Verso il Convegno unitario del settore elettronico
— Il quadro di riferimento generale.
In queste settimane siamo impegnati a fronteggiare una crisi, sul cui carattere internazionale e strutturale esiste ormai un'ampia concordanza di giudizi. Sull'economia italiana gravano, inoltre, e si accentuano squilibri e distorsioni proprie del così detto « miracolo economico », cioè di quelle scelte di politica economica attuate nel dopoguerra che ci condizionano ancor oggi (auto, autostrade, elettordomestici, ecc.).
Il padronato italiano, pur fra profonde contraddizioni e difficoltà anche all'interno del proprio fronte e nei rapporti internazionali, persegue un disegno autonomo per fronteggiare la crisi, tentando di gestire una ristrutturazione fondata sull'attacco all'occupazione, ai salari, al potere complessivo conquistato in fabbrica e fuori dal sindacato e dalle forze politiche democratiche, in definitiva una ristrutturazione degli equilibri di potere fra padronato e movimento operaio e popolare.
Il percorrere questa strada significa, oltre ai sacrifici immediati che i lavoratori dovrebbero subire, ridurre drasticamente la base produttiva, e quindi in prospettiva un ulteriore aggravamento della crisi e dell'equilibrio democratico del paese.
E' interesse e necessità del movimento sindacale
contrapporre un proprio modo di opporsi alla crisi e di gestire le ristrutturazioni, all'interno del quale vanno introdotti fin d'ora, ponendoli al centro di ogni scelta, i problemi dell'occupazione, delle risorse produttive e intelettuali, del mezzogiorno, della diversificazione produttiva, in un quadro che abbiamo definito diverso modello di sviluppo. Questa risposta deve sapersi articolare su di un piano di priorità e individuando settore per settore forme diverse d'intervento a seconda della sua sua natura e prospettiva.
Una linea di rifiuto e di risposta alla ristrutturazione padronale passa, oltre che per la individuazione di obiettivi di sivluppo settoriali e territoriali qualificati, per una nostra tenuta complessiva sul terreno della contrattazione delle condizioni di lavoro e della sua organizzazione, condizione necessaria questa sia per introdurre indirettamente una domanda di alternativa che per non arretrare in fabbrica su di una linea del tutto difensiva che in prospettiva risulterebbe fatalmente perdente.
Impegno specifico nel settore elettronico.
Nel settore elettronico il nostro impegno deve quindi qualificarsi a due livelli:
— In generale per imporre un nuovo indirizzo di sviluppo ed una nuova politica del settore.
In particolare per rispondere a livello d'azienda alle ristrutturazioni in atto, garantendo e sviluppando le capacità produttive e le risorse intelletCOPITINIFA
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AVVIO DI UNA ANALISI E DI UN IMPEGNO COMPLESSIVO DELL'ORGANIZZAZIONE SINDACALE
tuali in un quadro di maggior autonomia dalle multinazionali.
IL CONVEGNO SUL SETTORE CHE STIAMO PREPARANDO A LIVELLO PROVINCIALE E NAZIONALE, LE PIATTAFORME E LE RISPOSTE CHE IN TUTTE LE AZIENDE STIAMO ELABORANDO TESTIMONIANO LO IMPEGNO CONCRETO DELL' ORGANIZZAZIONE IN QUESTO SETTORE.
Condizioni e scelte condizionanti il settore oggi.
Nel comparto elettronico l'impostazione di politica economica dell'attuale governo, non può che accrescere la dipendenza dalle grandi multinazionali americane, che ha portato non solo all'inesistenza di una qualsiasi linea programmatrice nel settore, ma ad una vera e propria liquidazione del patrimonio di uomini, di idee, e di impianti, che pur in misura limitata esisteva in Italia. Ouando denunciamo questa linea pensiamo alla LABEM per i piccoli calcolatori, alla LESA per l'eletronica strumentale e alle vicende storiche degli attuali laboratori HONEYWEL di Pregnana che stanno subendo un nuovo pesante attacco liquidatori°. C'è l'eccezione molto parziale, delle telecomunicazioni o-igi al centro di una torbida manovra di aumento tariffario e di gestione antidemocratica che pur presentandosi in forme diverse, come si vede, non cambiano la sostanza del giudizio.
Un richiamo alla memoria di alcune vicende del passato può meglio chiarire l'origine e la natura politica di certe situazioni oggi.. Molti, infatti, hanno ormai rilevato la non casualità del fatto che attorno al 1964 tre eventi apparentemente slegati siano avvenuti in stretta sequenza:
Morte di Mattei, affossamento del progetto di una autonomia energetica dell'Italia, ripresa completa del controllo petrolifero da parte dei petrolieri legati alle multinazionali.
Incriminazione di Ippolito e affossamento del piano di sviluppo delle centrali nucleari.
Vendita alla General Elettric della divsione elettronica dell'Olivetti.
Molte altre vicende fanno poi da cornice a questi eventi: ricerche sospese nella loro fase finale, esportazione di cervelli, decadimento della ricerca nelle università, ecc.; il tutto in un quadro di continua perdita di autonomia e di accresciuta presenza delle multinazionali. A dieci anni di distanza nessuno ha
più il coraggio di negare la gravità e le correlazioni tra questi fatti, ma si tende ad evitare di dire che essi avvennero perchè l'economia italiana, giunta a un bivio, o meglio a un momento di verifica del modello perseguito negli anni 50, fu indirizzata di nuovo sulla vecchia strada del profitto immediato, del non investimento in tecnologie e ricerche avanzate, verso la completa integrazione e dipendenza dall'estero. Si proseguì sulla via dell'auto, delle autostrade, degli elettrodomestici e si abbandonarono agricoltura, edilizia pubblica, ricerca, elettronica e energia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La nostra azione in aziende, nel settore, nel paese con la vertenza generale, i nostri contatti con i sindacati europei per la dimensione internazionale dei problemi, hanno come obiettivo finale il ribaltamento di queste scelte rivelatesi così catastrofiche per l'economia e i lavoratori.
— Caratteristiche e importanza del settore elettronico.
Vanno subito chiarite quali sono !e caratteristiche in quale rapporto sta il settore elettronico rispetto al discorso delle priorità economiche di cui il sindacato si fa portatore con le sue iniziative, questo per evitare sia sopravalutazioni che sottovalutazioni e mistificazioni abbastanza comuni.
In una parola d'ordine possiamo dire che l'elettronica è un comparto strategico rispetto ad una prospettiva di sviluppo e di indipendenza economica nazionale. Se questo giudizio valeva già ieri, oggi risulta ancor più marcato dati i nuovi equilibri internazionali determinatisi con l'emergenza economica e politica di una buona parte del terzo mondo. Questo giudizio comporta necessariamente, se accettato, il ritenere improrogabili degli investimenti qualificati nel settore controllati nella loro utilizzazione, investimenti anche ingenti e non immediatamente profittevoli tanto da richiedere un impegno pubblico che può andare anche ad aggravare l'attuale indebitamento. D'altra parte l'alternativa sarebbe continuare come si è fatto finora, cioè subire ricatti e complessivamente sopportare le stesse spese nel lungo periodo. Mancando una scelta precisa nella direzione indicata, con la riconversione tutta da fare dei settori che sono stati trainanti nel nostro paese, ci troveremmo vincolati da una doppia dipendenza, quella dalle materie prime e dalle produzioni di massa che sono ormai più economiche nel terzo mondo, da una parte, e quella dei beni tecnologicamente avanzati dall'altra, che sono già di fatto una
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esigenza interna matura del nostro mercato.
In aggiunta a tutto questo va anche considerato che il settore è in permanente sviluppo (15-20% in più all'anno) pur risentendo della crisi generale in termini di riequilibrio internazionale dei rapporti economici di forza fra Europa e U.S.A.
La prospettiva ancora aperta di accordi o fusioni a livello europeo nell'UNIDATA, l'avvio di una politica protezionistica in Giappone e in Inghilterra, gli accordi che stanno investendo la Honeywell Bull e la C.I.I. in Francia devono vedersi quindi non come ristrutturazioni conseguenti a una crisi di caduta del mercato, ma bensì come risposte allo strapotere IBM e americano in genere rispetto a un mercato che si fa sempre più esteso e articolato e sul quale si vuole esercitare un maggior controllo.
Il settore in Italia è nel fuoco di queste grandi manovre internazionali anche perchè, se si esclude l'Olivetti, non esiste nè un'industria nazionale nè un controllo o una programmazione che si muova verso una pur parziale autonomia. Tutto questo pesa, oltre che sulla bilancia dei pagamenti tecnologici, anche, come abbiamo già detto, sulla prospettiva di sviluppo e sulla possibilità di un uso alternativo dell'elettronica. La domanda, infatti, sia quella industriale che quella pubblica in generale si è sviluppata in questi anni in modo alquanto confuso, condizionata dalle grosse multinazionali e dalle ditte di consulenza loro legate che sono riuscite a vendere più quello che hanno voluto che quello realmente necessario; sono nati così
problemi di integrazione fra i vari sistemi, con sprechi e forme di sottoutilizzazione non solo come ore lavoro ma soprattutto di qualità-lavoro.
E' CHIARA QUINDI L'ESIGENZA, IN QUESTO MOMENTO DI RICONVERSIONE INDUSTRIALE E DI NECESSARIE RIFORME DEGLI ENTI PUBBLICI E DEI SERVIZI, DI UNA QUALIFICAZIONE DELLA DOMANDA IN SENSO DEMOCRATICO CHE TROVI NELLA RICERCA E NELLA PRODUZIONE UN INTERLOCUTORE O FORME DI RAPPORTI ECONOMICI E POLITICI DIVERSI DA QUELLI OGGI ESISTENTI. QUESTO ANCHE PER EVITARE MISTIFICAZIONI SUL RUOLO DELL'AUTOMAZIONE, CAPACE DI PER SE' DI REALIZZARE RISTRUTTURAZIONI POSITIVE E RIFORME.
Il fare mente locale alle aziende presenti in Italia (vedi schema completo all'interno del giornale) ci permette di capire la portata e i modi dell'impegno che dobbiamo sostenere. Innanzitutto una distinzione fra aziende il cui ciclo produttivo è oggi completo in Italia (anche ricerca) e quelle che invece svolgono solo attività tecnico-commerciale o una produzione parziale (es. montaggi) è pregiudiziale a qualsiasi discorso. Fra le prime possiamo annoverare la OLIVETTI, la HISI, per le seconde gli esempi della IBM, della UNIVAC e della UNIDATA (ex SIEMENS-DATA) sono i più significativi. L'intervento sulle prime deve essere di difesa e di sviluppo delle attuali capacità produttive e tecnologiche, la realizzazione di stretti legami fra queste e le scelte di programmazione che devono essere conquistate a livello politico, anche la definizio-
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ne di un intervento pubblico diretto può garantire meglio questo intreccio fra produzione e programmazione. Per il secondo tipo di aziende soltanto un condizionamento politico complessivo della domanda, un ruolo più marcato delle prime e eventuali interventi legislativi possono realizzare dei mutamenti significativi. A questo punto si deve rispondere a un quesito: « è possibile un condizionamento a livello nazionale del settore data la dimensione e il peso della presenza Statunitense, oppure l'unica via è quella a livello europeo »? Si tratta di rispondere sì all'esigenza di un discorso a livello europeo, perchè è l'unica dimensione che può permettere uno sviluppo del settore ad alti livelli tecnologici e in termini di equilibri concorrenziali con gli USA, ma bisogna precisare se a questo incontro-confronto l'Italia va da » parente povera » o con una struttura e una realtà di scelte politiche alle spalle che le possono dare un peso contrattuale. E' evidente quindi che in Italia una politica pubblica di sostegno dell'industria elettronica non può e non deve assumere come parametro la semplice dimensione del mercato nazionale, bensì l'obiettivo di consentire, in specifici campi, una piena competitività sui mercati mondiali.
Sono queste le ragioni d'altronde per cui nei maggiori paesi europei, i governi hanno da tempo promosso lo sviluppo dell'elettronica, con specifici piani di settore, e con l'impiego di rilevanti oneri finanziari, miranti non solo a diffondere nel paese l'utilizzazione dei moderni strumenti e metodi di elaborazione dei dati, ma anche a creare e sostenere una propria industria nazionale sufficientemente forte, sì da poter tener testa agli USA. Tanto più un piano di promozione pubblica dell'elettronica (affiancata a quelli che dovrebbero essere strettamente interconnessi della ricerca e dei settori della componentistica e delle telecomunicazioni) avrebbe dovuto essere messo in opera già da molti anni in Italia:
perchè l'industria elettronica costituisce la via obbligata di trasformazione dell'industria italiana che nel campo delle apparecchiature elettromeccaniche (Olivetti) e telefoniche (Stet) ha da molto tempo acquistato una buona posizione di primato sul mercato;
perchè il processo di ristrutturazione industriale vede l'introduzione dei nuovi sistemi di automazione (calcolatori di processo, macchine a controllo numerico, ecc.);
perchè solo un intervento pubblico controllabile democraticamente (oltre al nostro impegno sindacale, naturalmente!!) può garantire che l'impatto con queste nuove tecnologie non si traduca in minor occupazione e peggioramento delle condizioni di lavoro;
perchè infine il modo di diffusione dei moderni sistemi informativi, e il loro mancato coordinamento nel settore pubblico condiziona la riforma dello stesso.
La componentistica e complementi del settore: ricerca e formazione
Non a caso abbiamo più volte sottolineato la stretta interdipendenza di tutto il » ciclo » del settore, cioè dalla ricerca alla utilizzazione. Infatti ogni nuovo prodotto è composto da parti modulari che si combinano in diversi modi per formare diversi nuovi prodotti e sistemi, i risultati della ricerca e della progettazione dell'hardware sono quindi strettamente dipendenti da quelli del softare e viceversa, lo stesso discorso vale per la ricerca in senso stretto e la componentistica. Un impegno a questi vari livelli e anche sulla formazione scolastica diventa quindi indispensabile per rendere credibile un » progetto alternativo » nel settore. Per quanto riguarda la componentistica l'Italia vanta la presenza di un grosso complesso quale la SGS-ATES controllata in parte dall'IRI (Stet), i livelli produttivi e tecnologici disponibili sono notevoli, carente è invece la politica commerciale e finanziaria che ne mette in discussione la prospettiva anche in ragione dell'invasione del mercato di componenti USA a basso costo dovuti al blocco dei progetti NASA e alla sconfitta nel VIETNAM. Anche da questo punto di vista siamo di fronte alla necessità di una maggior autonomia e di un più qualificato intervento pubblico.
La ricerca e la formazione richiedono invece un intervento di lungo periodo che parta però già dalla necessità di una più rigorosa selezone dei settori su cui concentrare, non saltuariamente ma con continuità, gli sforzi, in relazione a chiare finalità di carattere sociale.
L'analisi fin qui condotta pur nella sua frammentarietà e genericità dà comunque la portata dello scontro che siamo chiamati a sostenere sia in fabbrica rispetto alle ristrutturazioni, sia sul piano economico generale per contrastare e condizionare le multinazionali e sia rispetto alla dimensione propriamente politica a cui dobbiamo necessariamente riferirci per ottenere o determinare in prospettiva dei risultati. Le forze disponibili a questo impegno sono al momento attuale forze potenziali; vanno quindi stimolate, impegnate a tutti i livelli individuati.
Questo giornaletto, il convegno vogliono essere quindi dei primi momenti, i risultati e la continuità che .ne conseguirà saranno la verifica della loro validità.
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1. SITUAZIONE
L'attuale consistenza e composizione della forza lavoro nel settore dell'informatica (soprattutto a livello di utilizzatori dei calcolatori) non è ben nota: dovrebbe aggirarsi sulle 40.000 unità. Dov'è stata formata? Prima di dare una risposta ed indicare le tendenze in atto, anticipiamo un giudizio: quand'anche la scuola pubblica italiana (università compresa) si fosse disinteressata dell'informatica, la situazione nel settore non sarebbe granchè diversa da quella che è.
Negli ultimi anni si sono svolti anche convegni sul tema della formazione del personale « informatico » a cura dell'AICA (1), oppure patrocinati dalle stesse ditte costruttrici. Furono fatte previsioni che stimavano fra 40.000 e 56.000 i laureati e fra 100.000 e 140.000 i diplomati da formare per il settore tra il 1970 e il 1980.
Per mettere a frutto queste rosee previsioni (di qualche anno fa: ora c'è la crisi...) sono fioriti scuole ed istituti privati, nati essenzialmente a scopo speculativo, che rilasciano titoletti dopo qualche mese di scuola, ben pagati dagli allievi, naturalmente, col miraggio di favolosi futuri guadagni!
In realtà, la grande maggioranza del personale, soprattutto di un certo livello, anche presso gli utenti, è formato dalle società costruttrici multinazionali, che così vincolano ulteriormente le aziende ai propri prodotti.
La scuola pubblica è stata a lungo assente: da qualche anno alcune università (Pisa, Torino, Bari, Salerno) hanno iniziato corsi di laurea in « Scienza dell'informazione ». In quasi tutte le facoltà di Scienze, nei corsi di laurea in matematica e in fisica, e ad Ingegneria, ci sono indirizzi « cibernetici », di « calcolo automatico », di « calcolatori ». In alcuni istituti tecnici, industriali e commerciali, si può conseguire il titolo di perito informatico.
Ciononostante, di fronte a questo sforzo, gli utenti di calcolatori, che da anni denunciano la carenza di Personale informatico « ben preparato », si dichiarano ìn gran parte insoddisfatti della formazione attualmente fornita da scuole e università, perchè, sostengono, per niente funzionale alle loro esigenze.
Si è visto, dunque, che centrare il discorso della formazione in informatica sulla scuola pubblica, anche a livello universitario, non serve molto a chiarire i termini del problema.
Come mai, infatti, il perito, il geometra, il ragioniere o l'ingegnere meccanico o civile, totalmente fino a qualche anno fa, e parzialmente ancora oggi, vanno bene, tutto sommato, all'industria, e il perito o l'ingegnere o li fisico « informatico », in gran parte, non vanno bene?
In realtà, chi controlla il mercato del lavoro dell'informatica sono le case costruttrici multinazionali. L'IBM, che è in posizione di assoluto monopolio, può fare a meno, e fa a meno, della scuola italiana, perchè è in grado di assicurare la formazione a tutti i livelli, dalle perforatrici agli ingegneri « sistemisti ». Conoscendo molto bene la situazione dei calcolatori installati o le previsioni di installazioni e formando nelle sue scuole la quasi totalità del personale informatico per i suoi utenti, può controllare il numero e il tipo di specialisti nel settore a suo piacimento. Considerando soltanto i tipi fondamentali di corsi forniti dall'IBM, si hanno i seguenti dati per il periodo gennaioottobre 1974 (fonte: convegno AICA - Milano, 7-8 novembre 1974):
giornate di presenza corsi tecnici (hardware, sistemi operativi, linguaggi, teleprocessing)
63.817 corsi avanzati (Data Base, Data Communication IMS - DL1 - CICS)
6.738 corsi professionali (sistemi informativi, organizzazione aziendale, analisi, statistica, ricerca operativa, ecc.)
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Controllando di fatto la domanda e l'offerta di specialisti, da una parte, e con una politica di alte retribuzioni (consentite dagli alti profitti) dall'altra, l'IBM non vende (o affitta...) solo il calcolatore e i servizi connessi, ma attraverso esso fa passare nelle aziende S' utilizzatrici un tipo di organizzazione del lavoro, pe
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2. LA FORMAZIONE ASSICURATA DALLE MULTINAZIONALI DEI COMPUTERS
« stile », un modello comportamentale. Questo si può capire facilmente se si pensa che il servizio EDP (1) è un elemento trainante nell'azienda, non solo da un punto di vista tecnologico ma anche, appunto, comportamentale e di « modello »: infatti nel servizio EDP ci sono spesso gli uomini meglio pagati, apparentemente più efficienti, i manager più giovani, ecc.; inoltre il servizio EDP, per sua natura, è in contatto continuo con tutte le unità aziendali.
3. LA FUNZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA
Da quanto detto emerge il ruolo del tutto secondario che la scuola pubblica svolge nella formazione in informatica, e le ragioni « politiche » di questa marginalità.
In realtà, vista la struttura e le esigenze del mercato del lavoro dell'informatica in Italia, i « prodotti » della nostra università, e in particolare i laureati in « Scienza dell'informazione », vi trovano difficile collocazione. Anche quando sono ben preparati, sono essenzialmente dei ricercatori accademici che hanno pochissimo spazio nella struttura dell'informatica professionale italiana. Come per altre facoltà, i laureati in informatica servono ad alimentare se stessi, in un circolo chiuso: sono stati formati a formare chi formerà! Se escono da questo circolo, salvo casi rari, devono svolgere mansioni diverse da quelle per cui sono stati preparati.
Per concludere, alla scuola pubblica viene riconosciuta al più una funzione culturale, anche in informatica, essendo chiaro che la formazione professionale verrà fatta, e « controllata », altrove.
"Le multinazionali operano come stati negli stati "
L. Echeverria
Presidente del Messico
COSA CHIEDE L'INDUSTRIA?
In fondo l'industria chiede alla scuola pubblica niente di molto diverso di quello che ottiene dalle scuole aziendali interne o dalle scuole dei costruttori multinazionali di computers.
Eppure, secondo le aziende, la scuola pubblica una funzione l'avrebbe: quella di scaricare sull'intera col, lettività i costi che attualmente esse devono sostenere per l'addestramento ed aggiornamento specifico. Sosteneva, per esempio, il dott. Massa della Datamont (gruppo Montedison), al già citato convegno AICA, che la sua azienda spende 100 milioni all'anno per addestrare ed aggiornare il personale EDP, per carenza di strutture pubbliche che soddisfino le precise esigenze aziendali in materia di informatica. E proponeva l'istituzione di una o più scuole di superspecializzazione (che, dunque, alleggerissero imprese come la sua dagli oneri finanziari suddetti!).
CONCLUSIONI
America domani
Il mercato del lavoro e la formazione degli specialisti in informatica hanno caratteristiche ben diverse dalla grande maggioranza degli altri settori, perchè sono distorti dal ruolo monopolistico delle grandi società costruttrici multinazionali (IBM in testa).
La scuola probabilmente avrebbe potuto recuperare il suo ruolo di informazione e formazione anche in informatica se non ci fosse in questo campo da sempre un monopolio, di fatto, della tecnologia, delle conoscenze, della formazione stessa. Questo monopolio impedisce, perchè non necessaria (e meno « controllabile »), la funzione di mediazione della scuola tra conoscenze ed applicazioni, e di diffusione di conoscenze e competenze, funzioni — di mediazione e diffusione — indispensabili in quasi tutti gli altri settori.
(1) AICA: Associazione Italiana di Calcolo Automatico, che riunisce case costruttrici, utenti e ricer-
catori dell'informatica.
(1) EDP: “ electronic data processing »: elabora6 zione elettronica dei dei dati.
Se l'uomo accetterà di farsi controllare potrà essere sempre piú felice.
Prof. William E. Rusk del Rockefeller Center
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Centri servizi
La cornice in cui si inseriscono
Entrati negli anni sessanta e messa a punto quella che nel settore dell'informatica è detta « terza generazione », basata cioè su transistor e circuiti integrati, il calcolatore elettronico, esce dalla fase sperimentale e da un impiego ancora timido e grossolano, e si presenta al grande pubblico pronto per i più svariati impieghi.
Le case costruttrici (quasi esclusivamente americane) presentano un prodotto di relativa facilità di installazione e manutenzione, con notevole capacità di elaborazione e facilmente « accessibile » a diversi tipi di programmazione.
E' un oggetto mitico che affascina e terrorizza soprattutto chi non ne capisce niente ma pretende di indovinare finalità e sviluppi. Tutti lo vogliono! Saranno pochi coloro che resistono alla tentazione di mettersi all'occhiello un « centro elaborazione dati », perchè dà tono e prestigio all'azienda. Il piccolo modello 360/20 dell'IBM è un poco come la « seicento » per gli italiani del boom economico.
Saperlo usare, però, è un altro paio di maniche! Fargli fare qualcosa di più di una semplice calcolatrice, sia pure grossa ed elaborata; sapere usare in modo più produttivo tutta quella « memoria » e la velocità di elaborazione sono cose un poco più complicate e costose. Lo studio dei programmi, la ricerca, la sperimentazione e tutto ciò che porta ad un migliore e più efficiente utilizzo della macchina rimane, in linea di massima, prerogativa delle case costruttrici che, ovviamente, non danno niente gratis. Anzi!
IBM, in primo luogo, ma anche Honeywell e Univac (che sono le tre « grandi » del settore) impongono i loro prezzi e soprattutto la loro « tutela ».
II calcolatore, anche perchè deve avere attorno a sè un certo numero di tecnici qualificati con adeguati livelli salariali, diventa per una buona parte degli utenti un gingillo molto costoso. A questa situazione aggiungiamo la tendenza padronale a prediligere l'appalto, appena questo è possibie. In questo caso sì tratta di preparazione dei dati: perforazione, spunta programmazione ecc. Ed ecco formarsi i centri servizi.
Un poco di storia
Una prima fase di tipo spontaneo e anarcoide, vede sorgere società che offrono servizi di perforazione, verifica, programmazione ed in alcuni casi analisi. Talvolta tutti assieme questi lavori. Talvolta solo alcuni. Raramente si usa il calcolatore.
Queste società offrono il loro servizio a chi intende appaltare questi tipi di lavoro. Il quadro complessivo di questi centri servizi va dal gruppo di programmatori, messisi in società alla ricerca di alte remunerazioni (spesso effettivamente reali) e di una certa autonomia (spesso però più apparente che reale), a ditte di vario genere con personale dall'ordine della decina di unità fino a qualche centinaio, a vere
e proprie società-ombra.
Nella quasi totalità dei casi regna la mistificazione più completa del lavoro « tecnico », da uomini del futuro (in particolare tra gli analisti e i programmatori) cui si aggiunge il paternalismo in tutte le sue versioni. Va da sè che contratti collettivi di lavoro e obblighi previdenziali, qui, sono spesso ignorati.
L'introduzione dei calcolatori nella pubblica amministrazione (stato, parastato ed enti locali) effettuata senza la benchè minima programmazione e spesso per motivi di prestigio, è stata per costoro una vera e propria manna.
Un'altra parte dello sviluppo dei centri servizi riguarda quelli organizzati e gestiti da aziende facenti capo essenzialmente a grossi gruppi economici, banche, gruppi di vendita organizzati ecc. Questi tipi di centri servizi si aggiungono a quelli precedenti, a volte senza sostituirli, dei quali anzi si servono a loro volta per quelle funzioni dell'elaborazione dati o non remunerative rispetto agli obiettivi o dequalificati (e ciò riguarda ancora e soprattutto la perforazione). Questi centri infatti si basano principalmente sull'utilizzo del calcolatore con annessi servizi di programmazione e di analisi, nonchè consulenza. La gamma della offerta va dall'affitto puro e semplice di ore/macchina, alla esecuzione di programmi o intere procedure, spesso con consulenti « in loco » di personale adatto. Sviluppatisi ulteriormente, i servizi offerti diventano più sofisticati e completi: si arriva alla possibile automazione del ciclo gestionale.
Ecco quindi che l'informatica entra nella gestione aziendale, ne ruba i « segreti », e offre la sua capacità di « razionalizzare ». Si verifica spesso che non è l'azienda (o l'ente...) a cercare il centro servizi per le sue necessità, ma è il centro servizi ad offrire il suo « prodotto » e i suoi « studi ».
Una funzione particolare hanno, in questi centri, le « banche di dati », veri e propri schedari anagrafici magnetizzati di solito con molte informazioni che, mediante opportuni programmi, possono fornire vari tipi di elenchi, secondo le « necessità » del cliente.
In notevole sviluppo è l'impiego di terminali, anche in rete, per potere usufruire dei servizi del calcolatore anche a distanza.
Il settore pubblico, anche per questi centri cò nìe per quelli spontanei, ma ad un livello più alto, è, manco a dirsi, un eldorado.
Il personale impiegato è in genere di parecchie decine, e abbastanza spesso oltre il centinaio, di dipendenti. Quasi tutti i centri più grossi sono organizzati in più filiali nelle principali città. L'organizzazione del lavoro è più sviluppata che non in quelli spontanei. I nuclei centrali sono gli analisti, i programmatori e gli addetti al settore operativo, tutti questi sono i « tecnici » dell'informatica. Vige, in particolare per programmatori e analisti, una politica salariale di superminimi e incentivi, con una continua ideologizzazione (e idealizzazione) del lavoro, del calcolatore, della azienda ecc. Il risultato è una notevole mistificazione del proprio ruolo che, a volte, porta ad una inte- 7 grazione nelle scelte aziendali.
CONTINUA IN IO.
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ELETTRONIcq
Il panorama attuale
La realtà attuale vede una miriade di centri di perforazione schede e immissione diretta dei dati su nastri e dischi, che sfuggono ad ogni controllo. Dire quanti sono, oggi, è pressochè impossibile. Ma la mole dei dati « trattati » sui supporti magnetici da immettere nei calcolatori per le varie elaborazioni è notevolissima e si può ben vedere come sia un fenomeno tutt'altro che in diminuzione, se si considera il notevole sviluppo previsto per l'elaborazione dati in Italia. La dequalificazione è una caratteristica di questi lavori di perforazione e di preparazione. Questo costituisce una parte rilevante di tutto il lavoro di meccanizzazione dato in appalto. E' ouindi una realtà in cui bisogna intervenire ponendo all'ordine del giorno il problema del lavoro in appalto e la sua abolizione.
Di centri servizi più propriamente detti ce ne sono anche parecchi; non ci sono dati precisi ma sono più diffusi di quanto si creda. Ma non sono più di 15, forse 20, quelli grossi con oltre cento dipendenti.
Essi sono principalmente il modo con cui il capitale italiano entra nel settore dell'elaborazione dati, visto che è stato escluso da quello della produzione dei calcolatori. La maggior parte di questi centri infatti sarebbe controllato da quelle centrali che fanno capo ai potentati economici e dell'alta finanza italiana.
Questi potentati, da una parte ne garantiscono lo sviluppo e la sopravvivenza con i dovuti appoggi politici (con più o meno tacite suddivisioni di compiti e di settori di intervento), dall'altra hanno in mano un efficace strumento di studio e pianificazione, utilissimo per la continua necessità di controllo e ristrutturazione che ha il capitalismo italiano nella sua fase storica attuale.
IL CALCOLATORE NELLA UNITA'
Anche in Italia sono ormai numerose le applicazioni del calcolatore all'assistenza sanitaria. Nel 1972 circa 120 ospedali risultavano utenti di mezzi di calcolo, e supponendo che la diffusione del calcolatore sia avvenuta con un incremento del 25-30% annuo, si
può supporre che attualmente circa 180-200 ospedali siano utenti di calcolatori. Si tratta in generale di ospedali di dimensione medio-grande, cioè sopra i 400-500 posti letto. La loro dislocazione geografica .10 vede numerosi ospedali nel Veneto, in Lombardia, Pie-
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monte ed Emilia, ed i più grossi ospedali nel Mezzogiorno.
Apparentemente, il fatto che un calcolatore sia usato « per la salute » sembrerebbe di per sè un modo « positivo » di utilizzarlo. In realtà occorre guardare un po' più a fondo in questo settore, per cercare di ricavarne alcune indicazioni di massima.
Fino ad ora, come si è detto, nella sanità il calcolatore è entrato esclusivamente attraverso l'ospedale. Questo, essendo nella società attuale, organizzato come una azienda, ha incontrato gli stessi problemi delle aziende produttive: crescita del lavoro burocratico, conseguente aumento del personale impiegatizio e conseguente aumento dei costi. A questi problemi ogni ospedale, in assoluta autonomia e mancanza di coordinamento, ha cercato di far fronte con l'adozione del calcolatore, utilizzandolo prevalentemente per la preparazione delle paghe e stipendi del personale, e per la fatturazione delle rette di degenza, talvolta per la gestione dei magazzini. In questo modo, l'introduzione del calcolatore ha rafforzato il carattere aziendale dell'ospedale, senza per altro consentire, finora, un vero ed efficace controllo di gestione sull'attività e sulla spesa dell'ospedale stesso.
Oltre che per le applicazioni contabili-gestionali, il calcolatore è stato frequentemente usato nella gestione del laboratorio di analisi, in base alla considerazione che lì si trattavano dati numerici, e quindi più facilmente gestibili su calcolatore.
Le case costruttrici di calcolatori guardano alla sanità come ad un mercato molto promettente perchè poco critico, ripetendo in sostanza la strategia commerciale che dieci anni fa le portò, complice la impreparazione degli utenti, ad invadare il mercato delle aziende produttive. In questo settore è impegnata, oltre le consuete IBM, Honeywell ed Univac, anche la FIAT, attraverso la proprietà della SORIN e della SPO e la sua partecipazione alla SAGO.
Si può affermare con certezza che l'introduzione del calcolatore ha apportato sostanziali benefici nel settore dell'assistenza sanitaria? Ha veramente migliorato il modo di offrire al cittadino un servizio sanitario? Allo stato attuale ci sembra problematico affermarlo, per le ragioni che abbiamo detto. L'utilizzazione del calcolatore per fini amministrativo-gestionali può aver consentito — diciamo può perchà la cosa è tutt'altro che dimostrata — qualche aumento dell'efficienza del lavoro burocratico, sen'a che questo si sia tradotto in un vero miglioramento assistenziale: negli ospedali si fa ancora la fila per l'accettazione e per le visite ambulatoriali, si ripetono ancora tutti gli esami di laboratorio e radiografici ad ogni ammissione, si attendono ancora in un letto giornate intere per poter fare una radiografia. Il calcolatore non poteva incidere in una situazione organizzativa che dipende dai rapporti di potere esistenti dentro l'ospedale, dal sovraccarico, dalla carenza degli organici, dall'atteggiamento della componente medica. Credere, o far credere, che questi problemi siano superabili con una soluzione puramente tecnica e non politica, ha rappresentato la mistificazione tecnocratica attraverso la quale il calcolatore è entrato nella sanità.
E' possibile servirsi di questi strumenti per una gestione diversa del problema della salute? La risposta non è immediata, perchè le elaborazioni e le sperimentazioni che si muovono lungo una linea non tecnocratica sono ancora molto scarse. Esse sono dovute prevalentemente ad alcune Regioni (Emilia, Umbria,
Toscana) che si sono correttamente posto, prima ancora del problema « calcolatore o non calcolatore », il problema di quali possano essere i criteri per gestire l'informazione sanitaria, elemento certo non trascurabile di una corretta politica sanitaria. Evitando la tentazione di ricalcare pedissequamente i modelli stranieri (come il celebre Sistema Informativo automatizzato realizzato in Svezia, che trova la sua matrice in una impostazione personale ed atomizzata, cioè non politica, del rapporto cittadino-stato), si cerca di elaborare e sperimentare modi di gestione dell'informazione, o, come si dice, sistemi informativi, che: non privilegino il momento della cura, rappresentato dall'ospedale, ma accentuino il momento della prevenzione, cioè della conservazione dello stato di salute;
superino il criterio della dimensione strettamente individuale, privilegiando ad esempio il gruppo omogeneo in fabbrica, il distretto di quartiere o scolastico, rispetto al cittadino considerato isolato dal suo contesto;
rinuncino almeno in parte all'oggettivazione carismatica ed autoritaria da parte del medico, recuperando gli elementi soggettivi dell'informazione. Gli esperimenti pilota in questo senso sono quelli di controllo operaio della nocività, per esempio alla Montedison di Castellanza e alle Acciaierie di Terni;
che non « esproprino » i soggetti delle loro informazioni, ma gli lascino in ogni momento il controllo su queste informazioni, sull'uso che se ne fa, sulle elaborazioni alle quali si assoggettano.
E' chiaro che questi criteri, discussi e verificati, imporrebbero delle scelte tecniche motivate politicamente, e quindi costringerebbero a ribaltare la logica della « tecnica neutrale », che vede adottare soluzioni politicamente gravide di conseguenze soltanto perchè tecnicamente fattibili o economicamente vantaggioSe (certamente per la IBM...).
I tecnici dell'informatica, gli operatori sanitari, attraverso le loro organizzazioni, i cittadini tutti, come utenti e protagonisti del servizio sanitario, sono chiamati a confrontarsi con questi problemi, e a respingere tutte quelle soluzioni che conducono ad un irrigidimento del sistema sanitario, ad un suo accentramento burocratico, all'esclusione del cittadino dalla gestione della propria salute.
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IL CALCOLATORE ELETTRONICO NEW AZIENDA
Le origini del calcolatore elettronico sono anteriori alla seconda guerra mondiale ma solo alla fine di questa, come riflesso delle applicazioni belliche che svilupparono notevolmente l'elettronica, si può parlare di uso del calcolatore in termini anche commerciali.
Oggi se ne parla e viene usato in tutti i campi, dalla gestione della salute al controllo del traffico stradale, dalla conquista dello spazio all'applicazione nella semantica passando per l'istruzione programmata. Ma il campo dove più ha trovato applicazione è, senza dubbio, quello dei settori produttivi.
Perchè questo? Perchè l'impresa era l'attività organizzativamente più simile a quella militare (struttura piramidale, gerarchica, con obiettivi precisi, ecc.) e allora il calcolatore si indirizza verso questo mercato.
Nonostante lo sviluppo del calcolatore, le così dette generazioni, sempre più sofisticate, nella pratica, tenendo fermo questo modello organizzativo d'azienda, non veniva alterato il « come si facevano le cose, ma le si faceva solo sempre più « rapidamente » a secondo del tipo di elaboratore.
Nel frattempo le imprese si ingrandivano, diversificavano la loro produzione, aumentava il numero di quelle che uscivano dal quadro nazionale per assumere il carattere di multinazionale. L'alta direzione delle imprese doveva, sempre di più, articolare e delegare il suo potere per controllare l'attività a misura dell'espansione. Questo rafforzava la presenza dei quadri intermedi e l'elaborazione dati rappresentava lo strumento capace di recuperare e centralizzare il potere che era stato articolata e delegato. Per questo fin dall'inizio l'utilizzo si orientò al campo della gestione amministrativa e al suo controllo e non ai processi produttivi. L'automazione dei processi produttivi non rivestiva infatti molto interesse, era un investimento costoso mentre la mano d'opera era sempre economica. L'esercito di riserva dei disoccupati del Sud d'Italia per il Nord o per la Germania insieme ai « terroni » di altri paesi (Turchi, Yugoslavi, Spagnoli, ecc.) o al massimo, una consociata nel Terzo Mondo assicurava, sempre, la produzione a prezzi bassissimi senza grandi investimenti e con garanzie politiche facilmente intuibili. (FIAT in Argentina e Brasile - FORD in Brasile, Argentina - OLIVETTI in Spagna, ecc.).
Così l'uso del calcolatore si presenta selettivo e va ad intaccare essenzialmente le tradizionali mansioni impiegatizie, creandone di nuove, ma non alterando nella sostanza le gerarchie di potere.
L'aumento vertiginoso dell'uso dei calcolatori (que-
sto uso!) si accompagna e viene alimentato da una forma nuova di feticismo verso la macchina: « l'automazione assoluta ». Tutto questo è chiaro, inventato e alimentato dai produttori di queste macchine. Diceva in una intervista Jacques Maisonrouge, presidente dell'IBM mondiale: « Quel che importa, innanzitutto, è il fatto che il calcolatore, captando e raccogliendo un gran numero di informazioni, consentirà di giungere facilmente alla decisione. Qualunque sia il problema ». Ma non è soltanto una questione di vendita di più elaboratori, queste aziende producono organizzazione, un tipo di organizzazione che permette al capitale internazionale di gestire, controllare. intervenire rispetto alla produzione capitalistica e alla sua divisione e distribuzione nel mondo.
Il tipo particolare di applicazione generalizzata, prima descritta (grande percentuale di investimento nell'applicazione della gestione amministrativa con cui si realizza più « rapidamente « quello che si faceva prima), tralasciando per un attimo le conseguenze macroeconomiche appena descritte, ha generato diversi problemi all'interno dell'azienda che possono essere analizzati sotto il titolo di impatto del calcolatore sull'organizzazione. Cioè la possibilità di valutare il modo con cui sono stati fissati gli obiettivi dell'ap>>
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plicazione; in che modo la struttura preesistente ha influenza di fatto le scelte; in quali forme si realizza una partecipazione attiva » di tutti gli elementi coinvolti e in che modo si attuano i collegamenti necessari. Al riguardo ci sono opinioni diverse. C'è chi dice che: il calcolatore in quanto strumento, è neutro rispetto all'impiego che può esserne. La validità o meno del Suo inserimento nell'azienda dipende quindi dalla volontà della direzione di usarlo in un modo piuttosto che in un altro ». Altre voci sostengono che la domanda: « come impiegare un calcolatore nell'impresa » è in breve una domanda errata. Una migliore formulazione garébbe, secondo questi, quella di chiederci come l'impresa debba venir gestita dal momento che i cal-
colatori esistono. La miglior versione di tutte è porsi la domanda: « che cosa è oggi, data l'esistenza del calcolatore, una impresa, visto che uno strumento di tecnologia molto avanzata implica di per sè un modo di operare, la sua logica interna costringe ad una organizzazione, un modo di svolgersi che ne costituisce un oggettivo condizionamento ».
Ritorniamo quindi anche per questa via « aziendale » ai giudizi espressi da un punto di vista macroeconomico, cioè, che vale poco, anzi è pieno di pericoli, ritenersi soddisfatti di partecipare a queste forme di « progresso « senza programmi ed obiettivi propri dei lavoratori e delle masse popolari.
GLI ELABORATORI ELETTRONICI
NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
I ritardi che ha il movimento sindacale nell'analisi e nelle risposte sugli effetti prodotti dall'automazione nell'industria, esistono e sono ancor più pesanti per quanti riguarda la Pubblica Amministrazione, sia statale che degli Enti Pubblici (il cosiddetto Parastato: gli istituti previdenziali ed assistenziali, mutue ecc.INPS, INAM, INAIL, ENPAS, INADEL ecc.).
Una collocazione organica di questi problemi della P.A. all'interno del dibattito avviato appare estremamente importante: 1) per le dimensioni del fenomeno (si calcola che una rilevante quota di utilizzatori degli elaboratori sia costituita da Enti Pubblici); 2) perchè l'automazione — nel bene e nel male — influisce sui tempi e sulla qualità dei servizi e quindi interessa direttamente milioni di lavora•ori.
Per quante riguarda il primo punto, è facile intuire come — rispetto ad un'estrazione umanistica (o pseudo tale) della quasi totalità delle fasce più alte e potenti della burocrazia (e anche della stragrande maggioranza degli amministratori) il « feticcio-robot «, opportunamente presentato, abbia costituito una sirena pressochè irresistibile, che prometteva facili e rapide soluzioni, anche se con costi piuttosto elevati (ma, come si sa, « paga Pantalone »); e inoltre perchè costituiva una verniciatura di modernità ed efficienza che poteva costituire un sia pur momentaneo diversivo rispetto alle pressanti richieste di una reale e democratica riforma della Pubblica Amministrazione.
La linea del governo e degli altri burocrati, nei confronti di questo fenomeno, ha avuto una « evoluzione », nel corso degli anni, ed è press'a poco riassumibile in questi termini, abbastanza sommari, ma singolarmente coincidenti rispetto all'evolversi dell'automazione nei vari Enti e amministrazioni:
1) l'automazione avrebbe risolto tutti i problemi, e la sua stessa introduzione era una concreta prova di impegno in questo senso; 2) l'automazione era appena iniziata, occorreva del tempo perchè desse dei risultati; 3) l'automazione era a livelli del tutto insufficienti, bisognava estenderla in quantità e qualità (e anche in costi) ; 4) l'automazione non dava i risultati sperati perchè occorreva altro personale; 5) (oggi) la colpa delle disfunzioni non è dell'automazione, ma degli impiegati che non lavorano.
Sotto tutti questi discorsi demagogici, cosa c'è di reale, e su quali linee si muove il sindacato? Cercheremo di dare alcune risposte.
C'è da notare innanzitutto come l'introduzione degli elaboratori sia avvenuta senza tenere assolutamente conto della specificità e delle reali esigenze dei servizi da fornire, cioè che l'attuale uso degli elaboratori nella P.A. è sostanzialmente analogo a quello delle grosse aziende commerciali (è emblematico al riguardo che la priorità sia andata alla meccanizzazione degli stipendi).
Ma il fatto più grave consiste soprattutto nell'introdurre, o nel conservare, all'interno della P.A. una logica perfettamente coerente con la visione dell'organizzazione del lavoro che hanno i grossi monopoli.
E' noto (e sta diventando per fortuna patrimonio dell'intero movimento) che l'automazione non introduce solo macchine, ma quasi sempre anche un certo modello di organizzazione del lavoro che nel caso della P.A. è esattamente antitetico alle esigenze della classe lavoratrice e alla linea di riforma per cui si batte il movimento sindacale.
Una delle più grosse conquiste dei pubblici dipenlì denti è stata infatti la presa di coscienza di essere
(o di voler diventare) degli « operatori sociali », al servizio cioè delle esigenze dei lavoratori, e in questa direzione sono stati fatti notevoli sforzi per « inventare » ipotesi di strutture funzionali tali da poter dare risposta alle domande di servizi sociali (basti citare il determinante contributo dei lavoratori dell'INPS al piano di ristrutturazione dell'Istituto, le lotte dei lavoratori della CRI a Roma, o quelle dei lavoratori dell'IVA).
Tutte queste ipotesi si incernierano esattamente in una visione della P.A. e dei servizi sociali decentrata, democratizzata, che distrugga definitivamente il rapporto autoritario tra un pubblico dipendente servo-detentore del potere e il lavoratore-suddito senza diritti.
Ora — e qui veniamo ad un punto fondamentale — postulato alla base di questa linea sono: una pianificazione della trasformazione delle strutture, dalle attuali fino ad altre in grado di rispondere realmente alle esigenze sociali, e la distruzione del rapporto autoritario-gerarchico, e la sua sostituzione con un diverso rapporto di coordinamento e responsabilizzazione.
L'automazione (questo tipo di automazione) ha consentito invece di conservare — con una ripassata di modernità — l'altrimenti insostenibile rapporto gerarchico piramidale, perchè (col pretesto di contenere i costi!) essa ha sempre creato ulteriore accentramento.
Gli effetti pratici dell'automazione, poi, sono visibili a tutti: nella migliore delle ipotesi non è cambiato niente.
PERCHE'? Perchè il modello stesso di meccanizzazione introdotta non era adatto agli scopi prefissati, i grandi monopoli hanno avuto facilmente buon gioco — nel confronto con incompetenti e superficiali burocrati — nel risparmiare costosi studi di adattamento pianificazione « ad hoc » delle macchine, e nello stimolare invece una domanda che fosse « truccata », che cioè chiedesse quanto di pronto ci fosse sul mercato, o si voleva imporre come mercato.
Così si spiega anche come gli Enti previdenziali mutualistici — ma non solo quelli — abbiano seguito con una tempestività a dir poco sorprendente l'evolversi della tecnologia: dai 1200 terminali all'INPS, fino alla recente abnorme espansione del centro elettronico in un ente, come l'ENPAS, destinato a scomparire entro qualche anno.
Questo è un quadro — molto sommario — della situazione: come si vede, è grave, ed occorre andare con urgenza a un'analisi più accurata e più approfondita, in ogni ente, in ogni amministrazione, senza perdere nessuna occasione per denunziare sprechi, guasti, corruzione. Un primo importante contributo sarà quello portato dai pubblici dipendenti al prossimo convegno sull'elettronica, in cui sarà anche possibile iniziare finalmente un collegamento organico tra le varie categorie interessate, e creare quell'alleanza che sola è in grado di combattere lo strapotere dei monopoli ed imporre un diverso modo di funzionare della Pubblica Amministrazione, in grado di rispondere non alle esigenze dei padroni, ma di quelle — inevitabilmente antitetiche — dei lavoratori.
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Semiconduttori e ricerc 7 UN NODO DA SCIOGLIERE
Parlare di componenti elettronici attivi, allo stato odierno della tecnologia, significa in pratica parlare dei sem:conduttori, anche se questi non esauriscono la totalità del settore. E' un dato di fatto che nei semiconduttori si assiste ad uno sviluppo spinto di nuovi prodotti ed applicazioni, come di nuove conoscenze e processi tecnologici.
Come si spiega allora il forte e crescente divario tecnologico fra l'Italia e gli stati capitalistici più avanzati, in particolare gli USA? Non certo con l'incapacità dei nostri tecnici o solamente con la mancanza di capitali e attrezzature: per trovare una rispetta ci si deve rifare alla divisione internazionale del lavoro, in cui l'Italia ha un ruolo subalterno, e all'incapacità dei governi italiani di portare avanti l'interesse nazionale in questo settore come in altri.
Ovviamente gli USA, in quanto maggiori esportatori di tecnologie, tendono a mantenere questa situazione di privilegio, che per l'Italia si traduce in un costo economico che incide in modo notevole sulla Bilancia dei Pagamenti.
Queste sono le premesse per impostare correttamente un discorso sulla ricerca. Investire nella ricerca in un momento di crisi è una scelta che va nel senso di combattere le crisi cicliche, aumentando la stabilità del mercato. C'è da osservare infatti che una produzione tesa a soddisfare in prevalenza la richie-
sta di beni di consumo deve costantemente individuare nuove fasce sociali, capaci di assorbire nuovi prodotti man mano che altre fasce sociali perdono potere d'acquisto. Al contrario, una produzione tesa a soddisfare in prevalenza la richiesta di beni sociali garantirebbe maggiore stabilità dei livelli di occupazione, nonchè crescita dell'autonomia tecnologica.
A questo punto diventa inevitabile affrontare il discorso di una programmazione economica capace di privilegiare il settore della elettronica per il ruolo che questo può svolgere per lo sviluppo dell'industria italiana.
La SGS Ates, industria a partecipazione statale che opera nel settore dei semiconduttori, non può insistere nelle scelte prevalentemente consumistiche, scelte che comportano recessione ogni volta che, a causa dell'inflazione, che riduce il potere d'acquisto, il mercato si ritrae dai beni di consumo.
E' in questo senso che si va sviluppando l'azione dei lavoratori della SGS Ates, i quali attraverso il Coordinamento Nazionale chiederanno alla Direzione i programmi della ricerca e le eventuali operazioni di incentivazione e penetrazione nel mercato di produzione di beni sociali, come primo momento di un'eventuale azione più vasta tesa a salvaguardare l'occupazione e ad un inserimento più organico della componentistica nella struttura produttiva nazionale.
(da Le Monde di Parigi)
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Partecipiamo tutti a questo dibattito, prepariamo il Convegno con riunioni dei Consigli di Fabbrica e d' Azienda da organizzare con la partecipazione del Coordinamento di settore.