di ostacoli, di attribuzione di diritti. Un percorso portato avanti grazie al coraggio e alla determinazione di un uomo e una donna, di una donna e di un uomo, legati nella vita professionale come in quella affettiva, complementari nella loro lotta sociale. Emblematica è la foto che li ritrae a

©Alberta Basaglia / Fondazione Franco e Franca Basaglia

essere sconnessi quando inciampiamo nel filo elettrico e ci accorgiamo che la spina non è inserita nella presa. Il percorso “Diritti al Cubo” della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia per me è proprio il salvifico inciampo che ti fa pensare che, sì, anche Gorizia, quando vuole, può. La scossa: questo termine, utilizzato per parlare della rivoluzione basagliana, evoca scenari tristi, di soprusi e violenze, l’assoluta normalità fino all’inizio degli anni Sessanta quando a Gorizia arriva un uomo che, un pezzetto alla volta, costringe la società dei cosiddetti normali a prendere atto dell’esistenza del diverso. “Basaglia non arriva con l’intento di chiudere il manicomio, bensì con la volontà di migliorare con piccole azioni quotidiane apparentemente banali, come l’aggiunta di un comodino nelle stanze, la vita delle persone costrette a viverci dentro” – dichiara Franco Perazza, ex direttore del Centro di salute Mentale di Gorizia, nonché membro, assieme a Lucia Pillon e Alberta Basaglia (figlia di Franco, ndr) del comitato scientifico di “Diritti al Cubo”. “Non è stato né facile né scontato poter

Basaglia ha ridato soggettività ai “matti”, così come Pericle ha realizzato pienamente la democrazia ad Atene”. Non si pensi alla classica celebrazione di un uomo divenuto eroe per le sue gesta, perché “Diritti al Cubo” non è niente di tutto ciò. Al centro non vi è, infatti, la narrazione delle vicende dell’epoca, potenzialmente figlia di un percepito ideologico individuale o collettivo, ma la voce degli interpreti, di coloro i quali all’epoca si trovavano a condurre le proprie misere esistenze in via Vittoria Veneto e hanno vissuto sulla loro pelle il prima, l’Off, il buio, l’assenza, e il dopo l’On, la luce, la presenza. Decisiva e anche l’impronta di chi all’epoca per la prima volta si approcciava dall’esterno al disagio

Franco Basaglia giovanissimo appena laureato

casa loro, a Venezia, scattata dalla figlia Alberta ancora piccola: pur guardando in direzioni diverse a emergere è l’affinità intellettuale che li spinge a remare nella stessa direzione. A proposito della loro relazione, Franca Ongaro scrisse: “Lui è un uomo di un’estrema fantasia e irrazionalità e io sono diventata una persona estremamente logica. Credo di essermi in un certo senso costruita come complementare a lui, dato che credevo a quello che faceva perchè quello che faceva mi corrispondeva”

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mentale. Franco Dugo, le cui opere del ciclo Racconti-lacerazione e dei “matti”, accompagnano il visitatore lungo il percorso, ricorda in uno dei pannelli della mostra l’atmosfera elettrica di allora: “Al di là delle gravi, importanti e concretissime questioni che venivano affrontate e dibattute, c’era una sensazione generale di apertura e possibilità, si spalancavano porte, in senso reale e metaforico, come se fosse arrivato il tempo in cui si poteva prendere la parola e dire, o anche urlare, la propria protesta per ogni forma di violenza subita”. Il tempo, per dirlo con me parole di Basaglia in cui si poteva e doveva persuadere: «L’importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile può diventare possibile. Dieci, quindici, venti anni addietro era impensabile che il manicomio potesse essere distrutto. D’altronde, potrà accadere che i manicomi torneranno ad essere chiusi e più chiusi ancora di prima, io non lo so! Ma, in tutti i modi, abbiamo dimostrato che si può assistere il folle in altra maniera, e questa testimonianza è fondamentale. Non credo che essere riusciti a condurre una azione come la nostra sia una vittoria definitiva. L’importante è un’altra cosa, è sapere ciò che si può fare. E’ quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. E’ il potere che vince sempre; noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare.»

Marco Cavallo: l’opera in legno e cartapesta realizzata nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste, oltre a essere un simbolo suggestivo di quegli anni è anche il mezzo con il quale si sono coinvolti i più piccoli. “Ho avuto questa intuizione poi brillantemente realizzata dallo sguardo puro dei bambini e dalle competenze della cooperativa La Collina che ha animato i loro disegni. Marco Cavallo è anche il personaggio che nel cortometraggio visibile nel percorso “Diritti al Cubo” consente di collegare la storia triestina alle sue radici goriziane”. La visione: è proprio il parco San Giovanni di Trieste a costituire un modello per Franco Perazza che sogna il progetto di rigenerazione in chiave storica e culturale

La luce si spinge dal sole che arriva da Šempeter, l’aria è prima fresca poi si scalda e poi sta in via Vittorio Veneto sulla pelle delle mani e del viso di Giacomo Sputnik, che cammina lento. (On/Off, Giovanni Fierro).

“Ora che la mia lunga lotta con e contro l’uomo che ho amato si è conclusa, so che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con lui, per far capire, per farmi capire. Talvolta era un dialogo. Talvolta l’interlocutore svaniva, e io restavo sola, sotto il peso di una verità che si riduce in un’arida resa dei conti con il bilancio in pareggio, se l’altro non la fa anche sua”. “La vera essenza della rivoluzione basagliana è il riportare le persone malate al centro dei diritti. Dal 1961 al 1968 Franco

Franco Perazza, ex direttore del Csm, in parco Basaglia con Marco Cavallo

sue parole si percepisce un po’ di tristezza. Eppure, sessant’anni sono trascorsi, la geopolitica, unendo due Stati, è riuscita dove le menti degli uomini ancora faticano, e la legge, chiudendo i manicomi, è stata più forte degli stereotipi che ancora ci vedono divisi tra “sani” e “matti”, tra “normali” e “anormali”. “Lo stato in cui versa il parco Basaglia tradisce un senso di vergogna e colpa mai opportunamente affrontati - continua Franco Perazza -. Per anni si le vicende goriziane dell’epoca sono state colpevolmente e volutamente rimosse, come una specie di tabù. “Diritti al Cubo” oggi ci regala la possibilità di riconnetterci con un’importante pagina della nostra storia, facendola conoscere alle giovani generazioni che hanno dimostrato nei fatti di saperla affrontare senza pregiudizi di alcun tipo”. Non solo: il percorso virtuale (il nome per esteso è “Diritti al Cubo D3. Gorizia epicentro di una rivoluzione. La fine del manicomio, la nascita dei diritti.”) consentirà a chiunque lo vorrà di conoscere ciò che avvenne nella nostra città tra il 1961 e il 1968. Il Covid ha trasformato la fase realizzativa della mostra in una vera propria corsa a ostacoli ma come sempre accade il coinvolgimento affettivo nei confronti di qualcosa stimola le persone a essere davvero creative. “Diritti al Cubo” è tutto il bello che è stato fatto nonostante la pandemia, fatto umano che ci mette violentemente di fronte ad altre lacerazioni, povertà, disagi con le quali ci troveremo a fare i conti nell’immediato futuro.

Oblio, splendido oblio, 1975, Franco Dugo

Il parco Basaglia: la lentezza è sempre stata una caratteristica di Gorizia che spesso degenera in un vero e proprio immobilismo. L’ospedale psichiatrico provinciale di via Vittoria Veneto è proprio come allora. “Poco o nulla è cambiato” – ha affermato Alberta Basaglia in occasione della conferenza stampa di presentazione di “Diritti al Cubo” e nelle

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del parco Basaglia. “Gorizia potrebbe diventare l’emblema di un territorio transfrontaliero libero dallo stigma, in cui un efficiente privato sociale possa valorizzare la storia basagliana attualizzandone il pensiero”. Dove sarebbe oggi Franco Basaglia e, soprattutto, le conquiste raggiunte grazie alla sua azione sono garantite per sempre? A darci una risposta è il finale del percorso incentrato sulle tragedie dei nostri tempi. I nuovi esclusi: sono i migranti i nuovi “reietti”, quelli rinchiusi per non metterci di fronte al fallimento della nostra società. Il percorso termina con un reportage fotografico di Alex Majoli “Refugee crisis on Lesbos”. Non si può non pensare a un’altra istituzione totale, chiusa e violenta: i Cpr, una vergogna con la quale sembra riusciamo a convivere senza battere ciglio. Viene da chiedersi cosa ne penserebbe Franco Basaglia e se quello sarebbe oggi il teatro della sua battaglia umana e sociale.

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Il percorso espositivo

La visita virtuale con visori VR (virtual reality) è fruibile nella sede della Fondazione su prenotazione a partire da sabato 19 giugno 2021 dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle 12 e dalle 16 alle 18 negli spazi della Fondazione, chiamando il seguente numero: 334.1206960 (dal lunedì al giovedì dalle ore 8:30 alle 13:30 e dalle 14:30 alle 16:30 e il venerdì dalle ore 8:30 alle 14:00). Il percorso espositivo è inoltre disponibile online, attraverso il sito dedicato: www.dirittialcubo.it


Il cipresso calvo, albero del Panovec che vive immerso nell’acqua di Liubina Debeni

to importante per Gorizia in quanto, per la sua conformazione allungata e ricco di vegetazione, la riparava dai venti freddi del Nord. Era tutelato dalle guardie campestri goriziane che impedivano furti di legname. Dopo la Grande guerra - che portò alla distruzione del bosco - negli anni Venti del Novecento venne ripiantato con latifoglie e conifere dall’Amministrazione italiana delle Foreste Demaniali . Furono istituite zone con l’impianto di specie esotiche, tra cui anche l’albero particolare di cui stiamo parlando. Dal 1947 il bosco del Panovec divenne parte del territorio della Jugoslavija, ora Slovenia. Attualmente è curato dal Servizio Forestale Sloveno. Nel 1985 è stato dichiarato monumento naturale e nel 2009 bosco con fini speciali. E’ una zona protetta ma anche molto frequentata, sia dai cittadini locali che dai goriziani. Il bosco è attraversato da sentieri, piste ciclabili, percorsi didattici lungo i quali si possono osservare moltissimi generi di alberi e piante. Sono inoltre a disposizione zone attrezzate dove si possono

fornire ossigeno alle radici. Pur essendo una conifera ha la particolarità di lasciar cadere le sue foglie in autunno dopo che sono divenute rosse, da qui il nome di cipresso calvo. Le foglie sono lineari, appiattite come quelle del tasso ed ha il seme racchiuso in un cono all’apice dei rami. Il tronco di un caratteristico color cannella, con base rafforzata da costolature si innalza ad una cinquantina di metri d’altezza. Per questa sua prerogativa di legno che non marcisce nell’acqua oltre ad essere immune da parassiti animali e vegetali, viene usato nel suo luogo d’origine come legname per costruzioni navali, traversine ferroviarie, palafitte, ponti, tetti, botti, recipienti vari e pavimenti. Merita fare un gita al bosco del Panovec, Covid permettendo, per ammirare questi alberi particolari. L’entrata è dall’ingresso della Stazione Forestale dove inizia il percorso didattico che è stato inaugurato nel 1981 con lo scopo principale di educare alla natura ragazzi e adulti. Si può scegliere tra due percorsi, uno lungo di 1800 m. e con un dislivello di 50 m. e

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uanto è vario il regno vegetale con le sue famiglie, generi e specie di piante, con le loro tipicità, caratteristiche ed esigenze di crescita. Così è stato per le piante arboree del nostro pianeta ben prima della comparsa dell’uomo. Nei millenni c’è stata una continua evoluzione per adattarsi alle nuove situazioni climatiche, pedologiche, che ha portato anche ad una “migrazione”di piante in altre aree col metodo della inseminazione. Ogni genere di albero per crescere bene ha le sue esigenze specifiche di terreno, di clima, di altitudine e latitudine. Ci sono alberi che preferiscono terreni fertili o sassosi, argillosi, sabbiosi, umidi oppure, ma come eccezione, c’è anche un genere di albero, molto particolare che vive costantemente con le radici sommerse in acqua. Dove possiamo vederlo? Questa volta dobbiamo uscire da Gorizia e andare verso est, al bosco del Panovec, che si estende per 380 ettari sulle colline, meta di passeggiate e feste dei goriziani nell’Ottocento. Era un’autentica foresta già menzionata in documenti nell’anno mille, che divenne poi, nel XVI secolo, proprietà della dinastia degli Asburgo che gli dedicarono una grande attenzione, impedendo che venisse distrutta. Questo bosco era composto da varie essenze arboree tra cui in massima parte querce. Nell’Ottocento era considera-

Bimbo caduto nel pozzo, si va verso l’udienza preliminare L’avvocato di Ziberna: “Sicurezza, macroscopiche omissioni”

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odici persone si sono viste recapitare nei giorni scorsi altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari per la morte di Stefano Borghes, il tredicenne goriziano precipitato il 22 luglio 2020 nel pozzo del parco Coronini Cronberg mentre stava partecipando, insieme ad altri otto ragazzini del centro estivo parrocchiale “Estate tutti insieme”, a una gara di orienteering, una sorta di caccia al tesoro. La novità dell’ultima ora è stata rappresentata dal fatto che il sostituto procuratore della Repubblica, dottoressa Ilaria Iozzi, ha depennato dall’elenco degli indagati i due ex componenti del Curatorio della Fondazione Coronini, ovvero l’ex assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti e l’ex Soprintendente alle Belle Arti del Fvg, Giulia Corrado Azzolini. In precedenza erano usciti dall’inchiesta anche i due giovani animatori del centro estivo che avevano organizzato da “caccia al tesoro”.

di Vincenzo Compagnone oculare, che si trovava con Stefano al momento del dramma. Quest’ultimo, con estrema lucidità e precisione, ha raccontato che l’amico era salito “carponi”, praticamente in ginocchio, sul coperchio circolare in acciaio del pozzo (alto con mezzo metro e del diametro di un metro e venti) per afferrare un foglietto la mappa delle indicazioni posizionato da un animatore. Così facendo, involontariamente Stefano aveva fatto leva sulla piastra che, dopo pochi secondi, aveva ceduto, finendo in fondo al pozzo in verticale, a testa in giù, dopo un volo agghiacciante di una trentina di metri e morendo praticamente sul

Il numero degli indagati, tuttavia, è rimasto inalterato perché alla lista sono sono stati aggiunti i nomi dei due tecnici (Federico Costadura e Matteo Turcutto) che nel 2019 avevano redatto il documento di valutazione dei rischi relativo al parco e che inizialmente, un po’ a sorpresa, non erano stati raggiunti da avvisi di garanzia.

fare pic-nic. Un albero da scoprire: cipresso calvo – Taxodium distichum Località: bosco Panovec (SLO) Vipavska cesta, entrata dal sentiero della casa dei forestali- zavod za gozdove Slovenije. Tra storia, botanica e curiosità: specie originaria delle zone paludose e dei margini dei fiumi della Florida e del Golfo del Messico il Taxodium distichum venne introdotto nei giardini europei a scopo ornamentale a metà Seicento e più precisamente piantato sulle rive di stagni e ruscelli di grandi parchi. E’ facile identificarlo per la sua particolarità di stare immerso nell’acqua dei ruscelli e stagni, mentre attorno al suo tronco ci sono delle sporgenze legnose emergenti, i pneumatofori, che servono all’albero per 10

uno corto di 1000 m. con un dislivello di 4 m. Il percorso breve è percorribile anche dagli invalidi in sedie a rotelle. In questa zona paludosa attraversata da un corso d’acqua si posso ammirare 35 generi diversi di alberi particolari, originari da altri continenti tra cui sul lato destro del sentiero anche più piante di Taxodium distichum , molto alte circa 30 m e ben riconoscibili per le radici affioranti. Una curiosità: a Scodovacca (Cervignano del Friuli), nel parco di Villa Chiozza, ci sono dei Taxodium distichum immersi in un torrentello. Meritano anch’essi una gita, possibilmente in estate, per ammirarli. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

A completare l’elenco degli indagati (l’accusa ipotizzata è quella di omicidio colposo con l’aggravante di non aver ottemperato alle norme previste in materia di sicurezza, pena prevista da un minimo di 2 a un massimo di 7 anni) c’è l’intero Curatorio della Fondazione, di cui è presidente il sindaco Rodolfo Ziberna: nell’avviso di chiusura delle indagini si parla di “negligenza, imprudenza e imperizia” per aver omesso di mettere in sicurezza il vecchio pozzo della corte tra villa Kugy e le ex scuderie del parco. In particolare, non sarebbe stata “assicurata con idonea copertura la cavità”: la vera dell’ottocentesco pozzo avrebbe dovuto sostenere carichi di almeno 250-300 kg e andava sostituita perché vetusta. La dinamica del tragico incidente è stata ricostruita nei minimi dettagli anche grazie all’incidente probatorio durante il quale è stato ascoltato dal magistrato inquirente il ragazzino, unico testimone

cessità di porre in sicurezza il pozzo. Più sfumato potrebbe essere il ruolo di altri membri del Curatorio come l’assessora regionale alla Cultura Tiziana Gibelli che ha affermato di non aver partecipato ad alcuna riunione dell’organismo. Ma come si dipanerà ora il prosieguo del procedimento? “Noi difensori – spiega l’avvocato Antonio Montanari, che assiste Rodolfo Ziberna e la soprintendente alle Belle Arti Simonetta Bonomi, componente del Curatorio – abbiamo chiesto l’accesso agli atti e abbiamo 20 giorni di tempo per presentare delle memorie, produrre dei documenti o chiedere che i nostri patrocinati siano ascoltati dal pubblico ministero. Successivamente quest’ultimo convertirà l’imputazione in una richiesta di rinvio a giudizio e verrà fissata la data dell’udienza preliminare. In tale sede il Gup (Giudice dell’udienza preliminare, ndr) deciderà in merito a rinvii a giudizio o eventuali proscioglimenti, mentre gli avvocati sceglieranno la strategia da adottare, che potrà andare dal patteggiamento, alla richiesta di rito abbreviato con sconto di pena o al processo vero e proprio”. L’avvocato Montanari giudica “estremamente corretta” la decisione del magistrato di inserire nella lista degli indagati i due professionisti che non avrebbero neppure preso in esame la presenza del pozzo come fonte di pericolo. “Ritengo – sottolinea il legale – che vi siano state delle macroscopiche omissioni in tal senso. E’ vero che il presidente del Curatorio assume la veste di Rspp (responsabile dei servizi di prevenzione e protezione, ndr) ma nella circostanza era anche il “datore di lavoro” di coloro i quali avrebbero dovuto effettuare i necessari controlli che erano stati loro commissionati”.

colpo. Vano era stato l’intervento dei soccorritori, 118 e vigili del fuoco, accorsi immediatamente sul posto. Le posizioni più delicate in merito all’accaduto sembrano essere quelle del sindaco Ziberna in quanto presidente del Curatorio, dei due tecnici e del direttore Enrico Graziano che avrebbe omesso di segnalare al Curatorio stesso lo stato di conservazione della copertura e la ne-

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La posizione del sindaco Ziberna, in questo caso come presidente del Curatorio, induce obiettivamente a una riflessione che riguarda le infinite responsabilità che fanno capo ai primi cittadini, e ricorda il recente caso della sindaca di Crema raggiunta da un avviso di garanzia per l’incidente occorso a un bimbo che si era schiacciato un dito nella porta anti-incendio dell’asilo comunale. Già per il prossimo autunno, in ogni caso, sono attesi i prossimi sviluppi del procedimento giudiziario condotto dalla Procura di Gorizia. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Sergio Tavano: dalle leggi razziali all’occupazione titina e alla rinascita, vi racconto la Gorizia della mia giovinezza

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utto ha avuto inizio con un mio pezzo dal titolo “Ana, Joško e le rose”, un racconto che ho voluto dedicare alla memoria delle vittime del confine goriziano tra Italia e Jugoslavia, 1947 – 1991, comparso sul numero di novembre 2020 di “Gorizia News & Views”. La telefonata del professore, nostro fedelissimo lettore, è arrivata qualche tempo dopo. “So che il suo è un racconto di fantasia. Io vorrei raccontarle che cosa accadde davvero in quegli anni”. Il suo invito a rilasciarmi un’intervista arriva come un regalo inatteso.

di Anna Cecchini – frequentavo la scuola elementare in via Cappella - il maestro ci comunicò che un nostro compagno non sarebbe più tornato a scuola. Fu un pugno nello stomaco, il culmine di un periodo d’inquietudine che toccava anche noi ragazzi: scoprimmo che cosa significava essere ebrei. C’erano i sabati fascisti, in cui bisognava infilarsi la divisa, fatta di lana artificiale per praticare l’autarchia, marciare con il moschetto in spalla in Piazza del Fieno (ora piazza Divisione Julia) e dire addio alle libere scorribande sui prati del mercato degli animali nella zona di via Dietro il Castello (ora via Giustiniani) dove abi-

Dopo la visita a Trieste del 18 settembre 1938 e la tristemente nota proclamazione delle leggi razziali, Mussolini arrivò a Gorizia due giorni dopo per un altro storico discorso in piazza Vittoria. Fu un colpo durissimo inferto a una popolazione plurima e composta per secoli da italiani, germanici e slavi. L’idea di affermazione della “razza italiana” e di un nazionalismo imposto dall’alto senza considerazione per le radici composite del territorio rappresentò un terribile capitolo della storia del Goriziano, che culminò con l’entrata in guerra”.

delle risorse. Sappiamo bene come finì anche questa iniziativa militare: la ritirata di Russia fu l’ennesima tragedia di una politica scellerata. Fu un periodo terribile. Parte della mia famiglia cercò rifugio in Friuli, ma io ed il mio fratello minore rimanemmo a Gorizia. L’8 e il 9 settembre del 1943 furono durissimi. Li trascorremmo sotto il fuoco dell’artiglieria che sparava dal Rafut verso il centro e da Straccis a nord. Noi eravamo lì, nel mezzo. E’ davvero difficile esprimere il senso di vuoto, devastazione e miseria di quei tempi. I colpi, le imboscate, la miseria e la paura costante. Arrivò poi la retata delle SS nel novembre del 1943, quando ciò che rimaneva della comunità ebraica fu deportato in Germania. La guerra a Gorizia non finì nell’aprile del ’45. L’occupazione titina rappresentò un altro periodo d’incertezza, vendette e paura. Ricordo che per la città giravano le auto jugoslave con a bordo anche un

IL DOPOGUERRA “Nel settembre 1947, alla vigilia del tracciamento del confine, salii per l’ultima volta alla Castagnavizza. Ero consapevole della perdita che ci aspettava e fu un momento di tristezza estrema. Ricordo un altro episodio particolare che dà la dimensione dell’ennesima ferita subita da Gorizia. Bepo Mat era un tipo strambo, un originale, un mezzo matto nostalgico dell’Austria che non faceva male a una mosca, ma girovagava dalle mie parti fingendo di essere una locomotiva e cantando “Viva la (o l’A.) e po’ bon”. Aveva l’abitudine di andare a dormire nella stalla della famiglia Leban in via Rafut, che la nuova linea di confine aveva assegnato alla Jugoslavia, una delle tante proprietà spezzate in due. Fu lì che la morte lo colse nel sonno, costringendo l’Italia a una lunga trattativa per il recupero della salma e il suo trasferimento oltre confine. Passarono altri due anni di silenzio e separazione, di famiglie divise e di una

LA GUERRA

Mi accoglie nella sua bella casa affacciata sul Calvario con grande cordialità e con il suo sguardo azzurro e benevolo. Non parleremo di capolavori paleocristiani o di tesori archeologici, in questi incontri. Parleremo della Gorizia della sua giovinezza, quella più dolorosa e lacerante, quella che ha perso tutto, ma che è anche stata capace di ricominciare, di trovare tra le macerie della divisione il filo che bisogna pazientemente riannodare per costruirne la rinascita culturale e politica. Parleremo di un trentennio cruciale per la città, quello tra 1938 e il 1966, per provare a capirla meglio. IL FASCISMO “Ci fu un episodio che mi fece spalancare gli occhi. Era l’ottobre del 1938, avevo solo dieci anni. Quella mattina in classe

Uno dei fatti più significativi di quelle giornate avvenne durante una conferenza del professor Ciril Zlobec, professore sloveno d’italiano e vicepresidente dell’Accademia delle Scienze e delle Arti slovene. Egli iniziò il suo intervento in lingua slovena. Di fronte allo sconcerto dell’uditorio internazionale, Zlobec riprese a parlare in italiano: “Non preoccupatevi. Sono stato uno studente nel ginnasio di Gorizia, espulso dal regime fascista perché scrivevo poesie in sloveno, la mia lingua madre. Ho voluto solo rendere omaggio alla nuova possibilità di tornare a parlare in pubblico lo sloveno”. I nostri incontri sono per il momento terminati. Ci lasciamo con una promessa, quella di rincontrarci presto per riprendere questo viaggio della memoria con uno sguardo rivolto al futuro. E con un ultimo rimando alla storia. In un volume curato dal professor Tavano, il conte Guglielmo Coronini riporta un documento veneziano datato 1459. Siamo nel tardo Medioevo, ma vi è scritto che “…a Gorizia si parlano l’italiano, l’alemanno e lo slavo”. Una comunità plurilingue è capace di declinare la sua cultura con linguaggi diversi. Questa è sempre stata la nostra ricchezza. E’ questa ricchezza che dobbiamo coltivare per costruire il futuro.

Il curriculum del professor Sergio Tavano, classe 1928, novantatré inimmaginabili anni portati con eleganza, fa tremare le vene e i polsi. Laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Trieste con una tesi in Archeologia cristiana; professore universitario di Storia dell’arte bizantina e di Archeologia e storia dell’arte paleocristiana e altomedievale a Trieste fino al 2000 e poi anche a Udine; un’attività scientifica instancabile sui monumenti locali e su innumerevoli centri archeologici dell’area mediterranea e mitteleuropea; centinaia le pubblicazioni al suo attivo. Ha collaborato in importanti ricerche archeologiche e partecipato a congressi scientifici; socio di accademie e istituzioni culturali del calibro della SAZU di Lubiana e della Deputazione di Storia patria per il Friuli e quella della Venezia Giulia, direttore responsabile e redattore di periodici e una lista lunghissima di premi e riconoscimenti. Per favore, leggetelo sul web perché riassumerlo è impossibile.

mitteleuropei avviò una serie d’incontri mirati a riallacciare i rapporti internazionali forzatamente interrotti a seguito della guerra e della Cortina di ferro. Il tema del primo incontro (1966) fu la poesia e l’ospite d’onore Giuseppe Ungaretti, in occasione del centenario della stesura de “Il porto sepolto”. Ero un giovane professore allora, ed ebbi l’onore di accompagnarlo nel corso della sua visita ai luoghi della Grande Guerra.

©RIPRODUZIONE RISERVATA Il professor Tavano durante i festeggiamenti per i suoi novant’anni

tavo. Era proibito parlare lingue diverse dall’italiano e sappiamo bene che cosa accadde agli sloveni, privati anche della possibilità di chiamarsi col loro nome, perseguitati e oppressi in ogni modo. Fu proibito anche il friulano, che molti sacerdoti usavano nelle funzioni religiose per essere più vicini ai loro parrocchiani. Nessun prete o vescovo si dimise mai, in Italia, durante il ventennio fascista, con due illustri eccezioni: quelle dell’arcivescovo Francesco Borgia Sedej, contrario alle politiche di snazionalizzazione di sloveni e croati, costantemente sotto pressione dal regime fino alle sue dimissioni del 23 ottobre 1931, e del goriziano Luigi Fogàr, vescovo di Trieste e Capodistria, che lottò per il mantenimento delle liturgie e dei canti in lingua slovena e croata, osteggiato dal regime fino alla rinuncia della carica. Tornò a Gorizia Fogàr, dopo la destituzione, e diceva messa ogni mattina nella cappella delle suore Notre Dame. Io ebbi la fortuna di fargli da chierichetto e non scorderò mai la signorilità e la gentilezza di quell’uomo che aveva sfidato il regime in nome dei diritti irrinunciabili della sua comunità.

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“Ricordo molto bene quando nel ’42 arrivarono a Gorizia gli alpini, reduci dalla tremenda sconfitta subita in Grecia e Albania e dallo schianto del sogno espansionistico di Mussolini nei Balcani. Si accamparono proprio di fronte a casa mia, nell’area del vecchio mercato del bestiame. Molti erano friulani, come noi. Il comando requisì alcune stanze di casa nostra e alcuni provarono un breve conforto a parlare con noi la loro lingua, prima di ricevere la notizia di una prossima partenza per la campagna di Russia. La missione sciagurata era quella di conquistare il Caucaso e appropriarsi dei giacimenti di petrolio, che all’Italia scarseggiava. Ricordo benissimo questi poveri soldati che, una domenica pomeriggio, noleggiarono delle motociclette e cominciarono a percorrere le vie cittadine a grande velocità confidando in un serio incidente pur di evitare la partenza. A scuola ci insegnavano che la presunta supremazia razziale italiana giustificava le mire espansionistiche e legittimava la scelta di invadere i territori e appropriarsi

La fattoria della famiglia Leban a Rafut attraversata dal confine del 1947

partigiano italiano per orientarsi nelle vie cittadine e prelevare quanti erano ritenuti avversari pericolosi. Fummo obbligati a esporre una bandiera italiana con la stella rossa per acclamare l’occupazione da parte dell’esercito di Tito. Noi esponemmo un fiocco rosso – non dimentichiamo il significato goriziano di “prendere per il fiocco”!- ricevendo in cambio un ordine secco di esporre la bandiera prescritta. Furono fatti saltare i ponti IX agosto e Peuma per ostacolare l’avanzata dell’esercito alleato, che riuscì ad arrivare a Gorizia da Sagrado e Sdraussina. La città si trovò quindi occupata contemporaneamente da neozelandesi e da jugoslavi, mentre al di là dell’Isonzo il territorio era affidato al comando delle Brigate Garibaldi e Osoppo e al controllo italiano. Io e mio fratello riuscimmo a farci accompagnare dai neozelandesi oltre la passerella di Straccis; da lì partimmo a piedi per rifugiarci da alcuni parenti dalle parti di Mortegliano. Vi rimanemmo fino al 12 giugno, quando Gorizia fu occupata stabilmente dal Comando alleato, in attesa di conoscere le sorti della città.

comunità spezzata. Ciascuna ricominciò a ricostruirsi, ma senza parlarsi più. Fu solo nel 1950, durante la ben nota “Domenica delle scope” che le famiglie poterono riunirsi, abbracciarsi, scambiare il poco che avevano. Resistemmo a quegli anni di povertà e d’incertezza con la cultura. Le associazioni cattoliche (anzitutto con la Stella Matutina) offrivano tante occasioni d’impegno e di svago. Il teatro, la musica e lo sport ci davano ricreazione, senso di comunità e occasioni formative. Ricordo anche gli incontri politici semi-clandestini tenuti da Rolando Cian, che ci parlava di democrazia, diritti e rinascita. Fu negli anni ’50 che si manifestò da ambo le parti la volontà di superare quell’assurda divisione. Cominciarono i primi segnali di distensione e le aperture che trasformarono quella tra Italia e Jugoslavia in una delle frontiere più morbide con l’Est europeo. E arrivò infine quell’esperienza che gettò le basi per trasformare Gorizia in un modello culturale per una nuova Europa. L’Istituto per gli Incontri culturali

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Il sapore del bosco Il 6 luglio alle 18.30 l’associazione via Rastello ospiterà la presentazione del libro “Il sapore del bosco. Storie di cibo semplice” di Anna Cecchini, edito da MGS Press. Sarà una vera e propria chiacchierata tra donne il cui filo conduttore sarà proprio “Il sapore del bosco” e la cucina, le ricette della tradizioni e l’importanza del raccontarle. Si parlerà anche del concetto di cucina di recupero, al come evitarla non sprecando il cibo. Le protagoniste dell’evento saranno l’autrice, Anna Cecchini, Michela Fabbro, titolare dello storico locale “Rosenbar” e Chiara Canzoneri, anima dell’associazione via Rastello e chef. L’appuntamento è alle 18 nella piazzetta di via Rastello. L’8 luglio, due giorni dopo, “Il sapore del bosco” ritorna, ma questa volta a Gradisca d’Isonzo alle 20.30 in Corte Marco d’Aviano. Eleonora Sartori converserà con l’autrice.


Il caso-Saman va ricondotto a una “tossicità culturale” di Ismail Swati

L’

orribile notizia della scomparsa, prima, e poi dell’uccisione della diciottenne reggiana di origini pakistane Saman Abbas è stata ripresa come una notizia sensazionalistica da tutti i mezzi di informazione nazionali. L’agghiacciante fatto di cronaca ha ricevuto ampie condanne da entrambi gli schieramenti della sfera politica, suscitando critiche sia in Italia che in Pakistan. Tuttavia, è triste constatare che non si tratta del primo, né sarà l’ultimo, “delitto d’onore” perpetrato contro una donna In Italia. La tragica storia di Saman Abbas ricorda quella di molte altre ragazze della sua età, ma vale comunque la pena di riassumerla per comprenderla meglio. Le tracce di Saman si sono perse a maggio 2021. La sua famiglia ne aveva organizzato un matrimonio forzato, che la ragazza aveva tuttavia rifiutato cercando rifugio come ospite della comunità minori di Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Quando è tornata, una volta raggiunta la maggior età, è scomparsa. La polizia ha iniziato subito a indagare sull’accaduto, ipotizzando fin dall’inizio lo scenario peggiore. Le indagini – nel momento in cui scriviamo - sembrano confermare che Saman sia stata uccisa e sepolta da un cugino e dallo zio. Dopo la sua morte, i genitori sono partiti per il Pakistan, mentre il cugino, rifugiatosi in Francia, è stato rimpatriato in Italia grazie a un’operazione di polizia transfrontaliera.

Va sottolineato che nelle antiche società dell’Asia del sud, la donna aveva un ruolo rispettato e importante, come dimostrano anche le molte divinità femminili presenti nelle religioni più antiche. Con l’emergere delle società patriarcali e la loro relazione con il sistema delle caste indù, tutto ciò ha portato a degli stravolgimenti, le cui conseguenze negative sono percepibili ancora oggi. Un ruolo centrale lo ha avuto la diffusione del sistema delle caste, che organizza la società sulla base di rigide segregazioni di ruolo e occupazione, e che ha indebolito le possibilità di emancipazione femminile. Più recentemente un ulteriore attacco alla condizione femminile è stato legato alle vicende geopolitiche globali, che hanno facilitato l’instaurarsi di regimi repressivi nel continente e prodotto l’erosione delle economie locali. Così, è successo che in Asia meridionale si sia rafforzata l’idea della donna come proprietà della famiglia e oggetto di piacere dell’uomo. A molte giovani viene insegnato sin da piccole che il loro ruolo è quello di essere sottomesse ai loro mariti e preservare l’onore delle loro famiglie. Questo implica a volte forzarle a matrimoni con parenti o cugini, come è il caso di Saman, con il motivo di garantirne la sicurezza, evitando cioè che la sposa finisca in mano di famiglie sconosciute, e per mantenere la proprietà/dote all’interno della famiglia per evitare di disperdere la dote stessa. Se la donna si ribella, e disubbidisce alla famiglia, ciò viene considerato un disonore, e di conseguenza punito.

Questa non è l’unica storia che ha attirato l’attenzione del mondo occidentale. Nonostante molte delle analisi mettano in relazione tali vicende alla fede religiosa, incolpando quest’ultima di esserne all’origine, personalmente considero che sarebbe meglio parlare di “tossicità culturale”. In quanto cittadino nato e cresciuto in Pakistan, ho avuto occasione, infatti, di sperimentare con mano gli effetti di questa “tossicità”. Si tratta di una cultura diffusa in tutta l’Asia meridionale, che ha a che fare con la modalità in cui il sistema patriarcale si è diffuso in questo contesto.

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Il concetto di onore in relazione al controllo delle donne è abbastanza radicato in tutte le società patriarcali. Il movimento di emancipazione femminile ha fatto molta strada per superare la condizione delle donne, e anche il Pakistan si è dotato negli ultimi anni di leggi contro i delitti d’onore. Tuttavia queste ultime faticano ad essere rispettate. La corruzione e il persistere di una cultura che protegge gli aggressori mentre colpevolizza e isola le vittime, quando quest’ultime sono delle donne, rende difficile ottenere dei miglioramenti in questo campo. Anche per questo si capisce la decisione della famiglia di Saman di ritornare in Pakistan. Tuttavia resta da chiedersi come questo sia stato possibile, e se non ci sia state anche delle mancanze da parte dello Stato Italiano, non solo nell’impedire la fuga all’estero dei genitori, ma anche di garantire a Saman quella possibilità di scelta, fuori dalla famiglia, che lei chiedeva. La conclusione di questa analisi che abbiamo provato a delineare è che Il problema del delitto d’onore non scomparirà da solo, ma solo se sosteniamo i percorsi di emancipazione delle donne, la consapevolezza e l’impegno attraverso l’integrazione effettiva e un sistema di giustizia che tuteli i diritti effettivi delle giovani donne straniere. Soltanto questo, a nostro parere, potrà fare la differenza. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Città unica con Nova Gorica, il dibattito non può prescindere dal sentimento che anima le due comunità

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ittà unica si, città unica no. La frammentazione del centrodestra, con l’uscita da Forza Italia dell’onorevole Guido Pettarin, si gioca anche attorno al rapporto futuro tra Gorizia e Nova Gorica, di cui lo stesso deputato ha parlato. Di tali scelte sul nostro futuro si deve parlare qui, evitando che le segreterie regionali dei partiti dettino la linea. Si veda l’esempio dell’onorevole Sandra Savino, triestina, che a nome di Forza Italia è scesa subito in campo con l’armatura della più fulgida italianità, per dire subito no alla città unica. Che ciò sia avvenuto per avversare Pettarin e la sua proposta, poco importa. Importa invece che qui localmente cresca il dibattito, senza ordini di scuderia.

di Lucio Gruden to di ravvivare le distanze tra l’idea di una Gorizia vedetta italica antislava e quella di resistente bastione dell’antifascismo. Con ogni rispetto per le storie personali di tutti, è roba che oggi non aiuta. Purtroppo, però, soggetti manipolatori costruiti nell’intarsio di un moralismo che poco c’entra con la storiografia, sono posti da tempo a baluardo di quella politica che persegue, quale suo unico orizzonte, la mera conservazione dell’esistente, per conservare se stessa.

esempio, avevo proposto uno speciale gemellaggio GO/N-GO, da promuovere nelle varie sedi comunitarie per esaltare la sperimentazione possibile del nuovo ecosistema transfrontaliero. Se rimaniamo nell’ambito economico, ricordo che la collaborazione transfrontaliera oggi è limitata al Gect, un soggetto tecnico per la predisposizione di progetti in settori di comune interesse. Un soggetto però in crisi, perché non riceve compiti sufficienti dalle tre amministrazioni: anche questo è un limite che riguarda la diversa visione di integrazione possibile. Comunque, se la maggioranza dei goriziani riterrà di andare avanti assieme a Nova Gorica, al di là della possibile città comune o meno, lo si vedrà già alle prossime elezioni comunali. Gorizia nel 2017 ha scelto come sindaco Ziberna, in cui evidentemente si è maggiormente riconosciuta, com’è giusto che sia in democrazia. Ma sembra che lo abbia fatto senza avere chiare le conseguenze della precedente politica di isolamento autoreferenziale di cui Ziberna stesso rappresenta la continuità. Oggi quella politica è diventata di totale sottomissione alla Regione e anche, in parte, a Trieste e a Monfalcone.

Le due città hanno avuto una storia diversa, l’una in parte succedanea a quella dell’altra. Se ora vogliono guardare avanti assieme, lo devono fare con sano realismo e un nuovo attivismo.

Intanto: di quale futuro si parla? Di due città che non si danno più Lo storico incontro tra i presidenti Mattarella e Pahor le spalle ma non sanno ancora come guardarsi? Oppure di due città che hanno scelto di fissarsi negli occhi per lavorare come se fossero Ancor oggi la città fatica a riconoscere che già una città unica, come dice Pettarin? E Per fortuna però ci sono altri modi. Il proprio questo isolamento rispetto all’oltre soprattutto, sappiamo cosa ne pensano le primo è quello di fare riferimento alla confine e verso il resto della provincia, due popolazioni? volontà popolare: sondare le persone, ha causato la progressiva perdita di peso scandagliando quale sia il sentimento prepolitico regionale. Perché l’idea di città unica vera e propria dominante nelle due comunità. Il secondo si fonda proprio sulla comune volontà di è guardare all’economia, alla convenienza, Si consideri, per esempio, che i fondi due popolazioni di unirsi, in questo caso alle opere da realizzare assieme. regionali destinati a Gorizia capitale della addirittura quale avamposto sperimentale. cultura 2025 saranno gestiti non già dal Per la città unica serve uno status extraOgnuno di noi conosce ciò che lo aniComune, ma dalla Regione stessa. E si nazionale, fondato su un atto di autodema effettivamente e da dove nasca il suo rilevi, sempre a titolo di esempio, che già il terminazione in cui si formalizza tutto sentire? giorno dopo la movimentata approvazione ciò che accomuna, abbandonando ciò che del bilancio, il sindaco Ziberna ha didifferenzia. Chi ama questa terra è chiamato oggi chiarato che intende cedere a una società a tale sforzo (questo sì, da degnissimo della Regione (con i privati) la gestione cittadino della Capitale della cultura), per In questo quadro occorre non rivangare dei nostri parcheggi: il che pare assurdo, gli antichi dissapori e abbandonare l’idea chiarire le posizioni in campo e le ragioni stante il Piano del traffico che ancora non che sia indispensabile un ulteriore approretrostanti, ma anche per mettere a fuoco c’è, e soprattutto che tale scelta ci porterà a fondimento storico (ma forse soprattutto ciò che abbiamo dentro. Serve più luce. E vedere compromessa la nostra autonomia politico) sulle vicende del ‘900. Se dovesse dunque servono soprattutto i giovani, che progettuale sulla viabilità cittadina. luce devono fare. esserci questo condizionamento, non si andrebbe da nessuna parte, in particolare Tutto ciò avverrebbe proprio quando dopo che i due Presidenti della Repubblica Che la formale città unica sia una chimera andrebbe favorita una nuova viabilisi sono già tenuti per mano, quali simboli impossibile – a causa dello status sovratà complessiva verso l’oltre confine e il viventi, nei luoghi degli orrori del passato. nazionale ed extranazionale, sancito dalla sotto-castello, una diversa mobilità e la UE e concesso dagli stati nazionali – quecondivisione, quanto meno nelle linee Il richiamo a indispensabili chiarimenti è sto non lo sappiamo. Ma oggi non serve. guida, dei rispettivi piani regolatori delle spesso fatto da entrambe le parti politiche, Serve una manifestazione istituzionale due Gorizie. Perché ciò sta avvenendo? di destra e di sinistra, con il bilancino in congiunta, in un atto di comune autodeuna mano e il segnapunti nell’altra. Ciò terminazione, che fissi i principi ispiratori ©RIPRODUZIONE RISERVATA diventa la foglia di fico che produce l’effetdel futuro cammino. A suo tempo, per

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San Rocco, torna la sagra ma con molte limitazioni di Eliana Mogorovich

indietro del Covid nel periodo estivo, si era deciso per lo stop, causato – oltre che dall’incertezza generalizzata di fronte alla situazione - dalla difficoltà a mettere in moto una macchina organizzativa che, in tempi normali, comincia a essere oliata già nei primi mesi dell’anno per stilare l’elenco delle forniture, mettere a punto il programma di eventi collaterali e arruolare i volontari. Ma adesso si è deciso di far prevalere l’ottimismo: nelle settimane centrali di luglio si sono svolte le prime riunioni con chi concretamente scenderà in campo per cucinare, ma anche - novità forzata causata dal virus – igienizzare i posti a sedere, conteggiare gli ingressi, direzionare le file delle persone in attesa dei piatti fumanti. Ma, anche qui, non sarà come gli anni passati: alcune delle recenti new entry della cucina (pasticci di verdure, melanzane alla parmigiana) usciranno dal menù che prevederà solo griglia, gnocchi, patatine e dolci. E questi non saranno impiattati ma chiusi in contenitori con coperchio, rigorosamente riciclabili visto che la sagra di san Rocco è eco-friendly.

i ricomincia. Ma la musica sarà distante. E pure quell’atmosfera di festosa convivialità e condivisione che l’hanno sempre caratterizzata. Dopo un anno di stop causato dalla pandemia, quest’anno la sagra di San Rocco ci sarà. Ultima e più antica superstite delle feste che fino a qualche decennio fa quasi si accavallavano fra i quartieri cittadini e i comuni circostanti Gorizia, l’evento riparte ma zoppo di buona parte di ciò che lo caratterizzava. «Abbiamo voluto dare un segnale per dire che l’associazione è viva e presente» dichiara Laura Madriz, presidente del Centro per la Conservazione e la Valorizzazione delle tradizioni popolari del Borgo. «Sappiamo che ci saranno delle difficoltà perchè, se dovessimo tornare in zona gialla dovremo stare a casa: ma confidiamo che il caldo e i vaccini allontanino il virus».

Probabile quindi, ma non certo, un ritocco dei prezzi, mentre sicuramente subirà un rallentamento il servizio, rigorosamente gestito con gli eliminacode. La pazienza sarà quindi l’elemento imprescindibile richiesto agli ospiti, che non potranno purtroppo ingannare l’attesa curiosando fra le coppie sulla pista da ballo: causa l’invito al distanziamento, questa rimarrà vuota, così come lo spazio per le orchestre, sostituite dalla più impersonale musica riprodotta. La sagra, che durerà dall’8 al 16 agosto, non terminerà con la tradizionale tombola nel giorno del protettore del Borgo, abolita per evitare possibili assembramenti: e questo nonostante il controllo degli ingressi che verrà costantemente effettuato secondo le norme che, al momento in cui scriviamo, devono ancora essere comunicate dalla Prefettura. Rimangono la pesca di beneficenza e gli eventi culturali, ancora in fase di definizione. Saranno una mostra fotografica e tre appuntamenti che analizzeranno l’aspetto storico, artistico e culinario della Gorizia del secondo dopoguerra, tutti ospitati nella Sala Incontro.

Lo scorso anno, nonostante il passo

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Astenuto? No, davanti a un bivio devi scegliere La vita ci pone davanti a scelte continue. Cosa fare in questo momento? Vado a destra o a sinistra? Bevo il caffè o il latte? All’ ITI Malignani di Udine ho avuto l’opportunità di avere come insegnante il professor Petrei. La sua materia era la fisica ma ci interrogava anche in matematica perché affermava che senza la matematica non si può capire la fisica. Oltre a questo, avendo vissuto il periodo bellico, aveva l’abitudine di discutere con la classe temi riguardanti l’educazione civica. Durante il ventennio era difficile capire da che parte stare, dato che sin dall’infanzia l’inquadramento dittatoriale riempiva ogni istante della giornata. Scegliere implica poter disporre di informazioni, consapevolmente alla realtà, al fine di assumersi la responsabilità dei propri atti, nei confronti degli altri. Non è facile quindi dover scegliere se non siamo ben informati. Ancor oggi la propaganda politica cerca di indurre molte persone a seguire strade che potrebbero, nel prossimo futuro, porci su binari pericolosi. La Polonia e l’Ungheria ne sono un esempio. L’Europa sembra essersi appagata di questo lungo periodo di libertà. Avendo la possibilità di confrontarmi con i ragazzi stranieri, ospitati al Nazareno, posso sicuramente affermare che gli impianti dittatoriali sono culture estremamente complesse che costringono l’individuo a confrontarsi con sottili e costanti inganni culturali, incastro di prigioni da cui è molto difficile uscire. Per questo mi sono tornate in mente gli scambi di vedute con il mio caro professor Petrei. A noi, figli del dopoguerra, chiedeva di studiare la Storia “comparata” per non cadere nel vuoto della demagogia, di essere sempre pronti a scegliere per il bene comune e non per il proprio ed unico interesse. Di non fidarsi di chi, a buon mercato, offre speranze impossibili da realizzare nel breve periodo. Si chiamano cantieri delle idee, ma chi lavora parla poco perché è impegnato a progettare, programmare e agire per il raggiungimento della meta fissata. Una cosa che irritava in modo particolare, il professore. era la parola “astenuto”. Davanti al bivio devi scegliere altrimenti deleghi ad altri il tuo futuro. È così che nascono le tirannie, affermava. Astenersi significa restare fermi ad aspettare, ma la vita scorre sempre, molto velocemente. Il 2025 ci attende, abbiamo bisogno di persone che sappiano prendere decisioni certe e non astenersi per poi dopo lamentarsi che il tutto è rimasto come prima. La democrazia dipende dalla partecipazione attiva della cittadinanza; votare con consapevolezza è estremamente necessario. “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico” così recita la nostra Costituzione. (renato elia)

“Lascio la Biblioteca dopo 25 anni: mi mancheranno il profumo polveroso dei libri e i magazzini carichi di storie”

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uando si è diffusa la voce che lasciavo (dal primo agosto) la direzione della Biblioteca statale isontina, la domanda era sempre quella, cioè se lasciavo anche Gorizia. La domanda me la pose anche mia madre, ma è l’unica che mi conosce bene e quindi la assolvo, ma gli altri…? Dopo un primo assestamento, vedrò dove emigrare, ma questa costante domanda mi ha fatto riflettere sui legami, veri o presunti, che si stabiliscono durante la propria carriera professionale e che a un certo punto vengono recisi in modo netto. Non si può più tornare indietro, ma solo andare avanti, forse un po’ alla cieca. Arrivai a Gorizia nel novembre 1996. Non era una città nuova per me, era un ritorno, visto che avevo abitato con la mia famiglia nel palazzo della Banca d’Italia, di cui mio padre era stato direttore. Un giorno, mentre lavoravo alla Biblioteca Universitaria Alessandrina, a Roma, mi passarono una telefonata: era Otello Silvestri, il direttore dell’Isontina, che mi aveva accolto per un paio di anni come volontario in biblioteca e che ora, sapendo che ero entrato nell’Amministrazione statale dei beni culturali, mi chiedeva se avessi voluto, appunto, ritornare a Gorizia, come direttore. Non lo sentivo da anni, e quella voce lontana mi riportò alle mie prime esperienze in biblioteca, molto interessanti perché avevo trovato un giovane bibliotecario, Cosimo Stasi, che si era impegnato nella mia formazione, direi più di quanto gli fosse richiesto. La passione che ho riposto subito nell’osservare criticamente i processi bibliotecari (che poi a ben guardare sono i processi dell’informazione) non mi ha più abbandonato. Sono perciò 25 gli anni impiegati nel lavoro di bibliotecario qui, a Gorizia, molti di più se nel conto altre esperienze. Mi viene in mente la biblioteca dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Padova, diretto dal professor Giovanni Vicario, nel colmo delle violente contestazioni studentesche e dei processi ai professori: Guido Petter, eminente docente di psicopedagogia infantile, rincantucciato in un angolo, costretto a spiegarsi davanti a una masnada urlante! Il lavoro a Gorizia, per fortuna, è stato molto più tranquillo e piacevole. Lo rifarei. Che cosa mi mancherà della Biblioteca? I libri. Non il protocollo, le telefonate, i

di Marco Menato sindacalisti, le sciocche rivalità, gli ordini di servizio, le fatture, i verbali. No, solo i libri, il loro profumo polveroso, la loro piccola storia. E insieme i magazzini, silenziosi, carichi di libri e documenti vari, di vicende, di racconti. In uno di questi si ammazzò un ragazzo che svolgeva in Biblioteca quello che ora si chiama servizio civile e allora era l’obiezione di coscienza. Per tanto tempo, non volli passare per quel magazzino, ora ho persino dimenticato quale fosse. Le operazioni connesse al ritrovamento del corpo furono veloci: già a tarda sera potemmo chiudere la Biblioteca, la vita il giorno dopo riprese con pochi sussulti. Ne valeva la pena, uccidersi, così, al buio, in silenzio, senza un grido, un biglietto…? Non ho mai amato portare a casa i

magazzini del modernariato. Oltre ai libri, conservo cartelle zeppe di appunti, elenchi, lettere. Da quando scoprii (ero a Verona in Biblioteca civica e l’incarico me lo diede l’allora direttore, Franco Riva), la magia del libro antico e in particolare delle cinquecentine e della consistente bibliografia connessa, non ho più abbandonato la storia del libro, considerata dalla parte di chi quel libro l’aveva stampato. Devo infatti completare il Dizionario dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento: è appena uscito il volume con la lettera G, mi attendono ora le lettere H-L e poi, in breve giro di anni, il seguito. Avrò ancora tempo quindi per frugare fra cataloghi e bibliografie, aiuta-

Marco Menato, direttore della Bsi in pensione dal primo agosto

libri della biblioteca, la mia personale è sufficiente a coprire il tempo casalingo. Anzi, molti libri li ho acquistati proprio pensando a quando non potrò più comodamente servirmi (o farmi servire). Con attenzione, prima di andare via, ispezionerò i molti spazi che ospitano la mia biblioteca per andare a caccia dei libri etichettati, quelli non sono miei. Guardo però con preoccupazione e con un po’ di angoscia alle centinaia di libri che troneggiano nel mio studio e che mi dovrò decidere a inscatolare e a portare via… e poi, dove riporli? Ogni giorno rimando il problema al giorno successivo, ma prima o dopo dovrò affrontarlo. Per ora mi sono dedicato alla raccolta delle scatole, devono essere piccole e maneggevoli, ripongo i libri suddividendoli in due sezioni: i libri di bibliografia mi seguiranno, tutti gli altri sono destinati a un viaggio un po’ più lungo, verso i

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to ora dalla digitalizzazione delle fonti che negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante (ma purtroppo non in Italia, dato che le nostre biblioteche sono indietro di alcune decine d’anni nei confronti per esempio di quelle europee, ultimamente il ritardo si è ancora più accumulato, ma a nessuno la cosa preoccupa!). In questi anni mi sono circondato anche di molte opere d’arte, quadri e sculture. La sotterranea galleria d’arte, che ho voluto intitolare a Mario Di Iorio, ha compiuto il suo dovere fino al febbraio 2020: con lo scoppio della pandemia ho dovuto chiudere gli spazi al pubblico e limitare il servizio al prestito e alla fornitura di riproduzioni. Dubito che nel futuro immediato si possa tornare alla vita di prima! ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Il dibattito sul Piano del traffico e il senso unico in Corso: le piste ciclabili vanno separate (con un’aiuola?) da auto e pedoni

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di Elio Candussi n questi ultimi mesi alcuni argomenti infiammano il dibattito in città: il piano urbano del traffico, le piste ciclabili e, il più controverso, il senso unico di corso Italia.

Sono tematiche interconnesse nelle quali non è semplice districarsi, perché ognuna influenza le altre, mentre nella comunicazione, specie da parte dell’Amministrazione Comunale, si tende a semplificare, se non a banalizzare, i problemi sia nel metodo che nei contenuti, il che non contribuisce alla loro comprensione. Chiariamo che è ingenuo discutere del senso unico in corso Italia e delle relative piste ciclabili se, nel ragionamento, non si parte da lontano. Le scelte che lo riguardano infatti non possono essere considerate a sé stanti, ma sono una conseguenza di importanti analisi che stanno a monte e che andiamo a esporre

dedurre all’uomo della strada che la quasi totalità dei luoghi di attrazione della mobilità si trovano in quello che chiamo ”centro storico allargato”, cioè quell’area lunga e stretta che ha per asse centrale i due Corsi, per vertici la stazione ferroviaria ”meridionale” a sud e piazza Medaglie d’Oro a nord; essa è delimitata ad est dall’asse di via Duca d’Aosta, piazza Municipio, piazza Vittoria, via Carducci e ad ovest dalle vie Fatebenefratelli, Leopardi, Brass. Area alla quale ovviamente va aggiunto il Castello, limitrofo all’asse est. E’ quindi in quest’area che bisogna concentrarsi. Casualmente questa rappresentazione di ”centro storico allargato” coincide quasi esattamente con quella che si osserva comodamente sul tabellone informativo

Conclusione: sommando questi dati si può sapere quante persone si muovono in città e quindi quanto, ad una certa ora, certe strade sono intasate di macchine e quali parcheggi si riempiono. Si deducono infine le modalità di spostamento, cioè quanti si muovono in macchina, a piedi, in bicicletta, in autobus. Mi auguro che tali dati siano in possesso dei tecnici del Comune. Il semplice spirito di osservazione fa

Posto che all’interno di questo ”centro storico allargato” dovrebbero essere favoriti gli spostamenti a piedi o in bicicletta, al suo esterno o nelle sue vicinanze vanno individuati alcuni parcheggi stanziali; alcuni già esistono, come in via Oriani, in via Puccini, in via Giustiniani (quest’ultimo poco usato, causa l’attraversamento a piedi della galleria Bombi così sgradito ai più). Altri parcheggi si trovano all’interno del centro, come quello ancora sulla carta di via Manzoni. In quest’ottica andrebbe ripensata anche la rete di trasporto pubblico locale: attivare due linee circolari lungo i citati assi di scorrimento est ed ovest? Creare un parcheggio scambiatore all’Espomego servito da autobus verso il centro lungo i corsi? Mantenere il capolinea degli autobus extraurbani nelle vicinanze della stazione ferroviaria, come avviene in molte città? Come obiettivo, occorre immaginare che qualsiasi posto di lavoro o scuola dovrebbe esser raggiungibile a piedi al massimo in 10 minuti dall’autobus o dal parcheggio stanziale. Cosa prevede il vecchio Piano del traffico ancora in vigenza? Non lo conosco nei particolari, ma dubito che sia stato attuato e dubito che sia ancora adatto ai giorni nostri. Non so infine se fornisce una risposta argomentata agli interrogativi su-esposti. L’impressione è che si viva in uno stato confusionale, almeno a giudicare dai tentativi improbabili messi in atto e dal modo di comunicarli alla cittadinanza.

Il piano della mobilità - Per esplicitare i legami tra i vari aspetti del dibattito, partiamo dal Piano della mobilità. L’obiettivo di questo strumento di pianificazione è quello di indagare su come, quando e perché le persone si muovono all’interno della città e da/verso la città. Con esso si individuano per prima cosa i principali luoghi di attrazione della mobilità, i loro orari e le attuali modalità di spostamento per raggiungerli. Ad esempio, le scuole e gli uffici pubblici, locali o statali, sono posti quasi tutti – guarda caso- in centro città e i relativi dipendenti si spostano sostanzialmente in orari fissi. Gli insediamenti manifatturieri hanno anche loro orari fissi, ma sono posti in periferia e solitamente privi di problemi di parcheggio. Poi ci sono i piccoli supermercati, i negozi di prossimità ed i bar, che sono frequentati senza orari fissi da chi esce di casa per andare a fare la spesa o per far due passi in centro e incontrarsi con gli amici. Infine non dimentichiamo i luoghi di attrazione turistica, in primis il Castello, accessibile in macchina da viale D’Annunzio oppure a piedi sia da est (da via Giustinani e attraverso il relativo Parco), sia da ovest (a breve si spera) da piazza Vittoria. Questo solo per citare alcune tipologie di mobilità urbana.

anni ma decenni, a parole tutti hanno dichiarato di volerlo fare. Nei fatti sono stati prodotti solo dei tentativi maldestri a cominciare della vecchia “pistina” alla Casa Rossa, per proseguire con le piste di via San Gabriele e di corso Verdi che, essendo tracciate sul marciapiede, sembrano create apposta per favorire gli investimenti dei pedoni da parte dei ciclisti sfreccianti. Tanto per citare i casi più grotteschi.

La pista ciclabile di corso Verdi all’altezza del mercato

posto in corso Verdi, a fianco dei Giardini Pubblici, giusto dietro la panchina rossa. Non resta che andare a vedere. Il piano del traffico - Dal Piano della mobilità si ricava il Piano del traffico, cioè lo studio di come è meglio convogliare il traffico urbano, in modo che tutti possano raggiungere il più presto possibile i luoghi di destinazione e così anche contribuendo a mitigare l’inquinamento dell’aria. L’obiettivo è come influenzare le modalità di spostamento e in particolare come dirottare una quota di mobilità dall’automobile alla bicicletta (oltre che verso l’autobus e la mobilità a piedi). Negli ultimi, non

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Le piste ciclabili urbane - Veniamo dunque al piano delle ”piste ciclabili urbane”, che dovrebbe essere una conseguenza del Piano del traffico e non un progetto a se stante. A scanso di equivoci non parliamo delle piste ”ciclo-turistiche” come quella in costruzione nell’area di via degli Scogli, dal ponte di Piuma a Salcano. La loro finalità è diversa, turistica appunto, mentre il nostro obiettivo è incentivare l’uso della bicicletta in città, soprattutto per andare al lavoro e a scuola. Per poter essere definite tali, queste ciclabili urbane non possono essere uno spezzatino disomogeneo, ma devono costituire un insieme collegato in rete ed occorre che consentano di raggiungere in sicurezza i principali luoghi di aggregazione della città. Un fondamentale requisito di una pista ciclabile degna di questo nome è che

sia fisicamente delimitata, cioè da un lato sia protetta dal traffico automobilistico (meglio se con un’aiuola di un metro di larghezza) e dall’altro senza commistioni con percorsi pedonali, meglio se separata dai pedoni con un’aiuola di almeno mezzo metro. In ambito urbano non hanno senso i percorsi misti, ciclo-pedonali, come nei controviali di corso Italia o nelle piste ciclo-turistiche. L’asse principale della rete ciclabile urbana dovrebbe partire dalla stazione ferroviaria, dove regna la totale confusione e le biciclette da anni continuano ad essere sparpagliate e legate ovunque capiti, su pali e ringhiere. L’area antistante la stazione forse verrà finalmente attrezzata con una pensilina decente, capace e ordinata che protegga le biciclette (sarebbe un bel biglietto da visita per chi giunge a Gorizia in treno). Poi la pista potrebbe proseguire lungo corso Italia e corso Verdi, verso piazza Medaglie d’Oro e via San Gabriele (o meglio sulla nuova copertura del Corno di via Catterini in fase di promessa realizzazione) per connettersi infine alle rete slovena. Una direttrice verso ovest è già prevista in direzione del ponte di Piuma. Un’altra andrebbe verso est, dove un tempo correva il tram, in via Vittorio Veneto verso San Pietro. Questi mi sembrano gli assi principali. A questo punto si innesta il dibattito sulla pista ciclabile di corso Italia. Qual è la sua collocazione ideale? Sulla carreggiata o sui controviali? Di per sé a me risulta abbastanza indifferente: l’importante è che la pista ci sia, sia realizzata con sicurezza e sia fisicamente distinta dal resto, perché le modalità di spostamento (pedoni, bicicletta, automobili) devono restare nettamente separate, per motivi di diversa velocità di movimento e di diverso ingombro degli spazi. Ma questa scelta si interseca strettamente col tema del senso unico di corso Italia.

Il senso unico in Corso - Premessa: per quale motivo si istituisce un senso unico? Nelle strade considerate di scorrimento lo si fa per aumentare la velocità dei mezzi motorizzati, eventualmente conservando una fila di parcheggi se la carreggiata è sufficientemente larga. Nelle strade secondarie invece lo si fa per creare dei nuovi parcheggi, meglio se a pettine. Nella sperimentazione in atto in corso Italia, si è ottenuto un effetto devastante e prevedibile da chiunque dotato di buonsenso; la velocità di scorrimento è diminuita drasticamente con frequenti intoppi quando

prima, ma delimitando fisicamente la pista ciclabile nei controviali, in modo che pedoni e ciclisti non si intralcino a vicenda, nonché trovando il modo di fare convivere la pista (almeno da un certo punto in poi) coi tavolini dei bar. Oppure si mantenga il senso unico, togliendo però i parcheggi sulla sinistra (e forse anche quelli a destra) e delimitando la pista ciclabile con adeguate aiuole. Se il Comune, fatta la frittata, non ha il coraggio di scegliere sul senso unico, continui la sperimentazione togliendo almeno la fila di parcheggi a sinistra, che mi sembra sia l’unica cosa su cui i goriziani mi paiono concordi. Dirò di più. Visto che siamo in vena di innovazioni, lancio una provocazione. In quest’ottica non sarebbe il caso di ampliare la zona pedonale di corso Verdi, estendendola a nord fino al Mercato coperto ed alla Posta e a sud almeno fino all’ex-Provincia???? In fondo è la stessa area che diventa pedonale durante le varie fiere e manifestazioni che si organizzavano a Gorizia prima del Covid...

Il caotico parcheggio per le biciclette in prossimità della stazione ferroviaria

un automobilista vuol parcheggiare, si sono conservati i parcheggi d’ambo i lati e molto pericolosi risultano quelli a sinistra che interferiscono con la pista ciclabile quando il guidatore apre la porta per scendere. Una sperimentazione quanto meno bizzarra, oltre che inutilmente dispendiosa. In conclusione, che fare? O si torni come

Infine, tanto per esagerare, non so se esiste un regolamento sulla presenza dei cani in città, ma se c’è non mi pare che venga granché rispettato; quindi in quest’isola pedonale non sarebbe utile disciplinare il passeggio dei cani che accompagnano i loro padroni? Già perché non è molto igienico vedere questi graziosi animaletti che irrorano tutti gli spigoli e i pali che incontrano con un liquido corrosivo e puzzolente; se poi i loro spruzzi avvengono all’ingresso di bar, farmacie e negozi alimentari non avrebbero qualcosa da dire anche le autorità sanitarie? Il dibattito è aperto. Ma forse si chiede troppo a questa città ondivaga e ai suoi abitanti sonnacchiosi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

“L’uomo dai 43 volti” A metà degli anni ‘80, Howard Marks aveva 43 alias, aveva intestate a sé 89 linee telefoniche ed era amministratore di 25 aziende in tutto il mondo. Aveva smerciato più di 30 tonnellate di marijuana, era in contatto con agenti dell’MI6, della CIA, membri dell’IRA e della Mafia. Successivamente ad un inseguimento durato anni ai 4 angoli del pianeta, braccato dall’FBI, è stato arrestato e condannato per numerosi reati (ma mai reati di sangue direttamente imputabili a lui) a 25 anni di reclusione. Dopo averne scontati 7 nel penitenziario di Terre Haute, in Indiana (USA), è stato rilasciato. Ed ora racconta la sua storia in giro per il mondo (l’ho incontrato al Festival di Edinburgo alla fine degli anni ‘90 e proprio a Edinburgo è stato presentata nel 2010 la sua biografia cinematografica) e questo libro ne è la sintesi accuratissima, avventurosa, a tratti romantica e perfino invidiabile. Il mio amico Tony mi ha suggerito questo libro in occasione del nostro primo incontro nel 1996 (“Mr. Nice. An autobiography, Vintage Random House, Londra, 1996, prima edizione italiana “Mr. Nice”, Socrates, Roma, 2001 trad. di Carla Dolazza). «Leggilo!», mi ha detto. Ho divorato quelle pagine. Una storia ai limiti del possibile, una vita trascorsa in un romanzo giallo, oppure un romanzo giallo che dura una vita intera. Senza soste, nel bene e nel male. Nessuna esaltazione dell’uomo. Solo le vicende che ha attraversato, dai concerti organizzati durante il suo periodo universitario a Oxford, fino ai conti aperti nelle banche di Campione d’Italia perché “non si sa mai”...Uno dei suoi primi passaporti falsi portava il nome di Donald Nice. Eccoci, qua. Quale titolo avrebbe potuto essere migliore. Mi chiamo Simone Cuva e lavoro nel mondo dell’editoria da oltre vent’anni. Mi sono sempre occupato di questioni commerciali, redazionali e legali riguardanti la disciplina sul Diritto d’Autore e la Proprietà Intellettuale. Ho collaborato con numerose case editrici straniere per l’acquisizione dei diritti di traduzione di opere in italiano, e svolgo da sempre attività di consulenza editoriale. Dal 2012, insieme a Patrizia Dughero, poeta e compagna di vita, ho fondato la casa editrice resistente e militante Qudulibri. Ho pubblicato nel 2020 il saggio breve, solo in versione ebook, “La vendetta del pesce rosso. Ipotetici scenari per una nuova distribuzione editoriale”. Leggo tutto, e di tutto. Questa piccola rubrica è la normale “terapia” alla mia bulimica assunzione di parole. Per commenti, sempre benvenuti, vi prego di inviare una mail a simone_cuva@yahoo.it, grazie.

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Il duro ruolo dei dirigenti e un uomo-simbolo: Enzo Cainero di Paolo Bosini

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ello sport l’attenzione degli appassionati è per lo più rivolta agli atleti e agli allenatori che indiscutibilmente sono gli attori principali. Si trascurano però, erroneamente, altre figure, che pur operando in maniera più defilata, risultano essere fondamentali per il buon funzionamento delle società sportive. Mi riferisco alla categoria dei dirigenti della quale fanno parte presidenti, direttori sportivi e direttori tecnici che se capaci, contribuiscono in maniera sostanziale alla crescita tecnica ed economica dei team. Affinché tutto ciò si verifichi è necessario però che siano soprattutto preparati professionalmente, con una buona conoscenza delle dinamiche sportive e gestionali delle società. Purtroppo però, in particolare nello sport dilettantistico, molto spesso risultano inadeguati all’importante ruolo che vanno a ricoprire a causa di una carente preparazione. Per diventare dei dirigenti capaci è indispensabile avere soprattutto passione, essere intellettualmente onesti, una giusta dose di ambizione a fare bene il proprio lavoro e soprattutto una grande umiltà per “rubare” questo complicato mestiere a chi ne sa di più. Solo a queste condizioni potranno svolgere bene il loro compito che ritengo sia fondamentale soprattutto per lo sport dilettantistico che, per evolversi, ha bisogno di bravi tecnici, ma anche di dirigenti competenti. Il campo d’azione dei dirigenti è ampio e articolato. Infatti devono programmare la stagione in base agli obiettivi che la società intende raggiungere, predisporre gli staff tecnici e sanitari qualificati e costruire la squadra con giocatori il più possibile validi in accordo con l’ allenatore. Un lavoro di responsabilità tutt’altro che semplice! Nella pallacanestro per conseguire la qualifica di allenatore nazionale, che si ottiene dopo il superamento di impegnativi “step” valutativi, è richiesto un percorso formativo importante e oneroso, della durata di diversi anni per chi

aspira ad allenare ad alti livelli. Sarebbe auspicabile quindi, al pari di quanto previsto per i tecnici, che anche chi intende diventare un dirigente sportivo sia obbligato a frequentare opportuni corsi per apprendere le nozioni base relative al lavoro che dovrà svolgere. Nella mia lunga esperienza sportiva, prima come giocatore e poi come tecnico, ovviamente ho avuto modo di conoscere molti presidenti e dirigenti. Purtroppo, non sempre le cose sono andate per il meglio . Ho avuto la fortuna però di aver lavorato accanto ad alcune persone, non molte, davvero speciali, dei veri professionisti che mi hanno fatto capire come va affrontato il mestiere del dirigente. Uno su tutti è stato Enzo Cainero, presidente dell’Emmezeta Pallacanestro società che militava in A2 che io ho allenato nella mia esperienza udinese. Cainero, dottore commercialista titolare di un importante studio a Udine, proveniva

allenatore che aveva accettato un contratto senza rilanciare. Compresi quindi che sarebbe stato disposto a darmi di più se lo avessi richiesto. Fui molto svelto e replicai dicendo che l’importo che aveva risparmiato me lo avrebbe corrisposto come premio nel caso avessi raggiunto la salvezza che era l’obiettivo, tutt’altro che semplice, che mi era stato richiesto. Non fece una piega e ci accordammo sulla parola senza ricorrere a un’estensione del contratto. Il campionato si concluse con una drammatica partita, una sorta di spareggio, con la Reyer Venezia che battemmo ottenendo l’agognata salvezza. Tre giorni dopo la conclusione del campionato ricevetti la telefonata della segretaria della società che mi avvertiva di passare a prendere l’assegno relativo al premio promesso. Avrebbe potuto darmelo con calma, non c’era fretta, non c’erano scadenze invece lo fece subito per ringraziarmi per quanto avevo fatto e per la tanta fatica che mi era costata.

Il dirigente sportivo Enzo Cainero

dal calcio che aveva praticato nel ruolo di portiere. La sua carriera fu troncata in giovane età a causa di un brutto incidente di gioco quando difendeva la porta del Varese in serie A. Intraprese così molto presto il ruolo di dirigente tanto che - prima di diventare presidente della A.P.Udinese - aveva già lavorato, con successo, con l’Udinese Calcio. Pertanto quando iniziai a collaborare con lui era già un professionista di altissimo livello. Oltre alle elevate capacità professionali, era una persona dinamica, con qualità umane non comuni. Nel rapportarsi con i giocatori, con i tecnici e i collaboratori prediligeva ricorrere al dialogo anche se, quando doveva assumere decisioni, anche scomode, era molto determinato. Era molto partecipe all’attività della squadra e pertanto attentissimo a tutto ciò che accadeva all’interno del gruppo giocatori e pronto a porre rimedio a eventuali frizioni che abitualmente possono sorgere nelle squadre. Per far capire quanto importanza dava alle persone con le quali collaborava voglio ricordare un episodio che mi ha visto direttamente coinvolto. Il giorno in cui mi recai nel suo studio per definire il mio incarico, al termine del colloquio, mi propose un compenso che mi sembrò molto soddisfacente. Quindi firmai il contratto che era in bella mostra sulla sua scrivania. Poco dopo mi guardò sorridendo e mi disse che ero stato il primo

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Un attestato di stima nei miei confronti, fatto da un grande presidente, che non ho mai scordato. Da quel periodo è trascorso tanto tempo, ma Enzo Cainero tutt’ora è uno dei massimi dirigenti sportivi italiani. Molto impegnato nel ciclismo ha avuto il grande merito, ideando l’ascesa del monte Zoncolan, tappa simbolo del Giro d’Italia seguita al circuito transfrontaliero Gorizia-Nova Gorica, di far conoscere la nostra bella regione. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Top Five Libreria Ubik 1) “Deserto d’asfalto” (S. A. Cosby) 2) “Un bacio prima di morire” (Ira Levin) 3) “Topografia della memoria” (Martin Pollack) 4) “Figlia della cenere” (Ilaria Tuti) 5) “L’inverno dei leoni” (Stefania Auci)

Top Five Music Shop 1) “Sangiovanni” (Sangiovanni Amici 2021) 2) “Inacustico D.O.C. & More” (Zucchero) 3) “Teatro d’Ira” – Vol.1 (Maneskin) 4) “Sotto i cieli di Rino – 3 cd” (Rino Gaetano) 5) “La cura – Best Univ. + Emi” (Franco Battiato)

Scuola, il Covid ha rivoluzionato anche l’esame di maturità ma le emozioni e le aspettative degli studenti sono le stesse

“P

di Rosy Tucci rego, si puo’accomodare su questa sedia!”

Una voce senza viso risuona nell’Aula Magna che mi affretto ad attraversare per raggiungere la mia classe in fondo al corridoio. “Non posso, ho compito in classe! Se vuole, ci vediamo dopo!”Annuncio quasi seccata, accorgendomi, tuttavia, che, oltre alla voce, ci sono altri sei sconosciuti seduti dietro al tavolo-a quel tavolo affollato di fogli di protocollo e matite rosso/blu- che mi invitano in modo molto perentorio ad avvicinarmi. Come ipnotizzata mi siedo e aspetto la domanda che, puntualmente, arriva a ricordarmi che non ho sostenuto ancora l’orale dell’esame di maturità. Eppure ero sicura di essermi addirittura laureata! Mentre mi accingo a rispondere ad un improbabile quesito di trigonometria, con una risposta ancora più improbabile che stenta ad uscire dalla bocca e a trasformarsi in suono, mi sveglio da uno degli incubi più ricorrenti, presenti con diverse sfumature nell’inconscio della maggior parte dei maturati di questo e dello scorso secolo, da quando venne introdotto per la prima volta. Parliamo del 1929 e della riforma Gentile: i maturandi dell’epoca dovevano sostenere quattro prove scritte e un colloquio su tutte le discipline del triennio per il liceo classico, del quarto e quinto anno per lo scientifico. Un esame piuttosto impegnativo , con tassi di promozione molto bassi(motivo per il quale era prevista una sessione di riparazione a settembre), che si svolgeva in quaranta/ venti sedi dislocate sull’intero territorio nazionale, con commissione esterna di docenti universitari e formalmente presieduta dal ministro. Questa formula, con diversi adeguamenti e modifiche, anche di tipo pratico, dettate dal contesto storico e sociale (nel 1940 , in pieno conflitto mondiale, l’esame venne sostituito dallo scrutinio finale; nel 1952 con il ministro Gonella vennero introdotti i commissari interni), durò fino alla riforma Sullo del 1969. Da questo momento in poi gli studenti dovevano cimentarsi in due prove scritte (Italiano e una delle discipline caratterizzanti) e in un

colloquio, con una materia scelta dal candidato e una assegnata il giorno antecedente all’orale dalla commissione, cinque commissari esterni, un interno e il presidente. Quasi un trentennio dopo, nell’anno scolastico 1998/99 con il Ministro Berlinguer, l’Esame di Maturità lasciò il posto all’Esame di Stato e cambiò radicalmente: tre prove scritte, Italiano, materia d’indirizzo, “terza” prova costruita dalla commissione sulle discipline non oggetto delle due precedenti, impropriamente definita quizzone, e orale, che partiva da un approfondimento

te a due: oltre a Italiano, comune a tutti gli indirizzi, venne creata la cosiddetta prova mista che coinvolgeva due materie peculiari di ogni indirizzo, al Classico Latino e Greco, allo Scientifico Matematica e Fisica, al linguistico Inglese e Tedesco/Spagnolo/Francese e così a seguire. L’orale multi-disciplinare partiva da un input, costituito, per esempio,da un’immagine o da una citazione che il candidato trovava nella busta chiusa che sceglieva tra le tre assegnategli dalla dea bendata, con la consegna di svilupparlo toccando tutte le discipline. Poi è arrivato il Covid 19 che ha rivoluzionato il modo di fare scuola con la DAD (la didattica a distanza) e la DDI (la didattica digitale integrata), imponendo la costruzione di un esame di emergenza, quello che stanno affrontando più di mezzo milione di studenti e che passerà allo storia come l’esame della pandemia, del distanziamento, del gel e delle mascherine. Inventato dalla ministra Azzolina e confermato dal ministro Bianchi, consiste in un’unica prova. Si tratta di un colloquio articolato in tre/quattro parti: l’esposizione da parte di ciascun candidato di un elaborato sulle materie di indirizzo, con la possibilità di inserire collegamenti con altre discipline , con argomenti di educazione civica e con il PCTO (percorso per le competenze trasversali e orientamento, ex Alternanza scuola lavoro), la discussione su un testo di Italiano studiato durante l’anno scolastico, lo sviluppo del materiale multi-disciplinare fornito dalla commissione e la presentazione del percorso di PCTO, qualora non emerga nelle altre parti del colloquio.

proposto dallo studente (“tesina”) dal quale i commissari prendevono spunto per i loro quesiti. Con lievi modifiche apportate dai vari ministri Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo, inerenti la composizione delle commissioni(esterne, miste, interne… ), le modalità di ammissione e di trasmissione degli elaborati, che dal 2012 in poi iniziarono ad essere trasmessi in via telematica, questa tipologia d’esame si protrasse fino all’anno scolastico 2018/19, anno dell’ultima strutturale riforma firmata Fedeli. Le prove scritte vennero riporta21

Mutatis mutandis, compreso il tipo di punteggio (in decimi, in sessantesimi, in centesimi, senza e con crediti), le notti prima degli esami, le emozioni e le aspettative degli studenti sono sempre le stesse,come l’ansia e la consapevolezza di affrontare il più importante esame della loro carriera , il rito di passaggio che sancisce l’ingresso nel mondo degli adulti, e che rimarrà indelebile nell’io di ciascuno, come il timbro della rossa ceralacca, che continua a suggellare i “pacchi”, con qualsiasi modalità di svolgimento e qualunque sia la scelta di vita futura. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


di Eliana Mogorovich

Ma a.Artisti Associati ha sempre avuto anche un occhio di riguardo ai più piccoli fruitori del teatro. E così sono già ripresi e subito andati esauriti i laboratori “Dentro la fiaba” guidati dall’attore Enrico Cavallero che, a Cormons e Gradisca, accompagna i più piccoli alla scoperta di Dante e della sua Commedia. Parallelamente, sono iniziati a Gradisca i cinque spettacoli di “Spazio estate Ragazzi” che, ogni lunedì dal 28 giugno al 26 luglio, richiamano le famiglie nella Corte Marco d’Aviano, all’interno di Palazzo Torriani, sede del Comune. Gli spettacoli, a ingresso gratuito e che in caso di maltempo si tengono in sala Bergamas, possono essere prenotati mandando una mail a salabergamas@libero.it (per il programma completo: https://artistiassociatigorizia. it/events/categories/spazio-ragazzi-estate-2021/.

C

Ed è partita anche la ventunesima edizione di “Insegui la tua storia”, tredici appuntamenti a ingresso gratuito e frequenza bisettimanale (il martedì e il giovedì) che coinvolgono dodici diverse location. Il programma, definito da a.Artisti Associati e sostenuto dal Comune di Romans d’Isonzo e dalle altre amministrazioni comunali coinvolte, prosegue in luglio con “La principessa rapita” (Medea, martedì 6), “I musicanti di Brema” (Ruda, giovedì 8), “Il magico Bosco di Gan” (Moraro, martedì 13), “Gino, Pino e la lampada di Aladino” (Mariano/Corona, giovedì 15), “Rodaridiamo – Quando la grammatica è un gioco” (martedì 20, Terzo d’Aquileia), “Storie al vento!” (Fiumicello/ Villa Vicentina, giovedì 22), “Esmeralda la farfalla del bosco” (Villesse, martedì 27), “Sisì, Ottone e la cantina musicale” (Farra d’Isonzo, giovedì 29), “Chiattaforma” (Bagnaria Arsa, martedì 3 agosto), “Fiabe dolci, dolci fiabe” (Capriva del

Danza e teatro: gli Artisti associati riprendono l’attività

i eravamo salutati con l’ultimo spettacolo di Visavì il 25 ottobre, andato in scena sul filo di lana prima del decreto che, il giorno successivo, stabiliva la chiusura dei teatri a tempo indeterminato. E dopo mesi di apparente inattività, a. Artisti Associati torna in scena presentando al pubblico i progetti portati avanti con tenacia nei mesi di lockdown. Accanto alla ripresa delle stagioni di Cormons e Gradisca, nel corso dell’estate prosegue il progetto ARTEFICI.ResidenzeCreativeFVG già condiviso, nel passato triennio, con La Contrada di Trieste e il CSS Teatro Stabile di innovazione del FVG. Si tratta di momenti di incontro, confronto, condivisione e crescita fra artisti che trovano le porte aperte nei teatri Verdi di Gorizia, comunale di Cormons e la Sala Bergamas di Gradisca. Oltre quattrocento le proposte di partecipazione ricevute in questi tre anni, trentatrè i professionisti selezionati per un progetto sostenuto dalla Regione FVG e dal Mic – Ministero della Cultura. Con l’ormai imprescindibile ausilio del web, alcune delle residenze artistiche si sono già svolte e sono andate in scena on line, mentre altre si svilupperanno nei prossimi mesi in spettacoli e prove aperte al pubblico che si protrarranno fino a dicembre. Tra i lavori ancora in produzione, “Cinque danze per il futuro” di Davide Valrosso, “Interno camera” di Paola Giglio (Progetto vincitore del bando ARTEFICI) e “Dicono che farà caldo” di Christian Gallucci (per il programma dettagliato si rimanda al sito https://artistiassociatigorizia.it/residenze-2021/).

Friuli, giovedì 5) per concludersi con “Il giardino del gigante” martedì 10 agosto a Romans d’Isonzo.

D’Annunzio, un progetto per scoprire il Corno e “adottare” il futuro Parco della Valletta

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Dialoghi, ultimi incontri per l’anteprima estiva Incontri. concerti e dibattiti diffusi sul territorio: per proporre dubbi, nuove conoscenze, ma anche per diffondere la bellezza dei luoghi e delle tipicità in cui viviamo. Un programma mensile, in parte già svolto, ma che prosegue fino al 17 luglio. E’ questa l’anteprima estiva di “Dialoghi”, Festival Itinerante del Giornalismo e della Conoscenza proposta dall’associazione Cultura Globale in collaborazione e con il sostegno di diversi enti pubblici e privati quali la Regione Friuli Venezia Giulia - Cultura e Turismo, Ilcam Spa, Legacoop FVG, Civibank Banca di Cividale S.C.p.A., Rosenberg Italia srl. Gli incontri, a ingresso libero e gratuito, si inseguono fra Turriaco, Cervignano, Cormons, Trieste, Gorizia e Bertiolo e coinvolgono apprezzati giornalisti del panorama locale e nazionale, scrittori,artisti. Pochi gli appuntamenti rimasti in calendario. Venerdì 9 luglio, alle 18.30, alla Cantina Produttori di Cormons Enzo D’Antona presenterà il suo volume “Spaesati. Cronache del Nord terrone”. Il 16 luglio, sempre alle 18.30, l’azienda Borgo San Daniele di Cormons ospiterà Cristina Bonadei, autrice di “Portolano. Breviario di parole naviganti”, mentre sabato 17 alle 21, in piazza della Seta a Bertiolo si esibirà la Big Band Gone with the swing diretta da Raoul Nadalutti. Per il programma completo si rimanda al sito www.dialoghi.eu.

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pesso in questi mesi si sente dire che, per i ragazzi, il 2020 è stato un anno da buttare via e da cancellare, perché a causa della pandemia sono stati costretti a non uscire di casa e a svolgere gran parte delle lezioni in Dad. Qualcuno aggiunge che le piccole battaglie a favore dell’ambiente nate grazie ai “Fridays for future” potrebbero cadere nel dimenticatoio una volta ripresa l’agognata normalità. Se è vero che per tutti noi il periodo contrassegnato dall’imperversare del Covid è stato difficile, è anche vero che ci sono dei ragazzi coraggiosi che si sono impegnati a portare avanti un progetto volto scoprire il torrente Corno e a riqualificare il parco della Valletta. Sono gli allievi delle classi terze degli indirizzi biotecnologico e turistico dell’Isiss Gabriele D’Annunzio-Max Fabiani di Gorizia che, sotto la guida delle loro professoresse di biologia Monica Sclaunich e Martina Braida e della docente di inglese Rossella Carastro, con la collaborazione di altri docenti, hanno aderito nell’autunno del 2020 a un progetto promosso dal Fai di Gorizia dal titolo “Vode, acque, aghis” volto a far conoscere e a tutelare gli ambienti idrici della regione. L’incontro con le tre professoresse ha suscitato fin da subito la mia curiosità e mi auguro che questo progetto possa proseguire nei prossimi anni, perché é un modo importante per conoscere meglio la nostra città e per lasciarla a quelli che verranno dopo di noi un po’ meglio di come l’abbiamo trovata. Potete presentarvi e illustrare il progetto in poche parole? Siamo Martina Braida, Rossella Carastro e Monica Sclaunich e insegniamo biologia e inglese all’Isiss D’Annunzio. Ad ottobre siamo venute a conoscenza del progetto intitolato “Vode, acque, aghis” promosso dal Fai di Gorizia per tutelare gli ambienti idrici dell’Isontino. Abbiamo scelto di aderire al progetto e di occuparci del torrente Corno, perché lo conoscevamo poco e i ragazzi hanno subito aderito con entusiasmo, nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia. Si tratta di un progetto triennale che ha come obbiettivo la conoscenza e la tutela del Corno almeno nel suo corso cittadino e lo studio dei servizi ecosistemici forniti dal parco della Valletta. C’è un disegno di più ampio respiro

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di Stefania Panozzo alla base del progetto? Sì, c’è il programma d’azione dell’Onu, Agenda 2030, che si articola in 17 obbiettivi, declinati in sotto obiettivi volti a raggiungere o, almeno, ad avvicinarsi ad uno sviluppo più sostenibile. Ad esempio, i nostri obiettivi sono la tutela dell’ambiente e della nostra salute, il raggiungimento di un’istruzione più sostenibile e la conservazione di un patrimonio verde che fa parte della nostra città. Come pensate di raggiungerli? Facendo conoscere ai ragazzi la storia del torrente, indissolubilmente legata con lo sviluppo della città e facendo sì che essi possano riconoscere il potenziale che un parco urbano ha, grazie ai servizi ecosistemici che esso offre, in modo da godere di queste ricchezze con consapevolezza. Ad esempio, abbiamo pensato di proporre un’attività di forest bathing

Chi sono i vostri partner? Oltre al Fai, che ha promosso il progetto, c’è l’Università degli Studi di Udine e la Stazione di Terapia forestale “Valli del Natisone”. Ci piacerebbe coinvolgere altri istituti scolastici, sia le secondarie di primo grado di Gorizia sia quelle slovene, perché vorremmo che diventasse un progetto transfrontaliero visto che il Corno scorre anche in territorio sloveno. Non possiamo dimenticare l’Archivio di Stato che ci ha fornito materiale di studio molto interessante. Cosa avete scoperto di interessante sul Corno? Dobbiamo ammettere che abbiamo fatto scoperte stimolanti. Ad esempio che il Corno scorre proprio sotto la via Brass, la strada su cui affaccia la nostra scuola. Ci siamo anche imbattute nella nuova disciplina sopra citata, il Forest bathing, nata in Giappone e poco conosciuta in

per poter beneficiare del potente effetto detox, sia per il corpo che della mente, che l’esperienza immersiva nel verde offre. Infine vogliamo far comprendere alle persone l’importanza che il torrente Corno torni “libero” dopo tanti anni di tombamento.

Europa. Il nostro lavoro è stato raccolto in una mappa “parlante” che ricostruisce il percorso del fiume Corno, narrato attraverso videoracconti sviluppati dagli studenti, immagini e testi. Potete trovare il link al video sul sito della nostra scuola.

Quanti ragazzi stanno partecipando? Sono 76 e sono gli studenti delle classi terze degli indirizzi tecnici, biotecnologico sanitario e ambientale e turistico-economico.

Mi sembra interessante. É auspicabile che il progetto continui? Forse abbiamo accennato che si tratta di un progetto triennale e vorremmo che continuasse. Quando il parco urbano che prende il nome dal torrente, Parco della Valletta del Corno, sarà ultimato, ci piacerebbe che la nostra scuola in qualche modo lo “adottasse”. Non sappiamo ancora con che modalità ci confronteremo con le istituzioni locali ma sicuramente avremo il supporto della nostra dirigente, dottoressa Battistutti. Per ora i ragazzi sono stati molto entusiasti e ci auguriamo che continuino a coltivare questo entusiasmo e lo possano trasmettere ai loro amici più giovani.

Come hanno risposto i ragazzi alla vostra proposta? Come accennavamo prima, non è stato sempre facile a causa della pandemia, ma i ragazzi hanno risposto subito con entusiasmo e alla fine dell’anno hanno detto che grazie al progetto hanno scoperto la bellezza di muoversi a piedi per Gorizia. Non potendo ancora usare il parco della Valletta, hanno scoperto quello di Piuma che è diventato la loro “palestra verde” una volta che è stato possibile tornare a scuola in presenza.

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