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Dove il "riflusso"non è ancora arrivato
from Milano 19(50)
Dalla sessualità alla storia: ecco le iniziative del Comitato di Gestione del Consultorio di via Albenga
La nostra inchiesta su gruppi giovanili, circoli culturali, centri di incontro e di ritrovo nella zona inizia dal gruppo che ha organizzato recentemente un ciclo di conversazioni su problemi di carattere storico della società moderna quello delle donne del consultorio di via Albenga.
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È per questo che siamo andati, una sera, nella sede del gruppo in via Albenga 2 dove abbiamo parlato con Lucia Valori, insegnante, del comitato di gestione del consultorio.
L'attenzione si è ovviamente incentrata sull'iniziativa più recente.
"Credo che alla gente la storia non sia mai stata insegnata in modo vivo ed interessante, ma che sia sempre stata propinata in un modo scolastico, cioè slegandola dai problemi reali, perdendo di vista il presente", ci dice Lucia, e dalle sue parole trapela visibilmente la soddisfazione per l'interesse suscitato dalla recente iniziativa.
Divise in sette serate protrattesi per l'arco di tempo di circa un mese le conversazioni, tenute da alcuni studiosi di problemi storici e docenti universitari come Catalano, Barbadoro, Cuminetti e Venturi, hanno affrontato un periodo molto vasto e denso di problemi cioè quello che va dalla nascita della società borghese, con la nascita di un'industria di tipo moderno, fino ai giorni nostri.
Ma perchè la scelta di questo argomento da parte di un gruppo di un consultorio, luogo in cui tradizionalmente ci si occupa di altri problemi?
"L'iniziativa — è sempre Lucia Valori che risponde — è partita appunto dall'esigenza di qualcuna di noi di uscire da una problematica tipicamente femminile e di occuparci di problemi che non fossero solo pillole, aborti e maternità, per scoprire un nuovo modo di fare cultura e di studiare assieme in modo vivo. Ne abbiamo parlato con altre che si sono immediatamente interessate all'iniziativa".
Questo nostro "giro" tra i centri culturali del quartiere inizia così con un gruppo di donne che — in tempi di "riflusso", termine giornalistico che sembra ormai entrato a far parte del linguaggio quotidiano — tenta di smentire praticamente il luogo comune per cui l'esigenza di cambiare la vita sia un antico sogno — un po' ingenuo ed infantile, in fondo — ormai ben saldamente e definitivamente dimenticato.
Ma se tale esigenza è ancora viva — e tanto più lo è quanto più viene esorcizzata sulle pagine dei giornali tramite la parola magica del "riflusso" — un momento fondamentale di questo bisogno è quello della presa di coscienza, è il momento della comprensione dei nostri attuali problemi in termini storici, cioè critici. "Parlare di politica senza conoscere la storia, cioè senza sapere come nascono certi problemi, significa non poterne parlare; conoscere la nostra storia vuol dire allora avere anche strumenti per poter interpretare la realtà", prosegue la nostra interlocutrice. E sembra che questa esigenza sia sentita non solo dalle donne del comitato di gestione e dagli abituali frequentatori del consultorio ma anche da gente che ad esso si è avvicinata in occasione di questa iniziativa: un pubblico relativamente eterogeneo — giovani coppie del consultorio, studenti insegnanti, casalinghe — ha affollato la piccola sala delle riunioni, non limitandosi a partecipare passivamente ma intervenendo, ponendo domande, richieste di chiarimenti.
Come già accennato più sopra, negli intenti del gruppo di organizzatrici l'iniziativa avrebbe potuto servire anche come mezzo per verificare l'esigenza del famoso "riflusso" oltre che come un modo per opporsi a questa tendenza: e pare che tra le donne del consultorio il riflusso non esista; c'è invece la voglia di fare qualcosa per ricominciare a muoversi, in modo nuovo, su certi problemi.
Un bisogno che, al di là di illusori ottimismi, ci sembra di poter leggere in tanti piccoli sintomi — non ultimo il movimento, ad un livello diverso, per la pace, o nelle attività di piccoli gruppi, più o meno giovanili, che — nonostante la scarsità di mezzi economici — tentano di trovare nuove forme di attività collettiva.
E non ci sembra un caso che questa iniziativa nasca da un gruppo di donne: anche a livello nazionale il movimento femminista è quello che negli ultimi anni — che per altri gruppi hanno segnato una fase calante — ha saputo restare relativamente vivo ed organizzato, ed ha saputo esprimersi in forme nuove e creative.
Si è detto che con questa iniziativa si voleva uscire dall'ambito delle tradizionali iniziative dei consultori: vediamo brevemente quali sono state le iniziative più importanti organizzate prima di questa.
Tra queste ci sembra necessario segnalare almeno un corso sul problema della riforma sanitaria, con la partecipazione di medici di Medicina democratica, ed un corso sulla "legge 18 0", quella sugli ospedali psichiatrici, le più importanti per il tipo di problemi e per la partecipazione della gente.
Da quest'ultimo corso sul problema della psichiatria è nato un gruppo — chiamato appunto "gruppo 180" — che sta attualmente lavorando ad una ricerca sui problemi della salute mentale, sulle cause sociali della malattia mentale.
Altri incontri sono stati quelli sul problema dell'aborto — tema che ha acquistato particolare rilevanza politica con il recente referendum del cosiddetto "movimento per la vita", e che ha visto le donne del consultorio impegnate nella propaganda a favore dell'attuale legge — e sul problema dei medici "obiettori di coscienza".
Come si vede l'attività del gruppo — nato nel 1978 per iniziativa autonoma di un gruppo di donne del quartiere — è stata in questi anni intensa, ed il centro ha iniziato gradualmente, dopo le prime difficoltà, a costituire un punto di riferimento per la gente della zona.
Nel gruppo originario, che ha avuto il merito di porre l'esigenza di un centro che non si limitasse ad un'assistenza di tipo medico, tecnico - all'americana — ma che tentasse anche di intervenire sulle cause sociali dei problemi, l'iniziativa si è allargata ad altre persone, sono stati interessati i partiti politici e le forze sociali; si è avuto un riconoscimento istituzionale del centro, in cui si è formato un comitato di gestione, composto da membri delle forze politiche; oltre ai membri del comitato di gestione, composto da una decina di persone il personale del centro è composto da un gruppo di "tecnici": 5 medici, una ostetrica, una infermiera, un assistente sanitario, assistenti sociali, uno psicologo.
Il consultorio, aperto tutti i giorni della settimana dal mattino alle 17 è frequentato soprattutto da donne, non solo della zona: non sono infatti rari i casi di operaie delle fabbriche della zona residenti in altre parti della città che, per diversi motivi, usufruiscono delle strutture messe a disposizione dal consultorio.
Il lavoro delle donne di questo gruppo ha dunque avuto in questi anni una importanza fondamentale nella diffusione di tutta una serie di conquiste recenti per il nostro Paese, che hanno contribuito a modernizzare — a sprovincializzare — il modo in cui vengono vissuti problemi che una volta erano considerati di tipo strettamente personale.
Ci sembra allora un fatto positivo apprendere che presto verrà aperta una succursale del centro con sede al Gallaratese, di cui è già stata confermata la disponibilità.
E se il pericolo per centri di questo tipo ci sembra sia da un lato quello di chiudersi in una funzione di tipo puramente tecnico, medico, senza andare alla radice sociale di certi problemi, e dall'altro anche di specializzarsi, che è pur sempre un modo anche se non immediatamente evidente per ghettizzarsi, con questa recente iniziativa su problemi di carattere storico, che ha senza dubbio coinvolto persone non abitualmente frequentatrici del centro, ci sembra che qualcosa per evitare questi rischi sia stata fatta.
(M.M.)
Decentriamo la cultura
Dall'intervista con lo storico Franco Catalano la necessità di collegare cultura, vita e società
Attualmente insegnante di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze economiche dell'Università di Modena, Franco Catalano ha tenuto al consultorio di via Albenga due conversazioni: la prima sul tema della nascita della borghesia in Francia nella rivoluzione del 1789 e nell'Inghilterra della rivoluzione industriale, la seconda sui problemi del fascismo, dell'anti - fascismo e della resistenza.
Catalano ha insegnato Storia contemporanea all'Università statale di Milano negli anni della contestazione, mantenendo un continuo rapporto con gli studenti di sinistra; questa esperienza l'ha portato ad una riflessione approfondita su quel problema, cui ha acnche dedicato alcuni studi.
Ancora oggi la maggior parte delle sue attività è dedicata all'analisi di problemi della storia del movimento operaio italiano ed in generale ai movimenti di opposizione politica nel nostro Paese. Ecco il risultato di quella che, più che un'intervista, è stata una piacevole ed interessane conservazione che ha toccato temi di grande attualità.
MILANO 19: perchè uno studioso di problemi storici some Franco Catalano accetta di partecipare ad un corso di storia di un quartiere? Catalano: credo che queste conversazioni abbiano avuto una grande importanza, che è stata quella di fare entrare un certo tipo di problemi, tradizionalmente riservati agli studiosi di professione, nella realtà sociale e culturale di un quartiere.
Ho provato una grande piacere nel prendere parte a questa iniziativa, che mi ha rivelato che esiste un interesse per la storia non solo di tipo scolastico ma soprattutto per i collegamenti tra la storia del passato e qualla che viviamo oggi; questa è per me la cosa essenziale: se non si mantiene costantemente questo collegamento si fa della storia qualcosa di morto, che interessa soltanto gli studiosi di professione, ma non il grande pubblico, la gente.
E siccome credo che nessuno possieda la "verità rivelata" ma che la verità sia qualcosa che bisogna cercare collettivamente, colgo volentieri ogni occasione per confrontarmi con altre persone, con situazioni che possono essere diverse da quella in cui vivo.
Queste conversazioni hanno forse avuto anche il merito di avere posto il problema del decentramento della cultura, in una situazione in cui la cultura è ancora centralizzata.
Certo. Mi ricordo, dopo la guerra, c'era la Casa della cultura, in via Borgogna, che allo- ra viveva nel contesto della vecchia Milano, una città costruita ancora su una struttura di tipo arcaico, tutta gravitante attorno al centro città, una struttura in fondo ancora di tipo agricolo.
La città ha avuto da allora un enorme sviluppo, si è allargata, sono nati i grandi comuni dell'hinterland, che di fatto fanno parte della città, con cui formano un grande agglomerato urbano.
In questa nuova situazione non si può pretendere di mantenere la vecchia struttura nella distribuzione dei centri culturali, con i "dispensatori" della cultura nel centro, tra via Brera, piazza S. Babila e via De A micis; il problema nuovo, è oggi quello di andare nei quartieri, di decentrare la cultura, di portarla sul luogo. Hai dovuto modificare in qualche modo il tuo linguaggio, ad esempio rispetto alle lezioni universitarie?
Assolutamente no. Credo che la cultura, come la possiamo trovare, ad esempio sulle pagine di certi quotidiani — cioè una cultura per iniziati — sia una non — cultura. Penso che una nuova cultura debba avere come presupposto necessario quello di essere comprensibile a tutti, come per esempio era la cultura illuministica, cioè quella che allora era la cultura rivoluzionaria, nel '700. Di conseguenza, cerco di parlare di fronte ai miei allievi dell'università come parlerei in altre occasioni, di fronte ad un'altro pubblico.
Ma non credi che esista, di fatto, una separazione tra cultura cosiddetta "colta", umanistica e culture popolari o di altro tipo, e che in fondo questa separazione dia vita ad una cultura fondamentalmente retorica, "letteraria" nel senso deteriore della parola, incomprensibile alla maggior parte della gente?
Certo. Prendiamo ad esempio i giornali, soprattutto i quotidiani: il nostro è uno dei paesi europei in cui si legge il minor numero di giornali, quasi al livello della Spagna e della Turchia.
Questo è a mio parere senz'altro un sintomo dell'esistenza di una cultura d'élite, che è prodotta in determinati ambienti, secondo determinate esigenze e si rivolge ad un pubblico relativamente ristretto. Tu hai vissuto l'esperienza del '68. Non ti sembra che una delle esigenze più attuali di quel movimento fosse proprio quella di un superamento della scissione tra scuola e vita?
Questo è stato infatti secondo me il bisogno nuovo, il momento centrale del movimento del '68: l'esigenza di fare uscire la scuola dalle aule e di collegarla alla vita ed alla società. Il problema è capire cosa ha significato storicamente quel movimento: è necessario vederne brevemente ed in forma schematica le origini storiche.
Con la Costituzione, negli anni del dopoguerra, c'è stata' a mio avviso, una spartizione delle zone d'influenza sulla vita del paese. È stato affidato alla Democrazia Cristiana il controllo sulla scuola e sulla famiglia, ai liberali la direzione della poilitica economica, ed ai partiti di sinistra il controllo sulle classi popolari, dal solo punto di vista occupazionale e salariale.
A mio parere i partiti di sinistra con questa spartizione, che pure hanno accettato, sono stati ghettizzati in una funzione subalterna, senza la possibilità di influenzare realmente la vita del paese.
Il '68 è stato secondo me il tentativo, non consapevole, da parte degli studenti, di capovolgere questa situazione, che del resto continua ancora oggi, diventando parte attiva dei processi educativi e culturali, legando appunto scuola e vita; così come nel '69 anche gli operai hanno tentato di superare questa divisione dei poteri cercando di diventare parte attiva del processo produttivo.
Questi problemi sono ora passati in secondo piano, essendo stati momentaneamente sconfitti tali movimenti casuali tra l'altro dalla crisi economica ma senza dubbio esistono ancora, come per esempio dimostra il '77 di Bologna. I partiti della sinistra "ufficiale" si sono dimostrati sordi, rispetto alle esigenze di questi movimenti ...
Anzi, hanno fatto di tutto pe sconfiggerli politicamente, per fare rientrare quel movimento nell'alveo della più supina rassegnazione.
Adesso si parla di riflusso, ma chi l'ha voluto? Certo, una crisi segna sempre un momento di riflusso, ma ci sono a mio parere altre cause; i partiti di sinistra si erano adagiati nella situazione creata dalla carta costituzionale, si interessavano dei settori salariali ed occupazionali, dove avevano una loro funzione, una loro importanza, una loro voce, anche se in via subalterna. In questi tentativi avevano visto il tentativo di scardinare questa situazione, di qui la condanna violenta nei confronti di questi movimenti.
E forse anche da qui, secondo me, che nasce la difficile situazione in cui viviamo: si è creata una rottura tra la generazione della resistenza ed i giovani che è senz'altro uno dei fatti storicamente più gravi di questo dopoguerra.
(intervista a cura di Massimo Mezzanzanica)