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Quando in ballo c'è l'integrità di una super-elezione
Luca Saracho, 3F
Poche ore ci separano dal momento in cui il mondo intero conoscerà il nome di chi il popolo americano avrà scelto per servire quattro anni come loro presidente. E questo ciclo di presidenziali passerà sicuramente alla storia, non solo per l’anomala condizione di pandemia in cui versa il nostro intero pianeta, ma anche per l’estrema e a tratti controversa vivacità del dibattito politico negli States. Potrà forse equiparare la precedente elezione del 2016, definita da Michael Moore ipse, fortemente critico di Trump, “il più grande vaff****** nella storia” contro l’establishment e le élite? Forse, ma solamente il tempo ce lo potrà rivelare. In questo articolo non tratterò di nessuno dei maggiori eventi accaduti in questi ultimi mesi di campagna elettorale verso il primo martedì di novembre, perché è probabile che se stai leggendo questo articolo saprai già come la penso, avendo letto i miei precedenti pezzi.
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Sebbene Trump abbia una forte personalità che potrà sicuramente non essere ben accetta a tutti, il suo operato in questi ultimi quattro anni è stato a dir poco eccezionale, accompagnando il paese ai più bassi livelli di disoccupazione mai registrati in tutte le categorie, specialmente quelle di afroamericani, ispanici e donne; riportando in vita numerosi siti industriali, precedentemente delocalizzati in Messico e in Cina; rimpiazzando NAFTA - sostenuta invece da Biden - con la più vantaggiosa USMCA; tenendo gli USA lontani da sanguinosi interventi militari in guerre sparse in giro per il mondo, assicurando anzi ben tre trattati di pace tra Israele e Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan e sostenendo la nazione nella ripresa dai lock-down.
La teoria di risultati da lui ottenuti potrebbe anche continuare, ma già solo questi accenni dovrebbero oscurare quelli, estremamente limitati, del suo sfidante, che dopo 47 anni in Congresso (di cui 8 in qualità di Vice-presidente sotto l’amministrazione Obama) pare che abbia deciso di voler “cambiare” il sistema che lui stesso aveva contribuito ad erigere. Inoltre, con le recenti evoluzioni dell’intera vicenda delle sue connessioni con Burisma, con il governo ucraino e quello russo attraverso suo figlio Hunter, è lecito interrogarsi sui suoi livelli di corruzione, dato che, a differenza della “caccia alle streghe” del Russiagate, è suffragato da una serie di email incriminanti la cui autenticità è stata confermata dall’FBI. Dunque la frase che the Donald ha pronunciato nell’ultimo dibattito tenutosi a Nashville appare quanto mai veritiera (ed estendibile anche alla nostra realtà italiana): “Voi politici siete tutte parole e nessuna azione”.
Ciò di cui intendo parlare è il valore che un’elezione riveste nella nostra società quando non si può essere certi della sua autenticità. Se seguite un minimo di politica americana saprete sicuramente la posizione del presidente riguardo alla validità del voto per posta e di come le principali emittenti televisive e non solo lo abbiano costantemente attaccato per quello, accusandolo di aver sparso disinformazione: addirittura Twitter è arrivata a gettare la propria maschera e rilevarsi per ciò che realmente è, censurando il tweet di Trump a tale merito e confermandosi la classica multinazionale universalistica desiderosa di selezionare da sé ciò che il singolo possa leggere. I Dems infatti sostengono che il voto per posta sia il modo più sicuro per esprimere la propria opinione elettorale in una situazione tanto anomala e pericolosa quanto quella in cui l’intero globo versa al momento. In più, secondo loro, non vi è alcuna differenza tra un voto per posta universale e un regolare absentee ballot, da sempre in utilizzo nelle elezioni. Ma se è per la sicurezza che il voto sia contato che essi si battono, certamente l’ultima delle loro proposte dovrebbe essere questa. E ci sono solidi dati che attestano l’infondatezza delle posizioni dei democratici.
Il primo di essi ci riporta indietro fino al giugno di quest’anno, quando, nel mezzo delle primarie condotte per corrispondenza postale, sono emersi due casi allarmanti. A Paterson, la terza città più popolosa dello stato del New Jersey, il 19% dei voti è stato squalificato per incongruenze sorte nell’espressione del voto, e nella stessa New York, roccaforte dei democratici, oltre a vari gravi ritardi del servizio postale, il 25% è stato squalificato per le medesime ragioni. Una tale catastrofica situazione ha indotto ad un redo delle elezioni a Paterson, in cui si sono registrati casi di frode elettorale. Se in zone di storica amministrazione Dem (a Paterson i Dems dovrebbero avere un vantaggio di circa 7 punti percentuali) il sistema non funziona, com’è possibile pretendere che tutti i 50 stati adottino tale metodologia?
Ciò che i democratici inoltre paiono non comprendere è la differenza sostanziale tra una lettera di estremo valore che viene spedita su precisa richiesta del destinatario, qual è l’absentee ballot, e la medesima lettera di estremo valore inviata indiscriminatamente a tutti i cittadini e non solo. Infatti esempi a metà strada tra il comico e il drammatico hanno visto come destinatari di tali lettere persone ormai decedute, animali domestici e persino gatti morti da tredici anni… Se non fosse tutto, lo stesso servizio postale americano non può essere considerato affidabile. Da uno stress test condotto da Fox News in una possibile simulazione di un’elezione, UPS non è riuscita a recapitare il 2,2% dei voti totali; valori che potrebbero parere infimi, insignificanti in valore assoluto ma che esprimono la loro drammaticità in relazione ai margini di vittoria estremamente esigui conseguiti da Donald Trump nel 2016. Trump infatti riuscì a ottenere i voti elettorali di Michigan, Pennsylvania e Wisconsin con una maggioranza di appena 0,2%, 0,7% e 0,8% rispettivamente: appare dunque evidente come una cifra così apparentemente insignificante come 2,2 divenga di essenziale importanza nell’integrità di un’elezione. Ma lo smarrimento del voto, o meglio, la sua manomissione, non sono sempre accidentali.
Recentemente Project Veritas ha pubblicato un’incredibile storia di una donna che, dall’apertura delle urne per il voto anticipato nella corsa senatoriale in Texas, è riuscita a convertire più di 7.000 voti per posta, forzando anziani cittadini a non votare per il candidato di loro scelta (il repubblicano John Cornyn) ma indirizzandoli verso la sua sfidante, MJ Hegar. Prendendo infine in considerazione il fatto che, secondo il Washington Post, Trump ottenne la carica di presidente per appena 80.000 voti in ben precisi stati, il potere esercitato da poche vili persone, come questa truffatrice, appare subito inaccettabilmente smisurato, potendo loro determinare l’esito finale di un’intera elezione.
Non importa l’affiliazione politica di chi commette un così ripugnante attentato all’integrità democratica di una nazione, il mio discorso trascende dalle ideologie di parte. Alla luce di tutto questo com’è possibile che i democratici abbiano voluto così fortemente implementare una modalità di voto che si profila seriamente per risultare nella “più corrotta elezione nella storia degli Stati Uniti d’America”, facendo mie le parole del Presidente Trump a riguardo? Com’è possibile che i democratici abbiano disconosciuto il voto in persona, definito dal virologo Fauci, uno dei loro stessi paladini, come sicuro se mantenute le comuni norme di distanziamento sociale, igienizzazione delle cabine e utilizzo della mascherina? Sembra che i dottori vadano ascoltati solo quando dicono qualcosa che conviene alla sinistra… negli USA e non solo.