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Le rivolte in Bielorussia
Francesco Vaccaro, 5aa Jacopo Palazzolo, 2C Giorgia Tiralongo, 2aa Sofia Marcantoni, 2H
In seguito alle elezioni, probabilmente truccate, in cui Lukashenko, a capo del governo dal 1994, è risultato vincitore con l’80% dei voti sull’oppositrice Svetlana Tikhanovskaja, si sono scatenate una serie di rivolte, iniziate soprattutto da donne, che avvengono ogni domenica in venticinque città diverse della Bielorussia.
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Le manifestanti sono scese in piazza vestite di bianco, portando fiori e striscioni e formando catene umane contro la polizia in segno di solidarietà e protesta.
Il governo in risposta ha schierato camion militari e posizionato fili spinati, autorizzando la polizia a pestaggi e arresti, in particolare di donne, con il risultato di avere ucciso un ragazzo di soli venticinque anni.
Simbolo di queste manifestazioni è la 73enne Nina Baginskaya, ex geologa, la cui risposta “sto passeggiando” alla domanda dei poliziotti, che le chiedevano cosa stesse facendo in piazza, è diventata uno slogan della rivolta. Tutti i leader dell’opposizione sono in esilio o in carcere, fatta eccezione per Svetlana Aleksiyevich, scrittrice 72enne, premio Nobel per la letteratura nel 2015, che ha comunque dovuto denunciare un’intrusione in casa.
Quindi il ruolo fondamentale di questa rivolta è ricoperto dalle donne, in particolare le leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaja, Maria Kolesnikova e Veronika Tsepkalo.
Svetlana Tikhanovskaja Unica oppositrice registrata dal governo di Lukanesko, Svetlana ha affermato di aver ricevuto tra il 60 e il 70% dei voti, denunciando così la corruzione delle elezioni.
Era stata appoggiata da Valery Tsepkalo e Viktar Babaryka, candidati a loro volta come oppositori, ma non registrati dal governo. Hanno preso il loro posto rispettivamente Veronika Tsepkalo, moglie di Valery, e Maria Kolesnikova, sostenendo a loro volta la campagna di Svetlana.
La candidata ha affermato di essere stata vittima di molestie, in particolare minacciata di violenza e di essere allontanata dai suoi figli, mandandoli in un orfanotrofio statale.
La sua campagna prevedeva di liberare gli innumerevoli prigionieri politici, introdurre riforme democratiche, allontanarsi dal trattato unionista con la Russia, proporre un referendum per inserire un progetto di costituzione bielorussa, ma, in particolare, di garantire elezioni libere ed eque.
In seguito a ulteriori minacce e alla sconfitta alle elezioni, è stata costretta a fuggire in Lituania.
Lukashenko ha affermato che “la Bielorussia non è pronta ad avere un presidente donna”.
Veronika Tsepkalo
Moglie di Valery Tsepkalo, si era unita alla campagna di Svetlana come rappresentante del marito, a cui era stata negata la registrazione come oppositore di Lukashenko.
Subendo svariate pressioni esercitate dal governo, quali la ricerca di informazioni sulla scuola frequentata dai suoi figli e la richiesta alla sorella di testimoniare contro il marito Valery, Veronika è stata costretta a fuggire dal paese e raggiungere il marito e i figli a Mosca.
Maria Kolesnikova
Musicista e politica, ha sostenuto dapprima la campagna di Viktar Babaryka e successivamente quella di Svetlana; a causa di ciò è stata arrestata per strada a Minsk il 7 settembre, rapita da uomini mascherati facenti parte dei servizi antisommossa e caricata su un furgoncino.
Il giorno seguente è stata registrata la sua presenza al confine con l’Ucraina, dove non si sanno per certo le dinamiche dei fatti: alcuni sostengono che volesse scappare dal paese, mentre altri ipotizzano fosse stata costretta dalle autorità a valicare la frontiera contro la sua volontà, portandola a compiere il gesto estremo di strappare il proprio passaporto.
Ma cosa ha portato a questa situazione?
La Bielorussia non è mai stata uno Stato indipendente fino al 1991, dopo la disgregazione dell’URSS, ma è sempre stata sotto il dominio prima polacco poi russo e infine sovietico. Pochi anni dopo l’indipendenza è stato eletto l’attuale presidente del paese Aljaksandr Lukashenko, già deputato del soviet bielorusso e fondatore del partito “Comunisti per la democrazia”, che avrebbe dovuto guidare l’Unione Sovietica a diventare un paese democratico seguendo principi comunisti.
La vittoria di Lukashenko arrivò in ogni caso a sorpresa sia in Bielorussia che all’estero, data la sua giovane età e la sua breve esperienza politica. I suoi obiettivi principali erano innanzitutto di stabilire un governo pulito, rimuovendo dalla propria posizione gli ufficiali corrotti, mantenere i salari e le condizioni economiche in fase di crescita e portare verso una più grande integrazione la Bielorussia e la Russia. Sebbene avesse vinto soprattutto grazie alla sua proclamata opposizione contro le riforme di mercato e privatizzazione, per gran parte del suo mandato si concentrò nell’individuare gli ufficiali corrotti all’interno del governo bielorusso.
Noi pensiamo alla Bielorussia come un paese burattino della Federazione Russa, ma non è così. Lukashenko ha sempre cercato di mantenere l’indipendenza del suo Paese ma gli è stato difficile a causa della dipendenza della Bielorussia dal petrolio russo (il quale serve ad alimentare le raffinerie nazionali che producono derivati dal petrolio, maggior prodotto esportato dal paese) e della chiusura del mercato europeo nei confronti della nazione a causa del bassissimo indice di democrazia: Lukashenko viene infatti considerato l’ultimo dittatore d’Europa.
La questione del petrolio è stata causa di un recente declino dei rapporti con Mosca assieme alla volontà dei russi di imporre una moneta unica ai due Stati, cosa che limiterebbe di molto l’autonomia di Minsk.
La Bielorussia quindi non è del tutto un Paese satellite russo, piuttosto cerca sempre di mantenere distanze eque con entrambi i blocchi, cosa confermata anche dallo stesso Presidente, che ha più volte ribadito di voler seguire la linea dell’ex Presidente jugoslavo Tito nei rapporti internazionali.
Ma ora sembra che le posizioni di Minsk siano totalmente a favore della Russia, che si è detta pronta a inviare truppe per sedare le rivolte nel caso queste diventino violente e pericolose per il governo di Lukashenko. La Russia, infatti, ha più volte dimostrato di essere a favore del governo autoritario bielorusso, ma perché?
Il motivo principale è che la Bielorussia fa da “Stato-cuscinetto” tra Federazione Russa e Unione Europea, e quindi i paesi NATO. Questo è lo stesso motivo per cui c’è stata l’invasione russa della penisola di Crimea e delle rivolte armate a favore di Mosca nel Donbass per impedire l’ingresso della Repubblica Ucraina in Unione Europea (in quanto paese in guerra) che avrebbe portato un paese UE a confinare direttamente con una larga porzione di territorio russo. Mosca ha per questo posto radar e difese anti-aeree e anti-missilistiche in territorio bielorusso, come i potentissimi missili S-400 che renderebbero quasi inattaccabile la Russia in caso di guerra aerea.
Non mancano anche gli interessi americani e della NATO, che in caso dell’insediamento a Minsk di un governo a loro favorevole avrebbero un avamposto strategico contro la Russia.