March 2021

Gorizia News & Views Anno 5 - n. 3 Marzo 2021

SUL SABOTINO DURANTE LA PANDEMIA pag. 5

SENSO UNICO IN CORSO ITALIA: CRESCE LA PROTESTA pag. 12 e 13

A FINE LUGLIO IL PREMIO AMIDEI pag. 11

UNA MIRIADE DI ATTIVITA’ ALL’ISTITUTO CONTAVALLE pag. 6

IL NUOVO LIBRO DI ANNAPAOLA PRESTIA pag. 14

GIRO D’ITALIA: GRANDE ATTESA PER IL RITORNO IN CITTA’ pag. 21

Pag. 3 Quale sanità durante e dopo il Covid? Draghi indica la giusta direzione, anche per superare le diseguaglianze

nº 3

marzo 2021

Pag. 4 Studio Ambrosetti: lo sviluppo di Gorizia tra luci e ombre Pag. 5 Appuntamento in cima al Sabotino, nei giorni della pandemia tra panorami mozzafiato e la bellezza del ritrovarsi tra amici Pag. 6 Fusione della Sdag con l’interporto Trieste-Fernetti: occasione da non perdere, parola di Zeno D’Agostino Pag. 7 Le mille realtà dell’Istituto Contavalle Pag. 8-9 Corno, con i prossimi interventi scongiurato il rischio di esondazioni ma non cancellate le criticità igieniche

www.graficagoriziana.com

Pag. 10 Raccontare una città che va oltre il confine: il “Goriziano” on line parla del domani Pag. 11 Longo non ha dubbi: premio Amidei a fine luglio. Resta l’incognita della location: parco Coronini o no?

Pag. 12-13 Cresce la protesta dei cittadini per il senso unico in Corso: brutto, pericoloso e realizzato senza un confronto preventivo Pag. 14 E’ un fantasy per adulti il nuovo romanzo di Annapaola Prestia Pag. 15 Social media, uno strumento potentissimo che richiede però un utilizzo consapevole Pag. 16 Cisv, con Mosaic 2021 incontri on line sui temi dell’ex confine Pag. 17 Un bambino che vive in una città dal cuore lacerato: compie 90 anni il racconto “goriziano” di Elio Vittorini Pag. 18 Le dolci giornate goriziane di Ludovico Salvatore d’Asburgo scienziato e viaggiatore in incognito col nome di “signor Neudorf ” Pag. 19 L’albero dei fazzoletti nel Giardino Viatori Pag. 20 In ricordo di Dado Lombardi e della sua rivalità col goriziano Paolo Vittori Pag. 21 Il “Giro” torna in città con un circuito transfrontaliero: dal 1927 al 2014, ecco tutta la storia delle puntate precedenti Pag. 22-23 La prosa del colore e la poesia del bianco e nero nelle foto: questione di stile, ma anche di approccio con l’osservatore

Gorizia News & Views è reperibile in forma cartacea nei seguenti punti di distribuzione: A Gorizia Generale: Biblioteca Statale Isontina di via Mameli, Kinemax e Mediateca Ugo Casiraghi di piazza Vittoria, Music Shop di via Mazzini, Kulturni Dom di via Brass, Casa delle Arti di via Oberdan, Ugg di via Rismondo, negozio Il Laboratorio di piazza Vittoria e Sushi Fashion di corso Italia.

Librerie: Leg, Voltapagina e Ubik di corso Verdi, Libri Usati di via delle Monache e Faidutti di via Oberdan.

Edicole: Tutte le Edicole di Gorizia Tiratura: 1000 copie

E’ consultabile on line all’indirizzo: www.gorizianewsandviews.it

Gorizia News & Views Reg. Trib. Gorizia n. 1/2017 dd 11/12/2017 mensile dell’APS Tutti Insieme http://tuttinsiemegorizia.it/ info@gorizianewsandviews.it DIRETTORE RESPONSABILE Vincenzo Compagnone REDAZIONE Eleonora Sartori (vice direttrice) Ismail Swati, Rafique Saqib, Felice Cirulli, Renato Elia, Eliana Mogorovich, Timothy Dissegna, Anna Cecchini, Stefania Panozzo, Aulo Oliviero Re, Lucio Gruden, Martina Delpiccolo, Elio Candussi, Giorgio Mosetti, Liubina Debeni, Paolo Bosini, Paolo Nanut PUBBLICATO SU www.gorizianewsandviews.it 2

Sicurezza sul Lavoro - Formazione Medicina del Lavoro - Ambiente Sistemi di Gestione Consulenza Alimentare info@aureaprofessional.it Tel. 0481 969604

Quale sanità durante e dopo il Covid? Draghi indica la giusta direzione, anche per superare le diseguaglianze

R

isolta la crisi di governo con l’insediamento di un nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, i riflettori si sono subito nuovamente spostati sulla pandemia da Covid 19, che da un anno ormai catalizza l’attenzione di tutti noi, alla ricerca di qualche certezza e qualche concreta speranza. D’altronde la battaglia contro il virus è la sfida principale che il nuovo presidente del consiglio è chiamato ad affrontare, un premier che nel suo discorso programmatico non ha mancato di individuarla come una priorità assoluta, sottolineando anche la necessità di attuare una vera e propria riforma della sanità. E lo ha fatto ponendo l’accento sulle sofferenze del sistema e sui dislivelli nei servizi, resi più acuti dalla pandemia. Per sostenere il sistema ospedaliero e consentirgli di dedicare tutta la sua attenzione alle acuzie, Draghi ha messo in luce l’esigenza di valorizzare la sanità territoriale (mentre parlava al Senato, a molti non è sfuggito l’imbarazzo del ministro leghista Giorgetti, che gli sedeva al fianco, e che a suo tempo aveva sostenuto l’inutilità dei medici di base), creando ospedali di comunità, centri per la salute mentale, centri di prossimità capaci di affrontare la “povertà sanitaria”.

Il cammino indicato è quello giusto, anche perché non possiamo pensare che quella del Covid 19 sia l’ultima pandemia che saremo chiamati a fronteggiare.

Negli ultimi anni, si sono infatti manifestate altre emergenze che magari ci hanno soltanto sfiorato ma non per questo vanno dimenticate: dalla Sars all’influenza suina, dal virus Ebola a quello della mucca pazza: tutte epidemie che hanno provocato, a livello mondiale, centinaia di migliaia di vittime.

Nel momento in cui scriviamo, il governo Draghi ha appena sfornato il suo primo decreto, che si inserisce decisamente nel solco della linea adottata da quello precedente. Il divieto di uscire dai confini della propria regione è stato prorogato al 27 marzo e – unica novità – nelle zone rosse non sarà più possibile far visita a parenti o amici. Le misure più restrittive da tempo invocate da alcuni epidemiologi, primo fra tutti il superconsulente del ministro Speranza, il professor Ricciardi, seguito a ruota da altri virologi quali Crisanti e Galli, non sono state, almeno per ora, recepite.

Secondo questi scienziati, assurti ormai

di Vincenzo Compagnone al rango di star del piccolo schermo con tanto di tifoserie contrapposte (ricorderete il clamoroso scivolone estivo del professor Zangrillo, medico personale di Berlusconi, che aveva parlato di un Coronavirus ormai clinicamente morto) sarebbe necessario un periodo di “zona arancione” generalizzata in tutta Italia bar e ristoranti chiusi, uscita dal proprio comune concessa solo per comprovate necessità – con i fine settimana addirit-

imprimere un deciso colpo d’acceleratore alla campagna, come è accaduto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Israele: soltanto vaccinando molto, e vaccinando molto rapidamente, sarà possibile scongiurare una nuova impennata dei contagi e l’arrivo di una “terza ondata” dovuta soprattutto al diffondersi delle varianti. Le speranze sono legate anche a nuovi vaccini, in particolare allo statunitense Johnson&Johnson, l’unico per il quale è prevista l’inoculazione di una sola dose, senza la necessità di effettuare quella di richiamo.

Non possiamo negare che una parte non trascurabile della popolazione, anche nella nostra regione (ma sicuramente in modo più grave nelle grandi città) ci ha messo del suo per peggiorare la situazione non abbandonando, durante i week end nelle località di mare e di montagna, la pessima abitudine di prendere d’assalto strade e locali, spesso ignorando le ormai arcinote regolette auree - mascherina portata correttamente, distanziamento e igiene delle mani. Lo abbiamo constatato anche nelle nostre mete turistiche più gettonate, quali Trieste, Grado, Lignano e località montane quali Sappada.

Il nuovo premier Mario Draghi

tura in rosso, al fine di bloccare la circolazione delle varianti, in particolare di quella inglese, diventate il nuovo incubo giunto a popolare il sonno degli italiani già stremati da un anno di pandemia.

Una “linea del rigore”, che Draghi, esattamente come in precedenza Giuseppe Conte, non ha ritenuto di dover attuare, decidendo di continuare col sistema delle fasce multicolori differenziate a seconda dell’andamento della curva epidemiologica e dei contagi nelle varie regioni.

Ma quello che continua a preoccupare, sono i ritardi nella somministrazione dei vaccini, con il taglio delle dosi (soprattutto da parte della Pfizer e di Astra-Zeneca) rispetto ai quantitativi pattuiti.

Finora sono state “messe in sicurezza” soltanto le categorie più a rischio, vale a dire gli operatori sanitari e una parte di ultraottentenni. E’ evidente che bisogna

3

Tornando alla riforma promessa da Draghi, e focalizzando quindi l’attenzione sulle strade da battere in futuro, basterà citare l’assoluta necessità di rimpolpare il sistema sanitario con l’assunzione di medici e infermieri, l’ampliamento dei posti per specializzandi, un numero di posti letto che consenta di affrontare le emergenze, un’organizzazione duttile e policentrica in grado di incrementare la multidisciplinarietà, di evitare le pastoie burocratiche, fare ricorso alla telemedicina, conseguendo ogni obiettivo con la rapidità occorrente. Ed è indispensabile un ulteriore passo: la salute della gente dipende infatti, in maniera rilevante, anche dalle condizioni sociali e ambientali. L’aspettativa di vita è minore, e la maggior parte delle malattie sono più frequenti, nei gradini più bassi della scala sociale. Occorre quindi individuare nuove fonti di finanziamento all’interno del sistema sociale, magari inasprendo la lotta all’evasione e destinando alla sanità una quota del recupero.

Soltanto così si potrà tamponare la più inaccettabile delle diseguaglianze: il ricco che mediamente si cura meglio e vive più del povero. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Studio Ambrosetti: lo sviluppo di Gorizia tra luci e ombre di Laura Fasiolo

I

l Recovery Fund, con l’approvazione di una Generalità da parte della Regione FVG sulla istituzione di una ZES/ ZLS, ha aperto uno spiraglio per il rilancio della città e del territorio.

Nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza Regionale 2021 l’assessore regionale Barbara Zilli avrebbe incluso la ZLS, che rientra nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, con cui le regioni potranno accedere alle risorse del Recovery Fund.

Il morale si è risollevato anche con la proclamazione di Gorizia-Nova Gorica a città della Cultura 2025. Il cono di luce è per ora virtuale, in attesa di un contesto economico produttivo e logistico di rinnovata attenzione. Ma le zone d’ombra non mancano e riguardano il disegno di riorganizzazione del Territorio della Venezia Giulia, operazione poco convincente quanto ad impatto di crescita per Gorizia. Il Presidente della Camera di commercio Venezia Giulia Paoletti, nella prolusione alla presentazione del rapporto dello sviluppo economico della Venezia Giulia affidato allo studio Ambrosetti, sottolinea come la Camera della Venezia Giulia già nel 2015 avesse unito “volontariamente le economie delle “ex Province” di Gorizia e Trieste,” e da allora “completato un percorso di avvicinamento e integrazione sfociato anche negli accorpamenti di enti che costituiscono ora la base per guardare a una crescita sinergica, moderna, con una diffusa quanto indispensabile digitalizzazione e indirizzata a una transizione verde sempre più improcrastinabile”.

Ma nel concreto? Quali le strategie

del sistema camerale perseguite con la fusione di Enti che hanno svuotato una Gorizia, oggi desolatamente periferica?

Perché sinergia e modernità non hanno ricompreso l’intero Friuli Venezia Giulia, dove esistono, autonome, le CCIA di Pordenone e di Udine, rimandando “sine die” un disegno di riorganizzazione ad ampio raggio? Perchè non un’unica CCIA regionale, un’unica Confindustria e così via, con risparmio in presidenze, direzioni, e forse un incremento di personale e di giovani e donne?

Ricordiamo gli step dell’opera di razionalizzazione: 2015 unificazione CCIA Gorizia-Trieste, 2020 Confidi Gorizia-Trieste, Consorzio industriale di Gorizia-Monfalcone e Trieste, Confindustria Gorizia-Trieste. Alle fusioni economiche non è seguito l’ avvicendamento in alternanza dei rappresentanti territoriali goriziani, assicurato negli accordi. Così una Gorizia rinunciataria ha perso il legittimo presidente Madriz, che sarebbe dovuto subentrare a Paoletti, a Razeto è succeduto Agrusti, e non un goriziano come previsto, e così via, nel silenzio dell’Ente Locale e nell’allontanamento della città dai centri gestionali.

Le fusioni a caldo o a freddo restituiranno qualcosa a Gorizia? Nel frattempo imprese ed esercizi languono nel deserto ammorbato dal Covid e nell’assenza di misure di abbattimento fiscale e di semplificazione burocratica che, con l’attuazione della ZLSR genererebbero sviluppo e crescita, in un rapporto sinergico, stretto e funzionale tra Gorizia, Monfalcone, Trieste.

Dal Report Ambrosetti si evince che Gorizia è la ventesima provincia per indice di vecchiaia, con un tasso di natalità inferiore rispetto alla media italiana e del Nord-Est, che la deindustrializzazione è marcata, che è l’ottava Provincia in Italia per tasso migratorio all’estero, che ha elevati gap territoriali rispetto a Trieste, divari di ricchezza fino al 30%. C’è un gap infrastrutturale con tempi di percorrenza per il raggiungimento di stazioni dell’Alta Velocità molto elevati; manca una rete ad Alta Velocità nella Regione (su Gorizia non è neppure prevista); 63° posizione, infine, per livello di digitalizzazione su 107 capoluoghi italiani.

Tra i punti di forza per Gorizia, la posizione geografica strategico-culturale di

4

Porta verso l’Europa, l’ecosistema paesaggistico e ambientale: siamo quinti in Italia con l’intera Regione per attrazione di turisti internazionali. Si evidenzia l’elevato potenziale di sviluppo urbanistico in aree strategiche, la presenza di aree dismesse che possono essere riqualificate e riconvertite in laboratori di ricerca, università, aree ricreative, poli di attrattività turistica o luoghi di aggregazione sociale; il forte posizionamento nel terziario avanzato, la logistica e il trasporto merci, i servizi assicurativi, il settore enogastronomico e il commercio; il solido sistema di assistenza sociale e solidarietà.

Non emerge la Zona Logistica Semplificata Rafforzata, se non marginalmente nei rapporti Fernetti-SDAG-porto di Monfalcone; lo sviluppo aeroportuale di Gorizia non viene neppure menzionato, si parla di consolidamento del ruolo strategico del territorio come piattaforma logistica integrata del Centro Europa potenziando il ruolo del Porto di Trieste e dell’aeroporto di Ronchi, senza però considerare ai fini dello sviluppo di Gorizia l’indispensabile presenza di collegamenti diretti tra ferrovia e aeroporto di Trieste, il potenziale rappresentato dal Valico Gorizia - Nova Gorica sotto il profilo turistico-commerciale verso l’Italia, l’ Est e il Centro Europa, in connessione con SDAG e Aeroporto.

Gorizia, città turistica, commerciale e di trasporti ferro gomma, come può non essere collegata all’aeroporto? Lo trovo uno svarione. E che dire della dimenticanza dell’ Aeroporto di Merna, volano di sviluppo ad altissimo potenziale?

E poi, mi spieghi lo studio Ambrosetti, che significa: “Gorizia è una «economia di frontiera» e deve confrontarsi con la concorrenza della vicina Slovenia (favorita da agevolazioni fiscali e ridotta burocrazia)”, senza farne di questo il problema prioritario e trovarne la soluzione nella ZLSR? Bene ogni futuro “Festival del Cambiamento”, bene qualificare l’immagine con un’azione integrata di “ place branding”, ma al di là degli anglicismi abbondanti nel piano, guardiamo a una Gorizia decisamente più protagonista. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Appuntamento in cima al Sabotino, nei giorni della pandemia tra panorami mozzafiato e la bellezza del ritrovarsi tra amici

T

ra un sospiro e l’altro, risalendo dal ponticello sulla Pevmica, ci si scambia i primi saluti, dober dan, buon giorno, bondì frus.

Le biciclette cigolano affrontando il mitico 20%, sono quattro balzi mozzafiato che conducono alla bella chiesetta di San Mauro. Giorno di festa oggi? Automobili ovunque, sotto, accanto, sul prato al di là della cappella.

Ma dove sono tutti?

E’ ora di dare la parola ai piedi. C’è solo l’imbarazzo della scelta. C’è chi propone il sentiero sud, in territorio sloveno.

Chi propende per l’asfalto della rotabile militare. E chi si avventura ogni volta su un sentiero diverso, rimpiangendo il più bello, quello che sale dalla diga dell’Isonzo e si inerpica verso i rifugi della spalla nord in mezzo a balze rocciose che non avrebbero nulla da invidiare ai primi contrafforti delle Dolomiti.

di Andrea Bellavite dell’essere insieme nel cuore dell’Europa, ci rimise il posto e anche la carriera.

Quanta differenza si respira nei gruppi multicolori e plurilingui che incontrandosi sulle balze, si fotografano tra una lettera e l’altra, guardando con rispetto al passato ma soprattutto proiettando le proprie speranze al futuro.

Si continua a salire, si passa accanto all’asta della bandiera, si oltrepassa il cippo di confine ritornando in territorio italiano e finalmente si arriva alla prima meta. I ruderi della Chiesa di San Valentino, magistralmente sistemati grazie all’iniziativa di Mario Muto, ricordano la storia suggestiva di un eremo, abitato per secoli da monaci visitati assai spesso dai pellegrini provenienti dalla pianura.

Molte leggende sono fiorite in questo luogo misterioso, dove alla preghiera di invocazione degli eremiti rispondeva la

Un primo tornante, una panchina invita alla sosta. Ci si gode il panorama verso Salcano, con il campo di gara delle canoe sul fiume e il bel ponte sospeso che sarà il fiore all’occhiello della pista ciclabile internazionale che collegherà le Gorizia e Salcano con quella già funzionante che consente di raggiungere Plava e poi Kanal. Mentre si contemplano i campi e le case sopraggiungono altri marciatori, provengono direttamente da Solkan e ci si saluta con cordialità. Tra i dober dan, buon cammino e dut à puest si sentono anche i primi “good morning” e bonjour.

Il tempo per scambiarsi l’impegno a “rivederci in cima” e ci si rimette in cammino. Bisogna attraversare le pietraie, intuendo il sentiero tortuoso tra grandi massi scanalati in chissà quanti millenni dalle piogge.

Finalmente si esce dalla folta ma recente vegetazione e siraggiunge una grande radura. Ci sono strani candidi muretti di pietra, solo uno sguardo attento permette di scoprire di che cosa si tratti. “Non ci posso credere” – esclama chi ci arriva per la prima volta – “sto camminando tra la T e la O di TITO!”. Sì, è proprio la grande scritta che si vede da qualsiasi angolo delle Gorizia, da quella nuova che ricorda così il proprio indiretto fondatore e da quella vecchia, che spesso non nasconde qualche smorfia di dissenso. Alla stessa altezza, meno di un chilometro a sinistra, si è voluto innalzare una bandiera, tre giganteschi neon, uno bianco, uno rosso e uno verde, per ribadire con enfasi “questo è territorio italiano”. Un bravo prefetto di Gorizia che tentò di superare queste pretese invitando a scoprire la bellezza

qualche attenzione, la cima. Il Sabotino, Sabotin in sloveno, Mont de San Valantin in friulano, è alto 609 metri. Non è molto, ma è la prima asperità che si incontra provenendo dal mare. Il panorama è meraviglioso, da una parte le Alpi Giulie, d’inverno coperte dal manto della neve, d’estate candide pietraie che riflettono i raggi del Sole. Inconfondibile è il massiccio del Kanin, più a est si impone il Krn che gli italiani chiamano Monte Nero e ancora più in là l’ardita cuspide del Dio di queste montagne, il Triglav.

La vetta del Sabotino è il punto più alto del Comune e dell’ex provincia di Gorizia. Dall’alto non ci sono barriere, Solkan si mescola a Nova Gorica, questa, tramite il Rafut, al colle del Castello e alla vecchia Gorizia che si proietta verso Lucinico e Sant’Andrea. E’ un’unica terra, dove il ricordo di nazionalismi confinati ormai

Scorci e vedute dal monte Sabotino

voce della bora d’inverno, mentre alle urla di morte dei soldati massacrati su questo monte rispondevano le campane del dirimpettaio santuario di Sveta Gora, il Monte Santo, sacro alle genti austriache, slovene, friulane e italiane.

Si riprende il cammino, ora la cresta, sempre più aerea, consente incredibili scorci sul fiume sottostante. Eccolo là sotto, scorre placido, come un lungo serpente che in ogni stagione cambia colore.

E’ la femmina Soča, madre della natura e delle persone che vivono su questo territorio, accogliente e generatrice di serenità e dolcezza. E’ il maschio Isonzo, insanguinato dalle guerre, valorizzato dall’umano sforzo di trarre i frutti dalla terra, sfruttato per trarne le energie necessarie alla sopravvivenza della società dei consumi. E’ il divino Aesontium, il cui nome richiama i miti antichi degli Argonauti e la cui misteriosa sorgente evoca la forza del trascendente che lo genera nel grembo oscuro della montagna. Ed ecco, dopo un bel percorso che richiede

5

nella soffitta della storia è ridotto a qualche brandello di garitta o ai solchi invasi dai cespugli di quelle che furono trincee imbevute di sangue.

Già durante il primo lockdown, sui sentieri e sulla cima del Sabotino si incontravano sloveni e italiani divisi da un inatteso reticolato in tutto il resto dell’antica frontiera. Amiche e amici, compagne e compagni di vita, improvvisamente di nuovo allontanati dalla rete pandemica, quassù si ritrovavano, si guardavano negli occhi, si celebrava di nuovo il miracolo della convivenza. Forse il Sabotino, in quel periodo, ha mantenuto viva quella fiamma di unione nella diversità che era un po’ appassita e che ha trovato ora pieno splendore nell’annuncio della Capitale Europea della Cultura.

In conclusione un invito, con o – speriamo – senza le limitazioni della pandemia: incontriamoci sul Sabotino! ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Fusione della Sdag con l’interporto Trieste-Fernetti: occasione da non perdere, parola di Zeno D’Agostino

I

l gruppo “I Visionari,comunità di impegno politico” proseguendo il suo percorso di analisi del territorio e delle sue criticità, nell’ottica di ricerca del bene comune, ha organizzato nella sala Incontro di San Rocco una serata dal titolo “Dal porto di Trieste quali prospettive per Gorizia?” invitando Zeno d’Agostino, Presidente Autorità Portuale del Mare Adriatico Orientale.

D’Agostino ha esordito citando Seneca (“Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”) sottolineando così l’importanza di avere una visione,un punto dove arrivare,che parlando di cosa pubblica non può che essere il bene comune. L’attuale momento storico,col susseguirsi di shock globali dovuti alle crisi economiche e pandemiche, rende più difficile una pianificazione e richiede una grande apertura mentale per riconoscere che, quello che si sta facendo oggi, domani potrebbe risultare insufficiente

di Adelino Adami marsi in “vantaggio competitivo”.In altre parole certi svantaggi bisogna saperli vedere “in positivo”,e da certi svantaggi si potranno ricavare delle opportunità.

Per scendere nel concreto osserviamo Gorizia penalizzata dalla disoccupazione,dal calo demografico,dalla fuga dei giovani,dai commerci che languono e dalle fabbriche che chiudono, ma abbiamo pure tanti spazi vuoti, un collegamento ferroviario in via di miglioramento, un discreto collegamento autostradale, la posizione su un confine che rappresenta sempre un’opportunità, e in più una struttura come la Sdag di 600.000 mq già adibita ai sistemi di trasporto (la preghiera è di non usare più il termine autoporto, che sarebbe svilente).

A poche decine di chilometri c’è il porto di Trieste con il suo Interporto di Trieste-Fernetti e lo stesso DìAgostino dichiara che “il futuro del porto, non è il porto ma il suo retro-porto, è li dove si creerà valore”

Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale del mare Adriatico Orientale, è stato ospite della sala Incontro di San Rocco

e andrebbe continuamente aggiornato, integrato, per ripartire subito con una strategia alternativa. In queste condizioni di instabilità in cui gli shock globali rischieranno di divenire una normalità, un ruolo importantissimo dovrà rivestirlo pure l’Amministrazione Pubblica ,l’unica in grado di assorbire nell’immediato le conseguenze di tali shock. Ed è per questo che le sue competenze andrebbero attentamente valutate.

Apertura mentale necessaria anche nel leggere le peculiarità del proprio territorio,rilevandone contemporaneamente i limiti, ma sapendo anche valorizzare quello che c’è, nell’ottica dello “svantaggio selettivo” che se ben sfruttato può trasfor-

Incontrarsi, con la voglia di fare sistema, per raggiungere un’economia di scala, a questo punto sembrerebbe la cosa più logica da farsi, perché nessuno da solo sarà grande abbastanza da competere in futuro, a livello globale. Le strutture esistono già, non c’è bisogno di costruire,si tratta di integrare l’esistente, migliorando il modello organizzativo. La fusione di due realtà economiche non dovrebbe essere attuata per tagliare un consiglio di amministrazione e risparmiare sul personale, ma per creare una struttura più competitiva sui mercati ed in grado di creare valore aggiunto che permetta di stabilizzare i contratti di lavoro esistenti e creare nuove opportunità di lavoro.

6

Ma c’è di più. La Sdag ha sviluppato tra i suoi servizi la catena della temperatura controllata o catena del freddo, molto importante per i traffici di valore. Tale struttura nell’interporto di Trieste-Fernetti non esiste. Attraverso la fusione con Trieste, Gorizia potrebbe diventare un hub importante per i traffici provenienti dall’area del Mediterraneo e diretti all’Europa centro-orientale. Realizzare questo progetto richiede competenze, visione, lungimiranza,polso e tempo: ma è possibile.

Attualmente il proprietario unico della Sdag è il Comune di Gorizia, che poteva effettuare la fusione con l’interporto di Trieste-Fernetti partecipando ad un aumento di capitale, senza apportare denaro, ma conferendo parte della proprietà della Sdag. La scadenza per tale operazione era il 31 dicembre 2020,ma tale data non è stata rispettata. Non ci è dato sapere perché il Comune di Gorizia non abbia effettuato la sua scelta entro la scadenza,ma abbiamo saputo che è stata concessa una proroga dei termini e il Presidente ha confermato che “la porta è ancora aperta”.

La fusione della Sdag con l’interporto di Trieste -Fernetti, per come ci è stata presentata , non richiede ulteriori cementificazioni, ci inserirebbe sul corridoio trasportistico più importante Asia-Europa , agirebbe da volano importantissimo per richiamare investimenti produttivi.

Ci sembra,quindi, una proposta da valutare attentamente. Il Comune di Gorizia perderebbe parte della proprietà della Sdag ed entrerebbe nel capitale dell’interporto di Trieste-Fernetti; la Sdag entrerebbe nell’organizzazione dell’interporto di Trieste-Fernetti e avrebbe notevoli possibilità di espandere la sua attività, con ricadute positive sul territorio. Vista cosi non appare come la solita azione predatoria del più grande che si mangia il più piccolo,ma bensì un esempio di sinergia con vantaggi per entrambi. Se pensiamo alla contemporanea istituzione di una ZLS , Gorizia potrebbe diventare polo d’attrazione per tutte quelle imprese che cercano condizioni migliori per quanto concerne la movimentazione delle merci, gli sgravi fiscali e le semplificazioni burocratiche, previste dalla legge.

Non ci rimane che attendere una risposta da parte del Sindaco,dell’Assessore e dell’Amministratore unico della Sdag: risposta dovuta non certamente a noi, ma a tutta la cittadinanza, vista l’importanza della posta in gioco,per lo sviluppo di tutto il territorio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Le mille realtà dell’Istituto Contavalle di Anna Cecchini

S

aima ha una cascata di capelli setosi e uno sguardo che è una sciabolata nera.

Viene dal Pakistan e ha una storia difficile come il peggiore degli inverni. Ma ha anche trent’anni appena compiuti e tanta voglia di vivere. Grazie al sostegno che riceve qui, all’Istituto Contavalle di Sant’Anna, gestito dall’omonima Fondazione e di cui abbiamo già raccontato la storia nel numero di settembre 2019, parla un discreto italiano e lavora sodo. Saima ha conquistato lo status di rifugiata nel 2017. Al Contavalle, unica realtà di accoglienza per donne e bambini, ha trovato una comunità calda e sicura che la accompagna verso l’autonomia.

Terminati da poco gli impegnativi lavori di restauro del grande edificio, don Stefano Goina, direttore della Fondazione, e Patrizia Corazza, responsabile del progetto “Nonsolodoposcuola”, mi accompagnano a fare un giro. Visito gli ampi appartamenti che accolgono oggi tre nuclei familiari con progetti di Caritas e Sos Rosa, e la nuova sede di Caritas da poco inaugurata. Al piano terra sono ospitate tante associazioni: “Fiocco di neve”, realtà poco conosciuta che rappresenta uomini che subiscono

maltrattamenti, “Diritto di parola”, di cui fanno parte genitori di ragazzi con disabilità e che qui trovano accoglienza nei fine settimana e un’ampia palestra nuova di zecca per attività riabilitative e ricreative. E poi il Consultorio familiare Friuli, il Centro di aiuto alla vita e l’Associazione contro la distrofia muscolare. Un’altra presenza importante è l’ambulatorio sociale, dove si erogano prestazioni di base a chi è sprovvisto di assistenza sanitaria tramite l’apporto volontario di operatori qualificati. In questi due piani c’è silenzio e tranquillità, ma, quando scendiamo al seminterrato, il vociare aumenta.

Le aule si aprono una dopo l’altra e sono piene di ragazzi intenti a fare i compiti. Sono trentasette in tutto, ma ne verranno accolti a breve altri nove.

“La ginestra” è un’associazione familiare che, dal 2012 a oggi, ha accolto nel progetto “Nonsolodoposcuola” ben 320 ragazzi. Dalle 14.30 alle 17.30 qui si lavora per contrastare la povertà educativa. I ragazzi che a casa non possono contare su un adeguato sostegno fanno i compiti, affrontano difficoltà scolastiche legate a DSA o BES, frequentano laboratori di fotografia e altre attività creative in modo totalmente gratuito.

Sono seguiti da volontari (ex docenti), studenti in alternanza scuola-lavoro, operatori professionali e da uno psicologo che supervisiona l’attività. I ragazzi sono tutti impegnati ma ci tengono a mostrarmi le bellissime foto appese alle pareti che hanno realizzato sotto la guida di una fotografa professionista e mi raccontano la loro straordinaria esperienza dietro una macchina fotografica e poi dentro la camera oscura.

Ma “La Ginestra” non si limita a questo.

Oltre ai centri estivi, agli Orti sociali, che garantiscono prodotti freschi e autoprodotti a una quarantina di famiglie in difficoltà, gestisce anche l’Emporio della solidarietà, primo supermercato gratuito nato nel 2011, a cui sono seguiti quelli di Monfalcone, Gradisca e Cervignano. Ha erogato ben 900 tessere con le quali è possibile fare la spesa gratuitamente per sollevare le famiglie in gravi difficoltà economiche. I tempi

sono cambiati e anche la pandemia ha fatto la sua parte: se all’inizio erano prevalentemente le famiglie straniere a frequentare l’Emporio, oggi a fare la fila per la spesa ci sono piccoli artigiani, commercianti e molti giovani italiani messi in ginocchio dalle chiusure.

Come si gestisce una realtà così vasta e variegata? Con un impegno a tempo pieno da parte di operatori e volontari.

Lo slancio è grande, almeno quanto i problemi, che sono tanti, emergenti e mutevoli. La crisi economica si fa sentire e la povertà ha colpito anche chi poteva godere di una certa tranquillità e questo genera vergogna di chiedere aiuto, come se la povertà fosse una colpa. E poi c’è la necessità di coordinare le associazioni, i volontari e gli Enti preposti, principalmente il Comune e l’Azienda sanitaria. La burocrazia è un grosso ostacolo e rallenta gli interventi, che dovrebbero invece essere agili e pronti per adattarsi velocemente alle richieste. Don Stefano è energico e con le idee chiare. Le “nuove povertà”, il disagio sociale crescente e il bisogno generalizzato di supporto alla comunità sono esigenze pressanti e concrete. Il volontariato è una risorsa straordinaria, ma è necessario fare di più. C’è bisogno di una mappatura precisa, di un forte coordinamento che sia in grado di indirizzare tempestivamente chi ha bisogno verso le realtà che possono offrire il sostegno adatto. “Dobbiamo fare di più e meglio. Questa è una casa per la comunità” conclude.

Saliamo a salutare Saima nel suo appartamento. Si sente profumo di buon cibo appena cucinato. Saima ci offre un the dolce e profumato. Mi mostra le foto del suo compleanno sorridendo: “Guarda quanti amici!”.

Esco dall’istituto che il sole non è ancora tramontato. Dalle finestre vedo le educatrici che cancellano le lavagne e i ragazzi che ripongono libri e quaderni negli zaini prima di tornare a casa. Si sente aria di primavera. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’ingresso dell’Istituto Contavalle a Sant’Anna a Gorizia

7

Corno, con i prossimi interventi scongiurato il rischio di esondazioni ma non cancellate le criticità igieniche

D

a alcuni mesi il destino del torrente Corno è tornato di attualità a causa dei cantieri sorti a Gorizia in via Catterini, via Scodnik e in Valletta. Si tratta di un progetto nato oltre venti anni fa e, un po’ come l’ascensore del Castello, con alterne fortune. L’oggetto dei lavori avviati è descritto sul tabellone posto in via Orzoni, a fianco dell’Istituto d’Arte. Esso parla di ”Riqualificazione idraulica ed igienica del torrente Corno e del suo bacino”. Consegna dei lavori 11 marzo 2020, durata contrattuale 810 giorni, cioè oltre due anni, ovvero, tenuto conto dei ”normali” intoppi che

Il Corno sotto il ponte in fondo a via San Gabriele, all’incrocio con via Catterini

si presentano in casi così complessi, si può immaginare la conclusione per l’estate / autunno 2022.

Avremo quindi tutto il tempo per approfondire i dettagli dei lavori allorché essi raggiungeranno uno stato di avanzamento più significativo. Accontentiamoci per ora di descrivere gli obiettivi del progetto e di fare un passo indietro nella storia del Corno.

Nell’Ottocento era un torrente a cielo aperto, in un ambiente decisamente

di Elio Candussi extra-urbano, e il suo corso è ben descritto nella mappa di Gorizia del 1874 di Carl von Czoernig. Proveniva dalla campagna dove oggi sorge Nova Gorica fino alla Villa Baguer, lì piegava decisamente a sinistra e, prima di curvare a destra, accoglieva le acque di un rio che si era formato ai piedi della Castagnevizza. Non esisteva ancora la via San Gabriele (già via del Camposanto), né la via Silvio Pellico, ma c’erano piazza Catterini (oggi Medaglie d’Oro) e piazza Corno (ora Attems e largo Pacassi).

In un’ansa circondava le poche case di Borgo Carinzia, per scendere in fondo all’attuale via Balilla, dove si incontrava il primo ponte, per poi proseguire placidamente lungo l’attuale via Italico Brass, con il secondo ponte, quello che porta in Piazzutta ed infine il cavalcavia dell’attuale via XX Settembre. Né c’erano neppure le vie Italico Brass e generale Scodnik. Poco oltre arrivava all’attuale Valletta, dove scendeva in continuità una specie di parco dagli odierni giardini pubblici di corso Verdi, senza l’interruzione dell’attuale via Brass. Non essendoci ancora il terrapieno di via Oriani, il Corno procedeva imperterrito fino in Isonzo.

Nel corso dei decenni, fino agli Anni ‘30 del secolo scorso, a causa della costruzione della nuova stazione ferroviaria della Transalpina a nord e dallo sviluppo industriale di Straccis verso ovest, l’espansione urbanistica di Gorizia comportò nuovi interventi edilizi e la costruzione di nuove strade, come le vie San Gabriele e Silvio Pellico e la copertura di diversi tratti del torrente, in particolare nella zona di Borgo Carinzia. Il corso naturale del Corno nell’area della Valletta venne interrotto altresì dalla costruzione di via Oriani e di viale Colombo. Nel secondo dopoguerra seguì infine la copertura del Corno in via Catterini e nella Valletta.

Ora il torrente veniva ad attraversare il tessuto urbano e, come in tante città in quegli anni, non era più gradita la sua presenza o almeno la sua vista. Inoltre il torrente era divenuto una fognatura a cielo aperto della neonata Nova Gorica.

Il suo percorso odierno non è sostanzialmente mutato, ma ormai è completamente tombato e a tratti tortuoso.

Partendo dal confine di Stato, il Corno corre lungo la via Catterini, poco prima di piazza Medaglie d’oro passa con un ponte un po’ malconcio sotto la via San Gabriele, arriva a metà della via Corsica (poco prima di via del Molino, dove

8

probabilmente scorreva anticamente) e la attraversa per giungere in via Silvio Pellico a metà della salita; passa di nuovo sotto i cortili delle abitazioni raggiungendo largo Pacassi accanto all’ufficio postale ed infine, con una curva secca, piega verso via Brass; di seguito il percorso è abbastanza lineare e tranquillo fino in Valletta e poi in Isonzo.

Sembra che il tratto più critico sia quello che va da via San Gabriele a largo Pacassi, perché presenta alcune curve strette ed ha una pendenza non indifferente, dato che va superato un dislivello di circa 20 metri in un percorso relativamente breve.

La lapide che ricorda l’esondazione del 1987 nel cortile di una casa di via San Gabriele, dove l’acqua aveva raggiunto un livello di tre metri

Altri eventi storici sulla vita del Corno sono reperibili nel testo ”Documentazione storica del tratto del torrente Corno nel Comune di Gorizia” (allegato al progetto definitivo del 2011) ed approfonditi nell’articolo ”Torrente Corno: dalle inondazioni alle aree abbandonate”, pubblicato sul numero di dicembre 2019 di ”Gorizia News & Views”. In essi si ricordano la copertura in via Catterini degli Anni ‘60, le esondazioni del 1983 e del 1987,

la costruzione della diga ai piedi del Panovec in località Pikolud nel 1989.

Con quest’ultimo intervento la portata di picco in ingresso al tratto italiano del Corno è stata ridotta dai circa 50 mc/ sec degli anni delle esondazioni a circa 35 mc/sec. Infine la messa in servizio dell’impianto di depurazione della fognatura di Nova Gorica e Šempeter, nel 2018, ha dirottato in quella direzione buona parte degli scarichi fognari d’oltre confine.

Qual è dunque la situazione attuale? In base ai calcoli dei tecnici sloveni la por-

– tratto della Valletta: ricalibratura della sezione esistente del Corno per renderla atta a trasportare la portata di picco di progetto e sistemazione ambientale di tutto il tratto di torrente; – tratto da via Cristoforo Colombo alla confluenza nell’Isonzo: quest’ultimo tratto, per circa la metà tombato, presenta una sezione in grado di fare defluire la portata di progetto in sicurezza. Dato il territorio attraversato (zona prettamente a carattere industriale) e lo stato di conservazione delle strutture (più che adeguato) non si ritiene necessario intervenire con modifiche.

Perché ci vorrebbero i consigli di quartiere La fantasia ci permette di accedere agli infiniti spazi della nostra mente, ma la realtà invece ci impone i suoi limiti.

Non per niente si usano le diverse unità di misura e gli strumenti che ci consentono il comprendere la dimensioni della parte di realtà con cui ci dobbiamo relazionare. Per esempio, prendere le misure con il “metro” avrebbe potuto farci capire subito come poter sviluppare il nuovo Corso Italia a senso unico.

Questa breve considerazione ci porta a riprendere un vecchio discorso sui consigli di quartiere. Anche la politica deve essere progettata e realizzata.

Ora, la decisione di eliminare le circoscrizioni di decentramento, di Gorizia, dal controllo dei Consigli di quartiere ha avuto non come conseguenza ma come intenzionalmente voluto il trasferimento di tutto il potere e il controllo al Municipio centrale. La cittadinanza è stata estromessa dalla gestione di questi spazi territoriali. Di solito nelle nevicate si chiede ai cittadini di rendersi disponibili a pulire la loro parte di marciapiede, per la sicurezza delle persone. Ecco: il distacco del centro di potere dal suo territorio decentrato ha creato, e sta creando, una situazione di deprezzamento della nostra cittadina. Abbiamo una mancanza di crescita delle nuove classi politiche.

L’ingresso del torrente Corno in Italia nel 2007

tata massima del Corno in ingresso a Gorizia è di 31 mc/s. Di questi il Corno così tombato ne può smaltire solo 17 mc/s. Il problema è dunque come gestire la quantità eccedente che potrebbe presentarsi durante i periodi di pioggia caratteristici di autunno e primavera oppure durante i sempre più frequenti fenomeni di ”bombe d’acqua”, tipici in quest’epoca di sconvolgimenti climatici, cioè l’arrivo di enormi quantità d’acqua in pochissime ore.

Quali sono dunque gli interventi previsti dal Progetto esecutivo del 2017?

Proviamo a elencarli nel dettaglio.

– tratto dal confine di stato alla Valletta: è prevista la realizzazione di una condotta sotterranea da 200cm di diametro, in affiancamento all’alveo del Corno per il trasporto della portata bianca di magra e di parte della portata di piena; la condotta è stata progettata per sopportare una portata fissata prudenzialmente a 18 mc/s. Verrà realizzata con la tecnica microtunneling;

Il rischio esondazioni è così scongiurato.

Viceversa le criticità igienico - sanitarie sono sì mitigate ma non cancellate del tutto. Una parte, mi auguro minimale, delle fognature nere sia di Nova Gorica che di Gorizia continuano ad essere riversate nel torrente, con conseguente danno sia al Corno che al suo ricettore l’Isonzo, nonché all’area della Valletta. E’ sperabile dunque che gli allacciamenti dei privati alla rete fognaria siano completati in tempi ragionevoli.

Questi interventi dovrebbero riflettersi positivamente soprattutto su via San Gabriele, riqualificandola funzionalmente. Nell’ottica della Capitale Europea della Cultura 2025 infatti la via, assieme alla Erjavčeva Ulica, sua prosecuzione a Nova Gorica, costituirà il naturale collegamento tra le due città, un elemento di continuità urbana, che eliminerà ogni confine fisico. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

9

Il quartiere rappresentava la scuola di formazione della amministrazione pubblica. I consiglieri erano una presenza attiva, costante, ascoltavano le problematiche delle persone, si comprendevano i problemi del territorio, la necessità di avere ambulatori medici o infermieristici appropriati, dopo scuola e così via. Si ricercavano le più appropriate soluzioni. Nello statuto associativo dell’Aps Tutti Insieme, abbiamo precisato l’intento di progettare e realizzare dei “Condomini Solidali”: i consigli di quartiere sono i veri “Condomini Solidali” di Gorizia, ed è necessario riattivarli al più presto.

Non a caso nel regolamento comunale riservato alle circoscrizioni l’articolo uno recitava: “Il territorio del Comune è articolato in circoscrizioni di decentramento, organismi che hanno lo scopo di promuovere la partecipazione e la consultazione della comunità locale, di esercitare le funzioni delegate dal Comune stesso, di rappresentare le esigenze della popolazione della circoscrizione nell’ambito dell’unità del Comune”. (renato elia)

Raccontare una città che va oltre il confine: il “Goriziano” on line parla del domani di Timothy Dissegna

“H

o avuto un’idea”.

Una frase secca, spesso prodroma di eventi che vanno al di là di ogni più fervida fantasia.

A pronunciarla è Ivan Bianchi, giovane giornalista di 23 anni ma con un savoir faire da far invidia anche alle penne più esperte.

Dall’altra parte del tavolo, fermo con il bicchiere a mezz’aria nel tentativo di portare a termine quello che doveva essere un tranquillo sorso di birra, c’è la stessa persona che firma questo scritto.

Senza quella simpatica scenetta in una serata estiva post-lockdown, molto probabilmente oggi non ci sarebbe questo articolo, né Il Goriziano, ossia quell’idea che il mio caro amico stava iniziando a raccontarmi e che, passo dopo passo, è diventata molto di più.

L’obiettivo era fondare un giornale nuovo, esclusivamente online, che raccontasse il territorio con le parole ma anche in forme nuove, utilizzando gli strumenti messi a disposizione da internet. Proprio quella rete su cui milioni di italiani si sono affacciati sempre più nel corso del 2020, anche chi prima era più restio ad utilizzare smartphone, tablet o pc. Figurarsi a leggere un quotidiano solo digitale. Quel percorso, però, è apparso subito come il più immediato, addirittura il più ovvio, anche se entrambi siamo estremamente legati alla carta, con la quale siamo cresciuti come persone e giornalisti. Ma l’online permette di disporre di risorse multimediali sempre più ampie e, grazie anche al nostro collega Fabio Bergamasco, fotografo e videomaker, non c’erano più dubbi su cosa scommettere.

Come ogni progetto che si presenta al pubblico, però, la scelta del nome è stata fondamentale. Soprattutto per un giornale, il cui destino può addirittura essere segnato solo da quello. La scelta è così caduta su “Goriziano” ma non perché guardiamo principalmente alla città, anzi. La linea editoriale è una sola: allargare lo sguardo dal Collio alla Laguna di Grado, facendo anche quel passo oltre al confine che troppo spesso non c’è ma di cui questo territorio ha sempre più bisogno. Goriziano, quindi, nel suo senso più ampio e che, diversamente da altri riferimenti geografici o toponomici, riesca a cogliere il più possibile le varie anime che popolano l’area: da quella friulana a quella bisiaca, passando per la slovena, giuliana e così via.

In questo modo, quindi, è partito da novembre il percorso del Goriziano. it. Giusto in tempo per raccontare in presa diretta la storica nomina di Nova Gorica e Gorizia a Capitale europea della cultura 2025, tema che condizionerà il prossimo futuro non solo degli oltre 60mila abitanti dei due centri, ma due regioni intere. Certamente ci saranno tanti altri momenti importanti che potremo raccontare da qui a domani, così come potranno farlo tutti gli altri progetti editoriali che in questi ultimi mesi sono nati o sono comunque cresciuti, contribuendo ad alimentare un fermento nel mondo dell’informazione che, in un centro piccolo come il nostro, tutto tranne che scontato. Soprattutto se dietro ci sono giovani, altra risorsa di cui la città ha sempre più bisogno.

Fa però sorridere pensare che, a ormai ventuno anni dall’inizio del XXI secolo, la nascita di un giornale online venga

definito ancora “qualcosa di nuovo”.

Certo l’Italia ha ancora molto da recuperare in termini di parità digitale, sia al proprio interno - e le conseguenze dello smart-working e della didattica a distanza lo hanno messo bene in evidenza -, sia rispetto agli altri Paesi d’Europa e del mondo. Dall’altra parte, è lo stesso gior10

nalismo che sta facendo i conti con un universo dove la bulimia di informazioni a portata di click è il leitmotiv costante.

Leggere un articolo sul web è differente dal farlo su carta: innanzitutto perché, molto spesso, nel primo caso è la stessa notizia che arriva al lettore e non lui a cercarla, sfogliando le pagine.

Inoltre, la stessa concentrazione su uno schermo è in media minore rispetto a quella su carta, sia per la luminosità dei dispositivi che per gli stimoli visivi che gli stanno attorno. In tutto questo, bisogna tenere insieme l’attrattività della notizia (affinché venga cliccata) con il rispetto imprescindibile verso il lettore.

Perché chi scrive deve sempre ricordarsi che è quest’ultimo il “consumatore” ultimo del suo lavoro, grazie al quale contribuirà a formarsi una propria opinione su un determinato fatto, quindi un’idea e, alla lunga, una visione. Ovviamente un giornale di provincia è una goccia minuscola in questo mare immenso che è la coscienza umana, ma fino a quando esiste, è comunque presente lì in mezzo.

Io e Ivan ci siamo subito detti che un territorio va prima conosciuto e amato, per poi essere raccontato. Potrà sembrare una frase da libro Cuore, un po’ fuori dal tempo, ma è proprio con questa impostazione che negli ultimi mesi abbiamo incontrato persone e realizzato interviste a cavallo del confine. Ci rincuora vedere che anche altri hanno reagito alla crisi - sociale ed economica - innescata dalla pandemia per lanciare progetti nuovi o valorizzare quelli che già erano in campo. L’immobilismo non è mai stata la soluzione, soprattutto in un luogo che è stato da sempre teatro di movimenti di popoli, storie, confini e destini. Eppur si

muove, esclamò Galileo Galilei: oggi a Gorizia tanti lo fanno, anche verso est, laddove una volta era impensabile. Anche con le parole, quelle che serviranno a scrivere nuove pagine. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Longo non ha dubbi: premio Amidei a fine luglio Resta l’incognita della location: parco Coronini o no?

L

a pandemia non molla la presa e sul futuro gravano ancora molte incognite. Sul grande cancello d’ingresso al Parco Coronini, ermeticamente chiuso, continua a campeggiare, dal luglio scorso, un cartello con la scritta “Vietato l’accesso – I trasgressori saranno severamente puniti”.

Ma Giuseppe Longo, direttore del Premio Amidei e anima dell’ormai storica rassegna cinematografica goriziana, che quest’anno dovrebbe celebrare la sua quarantesima edizione, compie un atto di fede. “L’Amidei si farà – preannuncia – e spero proprio che possa avere come cornice la splendida location del parco di viale XX settembre. Abbiamo già fissato una data di massima per lo svolgimento

Beppe Longo in un’immagine scherzosa, con la maschera di Joker, nella sala 1 del Kinemax

della manifestazione: dal 23 al 29 luglio”.

Tutti ricorderanno, a Gorizia, quel che successe lo scorso anno. Il festival era appena cominciato quando dovette essere interrotto per il tragico episodio accaduto la mattina del 22 luglio a brevissima distanza dallo spiazzo verde in cui venivano proiettati i film. Un bambino di 12 anni, Stefano Borghes, mentre partecipava a una gara di orienteering con i compagni del centro estivo, era salito su un pozzo precipitandovi all’interno e perdendo la vita.

di Vincenzo Compagnone Da allora, l’area delle ex scuderie (in cui si trovava fra l’altro la biglietteria del Premio Amidei) è rigorosamente off limits essendo tuttora in corso l’inchiesta sul drammatico fatto, Non solo, ma la Fondazione Coronini, di cui è presidente il sindaco Ziberna, ha disposto che rimanga chiuso l’intero parco, per motivi di sicurezza.

“Ho parlato con il direttore della Fondazione, Enrico Graziano – afferma Longo – e mi ha assicurato che, per consentire lo svolgimento dell’Amidei, il parco potrà essere riaperto, e la manifestazione svolgersi con le modalità dell’anno scorso, vale a dire per un numero lievemente ridotto di spettatori dovendo rispettare le regole del distanziamento imposte dal Covid”.

Una decisione che potrebbe suscitare delle critiche legate all’opportunità di far svolgere la manifestazione in una location che in molti non possono fare a meno di identificare con il posto in cui è avvenuta una vera e propria tragedia.

Carlo Verdone potrebbe essere uno degli ospiti girare il loro nuovo film – spiega Longo – ma prima o poi verranno a Gorizia. La scelta per il Premio 2021 cadrà comunque su un altro nominativo”.

“Certamente abbiamo pensato anche a questo – dice il direttore del Premio Amidei – e faremo delle ulteriori valutazioni.

Purtroppo altri luoghi che si prestino così bene ad ospitare la rassegna non ce ne sono: piazza Vittoria è difficile da chiudere ed è troppo illuminata, in piazza Battisti dovremmo occupare l’ampio parcheggio. Possiamo sempre inventarci qualcosa, ma per il momento l’idea è di riproporre il Premio nel parco Coronini.

Ovviamente studieremo qualcosa per onorare la memoria del piccolo Stefano”.

Un altro problema non di poco conto è rappresentato dal fatto che in quest’annata contrassegnata dal Covid non sono ovviamente usciti nuovi film: tutti “congelati” in attesa della riapertura delle sale. “Sono convinto però – dice Longo professando ottimismo – che a partire da aprile ne verranno sbloccati parecchi, non dimentichiamoci che il 25 è in programma la notte degli Oscar, ce ne saranno di nuovi e quindi avremo la possibilità di offrire una validissima selezione al pubblico. Poi, per celebrare degnamente il quarantennale dell’Amidei, abbiamo pensato e delle retrospettive di alto livello da tenersi durante il giorno al Kinemax nelle varie sezioni in cui, come sempre, sarà articolata la manifestazione. Vorremmo riproporre poi gli “Incontri con l’autore” delle 18, in Mediateca, dove abbiamo appena installato il nuovo schermo da tre metri con proiettore al laser, e in altri punti della città.

Staremo a vedere. Quel che è certo, location a parte, è che Longo non vuol sentir parlare di un annullamento della rassegna. “Il festival di Berlino – ricorda - è stato posticipato a giugno, quello di Cannes si terrà dal 6 al 17 luglio, Io spero proprio che, con la stagione estiva, il virus si attenui come lo scorso anno, anche grazie alla campagna di vaccinazioni che ormai sarà arrivata a buon punto”.

Il direttore dell’Amidei e del Kinemax è come un leone in gabbia ormai dal 28 ottobre, da quando cioè anche il multisala di piazza Vittoria ha dovuto chiudere i battenti. Aveva fatto appena in tempo a ospitare la consegna del Premio alla cultura cinematografica a Walter Veltroni, mentre è saltata quella del Premio all’opera d’autore ai fratelli belgi Jean Pierre e Luc Dardenne, registi e sceneggiatori.

“I Dardenne stanno per cominciare a

11

Ed è prevista infine la presenza di qualche ospite di spicco: uno potrebbe essere Carlo Verdone, che nel suo libro appena uscito “La carezza della memoria” cita più volte Gorizia: “Mi ha scritto una bella mail per comunicarmi la pubblicazione di questo lavoro – osserva il direttore dell’Amidei – e penso che sarebbe ben lieto di venire”. Se riuscirà a vincere la sua ben nota ipocondria… ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Cresce la protesta dei cittadini per il senso unico in Corso: brutto, pericoloso e realizzato senza un confronto preventivo di Lucio Gruden

L

a questione del senso unico in Corso Italia, sulla quale ci siamo già soffermati nel mese scorso e che oggi cerchiamo di approfondire ulteriormente visto che continua a monopolizzare il dibattito cittadino, stupisce sia per il metodo, sia per i contenuti.

C’è qualche tassello fuori posto, come se una corsa repentina contro il tempo avesse imposto al sindaco e alla giunta di fare presto, di correre, di fare qualcosa di eclatante, pur di farlo subito. E il risultato – come abbiamo già rilevato non è dei migliori.

Il Comune di Gorizia ha qualificati tecnici interni, architetti, ingegneri e conoscitori dell’urbanistica. C’è da chiedersi se sindaco e assessore al traffico si siano preoccupati di chiedere loro un parere, o se la giunta abbia ritenuto di farlo prima di assegnare l’incarico al progettista esterno, anche solo per farsi aiutare nel definire correttamente le specifiche tecniche.

Perché l’incarico in parola non era un concorso di idee, in cui il progettista si sbizzarrisce, ma un affidamento di un progetto che necessariamente contiene indicazioni da parte del committente sull’ordine delle priorità e sugli obbiettivi, che il tecnico deve fare propri.

Si viene a sapere ora dal progettista, intervistato da alcune testate locali digitali e tradizionali, che la fila di parcheggi a ridosso della pista ciclabile è figlia di una precisa indicazione dell’amministrazione (per garantire posti-macchina al commercio). Inoltre, la prima risposta del tecnico dopo la reazione della cittadinanza sui pericoli e sul passaggio dei mezzi di soccorso, è stata che essi avrebbero potuto passare sulla ciclabile, ma poi si è contraddetto. Infatti, in una successiva intervista, il progettista ha dichiarato che la pista ciclabile è solo temporaneamente segnata con la vernice, perché nella sua versione definitiva essa sarà delimitata da elementi strutturali che impediranno di fatto agli automezzi di invaderla. Quindi la domanda torna a essere: dove passeranno i mezzi di soccorso in caso di bisogno?

Il pianificatore esterno scelto dalla giunta è stato subito esibito alla cittadinanza da parte del sindaco con uno dei suoi video sui social, non appena si è reso conto dell’onda di piena che stava montando.

Il sindaco ha dapprima tentato di assumere un atteggiamento assertivo, con a fianco il presidente di APT SpA, l’asses-

sore al traffico e sullo sfondo, defilati, il progettista e il comandante della Polizia Locale, salvo poi dichiararsi aperto alla

per discutere su dove debba passare una ciclabile o se sia sufficiente in larghezza una carreggiata da 3,5 metri.

cittadinanza e collaborativo, all’insegna del “tutto è sperimentale”, “diteci cosa vi piace e cosa non vi piace” nell’apposita

Le rimostranze dei cittadini hanno trovato corpo nella pagina Facebook “NO al senso unico in Corso Italia” che

mail alla quale potete scrivere.

In questa escalation il tecnico incaricato ha parlato di “urbanismo tattico” spiegandoci cosa sia, ma fraintendendone la funzione tradizionale che riguarda solitamente aree degradate e spazi da recuperare in contesti urbani grandi, non di certo in un corso Italia già frequentato,

ho voluto creare per verificare quanti a Gorizia avessero il mio stesso sentire.

La pagina ha registrato un immediato decollo verticale, con tante persone unite nel mettere a nudo le criticità del progetto e anche il metodo del sindaco di imporre inizialmente la propria idea salvo poi tornare (solo apparentemente)

12

sui suoi passi. Il dissenso si è accresciuto in ragione della diffusa percezione di una certa qual strumentalità nel cambio di stile, in quanto sempre dentro alle alternative gradite al sindaco. Ora, se non ci fossero state le proteste e le raccolte di firme, ci sarebbe stato questo richiamo alla partecipazione, oppure il tutto sarebbe filato in sordina?

Infatti, va ricordato che. oltre a un’immediata raccolta di firme on line, sono nate subito nel gruppo Facebook più raccolte cartacee, con molti cittadini, esercenti e professionisti al servizio di una petizione che sostanzialmente vuole dire NO al senso unico in corso, affinché si ritorni alla condizione precedente e si seguano le regole, passando da un confronto istituzionale in consiglio comunale.

A dare manforte alla linea intrapresa dal sindaco è intervenuto poi un quotidiano locale e altre testate, con iniziative che invitano a fornire suggerimenti, comunque sempre riconducibili alle alternative rappresentate dal primo cittadino,

gnava dare ragione sia a Ziberna che a Brancati, così dalla sommatoria dei due avremmo avuto il ripristino del doppio senso.

Ora andiamo più a fondo, perché questa vicenda insegna molto. Il Piano del traffico è necessario per legge e va aggiornato ogni due anni. A Gorizia esso non viene aggiornato da tempo.

Dopo una delibera di giunta “immediatamente eseguibile” datata 31 ottobre 2013 (n. 225, Avvio del procedimento per l’aggiornamento del piano generale del traffico urbano) nulla è stato fatto dall’amministrazione Romoli, né dall’attuale. Il PUT va approvato dal consiglio comunale e di norma richiede un più ampio e moderno piano della mobilità generale, inquadrato dentro alla visione di città che si intende perseguire, che andrebbe chiaramente esplicitata da chi ha il compito di amministrarla. Ciò comporta anche un lavoro parallelo sul Piano regolatore generale, soprattutto perché quello goriziano affonda le sue radici in un’altra epoca, quando c’erano

anche se con uno spazio a disposizione di chi intenda vestire i panni dell’esperto e voglia offrire una propria soluzione.

Ovviamente tali iniziative sono semplici sondaggi di opinioni, cosa molto diversa da una petizione che richiede come dato di partenza il ripristino del doppio senso di marcia in corso.

Nel dibattito è intervenuto il presidente di Confcommercio Gianluca Madriz, che è anche vicepresidente della CCIAA, il quale ha criticato Ziberna perché, a suo parere, la sperimentazione andava iniziata solo dopo la realizzazione del parcheggio di via Manzoni. E si è pure rivisto l’ex sindaco Brancati, a sostegno di Ziberna e delle ragioni del senso unico, di cui era antico promotore (anche se con direzione di marcia nell’altro verso), tanto che qualcuno ha scherzato sui social dicendo che biso-

sbarre, garitte e guardie a presidio del confine. Nulla di tutto ciò è stato fatto e si è preferito procedere con singole iniziative che appaiono senza capo né coda. Appaiono tali, ma lo sono? Oggi non siamo più solo nel dopo-Schengen, ma immersi (positivamente) nell’investitura congiunta con Nova Gorica a Capitale UE della cultura 2025, ricordata anche dal presidente Sergio Mattarella. Tale evento, per esempio, ha già fruttato un importante riconoscimento alla città di Nova Gorica per la sua capacità di aprirsi con l’offerta della co-candidatura a Gorizia, progredendo così nella giusta interpretazione di sé nel mutato contesto di nuova Europa senza più confini.

Come noto però, le risorse economiche non sono mai illimitate e perciò ogni scelta sta comunque dentro una visione

13

che può essere partecipata ai cittadini, oppure restare sottotraccia: se si spende per un verso, significa anche che non si intende spendere in altra direzione.

La decisione di investire nella visione “corso-centrica” discende dalla politica del sindaco Romoli, che volle l’isola pedonale in corso, ma che a noi appare un innaturale recinto dove si è tentato di spingere gli acquirenti, a peso dell’interruzione del flusso veicolare del corso, che è la principale arteria di una città longitudinale, distesa lungo il corso dell’Isonzo. Tale isola ora Ziberna vuole ampliare, estendendola fino all’angolo con via XXIV Maggio, rendendo così completamente inservibili via Cascino e via Diaz, dall’incrocio con via Rismondo.

A nostro parere, invece, andrebbe aggiornata ai tempi la prospettiva, magari salendo idealmente sopra un drone immaginario e volando nel cielo delle due Gorizie: se è necessario guardare al futuro, alla tessitura dell’inurbamento di Gorizia, Nova Gorica e San Pietro, in vista di quella maggiore compenetrazione pacifica che si dice di volere perseguire (anche in ragione della scadenza del 2025), allora va considerata di più l’intera linea confinaria, quale nuovo fronte su cui investire le risorse. Lo si dovrebbe fare sia in chiave di fruizione da parte della cittadinanza, sia di potenziale richiamo turistico, partendo da tutto ciò che c’è sotto il nostro castello, come via Rastello, piazza Vittoria, la stessa galleria Bombi, per arrivare poi a via Carducci (oggi in condizioni disperate) fino a via San Gabriele che entra in Erjavceva Ulica, cioè nell’asse viario principale di Nova Gorica. Ma poi ci sarebbe Casa Rossa da ripensare e l’intero compendio dietro a via Terza Armata su cui agire: insomma non c’è solo il concorso di idee su piazza Transalpina, ma molto altro da fare. Invece si fa il corso a senso unico con i soldi dell’ingresso al Pronto Soccorso.

Quanto da noi sostenuto non significa minimamente proporre l’abbandono dei nostri magnifici corsi, che molti ci invidiavano soprattutto nella parte bassa, per i controviali e i rosai, ma essi vanno curati e non stravolti. Di certo va fatta la ciclabile, ma adesso serve il doppio senso perché senza un ragionamento più ampio soffrono il percorso dell’autobus da nord (si pensi agli anziani che vogliono andare in corso) e le intasate vie parallele, come via Duca d’Aosta e le laterali. Si lavori sui parcheggi annunciati da anni e sui mezzi alternativi, ma si abbia la sensibilità di guardare al disegno complessivo di città, andando avanti senza pregiudizi – che pure non mancano in questa nostra composita comunità – con scelte idonee per realizzare un attrattivo nuovo centro abitato europeo, tale da meritarsi degnamente quel titolo di Capitale UE della Cultura 2025. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

E’ un fantasy per adulti il nuovo romanzo di Annapaola Prestia di Eliana Mogorovich

P

rendete una persona curiosa, curiosa delle vite altrui: di quelle che sentono frammenti di vite, racconti di quotidianità e se ne appuntano i particolari nella memoria. Immaginate che questa stessa persona per spostarsi usi i mezzi pubblici: di meno da un anno a questa parte, ma frequentemente in passato. E immaginate che per riempire il tempo del viaggio decida di annotarsi i resoconti delle esistenze dei suoi anonimi compagni di scompartimento, impegnati a confessarsi con l’amico o al cellulare senza badare al tono della propria voce.

Aggiungete che questa curiosa finora immaginata sia una psicologa: quindi qualcuno che, per lavoro e passione, ascolti quotidianamente tali confessioni. E che decida poi di metterle insieme, di cucirle come fossero le losanghe di una coperta multicolore che però, abbinate in modo accurato, compongono un insieme tanto armonioso quanto variopinto: perché i percorsi sono sì individuali e irripetibili, ma tutti accomunati da caratteristiche ricorrenti. Le scelte, il libero arbitrio, la possibilità e soprattutto la volontà di cambiare le cose sono il filo conduttore dei romanzi della goriziana Annapaola Prestia di cui l’ultimo, “Il segno dell’angelo”, è appena stato pubblicato per i tipi di Armando Curcio Editore.

Curiosando sulla tua pagina facebook e sul tuo sito (https://annapaolaprestia. com) si leggono tante “definizioni” su di te: psicologa, neuropsicologa, scrittrice e addirittura gelataia. Anche tu ti chiedi chi sei: proviamo a rispondere, anche alla luce del fatto che parli di due anime, una legata alla Sicilia e una

all’Istria.

Partiamo dalla seconda parte, che per me è più facile da spiegare: mia mamma era per metà istriana e metà siciliana; mio padre, invece, un siciliano doc. Io sento di avere entrambe queste anime anche perché, per motivi di lavoro, i primi vent’anni della mia vita mi sono spostata al seguito dei miei genitori in tutta Italia.

Non ho avuto modo di mettere radici in nessun luogo per cui l’unica cosa certa erano la casa dei nonni in Sicilia, dove trascorrevamo le vacanze estive, e i rac-

L’eclettica Annapaola ha appena pubblicato il suo nuovo libro, intitolato “Il segno dell’angelo” conti della mamma, esule insieme ai miei nonni, sulla sua infanzia a Pirano: dell’esperienza dell’esodo ho anche parlato in “Stelle in silenzio”, descrivendo in modo piuttosto preciso la loro abitazione tanto da renderla riconoscibile a chi aveva avuto modo di vederla prima della sua distruzione. Passando alla prima parte della domanda, come tutte le persone ho molte identità, mi piace sperimentare: grazie a mio fratello ho imparato a leggere e scrivere quando frequentavo l’asilo e non mi sono più fermata. Alla fine del liceo è nata la passione per la psicologia: lavoro con gli anziani, mi occupo di demenza senile, per dieci anni ho svolto l’attività di ricercatrice in questo campo e continuo a scrivere dei contributi sull’argomento, l’ultimo è un manuale sulla demenza. Poi sì, per sei anni ho avuto anche una gelateria, chiusa lo scorso anno: un’avventura intrapresa con mio marito e un amico conosciuto grazie alla nostra comune passione per la fantascienza, tanto da creare anche un’associazione (adesso sciolta) dedicata a Star Wars.

Parliamo di “Il segno dell’angelo”. È stato classificato fantasy per adulti, perché ci sono esseri umani e creature ultraterrene che si incontrano. Il protagonista è un angelo che si gioca le proprie ali per salvare la vita di un uomo e mentre lui abbandona il Paradiso, l’Inferno si attiva in modo contrario per evitare questo salvataggio. La storia è ambientata a Buenos Aires, una città che ho visitato e ho amato molto. Ci sono risvolti sovrannaturali ma si vuole dimostrare che il destino è tutto tranne che scritto, che le vite sono spesso basate su scelte mancate, rimpianti, sliding doors e non ci si rende conto che la

14

vita la costruiamo quotidianamente.

C’è un filo conduttore fra i tuoi romanzi?

Senza dubbio l’interesse per le persone: prima del Covid viaggiavo molto sui mezzi pubblici. Mi piaceva perché il tempo per scrivere e leggere era dilatato e sentivo le storie degli altri. Questi frammenti, uniti ai pezzi di vita che ascolto per lavoro, mi hanno convinta che l’esistenza umana è incredibile.

Una cosa che hanno detto di te che ti ha fatto particolarmente piacere?

A parte il primo romanzo, “Caro agli dei”, dove ho assunto un punto di vista maschile, utilizzo spesso protagoniste femminili. Una volta un giornalista, uomo, ha scritto che i miei libri non erano letteratura al femminile e che si riconosceva in ciò che provavano le mie protagoniste. E questo commento mi è piaciuto molto.

Sei al tuo quarto libro, il primo risale al 2008; sei anche mamma, lavori: dove trovi il tempo?

In effetti ho un bimbo di quattro anni e a breve nascerà la sua sorellina… Scrivo di notte o quando trovo l’ispirazione. Il lockdown mi ha aiutato perché ho chiuso un lavoro che era in piedi da tempo e ho scritto questo libro e i due successivi: “Il segno dell’angelo”, nella mia mente, è il primo di una trilogia di cui ho già scritto gli altri due volumi, in attesa del placet dell’editore. Non è una trilogia in senso stretto poiché non si segue la crescita del protagonista, ma si esplorano le vite degli altri protagonisti.

Tornando alla domanda iniziale: c’è qualcosa che non hai fatto e vorresti provare?

Mi sarebbe piaciuto intraprendere in modo più completo un percorso musicale: avevo iniziato una scuola di canto che mi stava anche dando delle soddisfazioni ma purtroppo non si può fare tutto. Mi consolo però con i libri, facendo in modo che la musica accompagni tutti i miei personaggi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Top Five Libreria Voltapagina

1) “Luce della notte” (Ilaria Tuti) 2) “La pazienza dei diavolo” (Roberto Cimpanelli) 3) “Un colpo al cuore” (Piergiorgio Pulixi) 4) “E allora le foibe?” (Eric Gobetti) 5) “Il racconto dell’ancella” (Margaret Anwood)

Top Five Music Shop 1) “Dare” (Mario Biondi) 2) “Medicine at midnight” (Foo Fighters) 3) “The Future Bites” (Steven Wilson) 4) “7” (Ligabue) 5) “Unica” (Ornella Vanoni)

Social media, uno strumento potentissimo che richiede però un utilizzo consapevole

C

di Eleonora Sartori

orreva l’anno 2009. Il 16 gennaio Internet e i social media si manifestarono in tutto il loro potere dirompente. Un Airbus A320 della US Airways cadde nel fiume Hudson, a New York. Il primo a scattare una foto dell’incidente fu un privato cittadino, Janis Krums. Si servì del proprio iPhone e immediatamente postò lo scatto su Twitter. Questa vicenda mise, forse per la prima volta, il mondo dell’informazione di fronte a una scomoda verità: nessun giornale o agenzia stampa può competere in velocità con i social media, ovvero con ognuno di noi che grazie ad essi diventa un piccolo editore. Qual era, dunque, lo scenario che si prospettava per i media cosiddetti tradizionali? Considerare i media digitali come un’opportunità oppure morire. Evidentemente, se a distanza di 12 anni i giornali esistono ancora, la via percorsa è stata la prima. Oggi siamo abituati a relazionarci con testate giornalistiche che, oltre a stampare copie cartacee, presidiano in modo più o meno competente i social media. Dall’altro lato, i cittadini armati di smartphone continuano a postare sui propri account social pensieri e parole in libertà, spesso pure troppa. La fruizione per il lettore diventa, a questo punto, un’impresa ardua: come individuare il contenuto valido tra i tanti disponibili?

Come capire se una fonte è attendibile?

caso non avanza mai. Non è raro, dunque, trovare tra i commenti ai post delle testate giornalistiche volgarità e violenza. Temo che questo continui ad accadere perché non vi sia ancora la piena consapevolezza che non esistono mezzi di comunicazione

Questo scritto contiene alcuni spunti di riflessione personali, frutto di diversi anni di lavoro nel settore della comunicazione sia classica che digitale, senza alcuna pretesa di esaustività.

di seria A e di serie B, i mezzi sono solo mezzi. A fare la differenza sono sempre le persone e la bravura e la serietà di un giornalista dovrebbero manifestarsi in qualsiasi ambito, anche nel moderare i commenti sui social.

Superare la contrapposizione: l’obiettivo ideale a cui tendere è che i mezzi prendano il meglio l’uno dall’altro. Posto che i giornali non possono competere con la tempestività dei social, il loro focus deve spostarsi necessariamente su approfondimento e inchiesta, cosa che non sempre accade soprattutto a livello locale. Chi acquista il giornale si aspetta qualcosa in più di ciò che legge su Facebook, di conseguenza dal giornalista un lavoro più approfondito del copia/incolla di dichiarazione scritte sui vari account social. Da Internet giungono inevitabilmente molti degli spunti, che poi però devono essere vagliati, approfonditi, dando la possibilità a tutte le persone coinvolte di dichiarare in modo più articolato i rispettivi punti di vista. La tempestività e la velocità possono e devono, invece, rimanere appannaggio dei presidi digitali delle testate che, tuttavia, si trovano a dover fronteggiare un altro annoso problema: la moderazione.

La sensazione generalizzata è che questa sia considerata un optional, un aspetto a cui dedicarsi se avanza tempo, che guarda

La copertina del Time con il personaggio

La responsabilità individuali: ho già accennato al fatto che con l’avvento dei social media siamo diventati tutti editori.

Abbiamo uno strumento di diffusione, i nostri account social, e un pubblico più o meno ampio a cui rivolgerci, costituito dai nostri amici/follower. Questo aspetto, che oggi tendiamo a dare per scontato, non lo era prima del 2006. “You”, l’internauta è la persona dell’anno 2006 per la rivista Time.

Il settimanale, pubblicando in copertina un computer con uno specchio al posto dello schermo, ha scelto come simbolo dell’anno “You”, ovvero tutte le persone che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale usando Internet per diffondere parole, immagini e video, contribuendo al successo di siti come “YouTube” e “MySpace”, quest’ultimo un lontanissimo ricordo. Ciò rappresenta un’opportunità unica, ma al contempo un’enorme responsabilità. I social sono casse di risonanza; ciò che prima condividevamo con un amico seduti davanti a un caffè, oggi può arrivare in pochi secondi

15

dall’altro lato del globo. I social non filtrano, amplificano sia il buono che il cattivo e credo che di questo ce ne accorgiamo tutti i giorni.

Non tutti, ahinoi, sono consapevoli di avere tra le mani uno strumento potentissimo che non è né buono, né cattivo, dipende dall’uso che uno ne fa. Con i social grandi aziende hanno fatto fortuna, si sono organizzati proteste e manifestazioni con il semplice tamtam tra le persone, ma sono anche il luogo in cui si registrano i peggiori casi di bullismo, nella sua variante di cyberbullismo, di incitamento alla violenza, di body shaming e la lista è ancora lunga.

Consapevoli delle insidie implicite nei social, soprattutto nelle scuole si è alzata l’attenzione dei confronti dell’utilizzo dei cellulari da parte dei più giovani, ed è proprio di questi giorni la notizia che diversi istituti del territorio hanno aderito al “patentino digitale”. Un’ottima iniziativa che, purtroppo, lascia fuori un pubblico che avrebbe anch’esso molto bisogno di un’infarinatura di base, quello degli adulti.

Tornare a scuola: sì, anche i meno giovani dovrebbero umilmente rendersi conto della necessità di tornare a studiare e che per questo i loro figli potrebbero essere validissimi tutor! Se, da una parte, una persona adulta dovrebbe essere più responsabile circa i contenuti che pubblica, spesso non comprende i danni del condividere contenuti terzi senza averli attentamente vagliati. L’aggettivo virale, la caratteristica più significativa dei social media, non è ancora chiaro a tutti e quando ci si trova di fronte a un contenuto non proprio, la responsabilità nei confronti di esso va scemando. Eppure, è proprio la condivisione compulsiva di fake news ad aver causato i danni maggiori nella società contemporanea. Una bugia ripetuta un milione di volte diventa assoluta verità.

La responsabilità dei social: le grosse multinazionali proprietarie delle piattaforme giocano un ruolo chiave. Anche loro hanno cominciato a controllare in modo sempre più stringente i contenuti che transitano sui social ma è evidente che qualcosa sfuggirà sempre ed è per questo che preferisco focalizzarmi sul cambiamento che deve intervenire in ognuno di noi. Acquisire gli strumenti per esercitare il pieno controllo sui nostri spazi virtuali, curandoli come se fossero il nostro orto personale, rimuovendo le erbe infestanti, non subendo passivamente il potere degli algoritmi è un obiettivo a cui ognuno di noi dovrebbe tendere. Esiste ormai una vastissima letteratura sull’argomento e potrebbe trattarsi di un’ottima occasione di peer learning tra giovani e adulti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Cisv, con Mosaic 2021 incontri on line sui temi dell’ex confine di Stefania Panozzo

mondo convivano per un mese e imparino a crescere mettendo in comune le cose che sanno fare, ma anche le loro paure e le speranze per il futuro, provando a costruire un mondo migliore dove si possano costruire ponti transgenerazionali anziché confini. L’esperienza dei summer villages può continuare anche dopo la conclusione dei villaggi estivi e molte persone che hanno avuto la fortuna di parteciparvi hanno creato una rete di contatti con gli amici conosciuti durante l’estate dei loro 11 anni.

L’attività internazionale ha 4 punti fermi: sostenibilità, risoluzione dei conflitti, diversità e diritti umani e il progetto “Mosaic” si impegna a metterli in atto calandoli nella realtà quotidiana e locale.

Per quanto riguarda la sezione di Gorizia, bisogna ricordare che é nata nel 1975 e che, nella sua storia, ha organizzato tanti progetti interessanti tra cui quello di cui vi parlerò più avanti. Ormai sono numerosi i ragazzi che, da tutto l’Isontino, hanno fatto questa bellissima esperienza e ne conservano ancora un bel ricordo.

I

rienziale.

l Cisv (Children international summer villages) é un’organizzazione internazionale affiliata all’Unesco che si occupa di educazione alla convivenza pacifica attraverso l’apprendimento espe-

Nato da un’idea della psicologa americana Doris Allen, e diffuso in tutto il mondo, organizza attività per ragazzi a partire dagli 11 anni, età nella quale, secondo la Allen, sono in grado di capire senza pregiudizi e, provando a convivere con i loro coetanei provenienti da altre nazioni, si possono rendere conto di quante cose possano avere in comune.

Il progetto dei summer villages prevede che gruppi di 4 ragazzi accompagnati da un leader adulto e provenienti da tutto il

Il progetto Mosaic viene organizzato ogni anno da 6 anni e ha toccato vari temi (immigrazione, accoglienza degli stranieri, disabilità, informazione e disinformazione…) collaborando con numerosi partners (Banca Etica, Istituto Rittmeier, Coldiretti, Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin…) e può essere rivolto ai ragazzi o agli adulti, ma anche ad entrambi come dimostra il caso del progetto di quest’anno che vuole favorire la comunicazione tra adulti e bambini superando le barriere generazionali.

Il 24 gennaio si tenuto online su zoom il primo incontro del progetto Mosaic 2021 che s’intitola “Border or lockdown: limiti e opportunità di confini e confinamenti” e che ruota intorno al valico del Rafut, visto che ha come obbiettivo finale l’inserimento della voce relativa all’ex confine nell’enciclopedia libera Wikipedia. Anche se gli organizzatori hanno cominciato a pensare agli incontri prima che la nomina a capitale europea della cultura 2025 diventasse ufficiale, il progetto Mosaic

2021 si può a pieno titolo inserire nel filone delle iniziative che vedranno Gorizia e Nova Gorica vivere insieme questa importante occasione.

Gli incontri che si terranno mensilmente saranno aperti a tutti e vedranno alternarsi ospiti di provenienza diversa.

Il 21 febbraio i partecipanti hanno riflettuto su come si é formato il confine tra Gorizia e Nova Gorica, aiutati dallo scrittore Alessandro Cattunar dell’associazione 47/04. Spunto per la riflessione é stato il libro scritto nel 2014 dal titolo “Il confine delle memorie. Storie di vita e narrazioni pubbliche tra Italia e Jugoslavia (1922 - 1955)” nel quale Cattunar ripercorre la storia della formazione del confine sia attraverso le fonti storiche sia attraverso i racconti dalla gente che forniscono uno spaccato del processo di rielaborazione della memoria e offrono una valida alternativa alla storiografia.

Il terzo incontro, che si terrà il 21 marzo, vedrà protagonisti i volontari della Sezione di Gorizia del Fai (Fondo ambiente italiano) che presenteranno la situazione ambientale lungo l’ex confine.

Il 18 aprile il progetto Mosaic entrerà nel vivo e lo staff di Wikipedia Italia spiegherà ai partecipanti come funziona l’enciclopedia libera.

Il 30 maggio troveranno spazio gli operatori della Biblioteca Hortis di Trieste che, in collaborazione con quelli della web-radio Radiomagica.org, hanno pensato di rendere leggibili le mappe della nostre regione ai ragazzi con problemi di disabilità, per garantire una migliore accessibilità ai beni culturali della nostra regione e parleranno di ascolto di chi la pensa diversamente, viene da lontano o ha capacità diverse.

Infine, l’incontro conclusivo avrà luogo il 26 giugno e vedrà protagonisti i membri del CAI di Fiume (proprio così) che racconteranno come sono riusciti a coltivare la loro passione nonostante l’esistenza dei confini. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Monumento di Doberdò: un volume del Kulturni

In uno degli incontri organizzati dal Cisv si è parlato del valico del Rafut

16

E’ in edicola e nelle librerie, edito dal Kulturni dom di Gorizia, il volume bilingue di un centinaio di pagine sul monumento di Doberdò che ricorda i soldati sloveni caduti sul fronte dell’Isonzo 1915 - 1917” e la visita dei due Presidenti a Doberdò, il 26 ottobre 2016.

La pubblicazione è in vendita al prezzo di 10 euro ed è disponibile a Gorizia nelle librerie Ubik e Leg di corso Verdi, nell’edicola di Renato Fiorelli a fianco dell’ingresso del mercato e, sempre in corso Verdi, e nella Libreria Cattolica in Piazza Vittoria.

Un bambino che vive in una città dal cuore lacerato: compie 90 anni il racconto “goriziano” di Elio Vittorini

C

ompie 90 anni “La mia guerra”, il racconto goriziano di Elio Vittorini, pubblicato nella raccolta “Piccola borghesia”, primo libro dell’autore siciliano ventitreenne per le Edizioni di Solaria. E ha 20 anni la stampa del singolo racconto per l’associazione Kinoatelje della città isontina.

di Martina Delpiccolo tricolore.

La prospettiva di bambino, che è già nel titolo, emerge tutta in un succedersi di frasi d’impazienza e stupore: «Anche noi avremo la guerra». «Avere la guerra.

Prima le parole mi ronzarono in testa,

Elio Vittorini vive a Gorizia per amore, quando nel 1927 sposa Rosa Quasimodo, sorella di Salvatore. Abita in Piazzutta nella casa dei suoceri che gestiscono un negozio di radiotelefonia, lavora come manovale e contabile, scrive racconti e collabora con giornali e riviste. Lascia la città nel 1930, un anno prima della pubblicazione della raccolta “Piccola borghesia”, che anticipa temi e suggestioni di “Conversazione in Sicilia”: il viaggio, la mescolanza di realtà, fantasia, memoria, dimensione mitica, e il ritorno all’infanzia che si ripropone anche in “Uomini e no”. Lo stile tende già a contrarsi all’essenziale, sopprimendo l’articolo e preferendo la struttura nominale a quella verbale. Il genere avventuroso guarda a “Le mille e una notte” e a “Robinson Crusoe”. La guerra vista da un bambino è prospettiva poi indagata anche da Calvino e altri autori, ma in una successiva letteratura resistenziale o neorealistica in riferimento al secondo conflitto mondiale. Qui invece siamo nel tempo della vicenda della Grande guerra e nel tempo della scrittura che precede il secondo conflitto.

Voce narrante è il protagonista, un bambino di 7 anni che vive tra Calabria e Sicilia e trascorre sei o sette mesi l’anno a Gorizia dai parenti mercanti. Il racconto si apre con una città vista scorrere dalla finestra della casa, come il tempo che porterà via persone e muterà cose, anime e strade.

Siamo nella primavera del 1915. Gorizia appartiene all’Impero Austro-ungarico, in guerra dal 1914. «Di qui non si vede nulla e non si sa mai quello che bolle»: sono le riflessioni che riempiono le giornate in attesa di capire cosa farà l’Italia, dibattuta tra interventisti e neutralisti.

Gorizia è luogo di confine anche per l’anima del protagonista, italiano, in vacanza dai parenti in territorio austriaco.

Zio Odoardo non ha dubbi: «Piuttosto che finire in Russia, passo la frontiera e vesto il grigioverde». Il piccolo protagonista vive una città dal cuore lacerato, in eterna contraddizione: donne, soldati, cittadini, ufficialmente austriaci che mormorano di nascosto una canzone sul

vendola che invita a comprare quello che sarà l’ultimo pesce di Grado, le campane dei paesi vicini che annunciano l’avanzata, i rifugi sotterranei, la cucina del bar sul corso Verdi in cui si erano trasferiti.

La guerra, il colera, la morte vestivano i bambini di nero, ma li rendevano più liberi, senza controlli oltre che senza scuola. Muoiono la zia, una parente, la serva Lussia, il cui cadavere viene vestito e preparato dai bimbi come fosse un gioco, dai cuginetti rimasti col nonno, solo, taciturno sui figli lontani o morti, simile a un orco o a Robinson Crusoe. «“Marco lo sa che sono italiana”. Marco era il cannone d’Italia che dalla collina di San Marco circuiva di lenti tuoni la città», dice Emilietta, di cui il protagonista è innamorato. Vittorini, immaginando se stesso bambino nella città in guerra, immagina anche quel primo sentimento e la felicità data dal sentire sul suo braccio la manina di lei «trepidare come un animaletto».

Ed ecco come sono visti gli italiani che entrano in città, dalla prospettiva dell’infanzia: buffi, vestiti di verde, chiassosi, canterini, come bambini: «Scrivevano sui muri come noi bimbi».

Lo scrittore siciliano Elio Vittorini, che aveva sposato Rosa Quasimodo, visse a Gorizia nella casa dei suoceri, in Piazzutta

poi un alveare di gioia mi scoppiò dentro per tutto il corpo». E ancora: «Mi sentivo una guerra io stesso… Io avrei avuto la guerra. Stavo per avere la guerra, cioè quel fumo, quel fuoco, quella morte».

Non si trattava più di giocare ai nemici o fingere il Far-West. La finzione diventava realtà. Non si giocava alla guerra, la si viveva.

Ed eccola Gorizia vista dal bambino: il castello «oltre i tetti del Corso, sulla collina mezza erba e mezza città», «gli alberi che brusivano come ogni foglia fosse un uccello», la città in attesa di qualcosa, un segno o una cometa, la calma della vigilia, la dichiarazione del 24 maggio, le strade piene di soldati visti partire dalle donne, i manifesti in tre lingue, i reclutati per strada, spediti al fronte senza passare per casa, la pesci17

La partenza da Gorizia col padre che lo ha raggiunto per riportarlo in Sicilia, dove lo attendeva la cagnetta Trieste, è per il protagonista la fine dell’infanzia di guerra, la fine di tutto: «E mi venne voglia di morire» come i cadaveri visti per strada, come il corpo di Lussia.

Sopravvissuto, ma meno vivo ora, senza cannone, destinato a rientrare in una vita calma e scontata. Struggente il viaggio in treno da cui ammira Udine, una città «che non si decideva ad andare a letto» e così simile a Venezia. Ormai si sente chiamare “bimbo” e non più “putel” e le ragazze non sono più “mule”.

Il racconto, che si apriva con la città vista scorrere dalla finestra, si chiude con l’esistenza vista scivolare fuori dal finestrino del treno: Emilietta, Gorizia e il cannone sono lontani.

La copertina del 1931 porta l’immagine di Laura La Plante, diva del muto, forse perché Vittorini la vide in una pellicola a Gorizia o perché il bambino protagonista era affascinato dal cinematografo «sebbene chiuso, coi suoi cartelloni abbandonati sull’ingresso». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Le dolci giornate goriziane di Ludovico Salvatore d’Asburgo scienziato e viaggiatore in incognito col nome di “signor Neudorf ” di Anna Cecchini

I

n una calda mattina d’agosto del 1914 un uomo robusto avvolto in un modesto soprabito scuro passeggia lentamente per il giardino Attems di Piedimonte. Osserva attento piante e cespugli. Coglie un rametto in piena fioritura e torna a casa. Lì siede allo scrittoio e scrive una lunga lettera a Carlo Marchesetti, botanico e paleontologo, nonché direttore del Museo di storia naturale a Trieste, e gli chiede il nome di quest’albero “così frequente in questi giardini”.

Nessuno che lo veda passeggiare per Gorizia direbbe che si tratti di un membro della famiglia imperiale d’Asburgo-Lorena. E invece l’Arciduca Ludovico Salvatore, classe 1847, è il nono dei dieci figli del granduca Leopoldo II di Toscana e della sua seconda moglie la granduchessa Maria Antonietta di Borbone (1814-1898). I suoi nonni paterni sono il granduca Ferdinando III di Toscana e Luisa Maria Amalia di Borbone-Napoli; quelli materni il re Francesco I delle Due Sicilie e Maria Isabella di Borbone-Spagna.

Allo scoppio della II guerra d’Indipendenza, il padre Leopoldo II è costretto a lasciare Firenze e ripara alla Corte di Francesco Giuseppe. Ludovico Salvatore ha 12 anni. Senza alcuna attitudine alla vita militare e frustrato da un amore impossibile, si rifugia nei libri e in una passione divorante per le scienze naturali. Natura e viaggi, studio e osservazione: a bordo di un yacht a vapore organizza vere e proprie spedizioni scientifiche e perlustra il Mediterraneo. Dalmazia, arcipelago ionico, Cipro, le Eolie e la costa nordafricana.

L’arciduca scrive, annota, e dipinge ad acquarello. Si appassiona del patrimonio culturale, etnografico e linguistico di isole pressoché intatte come le Baleari, che cominciano a essere toccate dal progresso e rischiano di contaminare la propria identità. Con un approccio metodologico inusuale, predispone questionari che sottopone alla popolazione e agli esperti locali, da cui trae una marea d’informazioni sulla geologia, la storia, la botanica, l’agricoltura e la linguistica. A Maiorca fa edificare, tra l’altro, un piccolo castello di campagna in stile moresco nella tenuta di Estaca, di cui è oggi proprietario l’attore americano Michael Douglas Nell’arco di 45 anni, l’arciduca, che continua a presentarsi in incognito e con lo pseudonimo di “signor Neudorf ”, redige 50 monografie, tra cui quella più nota “Die Balearen

in Wort und Bild geschildert”, la descrizione più precisa, vasta e completa dell’arcipelago iberico dell’epoca e chi gli vale numerosi riconoscimenti internazionali. Compie un viaggio attorno al mondo e queste lunghe esplorazioni lo trasformano un autentico cosmopolita, convinto che i contatti tra i popoli e la conoscenza delle altre culture siano il miglior strumento per perseguire la pace. Appoggerà con convinzione il movimento pacifista dell’austriaca premio Nobel Berta von Suttner e intesserà una fitta corrispondenza sui temi della difesa della natura perfino con il presidente degli Stati Unite Theodore Roosevelt. Un intellettuale, dunque, in contatto con illustri studiosi e celebri istituzioni scientifiche dell’epoca, ma anche mecenate, finanziatore d’imprese scientifiche e protettore di circoli e biblioteche.

Ma la Storia segue il suo corso. Nell’estate del 1914, poco dopo l’attentato di Sarajevo e a un passo dallo scoppio della prima guerra mondiale, Ludovico Salvatore è Muggia, nella residenza estiva nel piccolo borgo di Zindis. Lì lo raggiunge il conte Carlo Coronini, il suo direttore di corte. Alle 4 del mattino del 16 agosto 1914 Ludovico Salvatore lascia Muggia

con Ugo Pellis, Giorgio Pitacco, Dolfo Zorzut e la scrittrice Paul Maria Lacroma, viene pubblicato a Praga nel 1915 “Zärtlichkeitsausdrucke und Koseworte in der Friulanisce Sprache”, fonte tuttora considerata preziosissima per la conoscenza del friulano.

Passano i mesi e la speranza di una guerra di breve durata svanisce. L’Italia abbandona la sua posizione neutrale nei confronti dell’Austria e la permanenza di Ludovico Salvatore a Gorizia si fa insicura. Le giornate a villa Ceconi hanno ormai le ore contate, così come le esplorazioni nei dintorni, le lunghe ore di studio e il soggiorno in questa città dal clima gentile che ha attraversato “… come un dolce sogno…”. Ludovico Salvatore lascia Gorizia il 19 maggio 1915.

Sale a bordo di un treno speciale con la famiglia del conte Coronini che si ferma a Wöllan (l’attuale Velenje, a nord-est di Lubiana) e prosegue per Vienna. L’Arciduca è malato di elefantiasi e la sua salute peggiora velocemente.

Muore di setticemia il 12 ottobre del 1915. Carlo Marchesetti lo ricorda nel suo necrologio come un uomo di straordinaria competenza scientifica, ma modesto e schivo, attento a far sempre scomparire la distanza tra un princi-

Un disegno di Nixe, lo yacht dell’irrequieto nobiluomo

per riparare nella più sicura Gorizia. Alloggerà nella villa Ceconi, in via Monte Santo. Abbandonerà i grandi viaggi e le esplorazioni. Ma non rimarrà con le mani in mano e deciderà di riprendere in mano gli studi linguistici, che già aveva affrontato con un acuto lavoro sugli arabismi presenti nella lingua delle Baleari. Si occuperà della lingua friulana parlata fra Gorizia, Cormons e Aquileia con lo scopo di divulgarne l’interesse e incoraggiarne l’uso. In collaborazione 18

pe e un borghese. Gorizia ormai non ricorda più questo robusto signore con il volto rubizzo che attraversava la città con un modesto soprabito e il berretto da marinaio mercantile sempre in testa, lasciandosi scambiare per un commerciante o un contadino, il signor Neudorf, principe senza regno, ma padrone di tutto il mondo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’albero dei fazzoletti nel Giardino Viatori di Liubina Debeni

no in stile inglese si realizzò negli anni ’70 quando acquistò circa 2,5 ha di terreno a ovest di Gorizia, al di là del fiume Isonzo, in una zona panoramica dove con lo sguardo si può spaziare sul colle del castello e sulla città. Seguirono anni di intenso lavoro per progettare percorsi, aiuole, un laghetto artificiale per ninfee con flora e fauna acquatica. Sono stati eseguiti molti lavori di bonifica in quanto la zona era stata bersaglio durante la Prima Guerra Mondiale. Non mancarono gli smottamenti e scavi, correzioni del tipo di terreno con emendanti per farlo divenire acido e poter coltivare piante acidofile. L’uso di traversine di legno per creare terrazzamenti dove far crescere gruppi di piante permise di rendere sicuro il pendio. Sulla sommi-

U

n giardino che da privato diventa pubblico, e quindi curato e messo a disposizione della cittadinanza, non è un fatto insolito per Gorizia. Questo dimostra la grande sensibilità di certi goriziani nel voler continuare a far vivere e godere, anche dopo di loro, il proprio giardino o parco tanto amato. Sappiamo tutti che un giardino ha bisogno di cure e manutenzioni costanti per non trasformarsi in pochi anni in un luogo selvaggio. Un esempio lo ha dato il conte Guglielmo Coronini Cronberg che per testamento lasciò alla città, nel 1990, il suo parco a fruizione pubblica e la residenza in viale XX Settembre. Il professor Luciano Viatori (1934-2014), altro cittadino goriziano, ha donato alla Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia la sua proprietà circondata da un giardino che possiamo definire “botanico” per la sua ricchezza di piante per lo più acidofile, molte particolari e alcune insolite, con la clausola di renderlo fruibile al pubblico. Il giardino Viatori continua ad essere curato da valenti giardinieri assunti dalla Fondazione.

In Luciano Viatori nacque la passione per tante varietà di piante negli anni ’50 quando si ritrovò a visitare giardini di stile paesaggistico nel Regno Unito. Il sogno di fare anche a Gorizia un giardi-

La pianta, acquistata da Luciano Viatori negli anni ‘90, ha ora un’altezza di 10 metri (Foto Elisa Tomat)

tà pianeggiante venne costruita la sua casa a cui seguì la parte di lavoro forse più entusiasmante, la ricerca di piante particolari e la loro messa a dimora. Il professor Viatori potè contare su molte amicizie in questo campo e su contatti

La fioritura dell’”albero dei fazzoletti”

con tanti vivaisti in Italia e all’estero. Era una persona sensibile alla bellezza della natura, aperto a tutte le novità botaniche

19

ma anche disponibile a condividerle con gli altri e non solo con la sua cerchia di amici ma anche con estranei appassionati di giardinaggio. Per anni ogni primavera e con date e orari predefiniti, mise a disposizione di chi lo desiderasse la possibilità di visitare il suo giardino.

Giungevano corriere anche dall’estero, dalla Slovenia, in quella che era definita una delle tappe dei tour dei giardini.

In questo triste periodo di pandemia di Covid -19 in cui niente è certo, anche questo bel giardino attende il piacere di una nostra visita per infonderci serenità con le sue bellezze naturali. Ed è questo che ha voluto lasciarci in eredità Luciano Viatori.

Un albero da scoprire: Albero dei fazzoletti - Davidia involucrata Ubicazione: Gorizia, via Forte del Bosco, Giardino Viatori.

Storia, botanica e curiosità: l’albero è originario della Cina sud-occidentale dove cresce nei boschi di montagna.

E’ una pianta da poco conosciuta in Europa. Nel 1869 venne vista in Cina dal missionario francese Armand David (1826-1900) che la descrisse, per questo l’albero porta il suo nome. Questa particolare pianta destò tanto interesse in Inghilterra da mandare un “cacciatore “ di piante, Ernest Henry Wilson a cercarla per portare i suoi semi in patria, era il 1904. L’albero ha una infiorescenza molto particolare: capolini penduli circondati da due brattee bianche a forma di cappuccio e di dimensioni ineguali che appaiono sui rami in aprile – maggio. Queste cadendo lasciano a terra un tappeto bianco. Venne nominata in più maniere: albero dei fazzoletti, albero delle colombe, albero dei fantasmi. Albero spogliante può raggiungere i 15 m di altezza. I frutti dopo la fioritura sono sferici e legnosi con all’interno un seme e persistono sulla pianta. E’ un albero particolare e ancora poco conosciuto e utilizzato nei giardini ma Luciano Viatori lo volle nel suo giardino e lo acquistò negli anni ’90 dal vivaio di Guido Piacenza (Pollone) Biella, un vivaio che era in contatto con vivaisti e famosi giardinieri inglesi. Giacché questo albero soffre il caldo, preferisce una zona ombrosa, ma si adatta a qualsiasi terreno, lo piantò nella valle dei rododendri.

Per anni questo alberetto che ora ha una altezza di circa 10 metri passò inosservato nel giardino forse anche perché le sue foglie se guardate distrattamente, lo fanno assomigliare ad un tiglio. Ma ecco che dopo tanti anni l’albero fiorisce ed è spettacolare.

Una curiosità: per chi non ha la pazienza di attendere tanti anni per veder fiorire l’albero dei fazzoletti esiste ora in commercio una nuova cultivar di nome ‘Sonoma’ che fiorisce già dopo 3 anni. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

In ricordo di Dado Lombardi e della sua rivalità col goriziano Paolo Vittori di Paolo Bosini

C

on lo straordinario quarto posto conquistato alle Olimpiadi di Roma del 1960, la pallacanestro Italiana ottenne il riconoscimento internazionale che le mancava e contemporaneamente divenne, a tutti gli effetti, uno sport popolare anche nel nostro paese. La rappresentativa italiana, una delle più forti della storia azzurra, guidata da Carmine “Nello” Paratore era composta da giocatori di grande qualità che lasciarono un segno indelebile nella storia del nostro sport.

Di quel gruppo fecero parte Gianfranco “Dado” Lombardi e Paolo Vittori che, nel periodo compreso tra gli anni 60 e la metà degli anni 70, furono due tra i più grandi protagonisti del basket nostrano ed internazionale. Lombardi, livornese di nascita, è stato il simbolo della Nazionale e della Virtus Bologna con la quale disputò la parte più importante della sua carriera. Era un giocatore dalla personalità forte con il quale per gli allenatori e i compagni di squadra la convivenza era tutt’altro che facile. Da buon toscano, era simpatico e gioviale ma una volta in campo si trasformava a tal punto da essere un continuo tormento per compagni, avversari e arbitri con i quali si lamentava di continuo anche quando aveva torto. Per dodici anni è stato la star indiscussa del PalaDozza, la “scala del basket italiano” e come tale gli piaceva dominare la scena. I tifosi della Virtus, notoriamente molto esigenti, erano critici con i suoi compagni mentre a lui, che adoravano, gli consentivano praticamente tutto. Era però un formidabile giocatore e su questo aspetto non

ci sono dubbi. Fortissimo attaccante era praticamente immarcabile in quanto dotato di un grande tiro da fuori ed abilissimo, grazie alla sua fisicità, a giocare vicino al canestro. Per capire quanto era bravo basta considerare che al termine delle Olimpiadi romane, a soli 19 anni, fu inserito nel quintetto ideale dei giochi assieme agli statunitensi Jerry West, Oscar Robertson, Walt Bellamy, icone dell’NBA, e al fuoriclasse jugoslavo Radivoj Korac. Un riconoscimento eccezionale e prestigioso. Nonostante sia stato un grande campione, per due volte miglior marcatore del campionato, la sua carriera si concluse purtroppo senza riuscire a conquistare titoli italiani ed internazionali imitando sotto, questo aspetto, Elgin Baylor la stella NBA. Unica soddisfazione la ebbe con la vittoria, dei Giochi del Mediterraneo del 1963 con la Nazionale Italiana.

Paolo Vittori, nativo di Gorizia, cestisticamente si formò nel fiorente vivaio dell’Ugg che, a quei tempi, era una autentica fucina di campioni. A soli vent’anni si trasferì a Bologna a giocare con la Moto Morini e da quel momento la crescita come giocatore fu esponenziale, tanto da diventare uno dei più grandi cestisti di sempre. Molto dotato sotto l’aspetto fisico, era completo e duttile tecnicamente tanto da adattarsi a giocare in qualsiasi posizione del campo. Infatti iniziò vicino al canestro poi, con il passare degli anni, disponendo di una buona visione di gioco e di un ottimo tiro da fuori, si allontanò, ricoprendo efficacemente, i ruoli di ala piccola, di guardia e talvolta anche di playmaker. Era dotato di una classe cristallina che gli consentiva di fare le cose con una facilità disarmante dando la sensazione di non fare fatica. La sua carriera fu molto lunga, ben sedici anni di attività, undici dei quali trascorsi tra l’ Olimpia Milano e la Pallacanestro Varese, società che in quegli anni erano ai vertici del basket italiano ed europeo.

Con queste due formazioni conquistò ben 14 titoli! Sei campionati italiani, due Coppe Italia, due Coppe dei Campioni,

tre Coppe Intercontinentali e una Coppa delle Coppe. Un palmares decisamente invidiabile. Sul piano individuale, ebbe la soddisfazione di vincere per due volte, con la maglia dell’ Olimpia Milano, la classifica marcatori. Con la nazionale, della quale fu un punto di forza, ha disputato tre Olimpiadi, un Europeo e un Mondiale. Nel ‘63 vinse i Giochi del Mediterraneo disputati a Napoli.

Tra Gianfranco Lombardi e Paolo Vittori, che dal 2006 fanno parte della prestigiosa Italia Basket Hall Fame, si instaurò nel corso degli anni una accesa rivalità sportiva, che perdurò per tutta la loro carriera sia in campionato che in nazionale. Un’eterna sfida tra due grandi campioni per conquistare il riconoscimento di essere il migliore. Sicuramente questa aspirazione era più accentuata in Lombardi, un po’ per il suo carattere molto competitivo ma, soprattutto, per l’assenza di titoli vinti che lo ponevano in una posizione di subalternità rispetto al goriziano che invece ne aveva conquistati a iosa! Al termine della sua carriera agonistica il livornese divenne l’allenatore della Brina Rieti e una volta promosso in A volle accanto a sè, per rinforzare la squadra, Paolo Vittori nonostante la rivalità tra i due fosse rimasta latente. Infatti, come fu riportato da un giornale reatino dell’epoca, il giorno della della presentazione di Paolo questo disagio fu manifestato da Lombardi che ironicamente disse “il mio adorabile nemico è arrivato per giocare in una squadra diretta da me!”.

Comunque fu una bella storia di sport.

Assieme ottennero eccellenti risultati grazie ai quali Rieti, da neopromossa, si assestò nella pallacanestro che conta, Purtroppo, la vita non da tregua e particolarmente in questo sfortunato momento. Infatti il 22 gennaio Dado Lombardi è mancato improvvisamente.

Ha lasciato però, il ricordo indelebile del grande campione che è stato come pure il grande lavoro fatto, da allenatore, in favore della pallacanestro italiana. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Lombardi (da poco scomparso) e Vittori, due fuoriclasse del basket anni 60

20

Il “Giro” torna in città con un circuito transfrontaliero: dal 1927 al 2014, ecco tutta la storia delle puntate precedenti

D

omenica 23 maggio, con la tappa che partirà da Grado per raggiungere il traguardo di Gorizia, la nostra città si appresta a ospitare per la quinta volta la conclusione di una frazione del Giro d’Italia. Ma sono state ben di più le occasioni in cui la carovana della “corsa rosa” ha attraversato le nostre terre.

La prima in assoluto è datata 2 giugno del 1927, quando i corridori da Treviso raggiunsero Trieste, con un passaggio per il centro cittadino di Gorizia, provenendo da Udine. La maglia rosa, nell’occasione, era indossata da Alfredo Binda.

di Paolo Nanut asilo e andai assieme a mio padre in via della Barca, al passaggio dei girini protagonisti della tappa Bibione-Lubiana, vinta da “cuore matto” Franco Bitossi.

Passano sei anni. Siamo nel 1977 e un anno dopo il tremendo “orcolat” che sconquassò il Friuli, ancora un passaggio per il centro cittadino, nella prima delle due semitappe di giornata: la Trieste-Gemona (triste “capitale” del terremoto del ’76) di 166 chilometri, con traguardo volante “intergiro” posto all’altezza dei giardini pubblici di Corso Verdi. Nel passaggio dei corridori, spiccava la maglia rosa indossata da Francesco Moser, che poi la perse alla fine a favore di Michel Pollentier.

Il 13 maggio del 1939, invece, la nostra città fu sede per la prima volta di un arrivo di tappa: la cronometro individuale che da Trieste raggiunse Gorizia dopo 39,8 chilometri alquanto tortuosi.

Trionfò Giovanni Valetti, un lungagnone piemontese, eccellente passista-scalatore, che rivaleggiava con Gino Bartali, il quale inflisse a “Ginettaccio” (vincitore del Giro nel ’36 e nel ’37: nel ’38 prese parte solo al Tour de France per volere di Mussolini) oltre due minuti di distacco portando poi la maglia di leader fino all’arrivo finale in Piazza Duomo a Milano, davanti al campione toscano.

Nel 1954 nella Padova-Grado, tappa vinta da Adolfo Grasso, con lo svizzero Carlo Clerici primo in classifica, si tornò a far girare le ruote sull’asfalto cittadino.

Nel 1963 il 5 giugno si svolse la Treviso-Gorizia con vittoria di Vendramino Bariviera davanti a Diego Ronchini. Il giorno dopo, nella tappa che da Piazza Vittoria arrivava al Nevegal ci fu la bellissima vittoria di Arnaldo Pambianco, con Vittorio Adorni a conquistare la maglia rosa, salvo poi perderla il giorno dopo a favore del regolarista Franco Balmamion che vinse il Giro senza essersi aggiudicato neanche una frazione.

Nel 1968 la nostra città fu teatro di una partenza di tappa, che il giorno prima arrivò a Trieste. Più che tappa, un tappone: si arrivò sulle Tre Cime di Lavaredo dove il “cannibale” Eddy Merckx vinse e conquistò il primo posto in classifica, sfilando la maglia a Michele Dancelli, e non la mollò fino alla fine.

Nel 1971 ho il primo ricordo diretto del Giro. Ero un bimbo all’ultimo anno di

invece Dario Frigo. Il giorno dopo sede di partenza fu invece Gradisca d’Isonzo (per la Gradisca-Montebelluna). Ad aggiudicarsi quell’edizione della corsa rosa fu Gilberto Simoni.

Nel 2014, arrivando da Udine, la carovana passò per Lucinico prima di imboccare lo stradone della Mainizza nella tappa che si concluse in Piazza Unità a Trieste. Tappa voluta per celebrare il 60° anniversario del ritorno della città all’Italia. In una Trieste imbandierata di tricolore, vinse a sorpresa dopo una volata imperiosa lo sloveno Luka Mezgec.

Qualche brivido sulla schiena sarà sceso ai patrioti triestini…

Ora, il 23 maggio, attendiamo dunque la Grado-Gorizia, per una tappa che si concluderà con un circuito che abbraccerà Gorizia e Nova Gorica e che è stato disegnato sulla falsariga di quello già proposto nel 2001. Peccato che i due campioni sloveni,Tadej Pogacar e Primoz Roglic, potrebbero non essere in gara, in quanto pare che le rispettive squadre puntino al Tour dove lo scorso hanno ottenuto un’incredibile doppietta.

Ma concludiamo con un cenno ai ciclisti goriziani che hanno avuto la gioia di correre sulle strade di casa. L’ultimo è stato Enrico Degano, discreto velocista, 20 vittorie tra i professionisti e che nel 2001, con la maglia della Panaria, fu uno dei protagonisti di giornata.

Moreno Argentin, vincitore della tappa Arabba-Gorizia del giro d’Italia 1983

Del Giro del 1983 abbiamo già ampiamente parlato su queste pagine in un precedente numero. La tappa fu Arabba-Gorizia vinta da Moreno Argentin (col giallo del Guttalax nella minestra di Saronni) mentre il giorno dopo una “crono” portò i corridori a concludere le fatiche del Giro a Udine.

Veniamo ora al 2001, con la tappa che, partita da Bled, raggiunse Gorizia per un circuito finale che vedeva l’ascesa di san Floriano e il passaggio sulla Castagnavizza. Vinse con un allungo da finisseur lo spagnolo Pablo Lastras.

Sul palco a indossare la maglia rosa fu

21

Ma un altro corridore che per una decina d’anni ha tenuto alti colori della città è stato Gianluca Gorini, il quale in maglia Aki Gipiemme, nel Giro del 1996 (partito dalla Grecia) ebbe l’onore di essere inquadrato quasi ininterrottamente dalle telecamere nella diretta televisiva della prima tappa, un circuito ateniese, in quanto faceva parte di un terzetto protagonista di una lunga fuga.

Furono raggiunti dal gruppo a una quindicina di chilometri dal traguardo, dove in volata vinse Silvio Martinello.

Ma prima di chiudere, ci sembra giusto ricordare che nel 2006 Corso Italia fu teatro dell’arrivo del campionato italiano di ciclismo: in volata, vinse Paolo Bettini davanti a Mirko Celestino e a Danilo Di Luca. Fu un circuito cittadino di 241 chilometri che toccò l’ascesa di San Floriano dalla parte della Groina e la discesa da Oslavia. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

La prosa del colore e la poesia del bianco e nero nelle foto: questione di stile, ma anche di approccio con l’osservatore

C

olore o bianco e nero?

Lo scontro dialettico fra queste due scuole di pensiero assilla da decenni, cioè da quando è nata la fotografia a colori, sia gli appassionati che i professionisti dell’arte fotografica. Un po’ come, da quando è nato il digitale, è sorta la disputa fra i simpatizzanti del vecchio metodo (analogico) e sostenitori del nuovo (digitale).

La verità, come sempre, sta nel mezzo.

Nessuna delle due fazioni ha ragione di poter pensare che la propria teoria sia quella giusta. In questa situazione il conflitto, oltre che non essere corretto, non è neanche utile. Semplicemente è sterile, privo di fondamento in quanto, pur trattandosi sempre di un unico contesto artistico, tecnico, creativo, la materia è sempre la stessa: l’immagine fotografica.

di Felice Cirulli essere vissuti dall’osservatore in maniera pressoché opposta. La fotografia in bianco e nero si può decifrare con il sentimento e la percezione emotiva,

Irving Penn

Il bianco e nero, invece, punta ad interpretare i soggetti e le scene, li consegna alla nostra immaginazione, li rende al tempo stesso concreti e sfuggenti, li modella in forme, a volte differenti dal reale. Ci recapita quindi cose diverse da quelle che vediamo con gli occhi, diventa un mezzo di ridefinizione della realtà e non esattamente di documentazione di questa.

Si potrebbe pensare che la trattazione di questi argomenti sia inutile: una fotografia è una fotografia e basta. Ciò non è affatto vero ed è dimostrabile dal fenomeno che la stessa immagine proposta a colori e in bianco e nero scatena diverse, e a volte divergenti, chiavi di lettura.

Indubbiamente potrei rischiare d’essere smentito, in quanto l’arte fotografica è una delle cose a più elevato contenuto di percezione e interpretazione soggettiva, pur essendo un media altamente oggettivo, in quanto “tangibile” e rilevabile attraverso il senso della vista e, nella fattispecie della stampa, anche attraverso il senso del tatto.

Qualcuno potrà darmi del pazzo, e non è da escludere che io lo sia veramente, ma credo fermamente che i due generi fotografici si prestino nettamente ad

Il colore delinea e disegna da solo forme e spazi, non c’è bisogno di ulteriori applicazioni percettive per comprendere il soggetto rappresentato. Spesso è l’istinto che guida la lettura. Ci può piacere o meno, ci può affascinare esteticamente oppure lasciarci indifferenti, ma così è: comunque leggibile e comprensibile, diretto e tangibile.

Lo dicevo prima: la fotografia è comunicazione, ma in questo caso il metodo rappresenta anche il fine. Il lettore diventa anche e soprattutto interprete e ciascun osservatore vede ciò che i suoi occhi e la sua immaginazione vogliono o sono in grado di vedere.

La fotografia, come tutti i mezzi di comunicazione, è un linguaggio spesso molto incisivo ed autorevole, sicuramente eloquente. Sappiamo bene che i linguaggi si possono sviluppare con diverse modalità espressive, pur continuando a conservare, in maniera coerente, il potere di comunicare e trasmettere messaggi. Cambia il metodo ma non la finalità, certamente muta il punto di contatto e di sintesi con colui che questa comunicazione deve ricevere e deve fare propria, nel tentativo di riconoscerne o interpretarne il senso ed il significato.

Credo comunque che la differenza tra la fotografia a colori e quella in bianco e nero possa essere classificata come la diversità tra la prosa e la poesia nella letteratura. Non solo una questione di stile, ma anche e soprattutto di approccio verso il lettore, di metodo di interazione con il fruitore.

di lettura, basati sul nostro vissuto, sulla nostra cultura, sulle nostre esperienze e sul nostro modello di vita.

Anne Lebovitz

mentre la fotografia a colori si legge attraverso gli occhi e l’analisi oggettiva.

In entrambi i casi si tratta sempre e comunque di variazioni cromatiche (anche il grigio è un colore) ma nella circostanza del bianco e nero noi vediamo una realtà diversa dalla nostra “abitudine visiva” e quindi non bastano gli occhi per comprendere, ma dobbiamo far intervenire anche altri strumenti 22

Capita spesso essere attratti da un soggetto fotografato non tanto per ciò che questo rappresenta, la sua forma o la sua posizione, ma piuttosto per i suoi colori che naturalmente suscitano un’emozione: quante volte passando attraverso le bancarelle di un mercato ci siamo fatti catturare dalla varietà e bellezza dei colori della frutta esposta sui banchi, quante volte i tabelloni pubblicitari colorati a tinte forti attraggono i nostri occhi?

Gli elementi cromatici possono diventare spesso un ottimo tema espressivo.

Volendo realizzare una fotografia che abbia il colore come soggetto principale occorre fare attenzione a che non ce ne siano troppi all’interno dell’immagine riprodotta, ciò al fine di semplificare il più possibile la lettura dell’immagine e non rischiare di confondere le idee all’utente. Con il bianco e nero questo

Franco Fontana

problema non si pone in quanto la trasformazione dei colori in tonalità di grigio tende automaticamente a semplificare la narrazione.

Il contrasto cromatico è un altro elemento importante che contribuisce a far sì che l’immagine ottenga un impatto sulla percezione visiva: l’occhio umano tende a dare maggiore “peso” ad alcuni colori rispetto ad altri. Un soggetto colorato che riesce a distinguersi in maniera efficace rispetto allo sfondo assume esattamente la valenza che il fotografo vuole assegnare allo stesso all’interno del frame fotografico.

solitamente si chiede di sognare e di riuscire, per pochi istanti, a sfuggire dalla realtà. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Fan Ho

Nel bianco e nero il contrasto è invece determinato dall’incidenza e dalla forza della luce presente al momento dello scatto. In questo caso è la luce, non il colore, che incide le forme e le consegna all’osservatore. Maggiore è il contrasto, più elevata è la potenza visiva che scaturisce dall’immagine e di conseguenza più forte il frutto narrativo della stessa.

Attraversando il mondo della fotografia d’autore ci si imbatte in fotografi che hanno interpretato il loro ruolo professionale solo utilizzando il colore, altri impiegando solo il bianco e nero come stile espressivo.

Sebastiao Salgado

Si tratta solo di una scelta di linguaggio, di un metodo che risulta più consono alla propria visione creativa, oppure di una semplice necessità dettata dalla effettiva disponibilità dei mezzi? Le pellicole a colori per le macchine fotografiche “portabili” si sono sviluppate al meglio solo negli anni del dopoguerra.

Non ci è dato di sapere cosa avrebbero scelto i grandi fotografi qualora avessero avuto la disponibilità del bianco e nero e sul colore in egual misura. È però un fatto appurato che la “storia della fotografia” è più in bianco e nero che a colori: forse perché nell’immaginario umano la fotografia è fortunatamente ancora considerata più una forma d’arte che di consumo ed all’arte

Alex Webb

23

Simon Komjanc Vini DOC Collio via Duca D’Aosta, 72 Gorizia 0481 81307

Via Rastello, 50 - 34170 Gorizia 327 1772102 Sostieni il tuo giornale con una donazione IBAN: IT50N0548412400CC0461002326

Per le tue inserzioni: 333 686 3255