Albino comunità viva - n. 3/2023

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Don Marco

GIORNALE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI SAN GIULIANO | Numero 3 . Anno 2023
Insieme sulla via della Verità e della Pace

RECAPITI

Casa parrocchiale

Tel. e fax: 035 751 039

albino@diocesibg.it

Oratorio Giovanni XXIII

Tel. 035 751 288

oratorioalbino@gmail.com

Santuario del Pianto

035 751 613 - www.piantoalbino.it

Convento dei Frati Cappuccini

Tel. 035 751 119

Scuola dell’infanzia

Centro per la famiglia

“San Giovanni Battista”

Tel. 035 751 482 - 035 02 919 01

Padri Dehoniani

Tel. 035 758 711

Suore delle Poverelle

alla Guadalupe

Tel. 035 751 253

Caritas Parrocchiale

Centro di Primo Ascolto

aperto il 1° e il 3° sabato del mese dalle ore 9.30 alle 11.30

PER COPPIE E GENITORI IN DIFFICOLTÀ

Consultorio familiare

via Conventino 8 - Bergamo

Tel. 035 45 983 50

Centro di Aiuto alla Vita

Via Abruzzi, 9 - Alzano Lombardo

Tel. 035 45 984 91 - 035 515 532 (martedì, mercoledì e giovedì 15-17)

A.C.A.T. (metodo Hudolin)

Ass.ne dei Club Alcologici Territoriali

Tel. 331 81 735 75

PER CONIUGI IN CRISI Gruppo “La casa” (don Eugenio Zanetti) presso Ufficio famiglia della Curia diocesana

Tel. 035 278 111 - 035 278 224

GIORNALE PARROCCHIALE

info@vivalavita.eu

www.oratorioalbino.it

La Solitudine

Orari

FESTIVE

delle Sante Messe

FERIALI

In Prepositurale ore 18.00 al sabato (prefestiva) ore 8.00 - 10.30 - 18.00

Al santuario del Pianto ore 7.30 - 17.00

Al santuario della Guadalupe ore 9.00

Al santuario della Concezione ore 10.00

Alla chiesa dei Frati Cappuccini ore 7.00 - 9.00 - 11.00 - 21.00

In Prepositurale ore 8.30 - 17.00

Quando si celebra un funerale (in Prepositurale): se è al mattino, è sospesa la S. Messa delle 8.30; se è al pomeriggio, è sospesa la S. Messa delle 17.00.

Alla chiesa dei Frati ore 6.45

Al santuario del Pianto ore 7.30

Alla Guadalupe ore 8.00

Sulla frequenza 94,7 Mhz in FM è possibile ascoltare celebrazioni liturgiche e catechesi in programma nella nostra chiesa Prepositurale

Amarcord

Info utili
In copertina: don Marco Nicoli, novello sacerdote dal 27 maggio 2023. Anni ‘30, festeggiamenti Albino alta per un sacerdote novello.
è la virtù da coltivare in questo anno pastorale

Introibo ad altare Dei,

ad Deum qui laetificat juventutem meam.

(Salmo 43)

Qui comincia l’“Avventura di un povero cristiano”, o meglio, di nove cristiani.

Sono i nove diaconi che sabato 27 verranno ordinati presbiteri, Dio piacendo, per la Chiesa di Bergamo. Molta acqua è passata (e dovrà passarne) sotto i ponti prima di vedere questi numeri.

È vero che non sono i numeri che contano; però stanno a dire una generosità del cuore.

Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam. Una volta iniziava con questo dialogo tra celebrante e chierichetto la Messa; quando si doveva studiare risposte latine per niente facili. “Salirò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza”; avranno salito con questo animo lieto i quattro gradini della chiesa ipogea del Seminario questi nove giovani, quando sono diventati diaconi?

Occhi luminosi, cuore ardente, guazzabuglio di pensieri.

Forse non hanno ancora messo a fuoco che d’ora in avanti entrano a far parte di coloro che son chiamati ad essere “guaritori feriti”.

Bello il primo incontro di Gesù Risorto che si fa riconoscere dai suoi, impauriti e increduli, dalle ferite della passione. Le ferite che “si trasformeranno in perle preziose” scriverà Santa Ildegarda di Bingen. E coloro che lo rappresenteranno come potranno presentarsi ai fratelli se non nella loro fragilità?

Già hanno sperimentato la solitudine della prova, del dubbio. Ma, probabilmente, hanno già vissuto l’esperienza di Giuseppe di Nazareth, che ha saputo sognare anche quando le cose non andavano bene e si era sentito perso. In un modo imprevedibile Dio s’è fatto loro accanto, certamente non con un sogno; Dio è molto creativo nel suo manifestarsi. E li ha confermati nel loro sogno; quel sogno che ha fatto loro salire quei quattro gradini sabato 29 ottobre. Dio non ha certo smesso di visitare il suo popolo, e i sogni del suo popolo.

Per chi sa amare e vivere con passione. Questa passione che fa soffrire e fa gioire; e sa far gioire.

Appassionarsi è consegnare la propria vita a qualcuno perché gli si vuol bene; nonostante tutto.

Nove giovani disposti a consegnare la propria vita; con pazienza, con sofferenza, con amore grande. Come non ricordare quanto scriveva un grande teologo protestante, Dietrich Bonhoeffer: “Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno. L’unico rapporto fruttuoso con gli uomini – e specialmente con i deboli – è l’amore, cioè la volontà di mantenere la comunione con loro”. Questo Gesù ha fatto perché sapeva che non la sofferenza, ma l’amore salva; ed è questo che dà significato nuovo anche alla malattia e alla sofferenza. Gesù ha compassione di quanti sono in situazioni di fragilità. Anche noi chiamati a questo. Se poi scopriamo che la compassione è lo “spaccarsi del cuore” davanti al male …

Questi “servitori”, come Gesù, sono chiamati a vivere la “spiritualità della strada”, lasciare per incontrare, faticare, sporcarsi, condividere e gioire.

“Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?”

“Il mio aiuto viene dal Signore, egli ha fatto cielo e terra” (Salmo 121).

Questa è la consapevolezza. Da soli non facciamo niente, perché sappiamo come sono le nostre forze. Ma sappiamo in Chi abbiamo messo la nostra speranza.

Lorenzo, Paolo, Marco, Andrea, Attilio, Gabriele, Andrea, Matteo, Simone.

Benvenuti tra i presbiteri della Chiesa di Bergamo! Vi attendevamo. Nove parrocchie vi attendono per dar vita ai loro Oratori; per dar nuova vita alle loro comunità.

Buon cammino con tanta passione e tanta compassione.

E grazie ai vostri genitori che, un passo indietro, vi hanno seguito e sostenuto con gioia e tremore.

Grazie alle vostre comunità che vi hanno visto crescere e hanno sperato tanto.

Con tanto affetto vs. dongiuseppe

1 Maggio 2023
(Salirò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza)

Don Marco ci racconta la sua

Sono giorni di preparativi e attesa a Desenzano, Albino e Comenduno per l’ordinazione sacerdotale di un nostro giovane, don Marco Nicoli, in calendario nel pomeriggio di sabato 27 maggio a Bergamo nella cattedrale di sant’Alessandro.

Abbiamo incontrato don Marco a pochi giorni dalla sua prima Messa.

«Ho 27 anni, sono originario di Desenzano al Serio dove ho ricevuto i primi sacramenti, sono cresciuto nella parrocchia di Albino (coinvolto nelle attività da amici e da don Gianluigi) e anche in quella di Comenduno visto che mia mamma viene da lì. Negli anni ho sempre mantenuto legami con tutte e tre le parrocchie. La mia famiglia è composta da mia mamma Manuela, mio papà Piero e mio fratello Andrea che adesso è sposato e vive con la sua famiglia a Cene. Prima di entrare in seminario ho studiato al liceo Amaldi di Alzano».

Come nasce la tua vocazione?

«Dall’incontro di alcune persone che, come dico sempre, mi hanno regalato il Signore e l’hanno fatto più che con parole, con la vita. Sono entrato in seminario dopo la quinta liceo, nel panorama dei molti desideri che avevo nel cuore non era l’unico e non penso fosse neanche il più chiaro. Una serie di vicissitudini mi ha dato l’opportunità di riflettere e metterli in un giusto ordine. Inizialmente la mia vocazione avviene a diversi anni dalla morte di mio papà. L’ho perso in terza media. È stato importante perché l’ho visto affrontare la malattia con il rosario in mano e sempre pronto a dare un sorriso per tranquillizzare chi si preoccupava per lui, sorriso che ha mantenuto fino all’ultimo stampato sul volto con gli occhi rivolti al cielo. Esperienza che non mi ha tolto il dolore ma mi ha dato un grande senso di pace infondendomi una sicurezza che mi ha permesso di affrontarlo. Ho preso anch’io il rosario, ho cominciato a far passare i grani e in quella pace che si trova quando ci si mette davanti al Signore ho iniziato a inseguire anch’io questo sorriso e quella pace che un po’ mancavano».

Quale è stato il momento decisivo?

«Avevo un desiderio che risuonava più forte in me, quello di diventare papà, volevo donare anch’io quello che mio papà mi aveva donato. Ricordo che un giorno, mentre stavo scrivendo la mia tesina di maturità, aiutato da una mia cugina laureata in lettere, lei a un certo punto si ferma e mi chiede: “Non ti pacerebbe diventare prete?” Io le risposi: “Se proprio Dio mi chiamasse non gli dirò di no, però mi spiacerebbe non diventare papà”. Dopo un attimo di silenzio mi rispose: “Un prete ha tanti figli, la sua comunità”. È stata la scintilla che mi ha aiutato a superare un muro che pareva invalicabile e a capire che Dio non butta via il desiderio di nessuno ma ci chiede di consegnarglielo per ridarcelo più grande».

In questi anni ha già operato e collaborato in alcune parrocchie, oltre alle tre di Albino. Ci parla di queste esperienze?

«Tutte esperienze molto significative. Durante l’anno di propedeutica sono stato a Terno d’Isola; poi un anno ad Alzano Lombardo nelle parrocchie di Alzano Sopra e Alzano Maggiore; attualmente sono nell’unità pastorale di Casazza, Gaverina Terme, Monasterolo del Castello e San Felice al Lago».

Quando sei diventato Diacono?

«Lo scorso 29 ottobre».

Cosa significa per te diventare sacerdote?

«Rispondere a quella chiamata da cui è nata la mia vocazione. Non so bene ancora cosa esattamente vorrà dire, cosa dovrò vivere e come dovrò incarnarla nel luogo in cui verrò mandato».

Dopo l’ordinazione si apre per te un nuovo cammino, quali le attese e quali i timori?

«Come il Signore mi ha chiamato chiedo a Lui di stare lì accanto a me. Sento molto forte il desiderio di fare un lavoro di squadra con Lui, nella speranza di riuscire a donare agli altri il Signore che a me è stato donato, è la cosa più bella e basterebbe questa. I timori sono legati alle cose più imminenti, a dove andrò, alla parrocchia a cui sarò destinato. La condizione in cui vieni messo è determinante sul tuo essere lì e sulla tua missione, devi cercare di annunciare il Signore nel modo più opportuno rispetto a quel luogo. Nelle parrocchie dove sono

2 Vita della Chiesa

vocazione

27 maggio - Nove preti nuovi per

una Chiesa che si rinnovi

Tra loro anche il nostro don Marco Nicoli

È sempre un evento speciale quello delle ordinazioni sacerdotali di una diocesi, perché, come tutte le cose che iniziano, sono portatrici della speranza di qualcosa di nuovo: in particolare, la figura di giovani pastori porta con sé la speranza fresca di un volto di Chiesa che si rinnova e che continua il suo cammino nella storia.

stato finora è sempre stato diverso il modo e le esigenze, e le richieste erano diverse, ma costante deve essere il cercare di “vivere in mezzo alla gente ma con il cuore assorto in Dio”».

Chi è Gesù per te?

«Gesù per me è la vita e parafrasando San Francesco di Sales “io non vado, seguo”, non m’importa tanto dove andrò purché ci sia lui. Il vero fuoco che anima la mia vita è la sua vicinanza».

Qual è la caratteristica principale che contraddistingue la figura del sacerdote nel nostro tempo?

«Dagli incontri fatti in questi anni, mi pare che una delle grandi richieste che la gente fa oggi a un prete è che ci sia, non di fare chissà cosa ma di esserci e camminare con loro, far sentire che gli vuoi bene perché loro te ne vogliono. Mi piace molto l’idea di un prete che fa parte di una comunità e con la sua comunità se ne prende cura collaborando e donandole ciò che lui è tenuto a dare, il Signore».

Buon cammino don Marco

Tanto più quando anche i numeri sono significativi: 9 giovani diventeranno preti a Bergamo il prossimo 27 maggio. È un evento per cui ringraziare il Signore, e da festeggiare come Chiesa tutta. Ma chiede anche alle nostre comunità cristiane di ragionare insieme, a bocce ferme, sulle implicazioni di questo evento. La prima considerazione riguarda il futuro di questi ragazzi, a cui la Chiesa mette indegnamente nelle mani un pezzetto di quel Regno di Dio, che ben più indegnamente ha ricevuto dal suo Signore. Quel futuro che comincia appena dopo che si è spento l’ultimo battito di mani e si è abbassato il calice dell’ultimo tardivo brindisi. Quel futuro che è il quotidiano del ministero che a questi ragazzi viene affidato e a cui, carichi di speranza, loro hanno affidato tutta la loro vita. C’è un pizzico di santa incoscienza in tutto questo. Che va accompagnata con una dose altrettanto generosa di umano sostegno. L’ordinazione non è un incanto che trasforma dei ragazzi generosi – ma normalissimi – nei supereroi di cui avremmo bisogno: è un dono di fede fatto a loro e alle comunità cristiane, che da loro e dalle comunità cristiane chiede di essere continuamente ricevuto. Preti lo si diventa in un istante, ma ci vuole una vita per esserlo davvero, e ogni comunità ha il potere trasfigurante di rendere migliore o peggiore il proprio pastore. Bastano poche parole, uno sguardo giusto, una chiamata disinteressata, un piatto di lasagne quando ce n’è bisogno… Unito alla “pretesa” bella e genuina di chi domanda al proprio pastore di essere santo, dedito e appassionato. Comunità che si prendano cura delle condizioni di vita dei loro preti, della loro umanità come del loro quotidiano. Senza che la distanza del sacro rispetto diventi una scusa per un elegante disinteresse.

Una seconda considerazione riguarda il cambiamento del volto di Chiesa, che è il desiderio che scorre dentro tanta della nostra pastorale, dal Cammino sinodale alla riforma diocesana delle CET: come essere Chiesa oggi in questo tempo. Le riforme nella Chiesa sono sempre accadute perché una scintilla di cambiamento e di conversione si è propagata fino ad accendere intere parti del popolo di Dio. C’è bisogno di preti nuovi e di laici nuovi, insieme, non solo di nuovi preti e laici per sostituire quelli che il tempo ha usurato. Di un popolo di Dio che sa immaginarsi nuovamente dentro le sfide di questo tempo: sa ricevere ciò che viene dal presente e sa accogliere ciò che viene dal futuro. Con rispetto, ma anche con lungimiranza. Il sacerdozio di qualcuno ricorda che il popolo di Dio è sacerdotale, nel suo insieme: non è una delega quella che firmiamo a questi ragazzi, né un compito di rappresentanza. Si tratta di un ministero dentro un popolo.

Un ultimo rilievo riguarda la vocazione al sacerdozio e i luoghi dentro cui, come comunità cristiana, si fa da cassa di risonanza della chiamata: 9 preti che escono dal seminario, vuol dire che ci saranno 9 seminaristi in meno l’anno prossimo, qualora nessuno si aggiungesse alla squadra. C’è una pastorale di vocazione da alimentare, da incoraggiare e da far crescere. Sicuramente la figura del prete può e deve essere ripensata.

Ma non può essere fatto solo per necessità, perché si è alla frutta e non ci sono alternative. Festeggiare la loro scelta non è questione di un giorno, è questione di trovare se e come questa scelta possa dire qualcosa ancora oggi anche ad altri.

3 Vita della Chiesa Maggio 2023
Angelo in fAmigliA light

Pacem in terris. Sessant’anni fa usciva l’enciclica di Giovanni XXIII destando sorpresa e entusiasmo in tutto il mondo. Tutto di quell’enciclica sembrò nuovo e la si enfatizzò come il primo documento pontificio dedicato esclusivamente alla pace e come il primo che si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà anche se non era così. Novità, tuttavia, ce n’erano davvero molte e una in particolare era importantissima: l’enciclica escludeva che, nell’era atomica, la guerra potesse portare giustizia. Ormai da tempo la Chiesa insegnava che la guerra era un male, ammettendola però come legittima difesa e per ripristinare un diritto violato. Ma Giovanni XXIII evidenziò che il rapporto radicalmente squilibrato che si era creato tra mezzi (arma atomica) e fine (ripristinare la giustizia) rendeva ormai impossibile parlare di “guerra giusta.

La guerra era diventata uno strumento impraticabile, controproducente, irrazionale e, dunque, da eliminare. Era quello che centinaia di milioni, forse miliardi di uomini e donne volevano sentir dire da una così alta autorità morale. Ciò segnava un distacco da una dottrina della Chiesa basata sulla lettura teologica e provvidenzialistica della storia che, pur giudicando la guerra un male, la considerava un castigo di Dio e perciò ineliminabile. Con l’enciclica giovannea, la Chiesa non ha cambiato nulla del messaggio evangelico di cui è custode e annunciatrice, ma l’enciclica ha mostrato che anche sui temi cruciali della guerra e della pace il Vangelo si incarna in modi sempre nuovi e risuona in forme inedite nei diversi contesti storici.

Oggi la guerra appare a molti non solo legittima, ma anche utile e, a suo modo, razionale. È piuttosto la pace che sembra

60 anni dopo

La “Pacem in terris” ha insegnato che la guerra è sempre irrazionale

doversi giustificare. Quando scoppiò nel 1991 il primo conflitto dopo la caduta del Muro di Berlino, la Guerra del Golfo, si disse che “sarebbe stata l’ultima” o che era “necessaria per evitare più rovinose guerre future”. Che la guerra andasse bandita era ancora una convinzione diffusa nel 2003, quando milioni di persone manifestarono in tutto il mondo contro quella in Iraq. Poi qualcosa si è rotto e la guerra è diventata “normale”. Se oggi nessuno dice che la guerra in Ucraina sarà l’ultima o che è necessaria per evitarne altre (e nessuno lo ha detto neanche per quelle in Siria, in Yemen, in Georgia…) è perché dopo il 1989 è progressivamente venuta meno l’architettura morale, politica, istituzionale costruita dopo la Seconda guerra mondiale.

Ciò significa che il Vangelo della pace non interpreta più il senso della storia? È vero il contrario: se non si avverte più l’urgenza della pace è perché non si leg-

gono più i segni dei tempi e non si interroga a fondo la storia in cui siamo immersi. La lezione di Giovanni XXIII è più che mai attuale mentre infuria la guerra in Ucraina e in altri luoghi del mondo. Anche oggi c’è un Papa che annuncia insistentemente il Vangelo della pace, in piena continuità con lo spirito giovanneo. Ma interrogarsi sulla storia del nostro tempo non è responsabilità solo del Papa. I sostenitori della pace non dovrebbero solo sottolinearne (giustamente) l’urgenza, ma contribuire anche a costruire una solida cultura di pace intessuta di sapere storico Chi crede nella pace non può disinteressarsi del compito di esplorare – insieme a tutti gli “uomini di buona volontà” - le motivazioni razionali, concrete, stringenti e cioè le ragioni storiche per cui è urgente mettere fine alla guerra in Ucraina e ovunque

4 Vita della Chiesa
Agostino

Se ognuno di noi (tutti) facesse una anche piccola azione positiva la guerra avrebbe i giorni preclusi. A domanda precisa il poeta Quasimodo rispose in versi: «E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore fra i morti abbandonati nelle piazze...». Per le arti visive il compito è facilitato dalla vista che, pur in silenzio, può esprimersi compiutamente in verità e in pietà.

Tempo di guerra e di verità sommerse

Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo

E COME POTEVAMO NOI CANTARE

CON IL PIEDE STRANIERO SOPRA IL CUORE, TRA I MORTI ABBANDONATI NELLE PIAZZE

SULL’ERBA DURA DI GHIACCIO, AL LAMENTO

D’AGNELLO DEI FANCIULLI, ALL

DELLA MADRE CHE ANDAVA INCONTRO AL FIGLIO

CROCIFISSO SUL PALO DEL TELEGRAFO.

ALLE FRONDE DEI SALICI, PER VOTO, ANCHE LE NOSTRE CETRE ERANO APPESE, OSCILLAVANO LIEVI AL TRISTE VENTO.

Benvi
Maggio 2023 Vita della Chiesa 5
Pablo Picasso, particolare di “Guernica”, icona di Pace.

VESCOVO FRANCESCO

Lettera di restituzione del Pellegrinaggio

Pastorale

alle Parrocchie delle Fraternità Presbiterali 1 - 2 - 3 della Comunità Ecclesiale Territoriale 3 Bassa Valle Seriana

Bergamo, 16 aprile 2023

II Domenica di Pasqua

Care sorelle e fratelli, cari presbiteri, religiosi e religiose, a conclusione del mio Pellegrinaggio pastorale nella Comunità Ecclesiale Terza, della Bassa Val Seriana, desidero manifestarvi la mia profonda e affettuosa gratitudine per l’accoglienza che mi avete riservato e per la testimonianza che mi avete offerto.

Se il Pellegrinaggio è un cammino verso “terre sante”, per riconoscere e incontrare il Signore, desidero che sappiate che è avvenuto proprio così: in voi, nella comunità, negli incontri con i presbiteri, ho potuto riconoscere la presenza del Crocifisso Risorto, gustare la gioia di questa presenza e restituirvi questa consapevolezza che alimenta la fede e l’appartenenza alla Chiesa. Grazie di cuore.

La ricchezza e la varietà della fisionomia e della vita di ogni parrocchia, come pure la diversa dislocazione geografica e sociale, non permette una sintesi che facilmente rischierebbe di essere mortificante; nello stesso tempo desidero condividere con voi alcune riflessioni, che prendono la forma di “suggerimenti” a partire dai quali rinnovare lo slancio della vostra vita comunitaria.

Il primo suggerimento consiste nel valorizzare la molteplicità delle esperienze parrocchiali. Siamo tentati di scivolare in narrazioni depressive, soprattutto a partire dalle contrazioni numeriche o da un giudizio severo e amaro sulla superficialità dell’appartenenza di molti e sull’abbandono di tanti. Anche queste narrazioni rischiano di essere superficiali.

Si tratta innanzi tutto di interpretarle, non solo culturalmente e sociologicamente, ma alla luce della fede. Le domande che questa situazione ci pone, le ragioni delle superficialità e degli allontanamenti, possono diventare ponti e strade per comprendere, condividere, riconoscere.

La vita delle nostre parrocchie, affaticata da calendari, proposte e strutture che rimangono legati a tempi e risorse diversi dagli attuali, rappresenta ancora un riferimento per molti. La stessa partecipazione alla liturgia e ai momenti formativi e comunitari rimane quantitativamente significativa, rispetto ad altre proposte, spesso caratterizzate dalla logica dell’evento.

Non si tratta di adottare criteri che appartengono al mondo della produzione e del consumo, neppure di sventolare bandiere all’in-

segna dell’orgoglio e del potere: si tratta di comunicare in modo adeguato la ricchezza della fede e dei suoi frutti nella vita delle persone e delle comunità. Non abbiamo bisogno di consolazioni e soprattutto di autoconsolazioni: ci è donato il Consolatore consolante che è lo Spirito Santo. Non vogliamo far torto alla presenza del Crocifisso Risorto: offriamo invece una testimonianza connotata dalla gioia che scaturisce dal riconoscere e credere alla Sua presenza.

Il secondo suggerimento è quello di promuovere e alimentare le forme di condivisione nella parrocchia e tra parrocchie. La varietà e la forte identità di ciascuna delle nostre parrocchie, non deve essere un ostacolo: piuttosto favorire forme di condivisione. Solo a partire dalla coscienza della propria identità si può avviare dialogo e collaborazione, che, per quanto ci riguarda, non rispondono solo ad esigenze di tipo pratico e organizzativo. La nostra testimonianza sulla terra che abitiamo, esige di essere sostenuta dalla comunione tra noi e le nostre comunità. “Da questo vi riconosceranno”. La parrocchia fraterna, ospitale e prossima è una parrocchia che non teme di perdersi nell’incontro con le altre.

Non sono poche le forme di collaborazione già presenti: penso alle iniziative promosse da più parrocchie insieme, alla vita delle Fraternità presbiterali e alla testimonianza offerta dalla fraternità vissuta tra preti; ricordo le forme in atto e le prossime che si avvieranno di Unità Pastorale costituita tra più parrocchie; penso alla revisione e al rilancio della Comunità Ecclesiale Territoriale e al rinnovamento del Consiglio Pastorale Territoriale. Ma l’organizzazione, pur necessaria, non basta. Occorre lo spirito di condivisione a partire dalla gioia partecipata per la buona riuscita delle iniziative dell’uno e dell’altro e di quelle comuni. Qualche volta siamo noi preti a chiuderci nella nostra parrocchia, altre volte subiamo la resistenza di alcuni che non vedono

6 Vita della Chiesa

futuro e rischiano di essere adoratori delle ceneri, più che custodi del fuoco.

Il terzo suggerimento è rappresentato dal riconoscere nella vita delle famiglie e delle persone la presenza del Signore. La famiglia ci è cara, perché rappresenta l’esperienza delle fondamentali relazioni della persona umana. Se la fede è relazione di Dio e con Dio e questa relazione è diventata storia nella persona di Gesù e nella vita della sua Comunità, allora continueremo a guardare con meraviglia e riconoscenza a questa sorgente delle relazioni che è la famiglia.

Ho avuto diverse occasioni di incontrare bambini, ragazzi, giovani, genitori e nonni, in incontri a loro dedicati e nelle esperienze comunitarie della preghiera e dell’Eucaristia domenicale. Più volte ho ricordato la simpatia evangelica ed evangelicamente illuminata nei confronti della vita familiare, così velocemente cambiata con il succedersi delle generazioni. Siamo consapevoli che è un’operazione impossibile e dunque inutile quella di tornare a modelli familiari del passato. La forza della famiglia è la sua plasticità: rimanere se stessa, in forme diverse. La famiglia è comunità di vita e d’amore, dove le persone e la loro relazione ispirata, dettata e alimentata dall’amore, sono i pilastri decisivi.

La gran parte delle persone che sostengono la comunità o semplicemente si avvicinano, come la gran parte delle persone che abitano questa terra ha una famiglia e spesso ne ha formata una. Mettiamoci in ascolto delle famiglie e non arrendiamoci alle prime istanze: ascoltiamo con il cuore, il loro cuore. Sono infiniti i vissuti familiari, le gioie e i dolori, le speranze e le delusioni, i traguardi raggiunti e quelli mancati. In questi vissuti dobbiamo riconoscere la presenza del Signore, restituirla a chi li vive, rappresentarli alla coscienza cristiana della comunità. Allora le famiglie potranno sentirsi a casa nella Chiesa.

Il quarto suggerimento è quello di dare fiducia ai giovani, ai loro sentimenti e ai loro linguaggi; anche alla loro fede e generosità. L’estemporaneità della loro presenza e del loro impegno non è solo un problema, ma anche una “porta” attraverso la quale alcuni si appassionano e offrono presenze e testimonianza tanto più preziose, tanto meno scontate. Non si tratta dell’ennesima esortazione ad attirare adolescenti e giovani, condita dal lamento per l’allontanamento di tanti.

Il Pellegrinaggio mi ha messo a contatto con persone giovani che esprimono ancora il gusto di stare insieme a partire da una proposta affascinante come quella che scaturisce dal Vangelo e dall’esperienza della comunità. Un’esperienza che appare tanto più significativa quanto più è gratuita, non perché gratis, ma perché ispirata da un senso di profonda, indomabile fiducia in ciò che un giovane, proprio a partire dalle caratteristiche della sua età è capace non solo di fare, ma di donare. Da adulti non ci sottraiamo al nostro compito, che è proprio quello di sostenere con fiducia coloro che possono diventare protagonisti non solo della loro vita e della loro famiglia, della loro professione, ma di una vita comunitaria che sostiene quelle esperienze.

Come dicevo, non ho la pretesa di consegnarvi indicazioni e tanto meno disposizioni: non è lo spirito del Pellegrinaggio. Più umilmente, ma anche convintamente vi offro dei suggerimenti, come un pizzico di sale che insaporisce la vita delle nostre parrocchie o come un pizzico di lievito che trasforma in pane buono la pasta della vita comunitaria. Non dimenticherò i nostri incontri, i vostri volti, la vostra fede. L’affetto e la riconoscenza si accompagnano con la Benedizione su voi tutti e le vostre Comunità.

7 Maggio 2023

«SIGNORE, DA CHI ANDREMO? TU HAI PAROLE DI VITA ETERNA»1

Quando si parla di vita eterna, non si parla di vita futura. L’eternità non può essere futura. Se è futura, non è più eterna. Se io credo nella vita eterna, credo in una vita che è già presente; se no, non esiste: l’eternità non è di domani, come non è del passato. È presenza che non conosce né passato, né futuro.

Il teologo Francesco Brancato, intervistato da Roberto Zanini su Avvenire, rispondeva così a due domande provocatorie:

Però, lo ha detto lei, la morte fa sempre paura…

«Fa paura la morte per il dolore che solitamente la accompagna, ma non quello che succede dopo la morte. I nostri vecchi un tempo pregavano invocando di essere liberati da morte improvvisa, oggi invece si chiede la morte rapida, quella che arriva nel sonno, senza che ce ne accorgiamo. Così anche i preti si sono dimenticati di parlare di Paradiso, di Purgatorio, di Inferno. Ma io stesso che come teologo mi sono occupato spesso di questioni ultime, posso dire che si tratta di argomenti che, per fare un esempio, contribuiscono fortemente al dialogo fra credenti e non credenti. [...]

Insomma, se ci fermiamo a pensare, credenti o non credenti, sentiamo dentro un germe di eternità?

«Esattamente quello che il documento conciliare [Gaudium et spes 18, n.d.r.] vuole dire all’umanità contemporanea. Per questo io penso che bisognerebbe che nella vita di tutti i giorni la Chiesa facesse sempre più appello a questo “istinto del cuore” piuttosto che fornire risposte preconfezionate, lontane, con linguaggi a volte incomprensibili. Dobbiamo guardare a questa ricerca di senso, metterci sullo stesso piano antropologico di chi si pone queste domande, di chi ha questi interrogativi irrisolti nel cuore e mostrare che se la nostra vita è illuminata da una speranza è perché abbiamo in Gesù una luce che ci aiuta a capire. Di fronte alla morte i cuori si aprono e la Parola ha modo di entrare».3

Il lieto annuncio dei Vangeli si riassume nella notizia sconvolgente di Dio che ama l’umanità senza condizioni e che è disposto a dare la vita per lei, nonostante le sue infedeltà e le sue cadute.

Gesù di Nazareth, il figlio di Dio fatto uomo, attesta questo amore incondizionato dicendo di sé che lui è la via la verità e la vita, quella eterna. Chi crede in lui partecipa già ora di questa pienezza, più forte della morte e di ogni male: «chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Giovanni 11, 26).4

Vivere e credere in Gesù significa amare come lui ha amato.

Gesù non viene ad eliminare la nostra caducità biologica, quella che ci rende mortali e che ci fa vivere nel tempo e nello spazio. Viene a donarci la vita eterna, quella che la morte biologica non può togliere. La morte rappresenta il vero e proprio passaggio ineludibile dalla vita biologica che ciascuno di noi trascorre nel “primo mondo” al “secondo mondo”, quello che gli Ebrei definivano Sheol, cioè l’abisso, il nulla ma che per i Cristiani è l’“anticamera” del “terzo mondo”, cioè della vita eterna in Dio.

Tutti noi dobbiamo morire e i nostri morti, celebrate le esequie, riposano nelle loro sepolture, nei cimiteri. Ma se questo fosse il nostro destino ultimo la nostra vita non avrebbe senso, meglio sarebbe non essere nati, dice il tragediografo Sofocle e prima di lui il poeta Teognide, ma anche Qoelet si esprime in modo simile. Davanti alla morte di una persona cara non ci sono parole che possano consolare chi resta e sperimenta il dolore lacerante di una separazione che pare definitiva, senza speranza. Maldestri i tentativi di alleviare il dolore dei familiari attraverso parole di circostanza che risultano del tutto inefficaci se non inutili. Patetici poi, anche se comprensibili e umani, i tentativi di trattenere simbolicamente il più possibile il defunto attraverso

1 Giovanni 6, 68

2 Divo Barsotti, scritto inedito di Divo Barsotti sul Paradiso e l’Inferno «L’eternità non può essere futura. Se futura, non è eterna», Eco di Bergamo, sabato 1 luglio 2006

3 https://www.avvenire.it/agora/pagine/il-paradiso-non-puo-attendere

4 Cfr. il commento al vangelo di Giovanni 11, 1-45 di P. Fernando Armellini: http://www.fernando-armellini.it/joomla/

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Educazione

il ricordo, attraverso rituali che evocano le sue passioni terrene: uno sport, i motori, la poesia, la musica, la montagna, un oggetto che gli era caro, un suo ritratto, ecc.

Eppure chi professa una fede adulta e non si accontenta di una religiosità devozionale e ritualistica sa bene che la morte biologica è del tutto naturale e che non ha senso coltivare l’illusione di una immortalità del tutto incompatibile con il nostro essere umani. Allo stesso modo non hanno senso i rimproveri rivolti ad un Dio geloso e crudele che ci ha strappato il nostro caro e neppure le preghiere volte ad ottenere un prolungamento della sua esistenza terrena o la guarigione miracolosa dalla malattia per poterlo restituire ad una vita che è comunque destinata a finire. Chi vive e crede in Cristo accede, attraverso la morte, al “terzo mondo” quello della vita senza fine che la risurrezione di Gesù ha reso definitivamente possibile. Gesù non ci rianima da morti né ci dona l’eterna giovinezza ma ci chiama a condividere con lui la vera vita, quella non toccata dalla fragilità e dalla morte. Fidandoci di Cristo sappiamo per certo che la morte non avrà l’ultima parola, che è stata sconfitta una volta per tutte, che non ci può trattenere nella sua prigione tenebrosa. Il nostro destino è un altro, è “altrove”.

Questa certezza, che è insieme una speranza contro ogni evidenza, è la novità del Vangelo. Vivere e credere a questa novità lieta ispira ogni nostro giorno terreno, ogni nostra azione, guidandola verso il compimento definitivo. Criterio del nostro vivere diviene così l’amore, quello stesso che Gesù ci ha donato, un amore che non pone alcuna condizione, purificato da ogni tentazione di giudicare il nostro prossimo, se merita di essere amato oppure no; va amato e basta, anche quando manifestasse antipatia od ostilità nei nostri confronti.

Allora si comprende, nella logica evangelica, cosa significa che chi perde la propria vita, vale a dire chi la dona spendendosi generosamente, la ritrova in pienezza e in «una misura buona, pigiata, colma e traboccante» (Luca 6, 38).

Coccinelle: “fare con il cuore”

Il 25 e 26 Marzo se foste passati vicino a Villa Pallavicini, a Bologna, avreste visto tantissimi zucchetti rossi con 7 punti neri: circa 400 tra Coccinelle e Capo si sono riunite tutte insieme per due giorni bellissimi da trascorrere insieme all’insegna della Gioia in occasione dell’incontro nazionale dei CdA!

(Piccolo inciso per chi non sapesse che cos’è il CdA – è un gruppo di cui fanno parte solo le Coccinelle più grandi e che si ritrova per fare delle attività in più, in preparazione al loro passaggio nelle Guide.)

Il percorso di preparazione all’incontro aveva come obiettivo il far capire alle bambine che il “Favore” non è solo “fare qualcosa per gli altri” ma è un “fare con il cuore”, ossia creare una relazione di cura tra chi fa e chi riceve. Innanzitutto, siamo partite dal “Fare”, rimboccandoci le maniche abbiamo pulito e tenuto in ordine i nostri spazi all’interno dell’oratorio; poi ci siamo cimentate nel “Fare bene”, creando delle decorazioni pasquali per abbellire la Casa di Riposo: in occasione della nostra visita, oltre a portare ghirlande di uova e colombine di carta, abbiamo portato la nostra Gioia cantando e ballando per gli Ospiti della Casa. E infine Marzo è arrivato e così anche l’incontro nazionale dei CdA, un momento di comunità per imparare davvero cosa significa “Fare bene con il cuore”.

Ma ora lascio la parola a una nostra Coccinella, Federica, che ci racconta attraverso il suo sguardo questi due giorni davvero speciali…

«Dopo la TEB e tre treni, in perfetto orario, eravamo giunte alla villa per l’incontro dei CDA: insieme a noi a frotte arrivavano altre coccinelle. Non immaginavo fossimo così tante!

Durante l’«accoglienza» e la preghiera della coccinella, recitata tutte insieme, io guardavo di qua e di là: quante facce sconosciute, quante nuove conoscenze! Ci siamo divise in distretti e abbiamo conosciuto la Capo distretto. Io la immaginavo severa, con un’uniforme strapiena di distintivi; invece, aveva una divisa normalissima ed era simpatica.

Dopo la messa e la cena c’è stato il momento della Lanterna in cui a gruppi dovevamo “organizzare una festa” con un insieme di canti e giochi. Era ormai ora di andare a letto, noi eravamo in più di 100 sul pavimento della palestra con i nostri tappetini e sacchi a pelo. Bellissimo!

Ma del resto della notte non racconto nulla…

Anche il giorno dopo ci sono stati momenti insieme che mi piace ricordare come i giochi delle specialità nel giardino (astronoma, amica di Gesù, mani abili, scalatrice). Ho preferito astronoma, perché ci hanno raccontato un bellissimo mito sull’origine dell’Orsa Maggiore.

È stato emozionante anche il saluto finale in cui si sono riuniti tutti i CDA; immaginate: un grande prato in cui tutte le coccinelle sono disposte a rettangolo, con all’interno alcune capo che suonano la chitarra e tutte insieme cantiamo la canzone simbolo dell’incontro. Anch’io cantavo ed ero felice.»

9 Maggio 2023
Esperienze educative
10
Dalla Domenica delle Palme a Pasqua
Fotoracconto di Maurizio Pulcini
Vita Parrocchiale 11

La “Settimana della Cultura”

Nell’ambito della “Settimana della Cultura - La Città di Tutti”, grazie all’impegno dei volontari e degli studenti dell’Itis Romero, dal 14 al 23 aprile sono stati straordinariamente aperti alle visite luoghi ricchi di storia, arte e fede, come l’Archivio parrocchiale e la Biblioteca del clero, la Cappella della Comunità nella Prepositurale di San Giuliano, il Coro delle Carmelitane nella Chiesa di Sant’Anna e la chiesa di San Bartolomeo con i laboratori di scrittura antica. Un’esperienza bella come la risposta dei visitatori.

12 Vita Parrocchiale
Fotoracconto di Maurizio Pulcini

La Cappella della Comunità

Una pubblicazione racconta la scoperta e le opere che custodisce

È proprio vero che non tutto il male viene per nuocere visto che la scoperta, datata 2011 ad opera del restauratore Fredy Ripamonti, avvenne a seguito del distacco di un pezzo d’intonaco che riportò alla luce affreschi di epoche lontane. Dipinti del ‘400, ‘500 e ‘600, ma anche una Madonna arcaica che pare essere ancora più antica. Anche gli stucchi sono del ‘600. In occasione della “Settimana della Cultura – La Città di Tutti”, la “Cappella della comunità” è stata ufficialmente aperta alle visite, guidate dagli studenti dell’Itis Romero e dallo storico Giampiero Tiraboschi che ha così sintetizzato il contenuto di questo scrigno d’arte ritrovato: «C’è stata una vera e propria riscoperta di quella che i documenti chiamavano la “Cappella della comunità”. Era di patronato del Comune che nominava i reggenti della confraternita che avevano il compito di curare l’ufficiatura e la decorazione della cappella stessa. Questa cappella si è conservata dopo la distruzione

della chiesa quattrocentesca in seguito all’editto di Napoleone. L’operazione iniziata dodici anni fa ha portato alla scoperta di tre strati successivi di decorazione ad affresco che rispecchiavano devozioni, da quella più antica mariana con una Madonna in stile arcaico, alla devozione di Cristo con la crocifissione e la lauda medievale di papa Gregorio magno, fino all’affresco dei santi protettori, in modo particolare san Cristoforo, san Sebastiano e san Rocco».

La guida a stampa, curata da Tiraboschi, è arricchita dagli scatti fotografici di Mauro Monachino. In appendice il “Diario di una scoperta” di Fredy Augusto Ripamonti. «Non è mia intenzione attribuire nomi o date alle opere ritrovate (questo compito spetta agli storici) - spiega Ripamonti -, ma semplicemente condurre il lettore in un viaggio attraverso i secoli per scoprire con quanta fede e devozione gli albinesi si sono presi cura di questo luogo lasciandoci, mi piace pensare, testimonianze con i loro volti ritratti nella storia di san Cristoforo».

La luminosità e la vivacità dei colori è straordinaria e i segni grafici delle storie di san Cristoforo danno un’impressione visiva freschissima.

«(…) La nostra Prepositurale, custode silenziosa e gelosa di capolavori - spiega nell’introduzione don Giuseppe -, è la torre d’avorio che ha sfidato i secoli e che un grande amore senza misura le ha permesso di consegnarci con discrezione i suoi tesori. Ha protetto dal degrado tele insigni e, ora, ci ha permesso di riscoprire le nostre radici negli affreschi che erano stati coperti. In

un modo fortuito ci ha permesso di intravedere bellezze che non sapevamo e che sono la nostra storia. Ci è stato così permesso di ridare vita dove la vita era stata mortificata; di far rifiorire da sotto le intonacature la bellezza che rischiava di sfiorire per sempre (…) E quando da sotto l’intonaco si coglie l’affacciarsi di un colore e poi di un altro, il cuore comincia a battere all’impazzata e la testa diventa come tutta intronata, tanto che a un certo punto ci si deve fermare perché troppa è l’emozione (…) Sappiamo che la bellezza è fragile, non può vivere se non ne abbiamo cura. Eppure la bellezza è potente, perché è feconda e genera vita e continua a generarla per secoli e millenni. La bellezza nasce in un luogo e nel tempo, ma supera quel luogo e il tempo.

Per generarla ci vuole coraggio e il coraggio non può che essere generoso, perché parte dal cuore e al cuore ritorna. E il coraggio cresce nella misura in cui cresce la collaborazione. E il risultato è un vero miracolo (...)». La pubblicazione è disponibile in Sacrestia.

Vita Parrocchiale 13 Maggio 2023

Riaperta la chiesa di san Rocco

Da tempo, anche ad Albino, Pasquetta è il giorno della riapertura dei santuari, così anche quest’anno per quello della Madonna di Altino e di San Rocco. Se Altino è facilmente raggiungibile con ogni mezzo e anche a piedi, dal 2008 per San Rocco è occluso il passaggio pedonale che da via Pradalunga, parallela alla ciclopedonale della Valle Seriara all’altezza del ponte Romanico, porta alla chiesina. Per raggiungere il santuario è necessario percorrere un percorso alternativo non proprio da passeggiata nella natura, tra opifici e ruderi dell’ex Italcementi a oltre quattro anni dall’avvio della sua demolizione. Da via Pradella s’imbocca via monte Cura, si sale lungo via Cave per poi scendere a San Rocco, alternativa più pericolosa del sentiero, che non ha alcuna attrattiva come percorso pedonale... e la frequentazione della chiesa di San Rocco e aree pertinenti ne hanno pesantemente risentito.

Alla Messa di apertura di lunedì 10 aprile erano comunque molti i

fedeli ad affollare la chiesa, dentro e sul sagrato, un po’ per la bella giornata, un po’ per il fascino del luogo e di una tradizione che sempre si rinnova, ma anche come momento atteso della benedizione e condivisione delle uova pasquali a cui quest’anno si sono aggiunti due significativi momenti religiosi: la prima comunione a una bambina, Anita; il trentesimo di ordinazione sa-

cerdotale di don Daniele Bravo, originario di Albino, attualmente cappellano all’ospedale di Alzano Lombardo.

Quando il visitatore torna a San Rocco, porta sempre in cuor suo la speranza di ripercorre il collegamento pedonale chiuso anni fa, da tempo puntualmente ogni anno riposta nell’anno a seguire. Speriamo bene.

La facciata restaurata della Prepositurale

La facciata della nostra Prepositurale di san Giuliano fin dallo scorso agosto è stata nascosta da un grande ponteggio per il suo restauro. Verso Pasqua è tornata visibile dalla sommità del porticato fino alla parte più alta dell’edificio, e da sabato 6 maggio, vigilia delle Prime Comunioni di 37 bambini, è stata ultimata l’opera di smontaggio del grande ponteggio e finalmente il fronte principale della chiesa più importante di Albino si è mostrato a tutti nel suo nuovo splendore.

14 Vita Parrocchiale

Vita comune in Oratorio

Da Giovedì 13 a Domenica 16

Aprile, con alcuni ragazzi delle superiori abbiamo vissuto l’esperienza della vita Comune in Oratorio. Sono stati giorni all’insegna dello stare insieme condividendo l’ordinarietà delle nostre giornate

fatte di studio, gioco, riflessione e preghiera. L’Oratorio è stata davvero la nostra casa per quattro giorni: le aule sono diventate le nostre camerette, il bar invece si è trasformato nella nostra sala da pranzo. È stata davvero una bellissima esperienza! Due momenti particolari che erano inseriti in questa più grande esperienza sono stati l’uscita a Stezzano

allo “Zero Gravity” e il momento di condivisione con i genitori. Se il primo è certamente stato più un momento di svago, il secondo si è trasformato in un prezioso e sincero confronto tra generazioni. Speriamo che giornate come queste possano riproporsi! Un grazie grande a tutti coloro che hanno condiviso o preparato!

Uscita cresimandi a Blello

Domenica 23 e Lunedì 24 Aprile con una ventina di Cresimandi abbiamo vissuto un momento di ritiro a Blello, un piccolo paesino della Vall’Imagna. Abbiamo avuto

la fortuna di condividere momenti di gioco, riflessione e preghiera. La cosa più grande è stata certamente la gioia di stare insieme che ha illuminato ogni momento. Particolarmente bello è stato il momento attorno al fuoco dove abbiamo cercato di raccontare qualcosa di noi. Prima di tornare

a casa ci siamo fermati al Santuario della Cornabusa per affidare a Maria le nostre famiglie, i nostri amici, e per chiedere aiuto nel vivere bene il dono della Cresima. Carichi di tanta gioia siamo ora pronti per ricevere il dono più grande: lo Spirto Santo. Un grazie a tutti

15 Oratorio

I diari di Battista Cuminetti

Battista Cuminetti (Albino, 28.04.1904 - 30.05.1957), morto il 30 maggio 1957, giorno dell’Ascensione, a soli 53 anni, fu così ricordato da mons. Spada ne L’Eco di Bergamo del 31 maggio:

... una figura di uomo che è rarissimo trovare ... Uno di quegli uomini modesti, affezionato al suo paese, un vero perno attorno al quale la sua gente si muoveva più di quanto lui stesso pensasse … l’uomo a cui si ricorreva per tutte le cose buone ... un uomo d’oro, che si era dato con spirito di sacrificio, con passione e competenza al lavoro apostolico, in Parrocchia, nella civica amministrazione locale, nel settore politico e della stampa cattolica ... che ci aveva parlato di una passione che lo aveva sempre animato fin dai suoi anni giovanili, la passione per il teatro ... il fornaio di tutti, che s’alzava ogni notte a preparare, per l’alba, il pane, alla sua gente, come se adempiesse a una missione ... ma soprattutto il cristiano di vera fede che si rivela nelle ultime parole, pronunciate prima di spirare:

«Se questa è la volontà di Dio, sia fatta...»

E mons. Andrea Spada, direttore del giornale, lo ricordava anche come prezioso corrispondente:

Per tutti noi Cuminetti era Albino. ... E anche il suo lavoro di corrispondente del giornale rifletteva questo suo entusiasmo per la sua zona. Siccome era giornalista nato, e aveva in modo rarissimo l’istinto, il fiuto, il gusto, diremmo, la gioia della notizia, egli serviva il giornale perché, a sua volta, questi servisse lo sviluppo e il miglioramento della sua zona … Naturalmente prudente e cauto, rispettosissimo di tutti, alieno dal pettegolezzo, senza ombra di malanimo per chicchessia, questo corrispondente, che non aveva titoli speciali, che scriveva in fretta su umili pezzi di carta del negozio le sue note, che soffriva se un giorno non poteva mandar qualcosa al giornale della sua zona, in trent’anni non ha fatto prendere una sola gaffe al suo giornale. Non ci è mai giunta da Albino una sola smentita. È stupefacente! E, quando una notizia non era completamente sicura, veniva lui in Redazione ad accompagnarla, e ogni sua esitazione risultava sempre centrata. Non era soltanto istinto di giornalista, ma per-

sonale onestà e senso acuto di responsabilità.

«Non solo alla sua famiglia, ma alla sua Albino, alla sua Val Seriana, al suo giornale Dio ha chiesto un grosso sacrificio»

Battista Cuminetti, così com’è stato tratteggiato da mons. Spada, emerge oltre che nei numerosi articoli pubblicati nell’Eco di Bergamo - di cui è stato corrispondente dal 1928 fino alla morte - negli inediti preziosissimi DIARI, in cui ha registrato quasi quotidianamente tutto ciò che riguardava la sua vita e la sua Albino.

Così, nella breve nota iniziale «Il perché del mio diario», ne spiega le motivazioni:

... una voce mi diceva, «Ah che scopo? Perché stendere sulla nuda carta, ore care, avvenimenti ancora più cari, come i più tristi? ... Tienteli nel tuo cuore» ... un’altra voce non meno insistente, anzi più insistente, mi comandava:

«Scrivi, segna sulla carta i momenti felici e tristi della vita, ma per te, per la tua Lavinia, per i tuoi figli che educherai con sentimenti tuoi, della tua Compagna…. Serviranno a rituffarsi per un poco – quando gli anni saranno su - nella vita felice della tua seconda giovinezza; infine sarà sempre un caro, un prezioso ricordo per i tuoi figli.»

Da quei Diari emergono molte piccole storie, ricostruite con sequenze di frammenti, ma talvolta quegli appunti sintetici si sviluppano in brevi e intensi racconti, come quello che occupa ben 4 pagine (139142) del primo Quaderno-Diario alla data di Mercoledì 25 Ottobre 1934.

Si tratta di quella che Battista Cuminetti chiama “gita”, che è però un lungo percorso per sciogliere un voto.

Battista aveva avuto un fastidioso eczema nell’autunno 1930, ma soprattutto il piccolo Benvenuto, nato nel 1931, ne aveva sofferto, fin dall’autunno del 1934 con ripetute ingravescenti manifestazioni. Mentre continuavano le cure ed il ricorso a controlli medici specialisti, entrambi i genitori impetravano fiduciosi la grazia divina, pregando i santi protettori delle malattie della pelle. Battista, annota la sua «visita a S. Giuda Taddeo per Benvenuto: il suo occhio è ancora ricoperto di eczema» (Lunedì 21 gennaio 1935). Qualche mese più tardi registra nel suo diario: «Sono stato a Bergamo nel pomeriggio con Benvenuto per un affare delicato ... Ho preso l’occasione di andare a ringraziare con Benvenuto S. Giuda Taddeo in S. Alessandro in S. Croce, di cui nella giornata ricorreva la festa. La mia Lavinia aveva fatto devozione al Santo allo scopo di guarire il nostro Benvenuto dall’eczema. Ciò che possiamo

16 Memorie albinesi

constatare con somma gioia (Lunedì, 28 Ottobre 1935). Infine, il 25 ottobre 1934, Battista intraprende il “pellegrinaggio” per sciogliere il suo voto a S. Giovanni delle formiche.

Questa è la fedele trascrizione di quelle pagine del Diario - scrive Graziella Dolli Cuminetti, nuora di Battista e moglie di Benvenuto -. Vi ho aggiunto solo il titolo e due fotografie (recenti) che ho trovato in internet, dove sono andata a controllare quel luogo “San Giovanni delle Formiche”, per me assolutamente sconosciuto. Ed ho scoperto anche che, dopo l’8 settembre 1943, in quella chiesetta si costituì il Primo Battaglione Badoglio, e che alcune località di quella stessa zona furono scenari di azioni partigiane e di rastrellamenti fascisti (da ANPI). Ed ora vi è una location per matrimoni

S. Filastro; a sinistra Foresto sparso e poi ancora sulla estrema destra tutta la pianura Lombarda coi cento e cento campanili e i nastri lunghissimi dei suoi numerosi fiumi...

Entro nella chiesetta semiabbandonata per le mie devozioni e per sciogliere il mio voto a S. Giovanni, perché ci tenga lontane le malattie della pelle e poi mi porto a mangiare un boccone innaffiato da un ottimo vinetto di collina.

San Giovanni delle Formiche

Il pellegrinaggio a S. Giovanni delle Formiche per sciogliere un voto - Mercoledì 25 [ottobre 1934] – Ieri ho effettuato una gita che da tempo avevo in progetto. Mi sono alzato alle 3, mangiato un buon caffè alle 3.15 sono partito. Notte lunare magnifica. Scendo verso Nembro, incontro parecchie ragazze che si portano allo stabilimento per il duro, quotidiano lavoro; alcune chiacchierano volentieri tra loro, l’ora e il prossimo lavoro si vede che non le preoccupano; altre invece biascicano le preghiere mattutine. Passo Nembro avvolta ancora nel sonno. Alle 4 imbocco la Valle del Gavarno. Prime campane per il saluto a Maria: sono quelle di Villa di Serio. Al Gavarno le prime donne che si portano alla Chiesa per la S. Messa... A passo svelto traverso tutta la collina; prima delle 6 sono a Cenate S. Rocco: Trescore; suono festoso di campane. Un canto smorzato in lontananza ... si avvicina ... è Gesù Ostia recato in Viatico a qualche infermo. Mi prostro al Suo passaggio. Le stelle tremolano in cielo ... impallidiscono ed a Zandobbio l’alba è già alta. Percorro a passo svelto quest’altra valle detta Selva abitata da poveri contadini che al mio passaggio si fermano quasi incantati a guardarmi col vomere in mano. Si vede che il forestiero ci bazzica poco. Alle 7 sono ai piedi della collina di S. Giovanni delle Formiche: in un balzo sono sulla cima (7.40).

Paesaggio incantevole! Un mare di sole m’investe. Ecco Sarnico col Scalvino avvolto in una leggera nebbia; più a destra Capriolo, Credaro, sul fianco Gandosso. Ancora davanti i due

Alle 8.40 scendo a grandi passi dall’altro versante, tanto che alle 9.30 sono a Villongo S. Alessandro in casa del nostro indimenticabile Prevosto Bezzi. Mi ha accolto molto volentieri con i suoi famigliari, ma poveretto è giù, giù in salute. La paralisi continua la sua tragica marcia e non lo lascia riposare né giorno, né notte ... mi fa pena poveretto! Come potrà durare in quello stato? Per forza bisogna che mangi qualche cosa. Stiamo un’oretta a parlare delle cose della “nostra” Albino. Ma lui poveretto non può star seduto 10 minuti. Non posso trattenermi di più. Saluto, ringrazio e parto. Don Bezzi ha le lacrime agli occhi. Mi prega di recitargli un’Ave Maria alla Madonna del Pianto per lui ... Un nodo alla gola m’impedisce quasi di rispondere e tiro via in fretta. Povero e grande Prevosto in che stato sei ridotto. Sì pregherò la nostra Madonna perché ti dia la forza di sopportare le tue grandi infermità!

Ti rivedrò ancora? Ecco il pensiero che mi ha accompagnato durante i primi km della strada assolata, che da Sarnico porta a Bergamo. Ormai delle corriere non ve ne sono più fino alle 14 e sono appena le 10.40.

Credaro, Castello di Caleppio (11.20), Grumello del Monte (12). Escono gli operai dai Bottonifici; quasi tutti, comprese le ragazze, hanno le biciclette. Per passare più bene il tempo cronometro la mia marcia; ogni Km l’orologio segna dagli 11 ai 12 minuti regolarmente. Dopo circa 9 ore di marcia non c’è da lamentarsi. Pure ogni Km conto in media 1250, 1300 passi. Prima di Chiuduno breve riposo all’ombra di una pianta. Chiuduno, 13.10. A Cicola salgo su un carro che mi offre un contadino e vado sino a Trescore. Qui giunto arriva appunto la corriera che mi porta a Bergamo; di là col treno arrivo a casa alle 16.10 precise.

Stanco? Certamente. Però dopo due orette di riposo mi porto a fare il lievito e poi prove teatrali ed infine a letto per alzarmi ancora alle 2.30 dopo mezzanotte per fare il pane.

Il giorno dopo mi fanno male le ossa.

17 Memorie albinesi Maggio 2023

Oggi «vado all’Atalanta»

Su gentile concessione dell’autore, Paolo Corvo, docente universitario, nipote dell’indimenticato don Pierino, pubblichiamo un estratto del suo capitolo intitolato “La ninfa Atalanta. Caratteristiche e prospettive di un’impresa fatta in casa”, contenuto nel libro delle edizioni Il Mulino, con il titolo “VISIONI DI GIOCO Calcio e società da una prospettiva interdisciplinare”

I giocatori dell’Atalanta hanno saputo interpretare bene lo spirito e i valori che caratterizzano la squadra, giocando ogni partita con impegno e determinazione [Corsi e Serpellini 2017]. Non è un caso che sulle magliette nerazzurre sia presente la scritta: «maglia sudata sempre». I tifosi possono anche accettare una sconfitta se la squadra fino all’ultimo resta nella partita, dando il massimo. […] È quasi impossibile per un bergamasco non essere atalantino; l’Atalanta e l’intero territorio orobico viaggiano in simbiosi. Questo fenomeno si espande geograficamente riguardando i bergamaschi che non vivono più nella città d’origine ma in varie parti d’Italia. E sconfina nel mondo in virtù degli emigranti di un tempo e adesso dei loro figli.

Si tratta forse di una fede profana, di cui parla Pasolini quando identifica nel calcio l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo [Pasolini 2020]; concetto sostenuto anche da Augé (2016), che coglie nel calcio un fenomeno religioso.

Oppure nella passione per una squadra di calcio potremmo vedere una sorta di innamoramento perenne, che prescinde dal dolore e dallo sconvolgimento che può portare con sé [Hornby 1992].

A Bergamo non si dice «vado allo stadio», si dice «vado all’Atalanta», perché l’Atalanta rappresenta un tratto dell’identità bergamasca, ne incarna i principali valori che caratterizzano il territorio: la laboriosità, l’intraprendenza, il profilo basso, la concretezza, la vicinanza. L’iden-

tificazione tra lo spirito bergamasco e la squadra si concretizza in alcuni valori condivisi come la consapevolezza dei propri limiti ma anche delle proprie potenzialità, la caparbietà, il desiderio di riscatto dopo una sconfitta, il rialzarsi sempre. Un legame che si sviluppa anche in altre città [Porro 2008], ma che a Bergamo trova una delle sue modalità più caratteristiche.

[…] Nonostante il Covid, negli ultimi anni c’è stata una crescita della città parallela a quella della squadra, una consonanza che dimostra come nulla nasca per caso e il legame tra calcio e dimensione socioeconomica sia particolarmente importante.

Possiamo ricordare la crescita del flusso turistico, grazie alla valorizzazione di Città Alta e alla crescita dell’aeroporto di Orio al Serio, il terzo in Italia per numero di passeggeri, dopo Fiumicino e Malpensa. Dal 2014 ad oggi il turismo bergamasco ha registrato un aumento del 68,7% di arrivi e del 45,9% di presenze, con un processo costante di internazionalizzazione (si tratta in particolare di turisti tedeschi, polacchi, francesi e spagnoli). La ricettività extra-alberghiera si è quintuplicata in dieci anni [Il turismo nel territorio bergamasco 2021].

Questa consonanza di modi di pensare e di vivere a livello sportivo si è espressa quasi esclusivamente nella squadra di calcio. A parte alcune brillanti eccezioni in periodi specifici, come la Foppapedretti nella pallavolo femminile e i Lyons Club Bergamo nel football americano, a Bergamo sono mancate squadre di altri sport che abbiano raggiunto grandi risultati, per cui l’identificazione con l’Atalanta a livello sportivo è stata più facile. E anche quasi tutti gli sponsor bergamaschi più importanti hanno finanziato l’Atalanta.

Nella bergamasca, per la verità, ci

18 Società... un libro
Il Club DEAlbì unisce la passione per l’Atalanta a progetti di solidarietà, un’immagine della festa in piazzale Caduti del 20 novembre 2022.

sono anche tifosi di altre squadre più titolate, Milan e Juventus in particolare. Ma, negli ultimi anni, i successi dell’Atalanta hanno fatto sì che gli appassionati più giovani seguissero maggiormente la squadra orobica dei grandi club. La tifoseria nerazzurra si sta abituando con piacere alla nuova situazione che annovera stabilmente la propria squadra tra le grandi del campionato, anche se qualcuno fa fatica a adattarsi alla nuova situazione.

Talvolta si percepisce ancora un eccesso di provincialismo nella tifoseria atalantina, con accenti di autoreferenzialità, che porta a immaginare complotti del cosiddetto palazzo (di volta in volta la Figc o la Lega) e a sostenere l’idea che la squadra venga sempre svantaggiata dagli arbitri nei confronti delle grandi squadre. Questi sostenitori non tengono conto che la squadra ormai va inserita nel novero delle grandi e tale viene considerata dal sistema e dai media. Inoltre, il vittimismo e il complottismo possono diventare alibi per non riconoscere la superiorità delle squadre avversarie in alcune partite.

Al di là di questi problemi di consapevolezza e di crescita, va detto che i tifosi dell’Atalanta appartengono a tutti i ceti socioeconomici e culturali, dimostrando la trasversalità sociale del calcio [Galeano 2012; Michea 2014; Fini e Padovan 2019; Lupo ed Emina, 2020).

La salute

Il concetto stesso di salute ha subito uno stravolgimento per colpa del liberismo individualista che privilegia i diritti di libertà rispetto ai doveri nei confronti della comunità.

Pensare che l’assistenza sanitaria debba sottostare alle regole del mercato aziendale vuol dire non vedere che viviamo in una società di profonde disuguaglianze sociali dove chi può pagare può avere tutto subito e chi non può deve aspettare.

Provocare una selezione dei pazienti, per un accertamento diagnostico o per un intervento chirurgico, in base alla loro capacità di pagare è una grave ingiustizia. Vuol dire avallare la legge del più forte. Il ricco può usufruire del diritto alla salute e alle migliori cure, mentre il povero, pur avendo gli stessi diritti, non può provvedere adeguatamente alla sua salute o a quella dei suoi cari.

Per un Servizo Sanitario Nazionale pubblico

“Il sistema intramoenia è una vergogna che occorre assolutamente cambiare: non è accettabile che chi si presenta con l’impegnativa del medico di base per un esame o una visita debba aspettare per mesi, mentre se paga può fare l’esame il giorno dopo! Non si può tornare indietro a prima del 1978, quando chi aveva i soldi si poteva curare. Il nostro SSN costa meno rispetto alla media europea e i nostri medici guadagnano almeno il 30% in meno.

Occorre investire nella prevenzione perché il 50% delle malattie possono essere evitate”!

“Qual è il modello migliore di sanità?”

“Il nostro Paese ha un Servizio sanitario nazionale (Ssn) fondato sulla fiscalità generale. Garantendo a tutti il diritto alla salute, è sicuramente il più equo e solidaristico; tuttavia, per poter funzionare deve avere risorse adeguate.

Lasciando scivolare il Ssn come sta accadendo attualmente si osserva una progressiva regressione a forme di assistenza integrativa legate al welfare aziendale o direttamente all’out of pocket da parte dei cittadini. Questo ci porta verso un sistema simile a quello degli Stati Uniti, dove sono in gioco assicurazioni non più mitualistiche ma di tipo profit. E’ un sistema costosissimo, non attuabile in Italia dove i soggetti portatori di fragilità, coloro che più ricorrono al servizio sanitario e che dovrebbero contribuirvi, nella maggior parte dei casi non potrebbero farlo e dovrebbero comunque essere assistiti dallo Stato, implementando ulteriormente i costi e originando una realtà diseconomica”.

15 Altri mondi Maggio 2023
Società... salute
Paolo Corvo

LAVANDERIA LAVASECCO

Fassi Fulvia di Esther

ALBINO - via Mazzini 46 - tel. 035 753687

Per essere informato sulle attività proposte dalla nostra comunità parrocchiale, iscriviti alla NEWSLETTER sul sito www.oratorioalbino.it

Il tuo aiuto è importante ... per le opere parrocchiali

Dopo aver ultimato tutti gli interventi già noti sui vari immobili parrocchiali, abbiamo iniziato il restauro della facciata della Prepositurale, approfittando anche delle attuali agevolazioni governative. Anche se per la lungaggine burocratica ci siamo trovati con i costi lievitati del 40 % (il costo finale si può trovare sull’autorizzazione esposta in cantiere).

Le nuove disposizioni governative hanno reso obbligatorio il pagamento dell’intero importo entro il 31 dicembre 2022. Ci siamo così trovati costretti ad accendere un mutuo di 200 mila euro che ha aggravato ulteriormente il bilancio parrocchiale.

Ti ringraziamo per quanto riuscirai a fare.

È possibile anche detrarre fiscalmente nella dichiarazione dei redditi - in misura del 19% - quanto devoluto a sostegno dei lavori autorizzati. Per le aziende è possibile la totale detrazione.

PER DONAZIONI

Bonifico bancario tramite Credito Bergamasco di Albino, Parrocchia di San Giuliano:

IBAN IT91 R050 3452 480000000000340

Per la ricevuta ai fini fiscali, rivolgersi in casa parrocchiale.

26 DATE SIGNIFICATIVE

Verso il centenario della morte di mons. Camillo Carrara a Cheren (Keren) in Eritrea

Il racconto di una giovane eritrea

In Italia grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio e delle Chiese evangeliche

Mi chiamo Meskerem, vengo dall’Eritrea. Sono uscita da ragazza dal mio Paese, avevo 15 anni con mia sorella Masa che ne aveva 23. Io non sono mai andata a scuola. Mia sorella doveva andare via perché era stata chiamata a fare il servizio militare. Che in Eritrea non si sa quando finisce.

Mia madre con il cuore spezzato ci ha mandato via per salvare la nostra vita, ci ha dato tutti i soldi di casa e il suo oro. Abbiamo camminato tanto di notte fino al Sudan. Dal qui mia sorella ha organizzato il viaggio verso la Libia. Abbiamo attraversato il Sahara con un pick-up , eravamo tanti, uomini e donne. Se qualcuno cadeva giù, il pick-up non si fermava. Alcuni venivano rapiti già in questo percorso.

Prima di entrare in Libia ci hanno messo in un capannone pieno di gente, c’era un odore insopportabile. Eravamo prigioniere. Mia sorella ha iniziato a contrattare per uscire, loro hanno visto che aveva l’oro e lo hanno preso. Alla fine siamo riuscite ad uscire e abbiamo iniziato a lavorare un po’. In quel periodo riuscivamo a parlare con nostra madre ed io ero felice.

Un giorno mia sorella non è più tornata a casa e da allora non so più niente di lei. L’ho cercata ovunque, senza successo. Dalla signora vivevo come una schiava e un giorno sono scappata e mi sono unita ad altri eritrei. Mi hanno portato in un capannone pieno di gente “Ghem ghem bari” che significa “Prima del mare”. Quelli che pagavano partivano a gruppi. Stando li ho conosciuto Suleiman, il mio futuro marito.

Senza pagare non si parte. I capi del capannone mi hanno portato in una casa per guadagnare i soldi del viaggio. Sono stata lì sei mesi e ho subito violenze di tutti i tipi e “mi hanno mancato di rispetto”. Non mi reggevo più in piedi, mi hanno riportata nel capannone per partire. Lì ho incontrato di nuovo Suleiman lui ha avuto pietà di me e ha iniziato a proteggermi.

Una volta ci siamo imbarcati siamo stati undici ore nel mare, è arrivata una barca della guardia costiera libica e ci ha riportato indietro.

Siamo stati di nuovo imprigionati a Bem Kasher, a Tripoli. Siamo stati lì undici mesi. Aspettavamo che Unhcr venisse a registrarci. Io e Suleiman ci siamo sposati nel campo e nel campo è nata mia figlia. Un giorno mi è arrivata la telefonata dall’Italia, e mi dicevano che ero stata inserita nei corridoi umanitari. Alla prima telefonata non ci ho creduto. Poi alla seconda hanno iniziato a

chiedermi i documenti, il nome di mio marito e di mia figlia. In quel momento ho sentito come un angelo che mi prendeva dalla terra e mi portava in volo oltre il mare fuori dall’inferno. Non riuscivo più a dormire, pensavo davvero partiremo? Mi sembrava impossibile. Poi ci ha chiamato anche l’Unhcr e allora mi sembrava più vero.

Ero molto felice, ma anche sull’aereo avevo paura, pensavo che mi avrebbero fatto scendere prima di partire.

Il mio inferno in Libia è terminato dopo dieci anni

Mi piacerebbe tanto che anche quelli che sono rimasti indietro provassero la mia gioia. Ora sono incinta aspetto il mio secondo figlio, siamo molto felici perché mia figlia vive qui, va a scuola, lei non vivrà quello che io ho vissuto. Ora sono felicemente incinta. I miei ringraziamenti non saranno mai sufficienti, il mio cuore è pieno di gioia.

Maggio 2023 Altri mondi 21

Messaggio dall’America latina (parte seconda)

I poveri nel Nuovo Testamento

L’incarnazione di Gesù è kenótica, povero in mezzo ai poveri, da Betlemme a Nazareth a da lì a Gerusalemme.

Il Magnificat di Maria è una proclamazione di questa opzione di Dio per i poveri, l’annuncio della nascita di Gesù si fa prima di tutto ai pastori che erano gli esclusi di quella società, la proclamazione programmatica di Gesù a Nazareth, riprendendo Isaia 61, è incentrata sulla liberazione dei poveri e sull’annuncio ad essi del vangelo.

È lo Spirito che unge Gesù per questa missione. Tutta la vita pubblica del Signore è una continua dedica ai poveri e agli esclusi di quel tempo, quelli con cui mangia, quelli che guarisce, che alimenta, perdona, chiama beati e rende giudici ultimi del tribunale escatologico della storia nella parabola del giudizio finale.

Il Regno che Gesù annuncia è un Regno di vita piena ed eterna, aperto a tutti, ma che comincia con il salvare dalla morte coloro che hanno la vita minacciata.

La morte di Gesù è inseparabile dalla sua opzione per i poveri e dalla sua critica ai responsabili di una religione meramente esteriore e non solidale con i poveri.

Le parabole, come quella del buon samaritano che si commuove davanti al ferito lungo il cammino, manifestano chiaramente il progetto di Dio e la misericordia del Padre.

Realmente Gesù, unto dallo Spirito, ha vissuto nel mondo facendo del bene a tutti quelli che soffrivano qualsiasi tipo di oppressione.

La storia della Chiesa, come ha dimostrato Benedetto XVI in Deus caritas est, è una continua diaconia e servizio ai poveri, a partire dai Padri della Chiesa, dal monachesimo, dagli ordini mendicanti, dalla vita religiosa moderna, dai laici impegnati, fino alla Dottrina sociale della Chiesa.

Ma non è sufficiente questa affermazione, bisogna completarla dicendo che sia i Padri che i teologi e i maestri spirituali medievali vedevano nei poveri i loro maestri, veri vicari di Cristo, fonte di luce e di ispirazione spirituale e teologica.

Diventiamo prossimo

È logico che dall’America latina, quando la sociologia e l’economia hanno dimostrato che la povertà non è casuale, né frutto del caso e ancor meno un castigo divino, la teologia cercasse nei poveri il punto focale per comprendere il messaggio cristiano. Questa impostazione non ne impedisce altre, né vuole imporsi come assoluta, ma vuole certamente privilegiare e rivendicare

 Autotassazione mensile: si stabilisce una cifra che viene versata mensilmente per il periodo indicato

 Presso il Centro di Primo Ascolto alla Casa della Carità in piazza San Giuliano 5 al mercoledì dalle 20.45 alle 22

 Con bonifico bancario tramite

IBAN: IT20 L0538 75248 00000 4260 6856

c/c intestato Parrocchia San Giuliano, Conto Caritas indicando la causale: FONDO DI SOLIDARIETÀ

22 Altri mondi
DIVENTIAMO PROSSIMO Continua l’iniziativa del
di
“Diventiamo prossimo” per sostenere e accompagnare le famiglie in difficoltà economica
PER CONTRIBUIRE
fondo
solidarietà
MODALITÀ

la sua legittimità, essendo profondamente evangelica e portando luce a tutta la Chiesa e ad una umanità che è formata soprattutto dai poveri.

Da qui si comprende meglio come il progetto di Dio, simbolizzato nel banchetto del Regno, sia prima di tutto comunità, koinonia, e come a questo banchetto siano invitati prima di tutto quelli che la società esclude. È coerente che l’espressione di Ireneo “la gloria di Dio è che l’uomo viva” sia stata tradotta da Mons Romero “la gloria di Dio è che il povero viva” e che lo stesso Romero abbia definito il peccato come “ciò che ha ucciso il Figlio di Dio e che uccide i figli di Dio”. Non si nega con ciò che il Regno sia filiazione e che la pienezza della vita sia partecipazione della vita trinitaria divina e della visione di Dio, ma in un mondo dove la gente muore prima del tempo, soffre la fame, non ha lavoro, non ha scuole, né salute, né tetto, deve emigrare all’estero... il Regno di Dio deve cominciare dal basso, difendendo la vita concreta e materiale, una vita umana e dignitosa, che è la prima mediazione del Regno.

Per questo Gesù, prima di costituire il Popolo di Dio in senso teologico e liturgico (il laós), si preoccupa di prendersi cura del popolo, povero, ignorante, affamato, malato,

peccatore pubblico, escluso e mal visto dai suoi dirigenti (il óchlos). Prima di annunciare il Pane di vita, dà da mangiare al popolo affamato. Mentre la teologia europea e quella ufficiale si sono sentite molto più preoccupate dal laós che dal óchlos, la teologia dell’America Latina crede che si potrà arrivare a formare il Popolo di Dio solo se ci si preoccupa prima del popolo povero, e che questo popolo povero e disprezzato, oggetto della benevolenza divina, illumina straordinariamente il senso della fede, del vangelo, della Chiesa e pertanto è un luogo teologico privilegiato. Nessuno resta escluso dal vangelo né dalla salvezza, ma bisognerà sempre tenere in conto la priorità teologica dei poveri. Questa priorità non si fonda sulla santità dei poveri, ma sulla benevolente volontà salvifica del Padre. Non si nega la gratuità della salvezza, né la necessità della preghiera e della liturgia, né che la pienezza del Regno sia escatologica, né si riduce Gesù ad un semplice rivoluzionario sociale, né si nega che Gesù ci redima e ci salvi dai nostri peccati con la sua morte e resurrezione, né la teologia si converte in sociologia, né la fede in mera prassi sociale. Ciò che si afferma è che senza questo riferimento ai poveri, né la fede, né il vangelo di Gesù, né la Chiesa possono essere pienamente compresi e vissuti.

Già i profeti affermavano che praticare la giustizia è conoscere Dio. Per questo la salvezza implica liberazione storica, il Mysterium salutis deve essere Mysterium liberationis, la Chiesa è sacramento storico di liberazione e deve convertirsi continuamente al Regno di Dio. Da qui si comprende l’espressione che al di fuori dei poveri non c’è salvezza

E crediamo che tutta questa dimensione sia valida non solo per le Chiese povere del Terzo mondo ma anche per la Chiesa universale. Per questo Giovanni Paolo II ha ripreso il tema della Chiesa dei poveri nella sua enciclica sul lavoro Laborem exercens (n. 8) e nella sua lettera apostolica Tertio millennio adveniente ha affermato la necessità dell’opzione per i poveri per la Chiesa universale (n. 51), ricordando che Gesù è venuto ad evangelizzare i poveri (Mt 11, 5; Lc 7, 22).

Una teologia conflittuale

La società del Neoliberalismo capitalista evidentemente si sente criticata e minacciata da questa visione liberatrice del cristianesimo e l’accusa di essere marxista; per questo i consiglieri dei presidenti degli Stati Uniti, nei loro Documenti di Santa Fe, suggeriscono loro di combattere questa teologia che attacca i loro interessi imperialisti. Per questo tale orientamento ecclesiale e teologico è stato conflittuale e ha generato numerosissimi martiri in tutta l’America, dai vescovi (come Romero) e teologi (come Ellacuría), a religiosi e religiose, sacerdoti, catechisti e gente del popolo più umile, donne, bambini, indigeni e anziani. Ci troviamo davanti ad una Chiesa martiriale, come quella dei primi secoli della storia della Chiesa.

Ma questa teologia è stata ed è conflittuale anche per i settori della Chiesa stessa, il cui magistero ufficiale ha pubblicato due istruzioni nel 1984 e nel 1986 sulla teologia della liberazione, avvertendo dei suoi pericoli. Capiamo che non è facile per le altre Chiese, quelle del Primo mondo e concretamente quella di Roma, interpretare in maniera adeguata questo orientamento e che lo trovino sospetto, pericoloso, con connotazioni materialiste e marxiste.

Non è nuovo nella storia della Chiesa constatare che ogni cambiamento innovatore del paradigma teologico produce resistenze, sospetti e anche condanne da parte della istituzione ecclesiastica. Così è successo con Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Rosmini, Angelo Roncalli futuro Giovanni XXIII, Rahner, Congar, Daniélou, De Lubac... Anche le separazioni della Chiesa d’Oriente e della Chiesa della Riforma si dovettero in gran parte ad una mancanza di comprensione e di dialogo teologico. Adesso non può sorprenderci che la teologia della liberazione susciti timori e sospetti.

Víctor Codina sj Cochabamba, Bolivia

Altri mondi 23 Maggio 2023

L’insegnamento di don Milani

Alle celebrazioni del centenario della nascita di don Lorenzo Milani, morto il 26 giugno 1967, sarà presente anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il prossimo 27 maggio, all’apertura degli eventi programmati a Barbiana e altrove per ricordare questo importante anniversario. Il comitato per ricordare il sacerdote ed educatore si è costituito a Firenze lo scorso dicembre. A presiederlo è Rosy Bindi, ex parlamentare e ministra in più legislature.

PAPA FRANCESCO E DON MILANI

Papa Francesco, il 20 giugno 2017 visitò prima Bozzolo, il paese di don Primo Mazzolari e poi Barbiana, la tomba e i luoghi di don Milani, dove disse: «Mi rallegro di incontrare qui coloro che furono a suo tempo allievi di don Lorenzo Milani, alcuni nella scuola popolare di San Donato a Calenzano, altri qui nella scuola di Barbiana. Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato. E siete testimoni della sua passione educativa, del suo intento di risvegliare nelle persone l’umano per aprirle al divino.

Di qui il suo dedicarsi completamente alla scuola, con una scelta che qui a Barbiana egli attuerà in maniera ancora più radicale. La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo.

Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole. Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la

parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità. […]

E da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune. Troviamo scritto in Lettera a una professoressa: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. […] Prima di concludere, non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse:

“Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…”. Dal Card. Silvano Piovanelli, di cara me-

moria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: “Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità” (Nazareno Fabbretti, “Incontro con la madre del parroco di Barbiana a tre anni dalla sua morte”, Il Resto del Carlino, Bologna, 8 luglio 1970).

Il prete “trasparente e duro come un diamante” continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti!».

24 Date significative

Partigiani in festa

L’Eco di Bergamo del 5 maggio 1945 pubblica la cronaca della sfilata delle formazioni partigiane in azione nella Bergamasca durante il nazifascismo. Sfilano la Divisione Orobica “Giustizia e libertà” con le unità dipendenti, brigata “4 maggio”, brigata “Gabriele Camozzi”, brigata “Francesco Nullo”; sfilano le brigate “Garibaldi”, la 63, la 75, la 86; così le Fiamme Verdi e la brigata “fratelli Calvi”.

Ad Albino le Fiamme Ferdi locali, con amici di S. Giovanni Bianco, festeggiano il 28 maggio 1945 Sul campo delle scuole elementari sono scattate diverse fotografie.

Quella collettiva vede i partigiani delle Fiamme Verdi prendere d’assalto la statua del Moroni eretta dal podestà in epoca fascista. Vi è presente il primo sindaco di Albino, rag. Alfredo Ligori, unico con la cravatta.

Sono presenti Franco e Giovanni Begnigna, con le mogli, Renzo Cugini, che diverrà factotum della Democrazia Cristiana albine-

se, Enzo Daina, futuro dentista, il fratello Alcide, poi medico a Sesto S. Giovanni. Le copie delle foto sono di Enzo Daina, donate all’amico Elia Acerbis.

Alcuni di questi partigiani sono presenti anche nella fotografia della targa posta, per la ricorrenza del 25 aprile 2023, sulla casa dei fratelli Begnigna, in via mons. Mons. Camillo Carrara 8. Un’altra targa è posta, in Fiobbio in via S. Benedetto 19, per la famiglia di Alessandro Signori ‘ ’l sertùr ’, nel dopoguerra trasferitasi in via Duca d’Aosta.

I fratelli Begnigna partigiani erano 3: il più giovane, Camillo, morto nel 1944 in Svizzera per tubercolosi, dove si era rifugiato dopo aver fatto parte, con i fratelli Franco e Giovanni, del distaccamento di Ettore Briolini, in Ganda, disperso dai rastrellamenti nazifascisti.

Una sintesi dell’operato partigiano sia dei fratelli Begnigna, sia della famiglia Signori, è sulle targhe dedicate.

Di Giovanni, però, va qui ricorda-

Compagni dei Begnigna quali partigiani, come risulta dalle schede CVL, furono Renzo Cugini ed Enzo Daina. Renzo fu con loro a Ganda dal 15 settembre 1943 al 20 novembre in un distaccamento disperso dai primi rastrellamenti nazi-fascisti. Enzo Daina, con loro e con Renzo, dopo essere stato nascosto in casa di Battista Calvi e Maria Goisis, e, insieme con i fratelli Pericle ed Alcide in un roccolo sotto il santuario di Altino, protetto da Vallaltesi, dall’1 dicembre 1944 al giugno 1945 fu a Zambla nel distaccamento Valbrembo della Brigata delle Fiamme Verdi “Fratelli Calvi”.

to almeno quanto soffrì per mano fascista, con quanto lui stesso scrisse, in prima e terza persona: «Arrestato dall’O.P, torturato da Resmini, Mangialardo, Bolis e altri sbirri. Dopo mezz’ora mi portarono davanti per confronto un mio partigiano arrestato qualche giorno prima non mi strapparono nessuna informazione e le torture continuarono ancora per mezz’ora.

Incarcerato a Sant’Agata il 7/11/44 con l’accusa di simpatia per i partigiani, il 27/11/1944 avviato in Germania. Il 22/12 riuscì a fuggire mettendosi subito in contatto con i compagni e preparando altri partigiani. Rimasero dolori alle spalle, mani sempre gonfie con i segni dei ferri».

25 Maggio 2023

ACLI ALBINESI

Rubrica a cura del Circolo “Giorgio La Pira”

ACLI BERGAMASCHE: NUOVA SEDE

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è stata inaugurata a Bergamo la nuova sede delle Acli bergamasche, alla presenza del Vescovo, del Sindaco di Bergamo Gori e del Presidente della Provincia Gandolfi. Il taglio del nastro è avvenuto in via San Bernardino, nell’edificio che ora, su tre piani, ospita non solo la sede provinciale dell’Associazione, ma anche i servizi Caf Acli e Acli Casa. La nostra Associazione intende in tal modo aumentare sempre maggiormente l’impegno a favore dei bisogni della comunità bergamasca.

DALLE ACLI NAZIONALI

Riprendiamoci il Comune

“In risposta ad un articolo del quotidiano ”Libero”, in cui si accusava il mondo associativo cattolico di essere stato silente nei confronti della guerra provocata dalla Russia contro l’Ucraina, il presidente del nostro Movimento Francesco Storace ha rivendicato l’immediata e netta condanna fatta dalle Acli, con una richiesta di avviare subito una via diplomatica per raggiungere la pace.

Le Acli sono sempre state in prima linea per chiedere con forza la pace e l’avvio di tutti i canali diplomatici

possibili, quando invece l’unica soluzione paventata, anche sui media, sembrava solo quella di inviare armi.

“Riprendiamoci il Comune”, due proposte di legge per ridare centralità alle comunità locali

Le Acli hanno aderito alla campagna “Riprendiamoci il Comune” per l’approvazione di due leggi d’iniziativa popolare per la riforma della finanza locale e per la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti. L’iniziativa nasce con l’obiettivo di invertire la rotta rispetto alle politiche liberiste che in questi ultimi decenni hanno costretto i Comuni a privatizzare i servizi pubblici locali, alienare il patrimonio pubblico e cementificare il territorio, privando le comunità locali di diritti e servizi.

Il patto di stabilità e il pareggio di bilancio-misure economiche di drastico contenimento della spesa pubblica- hanno profondamente mutato la natura dei Comuni, che, da garanti dei diritti fondamentali, sono divenuti enti la cui unica preoccupazione è la stabilità dei conti economici.

Una proposta di legge si prefigge una profonda riforma della finanza locale, eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale, reinternalizzando i servizi pubblici a partire dall’acqua, difendendo suolo, territorio, beni comuni e patrimonio pubblico.

26 Associazionismo

ESEMPIO

Sono ormai tre mesi che Biagio Conte, missionario laico di Palermo, fratello degli ultimi, ci ha lasciati. Biagio, l’uomo che ha seminato il bene con la sua opera, con i suoi pellegrinaggi, con la sua generosità, calzando i sandali e indossando un saio. Figlio di una famiglia borghese, benestante, aveva deciso di lasciare ogni agiatezza per seguire il suo cammino d’amore verso il prossimo.

Biagio, trent’anni fa, ha fondato La Missione “Speranza e Carità”, i cui compiti sono l’accoglienza e il donarsi ai nuovi poveri di Palermo, a tutti quelli che rimangono indietro e ai margini della società. E non solo accoglienza, ma anche un aiuto concreto per ricostruire se stessi, rientrare nella vita di ogni giorno con formazione, laboratori artigianali di falegnameria, sartoria, edilizia, tipografia, cucina e artistici, con un piccolo panificio realizzato all’interno.

Questo è quanto ha lasciato un uomo che il Vangelo lo ha vissuto non con le parole, ma con i fatti.

ZERO EMISSIONI

Non saranno forse molti i settori in cui i Paesi del Nord Europa possono darci lezione. Sicuramente però quello di rispettare l’ambiente in cui si vive è uno di questi. Ecco un esempio. La scommessa della capitale danese, Copenaghen, è quella di arrivare ad azzerare le emissioni nocive entro il 2025, E possiamo crederci per alcuni motivi. Eccone tre. Il primo è che il 44% di tutti coloro che vanno a lavorare o a studiare lo fanno usando la bi-

cicletta. Il secondo è che pochi danesi hanno l’automobile (e non perché non se lo possano permettere): nello specifico 253 su mille, mentre da noi sono 663. Il terzo è che stanno cambiando i veicoli pubblici, investendo somme enormi nella transizione elettrica degli autobus.

RICONOSCENZA

È bello venire a conoscenza di certi fatti, specie ai giorni nostri. La storia dell’intera classe di ex liceali che rintraccia l’anziano professore di filosofia solo e malato, decidendo di prendersene cura, tocca corde profondissime e per lo più ignote alla maggioranza delle notizie di cui normalmente si discute. Dipenderà dai grandi temi che sfiora – la scuola, la vecchiaia, la solitudine, la nostalgia, l’amicizia, la solidarietà umana – ma un po’ anche da quella frase buttata lì dal professor Umberto Gastaldi per spiegare il persistente affetto dei suoi antichi studenti. “Quando insegnavo, mi batteva sempre forte il cuore”.

CONVINZIONE

Non ricordiamo più chi lo ha detto, ma sicuramente è stato qualcuno che conosce bene l’animo umano: “Datemi genitori migliori e vi darò figli migliori”. Non ci sono dubbi riguardo al fatto che l’esempio trascini e perciò influisca parecchio sui giovani. Non faremo solo il bene dei nostri figli, ma miglioreremo la società che troppe volte preoccupa e sbanda.

Per le Acli albinesi Gi.Bi.

27 Maggio 2023 Associazionismo

CASA FUNERARIA di ALBINO

CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO srl, società di servizi funebri che opera con varie sedi attive sul territorio da più di 60 anni, nata dalla fusione di imprese storiche per offrire un servizio più attento alle crescenti esigenze dei dolenti, ha realizzato ad Albino la nuova casa funeraria.

La casa funeraria nasce per accogliere una crescente richiesta da parte dei famigliari che nel delicato momento della perdita di una persona cara si trovano ad affrontare una situazione di disagio oltre che di dolore nell’attesa del funerale. Il disagio potrebbe derivare dalla necessità di garantire al defunto un luogo consono, sia dal punto di vista funzionale che sanitario e permettere alle persone a lui vicine di poter manifestare il loro cordoglio con tranquillità e discrezione.

Spesso si manifesta la necessità di trasferire salme in strutture diverse dall’abitazione per ragioni di spazio, climatiche igienico sanitarie.

Ad oggi le strutture ricettive per i defunti sono poche ed il più delle volte improvvisate, come ad esempio le chiesine di paese, che sono state realizzate per tutt’altro scopo e certamente non garantiscono il rispetto delle leggi sanitarie in materia.

Dal punto di vista tecnico la casa funeraria è stata costruita nel rispetto delle più attuali norme igienico-sanitarie ed è dotata di un sistema di condizionamento e di riciclo dell’aria specifico per creare e mantenere le migliori condizioni di conservazione della salma.

La struttura è ubicata nel centro storico della città di Albino, in un edificio d’epoca in stile liberty che unisce funzionalità e bellezza estetica.

Gli arredi interni sono stati curati nei minimi dettagli; grazie alla combinazione di elementi come il vetro e il legno, abbiamo ottenuto un ambiente luminoso e moderno, elegante ma sobrio.

Lo spazio è suddiviso in 4 ampi appartamenti, ognuno dei quali presenta un’anticamera separata dalla sala nella quale viene esposta la salma, soluzione che garantisce di portare un saluto al defunto rispettando la sensibilità del visitatore. Ogni famiglia ha a disposizione uno spazio esclusivo contando sulla totale disponibilità di un personale altamente qualificato in grado di soddisfare ogni esigenza.

FUNERALE SOLIDALE

Il gruppo CENTRO FUNERARIO BERGAMASCO, presente sul territorio con onestà e competenza, mette a disposizione per chi lo necessita un servizio funebre completo ad un prezzo equo e solidale che comprende:

- Cofano in legno (abete) per cremazione e/o inumazione;

- Casa del commiato comprensiva di vestizione e composizione della salma, carro funebre con personale necroforo;

- Disbrigo pratiche comunali.

Antonio Mascher  335 7080048 ALBINO - Via Roma 9 - Tel. 035 774140 - 035 511054 info@centrofunerariobergamasco.it

Da gennaio ad aprile 2023

... sono rinati

nel Battesimo

- Mattia Rocha

- Celeste Maria Moroni

- Giovanni Carrara

- Azzurra Azzola Zucchi

- Mariasole Azzola Zucchi

- Rafael Edoardo Simone

- Sofia Gamba

- Giulia Merati

- Federico Merati

- Samuele Bruna

- Lorenzo Gaiti

- Beatrice Carrara

- Ginevra Fadda Gandossi

... hanno ricevuto

il Sacramento della Confermazione

- Nicole Ricuperati

- Diego D’Orazio

... si sono uniti in in Matrimonio

Luca Usubelli e Desireè Altese

... sono tornati

alla casa del Padre

- Angelina Calegari

- Maria FiorenzaTacchini

- Pietro Bertocchi

- Piera Brigatti

- Elide Maffeis

- Santina Signori

- Elisabetta (Lisetta) Masseroli

- Lisetta Lumetti

- Renato De Filippi

- Santina Ratti

Per la pubblicazione in questa pagina delle fotografie dei propri cari defunti, rivolgersi alla portineria dell’Oratorio.

Il tuo ricordo ci accompagna ogni giorno

Dall’anagrafe parrocchiale 23 Anniversari
Rosina Bonomi in Carrara 2° anniversario n. 05.06.1946 - m. 29.04.2021 L’amore e l’esempio che ci hai donato sono guida per la nostra vita. Sei sempre con noi. Giuseppa Carrara (Maria) in Birolini 3° anniversario n. 08.03.1937 - m. 28.05.2020
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