May 2020

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Gorizia News & Views Anno 4 - n. 5 Maggio 2020

EMERGENZA CORONAVIRUS pag. 3 e 15

#LASCUOLA NONSIFERMA pag. 4 e pag. 5

MEYRA E LA LAUREA A 89 ANNI pag. 10 e 11

èSTORIA E LA FOLLIA. ARRIVEDERCI AL 2021 pag. 19

PRIMO ALBUM PER ROSSELLA pag. 17


SOMMARIO Pag. 3 L’ospedale non ospita più pazienti affetti da Covid 19 ma la Cardiologia per ora è rimasta a Monfalcone Pag. 4 Il palcoscenico virtuale dei ragazzi del Classico Pag. 5 Insegnanti e studenti alle prese con le lezioni a distanza: ok, ma credetemi: nulla potrà sostituire l’”odore” dell’aula Pag. 6 Lontani da casa nel momento più buio: le storie degli universitari del Sid Pag. 7 Andrà tutto bene? Provate a dirlo ai settori già messi a dura prova da fisco e burocrazie Pag. 8 Scoprire le bellezze sul web: così si sono organizzati i Musei Pag. 9 èStoria, rinviata al 2021 l’edizione dedicata alla “Follia” Allo studio format alternativi con dirette streaming

Gorizia News & Views Reg. Trib. Gorizia n. 1/2017 dd 11/12/2017 mensile dell’APS Tutti Insieme http://tuttinsiemegorizia.it/ info@gorizianewsandviews.it DIRETTORE RESPONSABILE Vincenzo Compagnone REDAZIONE Eleonora Sartori (vice direttore)

Ismail Swati, Rafique Saqib, Felice Cirulli, Renato Elia, Eliana Mogorovich, Timothy Dissegna, Anna Cecchini, Stefania Panozzo, Aulo Oliviero Re, Lucio Gruden, Martina Delpiccolo, Elio Candussi, Giorgio Mosetti, Francesca Giglione, Paolo Bosini, Luigi Casalboni, Paolo Nanut Monfalcone - Tržič Gorizia - Gorica

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Gorizia News & Views è reperibile in forma cartacea nei seguenti punti di distribuzione: Biblioteca statale isontina di via Mameli, Kinemax e Mediateca Ugo Casiraghi di piazza Vittoria, librerie Leg, Voltapagina e Ubik di corso Verdi e Antonini di corso Italia, Libreria Faidutti di via Oberdan, Kulturni Dom di via Brass, Casa delle Arti di via Oberdan, bar Torino di corso Italia, bar Aenigma di via Nizza, Caffè degli Artisti di via IX Agosto, atrio dell’ospedale, negozio Il Laboratorio di piazza Vittoria, tabacchino Da Gerry di via Rastello, tabaccheria via Duca D’Aosta 106, tabaccheria via Crispi 6, tabaccheria Tomasi Marco di via Santa Chiara 4, tabaccheria Fontana di Sant’Anna, Ugg di via Rismondo. E’ consultabile on line all’indirizzo: www.gorizianewsandviews.it

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Pag. 10-11 La storia di Meyra Moise, dottoressa-record di Cherso che conseguì la sua terza laurea a ottantanove anni Pag. 12 Quarantena: una postilla di speranza chiude il diario di nonno Frank Pag. 13 “La malaluna”, da un libro che apre varchi insperati un piccolo antidoto alla tristezza del confine chiuso Pag. 14 Il virus e il grande inganno dei sillogismi Pag 15 Un vademecum stilato dall’Ordine degli infermieri per usare correttamente i guanti e le mascherine Pag. 16 Sant’Andrea fucina di talenti da Podberscek ad Aldo Nardin Pag. 17 Ricordo di Mario De Sisti, scorbutico “sergente di ferro” ma vero genio del basket che ha dato molto a Gorizia Pag. 18 Rossella Prignano: dopo “Disperata” è in arrivo il primo album Pag. 19 I colori di Alex Webb, un grande fotografo di strada che ha immortalato la storia attraverso il quotidiano

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Pag. 20 Nova Gorica e Gorizia capitali della cultura 2025 in stand by causa Covid 19 nonostante molte iniziative


L’ospedale non ospita più pazienti affetti da Covid 19 ma la Cardiologia per ora è rimasta a Monfalcone

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di Vincenzo Compagnone

ultimo giorno del mese di caratterizzato, sotto il profilo sanitario, inevitabile aumento delle liste d’attesa) aprile l’ospedale di Gorizia da questa importante novità, peraltro al fine di ridurre il sovraffollamento è diventato Covid-Free. attesa da giorni, in quanto era evidente dell’ospedale. Per quel che riguarda Gli ultimissimi pazienti che non si poteva più continuare a tener l’attività chirurgica l’Azienda sanitaria affetti da Sars-Covid 2 fermo un ospedale (visite e prestazioni valuterà posti letto attivabili in considesono stati dimessi o traannullate o rimandate un po’ in tutti razione del personale a disposizione e sferiti. Da tempo, ormai, i reparti) a fronte di un utilizzo così della logistica, considerando la necessità la “zona rossa” ricavata al scarso per i pazienti Covid. Il 29 aprile di mantenere zone per l’isolamento e primo piano del San Giovanni Di Dio l’assessore regionale Riccardi ha comugarantire spazi sufficienti nelle camere. eliminando le degenze della Cardiologia nicato che “il sistema sanitario del Fvg (compresa l’Unità coronarica) trasferite ha avviato le procedure che porteranno Sono tutte buone notizie, con l’unia Monfalcone e accorpando i relativi alla fase 2 della gestione dell’emergenza co punto interrogativo che permane posti letto a quelli della Rianimazione, e al progressivo ritorno alla normalità, nel momento in cui scriviamo, e che per un totale di 16 pl dedicati ai malati sia per quanto riguarda l’attività amburiguarda la Cardiologia. Il primario, di Coronavirus, faceva registrare un latoriale sia quella chirurgica”. “La fase dottoressa Gerardina Lardieri, il 28 bassissimo numero di presenze. L’area emergenziale – ha aggiunto Riccardi – aprile ha informato i medici del reparto Covid era stata aperta il 20 che almeno per maggio non marzo a Gorizia per offrire vi sarebbe stato il ripristino una valvola di sfogo ad altri dell’Unità coronarica e degli ospedali e terapie intensive altri posti letto, fatta ecceche si erano saturati nel zione per i tre già esistenti al periodo di massima criticità terzo piano, nei locali dell’ex dell’epidemia. Poi, però, sia “Cardio-nefro”, riservati pur lentamente, la curva a pazienti a basso livello dei contagi ha cominciato d’intensità di cura. Annuna rallentare. I reparti di ciata soltanto, una cauta e Rianimazione, nel Paese graduale ripresa dell’attività come nella nostra regione, ambulatoriale. hanno ripreso a respirare. Anche dalla Lombardia Ricorderete i timori che non si è reso più necessario erano stati espressi da il trasferimento di pazienmolti a Gorizia circa un ti – scusateci il termine trasferimento “irreversibile” – “in esubero”. Vale la pena del reparto a Monfalcone: ricordare che, in regione, contro questa ipotesi era I cartelli affissi davanti all’area Covid del San Giovanni di Dio, riservata partita anche una petizioaree Covid sono state reaalla terapia intensiva per malati di Coronavirus lizzate nei tre hub di Trieste, ne stilata dal chirurgo in Udine e Pordenone, a Gorizia pensione Adelino Adami e e a Palmanova. Ma già dopo la metà di non è superata, ed è quindi necessario dall’ex operatore sanitario e sindacalista aprile la terapia intensiva di Palmanova affrontare questa nuova fase con cautela Giorgio Bisiani che, in solo 3 giorni, era stata chiusa, in quanto inutilizzata. e prudenza per non vanificare i risultati aveva raccolto 970 firme. “La città intera Sembra che in futuro anche l’ospedale ottenuti in termini del contenimento del non perdonerebbe a nessuno – avevano di Pordenone sia destinato a diventare contagio”. scritto al sindaco Ziberna e al direttore Covid-Free, lasciando dunque l’”incomgenerale dell’Azienda sanitaria Poggiana benza” di accogliere i malati soltanto a Il Primo maggio ha preso il via la sani– di sfruttare lo stato d’emergenza attuale Trieste e a Udine. ficazione dell’ospedale goriziano. Dopo per perseguire un proprio disegno di che sarà ripulito e rimesso in sesto il impoverimento del nostro ospedale”. D’altra parte, il ministro della Salute, blocco operatorio, sbarrato dal 20 marRoberto Speranza, l’ha ripetuto più volte zo, sarà quindi possibile – aveva preLe nostre fonti confidenziali da Triea chiare lettere: bisogna implementare cisato ancora l’assessore – una parziale ste ci dicono che è solo questione di nel nostro Paese i Covid hospital, cioè le ripresa dell’attività chirurgica, generale tempo e che ci si vuol cautelare da poco strutture dedicate esclusivamente ai pae urologica in elezione, principalmente auspicabili “ondate di ritorno” del virus zienti contagiati dal Coronavirus. Stop, destinata alle patologie oncologiche. che potrebbero scombussolare i piani. invece, agli ospedali misti, quelli che Programmata anche la riattivazione Noi – formulando un doveroso elogio – come il nostro San Giovanni di Dio degli screening oncologici. alla professionalità e alla dedizione degli -, ospitavano un’area Covid accanto ad operatori sanitari goriziani che hanno altri reparti e funzioni. “Si sono rivelati Alla fine di aprile, dal Cup, i pazienti le saputo far fronte mirabilmente all’emeringestibili – ha rimarcato il rappresencui visite o esami erano stati congelati genza – non possiamo che concludere tante del governo – in quanto troppo hanno cominciato ad essere richiamati augurandoci che il sacrificio che Gorizia rischiosi per i degenti non Covid e per telefonicamente. L’azienda sanitaria ha ha dovuto sopportare (ospedale paraliztutto il personale. Inoltre non si può riorganizzato le sale d’attesa, le metodozato per un mese e mezzo) sia adeguacorrere il rischio di penalizzare tutti gli logie di erogazione delle prestazioni, con tamente, e con sollecitudine, ricompenaltri pazienti e le altre cure”. la necessità di dispositivi di protezione. sato. Allungata la tempistica di erogazione L’avvio della Fase 2 a Gorizia è stato così delle prestazioni (con conseguente, ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il palcoscenico virtuale dei ragazzi del Classico di Rosy Tucci

le del “Dantedì”, istituita dal Governo su proposta del Ministero per i Beni e le attività culturali (Mibact), ognuno degli studenti ha recitato a memoria, comodamente seduto davanti al proprio dispositivo (pc, tablet, anche il tanto vituperato smartphone), all’interno di tante sale prove virtuali, quante sono le stanze di tutto il gruppo, alcune delle più amate terzine della “Divina Commedia”del Sommo poeta al quale è intitolata la scuola, da “la bocca mi basciò tutto tremante” a “Caron, non ti crucciare: Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”, nel segno di quell’unità di intenti e di coesione suggeriti dal Poeta Vate, necessari antidoti in questo difficile momento storico. La maggior parte delle prove - all’interno delle quali non mancano le performance canore e musicali - sono impegnate nell’allestimento del nuovo spettacolo, sul quale avevamo iniziato a lavorare prima dell’inattesa interruzione a tempo indeterminato, in vista della “prima”, programmata al teatro “Bratuz” per la sera dell’ultimo giorno di scuola, come da tradizione.

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noi #facciamo la nostra... parte, con la Tad, che non è una tassa, ma una sigla (teatro a distanza), che viene ad aggiungersi alle più note Dad (didattica a distanza) e Vav (valutazione a distanza), gli acronimi nati all’indomani della pandemia, in questo scorcio del 2020. Ai tempi del Coronavirus, anche da casa, in video conferenza, il “Progetto teatrale Dioniso”, una delle numerose attività del Ptof (il piano triennale dell’offerta… evviva le sigle!) dei Licei classico-scientifico-linguistico-scienze umane di Gorizia, continua.

Si tratta de “Il canto di Astianatte”, liberamente ispirato alle “Troiane” di Euripide, con diverse contaminazioni di autori che hanno affrontato il tema della guerra, a partire dal mito , sino ad arrivare ai giorni nostri. Astianatte (Lorenzo Vorisi) il piccolo figlio di Ettore e Andromaca, una delle vittime del più famoso conflitto mitologico, simbolo di tutti gli innocenti che pagano per gli interessi egoistici dei potenti, dall’Ade, in una prospettiva ultraterrena, dove la dimensione atemporale non distingue tra presente, futuro e passato, rivolge un appello a fermarsi a riflettere sull’assurdità delle aspirazioni che portano gli esseri umani a combattersi. Lo fa con un racconto retrospettivo che si traduce in scene che alternano ai quadri della tragedia

euripidea - dominati dalle figure emblematiche di Poseidone (Samuel Crescini), Atena (Gaia Kopcic), Ecuba (Caterina Fiorillo), Cassandra (Giulia Squarcina), Andromaca (Roberta Cavallo), Elena (Alice Zanin),Taltibio (Marco Zanfagnin), Menelao (Pablo de Ciantis) e le corifee (Rebecca Bonaldo e Federica Marinelli) - dei flash sulla guerra di Sarajaevo (Beatrice Pietrosanti, della Siria (Noemi Peteani, Sofia Zavadlav), con un cammeo ricordo della giornalista e attivista Hevrin Khalaf (Matilde Sfiligoi, Ludovico Zorzitto, Johannes Scheidler) solo per citare alcuni esempi e per non spoilerare integralmente le scene, nelle quali recitano, suonano, cantano e danzano anche (in ordine alfabetico) Emma Bernardis,Emma Bortoluzzi, Beatrice Campanella, Marco de Facchinetti, Sophia de Fornasari, Leonardo Edalucci, Filippo Enci, Camilla Gerion, Sophia Liviero, Isabella Macuz, Ginevra Manzuoli, Matilde Obizzi, Valeria Ottaviani, Carolina Parmesani(autrice delle coereografie), Matilde Peressin, Anna Pinelli, Noemi Taverna, Fabio Tomasin, Laura e Letizia Tomba, Anna Valentinuz, Carlotta Vidmar, Mattia Vinaccia, Sofia Zavadlav, Alessia Zocco, Stefania Zorzenon e Cecilia Zorzenone. E all’epoca della nuova e atipica guerra, quale è questa del Coronavirus, è fondamentale per i giovani che, improvvisamente, hanno visto venir meno abitudini consolidate e, soprattutto, il contatto fisico con i loro coetanei, ma anche con gli adulti, ovvero una quotidianità costituita da momenti ludici e didascalici, continuare a essere presenti, sentirsi attivi e lanciare un messaggio di positività e di ottimismo anche con questa attività a distanza, in attesa che si concretizzi su un palcoscenico reale, quando (prima o poi) “usciremo a riveder le stelle” dopo questo inaspettato e imprevedibile viaggio “per una selva oscura”. #lascuolanonsiferma ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Ogni mercoledì , alle 14.30, rispettando l’orario settimanale riservato al laboratorio teatrale, la Compagnia del Liceo classico -che annovera una quarantina di student-esse/i del Polo liceale, oltre a uno staff di regia di cui fanno parte docenti (Cristina Rumich, Viviana Taboga, oltre alla sottoscritta ) e collaboratori-amici esterni (la costumista Alessia Furlanut, Manuel Dominko, autore delle canzoni inedite) - si connette su Meet Hangout e continua a produrre, a provare e a mettere a disposizione di tutti gli utenti di Facebook che lo desiderino le varie performance, in fase di allestimento o in replica, sulla pagina https://www. facebook.com/liceoclassicogorizia/, dove sono pubblicate le registrazioni delle prove. Il 25 marzo, prima giornata naziona-

Gli studenti del Liceo Classico durante una videolezione

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Insegnanti e studenti alle prese con le lezioni a distanza: ok, ma credetemi: nulla potrà sostituire l’”odore” dell’aula

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di Alessio Sokol ue temi, tra quelli legati alla scuola, polarizzano tuttora l’attenzione degli organi di informazione: gli esami di maturità e la didattica a distanza.

elettronico, uso di svariate piattaforme per video-lezioni che consentissero l’interazione con gli studenti. I colleghi hanno in gran parte gettato il cuore oltre l’ostacolo, sopperendo spesso alla scarsa dimestichezza con le piattaforme più sofisticate (l’età media dei docenti in Italia è la più alta d’Europa, con un quasi 60% di ultracinquantenni, lontani dai loro studenti che sono nativi digitali, e con una formazione “istituzionale” sulle tecnologiei che vi lascio immaginare ).

parti uguali fra diseguali. Si è scelto di ammettere tutti all’anno successivo: una promozione “di guerra”, probabilmente l’unico strumento possibile e ragionevole. Si discute con toni accesi sull’opportunità di renderlo noto con largo anticipo rispetto al termine delle lezioni, e devo dire che trovo buone ragioni in entrambe le fazioni: rasserenare il clima, puntare soprattutto sull’aspetto relazionale ed emotivo del fare scuola da una parte; evitare che si perda la motivazione a seguire le attività fino alla fine, legata anche al timore dell’esito conclusivo.

Voglio liberarmi rapidamente del primo argomento, in quanto pochissimo mi appassiona. Gli studenti del quinto anno sono quelli che hanno potuto fruire quasi fino alla fine di un percorso scolastico normale: la loro formazione è stata pressoché regolare, la scuola li ha accompagnati fino a un passo dal traguardo, a maturare - almeno per la maggior parte - scelte e Una realtà, però, mi sembra che talenti. Il cataclisma del coronaquesto tempo sospeso abbia virus si è abbattuto su di loro in fatto emergere con chiarezza: una fase della vita in cui – anache nessuna attività a distanza, graficamente - sono già adulti, neppure la più tecnologicamente con un bagaglio di esperienze sofisticata e svolta dai migliori di cui la resilienza dovrebbe far specialisti, potrà sostituire la parte: il disagio da loro subìto scuola in carne e ossa, quella mi sembra notevolmente ridotto fatta oltre che di capacità tecnirispetto a quello che dovranno che e disciplinari, dell’odore di affrontare tutti gli altri studenti, aule troppo spesso inadeguate, per cui sarà necessario rimodi ore passate un po’ ad ascoltare dulare il percorso formativo, e i professori, un po’ ad annoiarsi per i quali - specie per quelli più guardando la nuca di chi ci siede piccoli e per quelli in situazione davanti, delle uscite dall’aula di disagio di ogni natura- più si quando non se ne può più e delfaranno sentire i danni dell’isole parole scambiate con il bidello lamento sociale. Per questo non al piano, dei tanti piccoli riti che mi entusiasmano le discussioni contraddistinguono da sempre circa le modalità degli esami, le la vita dello studente. richieste sulla necessità di mantenere la serietà della prova e di Se pensiamo che scuola è tutto Gli striscioni con l’hashtag #LaScuolaNonSiFerma appesi al evitare una promozione in massa questo e non solo prestazione, Liceo Classico, al Liceo Slataper e allo Scientifico (ognuno rifletta sul fatto che i valutazione, svolgimento del propromossi all’esame di Stato sono stati il Non sono mancati i problemi, legati sia grammai, allora forse dovremmo essere 99,7% lo scorso anno). ad approcci individuali sia a difficoltà di meno preoccupati, da una parte, se il dosistema: non tutti gli studenti riescono cente di …. “non è proprio una scheggia” Argomento più interessante è la didata seguire con profitto la DaD perché o se il voto in pagella è quello “giusto”; tica a distanza (DaD), che dal 9 aprile non dispongono di strumenti informadall’altra, se quest’anno non ho concluso sostituisce, per decisione del legislatore, tici adeguati; in tanti usano soltanto lo tutti gli argomenti che avrei voluto, o se l’attività in presenza. Dal mancato riensmartphone, con potenzialità limitate di non sono riuscito ad acquisire tutte le tro nelle aule dopo il ponte di Carnevale, videoscrittura; spesso non hanno una valutazioni che mi ero riproposto. la scuola vive un lungo periodo che connessione internet efficiente; debbono formalmente si configurava come “socondividere gli strumenti con i fratelli e Per fortuna la scuola non è (ancora) spensione delle attività didattiche”: una genitori; sono costretti a spartirsi gli spaun’azienda in cui il capitale umano situazione di straordinarietà, in assenza zi domestici adatti allo studio. Vi sono dev’essere fatto fruttare, in cui le perfordi un quadro normativo che fornisse situazioni “ambientali” molto diversifimance educative debbono essere construmenti per rispondere ai tanti problecate, proprio come nei tempi normali, frontate con il benchmark di riferimenmi di gestione dell’emergenza. si dirà: nella normalità, però, almeno il to, in cui ci si prepara alla competizione tempo d’aula mette tutti sullo stesso piadel mondo che verrà dopo. È il luogo Dal mio punto di vista di insegnante, no. Questa considerazione ci porterebbe in cui, senza fretta, si scoprono talenti e le scuole hanno risposto con pronteza discutere dei massimi sistemi, a partire ripulse, si verificano percorsi, si costruza alle necessità del momento, pur in dalla questione molto complessa della isce la propria dimensione di “animali assenza di certezze e obblighi codificati, valutazione di fine anno, in cui rientrerà politici”, e qualche volta si trovano dei attivando fin dai primi giorni una serie anche l’attività di DaD. Non ne abbiamo Maestri. di attività a distanza, con una pluralità il tempo, ma mi si conceda di ricordare di mezzi a disposizione: comunicazioni una provocazione di don Milani, che si/ ©RIPRODUZIONE RISERVATA e messaggistica telefonica, mail, registro ci chiede quanto sia giusto provare a far

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Lontani da casa nel momento più buio: le storie degli universitari del Sid di Timothy Dissegna

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uando migliaia di studenti italiani sono partiti mesi fa per svolgere l’Erasmus o un tirocinio in giro per il mondo, nessuno di loro si sarebbe aspettato di dover affrontare una situazione come quella attuale. Le notizie che arrivano dall’Italia e i recenti provvedimenti degli altri stati ne hanno spiazzato molti, portandone tanti a propendere per il ritorno in patria. Altri, invece, hanno scelto di proseguire la propria esperienza all’estero. Tra quest’ultimi ci sono diversi universitari che frequentano il polo di via Alviano a Gorizia, sede del corso di Scienze Internazionali e Diplomatiche (SID), attualmente chiuso come tutti gli atenei del nostro Paese.

prosegue Valle -, a cui bisogna correre ai ripari senza però creare allarmismi”. Le regole approvate replicano quelle italiane, ad eccezione dell’obbligo di rimanere a casa: “È caldamente sconsigliato incontrare altre persone, ma i parchi cittadini sono comunque pieni. La gente sta prendendo abbastanza sottogamba la questione, i supermercati sono affollati senza alcuna restrizione”. In Austria già il 14 aprile è partita la fase 2, con la riapertura di negozi, officine, tabaccherie, trasporto pubblico, ma con l’obbligo di indossare mascherine e di mantenere distanze minime. Per i ristoranti solo servizio take away. Da maggio riaprono anche centri estetici e parrucchieri. Anche a Bruxelles la situazione è cambiata in marzo. Rebecca Specogna, 23 anni di Cividale, si trova qui per svolgere lo stage alla Rappresentanza italiana presso la Commissione europea: “In precedenza - ci dice -, la situazione non era ritenuta preoccupante né dalle autorità, né dalla popolazione. In marzo è stato decretato il lockdown, con i controlli lungo le strade da parte delle forze dell’ordine per chiedere il motivo dello spostamento”. Alla fine, Rebecca ha deciso di anticipare il rientro in Italia, affrontando un’odissea nella prenotazione del biglietto Alitalia e dovendo fare scalo a Roma prima di arrivare all’aeroporto di Venezia. Analoghe preoccupazioni sulla situazione belga, dove – come da noi – le misure restrittive sono state prolungate fino al 3 maggio - ce le racconta Agnese Bertolo, anche lei presente nella capitale come tirocinante ma presso l’Ufficio di rappresentanza all’UE del Friuli Venezia Giulia: “Sono arrivata a Bruxelles il primo marzo, quando la situazione era già grave ma in regione non si percepiva ancora l’impellenza del pericolo come sarebbe stato da lì a poche ore. Qui, in breve tempo, sono stata bombardata dalle notizie che arrivavano da casa e la preoccupazione è sorta quando ho constatato la discrepanza tra le misure prese dall’Italia e quelle prese dal governo belga”. Per lei lo stage

Cominciamo questa nostra breve carrellata con Riccardo Valle, 23 anni di Mestre, che è attualmente impegnato presso la Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite a Vienna: “A fine marzo - ci spiega - in Austria è finita la prima settimana di misure restrittive. Fino a martedì scorso (il 17 marzo per chi legge, ndr), infatti, non era stata adottata alcuna limitazione e anzi il governo locale ha sempre sminuito gli effetti del coronavirus”. Tutto è cambiato con il discorso alla nazione del cancelliere Sebastian Kurz, il giorno stesso in cui sono state adottate le nuove misure: “Ha detto che questa è la crisi più grande dal dopoguerra -

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dovrebbe proseguire fino a settembre. Andrea Pasotti, 30enne di Garda e laureatosi già da un anno al SID, si trova invece a Seul, in Corea del Sud. Partito per imparare la lingua qualche mese fa, ha vissuto fin dall’inizio l’emergenza, quando il paese asiatico era il secondo al mondo per numero di contagi. “La crisi è stata gestita bene - ci racconta -, anche perché sono stati fatti tantissimi tamponi, che erano già pronti per monitorare i contagi da ‘camel prion desease’ (la malattia del “cammello pazzo”, scoppiata nel 2018 in Medio Oriente, ndr)”. A circoscrivere la diffusione del virus, inoltre, è stato il fatto che i primi contagi sono emersi all’interno di una setta cristiana molto chiusa. A ciò si aggiungono le misure per ricostruire gli spostamenti delle persone risultate poi positive: “Il governo - spiega Pasotti - ha avuto accesso ai dati delle persone che hanno contratto il coronavirus, potendo far chiudere i negozi in cui sono stati. Chiunque può visualizzare questi percorsi sul proprio smartphone, così da evitare luoghi a rischio”. Un provvedimento che ora si ipotizza di adottare anche in Italia. Nonostante ciò, comunque, nemmeno in Corea i cittadini sono stati obbligati a rimanere in casa: “Le persone hanno limitato autonomamente le proprie uscite, ma negli ultimi giorni hanno ricominciato ad andare nei bar, ristoranti e negozi”. Ci mostra alcuni video fatti per le vie della città ed effettivamente sembra un giorno come tanti, anche se quasi tutti indossano la mascherina. “Qui però tantissimi ce l’avevano già prima” sottolinea. Infine, anche in Estremo Oriente molti non mancano di rivolgere un pensiero all’Italia: “I coreani provano una forte empatia verso il nostro paese, sanno cosa significa affrontare questa situazione e mi chiedono sempre com’è la situazione lì”. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Andrà tutto bene? Provate a dirlo ai settori già messi a dura prova da fisco e burocrazie

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iamo tutti borderline, dissociati… Ogni giorno passiamo dall’#andratuttobene ad aggiornamenti definiti bollettini di guerra. I giornalisti, e non solo, hanno abusato senza ritegno della metafora bellica, agevolati dalla nostra fortunata ignoranza: chi di noi, una guerra, l’ha vissuta davvero? Chi opera quotidianamente in contesti di conflitto lo ha ribadito più volte: “non scherziamo, ragazzi, l’angoscia che una bomba possa improvvisamente farti saltare in aria è altro rispetto a ciò che stiamo vivendo”. Del resto, ognuno reagisce alle avversità della vita come può e come crede; soffermiamoci per un istante su situazioni e dati reali, che riguardano alcune categorie di lavoratori che più di altre stanno pagando con lacrime e sangue l’emergenza da Coronavirus: educatori dei servizi sociali e ristoratori. Mi concentro volutamente su due settori molto diversi, il primo, quello degli educatori, che ha a che fare con bisogni essenziali, il secondo, quello dei ristoratori, che ha a che fare con la convivialità e il tempo libero, un comparto strategico importantissimo per l’economia del nostro paese, che garantisce l’impiego a moltissimi lavoratori. La sospensione dei servizi educativi, sia scolastici che domiciliari, causata dal Covid-19 è stato un colpo durissimo per tutto il sistema Welfare. A pagarne le conseguenze più gravi sono i ragazzi assistiti nelle scuole e nei doposcuola a cui sono venuti a mancare gli aiuti e il sostegno necessari per integrarsi con i loro coetanei e per essere al passo con il programma. È stato certamente un duro colpo anche per le loro famiglie, madri in primis, che improvvisamente si sono viste private di un supporto quotidiano nella gestione di problematiche, alcune molto serie, tra le più diversificate. È stata una batosta per gli educatori che ogni giorno con professionalità, dedizione e sacrificio offrono l’aiuto, il supporto e il sostegno a questi ragazzi e le loro famiglie. Queste persone, a fronte di uno stipendio magro in condizioni normali, sono parte integrante di un sistema sociale che non vuole lasciare indietro nessuno, motivati dalla consapevolezza che tutti abbiano pari diritti e pari dignità. Alla fine di aprile molti di questi opera-

di Eleonora Sartori tori, quelli che prestano il loro servizio non direttamente per il Comune ma attraverso cooperative, hanno pianto di fronte alla busta paga relativa al mese di marzo, che chiaramente ha risentito delle poche ore di lavoro svolte. Il Governo Nazionale ha previsto che essi siano pagati al cento per cento per le ore nelle quali il servizio è stato sospeso, esattamente come gli insegnanti della Scuola Pubblica, i dipendenti comunali dei doposcuola, perché non è giusto paghino in prima persona le conseguenze di una crisi sanitaria di notevoli proporzioni. Del resto, i soldi risultano già a bilancio dell’Amministrazione, quindi già stanziati, non serve ricorrere a misure straordinarie per reperirli, né attingere al FIS (Fondo d’Integrazione Salariale), che comunque copre solo in parte la retribuzione, lasciando così più risorse libere per tutti quei settori lavorativi che non possono beneficiare di altre misure di sostegno al reddito. Nota dolente: il Governo centrale ha autorizzato ma non obbligato i Comuni che, di conseguenza, possono agire come meglio credono. A Gorizia, durante la seduta del consiglio comunale del 28 aprile è stato bocciato l’ordine del giorno che impegnava il Sindaco e la Giunta a garantire lo stipendio pieno agli educatori, equiparandoli di fatto ai dipendenti comunali pagati per intero. In questa situazione, credere che andrà tutto bene e che nessuno verrà lasciato indietro è molto arduo e spiace che a pagare le conseguenze della libertà di interpretazioni e dei giochetti tra i “poteri forti” (o quantomeno più forti dei singoli cittadini) sia una categoria che svolge un ruolo essenziale per i nostri figli e per noi famiglie. Proprio in queste ore si sta parlando di come e da che cosa ripartire e poiché l’estate è alle porte come del resto la riapertura delle aziende, i centri estivi sono al centro della discussione. Abbiamo letto di “mini centri estivi”, senza sapere bene cosa si intenda con questo termine, proposti dall’Amministrazione comunale senza basarsi su linee guida o protocolli nazionali. Del resto, la materia può e deve essere gestita a livello locale… Ma con quali operatori? Gli stessi che si sono visti negare da parte dell’Amministrazione comunale l’integrazione del proprio stipendio? Oltre ai servizi essenziali ve ne sono altri che essenziali non sono, ma che garantiscono impiego a moltissimi addetti

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e sono di fatto strategici per l’economia del Paese. I ristoratori sono tra i più penalizzati, avendo drasticamente ridotto (nel caso si siano attrezzati per la delivery) o addirittura azzerato gli incassi. Si tratta di una categoria di imprese che si è trovata ad affrontare il Covid già “indebolita”, in quanto gravata da pesanti costi fissi e una fiscalità importante. Quest’ultima, infatti, è talmente opprimente che, di fatto, non permette a una piccola impresa di consolidarsi, di ripagare gli impegni presi, anche quando le attività sono in salute e lavorano molto con turni massacranti; la burocrazia, oltre a ciò, invece di agevolare, appesantisce il lavoro già frenetico… Basti pensare che anche per pagare gli F24 dei dipendenti è necessario attivare un servizio a pagamento perché non si può più fare da soli attraverso l’homebanking, e che l’iter per ottenere il 20% del rimborso relativo all’affitto di marzo ha richiesto molto tempo e 16 euro di marca da bollo… Senza contare i costi per i professionisti per chi da solo non ce la fa (arrangiarsi non è esattamente semplice). Il Covid ha annientato, dunque, un settore già messo a dura prova da fisco e burocrazia, che ora si trova a dover rinunciare anche ai turisti; dopo la riapertura, con i confini chiusi, le distanze minime e gli orari ridotti (e disposizioni di sicurezza di cui ancora nulla si sa) non si tornerà assolutamente a regime per quanto riguarda gli incassi. Ecco, dunque, che a monte dovrebbe cambiare tutto: costi fissi, contratti, franchigie, costi banca, affitto, altrimenti le uniche vie saranno licenziamenti, insolvibilità nei confronti dei fornitori e chiusure attività. In molti in questo momento hanno riconvertito la loro attività puntando sulla consegna a domicilio e il take-away, e stanno predisponendo tutto il necessario per poter riaprire quando otterranno il via libera. Il problema è che sull’argomento il caos regna sovrano: oltre alle distanze tra i tavoli (di conseguenza un minor numero di coperti) e all’utilizzo di guanti e mascherine da parte del personale, c’è chi addirittura ha pensato e proposto delle barriere di plexiglass tra i commensali. Vedendo certe immagini che circolano sul Web e che tutti speriamo siano fake news c’è da chiedersi chi troverà piacevole andare a mangiare fuori a queste condizioni. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Scoprire le bellezze sul web: così si sono organizzati i Musei di Eliana Mogorovich

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prire la pagina web di un museo, luogo di aggregazione, condivisione, a volte esperienze tattili ma, soprattutto, somma di spazi da godere di persona perchè solo così le emozioni si sentono più forti... Si diceva: aprire la pagina web di un museo e trovarvi al centro l’ormai celebre hashtag #iorestoacasa sembra proprio una contraddizione in termini. Eppure così è, in questo periodo di solitudini e convivenze forzate che ci privano di quelle parti tanto importanti per la nostra Penisola che sono la cultura e l’arte. E forse è vero ciò che hanno detto e scritto molti commentatori: ci siamo resi conto dell’importanza di questi aspetti solamente ora che ne siamo rimasti privi. Ma, fortunatamente, quest’assenza non è stata totale: e in un Paese che ha faticato a far partire la didattica a distanza e lo smart working, uno dei primi settori ad aver reagito sono stati proprio i musei, che hanno aperto le loro porte, paradossalmente accompagnandoci spesso in sale chiuse al pubblico o permettendoci

di vedere tesori altrimenti inaccessibili. E non sono state solo istituzioni di fama mondiale come gli Uffizi di Firenze o l’Ermitage di San Pietroburgo ad organizzarsi in questo senso, ma pure realtà locali come i musei regionali che fanno capo all’Erpac o la Fondazione Coronini Cronberg. Diverse le novità introdotte dai servizi di comunicazione di enti effettivamente già molto attivi sui social. Per quanto concerne l’Erpac, sulla pagina facebook e sul profilo instagram, oltre a una panoramica fotografica ed esplicativa di dettagli delle singole sedi (dai Musei Provinciali di Borgo Castello al Museo della Vita Contadina Diogene Penzi di San Vito al Tagliamento), è stata inaugurata la rubrica di curiosità #nonsolocoronavirus in cui si declinano tutte le possibili accezioni del termine “corona”: da quella indossata da principi e imperatori, a quella di spine che ha cinto Gesù Cristo fino alla corona musicale. Altra new entry è #lasperanzainpoesia, angolo culturale inaugurato a inizio aprile e dedicato alla lettura di componimenti poetici da parte di dipendenti Erpac, iniziativa che si accompagna alle “visite guidate” alla scoperta delle singole sedi condotta dagli stessi curatori, come Alessandro Quinzi che in diverse puntate permette di riscoprire i tesori della pinacoteca di Palazzo Attems o la dottoressa Alessandra Martina che, aperto l’archivio fotografico dei musei, accompagna gli spettatori in un viaggio alla riscoperta della Gorizia di un tempo. Non rubriche specifiche ma di continui, puntuali e (a giudicare dai commenti) apprezzati approfondimenti sui singoli pezzi della collezione o sui personaggi legati alla casata goriziana sono i contenuti dei post pubblicati sulla pagina Facebook e le stories del profilo Instagram della Fondazione Coronini Cronberg che, come riportato sul precedente numero del nostro giornale, a inizio aprile avrebbe dovuto inaugurare l’attesa mostra annuale.

Un’acquarello di Max Fabiani e un “figurino di moda” di proprietà dei Musei provinciali. Sul web vengono proposte visite guidate virtuali

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«I preparativi stanno proseguendo» rassicura la curatrice Cristina Bragaglia «Il catalogo è in fase di impaginazione ma al momento non sappiamo quando potrà riaprire il museo nè tantomeno la mostra “Verde sublime. Il Parco Coronini Cronberg e la rappresentazione della natura tra Neoclassicismo e Romanticismo”. La data del 18 maggio, ipotizzata dal Governo, per la riapertura dei musei, non ci consente di fare programmi perché il problema non è tanto il giorno quanto le modalità con cui dovrà essere effettuata l’apertura, e come le singole realtà potranno adeguarsi. Su questo non si sa ancora nulla». Prosegue nel frattempo il lavoro degli uffici e, proprio Cristina Bragaglia, sta incrementando il numero di schede dell’inventario consultabile on line sulla pagina web della Fondazione: un modo per aiutare gli studiosi e non lasciar impolverare le collezioni.

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“1945 Ich Bin Schwagner (sono incinta)” Il libro parla della Resistenza della partigiana triestina Nerina Uršičh, delle sue azioni, della cattura e della sua detenzione al carcere del Coroneo. Un’antifascista pragmatica è stata Nerina, che più che sposare la teoria dei partiti, era spinta dalla necessità di agire (nota la sua frase “co se devi, se fa” in dialetto triestino). E’ proprio nel carcere del Coroneo che scopre di essere incinta e l’esperienza terribile del lager di Ravensbrück la vive, tra mille paure e preoccupazioni, aspettando il suo primo bambino che nasce miracolosamente due mesi dopo il suo ritorno a casa, dopo un viaggio estenuante in cui la frase “Sono incinta” le servì per difendersi da ogni tentativo di violenza da parte degli uomni che incontrava nel suo cammino. Il libro, inoltre, si sofferma sull’esperienza concentrazionaria vissuta dalle donne, resa ancora più misera dalla cancellazione di qualsiasi tratto della loro femminilità, e anche sul sentimento ambivalente nei riguardi della maternità, portata avanti in condizioni estreme. Il rapporto con la figlia Sonia sarà segnato per sempre dall’esperienza materna, dai silenzi, dai traumi e dalla paura che il lager ha lasciato nella mente della madre. Si comprende, così, come il dramma della deportazione si trasmette alla generazione dei figli, nella consapevolezza che la guerra non finisce con la cessazione dei combattimenti e dei trattati di pace, ma dura subdolamente molto più a lungo, forse per sempre, andando a compromettere la vita anche delle generazioni successive. (ElSa)


èStoria, rinviata al 2021 l’edizione dedicata alla “Follia” Allo studio format alternativi con dirette streaming

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arebbe stata una… “Follia”. Abbiamo preso a prestito il titolo della sedicesima edizione del festival dei libri èStoria, programmata per il 29, 30 e 31 maggio, per commentare l’inevitabile annullamento del più prestigioso appuntamento culturale offerto dal palinsesto annuale goriziano. L’emergenza-Coronavirus ha falcidiato, del resto, tutte le manifestazioni del genere: impossibile pensare di poter garantire le indispensabili misure atte a tutelare la salute e la sicurezza del pubblico, degli ospiti e dei volontari stessi. Eppure l’Associazione culturale èStoria, guidata dall’instancabile e appassionato patron Adriano Ossola, ci ha provato fino all’ultimo. Spiega il “boss” del festival: “Pensa che il 20 febbraio ci eravamo riuniti e avevamo constatato, con notevole soddisfazione, di essere molto più avanti del solito nell’organizzazione della rassegna. In pratica il programma era già sostanzialmente definito, con un parterre di ospiti davvero di prim’ordine. Avevano confermato la loro adesione studiosi, giornalisti e scrittori provenienti da tutta Italia e dall’estero: New York, Parigi, Londra”. Si profilava, dunque, un’edizione di altissimo livello (“Una delle migliori in assoluto, connotata fra l’altro da una più accentuata collaborazione con il Kinemax, avviata da alcuni anni”, conferma l’ideatore e curatore della kermesse). E invece, una settimana dopo, è arrivato il patatrac. Lo staff degli organizzatori, com’è logico, ha preso tempo prima di adottare una decisione definitiva. “Vedremo a metà marzo”, aveva detto in un primo momento il patron. Ma poi si è pensato di temporeggiare ancora un po’, nella speranza di una schiarita sul fronte della pandemia. E’ passato quasi un altro mese e alla fine, nel quartier generale di corso Verdi è stata issata bandiera bianca. Il 9 aprile, sulla pagina Facebook dell’Associazione èStoria, è stato ufficializzato un rinvio che ormai non poteva più cogliere di sorpresa nessuno. “Una decisione sofferta – si leggeva nella nota – considerato lo stato molto avanzato del programma, i numerosi ospiti confermati e le tante realtà che hanno collaborato con importanti proposte”. Non si poteva fare altrimenti, anche se unanime è stato il dispiacere. Piccola nota personale: Ossola mi aveva con-

di Vincenzo Compagnone tattato, come ogni anno, per intervenire al festival. Questa volta la richiesta era stata di condurre una visita guidata con l’èStoriabus, che si intendeva rilanciare dopo qualche anno di appannamento, dal parco Basaglia di Gorizia al Parco San Giovanni di Trieste, in modo da illustrare ai partecipanti – che sarebbero stati certamente numerosi -. le tappe della rivoluzione basagliana nel campo dell’assistenza ai malati psichiatrici. Mi avrebbe fatto davvero molto piacere rivestire il ruolo di “cicerone”, ma pazienza: sarà per la prossima volta. Non è un addio, infatti, ma solo un arrivederci. L’appuntamento con la sedicesima edizione di èStoria, imperniata sul tema della “Follia” è rimandato alla primavera del 2021. Resta il problema di dare comunque continuità alla manifestazione, in modo tale da non “sparire” del tutto, per quest’anno, dal panorama culturale. Nel momento in cui scriviamo si stanno ancora ipotizzando delle formule anche perché bisogna capire se i contributi della Regione, del Comune, della Fondazione Carigo e della Camera di commercio devono essere necessariamente utilizzati entro l’anno oppure se vi saranno delle decisioni di segno diverso.

Accantonato il tema della “Follia” (contatti sono in corso con gli ospiti per confermare la loro presenza nel 2021) l’idea prevalente degli organizzatori è quella di imbastire un focus sull’argomento di più stretta attualità – ovviamente, il Coronavirus – attraverso dirette streaming e sui canali YouTube. Un format particolare, che Ossola sta studiando in uno scenario dominato ancora dall’incertezza, cercando soprattutto di evitare la sovrapposizione con altre iniziative. “Potremmo farlo in giugno o in luglio – rileva il patron – ma allo stato non sono ancora in grado di essere più preciso”. Maschera bene la delusione, il curatore di èStoria, ma non nasconde al tempo stesso la volontà di essere comunque presente in qualche modo nella ripresa delle attività (la famosa “fase 2”) in cui anche la cultura dovrà recitare un ruolo di primo piano. Per tutti gli “èStorici”, come si definiscono i fans del tradizionale appuntamento primaverile, si tratta dunque di avere ancora un po’ di pazienza per capire quale sarà l’alternativa studiata da Ossola e dai suoi collaboratori. Fermo restando che di “Follia” si parlerà, in modo certamente ancor più ricco e approfondito, nel maggio del prossimo anno. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Folla sotto la Tenda Erodoto durante un incontro dell’edizione 2019 del Festival internazionale della storia

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La storia di Meyra Moise, dottoressa-record di Cherso che conseguì la sua terza laurea a ottantanove anni di Anna Cecchini

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rimavera, tempo di sessioni di laurea. E, in questo periodo, tempi di lauree online. I ragazzi e le ragazze si sono sistemati il trucco, i capelli, hanno indossato un abito acquistato forse qualche tempo prima, attendendo con emozione, nervosismo e tante aspettative l’evento che è il coronamento di una lunga carriera studentesca. Si sono accomodati davanti a uno schermo, hanno avviato Skype o qualche altra diavoleria, e hanno discusso la loro tesi, consegnandola a milioni di byte attraverso la rete. Senza pubblico, senza applausi finali, senza brindisi, se non con gli stretti familiari. Una delle tante conseguenze del lockdown, e nemmeno tra le peggiori. Proprio nei giorni di queste lauree inusuali mi sono imbattuta in questa storia che mi ha ricordato come, sempre più spesso, non sono io a cercare le storie, ma pare che siano loro a cercare me. Meyra nasce a Cherso nel 1923 dalla famiglia paterna dei Moise e, per parte materna, dalla famiglia Misetich di Ragusa (l’odierna Dubrovnik). I Moise, nobili, agiati e colti, sono presenti in città fin dal 1300, e noti per la partecipazione di due membri della famiglia alla battaglia di Lepanto e per l’abate, educatore e linguista Giovanni, conosciuto per la sua “Grammatica della lingua italiana”, opera monumentale in tre volumi, per la cui stesura impiega circa vent’anni, ma gli permette l’accesso all’Accademia della Crusca. La madre Lieposava è figlia del dottor Rocco, che è stato il medico di corte del re del Montenegro, padre della regina Elena, che sposerà Vittorio Emanuele III. Quel che si dice una buona famiglia, colta e agiata. Francesco Moise, il papà di Meyra, conobbe Lieposava mentre prestava servizio in Dalmazia – allora sotto l’impero austroungarico come Cherso – quale ufficiale austriaco. Meyra vive un’infanzia felice nel palazzo di Cherso. In casa si parla italiano, croato e tedesco, come in molte famiglie dell’epoca. Frequenterà a Zara il ginnasio inferiore e a Fiume il superiore e il liceo classico. Nel tempo libero si dedica alla danza e studia il pianoforte, diplomandosi al Conservatorio. La seconda guerra mondiale getta un’ombra sulla vita familiare, ma non impedisce a Meyra di laurearsi nel 1946 in lettere antiche nella storica Università di Padova. Prima ancora della laurea Meyra comin-

cia la sua carriera di docente a Fiume insegnando nel ginnasio della città italiano, latino, greco e musica, in una classe di madrelingua croata. “Riuscii subito a stabilire un buon rapporto con i ragazzi – racconta in un’intervista rilasciata molti anni dopo - La loro insegnante precedente, di fede fascista, aveva fatto più formazione politica che altro. Mi trovai di fronte a quei ragazzi diffidenti e timorosi, e dissi subito: «Mi dispiace di dover fare lezione in italiano e non nella vostra lingua…” Dissi che sapevo il croato. Ci fu subito un gran sospiro di sollievo. Aprimmo insieme il libro di latino e

Meyra si laurea per la seconda volta a 86 anni

la prima frase da tradurre era: “La nostra patria è l’Italia”. Dissi: “Ragazzi, potete saltare questa frase!”. Nella seconda c’era la parola duce (nel senso antico, non riferita a Mussolini). Mi chiesero se fosse obbligatorio scriverlo con la maiuscola e risposi di no. A quel punto avevano capito tutti che ero diversa dalla professoressa precedente, perché li rispettavo”. Poi, quando la scuola in lingua italiana viene chiusa, prosegue privatamente assieme ad altri colleghi, l’insegnamento in italiano agli alunni che lo desiderano. La è la fine della seconda guerra mondiale. Cherso viene occupata dalle truppe di Tito e un’onda di paura cala sul paese, alimentata da arresti, interrogatori, sparizioni di persone. Alla fine del conflitto i Moise seguono il destino della maggioranza degli italiani d’Istria e Dalmazia. Perderanno tutti i loro possedimenti, requisiti dalla Jugoslavia, compreso il bel palazzo situato in centro città, una delle sei case patrizie

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rimaste a testimoniare la ricchezza e il benessere di un tempo, che viene nazionalizzato. Dopo un breve periodo in un campo profughi, si stabiliscono a Gorizia, dove Meyra riprende la sua attività di insegnante. Suo fratello minore Francesco, detto Checco, sarà un personaggio assai noto per la sua presenza in innumerevoli enti e istituzioni cittadine, nonché politico di spicco, e ricoprirà più volte la carica di consigliere e assessore comunale per la Democrazia Cristiana. Meyra si allontanerà invece da Gorizia. Sposerà il professor Severino Lucchi, veronese, nel 1954 e si stabiliranno nella casa di famiglia del docente a Parona di Valpolicella, alle porte della città scaligera, dove tuttora Meyra vive. La donna e il marito, entrambi insegnanti, avranno tre figli. Ne perderanno due in modo tragico, ma il terzo le regalerà quattro splendidi nipoti, che Meyra ha seguito amorevolmente negli studi e nella vita. Parallelamente all’attività di insegnamento, svolta per quarant’anni nei licei e nelle scuole medie delle provincie di Gorizia e di Verona, riprende a dedicarsi alla danza classica, una passione che l’ha accompagnata per tutta la vita. Scrive anche molte poesie, riunite in un libretto edito dalla Comunità Chersina sotto il titolo “Arcobaleno”. La fede e la disponibilità verso gli altri la portano ad occuparsi, anche dopo la pensione, di persone in difficoltà economiche e d’altro genere: profughi, carcerati, prostitute e senzatetto. Meyra continuerà a lottare, a seguire chi ha bisogno e a studiare. Lo farà per tutta la vita. E continuerà a mantenere vivi i legami con la sua amatissima isola dalmatina, tornandoci tutte le estati. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, la famiglia riuscirà a riottenere in proprietà, trasformandolo in una graziosa residenza, lo spartano capanno per gli attrezzi sul mare, che un tempo fungeva da deposito delle reti della zio Toni, fratello del papà, appassionato pescatore anche se diplomato capitano alla “Nautica” di Lussinpiccolo. Ma alla soglia degli ottant’anni prende una decisione che sarà il completamento della sua vita così intensa. Si iscrive alla facoltà di filosofia. “Me son iscrita all’Università, ma non a quella dei veci, a quela vera” – dice al telefono all’amica Carmela Palazzolo. Stavolta Meyra farà la vita di una studentessa, quella che le era stata negata durante la guerra, andando a lezione, scambiando appunti e riflessioni con i compagni di corso, che


cente, preparatissimo e presente, mentre il mondo universitario le è parso meno severo e ingessato che nei lontani anni ’40. Ricorda il suo corso di studi giovanile, quando non aveva mai ricevuto una sola lode, mentre durate la sua seconda laurea le lodi sono fioccate. L’ultima domanda riguarda i progetti per il futuro. La neo laureata sorride e confessa di essersi iscritta alla Facoltà di teologia, di voler Meyra Moise attorniata dalla commissione di laurea imparare l’inglese e, nel tempo libero, di hanno l’età dei suoi nipoti. continuare a dare lezioni gratuite ai suoi studenti bisognosi. Ottiene prima la laurea triennale e poi, nel 2012, la magistrale col massimo dei Nel 2019 il Palazzo Moise di Cherso voti e summa cum laude, alla bella età è finalmente stato inaugurato. Dopo di 89 anni. La tesi ha avuto per tema il aver languito nell’abbandono per oltre filosofo e letterato chersino del Cinquesettant’anni, un ambizioso progetto del cento, Francesco Patrizi. “La sua casa e Comune lo ha riportato all’antico splenla mia – racconta – si trovavano a soli dore. Mi chiedo se la sua destinazione 20 metri di distanza”. Il relatore di tesi, sia stata casuale, o se la scelta di farne la Riccardo Pozzo, la descrive come esemsede della Facoltà di filosofia dell’Unipio vivente di formazione continua. Al versità di Fiume abbia voluto essere un giornalista che le chiede se sia stato difomaggio alla “dottoressa” Moise. ficile ricominciare a studiare, la tri-laureata Meyra spiega: “No, ho un’ottima Meyra oggi di anni ne ha novantasei, memoria e un buon metodo: faccio il vive, assistita da una badante, nella sua riassunto di libri e appunti, poi riassumo casa veronese afflitta dalla cecità che le il riassunto, evidenziando i punti chiave. ha portato via il piacere di tutta una vita, Frequentando tutte le lezioni è stato più quello per la lettura e la scrittura, ma facile. E’ stato un periodo molto bello, è sempre attiva e vivace. L’anno scorso anche se ora mi domando come ho fatto è voluta tornare nella sua amatissima ad andare avanti e indietro dall’UniverCherso. Continua perfino a impartire sità tutti i giorni con l’autobus. Questi lezioni di letteratura ai suoi studenti, ananni di studio mi hanno allungato la che se lo fa solo al telefono e, se potesse vita!”. Dei suoi compagni di corso dice: parlare alle ragazze che in questi tempi “Non mi hanno trattato come un’anziasi laureano in sordina, credo che direbbe na, ma come una di loro. Mi offrivano il loro di guardare avanti, di non smettere caffè, sono stati generosi e pronti ad aiumai di imparare e di mettersi in gioco, tarmi. Ho imparato a conoscere meglio qualunque cosa accada. i ragazzi di oggi e a capire cosa cercano: hanno bisogno di testimoni”. Spende ©RIPRODUZIONE RISERVATA anche elogi nei confronti del corpo de-

La pandemia e la guerra Questo potrebbe essere un quesito da sottoporre a quanti desiderano assumere ruoli di responsabilità pubblica. È bastato un virus per mettere in evidenza tutti i limiti dell’apparato statale di molte nazioni. La pandemia del Coronavirus è ora il nuovo nemico; il gergo politico ha cambiato velocemente il suo vocabolario, siamo forse in guerra? Non credo proprio, la guerra è molto più complessa della “Natura”, è la specialità dell’essere umano e solo noi possiamo essere capaci di generare un conflitto a fini di interessi, economici o spirituali. Provate a chiedere ai bambini siriani e yemeniti, cosa significa “guerra” quando hanno visto bombardare le loro scuole o i loro ospedali, provate a chiedere a chi vive da mezzo secolo e più in Palestina cosa significa vivere nel terrore, a chi si è trovato in mezzo al conflitto iracheno o afgano cosa significa vedere sparire decine di famiglie in un sol colpo. La guerra è l’ignobile vizio degli umani. Per non parlare di Sarajevo, dell’olocausto, dei rom, dei dissidenti politici, delle dittature sanguinarie, degli armeni e via dicendo. Una cosa avrebbero dovuto acquisire i nostri politici dall’esperienza dell’esercito, la distribuzione sul territorio delle risorse, in questo caso, sanitarie. Diciamo che è un semplice problema di organizzazione! Concentrare in una polveriera tutto il materiale esplosivo sarebbe un suicidio collettivo, basterebbe una scintilla per neutralizzare l’arsenale. Non si può avere un esercito dislocato solo in pochissime grandi caserme, pochi razzi ben assestati e non avremmo più le Forze Armate. Ora concentrare in pochi Super Ospedali la risposta sanitaria ha dato prova di poca lungimiranza politica. Dagli anni ’90 qualcuno ha pensato bene di concentrare in poche aree i grandi complessi sanitari, forse più per interessi personali che di nobile vocazione democratica. Fermiamoci qui! Quali sarebbero allora i limiti di un sistema chiuso come la Terra? La temperatura, il numero degli esseri viventi, l’aria disponibile, l’acqua potabile e soprattutto il rispetto della “Natura”. È una decisone che spetta a noi esseri umani, unici animali che hanno a disposizione l’uso del linguaggio e soprattutto di una mente illimitata capace di farci “credere” che l’Universo sia di nostra proprietà. (renato elia)

Un’immagine di palazzo Moise a Cherso

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Quarantena: una postilla di speranza chiude il diario di nonno Frank di Giorgio Mosetti

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ome già vi dicevo la volta scorsa, questo è il diario di Frank. Mi è stato recapitato non so da chi nella cassetta delle lettere alcune settimane fa. Conteneva anche un biglietto, in cui Frank mi ordinava di diffonderlo per il bene dell’Umanità. E io l’ho fatto. E continuo a farlo. Per lui, ma soprattutto per l’Umanità. Giorno 13 Oggi ho trovato un termometro in un cassetto della vecchia camera di mia figlia. Per sfizio mi sono misurato la febbre. Sono uscite due lineette parallele. Temo sia grave. Giorno 14 “Leon?” “Dimmi nonno Frank”. “Tu lo parli lo svizzero?” “Non esiste lo svizzero”. “A no?” “No”. “Vabbè, però mi sai dire almeno cosa scrivere su quel foglio?” “Che foglio?” “Quello per avere i 500mila euro direttamente sul conto”. “Quali 500mila euro?” “Quelli di Salvini”. “Nonno!” “Che c’è?” “Non mi dirai che anche tu dai retta a certe scemenze”. “Io? E quando mai!” “Ah, ecco”. “…” “…” “Quindi avrò solo i mille euro della Meloni?” Giorno 15 Forte sta cosa del lavarsi le mani dopo la pipì. Giorno 16 “Che fai Leon?” “Niente nonno, sto solo leggendo l’oroscopo”. “L’oroscopo? Tu!?” “No nonno, tranquillo, ero solo curioso

di vedere cosa aveva previsto Paolo Fox per il mese di marzo”. “Perché marzo?” “Perché è il mese in cui è cominciata la pandemia”. “Oh”. “Già”. “E dimmi un po’, che diceva del Leone?” “Vediamo. Eccolo. Dunque, per quanto riguarda il lavoro dice: questo è un mese in cui bisogna assolutamente agire. Da aprile, infatti, Saturno sarà in opposizione. Il cielo fa emergere che questo mese è positivo per le attività, per il lavoro in generale ma anche per i rapporti interpersonali. Poi c’è la salute. La forma fisica non è delle migliori nei weekend. Il leone ha troppe cose da fare e questo crea problemi di tipo psicofisico. Si consiglia di riposare nei giorni 13, 14 e 27 di marzo”. “E gli altri?” “Gli altri cosa?” “Gli altri giorni di marzo”. “Non lo dice”. “...” “...” “Però, un fenomeno sto Fox”. Giorno 17 Passo il tempo giocando a Risiko con Nick. A lui, che è più bravo, lascio l’Italia. Io prendo la Germania. E mi lascio annientare. Poi passo all’Olanda. Giorno 18 “Allora, Mario, ascoltami. Adesso ti spiego”. “Sono tutto orecchi”. “Per rinforzare le fondamenta del condominio, visto che stanno cedendo, avete solo tre possibilità. La prima è avere già tutti i soldi necessari”. “Neanche a parlarne”. “Ok, allora la seconda è che ogni condomino vada in banca a chiedere un mutuo per la sua quota”. “Ma neanche pel fiocco. Il vicino di cui ti parlo non ha una lira. Figurati se gli danno i soldi”. “Bene. Allora resta solo la terza opzione. Chiedete un mutuo condominiale”. “E si può?” “Certo”. “Beh, allora e fatta”. “Sì, però tieni presente che con il mutuo condominiale si risponde in solido”. “E che vuol dire?” “Che se qualche condomino non versa le rate della sua quota, a pagare sono tutti gli altri”. “E che cacchio! Perché dovrei pagare io se gli altri non pagano?” “Te l’ho detto, perché si risponde in solido”. “Allora nisba, neanche parlarne. Anche perché quel tizio è uno con le mani bucate. Fa la bella vita, spende e spacca da tutte le parti, e poi gli tocca andare in giro a chieder soldi per arrivare a fine mese”. “Dai Mario, non farla tragica. Cerca di vederla in modo collaborativo. In fondo siete sulla stessa barca, se le fondazioni cedono, cedono per tutti”. “No. Non esiste. Quello sicuro non paga. E di certo non sarò io a pagare il mutuo

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per lui. Che vada a fare in culo”. “Ma non essere prevenuto, dai. Magari paga”. “Chi, quello!? Ma fammi il piacere”. “Ok, quindi niente mutuo condominiale?” “No, neanche morto”. “Bene. Allora adesso capisci perché dicevo che lui è stronzo come l’Italia e tu stronzo come la Germania?” “…” Giorno 19 Forte sta cosa della raccolta differenziata. Giorno 20 E verzer tutto subito… Vergogna! Xe i poteri forti che vol arricchirse sulla pelle del popolo! E star seradi in casa… Vergogna! Xe la dittatura! E quei che non pol correr… Vergogna! I diritti inalienabili dell’Uomo e Ginevra e tutti i cazzi e mazzi! E quei che varda quei che va a correr… Vergogna! Irresponsabili! E quei che porta in giro il can… Vergogna! Xe pien de gente in giro! E quei che varda quei che porta in giro il can… Vergogna! ‘Sassini de zampe de can! E quei che varda quei che varda quei che porta in giro il can… Vergogna! Se senza vergogna della vergogna! E i fioi seradi in casa… Vergogna! La strage degli innocenti! E i fioi in cortil… Vergogna! E… E… E cazzi e mazzi de novo! E quei senza mascherina… Vergogna! Untori bastardi! E l’obbligo de mascherina… soprattutto se lo dise Fedriga… Vergogna! Fascista! (Però se lo dise Borrelli xe buon senso…) Ma basta, mi avete rotto! Branco di viziati lamentosi e pretenziosi. Siete peggio del virus. Adesso vi debello col vaccino. “Che ti pare Leon?” “Penso che con questo li farai arrabbiare tutti”. “Ottimo. Pubblica”. E poi basta. Il diario di Frank si ferma qua, al giorno venti. Sono davvero preoccupato, lo ammetto. Questo silenzio improvviso mi fa pensare al peggio. L’unica cosa che mi dà la speranza di rivedere il solito Frank, è la postilla alla fine del diario. Ehi, tu? Si, Giorgio, dico a te. Lo so che sei terrorizzato, ma vorrei rassicuranti sul fatto che tutto questo finirà. Certo che finirà! C’è la certezza assoluta che ce la faremo e ne usciremo. ASSOLUTA, credimi, non lo dico così per dire. Quello che non so con certezza, è se tu ce la farai. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


“La malaluna”, da un libro che apre varchi insperati un piccolo antidoto alla tristezza del confine chiuso

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emergenza Covid ha chiuso i confini. Ma forse il gesto di aprire un libro può consentire varchi insperati. Un romanzo che affonda le radici in prossimità di una frontiera può concedere grandi attraversamenti. Specialmente se, in esso, tutto è già mescolanza, sana e contagiosa, ma anche resistente perché perennemente minacciata. “La malaluna” (Solferino, 2020), esordio narrativo del poeta Maurizio Mattiuzza (svizzero di nascita, vive in Friuli dal 1976), è un romanzo che, pur essendo “invenzione”, nasce dalla memoria familiare, in un raccontare che pare sgorgare per necessità e per amore della verità. Memoria che diventa scelta etica quando decide di essere di confine, di terra dimenticata, di culture e lingue di minoranza. Dare voce può rappresentare in certi luoghi l’unico modo di “tenere in vita”. Nel romanzo tutto si mescola, si compenetra. È la storia di una famiglia friulana e slovena insieme. È un’idea che pare nascere da un dialogo tra generazioni. È una vicenda che disegna un destino comune a due personaggi, padre e figlio; è l’effetto dei conflitti mondiali e degli anni che li collegano. Nulla è monocorde, monocromatico. Tutto è mescolanza, fin dentro lo stesso autore che è narratore e versificatore al contempo, in una scrittura che qui veste a pennello “un abito di prosa”, velato quanto basta a lasciar intravedere “l’anima di poesia”. Lirico è lo sguardo di Mattiuzza sul paesaggio, compreso quello interiore. Evocativi sono i tre nomi d’invenzione, sospesi tra realtà, immaginazione e simbologia: “Braidevueide”, località della frontiera orientale, con un borgo di sopra sloveno e uno di sotto friulano; “Lontananza”, soprannome con cui i commilitoni chiamano Giovanni, come un tacito destino; “Malaluna” dove erba e luna si specchiano, quasi un miraggio di pace e libertà. Tre nomi per tre suggestioni di luoghi, in una storia che è soprattutto geografia del cuore. Da Caporetto alla Sicilia, dalla rotta allo sbarco, dalla ritirata del 1917 al secondo conflitto mondiale, attraversando il Ventennio, guardiamo vivere una famiglia che, con le sue scelte, la sua semplicità, è solo apparentemente marginale e anonima. La Sbaiz, come tante famiglie, la Storia l’ha fatta. La vediamo perder-

di Martina Delpiccolo si e ritrovarsi a causa delle guerre che hanno il potere di smembrare, sradicare rami di uno stesso tronco. Vediamo accanirsi su essa il regime fascista, lo squadrismo, l’intolleranza. Quello che sembrerebbe doversi e potersi mescolare naturalmente e per sempre viene diviso, ammutolito, intimorito. Paesi sono squartati a metà da muri e separazioni insensate. Minoranze e mescolanze sono condannate a morte. E allora salvarle diventa coraggio. Rimanere se stessi è la vera impresa. Parte per la Grande Guerra il padre Tin, ma quando torna a casa, dopo aver

combattuto sul Carso e essere divenuto caporale durante la battaglia di Gorizia, non trova nessuno. La famiglia è scappata e nella fuga si è persa, divisa. Parte ancora Tin, questa volta vagando per l’Italia in cerca dei figli e della loro madre. Profuganza, peripezie, sofferenze vengono ripagate nel ricongiungimento degli affetti, a cui segue, come una necessità, il ricongiungimento con la propria terra, con la luna di Braidevueide. Non c’è pace per gli Sbaiz. Doppiamente sgraditi al fascismo per la loro doppia appartenenza a una minoranza, per quella mescolanza naturale di cultura, lingua e radici slovene e friulane. Spiati, “colpevoli” di socialismo, invasi nella loro intima identità, imparano a

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sopravvivere e scelgono di resistere, di non tradire se stessi, di non scomparire nell’omologazione monocolore del nazionalismo e del potere dittatoriale. Non fa clamore ma fa la differenza quel loro antifascismo quotidiano. Ancora una partenza. «Fronte che vai, disgrazia che trovi». Questa volta è Giovanni, il figlio di Tin, e questa volta è il secondo conflitto mondiale, che lo porterà dalla luna di Braidevueide alla luna di Sicilia. Sfila nel romanzo, lasciando il segno, un’umanità fatta di giovani sogni infranti, attese femminili, orrori, sangue, vendette, corruzione, sbandamenti, perdizioni, dolori che si sciolgono nella dolcezza di corpi avvinti, mentre si sopravvive alla miseria con la fatica, il contrabbando, l’emigrazione e si imparano necessariamente l’astuzia, il mascheramento, il silenzio. Oppure lo impone la guerra, come la bomba che sul Tagliamento aveva reso quasi sordo e muto il fratellino di Giovanni. Del resto, i friulani sono di per sé orgogliosi e diffidenti, come ci spiega l’autore. E il romanzo è fatto di parole dette e non dette, silenzi che sono sentimenti iscritti tacitamente negli occhi. Occhi che imparano a riconoscere nel pantano una spia come Enea, a leggere nei sogni premonitori, a guardare in faccia una guerra che «ha dentro un sangue denso, una pazzia che spaventa», mentre la giovinezza è in pericolo ma «più che di morire, c’è paura di non riuscire a vivere». Dignità, identità, lavoro sono valori imprescindibili per l’autore che, attraverso “la saga di una famiglia sul confine della storia”, come si legge in copertina, li traghetta fino a noi lettori, scelti per eredi di una continuità d’intenti, come Tin aveva scelto il figlio Giovanni, «fiducia per fiducia». Ascoltiamo nella coralità i punti di vista dei diversi personaggi, in cui si sente il coinvolgimento della voce narrante che definisce “nostre parti” o “su da noi” quella terra, come se per un attimo il discorso fosse in prima persona, perché è anche sua e in fondo di tutti noi. «La guerra arriva perché si tace», ma la morte non è silenzio. Si chiude il romanzo eppure resta nell’aria l’ondata di un amore, il soffio di un’anima e quella «lingua striata, in cui il friulano e lo sloveno si addolciscono a vicenda in una girandola di colori». Il romanzo di Mattiuzza diventa più che mai, ora, emblema e voce di tutti i confini e di tutte le mescolanze. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Il virus e il grande inganno dei sillogismi di Lucio Gruden

“S

i sta come d’autunno sugli alberi le foglie” (cit. Soldati, Giuseppe Ungaretti, 1918).

Foglie al vento. Esposti all’attesa e incuneati, ciascuno di noi, nel pertugio buio che si è aperto a causa del mostriciattolo che prospera difeso da una coltre proteica, microbico, parassitario ed endocellulare.

chiamiamo vaccino. Riceviamo continue sollecitazioni sul virus, sulle terapie, sulle prospettive epidemiologiche e ora anche sulle conseguenze per un’economia ormai data per spiaggiata, anch’essa ultima speme che fugge i sepolcri. Riceviamo e commentiamo, ognuno in fazioni contrapposte. E nel tutti contro tutti ora c’è un pericolo in più, che ci induce a ritenere che se l’uomo non è homo economicus allora proprio non è. Pare una così triste prospettiva che c’è bisogno di un tagliando e di un pitstop, per chiederci se è per questo che lavoriamo tutta la vita, se questa gabbia che ognuno di noi si è costruito attorno coincide veramente con ciò che il nostro ingenuo sguardo schilleriano, quello di noi bambini, anelava per le nostre vite. Ci caliamo così nella retrospettiva di noi stessi e proviamo a vedere il momento in cui tutto è iniziato. C’erano giovani ragazzi che si prodigavano per assicurarsi un piccolo reddito e con esso quell’indipendenza economica che li faceva sentire meglio. Si sentivano adulti perché autonomi. Adulti e autonomi: primo sillogismo fallimentare.

E’ una polvere invisibile e muta che si nasconde dappertutto. E’ un pericolo che si rianima di continuo distruggendo le nostre certezze di popolo abbiente che attende solo l’anticorpo definitivo che

Oggi, con il virus che aleggia, è più facile avere la consapevolezza del grande inganno che sgorga dai sillogismi, per il quale si ritiene che la bellezza della vita corra unicamente sul filo dell’avere, sull’onda del possesso dei mezzi che invece sono divenuti il fine, dentro alla nostra comoda società ergonomica in cui ognuno è sempre acquirente oppure fornitore. Al punto che ogni relazione, anche la più amorevole, si ritrova a fare contabilità con lo schema del dare e del avere, riducendosi a mera logica rassicurante ma anche disillusiva, come disillusive sono le opere pittoriche di una Fiorenza Vincenzi, colei che tingeva fiori spezzati.. Così, si entra in una parabola che mette in luce la contrapposizione tra il nomen omen e l’irriverente e provocatorio nomen contra hominem, perché dall’etimo di Fiorenza – colei che fiorisce – si giunge all’immagine del fiore spezzato. Non un fiore reciso, tantomeno raccolto, semplicemente violentato. Poi però la parola corre con la mente e fa i suoi ghirigori. Grazie alle molte vite racchiuse in un clic, partendo dal participio presente di florere, che è l’etimo del nome Fiorenza, ci si trova catapultati nuovamente nelle angosce del Covid-19, come in un loop tra le molte strade che portano tutte a Roma, ma anche a Madrid.

Il Covid-19 aizza anche i virus mentali che languono nella nostra mente fino a bucarla per uscirne malevoli. Anche di fronte al pericolo sanitario siamo un paese disunito e polemico. Siamo ricchi di povertà. Spugne colme delle nostre stesse paure di cui ora facciamo vendemmia, mostrando un volto duro che brandiamo quasi fosse l’arma decisiva per salvarci, in una quotidiana contesa con chiunque non la pensi come noi. Così, l’Italia si spezza sempre più, tra opposte tracotanze e la voglia di apparire, tra la disinformazione dotta e un razzismo infraregionale che si mostra ormai senza più pudore. In questi giorni di sospensione dalla normalità non possiamo esimerci dal farci coinvolgere dai videoclip, rilanciati in una catena perenne che si auto replica e auto consuma. Con essi si diffondono e confondono il dolce e l’amaro, l’allarmismo complottista con le storie di abnegazione che toccano il cuore, e che ci dovrebbero redimere. Ma questi continui rilanci emotivi sono il sintomo del bisogno di un antidoto contro il mostro e contro le conseguenze della sua comparsa, ladra di libertà.

No, forse non sognavamo di essere homo economicus, ma persone, individui capaci di amare anche le contraddizioni della vita, individui sociali forti al punto di vivere anche con poco, ma con dignità, senza paura né invidia e senza quell’ansia che fa credere di essere sempre in perenne grave ritardo e quindi inadeguati rispetto al tempo vissuto.

Florence Nightingale (Firenze, 12 maggio 1820 – Londra, 13 agosto 1910) è stata un’infermiera britannica nota come “la signora con la lanterna”

Poi il profilo di uno studente universitario lanciato verso l’ultimo miglio, la preparazione della tesi di laurea. Con l’ansia crescente del voler fare presto per raggiungere chi aveva già terminato ed era più avanti, nel sospirato mondo del lavoro. Fare presto per divenire lavoratore e indipendente. Secondo sillogismo fallimentare.

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Perciò, sobbalzando tra l’immagine manzoniana, una Fiorenza e l’altra, si arriva alla guerra di Crimea del 1853 e a Florence Nightingale, l’infermiera britannica capostipite dell’assistenza infermieristica moderna. Florence girovagando tra i malati di guerra inventò il metodo scientifico probabilistico in campo medico, quello che si basa sull’uso della statistica. Quella stessa statistica che viviamo nella narrazione quotidiana serale della lotta al virus, in TV. Una statistica che conta nulla se siamo noi a essere colpiti. Quando si parla con chi ha subìto il dramma della perdita, nessuna statistica, nessun plateau, nessuna curva del trend può essere di conforto. Che tristezza ciò che capita. Che strazio se capita a chi abbiamo vicino. Che follia se capita a noi. Perciò, assaporando un vago sentore assai poco epicureo, ci sovviene la vera domanda alla quale non sappiamo rispondere: perché questo virus? ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Un vademecum stilato dall’Ordine degli infermieri per usare correttamente i guanti e le mascherine di Vincenzo Compagnone

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Ordine delle professioni infermieristiche di Gorizia, presieduto da Gloria Giuricin, ha inviato al nostro giornale un piccolo vademecum destinato ai cittadini, al fine di fare chiarezza sull’utilizzo di sistemi di protezione e ridurre il rischio di trasmissione del virus durante le uscite di casa necessarie, come ad esempio per fare la spesa, nel rispetto delle raccomandazioni del Ministero della Salute. Lo proponiamo molto volentieri ai nostri lettori. Per cominciare, l’Istituto superiore di sanità (Iss) sottolinea che “i guanti sono dispositivi di protezione individuale utili a prevenire le infezioni, ma devono essere utilizzati in modo corretto e soprattutto non devono sostituire il fondamentale lavaggio delle mani, e nemmeno il distanziamento sociale quali baluardi nel contrasto alla COVID-19”. Benché non abbiano la stessa esposizione mediatica delle mascherine, anche i guanti monouso possono essere un’“arma” utile nel contrasto alla diffusione della COVID-19, l’infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2. Tuttavia, devono essere utilizzati in modo appropriato, altrimenti rischiano di diventare addirittura controproducenti e aumentare il pericolo di infezione. Chi li indossa, del resto, può sentirsi più sicuro ed entrare in contatto con superfici potenzialmente contaminate con maggiore frequenza, rischiando di contagiarsi toccandosi il viso o non rimuovendo i guanti con la necessaria cautela. Consigli nel corretto utilizzo dei guanti monouso e delle mascherine chirurgiche Prima di uscire per andare al supermercato effettuare le seguenti operazioni: 1. Lavarsi bene le mani, con acqua e sapone o soluzione idroalcolica (per non meno di 60 secondi, anche nella zona interdigitale e i polsi). 2. Non mettere monili e gioielli. I capelli, se lunghi, andrebbero raccolti. 3. Mettere in borsa un paio di guanti monouso e un gel idroalcolico. 4. Indossare la mascherina chirurgica, appoggiare la parte più rigida sul naso e aprirla a ventaglio, bloccando gli elastici dietro le orecchie. sincerarsi che sia ben aderente sul naso e sotto il mento, in modo da non lasciare spazi. Chi utilizza un foulard adotti gli stessi

accorgimenti (appoggiare sopra il naso in modo aderente e avvolgere anche il mento chiudendo il foulard dietro la nuca).. Giunti al di fuori del supermercato: 1. Rispettare la distanza di minimo un metro dagli altri avventori e indossare i guanti. 2. I guanti messi a disposizione dal negozio non hanno taglia, dunque devono essere usati solo per la spesa e, appena finita, vanno tolti e va subito eseguita l’igiene delle mani con gel idroalcolico. 3. Se i guanti li abbiamo noi, devono essere della giusta taglia, non troppo piccoli perché si possono strappare e nemmeno troppo larghi perché tenderebbero a scivolare all’altezza dei polsi. 4. Una volta indossati i guanti, NON toccarsi viso, maschera, telefono, capelli. 5. Durante gli acquisti, cercare di toccare soltanto ciò che serve da mettere nel carrello. All’uscita dal negozio: 1. Dopo aver riposto le borse nel bagagliaio della macchina, pulirle esternamente (compresi i manici) con uno spray disinfettante e un panno carta, e chiudere con lo stesso panno il bagagliaio. 2. Dopo aver riposto il carrello, togliere i guanti monouso con la seguente tecnica: • non toccare mai la parte esterna del guanto, potenzialmente infetta. • pizzicare con l’indice e il pollice la parte superficiale del primo guanto e sfilare per trazione. • per il secondo inserire l’indice “libero” come un uncino all’apertura del guanto, all’altezza del polso, e sfilarlo facendo attenzione a non toccare la superficie esterna. • i guanti vanno subito gettati nei rifiuti indifferenziati (urbano), perché non devono essere mai riutilizzati. • È di fondamentale importanza lavarsi immediatamente le mani o usare il gel idroalcolico.

Al rientro a casa: 1. La mascherina va rimossa solo dopo aver tolto i guanti e una volta rientrati a domicilio. Bisogna ricordarsi di lavarsi le mani con acqua e sapone o con una soluzione alcolica, prima e dopo aver toccato la mascherina per rimuoverla. 2. Togliere la mascherina prendendola dall’elastico e non toccare la parte anteriore; gettarla immediatamente in un sacchetto chiuso e lavarsi le mani. 3. Le borse della spesa: se sono di stoffa andranno in lavate in lavatrice (ad almeno 60°); se monouso gettate; se in materiale lavabile verranno disinfettate con un panno e un detergente o con alcool, prima di riporle in casa. 4. Se è stato utilizzato un foulard, anche questo va lavato in lavatrice almeno a 60°. È noto che le persone che indossano i guanti tendono a lavarsi meno le mani, mentre si ricorda, invece, che il lavaggio delle mani assieme al il distanziamento sociale sono i primi interventi per difendersi dal COVID 19. Per quanto riguarda le maschere filtranti con valvola espiratoria, si sottolinea che non sono idonee, in quanto non controllano l’espirazione di chi le indossa, e con uno stranuto o un colpo di tosse possono spargere goccioline nell’ambiente. Lo scopo di avere una mascherina o un foulard per coprirsi la bocca e il naso è quello di proteggere gli altri, e quindi noi stessi, perchè cosi facendo si riducono i contagi. Sul sito internet www.opigorizia.it si troveranno ulteriori informazioni. Se vorrete porre altri quesiti inviate una mail a: amministrazione@opi-go.it ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Sant’Andrea fucina di talenti da Podberscek ad Aldo Nardin di Paolo Nanut

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dy Podberscek, Aldo Nardin. Nomi che ai più giovani o ai distratti, potranno dire poco. A noi che abbiamo passato da tempo i cinquanta, invece, fanno balenare ricordi ed emozioni legati ai loro exploit sportivi, rispettivamente nell’atletica leggera e nel calcio.

anni 1973-1981, divenne plurimedagliato a livello italiano con un titolo, due secondi e sei terzi posti. Riuscì a qualificarsi e a partecipare alle Olimpiadi di Montreal del 1976. Due anni dopo si piazzò al settimo posto ai Campionati Europei di Praga, scagliando l’attrezzo a 73,02 metri (ottavo fu il suo “rivale storico” Gianpaolo Urlando), vincendo poi una medaglia d’argento ai Giochi del Mediterraneo di Spalato del 1979 (con 69,42, a soli 50 centimetri da Urlando che salì in quell’occasione sul gradino più alto del podio). Ma Sant’Andrea è sempre stata una piccola fucina di talenti, anche in altre discipline sportive. Prendiamo il calcio: il giocatore più famoso cresciuto nel settore giovanile della Juventina è stato senza dubbio Aldo Nardin, che, guarda caso, è nato nel 1947, anno in cui fu fondata la squadra biancorossa. Fin da bambino ha iniziato a giocare come portiere mostrando ottime doti, tanto da essere notato dai responsabili dell’Arezzo, i quali - dopo alcuni tentennamenti da parte dei genitori di Aldo riescono a portarlo in Toscana, acquistandolo dalla società di Sant’Andrea dell’allora presidente Milan Pelicon, per 350 mila lire. I genitori erano restii a lasciar partire il figlio, il quale, dopo aver frequentato la scuola elementare slovena di Sant’Andrea, sedeva sui banchi della seconda media in città. Decisivo fu, come si usava a quei tempi, il parere del prete del paese, Don Zorz, il quale consigliò

vera, poi va in serie D ad Alghero iniziando la carriera seniores che lo vede l’anno successivo ritornare all’Arezzo dove in quattro stagioni, fra serie C e B, colleziona 86 presenze. In particolare, nel campionato 1969-70, in B, riesce a mantenere inviolata la porta dell’Arezzo fino alla settima giornata, calamitando l’interesse dei grandi club. Per il ragazzo si aprono le porte della Nazionale under 21 di serie B in un’amichevole contro la Svizzera. Poi, nel 1971 come fuoriquota, gioca nella rappresentativa Under 21 di serie A in amichevole contro la Bulgaria. Nel frattempo passa al Varese in serie A, esordendo a San Siro contro il Milan. Collezionerà 18 gettoni di presenza. Nonostante la retrocessione in cadetteria, viene ingaggiato dal Napoli dove nella stagione 1972-73 va a fare il “dodicesimo” come riserva di Pietro Carmignani. In tutto il campionato riesce a giocare un’unica partita, in trasferta contro la Ternana (risultato finale 0-0) e per una curiosa combinazione l’anno successivo il suo peregrinare per lo Stivale, lo porta proprio a Terni, in serie B. Nella Ternana ritrova il ruolo di titolare, disputando tutte e 38 le partite della stagione. La squadra si classifica al terzo posto al termine del campionato 1973-74 e quindi risale immediatamente in serie A. Nel campionato 1974-75 Aldo Nardin giova nuovamente tutti e 30 gli incontri ma la stagione si chiude con una nuova retrocessione in serie B. Per il “nostro” si tratta dell’ultima esperienza nella massima serie, dove ha collezionato complessivamente 49 presenze.

Negli anni successivi fra la Ternana stessa, il Lecce, la Lazio Podberscek, classe 1949, è stato e il Foggia giocherà sei stagioni un lanciatore del martello di in B (299 le sue presenze nella notevole caratura. Figlio dei serie cadetta) prima di scendere titolari della storica Trattoria di un’altra categoria e terminare da Paola di Sant’Andrea, che a 36 anni la carriera a Civitavecsi trova sulla stradina dietro chia, nella stagione 1982-83, ma alla chiesa e che continua la con una performance alla quale sua attività sotto altra gestione, tutta la stampa di allora diede mantenendone però il nome grande risalto. originario, cominciò giovanissimo la sua carriera al campo Nella partita contro l’Imperia d’atletica della Campagnuzza, infatti, rinvia dalla sua area il sotto la guida del professor pallone, che spinto dal vento Bruno Marchi, cimentandosi sia beffa il portiere avversario e si nel disco che successivamente, infila in rete: il primo e unico nel martello, specializzandosi in gol della sua vita, ma per un quest’ultima disciplina. Durante portiere è un’impresa straordigli allenamenti al “Fabretto”, Edy naria. era – detto affettuosamente – una sorta di pericolo pubblico: Aldo Nardin, il “portierone” che riuscì anche a segnare con un Chiusa la carriera, Nardin ha rinvio dalla propria area quando lanciava l’attrezzo tutti allenato il Sansepolcro e il Faiagli altri ragazzi che sgambetno, in Campania, dopodiché è tavano fra piste e pedane dovevano di lasciarlo partire: tanto, mal che vada, tornato a Terni dove si è stabilito, dedifermarsi, perché il martello “atterrava” a sarebbe ritornato a casa. A 15 anni, candosi per un periodo alla preparaziodistanze invece, diventa il titolare della formane dei portieri del club rossoverde, ma talmente elevate che c’era il serio rischio zione allievi risultando uno dei migliori non dimenticando mai le proprie radici che qualcuno ne fosse colpito. Diventadel campionato, tanto che l’anno dopo goriziane. to finanziere, Podberscek passò quindi passa alla Juventus in prestito per una a gareggiare per i colori delle Fiamme stagione. Torna in Toscana nella Prima©RIPRODUZIONE RISERVATA gialle di Roma, dove si stabilì, e, fra gli

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Ricordo di Mario De Sisti, scorbutico “sergente di ferro” ma vero genio del basket che ha dato molto a Gorizia di Paolo Bosini

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ell’annata sportiva 1981- 1982 la San Benedetto Gorizia stava disputando il campionato di basket di A2 al termine del quale fu promossa in A1. Gli allenatori di quella formazione erano Mario De Sisti e il sottoscritto nella veste di giovane assistente. Conoscevo molto bene De Sisti in quanto era stato il mio allenatore, molti anni prima, quando giocai per due stagioni con l’ Iris Forlì. Pertanto sapevo che era bravissimo sotto l’aspetto tecnico, ma non un tipo facile caratterialmente. Poco diplomatico, per lo più restio al dialogo, inevitabilmente si scontrava con i giocatori e soprattutto con i dirigenti. Proprio una disputa con il presidente Ercole Baldini (campione del mondo di ciclismo su strada nel ‘58 a Reims), una persona di grande temperamento, ma pacata, che tuttora ricordo con simpatia, gli costò il posto a Forlì quando la squadra era prima in classifica. Un record, penso, tuttora imbattuto! A Gorizia le cose stavano andando lisce come l’olio, la squadra vinceva e soprattutto convinceva, fino a quando arrivò il Natale con le relative feste. Parlare di feste, di allenamenti da saltare con Mario normalmente era difficile ma in quel periodo ancora di più visto che il calendario prevedeva un impegno di campionato il 3 gennaio a Caserta, quindi a ridosso di Capodanno. Una partita difficile e molto delicata per la classifica, visto che la squadra campana ci incalzava da vicino. Ovviamente Mario, che era uno preciso e molto professionale, sapeva che i festeggiamenti eccessivi potevano influire negativamente sulla concentrazione dei giocatori e pertanto predispose un programma stringente che prevedeva: il rientro a casa dei giocatori 30 minuti dopo la mezzanotte del primo dell’anno, con annessi controlli effettuati da fidati segugi, e successivo allenamento alle 9.30 del mattino. Inevitabilmente l’ambiente era andato in fibrillazione anche se su livelli ancora contenuti. Le cose si complicarono a Caserta. Dopo cena De Sisti ed io ci recammo a fare una riunione tecnica con gli allenatori della Campania. Rientrati verso l’una, stremato per la pesante giornata mi fiondai a letto mentre Mario, che era teso come una corda di violino per l’ imminente partita, ritenne opportuno verificare se i giocatori stessero effettivamente dormendo. Sembrava tutto a posto fino a quando non arrivò davanti alla stanza di Paleari e Galluzzo

dove sentì parlare. Levò dalla inseparabile borsa l’agenda e trascrisse tutto ciò che udiva. Probabilmente a causa della rabbia che gli montava ritenne, equivocando, che all’interno della stanza ci fosse anche Valentinsig il quale fu… verbalizzato anche se in realtà dormiva da un’altra parte. Alle 11 la riunione tecnica pre-partita si trasformò, dopo che il capo allenatore accusò i tre giocatori di poca serietà annunciando provvedimenti disciplinari nei loro confronti, in una rissa da film western. Lo scontro fisico fu evitato per miracolo. Tentai di calmare Mario cercando di fargli capire che al momento

lente. A partita ultimata riflettei a lungo sulla testa dei giocatori, ma senza trovare una risposta logica. Avevano affrontato la partita in pessime condizioni psicologiche, eppure erano stati capaci di trovare la giusta concentrazione e di riuscire a giocare con una tranquillità disarmante.. Le vittorie fanno miracoli e così durante il tragitto da Caserta all’aeroporto di Napoli il clima si rasserenò. De Sisti, pur confermando una parte della sua verità, ammise, a denti stretti, che forse si era confuso, che le multe non ci sarebbero state e quindi, come se nulla fosse, tornammo a casa felici e contenti. Di questo episodio parlai, prendendolo in giro, più volte con Mario il quale nonostante il tempo fosse abbondantemente trascorso ribadiva, convinto, che in quella stanza fossero stati in tre!!! Il 13 settembre 2017, nella sua Ferrara, Mario ci ha lasciati. a 76 anni. Avendo lavorato assieme a lui per ben cinque anni posso affermare che Mario sia stato in assoluto uno dei più bravi tecnici italiani, parere peraltro condiviso dalla maggior parte dei nostri colleghi. Le sue capacità traevano origine da una passione smisurata per la pallacanestro grazie alla quale è riuscito ad essere, sotto l’aspetto tecnico, innovativo, mai banale. Le sue squadre si basavano su concetti tecnici solidi che vertevano principalmente su difese organizzate e sulla ricerca meticolosa della coralità in attacco. Concetti teoricamente semplici che, per diventare efficaci, richiedevano allenamenti duri e ripetitivi, eseguiti per lo più a metà campo, nella ricerca della perfezione. Certo, per molti giocatori non era facile lavorare con lui perché era un tecnico molto esigente, con un carattere scorbutico. Ma chi riusciva a stragli dietro ne traeva sicuri benefici.

dovevamo concentrarci sulla partita e lasciare da parte gli altri problemi che non erano prioritari. Ma il tentativo fu vano, non mi diede retta, era troppo arrabbiato e troppo convinto di essere nel giusto. Con questa bella atmosfera ci avviammo al palasport nel silenzio più assoluto. Ritenevo che la partita sarebbe stata un disastro, eravamo troppo tesi, i giocatori per primi. Invece, smentendo le mie funeste previsioni, vincemmo alla grande grazie a una prestazione eccel-

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Le annate 1981-’82 e 1982-’83, quelle della promozione in A1 e dell’ottavo posto finale in A1, furono due autentici capolavori soprattutto perché ottenuti con investimenti modesti. Le squadre furono costruite attingendo dal vivaio della società che allora era di alto livello: ben sei giocatori erano goriziani. La notizia della morte di Mario De Sisti a Gorizia è passata un po’sotto traccia, con alcuni banali comunicati. Mario meritava ben altro trattamento, perché ritengo che la città sotto, l’aspetto sportivo, gli debba tantissimo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Rossella Prignano: dopo “Disperata” è in arrivo il primo album di Stefania Panozzo

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l giorno di Pasqua i cittadini goriziani hanno trovato una bella sorpresa su Facebook o su Whatsapp: il sindaco Rodolfo Ziberna ha pensato di fare gli auguri ai suoi concittadini divulgando un video in cui i più talentuosi giovani cantanti goriziani hanno prestato le loro voci per eseguire un celebre successo: “We are the world” canzone nata nel 1985 dal genio di Michael Jackson e Lionel Richie. Originariamente il pezzo era stato scritto a scopo di beneficienza e inciso dagli Usa for Africa, un supergruppo di 45 artisti: i fondi – oltre 100 milioni di dollari - erano stati interamente devoluti alla popolazione dell’Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia. Lo scopo della versione interpretata dai nostri giovani cantanti, invece, è stato quello di esprimere la volontà di stare vicini anche in un momento difficile e di diffondere un messaggio di speranza. Tra i cantanti che hanno partecipato al video ce n’é una che non poteva sfuggire alla voglia di scoprire nuovi talenti che Gorizia News & Views ha sempre avuto: Rossella Prignano, che fra gli artisti goriziani emergenti si sta ritagliando sempre più un ruolo di primo piano. Puoi raccontarci chi sei e com’é nata la tua passione per il canto? Mi chiamo Rossella Prignano vivo a Gorizia dall’età di 11 anni, ma sono nata a Verona il 2 dicembre 1992. Non ho un ricordo preciso di come sia nata la mia passione per il canto e per la musica, perché entrambi hanno sempre

fatto parte di me. Ma ricordo che ho sempre ascoltato molti generi di musica, tanto che mia madre ha deciso di iscrivermi ad una scuola di canto. Hai studiato canto a livello professionale? Si. Penso che lo studio sia fondamentale, non solo per la tecnica ma anche perché ti aiuta a scoprire cose che magari pensavi di non saper fare. Come tutte le cose, ci vuole costanza ed impegno se si vogliono raggiungere alti livelli. Ho cambiato diversi insegnanti, e nel 2015 mi sono diplomata alla Bernstein School of musical Theater di Bologna, un’accademia molto “tosta” ma che mi ha insegnato molto, soprattutto ad affrontare l’ambiente del casting e… a mantenere i nervi saldi. Che genere di musica ascolti? Io amo tutti i generi sia nazionali che internazionali, pop jazz, country, e ho una passione per il musical. Se devo scegliere un cantautore che ogni volta che ascolto mi fa venire i brividi, é Jeff Buckley, per me non era solo un bravo artista ma esprimeva il proprio talento in modo spontaneo e profondo e mi ha segnata molto nel mio percorso artistico. Come potresti etichettare le canzoni che canti e scrivi? Proprio perché ho sempre ascoltato molta musica, le mie canzoni richiamano molti generi. Anche se mi piace mescolare, forse ciò che prevale é il pop. Cosa fai nella vita e quali sono i tuoi hobby? Purtroppo, non potendo vivere solo di musica, ho un lavoro part time come segretaria in un centro commerciale che mi consente di pagare i miei progetti musicali. Nel tempo libero amo molto andare al cinema, con una predilezione per i thriller, e poi mi piace leggere e praticare lo sport. Hai già scritto un album? Proprio perché ho sempre tenuto le mie canzoni nel cassetto, sto per finire il mio primo album che spero uscirà presto.

Giulia Provvidenti, Michele Guaitoli, Margherita Pettarin e Tiger Dek, ndr) in una videochiamata, spiegandoci che la musica é la cura per questo periodo difficile che stiamo vivendo e che aiuta le persone a rimanere unite anche se lontane. Non a caso abbiamo cantato “We are the world”. Che messaggio può dare la musica? Penso che la musica possa dare un’infinità di messaggi, perché ha la capacità di esprimere alla perfezione qualsiasi tipo di emozione. La musica ci capisce, ci conforta, ci fa divertire, innamorare, piangere… e la cosa più incredibile é che lo sa fare con chiunque di noi perché non fa distinzioni o preferenze. Il tuo singolo “Disperata”, un brano pop molto ritmato e moderno, pieno di energia, uscito a metà aprile, sta riscuotendo ottenendo molte visualizzazioni e apprezzamenti su You Tube. Che progetti hai per il futuro? Intanto approfitto per ringraziare anche qui tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del videoclip di “Disperata”, che ho scritto insieme ad Andrea “El Mariachi” Marchi, un grande musicista e amico col quale collaboro. Per gli altri nomi, fra i quali c’è anche quello di mia sorella Vittoria, vi rimando alla mia pagina Facebook. Ora il progetto principale è quello di farlo divenire il pezzo trainante del mio primo album che vorrei finire al più presto. Poi continuerò a partecipare a concorsi per farmi conoscere il più possibile ed entrare nel duro e difficile meccanismo della discografia. Che rapporto hai con le altre forme d’arte? Amo tutte le forme d’arte possibili, se fatte bene e soprattutto prive di contenuti violenti. Purtroppo viviamo in una società facilmente influenzabile che segue le mode. Mi piace qualsiasi forma di arte se vera, spontanea e coraggiosa, perché la spontaneità e la personalità sono fondamentali in un artista e lo rendono unico. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Ti piacerebbe continuare a lavorare nel mondo della musica? Diciamo che il mio obbiettivo nella vita é proprio questo; realizzare il sogno di vivere di musica. Da dove é partita l’idea del video con cui avete augurato buona Pasqua ai cittadini goriziani? È stata una bellissima idea del sindaco di Gorizia Ziberna che ha riunito me ed altri (Tish, Paola Rossato, 18

Rossella Prignano, 27 anni, sta per pubblicare il suo primo album di canzoni


I colori di Alex Webb, un grande fotografo di strada che ha immortalato la storia attraverso il quotidiano di Felice Cirulli

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uando parliamo di fotografia di strada pensiamo solitamente ai grandi maestri, alcuni ormai passati a miglior vita, a coloro che hanno fatto nascere questo genere fotografico e lo hanno meglio interpretato, chi con la sua passione per l’umanità, chi con la sua intuizione scenografica, chi con la capacità di cogliere l’attimo decisivo. Il genere si accompagna solitamente ad una visione in bianco e nero della realtà fotografata, quasi nel tentativo di voler “esorcizzare” il contesto da elementi estranei alla natura della scena che si desidera rappresentare e interpretare. Per fare in modo che il “congelamento” della situazione risulti più chiaro e meno contaminato da elementi di disturbo. D’altro canto, la strada non è, e non può essere, un set fotografico precostruito o prevedibile, quindi il fotografo che la riproduce è costretto a riprendere tutto ciò che fa da sfondo e si trova intorno al protagonista principale. La sua bravura consiste proprio nell’essere capace di isolare il soggetto narrante, pur in presenza di una molteplicità di elementi che a loro volta potrebbero finire per raccontare qualcosa di differente rispetto a ciò che il fotografo si prefigge. Alex Webb, nato a San Francisco nel 1952, è considerato uno dei più autorevoli esponenti attualmente in vita di questo genere fotografico. Si potrebbe definire figlio d’arte in quanto anche il padre era giornalista e fotografo. Ha finito anche lui, come molti altri valenti professionisti dell’immagine, per far parte della schiera dei membri dell’Agenzia Magnum, questo alla “tenera” età di

27 anni. Comincia col bianco e nero, seguendo la linea classica dei suoi precursori e raccontando le storie della sua America, dell’ambiente urbano dove vive, ma il suo primo impatto con l’America Latina ed in particolare con Haiti, e con il suo tripudio di colori, determina un cambiamento radicale di approccio, in quanto scopre nel colore un ulteriore elemento narrativo all’interno di un contesto, come quello latino-americano, nel quale l’elemento cromatico ricopre un ruolo storico, culturale e sociale, oltre che estetico. Viene travolto dalla potenza delle tinte caraibiche, permeate delle tragedie che si accompagnano al perenne stato di emergenza di quella terra, dalle forze che mescolano orrore e bellezza, che fondono il dramma alla sensualità, la miseria alla vitalità. Questi elementi imprimono nella sua visione di fotografo una svolta profonda e persistente. Il colore diventa così la caratteristica fondante della sua arte fotografica. Il colore deve essere forma e contenuto al tempo stesso. Il caos che appare ad occhio nudo non è accidentale ma è ritmato e controllato in un equilibrio di sostanza umana, di gesti sospesi, di riflessi e di ombre. La sua prerogativa attiene alla capacità di coniugare gli elementi che si pongono davanti ai suoi occhi con una visione grafica del tutto, utilizzando un’accurata scelta del punto di ripresa che tiene conto sia della struttura geometrica che della struttura cromatica della scena. Il tutto tenuto insieme dalla presenza umana che caratterizza sempre le sue realizzazioni fotografiche.

Emblematica, anche se non inserita nel suo filone caratteristico, la sua fotografia in occasione del dramma delle Torri Gemelle: anziché concentrare il suo obiettivo sui grattacieli in fiamme e fumanti, usa lo scenario apocalittico come sfondo ad un racconto che inneggia La vita contro la morte nello scatto di Alex Webb che documenta l’attacco alla vita che fortunatamen19

te prosegue, rappresentata da una madre che sul terrazzo di un palazzo newyorchese coccola il suo bambino. La fotografia di strada è fatta di percorsi, di chilometri, di angoli svoltati, di occasioni pensate e cercate, di lunghe camminate o di soste prolungate in attesa di qualcosa che accada, di visioni che vanno oltre il visibile, di spostamenti millimetrici che determinano differenze di interpretazione impensabili, di valutazione della luce, di contrasti immaginati con la mente e fatti propri attraverso la pellicola o il sensore della fotocamera. Vi sono pause, a volte interminabili, e poi soddisfazioni spesso inimmaginabili. Poi vi sono la curiosità e la capacità di selezionare i particolari. Non può mancare la capacità di essere originali e di saper comprendere al fine di raccontare la propria visione degli eventi. La fotografia di Webb è un condensato di tutte queste peculiarità. Egli intuisce ed approfondisce anche il concetto di confine tra due nazioni non come elemento di divisione politica e geografica ma come un “quasi margine” vago, una zona di transito tra due mondi. La zona di confine è luogo di mescolanza e complessità, di intreccio culturale e generazione di energia vitale. Il confine tra il Messico e gli Stati Uniti così come la città di Istanbul, che funge da cerniera tra l’Occidente e l’Oriente, oltre ad altri luoghi di divisione fisica e geografica, diventano spazi di esplorazione della densa e diversificata umanità che li popola. Lui non racconta, né documenta la realtà, ma la trascende, la sublima attraverso la forza del colore e della complessità delle scene. Le sue composizioni riescono a dare l’impressione come di fondali osservati mentre ci si muove, di qualcosa che passa davanti agli occhi e che una frazione di secondo dopo non esiste più, mutata in qualcosa di differente. Il suo è un viaggio continuo nei colori. Con la sua macchina fotografica percorre il mondo, laddove l’umanità si fonde con l’ambiente, dove le storie sono permeate di luci e tinte a volte esagerate, dove i segnali devono essere cercati con perspicacia e colti all’istante, dove le espressioni sono intrise di sofferenza oppure di gioia, di indifferenza ma anche di attenzione. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Nova Gorica e Gorizia capitali della cultura 2025 in stand by causa Covid 19 nonostante molte iniziative

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ra il 27 febbraio, a Lubiana, quando da una Giuria di esperti internazionali veniva esaminata la candidatura di Nova Gorica (assieme a Gorizia) a Capitale Europea della Cultura per il 2025. Come si svolgeva l’esame? Con una specie di tesi di laurea consistente in un ”bid-book” di esattamente 65 pagine, che ora è scaricabile liberamente dal sito ”https://www.go2025.eu/wp-content/ uploads/2020/04/BidBook_ENG_1-websmall.pdf ”. Il giorno successivo, il 28 febbraio scorso, sempre a Lubiana, il Sindaco di Nova Gorica Klemen Miklavič, assieme a quello di Gorizia Rodolfo Ziberna, poteva annunciare il superamento della prima fase per la candidatura. Il gruppo di lavoro costituito da Vesna Humar, Neda Rusjan Birc e Lorenzo De Sabbata cominciava già a pensare alla fase due, da concludersi a dicembre 2020, e a come coinvolgere le due comunità e le varie associazioni presenti nel territorio.

di Elio Candussi Valdirose. Dopo un mese e mezzo hanno risposto oltre cento soggetti. Da segnalare che la chiusura del bando, causa coronavirus, è stata spostata al 31 luglio. A fine marzo è stato lanciato un corso di sloveno online di 10 ore (e uno di italiano per gli sloveni) in modo da facilitare la comunicazione tra i cittadini della ”Grande Gorizia” (possiamo chiamare così in maniera sintetica l’insieme delle due città?). Due appuntamenti settimanali, al lunedì ed al giovedì, dalle 18.15 alle 19. Partenza il 30 marzo. Un successo al di là delle aspettative con quasi mille adesioni da parte italiana e altrettante da parte slovena.

La comunicazione di eventi ed iniziative ripartiva dal relativo profilo facebook; vedi alla pagina https://www.facebook. com/NovaGorica2025/.

A fine febbraio era stato lanciato un concorso di idee internazionale per la riqualificazione della piazza Transalpina e della fascia di confine tra Salcano e la

Mercoledì 22 aprile Anita Kravos e Marjuta Slamič hanno dato vita al quarto appuntamento e così via ogni mercoledì per le successive settimane. Ha suscitato molta soddisfazione la notizia dell’accordo tra il comune di Nova Gorica e il Kinemax (nonostante quest’ultimo sia fra la realtà più penalizzate dalla restrizioni imposte da Covid 19) con il quale è stato previsto di arricchire i film di successo in lingua originale con sottotitoli in sloveno nonché il doppiaggio di film di animazione in sloveno. “Questa – ha dichiarato il vicesindaco di Nova Gorica, Rosic – è una pietra miliare nella diffusione della cultura cinematografica nella nostra zona, nonché un nuovo tassello nel mosaico della creazione di una conurbazione comune e, ultimo ma non meno importante, un contributo positivo al raggiungimento degli obiettivi comuni delle due città nel contesto della candidatura di Nova Gorica e Gorizia a capitale europea della cultura 2025 con lo slogan GO!2025”. Altre iniziative in cantiere verranno comunicate sempre attraverso la pagina facebook che consigliamo di visitare frequentemente.

Nel contempo, curiosa coincidenza, da pochi giorni l’Italia aveva scoperto di esser stata contagiata col Covid-19, ma lontano da noi, solo in Lombardia e in provincia di Padova. Ancora un paio di giorni e il contagio arrivava però in Friuli Venezia Giulia, anzi proprio a Gorizia si registrava il primo contagio regionale. Pochi giorni ancora e il 12 marzo l’Italia veniva messa ”in clausura”; da allora (il lockdown è stato solo parzialmente allentato il 4 maggio) non si può uscire di casa se non per necessità urgenti e tutte le attività e gli eventi pubblici sono stati cancellati o spostati a data da destinarsi. E’ riapparso anche il confine con la Slovenia e le reti provvisorie hanno sbarrato il transito transfrontaliero. Un provvedimento di cui non si conosce al momento la fine, nonostante si stiano infittendo gli appelli in tal senso. E’ un balzo all’indietro di una manciata d’anni, ma sembra un’eternità. Una rivoluzione per tutti, persone, enti, associazioni, mondo del lavoro. Un futuro da reinventare, anche per gli organizzatori di GO!2025, che non si sono persi d’animo, né fermati.

anzi tri-lingue considerando anche il friulano (ha allenato pure in Slovenia).

Più avanti verranno coinvolte anche le associazioni e gli operatori culturali, ma tutta la programmazione è in divenire causa il coronavirus.

Mercoledì 1° aprile alle 12.30 è stato inaugurato il ”caffè virtuale”. In diretta facebook Vesna Humar intervista i due Sindaci Miklavič e Ziberna, i quali rispondono pure alle domande degli ascoltatori. Un successo con oltre 3 mila visualizzazioni. L’8 aprile, sempre al mercoledì, Neda Rusjan Bric intervista Alexander Gadjiev, che ha compiuto gran parte del suo percorso scolastico a Gorizia e a 25 anni è già un famoso pianista che può vantare concerti in tutto il mondo. Il 15 aprile alle 18 è andato in onda il terzo caffè; è stata la volta dell’intervista a Edy Reja, il famoso ex calciatore lucinichese e ora allenatore di calcio, bilingue,

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La pandemia ha condizionato l’organizzazione degli eventi legati alla candidatura delle due città a Capitale Europea della Cultura 2025 e al momento non sappiamo se l’Europa deciderà di far slittare la scadenza di dicembre per la scelta del vincitore, tenuto conto anche del fatto che la commissione d’esame dovrà visitare le due città e incontrare fisicamente le associazioni, gli operatori culturali ed i cittadini. La situazione si modifica quasi ogni giorno e quando il giornale andrà in stampa forse qualcosa sarà cambiato, sperabilmente in meglio. Staremo a vedere. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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