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Andromeda is a big, wide, open galaxy

di Laura Colosi

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È possibile affrontare il tema della felicità umana attraverso il racconto di un viaggio interstellare? Ebbene sì, e a farlo è Tommaso Landolfi nel racconto Asfu, appartenente alla raccolta Il Mar delle blatte e altre storie. Tutto parte da un dialogo a due voci riguardo il mito dei romanzi russi, tanto celebrati dal pubblico perché rifletterebbero la vita com’è, per cui risulta facile riconoscersi nei personaggi e nelle loro avventure. Il primo personaggio a prendere la parola ritiene il mito che aleggia intorno a tale letteratura del tutto fasullo, del resto la verità non esiste, non c’è un uomo uguale all’altro e non esiste una norma. La sincerità, che è il massimo della verità di fronte a se stessi, è invece possibile, ma inutile. Anche le matematiche poi, sono un metodo, non la verità. La seconda voce, che fa da controparte alla prima, chiede allora cosa intenda l’altro per felicità. Il primo interlocutore, che si svelerà essere il protagonista del racconto, per rispondere al quesito inizia a parlare di quando, per iniziare gli studi universitari, ottenne di trasferirsi in una città lontana dal paese dei genitori. Da questo soggiorno sognava di ottenere donne, gloria, ricchezze e soprattutto avventure e del resto le ebbe, ma non quelle donne, quei caffè notturni e quelle avventure che voleva. Attraverso l’uso dei dimostrativi, tipico leopardiano, si sottolinea il labile confine che intercorre tra sogno e realtà, desiderio e felicità.

«Ma immaginate che intraprenda un viaggio verso la Nebulosa d’Andromeda. Ecco, sono sicuro di non arrivarci mai, perché la vita non mi basterà a percorrere tanto spazio e morrò prima. Tuttavia io viaggio verso la Nebulosa d’Andromeda, verso Asfu, la brillante città, verso l’Università di Asfu, verso le folle di Asfu che potranno acclamarmi, verso le case da gioco di Asfu, verso i caffè-concerto di Asfu. Però non ci arriverò mai. Ebbene, ecco appunto che cosa intendo per felicità, ecco l’unico modo possibile di concepire la felicità. Ma osservate ancora questa mosca che compie lentamente il tragitto da una delle macchie circolari al portacenere; di una tale natura appunto sarebbe il mio viaggio alla Nebulosa d’Andromeda, se invece dovessi mai arrivarci».

Ma i dimostrativi non bastano e neanche queste parole riguardo un ipotetico viaggio interstellare. Per spiegarci meglio cosa il protagonista intenda per felicità, Landolfi prende alla lettera le sue parole e in medias res ci fa salire a bordo di una vettura diretta ad Asfu, Nebulosa di Andromeda, la lumière de l’univers dove donne e case da gioco non mancano. Il protagonista è la prima volta che va fuori da Galassia, ha studiato in una cittadina di Marte ed è stato a Sirio due volte per affari. In strampalati dialoghi frammentari i signori presenti sul bolide spaziale si raccontano, parlano di fidanzate, impegni e viaggi e quando scendono si augurano buon proseguimento. Alle fermate delle varie stazioni salgono controllori, si vedono marziani, plutoniani, lacanotteri e strubolani. Si basano antipatie in base alla provenienza («che visi antipatici questi settentrionali») e poi ci si zittisce perché c’è un compaesano terrestre che può capirci. Un bambino continua a fare domande al padre -Dov’è Marte? Dov’è il Sistema Solare? - che a un certo punto finisce per spazientirsi, non può mica conoscere tutti i sistemi dell’universo! Dal finestrino si scorgono tante cose, la Testa di Cavallo, l’Ammasso Messier (dove non si possono introdurre capelli o peli, pena una costosa multa), la Nebulosa America e persino due mondi in guerra. Ma quando si arriva al confine con Andromeda? 3 del pomeriggio, ora siderale. Oramai stanno scendendo quasi tutti, tranne il protagonista e una graziosa signorina, entrambi diretti ad Asfu.

«Stavo dicendo, diventeremo buoni amici?».

«E come no, certo Signore». «Avete famiglia ad Asfu?». «No, sono sola, vado a studiare all’Università». «Oh, che fortuna di nuovo: anch’io! Potremmo andare ad abitare insieme forse…». «Eh come correte! Del resto vedremo, vedremo. Guardate, si comincia a vedere il Globo Centrale». «Oh, è la prima volta che lo vedo! Esso diventerà la nostra stella». «Come sono gentili questi impiegati! Osservate quello che ci guarda teneramente». «Oh sì, è una terra di delizie Asfu, non ci siete mai stato?». «No». «Bene, allora vi farò da guida. Andiamo, siamo quasi arrivati». «Siamo arrivati siamo arrivati, allegro, siamo arrivati ad Asfu!». «Che vuole costui? Non capisco una parola di ciò che dice». «Parla in andromedeo, non l’avete studiato neanche un po’ a scuola? Egli vi ha notato fin da quando è entrato in servizio, ai confini della nebulosa, e, visto che siete uno straniero, vuol darvi il benvenuto della sua terra». «Oh, grazie, grazie». «No, Signore, vi prego, voglio tenervi il cappotto, infilatelo, fa freddo da noi». «Grazie, grazie, mi confondete…». «Guardate come è diventato brillante il Globo Centrale!». «E’ la nostra stella, è deciso». «Ci siamo ci siamo!». «Arrivati arrivati!».

Eccoci arrivati quindi alla Nebulosa di Andromeda, che in realtà è una galassia. Un tempo la si chiamava grande nebulosa di Andromeda perché, non possedendo degli strumenti precisi, in grado di osservare più nel dettaglio i corpi celesti, si pensava fosse una nebulosità, quindi una sorta di nuvola di polvere e di gas. Oggi con le più recenti attrezzature si è scoperto essere una galassia e più precisamente una galassia a spirale come la Via Lattea, la galassia che ci ospita. Come dimensione è più del doppio di questa e contiene una grandissima quantità di stelle. In quanto galassia a spirale ha un nucleo centrale più pronunciato e un braccio a spirale dove si ha la formazione stellare. Ed è anche la galassia più vicina alla nostra. È evidente però che in questo racconto la galassia di Andromeda funge da espediente. Come avviene spesso nei sagaci racconti landolfiani, la fantascienza è resa strumento di un discorso altro, i suoi problemi apparentemente lontani non sono altro che i nostri. È il caso del problema della felicità umana, concepita dall’autore come qualcosa di cui l’uomo è in costante ricerca, che desidera ardentemente ma che mai può corrispondere a quello che aveva immaginato. Il divario tra immaginazione e realtà si mostra in tutta la sua profondità. Anche arrivati ad Asfu, nella gigantesca Galassia di Andromeda, l’uomo non sarebbe pienamente felice, è nella sua natura, quella corrispondenza tra immaginazione e realtà non esiste. La distanza spaziale e temporale che Landolfi crea permette l’assunzione di un altro punto di vista, attraverso cui uscire dalla chiusa configurazione del cosmo tolemaico antropocentrico. Nel racconto Asfu, vi è un cenno breve ma significativo riguardo il nostro pianeta. Una signora si chiede come mai la vettura si sia fermata a una stazione piccola come la Terra, sospettando qualche guasto, e il protagonista rassicurandola che si tratta semplicemente di una coincidenza, sottolinea che è una stazione sì piccola ma importante. La signora però non è d’accordo, La Terra non è troppo importante. La Terra è uno dei tanti mondi possibili, l’esistenza dipende dal moto casuale della materia. Dimostrativi, critica all’antropocentrismo, teoria del piacere, il gusto leopardiano è ben presente in questo e altri racconti landolfiani, come Astronomia esposta al popolo, nozioni di astronomia sideronebulare, racconto sempre presente nella raccolta Il Mare delle blatte e altre storie. Questo trattatello, scritto secondo la finzione letteraria a Honolulu Hawaii (Terra) nel gennaio-marzo del 2051, è un chiaro esempio di prosa falso erudita. In esso si discute della «grande galassia spiralica, la cosidetta Nebulosa Iflodnalian», intorno alla quale gravita la nebulosa di Andromeda. Il tema leopardiano che lo caratterizza è quello della social catena: «E anche, ciascuno ha ormai imparato a riconoscere negli abitanti degli altri mondi fratelli più o meno lontani e, in quelli di Galassia almeno, fratelli della stessa latitudine. Vantiamo tutti la medesima origine, nulla ci è alieno dell’universo, o almeno del sistema causale, perfino la materia che ci informa è in definitiva la medesima; di che momento dunque dovranno apparirci dieci o ventimila anni-luce di distanza?» «Riconosceremo nostri fratelli gli abitanti della più remota nebulosa» Looking up to the sky for something I may never find, recita un verso di Andromeda, singolo della cantautrice statunitense Weyes Blood. L’autrice del brano, così come Landolfi nel suo racconto, parte da qualcosa di lontano, come una gigantesca galassia chiamata Andromeda, per approdare a qualcosa di a lei molto vicino, intimo, problemi che riguardano la propria esistenza, i propri sogni, e le proprie speranze. È la storia che si ripete, l’uomo che guarda gli astri chiedendosi quale sia il senso della propria vita, che punta il suo sguardo in direzione di qualcosa di estremamente lontano per scavare le profondità del proprio essere. È sempre accaduto e sempre accadrà, ora, nell’oramai vicino e un tempo lontano 2051 e ritornando indietro nel tempo sino all’antica Grecia, ma quella è un'altra storia chiamata mitologia astrale.

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