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L' ora della responsabilità. L'ora di Camilla

L'Editoriale

Giacomo Longoni, 5bb

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Camilla. Oltre ad essere un nome stupendo, forse il più bello tra i nomi che una ragazza può avere, almeno secondo me, è anche il nome di una mia coetanea fiorentina che lunedì scorso, dopo giorni di rabbia e delusione, ha scritto una lettera al direttore di un noto quotidiano nazionale. In questo scritto, prontamente pubblicato dalla testata in questione, la cara Camilla dava voce alla sua delusione: “Mi state privando dell’età più bella!”. Il soggetto? Lo Stato. Onde evitare che qualcuno non cogliesse il senso della sua lettera poche righe dopo scriveva: “Ho tollerato ogni restrizione in silenzio per il bene della comunità. Ma la comunità cosa ha fatto per il mio bene?” Vi devo confessare, cari lettori, che anche io, al pari di Camilla, quando ho saputo del ritorno alla Dad, e tutto ciò che questa decisione implicava, ho avuto all’incirca gli stessi pensieri… Dallo scorso febbraio, quando il virus ha iniziato a diffondersi in Lombardia e in Veneto, ho seguito tutte le restrizioni imposte e le raccomandazioni delle autorità facendo, forse, anche qualcosa di più. Quest’estate non poche volte ho preferito rimanere a casa piuttosto che seguire la mia compagnia nelle bellissime gite al lago o in altre invidiabili avventure, risultando anormale e oltremodo ipocondriaco. Al ritorno in classe, come saggiamente scelto dalla preside, non ho potuto rivedere tutti i miei compagni, obbedendo alla tanto innaturale quanto necessaria Didattica Digitale Integrata (una settimana in classe ed una a casa). La Didi, per intenderci, quella che ha limitato in maniera importante i contagi nella nostra scuola e che ci ha fatto finire sul Cittadino di Monza, esaltati come scuola modello della Brianza centrale. Ed eccoci qui. Risultato? Tutti a casa, con una “forte raccomandazione” a limitare gli spostamenti inutili. “Lo Stato mi ha delusa, mi sta privando dell’età più bella”. Cosa dire a Camilla? Dopo aver sentito i pareri dei miei compagni di classe e dopo aver riletto allo sfinimento la lettera della nostra amica acquisita sono giunto ad una conclusione. No, cara Camilla, lo Stato non ci sta privando dell’età più bella – tra l’altro, come fai a dire che questa sia l’età più bella, quando non hai ancora vissuto le altre di età? – come non è neanche vero che la comunità non stia facendo nulla per noi. Guardali, i nostri prof, non sono forse anche loro parte della “comunità”? Beh, mi sembra stiano facendo ciò che è umanamente possibile e, forse, anche qualcosa di più per noi. E lo stanno facendo, almeno per quanto io posso notare, con spirito di abnegazione, certamente non per avere qualcosa in cambio (non ne varrebbe la pena altrimenti!), ma, al contrario, per amore del proprio lavoro. Certo, la delusione è tanta e, quando la delusione cresce, aumenta anche la rabbia. Eppure, io credo che questa non sia l’ora del vittimismo. Chi si piange addosso, chiedendo di più agli altri e lamentando carenza ed inadeguatezza da parte della “comunità”, è un perdente. Beninteso: non che si debba vincere a tutti i costi! Ma a chi piace perdere? Questa, cara Camilla, è l’ora del sacrificio. È l’ora della responsabilità. È l’ora in cui tutti dobbiamo essere un po’ Camilla. La Camilla fiorentina, nostra contemporanea, che, pur dicendo cose che non condivido, ci ha offerto la sua esperienza e il suo parere, a partire dal quale ciascuno può trarre le dovute conclusioni. E l’ora dell’altra Camilla, quella tanto cara ad Enea. La Camilla che forse tutti ricordiamo, “bellicosa guerriera” dei Volsci, che guidò con orgoglio e furore i cavalieri del suo popolo nella lotta contro i troiani. Prendiamo esempio da lei: una giovane che prese sulle proprie spalle il destino del suo popolo. Proprio lei, che, quando ancora in fasce, era stata cacciata via dalla città insieme al padre. Una ragazza che davvero sperimentò, da neonata, l’avversità della propria comunità ma che non per questo non decise poi, divenuta adulta, di servirla sino all’estremo sacrificio. A noi non ci è chiesto tanto: solo di rispettare quattro semplici regole! E farlo, oggi, è la testimonianza di amore più grande che ci possa essere, vuol dire riconoscere gli altri, “la comunità”, come soggetti da tutelare. Cara Camilla, anche se, come scrivi, profondamente amareggiata dalla situazione attuale, premediti un futuro lontano dal nostro Paese, puoi fare anche tu la differenza! La scelta sta a te, a me, a ciascuno di noi: vogliamo andare avanti a piangerci addosso e a criticare, “a stramaledire le donne, il tempo ed il governo” - come direbbe Faber - o vogliamo assumerci le nostre responsabilità e, magari, prendere in mano, con umiltà ma determinazione, il destino della nostra comunità? Ad Majora!

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