FIAT LUX XI

N.11

"ALL YOU CAN EAT"

LORD BYRON

“TUTTA LA STORIA UMANA ATTESTA CHE LA FELICITÀ DELL’UOMO, PECCATORE AFFAMATO DA QUANDO EVA MANGIÒ IL POMO, DIPENDE MOLTO DAL PRANZO." Fiat Lux – rivista letteraria ©Tutti i diritti riservati.

Instagram: @fiatlux_rivistaletteraria Facebook: FiatLux_RivistaLetteraria

19 23 30 38 46 49 54

E C I D N I

6

Introduzione al numero: a cura del fondatore e caporedattore Pasquale Bruno P R O S A

"Cereal Killer" di Sara Paolella "Kérberos" di Pasquale Bruno

7 13

P O E S I A

"La cena" di Tania Ferrara di Emmanuele Zottoli "Scatolame" di Alessia Pierno

C R I T I C A

L E T T E R A R I A

"Una diet Pepsi e tre oreo non fanno una colazione " di Matteo Balsamo "Pani ca' Meusa" di Laura Colosi

C R I T I C A

24 26

C I N E M A T O G R A F I C A

"Una omelette ai funghi e la sottile linea tra la vita e la morte" di Sara Picariello "Big Night" di Alessandra De Varti

C R I T I C A

20 21 22

31 34

D ' A R T E

"Rendiamo pan per focaccia con CIBO" di Eliana Pardo "L'uomo è dove mangia: tra fast food e junk rchitecture" di Cristina Colace

39 42

F O T O G R A F I A

"dio" di Carmine Faella "Genesi" di Gabriele Maurizio

I N T E R V I S T A

A

B A T T I T U R E

LA DIVULGAZIONE LETTERARIA AI TEMPI DEI SOCIAL

C U R I O S I T À

47 48

CONTENUTI

I E D

4

E D I T O R I A L E

editoriale fiat lux

Ciao, come stai?

Cosa hai mangiato oggi?

No, non è una domanda retorica, semplicemente è l'una e mezza di notte, ho sonno ed ammetto che ora come ora non mi vengono in mente idee migliori e/o più simpatiche per introdurti alla tematica del nuovo mese, quindi ci arrangeremo con quello che abbiamo (ridacchia).

Un antico proverbio cinese diceva che "Mangiare è uno dei quattro scopi della vita...quali siano gli altri tre nessuno lo sa" forse perchè, consapevoli o meno tutta la nostra giornata ruota intorno alla domanda "come posso fare per mettere il sushi a tavola?"

Battuta pessima anche questa? Probabilmente sì, ma la metafora del pane ormai è passata di moda, confinata com'è nel contesto sacrale (o forse no? Scopritelo nella sezione poesia!) erede naturale e decisamente meno truculento delle ecatombi sacrificali di stampo greco; con l'avvento della globalizzazione il cibo è diventato prima un marchio di riconoscimento e un modo come un altro per affermare la propria identità nazionale (pizza per l'Italia, paella per la Spagna) e poi si è evoluto in un ponte capace di unire, fondere e ricreare più culture diverse, creando le prime catene di fast food con i loro vantaggi e svantaggi e lasciando il mondo della "qualità" per entrare di prepotenza nel mondo della "quantità" con i grandi magazzini, i ristoranti all you ca eat e la produzione di massa.

Potrei dilungarmi ulteriormente ma il numero che vi aspetta è corposo ed intenso, per di più nelle pagine finali troverete la nostra intervista fatta a Silvia di Comite, in arte "Battiture" (la potrete trovare su instagram e youtube)

Il cibo è vita, è relazione, è prendersi cura di sè e degli altri, è inclusione e discriminazione e tanto altro ancora, ma come mio solito lascerò ai miei redattori il compito e l'onore di guidarvi in questa nuova avventura, quindi accomodatevi perchè è pronto a tavola, buon appetito!

Abbiate il coraggio di splendere.

Pasquale Bruno FONDATORE E CAPOREDATTORE

PROSA A CURA DI

Sara Paolella Pasquale Bruno

Prosa

Cereal Killer di Sara Paolella

S

e hai intenzione di lavorare qui, inizia a farti crescere un paio di palle” mi dice l’ispettore Reed osservando annoiato la pozza di vomito ai miei piedi. Come primo giorno, non ho dato una bella impressione. Mi guardo le scarpe imbarazzata, mentre lo vedo fare qualche passo avanti, per avvicinarsi al lungo tavolo che occupa gran parte del salone.

Con ancora una mano sullo stomaco, provo a farmi coraggio e mi avvicino a lui, mentre osservo la tavola imbandita. Al centro c’è un vassoio con due aragoste ormai tiepide, il cui odore si mischia a quello del caviale su alcune bruschette, poste in un piatto accanto al quale c’è una bottiglia di Cabernet Sauvignon ancora chiusa.

Seguo con lo sguardo la tovaglia candida per tutta la sua lunghezza, notando come all’angolo destro fosse stata tirata tanto da sfiorare il pavimento, e da colorarsi leggermente di porpora a causa del contatto con il sangue che ormai cominciava a seccarsi. Osservo l’ispettore grattarsi il capo, coperto da una folta chioma che sembra non incontrare un pettine da molto tempo, mentre indossa un paio di guanti.

7

Prosa

«Forse si è semplicemente suicidata» suggerisco, indicando la pistola che è a poca distanza dalla sua mano segnata dal tempo, attraversata da rughe e costellata di piccole macchie che colorano la sua pelle chiara.

«Forse dovresti stare in silenzio per il momento» commenta alzando gli occhi al cielo, mentre si inginocchia accanto al cadavere che è a terra, scostandole i capelli finissimi dalla tempia incrostata di sangue, rivelando un ampio foro nel suo cranio, alla cui vista mi riporto per un istante la mano allo stomaco, abbassandola nel momento in cui l’ispettore mi rivolge uno sguardo scuotendo il capo.

“Davvero, fatti crescere un paio di palle” “Non la trova un’affermazione sessista?” gli rispondo, mentre sfoglio il mio taccuino per leggere gli appunti che avevo scritto per inerzia prima, mentre parlavo con il giardiniere che aveva trovato il corpo.

“La signora Dhamhnuill era sola. Mai sposata, nessun figlio. Nessun parente ancora vivo. Davvero crede che non sia un suicidio? Insomma, questa gente” esclamo indicando l’ampia e sontuosa casa nella quale ci troviamo “questa gente così” continuo provando a non sbilanciarmi per evitare di peggiorare l’opinione che l’ispettore ha di me “è strana. Ha un suo dipinto lì sul camino! Ma chi è che si fa ancora ritrarre così?” mi avvicino alla donna riversa sul pavimento abbassandomi al livello dell’ispettore che mi guarda senza trapelare far alcuna espressione, se non quello che ai miei occhi sembra tanto sconforto nell’essersi ritrovato un’assistente come me.

“Guardi la sedia, è leggermente scostata” gli faccio notare indicando la sedia in pelle nera che si trova proprio accanto a noi “probabilmente si era seduta, le sarà venuto un istante di sconforto e si è sparata in testa, per poi cadere a terra così, ma…” continuo ad osservare l’orlo della tovaglia leggermente insanguinato “ma mentre cadeva si è aggrappata alla tovaglia e l’ha tirata più giù con sé” concludo fiera della mia analisi, della quale l’ispettore non sembra altrettanto fiero.

“Non è stato un suicidio. Sai perché?” l’ispettore scosta i capelli della signora Dhamhnuil e afferra tra le dita una minuscola vite d’oro che mi mostra sorridendo sornione “perché l’assassino si è preso i suoi orecchini, e ha perso la vite di quello destro” conclude alzandosi nuovamente, avvicinandosi alla sedia che avevo precedentemente indicato.

“Eppure hai avuto una giusta intuizione, io credo che lui l’abbia convinta a spararsi. O ancora meglio, che le abbia messo la pistola in mano, ma che il grilletto l’abbia premuto lui” dice continuando ad osservare il cadavere riverso sul pavimento, dal quale sembra non abbia voglia di staccare gli occhi “ma sono convinto che la tua ipotesi sia giusta. Si spara, cade in avanti, si porta un po’ della tovaglia giù e muore” afferma, per poi zittirsi. “Sì, mi piace” conclude.

Si passa ancora una volta la mano tra i capelli castani e mossi, scompigliandoli ulteriormente, camminando con ampie falcate che faccio fatica a seguire, ma che recupero nell'istante in cui si ferma e afferra prepotentemente la bottiglia di dal tavolo, tenendola saldamente nella sua mano sinistra.

“Scusi, ma non dovrebbe restare sulla scena del crimine? Non è una prova quella?

“Sì, è la prova che ho risolto il caso, e che ho voglia di festeggiare” “Ma non abbiamo risolto nulla” commento confusa, lanciando un’ultima occhiata alla sontuosa residenza dalla quale siamo appena usciti “non…non sappiamo chi l’ha uccisa. O perché” “Già sapere che è un omicidio è una vittoria, e ora se non ti dispiace progetto di restare da solo nel mio studio a bere questa splendida bottiglia, che sono sicuro che la signora Dhamhnuill mi avrebbe certamente donato per ringraziarla dei miei servigi, mentre tu sarai impegnata a scrivere il verbale.

Recepito?” annuisco mentre continuo a seguirlo e lo osservo mentre estrae dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni le chiavi dell’auto.

8

Prosa

“Ma tu come sei venuta fin qui?”

“Con il bus” rispondo semplicemente, aggiustandomi meglio la sciarpa attorno al viso per proteggermi dal vento freddo che non accenna a diminuire.

“Allora farai meglio a sbrigarti, è quasi ora di pranzo. Il bus passerà a minuti, e con questo freddo non ti conviene perderlo” “Scusi ma non posso venire in auto con lei?”

“Con quelle scarpe ancora sporche di vomito? Non ci pensare nemmeno” dice, ed entra in auto, lasciandomi sbigottita.

Ripenso quasi con nostalgia all’ispettore Connor, ormai in pensione, che mi aveva sempre trattata con rispetto nonostante il suo carattere algido, i suoi sbalzi d’umore e le sue preghiere recitate con religiosa precisione ogni giorno. Connor era una personalità particolare con una storia complicata alle spalle, aveva recentemente perso il fratello maggiore, un veterano molto conosciuto e amato in città, e da quando lui era scomparso viveva con il nipote, Will, anche se più volte l’avevo visto trattarlo male semplicemente perché il ragazzo era sovrappeso, e Connor , che come il fratello aveva avuto una rigida educazione, fatta da un incessante allentamento fisico, non poteva sopportarlo. Nonostante la mia giovane età, mi aveva accolta senza pregiudizi dal primo giorno, insegnandomi come muovermi all’interno del M.I.T., contrariamente ad Edward Reed, che poco prima del mio arrivo davanti la casa della vittima stava sbraitando qualcosa sul “non voler fare il babysitter ad una ragazzina”. Quando mi era stato comunicato che avrei lavorato con lui ero entusiasta, nonostante fosse piuttosto giovane era uno dei membri più ammirati al Major Investigation Team, anche se tutti mi avevano messo in guardia sui suoi modi poco convenzionali, dei quali avevo avuto prova poco prima, nel momento in cui aveva preso la bottiglia di vino per festeggiare.

“Può spegnere la tv? Non riesco a scrivere” chiedo, mentre mi porto una mano alla tempia e lascio l’altra sulla tastiera del computer, pregando con lo sguardo Reed che di tutta risposta alza il volume sorridendo. “Devo tenermi informato, ogni notizia è fondamentale” “Non so, dopo tutto il vino che ha bevuto mi sembra difficile credere che stia seguendo il notiziario” “Ma ti rivolgevi così a Connor?” chiede quasi divertito, mentre continua a versarsi del vino nel bicchiere di plastica che ha già riempito e svuotato quattro volte.

“Non me ne dava motivo” gli rispondo sorridendo, mentre continuo a scrivere, tentando di ignorare la voce della presentatrice del tg locale che parla, e che vuole informarmi sul compleanno di una vecchietta che ha compiuto cento anni, sull’ennesimo taglio dei fondi della MealForDee, e su qualche altra notizia che non recepisco adeguatamente perché Reed riprende a parlare, dicendomi “E comunque sottovaluti la capacità di assorbimento di etanolo dei miei organi” “Avresti dovuto offrire, il cibo è convivialit…” vengo interrotta dallo squillo del telefono, al quale Reed risponde immediatamente aguzzando le orecchie e arricciandosi con l’indice sinistro la ciocca di capelli che gli cade sul viso ben rasato. Dopo aver attaccato mi fa segno di andare via, non prima di aver dato un ultimo sorso al suo bicchiere. Mentre scendiamo le scale per arrivare al parcheggio mi lancia le chiavi della sua auto e mi dice “guida tu” per poi continuare “io ho bevuto” come se volesse dare risposta alla mia aria confusa.

“Ho ancora le scarpe sporche” rispondo rilanciandogli le chiavi.

“Toglile allora” insiste, mettendomi nuovamente le chiavi tra le mani.

“Non riesco a credere che lei me lo stia facendo fare sul serio” commento spingendo il mio piede scalzo sull’acceleratore, mentre seguo le indicazioni che Reed mi da per raggiungere la nostra nuova meta.

“Non è colpa mia, in mia difesa non credevo avrebbe colpito di nuovo così velocemente” risponde facendomi segno di girare a sinistra, e lo guardo perplessa. “Non dirmi che credi davvero che quello di prima sia un caso isolato” mi chiede, per poi continuare a spiegarmi “La signora Dhamhnuill non aveva parenti, quindi escludo un possibile omicidio per screzi familiari. Era ricca, eppure l’assassino ha preso solo i suoi orecchini, nient’altro. Credo sia davvero molto disorganizzato. C’è qualcosa sotto, e sono piuttosto convinto che si ripeterà anche ora. Mi hanno detto che…gira a destra e poi prendi la prima uscita dopo la rotonda…ora vedrai”

9

Prosa

E avrei tanto preferito non vedere. Reed sembrava impassibile, mentre io continuavo a fissare le mie converse bianche, ancora sporche dal mattino, per evitare di alzare lo sguardo e sporcarle ulteriormente. Con Connor la cosa più disgustosa che avevo visto era stata la caviglia lussata di un ragazzino che stava scappando per evitare un controllo antidroga, mentre ora davanti a me c’erano ben tre corpi privi di vita. Dundee era sempre stata una cittadina tranquilla, non c’era mai niente da fare. Almeno fino ad ora.

“Sul serio, devi fartele crescere. Non sopravviverai ancora a lungo se continui così” Mi limito ad avvicinarmi a lui in silenzio, mentre osservo respirando piano i tre corpi. Sono tutti e tre riversi sulle loro sedie, già pronti per la cena. Tra i vari piatti disposti sul tavolo, ci sono degli schizzi di sangue, e non posso non notare come quelli vicino al signor Anderson siano i più freschi di tutti, mentre quelli sul vestito azzurro della figlia, e quelli sulla camicia cipria della madre, siano più secchi.

“L’ha ucciso per ultimo” bisbiglio indicandolo.

“Non solo. Guarda qui” Reed con delicatezza gli scosta la testa, girandogli il collo dove è ben visibile la ferita che gli è stata fatale, che gli ha squartato la giugulare “le vedi queste macchie più scure e queste più chiare? L’hanno spostato. Non l’ha ucciso sulla sedia. Sono convinto che i segni del livor mortis siano sulla schiena, ma questo non è compito mio. Chiama il medico forense, quando finirà ci farà sapere lui cosa è successo con precisione” “Ma le mele?” domando quasi curiosa, osservando mele rosse disposte dinanzi ognuno di loro. “Non avevano mangiato nemmeno l’entrée, è impossibile che fossero già alla frutta” faccio notare “però quella di Anderson è morsa” "Credo che il nostro assassino voglia mandarci un messaggio. La mela è il simbolo del peccato per eccellenza, Anderson ha un peccato da espiare” ipotizza, passandosi la solita mano tra i capelli “dobbiamo solo capire quale” continua, avvicinandosi alla tavola e osservandola attentamente, indicando un mucchio di cereali sparsi sulla tovaglia porpora, facendomi notare come fossero presente anche sulla tovaglia della signora Dhamhnuill.

“Diciamo che tutte le nostre vittime non brillavano per frugalità” commenta parlando piano, in maniera cauta, mentre pensa attentamente alla prossima mossa da fare.

“Andiamo” conclude.

“Perché?” la voce di Reed mi riporta alla realtà, essendomi distratta ad osservare il cielo nuvolosocome tutti i giorni- a Dundee.

“Se ti dà il voltastomaco quello che vedi, perché sei entrata nel M.I.T?” mi chiede curioso, fermandosi all’incrocio in attesa del suo turno. Lo vedo aprire il portaoggetti e prendere un pacco di sigarette, per poi farmi segno di passargli l’accendino nel cruscotto.

“Perché volevo salvare le persone” rispondo mentre gli accendo la sigaretta, facendolo sorridere amaramente “Non le salverai mai tutte. Per ogni persona che salvi, ce ne sono altre 3 che muoiono prima” dice. Non potendo contraddirlo giro lo sguardo, rivolgendo di nuovo i miei occhi castani al cielo.

“Possiamo solo far sì che quelle tre persone non siano morte invano” continua, aspirando avidamente la sua Marlboro. “È solo che… era il signor Anderson. È un filantropo. Lo conosciamo tutti. Dona a qualsiasi associazione ci sia qui in città, e anche in tutta la Scozia. È il cofondatore della MealForDee…” sbando nel momento in cui Reed frena violentemente.

“La MealForDee!” esclama colpendosi la fronte con la mano “E tu che volevi farmi spegnere la TV” mi rimprovera. “Stamattina al telegiornale l’hanno menzionata, i fondi sono stati tagliati. E non è la prima volta, è ormai da un anno che l’associazione viene vilipesa in primis dai suoi soci. Io” “Io le suggerirei di rallentare” lo interrompo, stringendomi sempre di più alla cintura, notando che non accenna a diminuire la velocità, nonostante la pioggia che iniziava a bagnare l’asfalto.

“Io devo tornare al M.I.T. Dobbiamo controllare dei fascicoli, dobbiamo sbrigarci. E soprattutto, chiedi al medico di sbrigarsi con quelle analisi, dobbiamo averle il prima possibile. Il nostro killer del cibo non si fermerà adesso” “Forse vorresti dire Cereal Killer” mi lascio sfuggire, ricevendo una pessima occhiata da Reed, che scoppia a ridere nel momento in cui si toglie la sigaretta dalle labbra per ciccare nel portaoggetti adibito a posacenere.

“Come fai a non avere il coraggio di guardare un morto, ma ad avere il coraggio di fare una battuta del genere?”

10

Prosa

Negli ultimi due giorni l’ispettore Reed era rimasto incollato alla sua scrivania, dicendo di non aver bisogno di andare a casa, ma di dover rimanere nei pressi del telefono, per ogni evenienza. Era convinto che l’avrebbero chiamato a breve, che ci sarebbe stato un altro omicidio, ma ormai erano passati due giorni.

“Ho il referto dell’anatomo patologo” dico nell’istante in cui apro la porta “avevi ragione, era stato spostato. Ma c’è una cosa interessante che mi confonde: le macchie che avevi indicato erano scure, quasi marroni, e confermano un avvelenamento da cloruro di potassio. Era nella mela. Ma se voleva avvelenarlo, perché poi pugnalarlo?”

“Era nella cosa?” mi chiede fissando il vuoto, mentre ha i palmi congiunti sotto il mento, per aiutarsi a reggere il viso che si tiene a fatica e che è segnato dalle ore di sonno perse.

“Nella mela” ripeto. Lui scoppia a ridere. “Non ci credo. Sono stato così stupido. Tutto questo tempo” si passa entrambe la mani tra i capelli tirandoli fortemente, quasi come per punirsi della sua distrazione “era già successo. Era già successo” mi fa segno di sedermi e di passargli il file che avevo recuperato dall’archivio, al quale aveva lavorato il mese scorso, e che aveva riletto negli ultimi due giorni, mentre attendeva la chiamata che non era mai arrivata.

“Il mese scorso l’altro fondatore della MealForDee, l’associazione di beneficenza per coloro che soffrono la fame, è deceduto. Lo conosci, no? Il veterano, il signor MacKay. Era così vecchio che abbiamo creduto fosse morto a causa della sua età, ma sai cosa stava facendo quando lo abbiamo trovato? Stava mangiando una mela” mi spiega freneticamente, scuotendo il capo incredulo “non posso credere di essere stato così superficiale. Due mesi prima c’era stato lo scandalo, lo scandalo ricordi?” chiede alzando la voce, facendo quadrare tutti i pezzi del puzzle.

“Avevano fatto quella cena di beneficenza, avevano raccolto tutti quei soldi, eppure all’associazione non era mai arrivato nulla. Credo che il nostro killler sia coinvolto nell’associazione, e che abbia deciso di farla pagare a tutti coloro che si sono arricchiti a discapito dei bisognosi” conclude alzandosi per poi rigettarsi a peso morto sulla sua sedia domandandosi frustrato “Ma chi? MacKay e Anderson erano i due fondatori. Abbiamo scoperto che anche la signora Dhamhnuill donava, così come in realtà fa la maggio parte dei nostri cittadini.”

“In realtà c’è un terzo fondatore” dico, facendolo balzare dalla sedia “Connor me lo raccontava sempre. Lui era fratello di MacKay. Fratellastro, hanno padri diversi, ma si tenevano in contatto. Ricordo che Connor una volta era davvero arrabbiato, diceva di non poter credere che gli fosse stato tolto il posto che gli spettava di diritto” mi porto una mano alla tempia sforzandomi di ricordare, maledicendomi per non aver prestato attenzione a tutti i racconti che uscivano dalla sua bocca. “Will deve saperlo sicuramente, è il nipote. Dobbiamo andare da lui” dico, spiegando “è per questo che Connor non vedeva l’ora di andare in pensione. Diceva sempre di avere certi affari da sistemare.

Dobbiamo sbrigarci.”

Quando arriviamo davanti casa dei due non posso ch notare l’auto di Connor parcheggiata per strada. Reed mi fa segno di stare dietro di lui e prende il cellulare per avvertire il dipartimento e chiedere rinforzi.

“Non possiamo farlo” lo fermo “non sa che siamo qui, e non abbiamo comunque prove a sufficienza.

Usiamo l’effetto sorpresa a nostro vantaggio, Connor mi adorava, mi aprirà sicuramente. Inventerò una scusa” “Non puoi entrare da sola. Come faccio a raggiungerti se poi entri in casa?”

“Questi sono problemi dell’ispettore Reed del futuro” affermo, mentre busso alla porta di Connor, che dopo alcuni minuti viene ad aprirmi quasi affannato.

“Ciao Connor” lo saluto gioiosamente, spalancando la porta e abbracciandolo fortemente “saranno solo due settimane che sei in pensione, ma sembra già passata un’eternità. Dovresti tornare, il mio nuovo capo è davvero un coglione” gli sorrido cordialmente, come facevo sempre quando lavoravamo assieme ed era di pessimo umore “posso entrare per una tazza di tè?” faccio qualche passo in avanti entrando definitivamente nell’appartamento, mentre Connor è così colto alla sprovvista che non può che farmi cenno di seguirlo, titubante.

11

Prosa

“Mi tolgo le scarpe, sono sporche!” gli urlo dall’ingresso “Non voglio sporcarti questo parquet brillante con il fango di Dundee” continuo, aprendo leggermente la porta e infilando una scarpa per tenerla aperta, richiamando l’attenzione di Reed per fargli notare che ora ha via libera.

Lo seguo in cucina, dove noto una tavola piena di dolci di ogni genere. Ci sono due torte, un vassoio di biscotti, e alcuni muffin. Uno di quelli a cioccolato è stato morso, ed è poggiato su un tovagliolino accanto alla sedia sulla quale mi siedo. Continuo ad osservare attenta la tavola, notando che in realtà grand parte del cibo poggiatovi è stato morso più volte, quasi come se fosse stato mangiato controvoglia. Connor intanto mette il bollitore sul fornello, accanto al quale una strana quantità di pillole bianche richiama la mia attenzione.

“C’è anche Will?” chiedo sorridendo, ma nell’istante in cui apre bocca sento un tonfo provenire dalla stanza accanto e mi alzo di scatto, correndo, nonostante Connor mi urli di tornare indietro. Aprendo la porta di quello che scopro essere il bagno, trovando Will riverso sul pavimento, privo di sensi, in una pozza di vomito. Lo giro di lato per aiutarlo a respirare, ma Connor mi prende per le spalle e mi ordina di lasciar stare suo nipote, urlandomi di andare via, stringendo sempre di più la presa, per poi lasciarmi all’improvviso, facendomi cadere.

“Come sei entrato tu? Che ci fai qui?” sbotta sorpreso, trovandosi davanti Reed e altri due agenti contro.

“Chiama un’ambulanza” urlo a Reed, mentre provo a controllare il battito di Will, che inizio a percepire a fatica, mentre Connor viene strattonato dai due, urlando di essere innocente.

“Voi non capite!” urla mentre i due provano a tenerlo fermo “Questa è la mia missione, è la missione di Dio. Loro hanno rubato i soldi della beneficenza, dovevano pagare, dovevano espiare il loro peccato.

Non capite? Ma non lo guardate? Quel maiale" sputa osservando Will con aria sprezzante "MacKay l’ha nominato responsabile della MealForDee al mio posto alla sua morte. A quel ragazzino! Mezzo mondo sovrappeso, l’altra metà muore di fame ed è colpa di gente come lui, come loro, come voi, che rubano, che non condividono, che sono mossi solo dalla necessità di soddisfare i propri bisogni, senza mai occuparsi degli altri. MealForDee era una frode, quanti bambini sono morti malnutriti, e quanti stanno morendo ancora mentre parlo? Solo perché non hanno nulla, loro non hanno colpa, noi abbiamo la colpa, dobbiamo espiarla. Abbiamo solo avuto la fortuna di nascere nel lato giusto del pianeta, e allora è nostro dovere aiutare gli altri” Connor continua a gridare, io faccio qualche passo indietro avvicinandomi a Reed spaventata, incapace di credere di aver lavorato con lui senza aver notato niente, ma con la consapevolezza che nelle sue parole c’è un fondo di verità.

“In mano mia l’associazione avrebbe salvato delle vite per davvero, invece ora state condannando migliaia di bambini innocenti, 16.000 ogni giorno muoiono e loro, loro mangiavano aragoste a pranzo” continua, mentre i due agenti cercano di zittirlo inutilmente.

“Hai ucciso 4 uomini, le loro vite non contano?” grido, scagliandomi verso d lui, ma Reed mi ferma prendendomi per il polso e tirandomi verso di lui.

“Erano quattro peccatori” commenta ridendo “io volevo solo salvare il mondo” “Sei di nuovo pensierosa” mi dice Reed mentre siamo in macchina e guida verso casa mia, avendo deciso di darmi un passaggio, nonostante gli avessi chiesto di poter tornare da sola “l’abbiamo preso.

Abbiamo preso il cereal killer” continua accentuando l’ultima parte, cercando di distrarmi.

“Sono…combattuta, credo. È solo che non mi sono resa conto di nulla, per tutto questo tempo. Abbiamo lavorato assieme per un anno, non avrei pensato che Connor potesse” mi interrompo, perdendomi nei miei pensieri “è solo che ha ragione. Non facciamo nulla” confesso afflitta.

“Non è il tuo compito quello di salvare il mondo. Non è il compito di nessuno, perché è qualcosa che va oltre le nostre capacità. Quello che possiamo fare è solo provare ad essere ad essere brave persone nel nostro piccolo, se lo facessero tutti il mondo sarebbe migliore. Ma non lo fanno. Ed è qui che entrano in gioco le persone come noi, abbiamo il dovere di fermare quelli che provano a minacciare gli altri. Connor sarà solo il primo di tutti i cereal killer che prenderemo” riprova, facendomi ridere questa volta.

“Casa mia era lì però” dico, indicandogli l’incrocio che ha mancato.

“Lo so ma è rimasto ancora un po’ del Cabernet Sauvignon in ufficio, dovremmo festeggiare.

Infondo me l’hai detto tu che il cibo è condivisione, no?”

12

Poesia

Kérberos di Pasquale Bruno

13

Poesia

p

"…

oi Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine et a nostra somigliantia, et abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame et su tutta la terra, et su tutti i rettili che strisciano supra la terra…”

La voce di Bonaventura tuonava dal fondo del refettorio dalle pareti incupite dal nerofumo che nel corso degli anni si era andato ad incrostare sulle pareti, che una volta potevano essere definite “bianche”, vibrando tra le tavolate silenziose dei monaci, insinuandosi tra le teste calve e i manici di tonaca, riempiendo lo spazio concavo del cucchiaio prima che, raschiando il fondo della scodella, raccogliesse le poche gocce di zuppa rimasta.

Oggi lenticchie, e nient’altro.

Desio alzò lo sguardo dalla ciotola, ormai vuota, per fissare, con i suoi occhi incavati colmi di fastidio, il pulpito da cui faceva sfoggio di sé la testaccia di Bonaventura che oramai durante l’ora del pasto sembrava essersi fatto il nido proprio sul dorso di quell’aquila dorata che lo manteneva a due piedi e mezzo da terra, tronfio come potrebbe esserlo un rospo durante le piogge che seduto su un masso si crede re sovrano della sua pozza. “…così Dio creò l'uomo a sua immagine; ad immagine di Dio lo creò; maschio et femina li creò…” echeggiava implacabile Bonaventura mentre le teste chine dei monaci sorbivano con le loro orecchie le sue parole così come la loro bocca faceva con la zuppa: lentamente e mal celando il disgusto: ovviamente, tutto in silenzio perché se l’osservanza della quiete era d’obbligo durante il lavoro e le preghiere non di meno doveva esserla durante i pasti e grazie all’ascolto del vocione gracchiante di Bonaventura i monaci si “distraevano” dal piacere del cibo, che era solo “un mezzo e nient’altro, il veicolo che abbiamo noi peccatori per sopravvivere et per non cadere preda dei morsi della fame prima et vittime del peccato poi, succubi dell’impedimenta della famelica et ingorda bestia tricefala, Cerbero demonio.

L’unico cibo che dovrete gustare sarà la Santissima Eucarestia, il pane di nostro signore e salvatore Gesù Cristo, vero cibo dato agli uomini” come diceva l’Abate; ma la santa ostia non ti riempie lo stomaco dopo le ore passate nei campi e questo Desio lo sapeva fin troppo bene, inciso com’era nelle sue orbite infossate, segnato lungo ogni costola dell’ossuto petto glabro che nascondeva sotto la sua tunica da novizio;

14

Poesia

"Era abituato a ben altri banchetti Desio e ricordava con una sofferenza, che si acuiva ad ogni graffio del cucchiaio nella ciotola, l’interminabile desco della corte di suo padre: ricordava i grossi spiedi da cui colava copioso il grasso sfrigolante, enormi lance metalliche che arrostivano senza tregua sui carboni ardenti le carni dei cinghiali dalle bianche zanne appena abbattuti che non aspettavano altro che i servi, muniti di coltellacci dal manico ricurvo li dividessero, tagliando quella carne tanto morbida da sembrare burro, e posassero le parti migliori dell’animale, ancora fumanti, davanti a lui ed a suo fratello che forte del suo diritto di nascita gli aveva strappato tutto: la casa, i servi, la sposa promessagli, le gioie e le fatiche di essere signore e marito per non lasciargli nient’altro che una raccomandazione per un facile accesso alle fatiche, alla solitudine ed ai poveri legumi della vita monastica nei quali Desio non riusciva a trovare alcun tipo di soddisfazione o consolazione, sia essa fisica o spirituale, contrariamente ai suoi fratelli di sventura i quali sì, avrebbero sicuramente preferito una coscia delle oche del contadino, speziata magari, al posto dell’ennesima scodella annacquata di fagioli, ma oramai, contrariamente a lui, se ne erano fatti una ragione e nonostante tutto trovavano ancora l’entusiasmo e la forza di ringraziare la Divina Misericordia per il dono del pane quotidiano; forse perché i confratelli non sembravano accusare i morsi della fame come lui che, riflesso nell’acqua verde smeraldo del pozzo del chiostro, da dove era solito dissetarsi (era l’unico che lo faceva poiché la fontana dove bevevano tutti era abbastanza lontana e si annoiava di percorrere quel cammino, e per questo si contentava di quell’acqua amara, ma pur sempre acqua) nelle brevi pause per far riposare la schiena tra una raccolta e l’altra, si vedeva sempre più pallido, sempre più emaciato, sempre più magro, assalito dai crampi allo stomaco e dal dolore dell’intestino, mutato nell’ ombra di quell’energico figlio di conte che una volta era stato prima di prendere sulle sue ormai magre spalle il saio.

Ieri, cosce sanguinolente di vitelli, oggi due mestoli insipidi di lenticchie e mezza libra di pane (ed una cozza a Natale, quando gli andava bene…).

“E Dio li benedisse e Dio disse loro «Siate fructiferi et moltiplicatevi, riempite la terra et soggiogatela, et dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo et supra ogni essere vivente che si muove supra la terra».”

I monaci più anziani dicevano che si sarebbe abituato con il tempo, in fondo un regime alimentare più controllato non gli avrebbe fatto male e gli avrebbe evitato la fine di quei signorotti dediti esclusivamente ai piaceri della tavola e delle carni per poi vivere i restanti anni della propria vita soffrendo di gotta.

Eppure, Desio non ci riusciva e per quanto mangiasse nel giro di due mesi era già finito tre volte nell’infermeria del monastero dove aveva potuto godere finalmente di un po' di stufato caldo di maiale, che veniva concesso solo in casi eccezionali

15

Poesia

come accadeva per i malati ed agli infermi, ma appena si accorgevano che si sentiva anche solo un po’ meglio veniva cacciato immediatamente via, forse perché Tristano, il severo monaco-speziale, intuiva la sua scarsa tempra e non avrebbe permesso ad un rammollito di occupare quel lettino dove tanti uomini di fede erano spirati tra le sue braccia per andare incontro agli angeli del Signore prima di quel monacello mingherlino.

Tuttavia, se c’era una cosa che Desio veramente non riusciva a comprendere, era capire come fosse possibile che con una alimentazione tanto ristretta, tanto rigorosa, composta dal minimo indispensabile per “sopravvivere”, l’abate sembrasse ingrassare sempre di più nel corso delle settimane tanto da instillare nei cuori dei monaci il dubbio che si facesse inviare provviste dall’esterno, nonostante il cuoco spergiurasse di non sapere nulla, e questo era un altro dei motivi (insieme alla fame) che impedivano il sonno all’ossuto monaco, perché se proprio doveva morire voleva farlo con un cosciotto di fagiano in bocca e non tra gli stenti di quell’orto che zappava con risentimento ogni mattina.

Erano giorni che si faceva oramai strada, in modo sempre più persistente, il germoglio del sospetto nel suo petto e già vagava con l’immaginazione tra i tesori culinari che un abate ormai sovrappeso poteva celare nelle sue stanze proibite ai novizi come lui e Desio decise, forse complice la scodella vuota o il senso di frustrazione, di intrufolarsi di nascosto negli appartamenti del superiore, impegnato in quel momento a discutere con un gruppetto di laici alla fontana del chiostro della foresteria, trovando un inaspettato sostegno nelle parole di Bonaventura che arrivato nella lettura al versetto 29 lo starnazzava tronfio “…et Dio disse: «Ecco io vi do ogni erba che fa seme supra la superficie di tutta la terra et ogni albero che abbia fructi portatori di seme; questo vi servirà di nutrimento.”

I corridoi erano totalmente oscuri a causa dell’assenza di qualsiasi tipo di finestra o inferriata ma Desio aveva calpestato quei pavimenti talmente tante di quelle volte che non aveva bisogno della luce per orientarsi e per quanto la strada per le camere dell’abate non fosse né lunga né tortuosa iniziò velocemente ad ansimare ed il cuore accelerò il battito mentre rifletteva sul perché stava facendo proprio quello che non avrebbe mai pensato di fare: “E a ogni animale della terra, a ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra ed ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento…” non sapeva perché si era alzato dalla tavolata dei suoi confratelli né cosa veramente si aspettava di trovare all’interno di quelle stanze, ma di una cosa era sicuro, e lo sentiva nel profondo del suo stomaco: doveva cercare.

16

Poesia

Dopo nemmeno pochi minuti si trovava davanti quella porta d’ingresso che Desio per un istante aveva quasi esitato ad aprire, timoroso delle potenziali conseguenze di quel gesto se veramente avesse scoperto quello di cui era convinto, se il suo naso non fosse stato colpito, con una violenza quasi feroce, da un odore che immediatamente lo trasportò in un tempo diverso, quando la dolcezza delle giornate primaverili, passate a cacciare con il falco ed i segugi per i boschi della tenuta di famiglia andavano a sfumare nelle notti estive punteggiate di stelle, quando gli uomini si sedevano in circolo a pavoneggiarsi con le loro imprese della giornata arrostendo la cacciagione e Desio e suo fratello, ancora piccoli rincorrevano i cani, mai stanchi del loro gioco; Desio ricordava questo con gli occhi umidi mentre guardava le sue ossute dita, irriconoscibili se paragonate alle morbide mani di un tempo, poggiate sull’anta della porta, indecise se spingere o meno, ma l’ennesimo, terribile crampo allo stomaco unito alla sola vista di quello che era diventato, suo malgrado, gli fece montare una spaventosa quanto bestiale ira in quel corpo tanto svilito dalla sofferenza che abbassò la mano solo per aprire la porta con un poderoso colpo della spalla per poi trovare quello che già sapeva di trovare… “…e così fu.”

Da quel momento in poi la nebbia sembrava avergli corroso il cervello e la sanità: ricordava soltanto quell’odore dolce selvatico misto a fumo mentre le mani ormai simili ad artigli adunchi si immergevano nella carne morbida ancora calda che aspettava lui soltanto lui e i denti che prendevano strappavano dall’osso brandelli di un qualcosa che prima era vivo e correva tra le montagne ed i boschi respirando bevendo nutrendosi di quei legumi che lui disprezzava tanto e i succhi che gli scorrevano giù per il mento e il movimento ossessivo e frenetico sì la Frenesia la gioia ed il godimento del corpo dell’anima in un turbinio lussurioso della mascella e dei denti che sì godevano anche loro che finalmente dopo mesi sminuzzavano strappavano inghiottivano qualcosa di solido di sostanzioso di CARNE e che si ripercuotevano sbattendo vibrando nella sua testa e nel cuore e lo stomaco e lui tutto e poi un suono orribile quanto esaltante il tavolino che si rovescia con l’arrosto che cade per terra ma a lui non importa niente è più importante ormai che è accecato dal profumo di selvaggina che gli ha offuscato gli occhi il cervello e la sanità e lui anche si tuffa a terra e stringe prende afferra con le dita che sono artigli e i denti che sono zanne e sente il freddo del marmo e il contatto della lingua con il pavimento alla ricerca dei brandelli dei succhi della carne perché nulla gli deve sfuggire niente deve andare sprecato tutto è suo tut e poi avverte i passi di un uomo no di più uomini in corsa che vengono verso di lui e fiuta la presenza dei confratelli che fanno irruzione nella sala dell’Abate e poi rissa lotta urla ricordava manici di saio e piedi e mani che lo

17

Poesia

afferravano e calci lui che scappava e pugni e urla e lui che urlava ancora di più come una bestia dissennata e poi due cani che abbaiavano in lontananza e lui che gridava più forte ancora più forte latrava che lui con quei cani e così c’erano tre bestie o forse la bestia era una sola ma con tre bocche tre istinti tre peccati tre volte rabbia e fame tricefala squassante ed infernale e lui finalmente le aveva prestato il corpo che non aveva o che aveva sempre avuto e poi ricordava di essere trascinato via mentre con le mani cercava ancora a tentoni pezzi di vita a cui poter appigliarsi da poter ingerire da portare via con sé mentre cercava di affondare le unghie nella pietra perché non dovevano portarlo via non potevano portarlo via ed in tutto questo quel figlio di puttana di Bonaventura che con la sua voce disgustosa continuava a leggere per i confratelli e le loro lenticchie indifferente al dolore alla febbre alla frenesia alla fame.

“Allora Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. “

18

Poesia A cura di:

Tania Ferrara Emmanuele Zottoli Alessia Pierno

La cena

Poesia

Annusando il crepuscolo sento l’ora del languore farsi più vicina…

In questa tavola imbandita il tuo volto è la curva pregnante della coppa.

Mastico questo pane nella durezza del tuo petto.

I denti sminuzzano le mandorle intatte delle tue unghia bianche.

Nel miele di castagno mangio con voracità il cantico tuo e l’aspro lineamento.

I semi di questa mela vivono nel tuo corpo, impudico e aitante…

E al centro della tavola quadrata il pallido formaggio bucherellato come i vuoti di questa ingorda passione.

TANIA FERRARA

20

Poesia

21

Com'è amaro e ancora dolce questo pane, che sa di casa e di sventura.

Ogni sua briciola è una storia senza tempo, che si ripete ad ogni assaggio.

E quanto coraggio sanno dire questa birra e questo vino, le cui gocce hanno preso a giocare assieme, con le lacrime che già versammo.

Quella sera in campagna c'era davvero il senso, e tra le lucciole e le briciole ne colsi il sapore.

Ora che ha preso posto il dolore mi rimangono solo il pane e il vino, mentre io continuo a vivere a tratti: A giugno fu uno di quelli, Un respiro improvviso, un balzo in avanti.

EMMANUELE ZOTTOLI

Poesia Poesia

Scatolame

22

Certi giorni mi sveglio con la notte nel cuore: lascio la vita là fuori, legata a un palo.

Io raccolgo le briciole come i piccioni, lei piscia e caga come un bulldog nano.

Così vorrà dio: che sia cibo per cani, che battiamo le mani per non farla abbaiare.

Inventiamo dei nomi, ci illudiamo padroni noi che siamo fondi di scodelle da raschiare.

ALESSIA PIERNO

C R I T I C A

A

L E T T E R A R I A

C U R A

D I :

Matteo Balsamo Laura Colosi

CON IL CUORE DEI GIGANTI Il titolo di questa rubrica è ispirato alla celebre citazione di Bernard de Chartes: “…come nani sulle spalle dei giganti” Il nostro sarà un tentativo di salire sulle spalle dei colossi del passato e da spiriti di bassa statura con il loro aiuto guardare al presente e al futuro con occhio critico e curioso. In questo spazio, verranno trattati un autore e un’opera letteraria in linea con il tema mensile della rivista. Non verranno date solo note tecniche o mere nozioni sullo stile ma fornirà un ponte di lancio al nostro pensiero per poi addentrarsi nelle profondità: tentare di interpretali ed offrire poi uno spunto di riflessione.

24

Critica

Una Diet Pepsi e tre Oreo non fanno una colazione Di Matteo Balsamo Sono

di ritorno da una grigliata con degli amici,

prima che compagni di avventura nella redazione di Fiat Lux. Vedete, ci sono cose che possiedono la trasparenza di un vetro, nelle quali puoi specchiarti, e questi sono gli sguardi delle persone che condividono il tuo stesso ethos, con cui anche discutere di argomenti futili o materialistici sarebbe superfluo, perché capisci subito ciò che per loro è davvero importante. IL CIBO. Nah, scherzo. Non molti mesi fa ho avuto il piacere di leggere un libro che consiglio a tutti: s’intitola

“Quando siete felici, fateci caso”

dello scrittore

e antropologo Kurt Vonnegut. Si tratta di una serie di

“commencement

ufficiali

ai

americane,

speeches”,

laureandi al

termine

tenuti

ossia

discorsi

nelle

dell’anno

università

accademico,

da

una personalità di spicco del mondo della cultura o

della

politica.

contraddistingue,

Con

l’irriverenza

Vonnegut

che

sferra

lo

attacchi

micidiali alla politica e alla vita sociale e culturale degli Stati Uniti, facendo ridestare il canto oramai assopito

della

libertà

di

gusti,

dell’anticonformismo e della creatività degli esseri umani. I propri discorsi, freschi e zeppi di humour, hanno

la

missione

di

dissacrare

il

tempio

della

cultura (l’accademia) e soprattutto, con la battuta e l’ironia, di spingere a riflettere le giovani menti, americane e non, che si apprestano ad entrare nel fosco di

mondo

del

lavoro.

“Mattatoio n.5”

usa

e

getta

come

verte,

dettato

metafora

del

La

dal

critica

per

di

dello

più,

consumismo

malessere

di

scrittore

sul e

donne

sistema sul

e

cibo

uomini

troppo presi ad esaltare se stessi e a screditare gli altri:

«I

ragazzi che si laureano qui oggi non sono

sonnacchiosi,

non

sono

indifferenti,

non

sono

apatici. Stanno solo portando avanti l’esperimento di fare a meno dell’odio. È l’odio la vitamina, o il minerale, come lo vogliamo chiamare, che manca nella

loro

l’odio,

a

cianuro.

»

dieta; lungo

si

sono

andare,

accorti è

giustamente

nutritivo

che

quanto

il

25

Critica

Il cibo è naturalmente uno dei bisogni primari e fondamentali, ma Vonnegut collega la carenza di vitamine fornite da alimenti belli e

appariscenti

carenza

ma

poco

culturale

funzionali

della

al

società

nostro

organismo

post-industriale.

con

«Penso

la

alla

marina inglese, i cui uomini, malgrado solcassero i mari di tutto il mondo,

si

sentivano

cominciarono

a

sempre

succhiare

i

una

lime.

schifezza,

Era

finché

carenza

di

non

vitamine,

ovviamente! E anche noi, in questa società post-industriale, post guerra una

fredda,

schifezza.

chiamiamola Abbiamo

come

tutti

i

ci

pare,

minerali

ci

e

sentiamo

le

sempre

vitamine

che

ci

servono. Non sarà che soffriamo di una carenza culturale a cui possiamo porre rimedio? Miei cari, la risposta è sì.

L’accademico

statunitense

fondamentali” ripararsi “bisogni

anche

dalle

quelli

intemperie,

spirituali”

perché

definisce

che

“vanno

coprirsi

e

impossibili

inoltre

al

di

fare da

»

là

sesso”,

vedere,

“bisogni

del

mangiare,

chiamandoli

odorare,

udire,

toccare e gustare. L’antitesi del cibo inteso nella sua condizione materiale, è chiaro, ma il centro essenziale della vita dell’essere umano, che troppo spesso dimentichiamo: la felicità.

«Troviamo

un

altri

modo

famiglie

per

procurare

allargate.

Un

fanno

una

famiglia,

fanno

una

colazione.

che è una famiglia. parte

integrante

di

nuovo

marito,

così

mia

noi

stessi

moglie

una

trenta,

»Tornando

della

una

come

Venti,

a

Diet

e

e

qualche

Pepsi

quaranta

agli

e

tre

persone:

delle

figlio

non

Oreo

non

quella

sì

all’inizio, per me i veri amici sono

famiglia

naturale.

«Noi

umanisti

ci

comportiamo nella maniera più onesta possibile senza aspettarci nessuna

ricompensa

o

punizione

in

una

vita

dopo

la

morte.

Facciamo del nostro meglio per servire l’unico ente astratto che ci risulta familiare, ossia la nostra comunità.

» Ed

è

proprio

studenti

che

alla

Kurt

comunità

Vonnegut

di

si

giovani

rivolge,

in

un finale di discorso che ritengo sia uno dei

più

belli

mai

letti.

Non

incoraggiamento

e

fiducia

generazioni,

è

una

lezione

di

ma

vita,

vera

semplice

e

è

solo

nelle e

nuove propria

diretta

come

un raggio di sole:Ma tornando a mio zio Alex, che ormai è in paradiso. Una delle cose che trovava deplorevole negli esseri umani era che si rendevano conto troppo raramente invece

della

loro

faceva

riconoscere benessere. stessimo

stessa

del

suo

apertamente Capitava

seduti

meglio i

che

felicità.

per

momenti

d’estate

all’ombra

Lui

di

un

di

ce

ne

melo

a

bere limonata, e zio Alex interrompeva la conversazione

per

bello di questo? stesso Quando

per le

il

»

dire

c’è

di

più

Spero che voi farete lo

resto

cose

«Cosa

della

vanno

vostra

bene

e

tutto

vita. fila

liscio, fermatevi un attimo, per favore, e dite a voce alta: questo?

».

«Cosa

Fatene

il

c’è di più bello di

vostro

c’è di più bello di questo?

».

motto:

«Cosa

26

Critica

Pani Ca’ Meusa Di Laura Colosi D ovunque tavola

venga

assaggiato,

riccamente

seduti

apparecchiata

a

una

o

in

sontuosa

piedi

per

strada il cibo ha un inconfondibile sapore, quello dei ricordi. Lo sa bene il protagonista de

tempo perduto una

fredda

Alla ricerca del

che dopo essere rientrato a casa in

giornata

d’inverno

si

rifocilla

mangiando

un biscotto inzuppato in una tazza di te. Ma questo non

è

un

biscotto

come

tanti

altri,

è

un

Petite

Madaleine! Il dolce sapore lo riporta così indietro nel tempo

a

tanti

domeniche salutare

anni

mattina

in

prima, a

quando

Combray

camera

la

era

vecchia

da

bambino

solito

zia

le

andare

Léonie,

a

Questi

in

vita

era

stato

un

decano

dal

forte

che

carisma, in grado di riunire attorno a sé i fedeli puntualmente pezzetto

di

in

tale

quel

occasione

biscotto

bagnato

gli di

porgeva infuso

di

un te.

Proust con questo esempio ci mostra in cosa consista la “memoria involontaria”, ossia l’incontro casuale con un

oggetto

in

cui

si

cela

il

passato,

passato

che

è

di Berlevagg, paesino norvegese ai piedi di una montagna. Altre protagoniste del racconto sono per

l’appunto

terrà

il

le

padrone

banchetto,

Filippa

racconto

Babette

di

Karen

Blixen

connessi

intitolato

anche

nel

Il pranzo di

in cui la protagonista, ex cuoca francese e

rivoluzionaria, organizza con i 10.000 franchi vinti al lotto

un

banchetto

compleanno

del

padrone di casa.

in

padre

occasione oramai

del

defunto

centesimo delle

sue

provano che

il

valore

a

tenere

insieme

padre

aveva

che

pranzo

il

la

comunità

costruito. ricopre

preparativi alla messa in atto.

ammirate

si

che

in

per

la

loro bellezza e candore e ora avanti con gli anni

sono

tutti

Martina

cui

mente.

memoria

da

in

gioventù

e

state

e

casa

vano invece tentare di rievocare con gli sforzi della Cibo

erano

della

religiosa

Interessante nel

racconto,

è

il

dai

27

Critica

Proprio

Babette

organizzare attraverso

per cui

insisterà

poi

nel

servirsene

rivivere

il

volerlo

come

proprio

mezzo

passato

di

artista culinaria, la riconoscenza per Filippa e Martina

che

accolta

in

casa

spontaneo

loro

di

in

prima

c’entra così

casa,

utilizzato

ritornare

anni

chiedersi,

proprietarie abbia

dodici

i

il

come

la

poco. fanno

perché

soldi

Francia,

ben

l’avevano

della

risposta

Sorge le

due

Babette

non

vincita

per

è

semplice.

Come ci rivela ella stessa nel monologo finale, il

ritorno

alla

terra

natia

non

avrebbe

avuto

alcun senso dato che la Francia dei suoi ricordi, dei suoi familiari morti da tempo, di quei signori

A

aristocratici che aveva da cuoca servito nel suo

emblematica scena letteraria, la famosa cena tenutasi a

Café

casa

e

poi

da

rivoluzionaria

contribuito

a

testimonianza

di

Don

di

ciò

Rodrigo

ne

mi

viene

alla

mente

I Promessi Sposi

un’altra

dove

tra

il

un’altra

e

la

cena

in

quale

il

uccidere in quanto oppressori del popolo, non

risuonare

esisteva. Ma lasciamo la parola a Babette:

un’altra

<< Questa gente mi apparteneva, era mia. […]

questione

Era

spesa

italiano, in cui l’abbondanza era simbolo di ricchezza e a

molto maggiore a quella che loro, mie graziose

causa di questa alimentazione non esattamente salutare

signore, potranno mai immaginare o credere, a

quasi

capire quale grande artista sono io >>.

Certamente la tendenza all’eccedere nel mangiare tipica

Nel

stata

allevata

racconto

simbolo

di

ed

della

educata

Blixen

appartenenza

con

il

una

cibo

culturale

e

delle

posate

ancora. è

tutti

È

a

bene

ambientata

gli

una

pietanza

ricordare

in

un

aristocratici

segue che

periodo,

erano

malati

di

‘600

gotta.

diventa

degli aristocratici seicenteschi per nulla si accorderebbe

sociale.

alla concezione che hanno del cibo i ricchi d’oggi, i quali

Del resto il legame tra il cibo che si mangia e il

prediligono

ceto

presentazioni. Don Rodrigo rabbrividirebbe al sentirlo, ma

sociale

a

cui

si

appartiene

è

innegabile

mini

portate

servite

con

raffinate

ieri come oggi.

non trovo il suo strafogarsi poi così distante da ciò che

<< Questa gente mi apparteneva, era mia. […] Era stata allevata ed educata con una spesa molto maggiore a quella che loro, mie graziose signore, potranno mai immaginare o credere, a capire quale grande artista sono io >>.

vedo

fare

tutto

il

a

moltissimi

mondo,

con

la

nei sola

ristoranti

all

differenza

you

che

can

nel

eat

di

secondo

caso c’è un prezzo fisso che per la sua esiguità è davvero accattivante,

mentre

nel

proporzionale alla qualità.

primo

la

spesa

è

alta

perché

28

Critica

Attenta

alla

Babette,

infatti

procurarsi d’annata tra

i

lo

era

di

questa

non

bada

pietanze

dodici il

dalla

convitati reale

francese

sicuro

ricercate

direttamente

apprezzare solo

qualità

valore

presente

a

L’unico

comprendere

tavolo,

per

Champagne

economico

al

nostra

spese

e

Francia.

a

la

un

del

però

e

ad

cibo

è

generale

il

che

ben conosceva tali pietanze avendole degustate per anni nella Corte di Francia. Questi rimarrà folgorato dalla bontà delle prelibatezze servite che elogerà in tono

solenne

in

un

discorso

finale.

Reazione

sorprendente considerando che fino a poche pagine prima

troviamo

all’occasione

lo

con

stesso

poche

personaggio

pretese,

sicuro

recarsi

che

nulla

potesse eguagliare un pranzo fatto molti anni prima al Cafè d’Anglais. E indovinate un po’ chi lavorava presso

questo

come

cuoca

tanti

anni

prima…la

nostra Babette! Quando si dicono le coincidenze del caso. Per quanto riguarda invece gli altri convitati, umile

comunità

puritana,

è

da

sottolineare

che

anche costoro hanno una reazione non indifferente al

cibo,

già

al

primo

boccone

sentono

la

grazia

scendere su di loro e nel corso del pranzo riescono addirittura Neanche

a

per

risolvere un

istante

controversie però

i

decennali.

membri

della

setta

religiosa sono sfiorati dal pensiero che il merito di ciò possa essere del pasto, che sì trovano delizioso, ma

pur

unica

sempre

mero

funzione

è

nutrimento

quella

di

del

sostenere

corpo

la

l’anima.

cui

Tutti

eccetto la cuoca, che rimane per tutta la durata del banchetto

in

cucina,

attraverso

il

cibo,

bene

materiale, trovano la grazia infinita. Un dettaglio da non

trascurare

agli

invitati

loro

straniere

è

che

norvegesi e

le

pietanze

siano

proprio

per

servite

francesi questa

e

al

pranzo

quindi

ragione

per

all’ora

dei preparativi Filippa e Martina al vedersi entrare in

casa

Babette

tartaruga

e

avevano

un

ragazzo

pensato

lei

con una

in

braccio

Strega

e

una

lui

un

folletto intenti a organizzare un Sabba di streghe. È

evidente

elemento

dunque

di

come

il

appartenenza

discriminazione.

cibo

sia

un

identitaria

effettivo

quanto

di

Il

cibo

è

inoltre

anche

occasione

di

incontro,

incontro che è contraddistinto da un forte carattere sociale

come

famosissime pranzo

in

abbiamo

pagine

cui

del

Angelica

visto,

basti

pensare

Gattopardo fa

il

suo

alle

dedicate

ingresso

al

nella

famiglia Salina (memorabile il torreggiante timballo ai

maccheroni

servito

in

tale

occasione)

o

quelle

che ci presentano il famoso ballo la cui narrazione ricopre divide.

un Il

sarebbe Antonio

intero

cibo stato

è

capitolo.

Il

tradizione

di

d’accordo

Tabucchi,

portoghese

con

autore

d’adozione.

In

cibo un

unisce,

popolo.

questa del

il

Di

cibo certo

affermazione

‘900

italiano,

Requiem ,

libro

dal

fascino auratico, lo scrittore ci racconta la cultura alentejana

attraverso

pagine

interamente

dedicate

alle ricette del popolo e per farlo sente l’esigenza di

scrivere

culinaria,

in

portoghese.

stiamo

parlando

Lingua

e

tradizione

dell’identità

di

una

nazione. Scene cruciali inoltre avvengono proprio in occasione di pranzi e cene.

29

Critica

Esilarante è “il menù poetico” della cena finale

che

ambientata

Tabucchi in

un

appositamente

locale

post-moderno,

dove chiara è la critica alla pretenziosa e volgare

moda

di

intitolare

pietanze

comuni con nomi ricercati. Il primo pasto servito,

intitolato

rivela

essere

banalissima

l’Amor

de

Perdição,

nient’altro

zuppa

di

che

si

una

coriandolo,

la

tradizione si maschera da innovazione.

Il Vero Portogallo non sono queste fittizie prelibatezze,

il

vero

Portogallo

è

il

Sarrabulho à moda do Douro delle pagine iniziali, lombo a spezzatino marinato con aglio

schiacciato,

vino,

sale,

pepe

e

cumino, rosolato nello strutto con trippa e fegato

fritti,

traspare

dalla

veracità

che

la moglie del Signor Casimiro dimostra nel descrivere la ricetta.

In

questo

abbiamo

breve visto

excursus alcune

letterario

delle

varie

sfumature che contraddistinguono cosa il cibo

possa

rivolgo

a

rappresenta

rappresentare. te, il

caro cibo

nella

d’incontro,

ricordo,

appartenenza

più?

ora

lettore,

Occasione di

E

di

tua

mi

cosa vita?

nutrimento,

di

o

di

qualcosa

⽊漏れ⽇

KOMOREBI

CRITICA CINEMATOGRAFICA

A CURA DI: SARA PICARIELLO ALESSANDRA DE VARTI

Komorebi è la parola giapponese usata per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Le parole giapponesi sono estremamente affascinanti, questo perché i kanji, ideogrammicondensatori di significato, sono utilizzati per esprimere concetti complessi che non potrebbero essere espressi con le parole del nostro alfabeto. In particolare l’aver creato una parola appositamente per rendere lo spettacolare effetto visivo della luce tra gli alberi, mi ha da sempre trasmesso qualcosa di poetico e di magico.

Pronunciando una semplice parola siamo lì, tra quegli alberi attraverso cui il sole cerca di penetrare, rompendosi in fasci di luce. Un effetto visivo per me simile alla luce dei proiettori, che girando lo sguardo durante la proiezione di un film, vedo uscire dalle piccole finestre poste in alto nella sala, una somiglianza forse lontana ma dettata dalla stessa sensazione di quiete che mi trasmette il trovarmi tra la natura o in una scura sala di un cinema.

Cosa sarà quindi Komorebi? Definirla una rubrica cinematografica forse è un po’azzardato, mi piacerebbe più definirla come la piccola finestra di una sala dalla quale proietterò un film, scelto da me, visto di recente, ma anche più datato, che consiglio di vedere (se non lo avete ancora fatto). Lo analizzerò, commenterò fornendo una chiave di lettura personale e delle curiosità a riguardo. Detto questo buona lettura!

31

Critica

The interview E altri film che ho visto solo perchè amo James Franco

PRESSO ME STESSA

UN’OMELETTE AI FUNGHI E LA SOTTILE LINEA TRA LA VITA E LA MORTE

Qualcuno ha detto che c’è un filo invisibile che lega ogni cosa, che ci lega ad un oggetto, ad una situazione, ad una passione e soprattutto ad una persona. Un filo che guida

i

nostri

movimenti

fino

al

raggiungimento

dell’estremità opposta. È quello che comunemente viene chiamato destino. Secondo una famosissima leggenda giapponese ogni persona porta, fin dalla nascita, un filo rosso

al

mignolo

indissolubilmente

della

alla

mano

propria

lunghissimo

e

annodarsi

attorcigliarsi,

o

sinistra

anima

indistruttibile,

e

prima

lo

gemella.

per o

che

Il

quanto

poi

le

due

lega filo

è

possa anime

gemelle si incontreranno e vivranno insieme per sempre.

Proprio il destino farà incontrare Reynolds Woodcock e Alma Elson, protagonisti de

Il filo nascosto,

l’ultimo film

di Paul Thomas Anderson, candidato a sei premi Oscar

IL FILO NASCOSTO

nel 2018, dei quali ha ottenuto solo quello per i migliori

(PHANTOM THREAD)

costumi. Un filo tiene insieme le loro singolari anime e ha

DI PAUL THOMAS ANDERSON

reso affini i loro spiriti, un filo non rosso, ma forse color borgogna, un colore che ritornerà più volte, nei vestiti, nei calzini

di

Reynolds,

sulla

sua

macchina,

sulle

tende

e

persino sulle guance di Alma, quando per la prima volta i loro sguardi si incrociano. Per quanto tutto questo possa sembrare romantico, c’è ben poco di sentimentale nel

Di Sara Picariello

film di Anderson, e ben presto il già complesso e a tratti “inquietante”

rapporto

tra

i

due

personaggi,

si

trasformerà in un sottile gioco di forza e sottomissione, in una guerra per il potere, la cui arma sarà proprio il cibo.

Reynolds

Woodcock

(Daniel

Day-Lewis)

è

un

32

Critica

noto

stilista inglese, un uomo egocentrico e raffinato, la cui figura

è

forse

ispirata

a

quella

di

un

noto

sarto

spagnolo Ristòbal Balenciaga. Vive da perfetto esteta, cultore delle cose belle ed in particolare della bellezza femminile,

nella

incarnandone

Londra

borghese

perfettamente

gli

degli

ideali

anni

di

’50,

eleganza

“Si può cucire qualsiasi cosa nella di un vestito.

Segreti, monete, parole, brevi messaggi” Cucita

nella

giacca

di

Reynolds

Woodcock

c’è,

ad

esempio, una ciocca dei capelli della madre defunta,

formale e di prestigio. La sua esistenza procede solo in

colei che gli ha insegnato i segreti del mestiere, l’unica

vista della realizzazione del prossimo abito. Tra orli,

donna abbia mai amato. Lo stilista è ossessionato dalla

merletti e stoffe preziose, l’ideazione e la creazione

figura

sono un rito quasi ossessivo, che inizia alle prime ore

costantemente, ma non è una presenza inquietante, anzi

del mattino, durante la colazione, mentre sorseggia

prova

del Lampsang, un pregiato tè nero cinese affumicato.

accanto a lui. Ingabbiato in questa sorta di complesso

Un

il

edipico, egli non riesce ad instaurare nessuna relazione

turbamento del suo flusso creativo e un malcontento

con l’altro sesso. Le donne dell’alta società londinese,

generale.

ma

rito

che

non

può

Reynolds

è,

essere

quindi,

interrotto,

un

uomo

pena:

solitario

e

della

una

anche

madre,

certa

regine

percepisce

consolazione

e

principesse

la

nel

sua

presenza

saperla

straniere

sempre

adorano

lo

dispotico, pretende silenzio e concentrazione in tutta

stilista e i suoi abiti: il modo in cui le guarda quando li

la

hanno

casa

di

nessuno

moda,

può

ed

è

sconvolgere

estremamente quelle

regole

abitudinario, precise

che

indosso

plasma

quella

dove

gemella

Cyrill

(Lesley

Manville),

con

la

quale gestisce l’atelier. La sua “spina nel fianco”, così

fa

sentire

sensuali,

desiderate

e

potenti. Reynolds, infatti, ama il corpo femminile e lo

governano le sue giornate. La sola presenza tollerata è della

le

è

attraverso

la

necessario,

stoffa,

ma

riuscendo

anche

a

a

dare

toglierle

lì

forme

dove

il

“decoro” lo richiede.

la definisce Reynolds, ma in realtà colei che garantisce che l’ordine delle cose segua il costante andamento

Le donne per lui non sono altro che corpi da vestire,

per evitare turbamenti.

manichini sul quale può esercitare il suo potere. Ed ecco che,

Attraverso scena,

la

con

eleganza

figura

quella

che

Reynolds,

cura

Anderson

maniacale

come

un

moderno

Pigmalione,

sporadicamente

in

sceglie una donna da tenere in casa con sé, per un

quell’estrema

determinato periodo di tempo, come sua musa. Per lei realizza abiti bellissimi, i più belli della collezione, le

creazione di un’opera d’arte. La cinepresa indaga e

impone il proprio stile, la rende colta e raffinata per

scruta

le

presentarla agli eventi dell’alta società, fino a quando,

misure di tutti gli angoli del corpo, il taglio della stoffa,

ormai sazio, non chiede alla sorella Cyrill di farla andare

l’ago

via.

che

caratterizzano,

e

mette

della

ogni

lo

di

momento:

entra

e

il

esce

l’ossessione

centimetro

dell’ordito,

che

prende

l’aggiunta

dei

dettagli più ricercati e preziosi e l’annullamento della propria esistenza per il compimento di un lavoro. E

Reynolds, infatti, è costantemente affamato di bellezza,

tutto ciò diviene metafora anche del lavoro del regista.

di tutta quella che un corpo può emanare, da essa trae

Come un pittore o uno scultore con la propria opera e,

ispirazione e sostentamento e, solo dopo aver appagato

quindi,

film,

il suo appetito, quando quel corpo non emana per lui più

Reynolds mette tutto se stesso nella realizzazione di un

nessuna bellezza, ha la necessità di lasciarlo da parte e

suo lavoro, e ogni nuovo abito si prende un pezzetto

di posare gli occhi su una nuova fonte.

anche

come

un

regista

con

il

proprio

della propria anima, che resta lì nascosto, in quelle pieghe che nessuno può vedere.

33

Critica

La troverà in Alma Elson (Vicky Krieps), una giovane e

Dal latino almus, “nutriente”, “che nutre”, Alma sarà

impacciata

di

per Reynolds una “madre nutrice”, una divinità che può

campagna, che diventerà la sua nuova musa, un nuovo

cameriera

dare vita ma può anche portare morte, sarà il veleno e

corpo da plasmare, un manichino da dominare. Ma Alma

l’antidoto insieme, sarà il primo volto che vedrà dopo

non è come le altre donne di Reynolds, lo infastidisce

averlo

continuamente, è priva di grazia e di gusto e non sa

boccone di omelette ai funghi, ingoiato senza remore,

mangiare senza fare rumore, “inquinando” così il flusso

pur sapendo di essere avvelenato, sarà il consenso di

creativo

Reynolds a quel gioco di sottomissione, in cui lui ha

dello

di

stilista.

una

Alma

piccola

vuole

locanda

avere

un

proprio

spazio, un’opinione, desidera portare il disordine delle

ucciso,

salvato

e

poi

accudito.

Invece,

il

deciso di essere lo schiavo.

cose reali in quella gabbia di perfezione fatta di pizzi e merletti

e,

soprattutto,

brama

di

essere

amata

da

Reynolds tanto quanto lei ama lui, non vuole restare ad aspettare giovane

il

momento

donna

è

un

in

cui

lui

elemento

sarà

stufo

perturbante

di

lei.

nella

La vita

dello stilista ed è per questo che a poco a poco la sua presenza fino

ad

inizierà arrivare

ad

essere

alla

sempre

magistrale

più

scena

ingombrante, della

cena

a

sorpresa a base di asparagi al burro e non all’olio (come Reynolds

è solito mangiare), durante la quale, dopo un

pianto liberatorio, Alma arriva alla dolorosa conclusione che

per

quanto

possa

provarci,

il

suo

essere

così

palpitante non potrà mai conciliarsi con quella realtà artefatta e bloccata in un ciclo eterno e pieno di silenzi.

Ed ecco emergere, di lì a poco, l’altro volto di Alma, quello che una superficie di dolcezza e comprensione aveva

sapientemente

nascosto Alma,

nelle

infatti,

pieghe

sono

dissimulato, della

due

sua

facce

quello

anima.

della

recondito,

Reynolds

stessa

ed

medaglia:

entrambi egocentrici, entrambi soli, entrambi tormentati delle proprie ossessioni, entrambi con un’insaziabile sete di potere. Proprio come Reynolds, Alma vuole esercitare un controllo sull’altro, è ossessionata da lui e vuole che sia completamente suo. Lei gli ha concesso ogni singola parte del suo corpo ed ora in cambio vuole da lui ogni singola

parte

spogliarlo

della

della

sua

sua

anima,

corazza,

ma

dovrà

per

farlo

renderlo

dovrà

inerme,

indifeso, un bambino da accudire come una madre, un essere inanimato a cui ridare la vita. Si innesta così quel gioco di forze, tra la vita e la morte, quella guerra il cui campo di battaglia sarà proprio la tavola e l’arma, il veleno di funghi allucinogeni, dissolto a piccole dosi, nei piatti di Reynolds. Come un ago riesce penetrare, con dirompenza,

anche

nei

tessuti

più

duri,

lasciando

sull’ordito una trama, così Alma è riuscita a scalfire la corazza

dell’uomo,

ad

entrare

nella

sua

anima

lasciare un segno profondissimo, tanto da diventare indispensabile, come il cibo.

e

a

“Io ti voglio completamente inerme, indifeso, tenero, aperto; al tuo fianco devi avere solo me e ti voglio poi di nuovo forte”.

34

Critica Paul

Thomas

imbastito nei

un

minimi

per

la

Anderson abito

sicuramente

Il

elegante,

dettagli,

troppa

con

un

film

filo

nascosto

raffinato che

perfezione

e

ha

curato

quasi

disturba

formale,

aiutato

da magnifici attori, primo fra tutti

potere e di controllo di una giovane donna che desidera volto lunghi c’è

solo

di

angelico, sguardi

amore

dietro

interminabili quel

gioco

dalla

meravigliosa

interamente

da

ultima

interpretazione,

colonna

Jonny

realizzata

Perché

chitarrista

forse

sonora

Greenwood,

il

e

dei Radiohead, che già aveva collaborato con il regista,

componendo

le

musiche

Petroliere ( 2 0 0 7 ) , The Master di forma ( 2 0 1 4 ) .

Ma

come

Reynolds trama

tutti

i

bellissimi

Woodcock,

segreta,

un

anche

insieme

(2012)

per

sempre

e

da

realizzati

quel

un

diversi

una che

quell’abito

parla

malato,

L’amore

tra

mignolo

della

destinati

compenetrarsi

si

dietro

perché che

perfetto

in

ad

di

il

non

ma

la

tra

e

tra

cui

pur

legate

sinistra,

insieme

forma,

film,

quello

persone

complementari,

nella

la

incontrarsi

cuciti

e

tra

tutto

mano

in

dose

malsano,

due

dolce

silenziose

una

tradizionale,

amore

al

spiriti

ha

che

quello

filo

nascosti,

film

amore

amore.

tessuti

questo fili

di

di

romantico,

due

abiti

di

Il Vizio

è

non

amore

un

celato

“perverso”

veleno in un omelette ai funghi.

sua

c’è

cene

che

la

morte,

dietro

erotismo

un Daniel Day-Lewis in stato di grazia, in quella sarà

la

e

amata,

tanto

vita

forse

e

essere c’è

a due

creano trama

non necessariamente devono essere svelati.

nasconde tanti piccoli segreti.

Il

Ma sono proprio questi segreti a renderlo tale.

filo

nascosto,

infatti,

oscilla

costantemente

tra l’apparenza e l’essenza: ci sono il tormento e

l’ossessione

quella

della

apparente

debolezza

e

la

creazione,

perfezione,

fragilità

di

un

nascoste ci

sono

uomo

solo

in la e

tormentato dai propri fantasmi, nascoste in una dura corazza di egocentrismo, c'è la sete di

“Se non dovesse più svegliarsi, se domani non fosse più qui, non importerebbe, perché so che lui mi starebbe aspettando nell’aldilà o in qualche altro luogo celeste. In questa vita, in quella dopo e in quella dopo ancora. E per tutto quello che resta da percorrere fino ad allora, dovrò solo essere paziente, finché non sarò di nuovo con lui.

Insomma, amarlo ha reso la vita meno misteriosa"

Critica

BIG NIGHT DI ALESSANDRA

Il

cibo

può

necessità

di

intemperie moda,

essere

e

arte?

Avevamo

proteggerci

l’abbiamo

avevamo

dalle

trasformata

sete

e

in

adesso

cerchiamo di sentire il retrogusto di frutti rossi e rovere nel vino, avevamo fame e ora

guardiamo

con

sospetto

i

profeti

della cucina molecolare, che vendono a cifre a doppio zero enormi piatti bianchi con

dentro

una

fragola

tagliata

in

quattro che sa di anguria (tanto valeva servire

un’anguria,

del

cibo

no?).

è

L’unica

proprio

pecca l’essere

irrimediabilmente legato alla dimensione del bisogno, le sue radici che affondano nella

necessità

di

sopravvivenza

gli

impediscono di fluttuare libero insieme a tutte le arti purissime e apparentemente distaccate dalla realtà. Voi lo sapevate che

Stanley

Tucci

ha

fatto

anche

il

regista? Io no, per me è sempre stato quello che “Hai un disperato bisogno di Chanel” ne “Il Diavolo veste Prada”, e invece nel 1996 si porta a casa il Premio della

Giuria

del

Festival

del

cinema

americano di Deauville e quello per la miglior

sceneggiatura

Independent Night”.

Spirit

d’esordio

Awards

con

agli “Big

DE

VARTI

35

36

Critica

Viene presentato in ogni scena sotto una luce diversa: il saltimbanco, capace di rapire l’attenzione dei suoi clienti con la presentazione spettacolarizzata di una portata, il mentore di Secondo, l’esempio a cui ispirarsi, una figura a cui è pericoloso accostarsi, un bugiardo e infine l’uomo d’affari, opportunista, calcolatore, avido di

ogni

cosa,

che

vive

secondo

l’ingorda

e

violenta

filosofia del prendersi tutto, sempre, perché “non è mai troppo, non è mai abbastanza” Sullo

schermo

personaggi

Dai tempi della “Cena Trimalchionis”, il cibo è sempre stato visto come qualcosa di volgare, triviale, rivoltante più che invitante

nei

suoi

rappresentazione

eccessi. che

ne

Basti

pensare

ricaviamo

da

alla

“Il

recente

Buco”,

film

spagnolo che ha spopolato su Netflix qualche mese fa. In “Big Night”, il cibo diventa metafora dell’arte e la cucina del ristorante

di

approdati

in

Primo

e

America

Secondo, in

cerca

due

di

fratelli

fortuna,

abruzzesi

si

trasforma

nell’atelier di un pittore. La domanda non è più se il cibo può essere

arte,

stavolta,

ma

se

l’arte

può

sopravvivere

alla

capitalizzazione sfrenata del nostro tempo. Davanti ai nostri occhi,

la

opposti:

pellicola i

due

si

muove

fratelli,

facendo

l’arte

e

la

scontrare

fama,

la

i

grandi

fidanzata

e

l’amante, l’abissale insormontabile differenza fra quello che ci meriteremmo e quello che abbiamo, l’American Dream, ma

quello

di

Fitzgerald,

prospero

di

promesse

non

mantenute. Primo è uno chef di grande talento, ma la sua cucina tradizionale non soddisfa la clientela, incapace di sforzarsi di comprendere e apprezzare qualcosa che non rientri nella sua idea di cucina- un po’ come chi va a vedere Tenet e lo critica perché la linea temporale richiede più attenzione

dello

scarso

20%

impiegato

dallo

spettatore

medio. Secondo, il fratello minore, gestore del ristorante, è un

uomo

amante

del

gusto

e

delle

belle

cose,

come

le

sfavillanti Cadillac, pubblicizzate con lo slogan “standard of the world”, lo standard del mondo, a cui non si può venire meno. Secondo è il tipico ritratto dell’immigrato che parte per l’America convinto che sia il paese dei sogni, in cui chi lavora bene viene ricompensato, ma i problemi economici e la testardaggine del fratello- che si rifiuta di abbassare il livello della sua cucina per renderla più accessibile ai rozzi palati

americani-

magistralmente proprietario

di

lo

portano

interpretato un

cucina dozzinale.

ristorante

da di

a Sir

rivolgersi Ian

Holm.

successo,

a

Pascal,

Pascal

nonostante

è

il

una

si

susseguono

secondari:

l’amante,

che

Rossellini,

la

interpretata

ha

il

fioraia da

la

volto di

Allison

una

carrellata

fidanzata di

cui

è

una

di

sublime

Primo

Janney

è

di

Secondo, Isabella

innamorato,

(Premio

Oscar

alla

migliore attrice non protagonista per “Tonya” nel 2017), il venditore di auto, che si inserisce perfettamente nel panorama affari.

di

feroce

Ritratti

pennellate

competitività

tratteggiati

che

con

fungeranno

da

del

mondo

poche cornice

ma per

degli

decise la

vera

protagonista della seconda parte della pellicola: una cena sontuosa servita su una lunghissima, affollatissima tavolata.

Poi,

il

film

viene

spaccato

in

due

da

un

segreto fra regista e spettatore: entrambi sanno come andrà

a

finire.

I

personaggi

si

muovono

irrequieti

e

festanti sullo sfondo, con le note di “Mambo italiano” che accompagnano i loro i passi di danza. La pellicola cambia ritmo e si divide nelle portate di una cena, con la zuppa, i primi, i secondi, il timballo e i dolci, una grandiosa

festa

con

un

posto

vuoto

a

capotavola.

L’assenza dell’ospite d’onore riporta ad un’atmosfera all’ “Aspettando Godot”.

376

Critica Per

la

maggior

parte

del

tempo

la

telecamera è fissata su Secondo, ma il

finale

ci

svela

che

contrapposti

sono

Secondo

è

non

i

due

Primo

che

un

e

mondi Pascal,

mediatore,

il

cui compito è quello di salvaguardare il bello, che lui tanto ama, e impedire che venga inghiottito dal processo di industrializzazione, mercificazione secolo.

del

Sta

a

rispetto

riconoscere

del

all’offerta

per

manifesta

il

la

fratello di

Pascal,

talento

nel

e

ventunesimo

lui

straordinarietà rinunciare

globalizzazione

di

e il

cui

Primo

tarpargli

le

si ali,

ammettendo di aver visto un ostacolo nella sua bravura. La telecamera, che per tutto il film segue con naturalezza i

movimenti

degli

attori,

sottolinea

i

fronti opposti di Secondo e Pascal nel dialogo conclusivo, amaro e carico di tensione.

L’epilogo,

l’ultimo

dei

molti

piani sequenza di cui è ricco il film, è di

inaspettata

pillola Qui

scoppia

il

dramma,

allora,

quando

scoppia

il

dramma?”

è

fatta

zucchero,

dolcezza: scendere

riporta

come

una

assieme

le

fila

lo

della

quello che verrà da pensare, ma la luculliana tavola imbandita di

tragedia

ogni ben di Dio invita ad abbandonarsi alla squisitezza del cibo

Un’immagine

toccante

di

amore

(o meglio, al suo aspetto squisito) e seguire i moniti di Lorenzo

fraterno

racchiude

un

monito

de’

silenzioso:

una

resistenza

dell’arte,

Medici

nel

“Chi

vuol

essere

lieto

sia”.

Infine,

l’agnizione,

brutale e inaspettata, persino per chi pensava di aver capito, ma è

stato

conclude

imbrogliato, la

cena,

come

nel

cui

vince

in

gioco il

dell’anello

miglior

con

bugiardo.

cui

si

Cambia

l’ambientazione e per un attimo si vede chiaramente il nòcciolo di

tragedia

dell’opera:

niente

metafore,

sovrastrutture,

ecco

l’ossatura della storia, di nivea semplicità. La spiaggia sembra un palcoscenico, un’arena in cui si affrontano i due fratelli, mentre gli spettatori, quelli che scelgono di assistere, osservano dall’alto la scena.

Il doppiaggio italiano del film è un piccolo capolavoro realizzato sotto

la

direzione

apprezzare Shaloub,

la

che

sopravvivenza disposto possibile.

a

del

pluripremiato

recitazione

in

italiano

trasmette

pura

dell’arte-

culinaria,

violentarla

L’arte

non

pur

può

Filippo di

Stanley

disperazione.

di

essere

in

questo

ricavarne diluita,

Ottoni,

il

non

E’

una

caso-

Tucci

come

è

e

lotta in

maggior è

ma

Tony

per

un

da

la

mondo

guadagno una

spezia

che dà sapore a un piatto, è qualcosa per cui morire, perché il sacrificio richiesto da un mondo che non ha pazienza di lasciarsi affascinare

e

trascinare

dell’arte

è

un

prezzo

pagare per chi riconosce la bellezza del genio.

troppo

alto

da

nelle

alla

che

piccole

quotidianità.

strenua,

cucine,

personale

che nei

rinascerà monolocali

affittati a poco prezzo, nelle case di produzione

indipendenti,

redazioni di provincia.

nelle

CRITICA D'ARTE

A CURA DI

Eliana Pardo Cristina Colace

Che cos’è il "Duende"? È un folletto, una voce nuova, un vento mentale. Nella mitologia spagnola, indica uno spiritello che, secondo la leggenda, si impossessa di alcuni artisti, ma non si manifesta allo stesso modo in tutti. Federico Garcìa Lorca parla di un fluido inafferrabile, che arriva direttamente all’osservatore, qualcosa di demoniaco, di dionisiaco ed inspiegabilmente magnetico. “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”, così lo definì Johann Wolfgang von Goethe, avendo intravisto quel sacro fuoco ardere nelle corde del violino di Niccolò Paganini. Insomma, il Duende, nella sua inafferrabile ed intraducibile definizione, ci ha ispirato per il titolo di questa rubrica. Non pretendiamo di “diagnosticarlo”, piuttosto di lasciarvelo intravedere nelle opere di cui racconteremo tra queste pagine, cosicché ognuno possa coniare la sua personalissima definizione. D’altronde, come scriveva Federico Garcìa Lorca: “Per cercare il duende non c’è mappa né esercizio. Si sa solo che brucia il sangue come un tropico di vetri, che estenua, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che si appoggia al dolore umano inconsolabile, che fa sì che Goya, maestro dei grigi, degli argenti e dei rosa della miglior pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni con orribili neri bitume.”

EL DUENDE

Critica

Rendiam pan per focaccia con "CIBO" di Eliana Pardo

"Arrivato mezzogiorno chi ha fame gira intorno."

Pier

Paolo Spinazzè, però, sebbene affamato e

goloso quanto tutti noi, a quell’orario preferisce piuttosto

godersi

i

profumi

gastronomici

della

strada, vagando con sguardo vigile intorno alle belle

mura

delle

sua

immensa

e

affascinante

Verona, e chissà, magari lasciando anche dietro di sè un bel ricordo del suo passaggio. Cibo è il suo nome d’arte, ed è uno tra i più interessanti street artist italiani del nostro tempo. La street art (tanto

per

ripassare

un’espressione anni

un

artistica

Settanta

e

nata

diffusasi

po’ a in

insieme)

New

York

tutto

il

è

negli

mondo

dapprima come evoluzione della Pop Art e della Graffiti

Art,

per

manifestazione

poi

d’arte

tramutarsi

e

pensiero

in

in

libera

strada.

Da

sempre è ritenuta una forma artistica illegale e vandalica, ma per renderla effettivamente tale, affermano gli artisti, bisognerebbe rappresentare tematiche

contro

propugnatrici

il

dell’odio

buon e

il

costume

razzismo.

E

e/o non

è

questo il caso del nostro caro amico Cibo. La sua passione per l’arte e la cucina, infatti, hanno fatto sì che portasse avanti un progetto più ammirevole che interessante, donandoci non solo una vasta quantità

di

succulenti

graffiti

e

murales,

ma

soprattutto un messaggio forte e chiaro racchiuso in essi, che sa essenzialmente di forza, resistenza e amore per ciò che ci circonda. La sua positività

39 24

40

Critica

“L’Italia ha un patrimonio gastronomico enorme che viene valorizzato solamente in parte, purtroppo. Per me è una continua fonte d’ispirazione.”

-Pier Paolo Spinazzè non riempie soltanto di gioia, ma ci fa credere che,

eliminare

effettivamente, non esiste un motivo valido per non

fascista, o semplicemente carica di ignoranza,

ricominciare daccapo, per non essere ottimisti ogni

disegnando al loro posto alimenti prelibati dai

singolo giorno.

colori vivaci e carichi di quell’esagerato amore

fame,

ad

A tutto c’è una soluzione. Il senso di

esempio,

si

sopprime

abbastanza

che

qualsiasi

solo

a

tipo

tavola

imbrattatura

sappiamo

risvegliare.

che modo Pier Paolo riesce a fare tutto ciò? Il cibo è

nazisti

nutrimento, certo, ma anche cultura, l’unica cosa che

l’artista

forse riesce a metterci per davvero tutti d’accordo e,

italiani, ma frutta e verdura non mancano di

con Spinazzè, è diventato adesso anche un simbolo

certo nella sua dieta! Mozzarelle giganti, primi

contro l’odio; un emblema tangibile della lotta contro

piatti

la

parmigiano

violenza

e

un

modo

innovativo

per

mettere

a

al

quei

rattristano

riproduce

pomodoro sono

simboli

veramente

facilmente. (Solo qualche volta, nel mio caso). Ma in

che

Sopra

di

le

neofascisti

mura

soprattutto

e

però

numerosi gli

di

Verona

piatti

tipici

spicchi

alimenti

e

che

di par

tacere senza esternare alcuna parola. Il compito che

riprodurre il più delle volte… Saranno forse i

ormai da anni porta avanti Cibo, infatti, è quello di

suoi preferiti?

41

Critica

“L’Italia

ha

un

patrimonio

gastronomico

enorme che viene valorizzato solamente in parte,

purtroppo.

Per

me

è

una

continua

fonte d’ispirazione. Proprio nella street art ho trovato

una

permette ad

di

un

forma

di

veicolare

espressione messaggi

grandissimo

consapevole

della

che

mi

importanti

pubblico.

temporalità

Sono

dei

miei

interventi e che potranno essere deturpati, ma

non

è

un

problema,

a

meno

che

non

venga rovinato da scritte o simboli fascisti. In quel caso ritorno e modifico il mio soggetto.

Penso

sia

un

messaggio

importante,

che

viene trasmesso perché l’arte e la bellezza vinceranno

sempre

sull’odio”.

Queste

le

parole di Cibo. O di Pier Paolo Spinazzè.

Che possiate trarne solo il meglio per poter rendere arte la vostra esistenza. Ma adesso non avete un po’ fame anche voi?

42

Critica

L'uomo è dove mangia fast food e junk architecture di Cristina Colace

Siamo

“

ciò

Che

Detto tanto brutalmente quanto letteralmente,

tutti

“ciò che non serve, fa spazio” Ed è qui che le

L’uomo è dove

cose si complicano. Perché, spesso e volentieri,

Nulla contro la filosofia del buon vecchio

ciò che non serve (o, almeno, non più) alle città,

secolare

che

cliché.

mangiamo”, Se

fosse

banalmente.

vero,

persone di merda. Sai che ti dico?

mangia.

Ludwig

Feuerbach,

polpette

di

mezzanotte

riso al

ma

e

tra

“All

salmone

McDrive

e

il

saremmo

You

Can

crudo,

Eat”

spuntini

diffondersi

di

fa spazio ad un fast food. Come nel caso di

di

questo gioiellino, fregiato del titolo di “

morboso

edificio

più brutto di Rotterdam”,

della formula “Just Eat”, non vorrei essere ciò che

colosso

mangio. Affatto. Non sono qui per farvi la morale,

canticchiando

eh, sia chiaro. Ma, suvvia, se dovessimo giudicare un

mani

essere

umano

stomaco

e

sulla

non

potrebbero

di

base quello

deporre

elegantemente rigorosamente

le

che le

labbra

che è,

c’è

quanti

posate, con

il

suo,

di

noi

memoriae,

tovagliolo,

subìto a

non

chioschetto,

una cui

voi!?)

vera

si

è

e

(l’avete ha

che,

messo dal

propria

sostituito

letto le

canto

damnatio

un

volume

scatolare puro, che dialoga con il monumentale ufficio

postale

posteriore

attraverso

immense

luogo aperto giorno e notte, è stata riservata

un peccato di gola? L’architettura, con il dinamismo

particolare

evolutivo di un idioma che assorbe in sé lemmi quali

rivestimento, traforato con aperture a forma di

junk

gli

cuore, per formare un “velo” che, durante l’uso

ambienti che non rispondono ad esigenze ritenute

notturno del locale, se attraversato dalle luci,

socialmente e psicologicamente valide.

restituisce la forma di una struttura luminosa.

cheeseburger,

galateo,

ha

it”

ammettere serenamente di non aver mai ceduto ad

double

secondo

un

suo

pulirsi

anche

sull’osceno

nel

lovin’

superfici vetrate a tutt’altezza; trattandosi di un

o

tessuto,

ciò

“I’m

ed

food

in

di

di

Paesi Bassi. Finché il

contrae

cura

nella

progettazione

del

Critica

43

I. Mei architects and planners / McDonald’s in Rotterdam, Paesi Bassi – 2015

Non da meno è stato il colonnello, volto e logo del “Kentucky Fried Chicken”, abbreviato 2005 proponeva un progetto avveniristico post-modernista, firmato

PK Arkitektar,

KFC, che già nel

per la nuova sede

islandese. Ahimè, un po’ a malincuore, devo ammettere che la straordinarietà di questi progetti sta proprio nel rendere inspiegabilmente attraente la modernità nell’atto della sperimentazione tecnologica, favorita dalle illimitate finanze di cui dispone la committenza, volta al propugnare l’idea che il fast food sia un luogo della contemporaneità e che il cibo espresso sia un prodotto imprescindibile nella società odierna, stuzzicando, di fatto, un bisogno indotto che mai prima d’ora era stato registrato. L’obiettivo è, alla fine dei giochi, riuscire ad instaurare un rapporto di sincera ed autentica fiducia con la clientela, che, se da una parte viene considerata nell’ottica istintuale di “consumatore”, dall’altra viene appagata e, concretamente quanto concettualmente, nutrita della convinzione di essere coccolata e assecondata in quanto individuo, e non in quanto massa-target informe. Perché Lui, sì, quel panino così invitante, sa quello di cui TU, proprio tu hai bisogno, e te lo racconta mentre invia la stessa notifica ad altri milioni di utenti in tutto il mondo…

II. PK Arkitektar / Fast Food Restaurant - KFC in Reykjanesbær, Islanda – 2005

44

Critica

Questa neo-cultura non-indigena ha

un

non,

suo

linguaggio,

strutturato

prepotente rituali,

i

cattedrali.

tramite

retorica,

suoi

verbale

ha

sciamani,

e

una i

suoi

le

sue

Prendiamoci

del

tempo, dunque, per ammirare la

Notre-Dame

del

consumismo

sfrenato, il prodigio della tecnica e

l’esaltazione

del

potere

del

dollaro: Fuel Station + McDonalds a Batumi, in Georgia.

III. Khmaladze Architects / Fuel Station + McDonalds in Batumi, Georgia – 2013

diamante in acciaio e vetro temperato, proviene dal malvagio quartier generale dello studio Khmaladze Architects ed è un tempio laico alla trinità del capitalismo: il petrolio, la Coca-Cola & l’Happy Meal. Poche volte sarei disposta a prendermi Questo prezioso, straordinario e sfaccettato

un’intossicazione alimentare, ma pur di accedere all’interno di questo oggetto alieno, che sembra atterrato sul nostro pianeta descrivendo cerchi nel grano, o fuoriuscito dalle viscere più profonde delle miniere di zirconi della Siberia, pagherei il prezzo di un McMenù Large.

Secondo la visionaria concezione anatomica dello

spazio

elaborata

dal

guru

dell’architettura funzionalista, il leggendario

Corbusier,

Le

la casa altro non è che un riflesso

della struttura sociale umana. Eh sì, abitiamo

società di stanze”:

quotidianamente in una “ prendendo

in

personificata

dell’abitazione,

che

l’ambiente

prestito

adibito

conservazione

dei

alla cibi

quest’immagine non

c’è

dubbio

preparazione nonché

alla

consumazione dei pasti, sia il più conviviale IV. Interior design of McDonalds by Khmaladze Architects in Batumi, Georgia

conviviale

e

piacevole

della

popolazione

di

camere

che

piacciono quelle cucine all’americana, con super piani di

compone

la

comunità-casa.

Quanto

ci

lavoro in quarzo color avorio (consiglio:

preferitelo al marmo, che assorbe gli umori grassi) e isole super accessoriate con lavandino incassato e fornelli ad induzione di ultimissima generazione. Sì, perché anche per metter su la moka, cucinare un uovo al tegamino o portare a bollore l’acqua per cuocere la pasta bisogna avere stile! Un po’ come uno chef pluristellato che pubblicizza le patatine imbustate della San Carlo. Un dualismo talmente stridente e tanto cacofonico che quasi non mi dispiace. Viviamo di contrasti, la cucina ce lo insegna: agro-dolce, dolce-amaro,

dolce-salato,

panna

acida

e

cioccolato

al

sale.

Roba

che

mia

nonna

e

avrebbe

elegantemente disdegnato, filosofia alla base della proposta enogastronomica dei più rinomati cuochi

45

Critica

“Il capitalismo moderno necessita di uomini che senza difficoltà cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati.”

mondiali.

Insomma,

se

costretti

a

scegliere

tra

fast

food e junk architecture, (sì, sto per dirlo) preferiamo sempre la seconda. Ripenso con nostalgia alle osterie romane e alle fraschette di Trastevere, dove, nel totale disinteresse

per

la

ricercatezza

dell’arredo

e

delle

soluzioni architettoniche, ho riempito la pancia ed il cuore con i piatti della tradizione.

Riappropriamoci

del

buon

gusto,

godiamo

della

semplicità di un piatto di spaghetti al pomodoro al tavolaccio

di

legno

di

una

cucina

scarsamente

abitabile, all’italiana. Perché il design così pulito dei fast food non saprà mai regalarvi la convivialità di un pranzo tra amici, la sacralità che si cela dietro al gesto di un brindisi, l’amenità di un luogo che si costruisce invisibilmente,

mattone

su

mattone,

con

lo

stare

Mies van divina Csaba

insieme. Less is more, come ben ci insegna

der Rohe (e come ben ci riconferma la Dalla Zorza), con buona pace dell’ingegneria

e della

tecnica, ma basterebbero cinque persone o poco più,

-Erich Fromm

un piatto caldo e una bottiglia di vino, per fare di un anonimo ‘altrove’, una casa a tutti gli effetti.

Il segreto è tutto qui. Scegliamo di essere autentici ma sofisticati, veraci ma raffinati, e non solo a tavola…

P U N T O

18

Carmine Faiella Gabriele Maurizio

D I F U G A

FOTOGRAFIA

Fotografia

47

dio

Stiamo consumando lentamente il nostro pianeta.

L'unica cosa che ci rimarrà è mangiare i nostri soldi.

di Carmine Faiella

Fotografia

48

Genesi

di Gabriele Maurizio

Intervista a

Intervista

50

UNDICESIMO NUMERO DI FIAT LUX, UNDICI DOMANDE A SILVIA DI COMITE, GIOVANE AMMINISTRATRICE DELLA RINOMATA PAGINA INSTAGRAM DI DIVULGAZIONE LETTERARIA BATTITURE. IN LINEA CON IL FORMAT D’INTERVISTE LANCIATO AD AGOSTO VI PROPONIAMO QUESTA VOLTA UN’INTERVISTA IN MODALITÀ SCRITTA. 1.

Ciao Silvia, su Instagram gestisci

una pagina di divulgazione letteraria dal nome “Battiture”, da dove nasce il progetto?

Ciao a tutti i lettori di Fiat Lux! Sono infinitamente grata per questo piccolo spazio che mi avete dedicato, quindi innanzitutto un ringraziamento a voi!

Allora…in realtà la mia pagina nasce un po’ per caso e un po’ per esigenza.

Infatti, ho sempre sentito il bisogno di crearmi uno spazio ‘mio’, nel quale ritrovare ogni volta ne avessi avuto bisogno

tutte

le

poesie,

lettere,

frammenti di testo, frasi che in qualche modo parlassero di me, delle mie sensazioni ed emozioni. Quindi parlando del più e del meno con la mia amica, mi sono convinta ad aprire questa pagina. Nasce così il progetto ‘Battiture’.

2. Da tempo ormai lavori nel mondo dei social, che idea ti sei fatta di questi? In che misura possono essere funzionali per mondo letterario?

Non vi nego che ho delle considerazioni molto contrastanti riguardo il mondo social, una sorta di odi et amo catulliano…se da una parte può essere un’efficiente fonte di cultura, divulgazione letteraria, in grado di abbracciare migliaia di persone, dalle più svariate età e nazionalità, dall’altra parte può essere dannoso in quanto, il più delle volte, rappresenta un mondo alternativo che è in pieno contrasto con quello reale, di tutti giorni. Il consiglio infatti che do a me stessa è di dosarne il più possibile l’accesso e l’interesse verso esso. Ma mi è impossibile negare, come ho già accennato, l’aiuto che i social danno al mondo letterario. Basti pensare a tutte le persone che sono riuscita a coinvolgere (cosa di cui sono grata ogni giorno) in questo mio piccolo mondo, tante persone che, grazie al ritorno delle poesie sul social, hanno ritrovato il loro amore verso esso, la loro passione perduta per la lettura e il mondo classico.

3.

Uno dei tuoi format più apprezzati

Intervista

è “autopsia” in cui accompagni il

51

lettore in un viaggio all’interno del libro attraverso estratti e citazioni.

Come

avviene

la

scelta

di

cosa

mostrare di quell’opera?

In realtà non c’è una scelta così accurata come potrebbe sembrare. Ogni libro che mostro è semplicemente il frutto di una mia ricerca (mi piace pensare che in realtà sia il libro a cercare me e non viceversa!), di una mia lettura e di una mia particolare emozione. Potremmo sintetizzare il tutto così: se mi emoziona, lo condivido. E direi che questa mia politica è assolutamente apprezzata dai miei followers.

4.

Sei una ragazza dalle mille risorse e oltre una pagina Instagram amministri anche un canale YouTube, un

blog, uno shop e dipingi. Come riesci a trovare il tempo per dedicarti a tutto questo con dedizione e sempre nuova creatività?

In effetti non lo trovo! Per me è molto difficile stare dietro a tutte le mie idee, a me stessa in primis. La mia mente è un porto di idee e poche volte riesco a trovarle il giusto collocamento. Sicuramente una cosa che ho cura di fare è organizzarmi il più possibile, nel migliore dei modi, per rendere giustizia al mio flusso di pensieri e divulgare sempre di più!

5.

Di recente hai scritto la tua prima prefazione per la

raccolta di poesie “hai vent’anni”. Raccontaci un po’ com’è andata e cosa significa per te avere vent’anni.

Sarò ripetitiva ma non posso non ringraziare Gennaro, l’autore di "Hai vent’anni" per aver creduto in me e in questo progetto. Un progetto che ci accomuna così tanto. "Vent’anni" sei tu, è la tua storia. È la tua instabilità, la tua indecisione, le tue preoccupazioni, i tuoi sogni. "Vent’anni" è desiderio, è coscienza, rimpianto e malinconia. È anima e cuore, tristezza e inquietudine. "Vent’anni" è scoperta, un po’ di te stesso e un po’ del mondo, perché la forza di un albero risiede nelle sue radici e tu lo sai bene. Il tuo sangue te lo ricorda. È inchiostro indelebile...quel cielo, quel mare e quei tramonti che non riesci a dimenticare, che ti porti addosso, impressi dentro di te come un dolce flagello. Vent’anni è un promemoria che ti ricorda ciò che vale davvero, che non sei CFU, esami bocciati, o fallimenti. Vent’anni ti ricorda che tu sei fuoco da alimentare, poesia e vita, ambizione e struggimento. Vent’anni ti ricorda di respirare, che c’è tempo per fare tutto quello che hai sempre sognato di conquistare, che tu, proprio tu, ce la puoi fare.

Intervista

6.

Hai conseguito una laurea in Letterature, storia e archeologia del

mondo antico presso l’Università di Trieste e ora ti appresti a iniziare la magistrale, quale hai scelto? Che progetti hai per il futuro?

Verona mi ha chiamata a sé, sono davvero felice ed entusiasta di iniziare un nuovo percorso, sempre rimanendo nel campo della letteratura, la mia passione e spero, anche il mio futuro. Non aggiungo altro!

7.

Cosa pensi ti abbia lasciato l’esperienza universitaria e in quale misura

la ritieni differente da quella liceale?

L’esperienza universitaria mi ha regalato tanto, a partire dalle amicizie instaurate per finire con i nuovi interessi che ho scoperto dentro di me, nuovo metodo di studio che ho finalmente adottato, nuova autonomia; la nascita di una vera e propria analisi critica; ho lavorato molto su me stessa, sulle mie capacità, le mie predisposizioni, la mia costanza, la mia ansia.

Certamente diversa da quella che è stata l’esperienza liceale, ma come giusto che sia, mi piace pensare che sia stata semplicemente un’evoluzione, assolutamente naturale, giustamente necessaria.

8.

Nella tua bio ti definisci “la vostra consigliera di fiducia” e difatti lo sei

non solo in campo letterario ma anche personale in quanto migliaia di fan si rivolgono a te per questioni di vario tipo, dai problemi sentimentali a quelli scolastici. Come vivi il rapporto con il tuo pubblico? Ritieni che ad oggi dirette e box di domande nelle storie siano un mezzo adeguato di comunicazione?

Mi piace molto confrontarmi con i miei followers, tramite stories o messaggi vocali, chiacchierare del più e del meno, dare consigli dalle tipologie più svariate, ridere insieme, commuoverci insieme, sfogarci insieme. Sono molto fiera della nostra piccola grande famiglia, della nostra sensibilità, del nostro essere così simili. È bellissimo svegliarsi la mattina sapendo che, qualsiasi cosa succeda, ci sono loro, lì per me ed io per loro, ad ogni ora, per ogni cosa, futile o serie. E mi insegnano sempre cose nuove, mi scrivono così tante cose belle che al solo pensiero esplodo in lacrime. Sono così fiera di loro, di noi.

52

9.

Ad esempio una delle questioni che tratti spesso con i tuoi fan è quella

53

Intervista

dell’amore a distanza, fatto che ti tocca in prima persona. In Battiture è evidente che ti esponi mettendoci, come si suol dire, la faccia, quale pensi sia dunque il giusto limite che separi pubblico e privato?

Il mio espormi è sempre limitato a poche stories, pochi argomenti che davvero mi toccano, quali l’educazione alla solidarietà, all’empatia, alla gentilezza, alla lotta contro l’omofobia, al sessismo e ad ogni tipo di discriminazione. Sono una ragazza timida, molto riservata e tengo molto al mio mondo privato, che non ho mai portato online. Quello che faccio solitamente è cogliere l’occasione, tramite una mia piccola esperienza personale (di cui non racconto mai i dettagli), per dare un insegnamento e disquisire su un argomento più grande, dalle sfaccettature più nobili. Mi mostro molto poco, e francamente mi piace così.

Preferisco che ciò che pubblico, ciò che dico o scrivo, sia preso nella sua purezza, senza un volto di riferimento che ovviamente potrebbe suscitare pregiudizi, antipatie o simpatie.

10.

L’11 numero di Fiat Lux è incentrato sul cibo nei suoi

molteplici aspetti culturali e sociali. Tu che rapporto hai con il cibo? E sempre per rimanere in tema, se potessi con quale personaggio famoso o non sceglieresti di andare a cena?

Il cibo è la mia felicità. Finalmente posso dirlo. Dopo anni passati a temerlo, quasi odiarlo, oggi posso urlare che il cibo è il mio migliore amico, che mi dà la forza e l’energia per essere al mondo. Amo mangiare, da golosa ragazza del sud, tutto ciò che prepara mia nonna. Pasta, legumi, mozzarelle, focacce, pizza…

Se potessi cenare con qualcuno, sicuramente dividerei il mio piatto di spaghetti con Jane Austen.

11.

Chiudo e ti saluto con questa domanda diretta e

concisa. Cosa rappresenta per te la poesia?

La poesia per me rappresenta un inno alle emozioni, un tributo all’amore, alla sensibilità con la quale si osserva il mondo. Sono le sensazioni elevate al massimo, un colpo al cuore, la necessità della scrittura, la penna che trema, bisognosa di quella parola, di quella riga. Esplosione del caos interiore, necessità, paura di vivere, bisogno incontrollabile di amare,

di

parlare

al

mondo,

di

gridare

al

cielo,

silenziosamente, nell’angolo della propria camera, con un filo di luce a riscaldarti il volto.

Poesia è tutto ciò che di bello esiste al mondo. Ciò di cui tutti avremmo bisogno.

CuriositĂ

LO SAPEVATE CHE...

Mary Shelley, celebre scrittrice, saggista e biografa britannica, scrive all’età di diciannove anni il famosissimo romanzo gotico Frankenstein. Proprio la creatura dell’altrimenti chiamato Moderno Prometeo pronuncia nella storia: “Il mio cibo non è quello dell’uomo, io non uccido l’agnello e il capretto per saziare il mio appetito, ghiande e bacche mi daranno un nutrimento sufficiente”. La frase riflette il credo della scrittrice che, con il marito Percy, condivise fino alla fine dei suoi giorni una scelta alimentare vegetariana.

Il poeta Gabriele D’Annunzio non fu solo un fine letterato ma anche un coraggioso uomo d’azione. Oltre alla celeberrima impresa di Fiume, lo scrittore si rese protagonista di un’altra temeraria impresa: Il volo su Vienna. Il 9 agosto 1918 D’Annunzio,guidando un piccolo reparto aereo, attraversò i cieli della capitale dell’impero austroungarico allora in guerra con il nostro paese. Il vate, da intellettuale qual’era, non sganciò ordigni bensì volantini che spingevano i viennesi a ribellarsi al loro governo che ormai era abbattuto. Insomma un grande esempio di guerra psicologica che dimostra l’acume del grande poeta-soldato.

“Big Night” ha fatto nascere in Stanley Tucci una passione tale per la cucina che l’attore e regista ha attualmente pubblicato ben due libri di cucina.

LA MANIACALE DEL TESSUTO PERFETTO Mark Bridges, il costumista dell’ultimo film di Paul Thomas Anderson, Il filo nascosto, aveva già lavorato con il raffinato regista, ma mai come questa volta la realizzazione si è rivelata una vera e propria avventura. Anderson infatti ha richiesto circa 50 abiti lussuosi e Bridges e il suo team hanno dovuto recuperare tessuti e stoffe pregiati da ogni parte del mondo, come il pizzo fiammingo del XVII secolo per uno dei vestiti indossati da Alma (Vicky Krieps). Uno sforzo che, però, è stato riconosciuto, garantendogli l’Oscar per i migliori costumi nel 2018.

e, con quella pratica, Van Gogh riteneva che fosse possibile diventare nuovamente felici soltanto assimilando una discreta dose di quel colore così apparentemente allegro.

Il pittore olandese Vincent Willem Van Gogh, conosciuto ovunque come il “folle artista”, era solito ingerire abbondanti quantità di colori a tempera e ad olio. La tonalità che preferiva, naturalmente, era il giallo. Tale tinta rappresenta infatti la gioia

“THE UNCENSORED LIBRARY” DI MINECRAFT Nel mondo virtuale di 'Minecraft', l’ONG ‘Reporter senza frontiere’, in collaborazione con lo studio BlockWorks, l’agenzia DDB Germany e la compagnia MediaMonks, ha letteralmente costruito, grazie a 250 ore di lavoro di 24 persone e 12,5 milioni di blocchetti digitali, un’enorme biblioteca, che può essere scaricata o esplorata online. La particolarità di questo progetto, oltre alla gestione totalmente virtuale del cantiere, è che vi si collezionano articoli censurati e testi proibiti… Nel mondo reale! Si tratta di una vastissima raccolta di libri messi all’indice in paesi in cui la libertà di espressione e di stampa non vengono tutelate.

È

ARRIVATO

PENSO SONO

CHE

IL

MOMENTO

LE

QUELLE

PERSONE CON

CUI

DI

SPARECCHIARE.

MIGLIORI SI

CHE

CONDIVIDE

HAI I

PASTI...

IN

FONDO

TANTO

MANGIARE

IMPORTANTE

INSIEME

È

UNA

COSA

QUANTO

SOTTOVALUTATA...

ORA

BASTA

QUALCUNO

LEGGERE, PER

UNA

PERCHÈ

NON

CHIAMI

PIZZA?

GRAZIE PER LA LETTURA