FOTOgraphia 270 aprile 2021

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GIOVANNI GASTEL GRAZIE, GIO. GRAZIE / APRILE 2021 / NUMERO 270 / ANNO XXVIII / 270

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO ANNUALE 10 numeri a 65,00 euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.com0436716602srlgraphia

Woody Allen tra le ragioni per le quali vale la pena vivere. Maurizio Rebuzzini; a pagina 16

A complemento di quelle note, è dove roso richiamare ancora l’autobiografia che Giovanni Gastel pubblicò nell’autunno 2015, scrivendone con sincerità fuori dal comu ne: in Un eterno istante. La mia vita, non ha abbellito nessuno dei propri tormen ti... rivelandoli uno a uno, senza reticenza.

Copertina Giovanni Gastel in un ritratto di Cristiano Miretti, anche copertina dell’autobiografia Un eterno istante. La mia vita, del 2015 (qui a sinistra). Il celebre e celebrato fotografo è mancato pre maturamente lo scorso tredici marzo, a ses santacinque anni appena compiuti. In ricordo e ringraziamento, da pagina 24 03 / Fotografia attorno a noi Dal foglio Souvenir sugli anni Quaranta del No vecento, Decade di guerra e pace, emesso il 16 novembre 1998 dalle Isole Marshall, dettaglio dal francobollo dedicato alla commemorazio ne dell’Olocausto, ricavato da una fotografia iconica di Margaret Bourke-White, dell’aprile 1945, all’indomani della liberazione del Cam po di Buchenwald, in Germania Editoriale A seguito del Presente, sogniamo un Dopo nel quale faremo tesoro di lezioni apprese Alla Zeiss In cinquantenario dalla data di riferimento, ve nerdì 30 aprile 1971, rievocazione di una vicen da scolastica, che anticipa atteggiamenti e ap procci che si sarebbero confermati a seguire 10 / Non dimenticare «Perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è successo» IN AUTOBIOGRAFIA. Con dolore profon do, su questo numero evochiamo la per sonalità di Giovanni Gastel -con noi, sulla rivista, in tante occasioni-, commemoran dola all’indomani della prematura scom parsa, lo scorso tredici marzo.

Archivio ziale, che ha tempo e modo di arricchire la coscienza e l’esperienza di tutti. In ag giunta, ovviamente, le trasversalità foto grafiche, con le considerazioni che le ac compagnano, sono utili e proficue a coloro i quali -noi, tra questi- vivono con intensi tà e convinzione giusto la Fotografia: «E tu, magica scatola, macchina fotografica che eri già perfetta alla tua nascita, ban co ottico, macchina a pellicola piana, sof fietto e immagine capovolta, telo nero e châssis carichi. Tu, compagna di viaggio per trent’anni, tu mi hai aiutato a disegnare il mondo, il mio piccolo mondo autonomo e personale. Ho amato la tua pesantezza apparente e il tuo aspetto antico e miste rioso. I tuoi legni stagionati e i tuoi lucidi metalli, le tue ottiche grandi e pesanti, il tuo essere sempre appannaggio solo di una stretta cerchia di superprofessionisti».

/ 03/ / 12/ / 26/ / 26/ / 35/ / 15/ 270 SOMMARIOPRIMA COMINCIAREDI

Se non che, già allora, si manifestarono quelle diversità che danno fastidio, incutono timore e fanno paura. mFranti; a pagina 9

Arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è successo. gene rale Dwight D. Eisenhower; a pagina 11

Nel film Manhattan, del 1979, Joe DiMaggio viene conteggiato dal regista e sceneggiatore

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14 / Dentro la guerra Con efficacia e garbo, il film Harrison’s Flowers, del 2000, visualizza le tensioni e gli affanni cui sono sottoposti i corrispondenti di guerra... so prattutto i fotogiornalisti Ricerca iconografi ca di Filippo Rebuzzini 16 / La nobile arte Sessant’anni di carriera fotografica di Neil Lei fer, magistrale fotografo di boxe, sono celebra ti da Taschen Verlag con una avvincente mo nografia in edizione “Limited” e una tiratura di undici stampe d’autore. Lessico fotografico di Angelo Galantini 24 / Grazie, Giovanni. Grazie Giovanni Gastel: da e con Enzo Jannacci... nel mulino dei ricordi, sollecitati da istantanee e momenti comuni di Maurizio Rebuzzini 30 / Pomeriggio a San Francisco Duemilasedici: giovedì trentuno marzo, un po meriggio sulle tracce della propria Vita. Verso la libreria City Lights, di Lawrence Ferlinghetti, con altri incontri coerenti, oppure no, dalla Be at Generation al baseball statunitense 40 / Fiorella Vair Isabella GuardarsiQuarantaallospecchio

/ Lee Miller Sguardi su di Pino Bertelli / 33/ / 28/ / 17/ / 40/ / 38/ / 44/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE OttavioRouge Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Pino AlbertoAlessandroAntonioBertelliBordoniDiMiseDubini Christopher Felver / City Lights mFranti Angelo Galantini Maurizio Galimberti Andreas Ikonomu Neil Leifer Ottavio IlarioGiancarloCristianoMaledusiMirettiPagliaraPiatti Isabella Quaranta Marco FiorellaSaielliVair www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl - via Zuretti 2a, 20125 Milano

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In comunione di intenti, due Autrici consape voli che ciò che ciascuno “è” influenza il mo do di vivere degli altri. Fotografia dell’Anima, a partire dalla propria di Antonio Bordoni 46 / Foto ricordi Dalla narrativa di Angelo Galantini 48 / Le parole non dette Vogliamo parlarne? di mFranti 50 MI 02 66713604 redazione@fotographiaonline.com FOTOgraphia è venduta in abbonamento. FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento po stale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), ar ticolo 1, comma 1 - DCB Milano. ■ A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massi ma riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

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diversi.Scoprendoquantosisoffrequandosièpri

hasovvertitoogniprecedentecertezzaindividuale.Dacui, osiamosperarecheidisagiprovatipossanofarmeditaresui disagiche altri vivonosempreecomunquenellapropria esistenzaquotidiana.Avendoprovatosullapropriapelle comeconsiderarecheilmondononèunluogoperfettopertutti,sipotrebbealtrimentilavitadiquellicheidentifichiamo

anche

ra”instramotantononriferircivatidiqualcosadatoperscontatoeacquisito,potremmoalnostroprossimoconaltratolleranza.Razionalmente,potremmoanchedoverriconoscerechesiamopadronidinulla,madeterminantipertutto.Cosìdarivederemolteemoltedelleposizionicheabbiaassunto,quandoabbiamopotutoconfidaresullanoimmortalitàesulnostroruolopredominante:vissutosostanzialeegoismodiintentieazioni.Ripetiamolo,confermandoloeribadendolo:questa“guerhastabilito unalineadidemarcazionecheriguar datutti,chedovrebbeaverammorbiditoilcuorediognu no,chepotrebbeaverridisegnatoscaledivaloriproprie

lalacrime,d’inchinarsicollettivi:«Comelacrime,comefioriprofumati/cuitoccaaqualsiasialitodivento./Comefiori,comecomeguidesfortunate/cuitoccadicadereperscemenza/diunriccoincompetente»(daeconEnzo Jannacci,in Come gli aeroplani). tografiasto?cheAquestopunto,inconsiderazionedelterritoriocomunecondividiamo,cosac’entralaFotografiaintuttoqueFedelialprincìpiosecondoilqualeconsideriamolaFocome(fantasticoeprivilegiato)s-puntodiriflessio ne,piùchearidopuntodiarrivo,ciaspettiamoundopo nel qualesimanifesterannoanche Fotografimigliori,persone vatimigliori,meno“ricchiincompetenti”.Allalucedidisagiprodaciascunodinoi,speriamoinun dopo dimaggiore comprensionedegli altri,soprattuttodicoloroiquali,per dall’indifferenzanellemillemotivi,tuttileciti(?),hannosoloopportunitàdivitaprivazionienellasofferenzaindividuali,causateanchecollettiva. EDITORIALE Maurizio Rebuzzini 7

tragicalo.Giustoquesto,seabbiamocoraggioelealtàperriconoscerOltreaesserequestionesanitaria,comeèsoprattutto,laattualitàdellapandemiachestastravolgendol’inte povere-duatorieropianeta-questavoltasenzadistinzioniinipotetichegratraOccidenteeOriente,trapaesiricchienazioniportaconséulterioriconsiderazionisociali,conle qualièdoverosoconfrontarsieincontrarsi.Fattisalviidolori individuali,tenuteadistanzaideologicaletragedieperso nonnali(versoiqualielequaliesprimiamoilmassimorispetto),possiamoignorarechec’èstatounPrima ecisaràun Dopo facciaperiodoaffatto,alqualebisognaprepararsi.Sappiamodinonesserelontanidalvero,quandodefiniamo“guerra”l’attualestoricocheattraversailmondosenzaguardareinnessuno,senzafarescontianessuno.Unavoltaaccettataquestavisione,inquantometafora derare(irriverente!)eperciòchehadivalido,sitrattadiconsil’ipotesidi influenze sociali positive,cheandiamo magariteorica.hannocoloroaprendereinconsiderazione,nonprimadiscusarciconiquali-colpitidirettamenteneipropriaffetti-nonalcunmododipercorrerelanostralineasoltantoOltrelecommozionipersonali,ciparenecessario,doveroso,intravederequalcosadel dopo quellaEmotivamente,comeognimomentodiguerraautentica,combattutaconarmiebagagli,l’attualepandemia

/ CINQUANT’ANNI FA / di Maurizio

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Annotazione d’obbligo, in forma di confessione. Nonostante qualcuno mi accrediti altro per corso scolastico, ma gari scandito da studi classici, ho frequenta to un istituto tecnico, indirizzato all’Ottica. Dopo il biennio intro duttivo, che superai in tre anni, al momento di scegliere la specia lizzazione, mi indirizzai senza alcuna coscien za. Scartando perfezio namenti decisamente sgraditi (per permessonica,Elettrotecnicaesempio,eMeccachemiavrebberodirimanere

(Franti) ALLA ZEISS

al VII Istituto Tecnico In dustriale, di Milano) e ignorando quelli che mi erano preclusi da re golamenti scolastici del passato (primi tra tutti, Fisica e Chimica), ripie gai sull’Ottica, guidato da considerazioni alme no grottesche. Da cui, casualmente, mi avvi cinai a un argomento che, poi, avrebbe guida to e vincolato la mia vi ta adulta; ma tutti sap piamo bene che -per quanto sia tale- il Caso è anche indirizzato e favo rito dai comportamenti individuali. Forse. Comunque, per preci sione dovuta, il rapporto tra Ottica e Fotografia, con la quale ho condotto la mia esistenza (nel be ne, probabilmente, co me nel male, certamen Rebuzzini

Cartolina dalla Carl Zeiss di Oberkochen, 30 aprile 1971 (cinquanta anni fa): fronte e retro.

Archivio FOTOgraphia

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Visitammo la produzione ottica Wild, di Heerbrugg, nel Cantone di San Gallo, conosciuta soprattutto per i suoi famosi microscopi e per eccellenti strumenti topografici; quindi, nella stessa giorna ta, fu la volta della accreditata Scuola di Fotografia Aerea, nello stesso Cantone. Ma arriviamo all’attua le cinquantenario. Il trenta aprile di quel lontano monovecentosettantuno,MillefumaccoltiallaCarlZeissdi

Archivio

9 reale, come invece fanno gli obiettivi fo tografici, che proiettano su un piano focale. Per esempio, ci si riferisce al microscopio, al telemetro, agli strumenti geodetici e/o topografici (li velle, teodoliti, tacheometri...), ai cannocchiali e binocoli, con allungo d’accompagnamen to all’optometria e oftalmo logia (oculistica). All’Istituto Tecnico Indu striale Statale Galileo Galilei, di Milano, in indirizzo Ottica, le materie fondamentali era no tutte legate al soggetto primario di studio: dunque, Ottica, Strumenti ottici, Officina ottica, Matematica e Disegno. Il resto era in subordine. Se non che, oltre queste ma terie -nelle quali mi dimostrai eccelso, dopo anni e anni di risultati scolastici più che modesti-, qui e ora, come sem pre faccio, non dimentico l’insegnante di lettere Arturo Cannetta. Certifico: averlo incontrato in una gri gia mattina di ottobre, nel Sessantotto (!), ha fatto la differenza nella mia Vita. E tanto basti, quantomeno in questa rievocazione di un cinquantenario. In ogni caso, la Fotografia è stata estra nea alla mia famiglia di nascita, come anche i libri (nessun rimprovero, nessun rammarico: erano i tempi e le possibili tà). Crescendo, alle scuole superiori, cui sto facendo riferimento e richiamo, in anni di agitazione e sogni, sono capi tato in una classe nella quale di sedici che eravamo, almeno quindici erano interessati alla Fotografia e pensavano di orientarsi verso il mondo fotografico: di voti. Se non che, già allora, si mani festarono quelle diversità che danno fastidio, incuto no timore e fanno paura (e che persistono ancora og gi): quindi, il mio valore sco lastico non era ben accetto alla Casta di insegnanti che gestivano il loro potere di scriminatorio con modalità estranee alla sola didattica... del resto, condizione e sto ria che definiscono la Vita in ogni propria Ottica,Torniamomanifestazione.altrienniodineglianniscolastici1968-1969,1969-1970e1970-

Oberkochen. Come visualiz ziamo, lo testimonia una fo tografia di gruppo, accanto all’ingresso dello stabilimento (da notare il pulmino sulla destra dell’ampia inquadra tura, da fotogramma 6x6cm scattato con la Rolleiflex, op pure Rolleicord, di proprietà dell’Istituto). Ma, soprattut to, lo certifica una cartolina che inviai a me stesso, da tata e timbrata, firmata insieme con il mio compagno di banco Egidio (La vezzari). La cartolina ci fu regalata dal la stessa Carl Zeiss: lo stabilimento di Oberkochen in vista aerea, con logo tipo aziendale in attestazione. 30 aprile 1971. ■ ■

1971, di diploma. A fine giu gno, inizio luglio del tatecnica,voltanovecentosettantuno,MilleunaconclusalaMaturitàsisarebbepiantaunaulteriorepietramilia

Non tutta la classe V A (Quinta A), dell’Istituto Tecnico Industriale Stata le Galileo Galilei, di Mila no, anno scolastico 19701971. 30 aprile 1971, da vanti all’ingresso degli stabilimenti Carl Zeiss, di Oberkochen, in Ger mania. Chi sono io, an cora prima di compiere vent’anni? Chi è Maurizio Rebuzzini? Soluzione.Dasinistra, AlfonsoBiotti,Maurizio Rebuzzini(!),accompa gnatriceCarlZeiss,(?) Origgi,GianmarioRever dy(insegnatediOttica), SergioCappa,dirigente CarlZeiss,EgidioLavez zari,dirigenteCarlZeiss, PieroDelvò,UmbertoLe oni(insegnantediStru mentiottici),AldoViva relli,MassimoGagliardi, AlvaroCogliati.

re della mia vita (poi, profes sionale), e ne riparleremo a cinquantenario debito. Ora e qui, in attuale coinciden za di date, rievochiamo il 30 aprile 1971 scandito da due testimonianze direttamente collegate tra loro. In viaggio/ visite di istruzione, accompa gnato/e da due insegnanti (Gianmario Reverdy e Um berto Leoni, rispettivamente di Otti ca e Strumenti ottici), una parte della Quinta A (V A; oggi, dovremmo essere tutti in pensione!) raggiunse tre mete programmate: a Vienna, in Austria, per la produzione di microscopi Reichert; a Monaco di Baviera, in Germania, per den-Württemberg, sede della Carl Zeiss. In precedenza, forse addirittura in altro anno scolastico, si era stati in Svizzera, andata e ritorno in giornata, con par tenza appena dopo la mezzanotte (e, per tirare tardi, quella sera, con Egidio Lavezzari e Massimo Gagliardi, andam mo al cinema -all’Anteo, di Milano-, a vedere Frankenstein, film del 1931, con Boris Karloff nella parte del “mostro”).

12 aprile 1945: i genera li statunitensi Dwight D. Eisenhower e Troy Midd leton entrano nel Cam po di Ohrdruf, a sud di Gotha, nella Turinga te desca, liberato il prece dente quattro aprile dalla Quarta Divisione coraz zata e zatadagliprimotoTerzaDivisionel’Ottantanovesimadifanteriadellaarmatadell’esercistatunitense.ÈstatoilCamporaggiuntoamericani,inavandaSudeOvest.

NON DIMENTICARE!

/ OLOCAUSTO (APRILE 1945) / di Maurizio Rebuzzini

No! Ne abbiamo parlato, ne parliamo, e ne parleremo ancora, ogni volta che riter remo doveroso di farlo. Con una premessa: vor remmo tanto che non ci si limitasse più alla sola evoca zione di vittime ebree, uccise nei Campi dalla follia nazista (stella a sei punte gialla, con la dizione Jüde; da 5,6 a 6,1 mi lioni di sterminati). Vorremmo che venissero sempre ricor dati anche i dissidenti poli tici (triangolo rosso; da uno a 1,5 milioni di sterminati), i testimoni di Geova (triango lo viola; diecimila nei cifragliduemilacinquecentoCampi,uccisi),immigrati(triangoloblu;sconosciuta),inomadi (triangolo amaranto; Rom e Sinti: da duecentomila a ottocentomila sterminati), gli asociali e le lesbiche (triangolo nero; cifra sco nosciuta), gli omosessuali maschi (trian golo giallo; da diecimila a duecentocin quantamila sterminati). Ai quali, si ag giungono: i civili slavi (da 3,5 a sei milioni di sterminati), i prigionieri di guerra (da 2,5 a quattro milioni di sterminati), i por tatori di handicap (da duecentomila a trecentomila sterminati) e gli asperger (quantità sconosciuta). Per un totale che si stima dai tredici ai diciannove milioni di vittime dell’Olocausto, entro la cui illo gicità si dovrebbero conteggiare anche venti milioni di cittadini sovie tici e dieci milioni di cristiani (vittime di guerra?). Il 4 aprile 1945, la Quarta Di visione corazzata e l’Ottanta novesima Divisione di fanteria della Terza armata dell’eser cito statunitense liberarono il Campo di Ohrdruf, a sud di Gotha, nella Turinga tede sca, sussidiario di quello di Buchenwald, distante poco più di cinquanta chilometri, creato il precedente novem bre, gestito e controllato diret tamente dall’uffi cio economico amministrativoe principale delle famigerate SS. All’arrivo dell’esercito statu nitense in avanzata, nel Cam po c’erano circa dodicimila internati: soprattutto prigio nieri francesi, belgi, tedeschi, ungheresi, cechi, lettoni, ita liani, sovietici, ucraini, polac chi e jugoslavi. Oltre a una sostanziosa quantità di persone ritenute, conside rate e giudicate antisociali, omosessuali e, ovviamente, ebrei. Con gli americani alle porte, le SS li evacuarono quasi tut ti, costringendoli a una marcia forza ta verso Buchenwald. La marcia della morte fu “risparmiata” ai pri gionieri malati o trop po deboli, che furono uccisi sommariamente (nei loro rapporti ufficia li, furono “giustiziati”). Quello di Ohrdruf è stato il primo Campo nazista ad essere libe rato dalle forze armate statunitensi. In prece denza, l’esercito sovieti co, che avanzava da Est, ne aveva liberati altri, a partire da quello di Au schwitz, in Polonia, i cui cancelli furono abbat tuti dall’Armata Rossa il ventisette gennaio. Con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea Ge nerale delle Nazioni Unite, del Primo novembre 2005, durante la Quaran taduesima riunione plenaria, la data è stata indicata per la ricorrenza del Giorno della Memoria Una settimana dopo la liberazione del Campo di Ohrdruf, il dodici aprile, i generali Dwight D. Eisenhower (fami liarmente Ike; dal 1942, Comandante in capo delle forze Alleate nel Mediterra neo; dal 1944, Comandante in capo delle forse Alleate in Europa; successivamen te, trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti, per due mandati consecu tivi, dal 1953 al 1961, con Richard Nixon vicepresidente), George S. Patton (Co mandante della Settima armata degli Stati Uniti, nel Mediterraneo, e, poi, della centrale dell’eser cito statunitense in Francia e Germania, dopo lo sbarco in Normandia, nel giugno 1944), Troy Middleton (Comandante della Diciottesima Divisione di fanteria della Terza arma ta) e Omar N. Bradley (che, in seguito, avrebbe supervi sionato il processo decisiona le dell’esercito statunitense nella guerra di Corea, dal 1950 al 1953) visitarono Ohrdruf, guidati da un pri gioniero che conosceva bene il luogo (durante la visita, questa “guida” è sta ta riconosciuta da un altro prigioniero come guardia del campo, e lapidato).

10 Non è un anniversario tondo, di quelli verso i quali si accendono at tenzioni mediatiche: aprile 1945 - aprile 2021... settantasei anni. Ma è comunque un allinea mento di date, quan tomeno riguardo “apri le”, che merita di essere considerato, soprattutto oggi, in un clima sem pre più negazionista, in un Tempo nel quale qualcuno ci chiede di dimenticare e lasciare perdere. Tanto che, re centemente, il Regno Unito ha rimosso l’Olo causto dai propri pro grammi scolastici, per ché “offensivo” nei confronti della popo lazione mussulmana in Inghilterra, che afferma che l’Olocausto non è esistito.

I generali dello stato maggiore statunitense di fronte alla crudele re altà dei Campi: prigionie ri che mostrano i sistemi di tortura, installazione per le impiccagioni (pub bliche), cadaveri bruciati.

11 «Che si abbia il massimo della documentazione possibile -che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze-, perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo» (generale Dwight D. Eisenhower, 12 aprile 1945)

Numerosi cadaveri giacevano per ter ra, lì dove erano stati trucidati dalle SS prima della frettolosa evacuazione for zata. Una pira bruciata, con resti carbo nizzati di prigionieri uccisi, certificava il tentativo di coprire i crimini commessi. Altrettanto, in un capanno furono indi viduati una trentina di cadaveri cosparsi di calce, altro debole tentativo di can cellazione delle esecuzioni sommarie. Inoltre, si trovarono prove evidenti di tortura, e i prigionieri sopravvissuti di mostrarono ai generali i tanti e diver si metodi di martirio perpetuati dalle guardie. Il pur coriaceo generale George S. Patton, abituato a sconvolgenti sce ne di guerra, vomitò contro un muro. Il generale Dwight D. Eisenhower or dinò ai suoi soldati di andare in paese e costringere i cittadini tedeschi che aveva no vissuto a stretto contatto del Campo, magari fingendo di ignorarlo, ad andare a vedere con i propri occhi e a seppellire i morti. Poi, questa pratica è stata ripetu ta alla liberazione degli altri Campi. Solo il sindaco del paese e sua moglie sono stati risparmiati: perché trovati morti sui cidi nella propria abitazione. Ancora, lo stesso generale Eisenhower ordinò che fossero scattate più fotogra fie possibili e girati me tri e metri di pellicola, in testimonianza visi va inoppugnabile (?). E, qui, una parentesi do vuta, per quanto non necessariamente vizia ta dal nostro punto di vista mirato. Per conoscenza certa, si sa che Dwight D. Eisenhower era ap passionato di fotografia, che svolgeva soprattutto con un apparecchio stereo (nello specifico, Stereo Realist), con te stimonianza visiva autorevole: ritratto a piena pagina, su Life, del 13 marzo 1952. Dunque, a conseguenza diretta, è legittimo ipotizzare che il suo coin volgere la Fotografia in questo evento sia stato anche ispirato, influenzato e guidato dalla propria consapevolezza del linguaggio applicato e significativo. Oggi, stante alcune tragiche frange del nostro quotidiano, a settantasei anni dai fatti, quando è in corso una imbarazzan te revisione della Storia, tesa a cancella re quella vergogna, possiamo affermare che il generale Dwight D. Eisenhower ha impartito un ordine non solo legittimo, ma etico e morale (incredibile?!).

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berazione del Campo di Bergen-Bel sen, le SS catturate sono comanda te a recuperare i cadaveri dei prigio nieri e dare loro doverosa sepoltura.

Ancora, per quanto sostanzialmente retorico: «Ci viene detto che il soldato americano non sa per cosa sta combat tendo. Almeno adesso sappiamo con tro cosa sta combattendo» (generale Dwight D. Eisenhower, 12 aprile 1945).

All’indomani di quel dodici aprile, Ei senhower ordinò di inviare a Ohrdruf tutte le unità americane nell’area e non impegnate nella battaglia in pri ma linea, affinché si rendessero conto dell’Orrore. Quindi, telegrafò al gene rale George C. Marshall, capo del Joint Chiefs of Staff a Washington, chiedendo che membri del Congresso e giorna listi fossero inviati nei campi liberati per as sistere e documenta re le scene orribili che le truppe statunitensi stavano scoprendo. Non dimenticare. Non dimenticare mai. ■ «Che si abbia il massimo della documentazione possibile -che siano registrazio ni filmate, fotografie, testimonianze-, perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo» (generale Dwight D. Eisenhower, 12 aprile 1945). In questa ipotizzabile fotoricordo, magari fatta stam pare al ritorno a casa, negli Stati Uniti, si individua un fotografo militare al lavoro.

Testuale: «Che si abbia il massimo del la documentazione possibile -che siano registrazioni filmate, fotografie, testimo nianze-, perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo» (generale Dwight D. Eisenhower, 12 aprile 1945).

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Creditato ufficialmente al 2000, di pro duzione cinematografica, il film Harri son’s Flowers, del regista francese Elie Chouraqui, ha subìto qualche ingiuria del tempo. Soprattutto, dopo la sua an teprima allo spagnolo Sebastian Film Festival, del 23 settembre 2000, i suoi tempi di distribuzione si sono talmen te dilatati, che la sua programmazione statunitense, in calendario dal tardo settembre 2001, è stata cancellata all’in domani dell’attentato alle Twin Towers, di New York, dell’Undici settembre: la trama di guerra ha spostato in avanti la data al 2002 inoltrato. Analogamente, alla luce di un nuovo terrorismo post Duemila, l’argomento (conflitti nell’ex-Jugoslavia) è stato consi derato superato e inadatto. Tanto che, in Italia, il quotidiano la Repubblica è arri vato a considerarlo «già antico, in quanto girato prima dell’11 settembre 2001, quanto l’America era la “casa” e le guerre si combattevano altrove». Allo stesso momento, un poco tutta la critica cinematografica plane taria ne ha riscontrati limiti narrativi (per l’ap punto, sfortunatamente condizionati dagli acca dimenti in cronaca), nel momento in cui, però, ne ha sottolineato il va lore di quanto descritto. In equilibrio di posi zioni: «Il pregio migliore del film è quello di non aver banalizzato la guer ra, disponendola come sfondo al servizio di una storia d’amore» (Maitland McDonagh, in TV Guide); dopo aver giudicato il film “me lodramma chiassoso”, in Entertainment Weekly del 13 marzo 2002, Owen Gleiber man ha lodato la vivacità e pulizia con le quali il regista Elie Chouraqui ha rappresentato il con flitto jugoslavo; per El vis Mitchell, su The New York Times del 15 marzo 2002, il film ha combi nato una «sorprendente miscela di azione, politi ca e melodramma», trovando in questo un legame con altre sceneggiature degli anni Ottanta del Novecento inerenti all’a partheid, come, per esempio, Cry Free dom (in Italia, Grido di libertà), di Richard Attenborough, del 1987. In recensione italiana, il film definisce «un percorso al lucinante in una realtà devastata. [...] È un’opera di finzione che, però, mostra senza sconti cos’è una guerra civile, con una precisione quasi documentaria. [...] Una pellicola che rende omaggio anche a tutti i giornalisti che operano sui fronti di guerra, che, per catturare un’imma gine o raccogliere una testimonianza, sono pronti a rischiare la vita» (Claudia Morgoglione, L’orrore della guerra civi le raccontato dai fotoreporter, in la Re pubblica dell’11 ottobre 2001 [di prima programmazione italiana]).

Il film Harrison’s Flowers ha subìto disagi di distribuzione, a causa del clima che si creò all’indomani dell’Undici settembre (2001), soprattutto negli Stati Uniti. Alla luce del nuovo terrorismo, esordito allora, l’argomento di guerra nell’ex-Jugoslavia risultò obsoleto. Comunque, film che rivela senza sconti cos’è una guerra civile. Sceneggiatura dal libro Le Diable à l’avantage (in Italia, Il vantaggio del diavolo), della giornalista, fotografa di guerra e scrittrice francese Isabel Ellsen (1958-2012).

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DENTRO

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LA STORIA La sceneggiatura di Harrison’s Flowers si basa sul romanzo Le Diable à l’avan tage, della giornalista, fotografa di guerra e scrittrice francese Isa bel Ellsen (1958-2012), che ha contribuito al la trasposizione con lo stesso regista (e produt tore) Elie Chouraqui: in edizione italiana, il libro è stato pubblicato nel 2003, da Wizarts Editore, con il titolo Il vantaggio del diavolo Interpretato dall’attore David Strathairn, Harri son Lloyd è un fotorepor ter pluripremiato, anche vincitore dell’autorevole Pulitzer. La sua passione, quando non è in servizio, sono i fiori, curati da suo figlio quando il padre è lontano da casa. I doveri familiari gli pesano sul cuore, e gli stanno rendendo difficile concentrarsi nel suo impegno professionale, quando si trova ad agire in zone di guerra. Vorrebbe smette re con il fotogiornalismo dai fronti, per dedicar si a qualcosa di meno stressante/estenuante. Prima di realizzare i suoi nuovi progetti, ac cetta un ultimo incari co nella Jugoslavia di laniata dalla guerra ci vile, nel 1991, al culmine Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini LA GUERRA

IN ALLINEAMENTO Rispettiamo l’opinione (già riportata) del critico statunitense Elvis Mitchell, che su The New York Times del 15 marzo 2002, ha allineato Harrison’s Flowers ad altre sceneggiature degli anni Ottanta del Novecento inerenti all’apartheid, come, per esempio, Cry Freedom (in Italia, Grido di libertà), di Richard Atten borough, del 1987. Ma, allo stesso mo mento, se dobbiamo necessariamente accomodare questo film con qualche suo precedente / ispiratore, ci rivolgia mo altrove, sempre e comunque con accompagnamento fotografico. Produzione canadese, Triage è un film uscito nelle sale internazionali a cavallo tra il 2009, di esordio, e il succes sivo 2010: 12 settembre 2009, debutto al Toronto International Film Festival; 15 ottobre 2009, prima proiezione eu ropea al Film Festival di Roma; 16 giu gno 2010, ultima data certa di esordio nazionale, a Parigi. Da qui, a seguire, l’edizione in Dvd alla como da portata di ciascuno. Al pari dell’attuale (ovvia mente, per le nostre consi derazioni) Harrison’s Flowers, anche Triage è stato sceneg giato sulla base di un prece dente romanzo, omonimo nel titolo originario (in edi zioni italiane Piemme, Sotto un cielo di guerra, del 1999, e poi Reporter di guerra, del 2001), di Scott Anderson, del 1998, che è retroambientato alla tragica guerra in Kurdistan, del 1988. La sceneggiatura rispetta totalmen te lo spirito del romanzo e la sostanzio sa trasversalità esistenziale del prota gonista, il fotogiornalista Mark Walsh (caratterizzato dall’atto re irlandese Colin Far rell). Tra terribili crona che di guerra, imman cabili disagi e difficoltà professionali e sconfor tanti sfide imposte dal la vita quotidiana, il li bro e il film affrontano e svolgono temi fondan ti (non soltanto della Fo tografia), quali la colpa, il perdono, l’assoluzione, la natura della guerra moderna e il senso di appartenenza. La narrazione origi naria di Scott Ander son e la trasposizione in sceneggiatura hanno mirabilmen te collegato tra loro personaggi e si tuazioni, fino a creare complesse sto rie parallele, pur mantenendo una tra ma accattivante, un’attenzione sempre concentrata sul soggetto esplicito, che rappresenta poi il quesito fondamen tale della fotografia di guerra, pronto a riproporsi tragicamente ogni qual vol ta presenta un conto in vite umane. Come annotato, e per quanto appe na allineato con una testimonianza di realtà, dal romanzo originario di Scott Anderson al film firmato da Danis Tano vić (regista e sceneggiatore), la riflessio ne di Triage riguarda la sopravvivenza individuale alla tragedia incontrata e, addirittura, subìta. Il ritorno a casa ba sta a cancellare tutto? Oppure, come è più probabile, più che probabile, la condizione di sopravvissuto è qualcosa di indelebile, che segna permanentemente l’a nimo? È stato detto, è sta to teorizzato, che chi è sta to ostaggio per qualche ora/ giorno della propria vita, lo sarà per sempre, per il resto della vita, per quanto lunga possa essere. Lo stesso, po trebbe valere anche per la sopravvivenza?Domandalegittima: si è sopravvissuti per sempre? Non esiste risposta certa, quantome no dalla tranquillità del salotto di casa. In assoluto, approfondita riflessione fo tografica, della quale fare prezioso tesoro. Sempre che...! ■ ■ Isabel Ellsen (1958-2012), autrice del romanzo Le Diable à l’avan tage / Il vantaggio del diavo lo, dal quale è stato sceneggia to il film Harrison’s Flowers, è stata prima giornalista per Elle e Journal du dimanche. Poi, improvvisamente, ha cambia to vita: «Un giorno, ho lasciato tutto per diventare fotografa, fotografa di guerra. Una scelta singola re, tanto di gusto quanto di curiosità, tra l’entusiasmo, l’eccitazione e, anche, l’ap prensione: si va alla prima guerra come al primo appuntamento romantico». Ha voluto vedere e vivere la guerra; ha seguìto i conflitti in Libano, Afghanistan, Israele, Ci na, Nicaragua e Jugoslavia. È rimasta ossessionata dalle sue corrispondenze, che ha trascrit to nelle sue monografie illustra te e... nella narrazione roman zata. Je voulais voir la guerre, del 1998, descrive il suo viag gio come fotoreporter attraverso anni di guerre. Così come Le Diable à l’avanta ge / Il vantaggio del diavolo, base per la sceneggiatura del film oggi considerato, esterna esperienze personali. Quando riceve la noti zia della morte del ma rito Harrison Lloyd, foto giornalista sui fronti del la ex-Jugoslavia, la mo glie Sarah non ci crede, e parte alla sua ricerca. A Vukovar, è aiutata dai corrispondenti di guer ra Kyle Morris, Marc Ste venson e Yeager Pollack.

15 dei combattimenti. Do vrebbe essere una mis sione fotografica facile e breve, ma un giorno arriva la notizia defini tiva: è morto nel crollo di un edificio. La mo glie Sarah (interpretata dall’attrice, ex modella, Andie MacDowell), al trettanto giornalista, al settimanale Newsweek, si rifiuta di credere che sia morto; è sostenuta dall’aver ricevuto una te lefonata senza riuscire a sentire l’interlocutore. Va a cercarlo. Arriva a Vukovar dove, grazie a un servizio televisivo, è convinta che ci sia il marito, ancora vivo. In solidarietà di intenti, è aiutata dai fotoreporter cor rispondenti di guerra Kyle Morris, Marc Stevenson e Yeager Pollack (rispettiva mente interpretati dagli attori Adrien Brody, Brendan Gleesson e Elias Koteas). Inizia così un viaggio nell’inferno di un conflitto senza regole, nel quale la be stialità umana sembra l’unica padrona del campo. Sarah entra in un mondo che la sconvolge profondamente. Attra verso scorci sui notiziari e l’appassiona ta cronaca degli eventi raccontatale dal marito Harrison, nella tranquillità della vita a New York, dal porto sicuro di casa, pensava di aver saputo cosa significas se la guerra. Ma tutto cambia quando la dura realtà delle linee del fronte di venta il suo mondo. Harrison’s Flowers è una storia d’amo re avvincente e potente, che celebra il coraggio del cuore: mentre i fotorepor ter Kyle Morris, Marc Stevenson e Yeager Pollack agiscono con la spericolata au dacia dei corrispondenti di guerra, Sarah rappresenta l’eroismo di una donna-mo glie che deve riscoprire se stessa quan do viene spinta in circostanze straordi narie. Diventa impavida e inarrestabile, mentre cerca l’uomo che ama. Da cui, storia d’amore ambientata sullo sfondo della guerra... visione approfondita della realtà del giornalismo di guerra.

Archivio FOTOgraphia

Sessant’anni di carriera fotografica di Neil Leifer, magistrale fotografo di boxe, sono celebrati dall’editore tedesco Taschen Verlag con una prestigiosa monografia “Limited Edition”: Neil Leifer. Boxing. 60 Years of Fight and Fighters (combattimenti e combattenti). Lessico fotografico

16 di Angelo Galantini L’autorevole e influente mensile statu nitense Esquire, con ulteriori trentuno edizioni nazionali, nel mondo, ha defini to l’abile Neil Leifer, fotogionalista spe cializzato nello sport, come «Il più gran de fotografo di boxe». A un tempo, l’at testazione è vera, ma anche restrittiva. È vero che Nei Leifer (New York, 1942) sia a tutti gli effetti grande fotografo di boxe, forse addirittura “il più grande”. Però, non è tutto qui: è grande fotogra fo di sport tout court (compresi quelli di squadra, come il baseball e il football), per quanto sia a proprio agio soprat tutto sul quadrato ristretto del ring, per regolamento di dimensioni variabili da cinque a sei metri circa, là dove gesti atletici e azioni esprimono la forza e vi talità dei corpi in azione rapida. Comunque, è proprio al pugilato che de ve la sua fama, oltre che alla sua amicizia con Muhammad Ali, che stupì il mondo dello sport, e non soltanto questo, con il suo trionfo alle Olimpiadi di Roma, nel 1960, come Cassius Clay. Se vogliamo vederla così, in un modo che abbiamo condiviso in un cordiale incontro ame ricano, la sua celebrazione fotografica più nota, autentica icona visiva plane taria del secondo Novecento, si deve a un autentico colpo di fortuna, al quale lo stesso Neil Leifer è più che grato: ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni... quasi sessanta. Il knockout con il quale Muhammad Ali ha sconfitto Sonny Liston, alla St. Dominic’s Arena, di Lewiston, nel Maine, il 25 maggio 1965, si deve a una fortunata posizione a bordo ring, proprio di fronte all’azione finale dell’incontro.

LA NOBILE ARTE

Dal progetto Behind Photographs. PhotographicsArchivingLegends , di Tim Mantoani, l’iconica fotografia di Neil Leifer. Neil Leifer. Boxing. 60 Years of Fight and Fi ghters; con testi di Gay Talese e didascalie di Ga briel Schechter; Taschen Verlag, 2021; 424 pagine 36x38,5cm; copertina in alluminio ChromaLuxe, in cofanetto; tiratura li mitata e numerata, 1000 copie con firma di Neil Leifer; 800,00 euro.

17 MantoaniTim

(continua a pagina 22)

Anche copertina del commosso ri cordo di Muhammad Ali, in forma di monografia Greatest of All Time. A Tri bute to Muhammad Ali, composta e pubblicata da Benedick Taschen, nel 2010, sei anni prima della sua scom parsa (che sta per essere ripubblica ta in una nuova edizione di prestigio), la fotografia mostra, in secondo piano di inquadratura, altri reporter presenti all’evento... ma penalizzati dall’avere la scena di schiena: inutile per qualsivo glia intenzione fotogiornalistica.

Knockout di Muhammad Ali del 14 novembre 1966, all’Houston Astrodome, in Texas. La fotografia di Neil Leifer è più che eccelsa, scattata con un’Hassel blad elettrica a fotogram ma quadrato, collocata ventiquattro metri sopra il ring. Muhammad Ali e Cleveland Williams sono simmetrici sulla diago nale del ring. L’edizione “Limited” del la prestigiosa monogra fia fotografica Neil Leifer. Boxing. 60 Years of Fight and Fighters si accompa gna con testi di Gay Talese (1932), esponente di spic co del nuovo giornalismo, autorevole giornalista sta tunitense di sport, ripresi dalle sue cronache scritte per gli incontri di boxe fo tografati da Neil Leifer. Per dieci anni, dal 1955, è sta to nello staff dell’influente quotidiano The New York Times; dagli anni Sessanta ha collaborato con perio dici americani, a partire dall’autorevole Esquire Gay Talese ha scritto anche romanzi di succes so, tra i quali ricordiamo i più recenti, in edizione italiana, Motel Voyeur, del 2018, Frank Sinatra ha il raffreddore. Ritratti e in contri, del 2017, e La don na d’altri, del 2012. Le didascalie alle im magini sono di Gabriel Schechter, un’autorità del giornalismo di sport, au tore di cinque libri a tema. Tra questi, spicca This Bad Day in Yankees History: A Calendar of Calamities, del 2008, che racconta l’ul timo anno che la squadra di baseball di New York ha giocato nello stadio ori ginario, abbattuto a fine stagione. Anno triste, per i tifosi; anno gratificante, per i nemici di sempre, i Boston Red Sox.

Come non ricordare, in questo conte sto, un altro knockout di Muhammad Ali, di un anno dopo, che Neil Leifer ha fotografato con una programmazione più che colta e raffinata, collocando pre ventivamente un’Hasselblad elettrica a fotogramma quadrato (sei per sei cen timetri, quando c’erano soltanto le pel licole fotosensibili, a rullo, in questo ca so), in alto, ventiquattro metri sopra il ring, perpendicolarmente al quadrato di combattimento, in modo da inqua drare anche le prime file di pubblico. Lunedì 14 novembre 1966, all’Houston Astrodome, in Texas, al terzo round dei quindici previsti, Muhammad Ali ha ab battuto con un knockout tecnico Cleve land Williams. La fotografia di Neil Leifer è più che eccelsa, iconica come la pre cedente che abbiamo rievocato, consi derata e conteggiata tra le più intense fotografie di sport di tutti i tempi. Simmetrici sulla diagonale del quadrato del ring, le figure di Cleveland Williams, in alto, a destra, a terra, e Muhammad Ali, in basso, a sinistra, che esulta verso il pubblico, con i pugni alzati. Molti esperti e pugili, tra i quali Mike Tyson, conside rano questo breve combattimento di Ali come il migliore della sua carriera. Inoltre, in questa occasione, esordirono le mos se Double-Clutch Shuffle, che furono (e sono ancora) definite Ali Shuffle, appas sionanti, elettrizzanti e coinvolgenti per coloro i quali possiedono codici identi ficativi del pugilato. Di fatto, si tratta di una serie di giochi di boxe eseguiti in meccanismo di scherno, in modo da ir ritare l’avversario sul ring.

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Così che l’identità di eccellente foto grafo di boxe è stata attribuita a Neil Leifer, in certo modo, per Caso. Ma, a seguire, è stata la sua abilità fotografi ca a stabilire e sottolineare passi di un cammino più che superiore, non sol tanto alla media, ma anche alle cime della fotografia di sport, con partico lare riguardo al pugilato.

19 LeiferNeil

Neil Leifer. Homage to Ali 1965II,Listonvs.AliVictorious,Ali

(11)VerlagTaschen/LeiferNeilTaschenVerlag(2)

CertificazioneAli:toHomageLeifer.Neil

Neil Leifer. Homage to Ali 1964I,Listonvs.Clay

Oltre l’edizione libraria “Limited” di Neil Leifer. Boxing. 60 Years of Fight and Fighters, sullo stesso argomento, ma con concen trazione sulla sola personalità di Muhammad Ali (Greatest of All Time / Il più grande di tutti i tempi), l’audace e intrapren dente Taschen Verlag ha realizzato anche undici tirature di fotografie a tema di Neil Leifer: stampe 100x100cm a sublima zione, su pannello in alluminio ChromaLuxe, pronte per essere appese. In tiratura di quaranta copie, più otto prove d’autore, certificate e attestate; 3500,00 euro (meno Ali Invents the Dou ble-Clutch Shuffle, 1966, in due pannelli per 165x165cm totali; 7000,00 euro).

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali vs. Patterson I, 1965

Neil Leifer. Homage to Ali 1965I,Pattersonvs.Ali

Neil Leifer. Homage to Ali 1965II,Listonvs.Ali

20 OMAGGIO AD ALI

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali Victorious, Ali vs. Liston II, 1965.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali vs. Young, 1976

Le presentiamo in ordine cronologico dal pri mo incontro con Sonny Liston, del 1964, prima di cambiare il proprio nome da Cassius Clay a Muhammad Ali.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali vs. Folley, 1967.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali vs. Foster, 1972

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Clay vs. Liston I, 1964.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Fit for a King Ali vs. Brugner, 1973

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: The Mouth That Roared, 1970.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali vs. Liston II, 1965.

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: Ali Invents the Double-Clutch Shuf fle, 1966 (due pannelli singoli accostabili, ognuno di 80x165cm, per un quadrato complessivo di 165cm di lato; 7000,00 euro).

▶ Neil Leifer. Homage to Ali: The Camp’s Corner, Ali vs. Lyle, 1975

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Neil Leifer. Homage to

Ali 1975Lyle,vs.AliCorner,Camp’sThe Neil Leifer. Homage to Ali Ali 1966Shuffle,Double-ClutchtheInvents

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Neil Leifer. Homage to Ali 1967Folley,vs.Ali

Homage

Leifer. Homage

Ali 1970Roared,ThatMouthThe

Ali 1972Foster,vs.Ali

Ali 1973Brugner,vs.AliKingaforFit

Ali 1976Young,vs.Ali AttestatoAli:toHomageLeifer.Neil

Neil Leifer. Homage to

(continua da pagina 18)

Archivio (3)

FOTOgraphia

60 Years of Fight and Fighters non è tanto una monografia di boxe/pugilato. È una monografia fotografica. Linguaggio dichiarato.

In celebrazione e commosso riconosci mento di sessant’anni di carriera foto grafica di Neil Leifer, l’editore tedesco Taschen Verlag, intrepido, intelligente e ingegnoso come sempre, ha realizza to una prestigiosa monografia “Limited Edition”, in dimensioni XL (quattrocen toventiquattro pagine 36x38,7cm!, per oltre undici chilogrammi di peso): Neil Leifer. Boxing. 60 Years of Fight and Fi ghters (sessant’anni di combattimenti e combattenti). Certo, il prezzo di vendita/ acquisto è selettivo, ma si può ipotizzare una susseguente edizione “standard”. In tiratura di mille copie numerate e firmate, la monografia presenta e offre quattrocentoquarantotto fotografie (448), che scandiscono gloriosi momenti di pu gilato, realizzate con capacità visive e do cumentative fuori dal comune. Doverose note biografiche, che sta biliscono tempi e modi di una carriera fotografica autenticamente unica. Si accredita come prima vera fotografia di boxe di Neil Leifer quella scattata il 26 giugno 1959, a sedici anni, da un po sto a sedere da cinque dollari, allo Yan kee Stadium, di New York: Floyd Pat terson contro Ingemar Johansson, che conquista la corona dei pesi massimi. Oggi, Neil Leifer rievoca che si tratta di un bianconero estremamente gra nuloso, scattato con una biottica seisei Yashica, da settantacinque dollari, «la Rolleiflex di un ragazzo povero». Ma, in nuce, si intravede già l’animo di un fotografo: immagine potente, ricca di sfumature, con inquadratura di eccel lente personalità, che ha già visto ciò che gli altri guardano soltanto. A seguire, nel 1961, Neil Leifer è en trato nello staff dell’autorevole e pre stigioso periodico statunitense Sport Illustrated, per il quale ha seguìto i più importanti appuntamenti di sport, in assoluto, e boxe, in particolare. Nel 2014, è stato il primo, e ancora unico, foto grafo inserito nella celebrativa Inter national Boxing Hall of Fame. Per quanto soprattutto di questo si tratti, per voi e noi, Neil Leifer. Boxing.

22 L’ Ali Shuffle non ha alcuno scopo, ma una intenzione: gioco di gambe con mo vimenti della parte superiore del corpo, per creare una finta di colpi.

IN MONOGRAFIA

■ ■ La presenza di Neil Lei fer nel catalogo Taschen Verlag è sostanziosa e dif ferenziata. Numerose so no le edizioni librarie al le quali ha boxe.icontribuitofattivamenteeduesonotitolidisport,oltrelaRicordiamoli: Bal let in the Dirt: The Gol den Age of Baseball, del 2007, e Guts & Glory: The Golden Age of American Football 1958-1978, del 2015, entrambi disponi bili in edizioni “Limited”. Pubblicata in prima edi zione 2010, sei anni pri ma della scomparsa del grande pugile, Greatest of All Time. A Tribute to Muhammad Ali è una monografia curata dal lo stesso editore Bene dick Taschen. A breve, è prevista una nuova edi zione 2021. In copertina il knockout con il quale Muhammad Ali ha scon fitto Sonny Liston, alla St. Domnic’s Arena, di Lewi stone nel Maine, il 25 mag gio 1965. Icona della Foto grafia di Neil Leifer.

Nella propria doverosa (?) relazione asettica da emozioni, abbiamo letto quel conteggio con profondo dolore e partecipazione: quel lo di sapere che uno dei colpiti irrimediabil mente era un nostro caro amico, una perso nalità che nei recenti decenni ha illuminato la Fotografia, non soltanto italiana, agendo dal territorio della Moda, ma non circoscri vendosi soltanto a questa. Compiuti sessantacinque anni lo scorso ven tisette dicembre, il tredici marzo è mancato Giovanni Gastel, vittima della pandemia che sta traumatizzando il mondo. Troppo presto, troppo crudelmente, troppo sconvolgente. (E qui, e ora, ci scusiamo con i suoi affetti familiari, per questa nostra intromissione e intrusione in una vicenda soprattutto privata). Anche in questa occasione, come in ogni altra della mia Esistenza, ho cercato conforto e incoraggiamento, per quanto mai possibi le, nella Parola, che -tra l’altro- Giovanni Gastel ha frequentato al pari della sua Fotografia, in una congiunzione senza alcuna soluzione di continuità. A questo proposito, c’è un pensiero (concetto) che ho fatto mio, certamente mu tuandolo dalle letture; del resto, rispondendo a una natura formata in parti uguali di cultura (?) e istinto, il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo con sapevole su se stessi: la mia prima (e unica) pa tria sono stati i libri. Ancora, la parola scritta mi ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita mi ha chiarito i libri: osservare, piuttosto che giudica re, fino al linguaggio fotografico, straordinaria combinazione di regole logiche e usi arbitrari. Più e diversamente da altri momenti, quella sera ho letto per lui, pensando a lui, soprattut to alle sue Poesie (oltre la Fotografia, avvicina tevi alle sue raccolte in forma di libro): «La vita è la somma di tutte le tue scelte» (Albert Ca mus). E anche: «La vita può essere capita so lo all’indietro, ma va vissuta in avanti» (Søren Kierkegaard)... da cui, la coinvolgente autobio grafia Un eterno istante. La mia vita, del 2015. Così che «Voglio però ricordarti com’eri, pen sare che ancora vivi / voglio pensare che an cora mi ascolti e che come allora sorridi» (in Canzone per un’amica, di Francesco Guccini). Anch’io, come altri tanti, ho beneficiato della sua Eleganza, del suo Stile e della sua Bellezza. Non entro in alcun dettaglio, perché è vicen da intima, ma rivelo soltanto quanti e quanti progetti comuni avremmo voluto realizzare insieme. Ne cito uno soltanto, una sorta di racconto delle nostre vite parallele, modula te su valori identici, per quanto non comuni. Lui, di nobili natali; io, di discendenza con tadina e operaia. Lui, sui set dello zio Luchino Visconti; io, che marino (bigio) la scuola per andare al cinema a vedere La caduta degli Dei. Lui, in cene formali; io, a tavola con mio nonno contadino (in entrambe le situazioni, dopo essersi cambiati d’abito... per quanto, a ciascuno i propri). Lui... io. Non serve certo ricordare chi sia stato Gio vanni Gastel, anche soltanto dal punto di vi sta fotografico. Basta ringrazialo. Grazie, Gio. Grazie.

24 di Maurizio Rebuzzini Come ogni giorno, da più di un anno a questa parte, la sera di sabato tredici marzo, i telegior nali hanno riferito il bollettino della giornata in materia di Covid-19. Per molti di noi, non è stato un conteggio impersonale e indistinto.

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GIOVANNIGRAZIEGRAZIE

Lo scorso tredici marzo, a sessantacinque anni appena compiuti, è mancato Giovanni Gastel

25 GalimbertiMaurizio

PagliaraGiancarloMaledusiOttavio

BordoniAntonio

7 23 26 (Autoritratto)GastelGiovanniPiattiIlarioCristianoMiretti

101311129 27 MirettiCristianoBordoniAntonioMiseDiAlessandro Archivio FOTOgraphiaBordoniAntonio

15 17 28 MaledusiOttavioMaledusiOttavioAlbertoDubini IkonomuAndreas

2. Autoritratto di Giovanni Gastel, con Polaroid Giant Camera 50x60cm, nella prima vera 1986, quando, per un mese, la particola re dotazione fu a disposizione di fotografi (a invito), presso i 117 Sudios, di Milano.

3 e 12. A cura di Franco Raggi, l’allestimen to scenico della mostra Maschere e Spettri, di Giovanni Gastel, al Palazzo della Ragione, di Milano, tra settembre e ottobre 2009, è stato a dir poco più che suggestivo.

10. Isola di Filicudi, estate 2000: Gio vanni Gastel con Ettore Sottsass.

11. 6 aprile 1987: prima intervista di Gio vanni Gastel con Maurizio Rebuzzini, per il pri mo numero di PRO, presso gli studi del grup po editoriale Edimoda, di Milano.

1. Giovanni Gastel, Gian Paolo Barbie ri e Oliviero Toscani, la prima volta che si so no incontrati tutti e tre assieme, al Pday di FOTOgraphia, il 14 marzo 2015, presso la Fonda zione Gian Paolo Barbieri, di Milano [Pday, nel senso di Pi greco / π : costante matematica, che -nella geometria piana- viene definito come il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e quella del suo diametro. È un numero irrazio nale, usato sempre per approssimazione (3,14 è sufficiente in molti casi), che ha un numero infinito di decimali. In scrittura anglosassone (mese-giorno-anno-orario], ogni mille anni, si allineano i primi nove decimali: alle 9,26 e 53 secondi del 14 marzo (20)15 / 3,141592653].

17. 26 maggio 2014: Giovanni Gastel, presidente Afip International, associazione professionale di categoria, consegna la tes sera di Socio Onorario a Maurizio Rebuzzini, alla conclusione della serie di dieci incontri su Consapevolezza della Fotografia.

5. Giovanni Gastel: primo ritratto (in assoluto) del progetto Amici miei, di Ottavio Maledusi; 16 giugno 2016. A seguire, ce ne sa rebbe stato un secondo, il 3 maggio 2017 [ 14]. 6, 8 e 9. Giovanni Gastel al MIA 2015: con Marirosa Toscani Ballo, Ottavio Maledusi e Gian Paolo Barbieri (sul fondo, Ottavio Maledusi).

29 Grazie, Gio. Grazie (doppia pagina 26-27)

4. 23 ottobre 2015: Giovanni Gastel con Ottavio Maledusi, la sera del primo giorno di svolgimento del PhotoShow 2015, fiera mer ceologica della fotografia alla sua fine.

7. Backstage del ritratto-mosaico di Maurizio Galimberti (a pagina 25).

13. Dedica di Giovanni Gastel a Mauri zio Rebuzzini, sul retro di una stampa pola roid 8x10 pollici (ritratto di moda). (pagina accanto) 14. Giovanni Gastel: altro ritratto del progetto Amici miei, di Ottavio Maledusi, successivo al primo [5]; 3 maggio 2017.

15. Presso la Fondazione Gian Paolo Bar bieri, Settimio Benedusi, Gian Paolo Barbieri, Maurizio Galimberti, Giovanni Gastel e Mauri zio Rebuzzini in posa “omaggio” all’icona del film I soliti sospetti, rispettivamente nelle parti (?) degli attori Kevin Pollak, Stephen Baldwin, Benicio del Toro, Gabriel Byrne e Kevin Spa cey. Quattro fotografi, un giornalista, nessu na coincidenza, di Ottavio Maledusi; 2015.

16. 11 dicembre 2013: Davide Mengacci e Giovanni Gastel in posa ironica all’inaugu razione della mostra Betty Page. Trentadue visioni più una, alla Galleria My Loft, di Mila no; entrambi, con l’orologio personalizzato, realizzato per l’occasione.

POMERIGGIO A RebuzziniMaurizio

Duemilasedici: giovedì trentuno marzo, un pomeriggio a San Francisco, sulle tracce della propria Vita. Meta d’obbligo, la libreria City Lights Booksellers & Publishers, altrimenti identificata come City Lights Books e City Lights Bookstore, al civico 261 della Columbus Avenue, epicentro del quartiere italiano. Verso Lawrence Ferlinghetti, mancato lo scorso ventidue febbraio, poche settimane prima di compiere centodue anni. Ci sta. Pellegrinaggio individuale con altri incontri casuali. Ma il Caso… SAN FRANCISCO

Dal 1953, di fondazione, la City Lights Booksellers & Publishers (altrimenti identificata City Lights Books, oppure City Lights Bookstore; sulla doppia pagina precedente) si è offerta e proposta come luogo di ritrovo, casa edi trice, cerchio magico che ha dato asilo a molti. Qui, Lawrence Ferlinghetti po sa davanti alle vetrine al 261 della Columbus Ave nue, epicentro del quar tiere italiano di San Fran cisco (... sulla prossima doppia pagina).

Quando la vita scorre scandendo tem pi attendibili e ammissibili, il ricordo di persone scomparse -vicine al nostro pri vato, come anche ai ritmi della nostra esistenza e formazione vitale- si espri me in e con toni lievi e serenamente partecipi. Lo scorso ventidue febbraio, è mancato il poeta statunitense Lawrence Ferlinghetti, figlio di genitori emigrati da Brescia (il padre morì di infarto nello stesso anno della sua nascita), uno dei protagonisti di spicco di quella stagione avviata nei secondi anni Cinquanta del Novecento (arrivata da noi un poco più tardi), identificata come Beat Genera tion... che tanto ha influito sulle coscien ze di coloro i quali ne hanno appreso e assorbito lo spirito e la sostanza. Lawrence Ferlinghetti è mancato all’al ba dei centodue anni (che sono proprio tanti, soprattutto se raggiunti con men te lucida e interessi vivaci): era nato il 24 marzo 1919, a Bronxville, nello stato di New York, da dove tutto è comincia to (in un certo senso); è morto a San Francisco, in California, dove tutto era poi proseguito (certamente). Non compete a noi richiamarne la per sonalità, peraltro accessibile da mille e mille fonti informate e attendibili, anche in Rete. Invece, per quella dote che il Ricordo occupa nelle nostre Esistenze, qui e ora, riteniamo più opportuno che, nella sostanziale serenità dei fatti (alla luce di centodue anni di vita assolta), la Memoria rievochi qualcosa di persona le. Non torniamo indietro nei decenni, a quegli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando intuimmo valori della Vita anche attraverso le poesie e i romanzi della Beat Generation: Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William S. Bur roughs, Gregory Corso, Peter Orlovsky, Neal Cassady, Jack Hirschman, Norman Mailer e, per l’appunto, Lawrence Fer linghetti, poeta e libraio.

Non torniamo indietro a quei momen ti, comuni a molti di noi, in anni di so gni e speranze, ma ci limitiamo a un momento più prossimo. Non prima di una confessione dovuta. Non è materia di discussione, ma ri conosco e ammetto che non amo viag giare. Di più, ancora: già i confini della città nella quale vivo e lavoro mi paiono ampi, più ampi di quanto mi interessi e serva. Di più, ancora e ancora: nep pure mi allungo sul quartiere, limitan domi alla frequentazione di tre vie pa rallele e prossime. Dall’abitazione allo studio/redazione, al bar per l’espresso del mattino (questo, in una via mila nese universalmente conosciuta... via Gluck). Da cui e per cui, esclusi gli spo stamenti obbligati e vincolati, soprat tutto di lavoro, cerco di evitare trasferte che mi allontanino dalle mie certezze.

LightsCity/FelverChristopher

32 di Maurizio Rebuzzini

Lawrence Ferlinghetti (1919-2021), esponente di spicco della Beat Ge neration, nata attorno la sua libreria di San Franci sco, è mancato lo scorso ventidue febbraio, poche settimane prima di com piere centodue anni.

JOE DiMAGGIO Caso? Destino? Lungo la strada, un ul teriore incontro inaspettato: il Joe Di Maggio Playground, al 651 di Lombard street, presso la chiesa del quartiere, so prattutto italiano, dove è vissuto l’epico esterno centro dei New York Yankees, noto al grande pubblico per essere sta to anche marito di Marilyn Monroe, per nove mesi, dal 14 gennaio 1954. A me interessa l’eroico baseball statunitense degli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, entro il quale la personalità di Joe DiMaggio fu folgorante, degna del sogno americano che premia un umile figlio di immigrati: tredici stagioni nei New York Yankees dal 1936 al 1951, con intervallo negli anni di guerra (sette sta gioni da 1936 al 1942; sei stagioni dal 1946 al 1951); millesettecentotrentasei partite giocate (1736); seimilaottocentoventu no volte alla battuta (6821); media bat tuta .325; duemiladuecentoquattordici battute valide (2214 / media .398); tre centottantanove battute da due basi / doppie (389); centotrentuno da tre basi / triple (131); trecentosessantuno fuori campo (361); millecinquecentotrenta sette punti battuti a casa (1537). (continua a pagina 36)

L’interno della libreria City Lights Booksellers & Pu blishers (City Lights Books / City Lights Bookstore) è particolare, almeno tan to quanto lo è la sua per sonalità “commerciale”. In un paese, quali sono gli Stati Uniti, dove ogni libreria presenta e offre una propria personalità distinta e unica (visitare per credere), l’eccellen za di quanto creato da Lawrence Ferlinghetti, anche come editore, sta bilisce i termini di una Sto ria che ha influenzato la cultura planetaria. In dettaglio, qui visualiz ziamo la targa “via Fer linghetti”, e non “Fer linghetti street”, in sua doppia intenzione: ubi cazione della libreria nel quartiere italiano stori co della città; richiamo ai natali dei genitori di Lawrence Ferlinghetti, nativi di Brescia (altre fonti, Chiari, in provin cia di Brescia).

33 Così che, rinuncio sempre / quasi sem pre alle opportunità di viaggio, anche a quelle in ospitalità. Poche le ecce zioni che mi concedo, per motivi che mi paiono degni di attenzione. La mia. Nella primavera Duemilasedici, par tecipai volentieri all’Assemblea annua le della Technical Image Press Associa tion (TIPA), del cui cartello di trenta rivi ste internazionali di fotografia fa parte la nostra FOTOgraphia. A parte il diritto/ dovere di dire la mia in quella occasione, soprattutto in relazione all’assegnazione degli ambìti e prestigiosi TIPA Awards, la sede di San Francisco mi stimolava per due motivi, che rivelo in successione in vertita: l’opportunità di andare sull’isola di Alcatraz, oggi in visita guidata al car cere federale, da tempo dismesso; il pel legrinaggio alla City Lights Booksellers & Publishers, la leggendaria libreria di Lawrence Ferlinghetti. Tralasciamo su bito l’esperienza ad Alcatraz, che ha sod disfatto momenti di quell’interesse per la fotografia giudiziaria che frequento da tempo, per limitarci alla mitica libreria e al suo fantastico proprietario. Ovviamente, una volta arrivato in alber go, avendo il pomeriggio libero, la prima destinazione fu proprio City Lights Bo oksellers & Publishers, altrimenti iden tificata come City Lights Books e City Lights Bookstore. Con piacevole sorpre sa, scoprii che l’indirizzo (261 Columbus Avenue) si trovava a un paio di chilometri soltanto dall’hotel: una passeggiata, in un bel giorno di sole e clima favorevole.

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La libreria City Lights Bo okstore è localizzata là dove, nel primo Nove cento, agiva lo studio fo tografico Vitalini: da qui verso la pagina a fronte. (2)

▶ Beat & Pieces; testi di Fernanda Pivano, fotografie di Allen Ginsberg [del quale ricordiamo anche la monografia Allen Ginsberg Photographs, del 1991]; in inglese e italiano; Photology, 2005, in occasione dell’omonima mostra allestita alla Galleria Photology, di Noto, dal 12 settembre al 15 novembre 2005. In copertina: davanti alla libreria City Lights, a San Francisco, nel 1955 (da sinistra: Bob Donlin, Neal Cassady, Allen Ginsberg, Robert LaVigne e Lawrence Ferlinghetti).

▶ C’era una volta un beat. 10 anni di ricerca alternativa, di Fernanda Pivano; fo tografie di Ettore Sottsass; Arcana Editrice, 1976 (poi, 1988). In copertina: cena a San Francisco, nel 1965 (da sinistra: Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg, Bob Dylan, Peter e Julian Orlovsky). Più recente riedizione: Sperling & Kupfer, 2003.

Archivio FOTOgraphia

Due approfondimenti sulla Beat Generation in forma di libro, distanti nel Tempo, ma prossimi nello Spirito. In ordine anagrafico.

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35 Esauriti (?) i richiami e riferimenti alla libreria City Lights Booksellers & Publishers, di Lawren ce Ferlinghetti, il nostro punto di vista mirato e viziato si allunga sulla testimonianza tangibi le dello studio fotografico Vitalini (Vitalini Fotogra fia Italiana), localizzato nello stesso edificio di San Francisco, attivo nei primi decenni del Nove cento. Questo mosaico a terra, che oggi collega il piano a terra della libre ria al primo piano, è sta to l’ingresso dello studio fotografico “Mr. & Mrs. Vi talini & Daughter Adele”, ovvero “Signor [Charles H.] e Signora [Mary] Vita lini e figlia Adele”.

Dal 24 maggio al 25 luglio 1941 realizzò una striscia di cinquantasei partite con almeno una battuta valida (altre fonti, conteggiano sessantuno); nella Hall of Fame del Baseball, dal 1955. Figlio di Rosalia Mercurio e Giuseppe, entrambi di Isola delle Femmine, in pro vincia di Palermo, Joe DiMaggio è un’i cona americana (nato Giuseppe Paolo, poi convertito in Joseph Paul; Martinez, nella baia di San Francisco, 25 novembre 1914 - Hollywood, 8 marzo 1999).

Nel brano Mrs. Robinson , dalla co lonna sonora del film Il laureato / The Graduate, di Mike Nichols, del 1967, Si mon & Garfunkel cantano «Where have you gone, Joe DiMaggio? / Our nation turns its lonely eyes to you. / [...] / What’s that you say, Mrs. Robinson? / Jolting’ Joe has left and gone away» («Dove sei andato, Joe DiMaggio? / Il paese volge i suoi occhi desolati verso di te. / [...] / Cosa dici, signora Robinson? / Il Gran de Joe ha lasciato ed è andato via»)

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Nel film Manhattan, del 1979, Joe Di Maggio viene conteggiato dal regista e sceneggiatore Woody Allen tra le ra gioni per le quali vale la pena vivere.

Allo scrittore Ernest Hemingway, Joe DiMaggio confessò di non aver mai im parato un mestiere serio, ma di essere stato pagato per colpire una stupida pallina con uno stupido bastone. Quin di, lo stesso scrittore lo elevò a simbolo. Il miglior esempio possibile di eroe: ca duto e rialzatosi tante volte. Nato pove ro e cresciuto pescatore sulle banchine della baia di San Francisco, figlio di ge nerazioni di pescatori siciliani emigra ti in America alla ricerca della libertà e del sogno americano. Tanto che lo stesso Ernest Hemingway eleva Joe DiMaggio a compagno invisi bile, esempio e modello per Santiago, pescatore cubano, protagonista del suo romanzo breve Il vecchio e il mare (The Old Man and the Sea), del 1951, pubbli cato su Life, nel 1952, sua ultima gran de opera narrativa: Premio Pulitzer, nel 1953, e racconto che contribuì a fargli ottenere il Premio Nobel per la Lette ratura, nel 1954, venendo citato tra le motivazioni del comitato selezionatore. Evocazione colta e raffinata del ro manzo nel film The Equalizer, di Antoi ne Fuqua, del 2014, dove e quando l’ex agente Cia Robert McCall, interpretato da un coinvolgente Denzel Washington, lo conteggia nei cento libri che si deb bono leggere nella vita. Ma, soprattut to, trasposizione cinematografica del 1958, con la regia di John Sturges, con protagonista Spencer Tracy. Mancato all’inizio di marzo del No vantanove, qualche settimana prima dell’avvio del campionato di baseball, per tutta la stagione, conclusasi con (continua da pagina 33)In allungo sul cammino seminato dalla libreria di San Francisco City Lights Booksellers & Publishers, di Lawrence Ferlinghetti, sull’angolo opposto (cir ca) un’altra libreria com pleta idealmente il per corso: The Beat Museum, al 540 della Broadway. Ovviamente, il sito Inter net della libreria, con ri mando alle iniziative ul teriori, sempre a tema, è www.kerouac.com, nu me tutelare della Beat Generation.

A parte l’area propria mente “Museum”, la pro posta libraria di The Beat Museum, di San Franci sco, verte soprattutto at torno alla Beat Genera tion di richiamo ufficia le. Nonostante questo, si possono individuare edi zioni librarie e riviste di particolare valore storico. Per quanto ci riguarda, è qui che abbiamo indivi duato (e acquistato), una preziosa copia di Life: del 10 gennaio 1955, con in copertina Greta Garbo in precisazione Garbo in 1928, by Steichen

THE BEAT MUSEUM Destino? Caso? Dopo la visita alla nostra meta, City Lights Booksellers & Publishers / City Lights Books / City Lights Booksto re, che lasciamo per ultima, sovverten do consapevolmente e volontariamen te l’ordine temporale di quel pomerig gio di fine marzo Duemilasedici, proprio uscendo dalla libreria, guardando lungo la via in incrocio, ho intravisto un’inse gna adeguatamente allettante: The Beat Museum, al 540 della Broadway, di San Francisco. Evidentemente, lì collocato in allungo ideale su quanto si respira tra gli scaffali della mitica libreria di Lawren ce Ferlinghetti, riferimento apprezzato e ben frequentato (da coloro i quali...). Anche qui, spira il vento di esperienze passate che si proiettano in avanti, che appartengono ancora oggi a identifica te esistenze: vento tiepido e confortan te. Per il vero, la sezione propriamente “Museum” non è certamente coinvol gente, ma la selezione libraria è di pri ma scelta. Tutta declinata attorno i tempi e modi della Beat Generation, si apre a eccellenti proposte selezionate e mira te. Soprattutto, in rispetto e ripetizione dello spirito di tempi durante i quali la curiosità, la voglia di sapere e capire e la comprensione degli altri (in modo parti colare, di quelli che la società neurotipica, altrimenti autodefinitasi “normale”, con sidera ed etichetta diversi ) furono parole d’ordine irrinunciabili e non negoziabili.

Per esempio, è proprio su quegli scaffa li che ho individuato una preziosa copia di Life, quantomeno “preziosa” in base a una scala di valori personale, non neu rotipica. Quella del 10 gennaio 1955, con in copertina Greta Garbo in precisazione inequivocabile: Garbo in 1928, by Stei chen. Ovvero, il fotografo autore, Edward Steichen (1879-1973), elevato a richiamo assoluto e implicante. Con franchezza, un caso quantomeno unico nell’editoria internazionale di tutti i tempi: il fotogra fo di pari richiamo al proprio soggetto!

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la vittoria nelle World Series di otto bre (le ultime del secolo; quattro a ze ro sugli Atlanta Braves), Joe DiMaggio è stato ricordato dai giocatori dei New York Yankees con il suo numero “5” (tra quelli ritirati dalla squadra, in onore e merito) sul braccio della casacca. Ha sempre continuato ad amare Marilyn Monroe: all’indomani della sua scompar sa, ha stipulato un accordo con un fioraio, affinché tre volte la settimana sulla sua tomba venissero deposte sei rose rosse (altre fonti, una rosa rossa ogni mattina).

Alla meta. Finalmente! Con doppio ri ferimento: il principale, all’atmosfera della leggendaria libreria di Lawrence Ferlinghetti, al civico 261 della Colum

CITY LIGHTS

Archivio FOTOgraphia (2)

Joe DiMaggio... una leggenda. Novembre 1989, New York: affissione The Bowery Saving Bank con richiamo alla casacca con l’inequivoca bile numero “5” sulla schiena (We take our pinstripes just as seriously as Joe did hits / A noi interessano i nostri gessati almeno quanto a Joe interessano i suoi hit [colpi]). Novembre 1989: esposizione libraria per gli Albums di ricordi. Ottobre 1999: con gli autografi dell’intera squadra, la divisa dei New York Yankees per le World Series (vinte per quattro a zero sugli Atlanta Braves), nell’anno in cui Joe DiMaggio è mancato poco prima che iniziasse la stagione, giocata con un “5” sul braccio, in onore e ricordo. 1986: rievocazione dell’amore per Marilyn (Joe & Marilyn. A Memory of Love, di Roger Kahn; edizione William Morrow and Com pany); ovviamente, la grafia di “Joe” con le caratteristiche pinstripes. Negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, Joe DiMaggio fu entusiasmante: tredici stagioni nei New York Yankees dal 1936 al 1951, con intervallo negli anni di guerra; millesettecentotrentasei par tite giocate (1736); seimilaottocentoventuno volte alla battuta (6821); media battuta .325; duemiladuecentoquattordici battute valide (2214 / media .398); trecentottantanove battute da due basi / doppie (389); centotrentuno da tre basi / triple (131); trecentosessantuno fuoricampo (361); millecinquecentotrentasette punti battuti a casa (1537). Dal 24 maggio al 25 luglio 1941 realizzò una striscia di cinquantasei partite con almeno una battuta valida (altre fonti, conteggiano ses santuno); nella Hall of Fame del Baseball, dal 1955. Figlio di pescatori siciliani emigrati, rappresentò la realizzazione del sogno americano.

Nello stesso ordine: porta aperta, men te aperta, libri aperti, cuore aperto. Ma, forse, anche: apri la porta, apri la mente, apri i libri, apri il cuore.

Archivio FOTOgraphia LibraryBaseballNational

A parte un’offerta generale, ma non generica, ancora oggi, l’attuale perso nalità di City Lights Booksellers & Pu blishers vanta selezioni mirate per argo menti specifici, come la poesia (prima di tanto altro), la saggistica antigoverna tiva, le rievocazioni storiche e altro an cora. Dall’esterno, richiami sulle quattro finestre del primo piano (secondo, per gli americani) esortano a: Open Door, Open Mind, Open Books, Open Heart.

Non solo libreria, ma soprattutto luo go di ritrovo, casa editrice, cerchio magi co che ha dato asilo a molti, City Lights Booksellers & Publishers è stata creata, nel 1953, da Lawrence Ferlinghetti e dal professore universitario Peter D. Martin (1923-1988). Volendolo fare, quel giorno, a quell’ora, che non conosco, che nessu na Storia ha registrato, potremmo sta bilire la data di nascita della Beat Ge neration. Meglio, dovremmo andare al 1955, quando Lawrence Ferlinghetti, ri masto il solo proprietario della libreria, in agosto, avviò la propria casa editrice, che esordì con la collana di tascabili di poesia Pocket Poet Series. Meglio ancora, dovremmo andare al 1956 di prima edizione della raccolta Howl and Other Poems, di Allen Ginsberg (oggi quotata circa tremila dollari), per la qua le l’editore Lawrence Ferlinghetti fu ar restato e incriminato per “distribuzione di materiale osceno”. La sua assoluzione rappresentò una grande vittoria per la libertà di stampa negli Stati Uniti, che in base al Primo emendamento della Co stituzione garantisce (garantirebbe?) la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio; nonché la libertà di parola e stampa, il diritto di riunirsi politicamente e il diritto di ap pellarsi al governo per correggere i torti.

YankeesYorkNew/(2)BordoniAntonio

Per descrivere il clima della libreria oc corre anticipare che nelle grandi città degli Stati Uniti, New York in testa, ogni libreria presenta e offre una propria per sonalità particolare. A parte le strutture “supermercato” (ma anche queste...), del tipo che ormai condizionano la distribu zione libraria in Italia, ogni libreria sta tunitense ha individualità proprie: sia in relazione alla tipologia dei libri in vendi ta, sia in merito formale dell’ambiente.

38 bus Avenue; il secondario, ma per noi avvincente, all’ubicazione della City Li ghts Booksellers & Publishers, identi ficata anche City Lights Books e City Lights Bookstore, nell’edificio che nel primo Novecento fu sede di un rilevante studio fotografico gestito dalla famiglia Vitalini, in esplicito riferimento al corpus di una clientela locale del quartiere ita liano di San Francisco. In questo ordine.

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In cammino verso la li braria City Lights Bo oksellers & Publishers, un incontro inaspettato, identificato in base al no stro interesse personale per il baseball america no dei decenni a caval lo della Seconda guer ra mondiale: Joe DiMag gio Playground, presso la chiesa del quartiere italiano dove è vissuto l’epico esterno centro dei New York Yankees (dal 1936 al 1951).

RebuzziniMaurizio

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E tutto questo stabilisce un modo di affrontare l’Esistenza individuale decli nata lungo un canale che esula dall’in terpretazione neurotipica della Vita, ma abbraccia ben altri Valori. (Nota parallela, orgoglio italiano. L’unica altra sede, in “succursale”, ulteriore all’indirizzo di San Francisco, è stata City Lights Italia, cre ata a Firenze, nel 1996, dal poeta, scrit tore e uomo di teatro Antonio Bertoli, prematuramente mancato il 24 ottobre 2015, a cinquantasette anni).

Comunque, tornando in mia cronaca, approdato alla della City Lights Booksel lers & Publishers, mantenendo la defi nizione ufficiale, abbiamo subito risolto un’apprensione: Lawrence Ferlinghet ti non era in sede. Se lo fosse stato, si sarebbe prestato a quella società dello spettacolo che gli imponeva di affac ciarsi a una finestra per essere fotogra fato. Oppure, avrei dovuto contattarlo, per conversare con lui: con inevitabile posa davanti alle vetrine della libreria. Confessione d’obbligo e necessaria: per quanto la mia professione sia esordita con l’essere fotografo, ho sempre avu to disagio e imbarazzo a fotografare le persone, per quanto -se mai l’ho fatto-, sono scaturiti ritratti a dir poco orrendi. Da cui, sono presto passato allo still life. Dunque, sola documentazione del luo go, senza obblighi che mi sono estra nei. Soltanto, ho chiesto (e ottenuto) un ritratto di Lawrence Ferlinghetti in posa davanti alle vetrine della sua City Lights Booksellers & Publishers, che qui riproponiamo, e tanto mi basta. Seconda vicenda, dal nostro punto di vista tale non in misura graduatoria: la libreria è allestita nei locali che dai pri mi decenni del Novecento ospitarono un avvincente studio fotografico, Vita lini Fotografia Italiana. L’identificazio ne professionale, riportata sui supporti delle carte de visite e dei ritratti confe zionati in ogni altro formato del tempo (Margherita, Gabinetto…) certificava “Mr. & Mrs. Vitalini & Daughter Adele”, a te stimonianza di una gestione familiare... nel quartiere italiano di San Francisco. Tanto che ancora oggi, in personalità City Lights Booksellers & Publishers, un mosaico a terra, davanti all’ingresso di allora, attualmente inglobato nel pas saggio dall’esposizione libraria di piano terra a quella al primo piano (secondo, per gli americani, che conteggiano il piano terra come primo), verso la ses sione di poesia, ricorda l’antica origine. E qui finisce il pomeriggio del tren tuno marzo del Duemilasedici, negli Stati Uniti, a San Francisco, in Califor nia, il cui ricordo è stato sollecitato dalla scomparsa di Lawrence Ferlinghetti, a centodue anni, in tempi e modi di vita attendibili e ammissibili. Di più, ancora.

40 di Antonio Bordoni Quando non è professionale, nel senso di svolgere incarichi assunti, la Fotografia concede ai propri interpreti infinite sfu mature, entro le quali collocare e svolgere il proprio impegno.

In comunione di intenti, fino ad essersi avvicinate foto graficamente e fino a influenzarsi a vicenda, Fiorella Vair (1988) e Isabella Quaranta (1985) finalizzano la propria Fo tografia a se stesse e al loro approccio esistenziale con l’e sterno. Per dichiarazione esplicita, con la Fotografia affron tano le proprie paure, le proprie ansie. Nel farlo, non è det to che si chiudano in un mondo proprio; probabilmente, nonostante altre intenzioni, è vero l’esatto contrario: offrirsi all’osservatore, per consentirgli un avvicinamento libero da qualsivoglia rivelazione anticipata. In comunione di intenti, che le ha fatte avvicinare fotograficamente, Fiorella Vair e Isabella Quaranta declinano una Fotografia dell’anima, a partire dalla propria, curiosa mente analoga, fino a completarsi una nell’altra. Sono consapevoli che ciò che ciascuno “è” influenza il modo di essere degli altri. Sono altrettanto consapevoli che le loro imma gini arrivano a confondersi nella mente, fino al punto di non distinguere più i ricordi e le impressioni. Ma c’è un abisso tra il luogo dove si trovano loro Autrici e quello in cui si trovano coloro i quali avvicinano la loro opera, e nessuno può descriverlo o parlarne con franchezza, anche se tutti sappiamo di ciò che si tratta. Quindi, è indispensabile che sia qualcun altro a dirci chi siamo o a reggere lo specchio per noi. Magari, con la Fotografia

FIORELLA VAIR

ALLOGUARDARSISPECCHIO

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Di fronte alle loro immagini inventate e chimeriche, sia in autoraffigurazione sia con la partecipazione di soggetti guidati e indirizzati verso la composizione (e spesso una è soggetto dell’altra), si prova sempre la sensazione che col pisce ogni volta che ciascuno di noi torna a casa dopo un viaggio, non importa di che durata. Le fotografie di Fiorel la Vair e Isabella Quaranta sono lì ad attenderci, perché il loro intimo è anche l’inconfessato di ognuno. Il loro non è un viaggio solitario, ma un percorso condiviso, nel quale è facile riconoscersi. Ci piaccia o meno farlo. Qual è la consapevolezza intima delle Autrici, che declina una Fotografia dell’anima, a partire dalla propria? Avere co gnizione di una verità assoluta: ovvero, sapere che ciò che cia scuno “è” influenza il modo di essere degli altri.

ISABELLA QUARANTA

VAIRFIORELLA

42 ve si trovano coloro i quali avvicinano la loro opera, e nessuno può descriverlo, anche se tutti sappiamo di ciò che si tratta. Proponendo la loro Fotografia, allestita in mostre, Fiorella Vair e Isabella Quaranta accertano le espressioni dei visitatori, de gli osservatori ai quali si rivolgono, per intuire cosa provano al fine di applicare, poi, in evoluzione, in progress, le modalità visive migliori per coinvolgerli più adeguatamente. Avendo loro intuito e trovato motivi per fare ciò che fanno, rivolgono al pubblico domande, invece di offrire risposte (ammesso che ne possano esistere): la loro Meditazione, la loro Fotografia, la loro Poesia, tutto serve per giustificare l’autosufficienza esi stenziale. Ecco il senso e valore di queste immagini rivelatrici. Alla resa dei conti, si impone soprattutto il rapporto con e dell’osservatore che può trarre beneficio da queste affascinan ti immagini. Anche se le stesse immagini arrivano a confon dersi nella mente, ognuno compone tratti di se stesso, avviati dalla sollecitazione visiva di Fiorella Vair e Isabella Quaranta. L’idea comune e condivisa delle Autrici pare essere quel la di realizzare opere che possiedono le proprietà di creature viventi: capacità di adattamento, di cooperazione, di appren

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44 QUARANTAISABELLA

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■ ■ SOLOONLINE/ / /QR code F. VAIR / I. QUARANTA

particolare valore nell’esistenza quotidiana; altrettanto, molte di queste doti e qualità sono sollecitate e affrancate proprio grazie a immagini che ciascuno di noi incontra e assorbisce.

Da cui, una condizione fondante per essere Autori Fotogra fi (in questo specifico, Autrici Fotografe): superare il sapere che pochi sono in grado di applicare al proprio caso. Questa Fotografia di Fiorella Vair e Isabella Quaranta sollecita in al tro senso, che non questo: induce a guardarsi allo specchio. Infatti, non accade mai che ognuno di noi arrivi a migliorare la propria comprensione di sé, con il solo proprio pensiero. Quindi, è indispensabile che sia qualcun altro a dirci chi siamo o a reggere lo specchio per noi. Magari, con la Fotografia.

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■ ■ James Ellroy (da Clandestino; Mondadori Editore, 1997)

/ DALLA NARRATIVA / FOTO RICORDI UNA PASSEGGIATA

Sedette fra me e i miei vesti ti ripiegati e si versò dell’altro brandy. Il mio accappatoio era logoro e sapeva di pulito. Men tre Maggie posava l’album di foto sul tavolino da caffè, siste mai il suo in modo che mo strasse una generosa porzione della scollatura. Lei reagì con un casto bacio sulla guancia. Quello m’infastidì. La differen za di dieci anni fra noi comin ciava a farsi sentire.

– Il viale dei ricordi, Bill – dis se Maggie. – Ti piacerebbe fare una passeggiata sul viale dei ricordi con la vecchia Maggie? – Tu non sei vecchia. – Sotto certi aspetti sì. – Sei nel fiore degli anni. – Adulatore. Aprì l’album. Sulla prima pa gina c’erano fotografie di un uomo alto con i capelli chiari, vestito con l’uniforme da fantac cino della Prima guerra mon diale. Nella maggior parte del le foto color seppia era solo e nelle foto di gruppo era in una posizione di rilievo. – Quello è il mio papà – spiegò Maggie. – La mamma a volte perdeva la pazienza con lui e diceva delle cattiverie sul suo conto. Da piccola una volta le chiesi: “Se papà era tanto catti vo, come mai lo hai sposato?”. E lei rispose: “Perché era l’uomo più bello che avessi mai visto”. Voltò la pagina. Foto di noz ze e foto di bambini. – Queste sono le nozze di mamma e papà, nel 1910. E questa sono io da piccola, po co prima che papà entrasse nell’esercito.

Aprì l’album. Sulla prima pagina c’erano fotografie di un uomo alto con i capelli chiari, vestito con l’uniforme della Prima guerra mondiale. SUL VIALE DEI RICORDI CON LA VECCHIA MAGGIE di Angelo Galantini

– Sei figlia unica, Maggie? – Sì. E tu? – Sì. Sfogliò le pagine più in fretta. Io guardavo il tempo scorrere, vedendo da un minuto all’altro i genitori di Maggie da giovani diventare vecchi e Maggie pas sare da bambina a ragazzina scatenata in un lindy. Il suo vi so, mentre ballava a piedi nudi – No! Lo so chi ti ha man dato! Sapevo che lo avrebbe fatto! No! No! Raccolsi i pantaloni e tirai fuori il distintivo nel conteni tore di pelle. Lo tenni sollevato. – Vedi, Maggie? Sono un agen te di polizia. Non volevo dirte lo. Tante persone detestano i poliziotti. Vedi? È un distintivo autentico, tesoro. Maggie lasciò cadere la pi stola, singhiozzando. Mi avvicinai e la tenni stretta. – Va tutto bene. Mi spiace che ti sia spaventata. Avrei dovuto dirti la verità. Mi dispiace tanto. Maggie scosse la testa ap poggiata a me. – Dispiace an che a me. Sono stata una scioc ca. Tu sei solo un uomo. Volevi portarmi a letto e hai mentito. Sono stata una sciocca. Sono io che dovrei scusarmi. – Non dire così. Ci tengo a te. – Come no. – È vero. – Le baciai la riga fra i capelli e la respinsi con dol cezza. – Stavi per mostrarmi il volume due, ricordi? Maggie sorrise. – D’accordo. Siediti e versami un brandy. Mi sentoMentrestrana.andava a prendere l’altro album, riposi la pisto la nella tasca della giacca. Lei a una festa del liceo da tempo dimenticata, era una versione così piena di speranze di quel lo che vedevo adesso da spez zare il

Bevevacuore.brandy, continuan do a parlare con malinconica monotonia, badando appena alla mia presenza. Pareva che volesse arrivare a qualcosa, pro cedendo lentamente verso una meta che avrebbe spiegato per quale motivo mi voleva lì. – Fine del primo volume, Bill –disse. Si alzò traballando dal di vano e fece cadere la mia giacca sportiva ripiegata. Raccoglien dola, notò la sua pesantezza e cominciò a frugare nella tasca dove avevo messo la pistola e le manette. Prima che riuscissi a fermarla, estrasse la .38, lan ciò un urlo e si allontanò da me indietreggiando, con la pisto la stretta nella mano treman te, puntata verso il pavimento. – No, no, no, no! – ansimò. – Ti prego, no! Non ti permetterò di farmi del male! No! Mi alzai e mi avvicinai a lei, tentando di ricordare se c’e rano tutt’e due le sicure.

– Sono un poliziotto, Maggie – le dissi piano, in tono rassi curante. – Non voglio farti del male. Dammi la pistola, tesoro. tornò stringendo al petto un album di pelle nera più sottile. Era raggiante, come se l’epi sodio della pistola non fosse maiRiprendemmoaccaduto. da dove ci eravamo interrotti. Lei aprì l’al bum. Conteneva una dozzina di istantanee di un bambino, probabilmente di poche setti mane, ancora pelato, che sbir ciava incuriosito in alto, verso un oggetto affascinante. Mag gie si portò le dita alle labbra e le premette sulle foto. – Il tuo bambino? – le do mandai.–Mio.Il mio bambino. Il mio amore.–Dov’è?–Lohapreso suo padre. – Sei divorziata? – Non era mio marito, Bill. Era il mio amante. Il mio ve ro amore. Adesso è morto. È morto del suo amore per me. – Come, Maggie? – Non posso dirtelo. – Che cosa è accaduto al bambino?–Èinun orfanotrofio, lag giù all’est. – Perché, Maggie? Gli orfa notrofi sono posti terribili. Per ché non lo tieni tu? I bambi ni hanno bisogno dei genitori, non di istituti. – Non dirlo! Non posso... Non posso tenerlo. Mi dispiace di avertelo mostrato; pensavo che avresti capito. Le presi una mano. – Capi sco, tesoro, più di quanto tu non creda. Torniamo a letto, va–bene?Vabene. Ma prima voglio mostrarti ancora una cosa. Tu sei un poliziotto. Sai molte co se sul crimine, vero? – Vero. – Allora vieni qui. Ti farò ve dere dove tengo il mio tesoro nascosto.

NESSUN ASSOLUTO, PER CORTESIA: MA L’INTELLIGENZA DEL PENSIERO. QUALSIASI QUESTO SIA

Non giudichiamo se è peggiore o migliore, semplicemente ne registriamo la differenza.

48 Siamo pessimi utilizzatori di tecnologie attuali. Non ne stia mo distanti per motivi ideologi ci e nostalgici, ci mancherebbe altro, ma, più semplicemente, non ne sentiamo alcun biso gno. Utilitaristicamente, fac ciamo uso della Rete soltanto se, quando e per quanto ne abbiamo effettiva necessità. Comunque, una dozzina di anni fa, incappammo in una vi cenda parallela allo svolgimen to della nostra rivista. Nel Blog del fotografo Massimo Prizzon, leggemmo una particolare in terpretazione di opinioni del no stro direttore Maurizio Rebuzzini, espresse in un Editoriale compi lato per il settimanale Foto-No tiziario, rivolto ai fotonegozianti. Come rilevò Massimo Prizzon, il citato Editoriale «riporta una notizia che pare abbia fatto di scutere». Testuale, dal Blog: «E resto a bocca aperta: da un la to, per la sorpresa di fronte a quello che la tecnologia può fare [può fare molto di più e diver so]; dall’altro, per lo sconcerto di fronte a ciò che questo im plica per la stessa dignità della fotografia e dei fotografi pro fessionisti [vero niente!]. «La notizia è questa (citiamo Maurizio Rebuzzini): “La recente tecnologia Sony della attribu zione volontaria del sorriso al soggetto che non sorride, tra le funzioni on-camera della nuova linea di compatte digitali Cy ber-shot W ha fatto discutere”. «Non c’è da meravigliarsene. C’è forse da meravigliarsi un po’ di più del fatto che Mauri zio Rebuzzini, osservatore soli tamente acuto della realtà del nostro settore [?], giudichi tan to positivamente questa inno vazione da arrivare a scrivere, peraltro dopo aver sottolineato i dubbi, gli imbarazzi e le per plessità di molta stampa e di diversi critici: “Altrove, capaci osservatori della socialità della fotografia hanno sottolineato un valore sovrastante, interpre ma del soggetto fotografato. E sappiamo anche bene che non è sempre un sorriso a fare un bel ritratto: anzi, a volte è proprio la sua assenza [e chi ha mai pensato il contrario?]. «E allora? Allora mi pare che in questo caso la tecnologia spinga verso un appiattimento della capacità espressiva dei fotografi e dei risultati che se ne potranno ottenere [e chi ha mai affermato il contrario / 2?]». Diavolo! Sappiamo di non essere permalosi. Quindi, non riflettiamo in quanto presunta parte in causa, che non siamo; ma, a distanza di tempo, an cora intendiamo ribadire un concetto che nulla c’entra con l’espressività del ritratto foto grafico, della quale siamo per fettamente consapevoli. Ancora, non intravediamo nulla che riguarda il linguaggio fotografico. Anzi, rinnoviamo la specifica che talune nuove applicazioni non hanno alcun debito di riconoscenza con la storia evolutiva degli apparec chi fotografici, ma dipendono più che altro da una sempli ficazione della Fotografia dei nostri giorni: la cui socialità è evidentemente un’altra. Non giudichiamo se è peggiore o migliore, semplicemente ne registriamo la differenza. E ne prendiamo atto, sollecitando in questa direzione la riflessio neLontanacomplessiva.danoi l’idea di ap plaudire a tutto questo, come tato in chiave assolutamente positiva: per la prima volta, nel la propria lunga e differenziata storia, la tecnologia fotografica non si rivolge al solo uso degli strumenti, via via semplificato e perfezionato, ma all’assolvi mento del soggetto. E la diffe renza non è poca” [in origina lità di ragionamento]. «E prosegue: “non per senti to dire, ma per effettive cono scenza e competenza, sottoli neo come questa funzione sia straordinaria, efficace e avvin cente per la propria capacità di coinvolgimento”. «Che la tecnologia sia arri vata a tanto è certamente ar gomento che personalmente mi lascia a bocca aperta, come dicevo [...]. Che la tecnologia sia arrivata a tanto, però, mi pare che sia anche argomento che non può che preoccupare chi ama davvero la fotografia (di gitale o analogica che sia). Se è infatti accettabile che il gran de pubblico dei “fotografi del la domenica” possa divertirsi a usare questa funzione, ben diverso mi pare l’argomento riferito a chi fotografa per ar te o professione (o per arte e professione).«Sappiamo tutti bene, noi fotografi, quanto complessa sia l’arte del ritratto. Quanto sia impregnata di psicologia, oltre che di tecnica. Quanto sia fondata sulla capacità di cre are empatia, di costruire una relazione, di entrare nell’ani rilevato in altro contesto, diver so da quello di addetti al la voro, capaci di comprendere le parole e i concetti, appunto sollecitati a valutare qualcosa che sta oltre la superficie e in teressa chi dibatte attorno la Fotografia, ragionandone senza pregiudizi selettivi e distrutti vi. Così, citiamo dall’articolo La macchina che fotografa solo sorrisi, di Roberto Rizzo, pub blicato sul Corriere della Sera del 24 aprile 2008. Il giornali sta ha riferito diverse opinioni, tra le quali quella di Maurizio Rebuzzini: la tecnologia del sorriso forzato «non ha nulla a che fare con la fotografia». Ancora avanti, l’articolo pro segue così: «Questi apparecchi sono figli del telefonino che fa le foto[grafie]. Oggi si scatta tanto per scattare. Non costa niente, le immagini non ven gono più stampate, ma questa trovata del sorriso è un vero paradosso». Si spieghi: «È co me se nella scrittura, nei libri o negli articoli di giornale, ci fossero solo frasi piacevoli per il lettore ed epiloghi a lieto fi ne». Invece? «La fotografia è altra cosa». Il suo è un giudi zio da purista, ma le foto[gra fie] le fanno tutti, non solo i professionisti. Comprensibile che si voglia la fotoricordo al massimo delle possibilità: «Ma qui siamo alla deformazione della realtà». Per un sorriso? «La macchina fotografica ave va una funzione sociale che è andata perduta. E, da oggetto magico, è diventato un appa recchio senza fascino». Insomma, è chiaro che dob biamo sempre dibattere sen za scontri di assoluti che divi dono? Che dobbiamo uscire dalle strettoie nelle quali una mal interpretata nostalgia ci ha cacciati? Che non dobbia mo mai schematizzare? Che non serve più essere sbrigativi? Che le parole siano conci lianti e intelligenti. ■ ■ / VOGLIAMO PARLARNE? / PAROLE NON DETTE (?)

■ ■ / SGUARDI SU / LEE MILLER di Pino BertelliSULLA FOTOGRAFIA DELLA COMPASSIONE E L’ORRORE DELLA SHOAH

Lasciamodell’Esistenza.stareaneddoti for vianti; a noi interessa incrocia re lo sguardo aristocratico, li bertario e libertino di questa fotografia dalla grazia eccel sa, e raccogliere nelle sue fo tografie il profumo del Vero, del Giusto e del Bene comune. Elizabeth “Lee” Miller nasce nel 1907 e muore nel 1977. In mezzo ci sta una carriera da modella, l’incontro con il surrea lismo, a Parigi, amori con artisti celebrati; poi, sposa un auto revole critico d’arte (sir Roland Penrose; 1900-1984), e l’ex-sofi sticata ragazza americana im pugna la macchina fotografica, indossa la divisa d’ordinanza e va al seguito degli Alleati, per conto di Vogue (!). Fotografa la Battaglia di Normandia, la liberazione di Parigi ed è tra i primi fotografi a documenta re le atrocità di Buchenwald e Dachau. Qui scatta alcune im magini di una tale profondità etica, che la renderanno -a ra gione- un’interprete singolare della fotografia sociale. L’anatomia accurata di una sua sola immagine dei Cam pi, ci fa “scoprire” spettatori o complici di un’inciviltà al passo dell’oca. Si tratta della fotografia presa a Buchenwald, il sedici aprile (ovviamente, 1945), cin que giorni dopo la liberazione

Solo colui che capisce sa contro condurrechi il proprio disprezzo!

La messe di fotografie sui Cam pi di sterminio nazisti non deve cessare d’inorridire, e i fotografi al seguito delle truppe alleate ne hanno raccontato la deso lazione. E, poi, ci sono soldati sconosciuti (nazisti, sovietici e statunitensi) che hanno foto grafato (anche involontaria mente) la Storia e la Memoria della Shoah; oltre, s’intende, ai fotografi che hanno catalogato l’Olocausto all’interno dei Cam pi. Gli studiosi hanno calcolato che sono oltre due milioni le immagini che documentano la più grande tragedia antro pica della Storia dell’Umanità. Però, l’odio antisemita, che qui si è alimentato anche con altre presunte diversità, viene da lontano, e la chiesa catto lica ha sempre considerato il popolo ebraico una peste da cancellare dalla faccia della Ter ra (al pari di altre presunte di versità, attorno le quali, oggi, si declina l’ostentazione di buoni sentimenti, tolleranza e bene volenza); per non dimenticare che, per molte nazioni e popoli, il solo ebreo / diverso buono è quello morto! [dal famigerato generale Philip Sheridan, Co mandante supremo dell’eser cito statunitense dal 1984, stra tega dell’eliminazione dei nativi americani, ovviamente in de clinazione mirata alla propria campagna di sterminio]. Le prime fotografie dei la ger furono scattate, per caso, dagli aerei di ricognizione de gli eserciti alleati; poi, vennero le immagini realizzate da foto grafi militari in occasione del la liberazione dei Campi, pub blicamente conosciute dal 28 aprile 1945, quando l’inglese The Illustrated London News pub blica le immagini del generale Eisenhower davanti alle vitti me nel campo di Ohrdruf [su questo numero, da pagina 10].

I fotoreporter più accredita ti furono Lee Miller, Margaret Bourke-White, George Rodger, senso, senza trovarlo! È il pro blema reiterato dei professori e degli allievi che non si sono mai misurati con i veri proble mi

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John Florea, William Vandivert. A causa della “guerra fredda”, già latente, molte immagini re alizzate da fotografi militari so vietici vennero censurate, per quanto non furono fatte circola re neppure in Unione Sovietica: lo stalinismo era ancora gron dante di sangue innocente (dei dissidenti) e i partiti comunisti (specie quello italiano), ancora legati ai finanziamenti del co munismo al potere, tentarono di coprirne gli assassinii. L’iconografia della compas sione di Lee Miller (nata Eliza beth; 1907-1977) decifra il sen so della storia nazista e il delit to che spinge l’Uomo ad agire contro l’Uomo per un credo, una convenienza o un partito: ebrei, Rom, omosessuali, comunisti, anarchici, gesuiti, testimoni di Geova, autistici, asperger, disa bili... e tutti quelli che puzzano d’eresia, sono avviati all’esecu zione sommaria. Tutto questo perché un imbianchino asceso al potere ha scritto in un libro che ci fa ribrezzo, Mein Kampf : «Gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani [...]. Dobbiamo essere crudeli, dob biamo esserlo con la coscienza pulita, dobbiamo distruggere in maniera tecnico-scientifica». La prosa hitleriana sembra inconcepibile anche alle men ti più illetterate, figuriamoci a quanti, in fondo, hanno anche studiato molto e spesso, per non capire niente. Le parole accar tocciate su se stesse cercano il del terribile Campo: prigionieri in abiti a strisce di carcerazione osservano un mucchio di ossa di corpi bruciati nel crematorio. A volte, e saggiamente, que sta fotografia viene reinqua drata alle sole ossa, con taglio sui prigionieri, dei quali non si vedono volti e fattezze, ma se ne percepisce l’angoscia. Una volta ancora, la guerra assente è più che presente! La fotografia della fragilità di Lee Miller s’accosta alla cata strofe ebraica (e di altri stermi nati) con accuratezza; l’amore volezza della sua ritrattistica in cide una lesione nell’Anima del lettore, perché non ne racconta l’eccidio, ma la risorgenza. E lo fa nel rapporto viscerale con i corpi sopraffatti dal dolore. C’è qualcosa di leggero, d’identitario, d’inesorabile nelle sue imma gini: briciole di realtà, che rive lano antiche detestazioni di un popolo. I vestiti a righe, le stelle gialle, i triangoli di altre colora zioni di asettica e cinica identi ficazione, i corpi ignudati d’ogni parvenza dell’umano conserva no un portamento, una nobiltà, un’intimità e una giustizia che non si lascia dimenticare: so no fotoscritture che elevano la passionalità del dissidio contro l’indifferenza. Nessuna angheria sarà mai abbastanza inclemen te da resistere allo sdegno di quanti l’hanno subìta o liberata Il delitto presuppone con vinzioni; l’insurrezione dell’in telligenza le abolisce tutte. La cartografia della Shoah, di Lee Miller, spazza via lo sporco del nazismo e la degradazione di Dio, anche. In ogni inquadratu ra, c’è l’infinità dell’Uomo che ritorna a se stesso e sconfigge la riprovazione del Male che gli hanno inflitto! Sono immagini che non appartengono al mon do intero. Solo colui che capisce sa contro chi condurre il proprio disprezzo! La ribellione è il segno più arcaico della libertà.

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