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Dpcm: diritto, tra salute e libertà
Cassandra Ferro e Filippo Bianchi, 4aa
Nei periodi più difficili causati dall’emergenza Covid-19, durante il lockdown, la maggior parte dei cittadini si è stretta attorno al Governo sperando in risposte efficaci, mirate, volte a contenere il contagio nei luoghi più colpiti e dove il rischio di contagio era maggiore. A nostro parere, i cittadini italiani hanno ottenuto misure generalizzate, di dubbia efficacia, al limite della correttezza giuridica e pesantemente dannose per la tenuta del sistema economico italiano.
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Del resto, da parte nostra, non ci sono mai state grandi aspettative: al Governo non abbiamo né Aldo Moro né Winston Churchill, ma un presidente del Consiglio che fino a due anni fa parlava di sovranismo in costituzione e di «stop al business dell’immigrazione» e che l’anno successivo, cambiando alleanze, è diventato più europeista di Prodi e, a parole, il migliore amico di Carola Rackete.
Secondo noi certe decisioni non sono state soltanto sbagliate, ma anche pericolose: hanno comportato violazioni formali del nostro impianto costituzionale e dei principi di correttezza istituzionale che dovrebbero sempre essere la bussola dell’azione di governo.
Prendiamo come esempio la questione dello stato di emergenza: il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese - non certo un pericoloso complottista o un sovversivo - ha reso note le sue posizioni riguardo al rischio di creare un precedente pericoloso con le continue proroghe dello stato di emergenza, accompagnate da decreti legge che non prevedevano scadenza e che delegavano ai DPCM la disposizione di altri limiti alle libertà costituzionali. Cassese inoltre ci fa notare che il premier ungherese Viktor Orbàn si trova sotto giudizio dell’Unione europea per aver fatto adottare dal Parlamento ungherese una legge che dichiara uno stato di emergenza senza fissare un termine, sottolineando che invece «la dichiarazione dello stato di emergenza e i successivi decreti legge hanno consentito in Italia a una persona sola, con DPCM, di chiuderci in casa, vietarci di andare al lavoro, non visitare parenti, e così via».
A tal proposito, pur trovandoci sprovvisti di conoscenze specifiche, ci accingiamo a fare chiarezza sulla questione della legittimità o meno dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, concentrando la nostra attenzione sulle prime fasi dell’emergenza (tali criticità sono state infatti prevalentemente arginate con gli ultimi decreti-legge). Prendiamo in considerazione l’articolo 16 della Costituzione, che garantisce la libertà di circolare e di soggiornare su tutto il territorio, salve le “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. É chiaro che la situazione che si era presentata a febbraio rientrasse nei “motivi di sanità” in ragione dei quali la libertà di circolazione può essere limitata, ma occorre sottolineare che la riserva di legge dell’art. 16 significa che solo con legge si può limitare la libertà di circolazione: “limitazione che la legge stabilisce”. Oltre a non essere una fonte del diritto, il DPCM è una fonte di rango inferiore alla legge, si tratta infatti di un atto amministrativo. Per limitare la libera circolazione è necessario ricorrere ad una legge, o almeno ad un atto avente forza di legge (decreto legge o legislativo). La ratio è che la limitazione di libertà deve prima o poi passare per il Parlamento (nel caso di decreto legge, in fase di delega). “Limitare le libertà con un DPCM é un atto, in tutto, incostituzionale”, come sostiene Antonio Baldassarre, Presidente emerito della Corte Costituzionale. Si potrebbe muovere questa critica al ragionamento finora esposto: “Il decreto legge n. 6 del 23/02/2020 delega il governo ad adottare i DPCM limitativi delle libertà”. Il problema è che il decreto legge, avente forza di legge ordinaria e non costituzionale, non può derogare alla norma costituzionale stessa, la quale sancisce che è possibile adottare limitazioni alla libertà personale solo attraverso legge. Se la Costituzione stabilisce che tale libertà può essere limitata soltanto attraverso la legge, il decreto legge non può stabilire che un atto amministrativo sia invece sufficiente a tale scopo. I DPCM devono muoversi all’interno dello spazio preciso stabilito dal decreto-legge (a differenza di quanto accaduto col d.l. n. 6/2020, che attribuiva ai DPCM il compito di dettare tutte le misure necessarie, senza precisare previamente quali misure potessero essere prese) e non possono limitare ulteriormente la libertà personale del cittadino (come era invece successo per l’obbligo di indossare la mascherina, che chiama in causa l’articolo 23 della Costituzione). É opportuno sottolineare che con l’emanazione del decreto legge 19/2020 e seguenti i DPCM sembrano orientati ad un maggiore rispetto del dettato costituzionale ed al coinvolgimento di più organi costituzionali.
Un’altra grave scorrettezza istituzionale é stata poi riservata al Parlamento, che dovrebbe espressione della sovranità popolare e cuore pulsante della democrazia italiana. Durante i primi mesi di emergenza la Camera e il Senato sono stati di fatto esautorati, dal momento che il Governo ha deciso di ricorrere ai DPCM e al voto di fiducia nei rari casi in cui i provvedimenti sono approdati alle Camere. Per quanto riguarda i decreti-legge emanati nelle fasi iniziali dell’emergenza, nella maggior parte dei casi i parlamentari dell’opposizione non hanno avuto tempo materiale di emendarli o hanno visto respinti i propri emendamenti.
Veniamo poi ad una questione molto delicata, quella delle mascherine. Intendiamoci: secondo l’attuale dibattito scientifico le mascherine chirurgiche sono uno strumento utile nella lotta alla diffusione del Covid-19 e non vi è evidenza di alcun motivo serio per non utilizzarle. Separiamo però l’ambito della salute e quello del diritto. Anche in Francia, dove la situazione sta rapidamente sfuggendo di mano, alcuni prefetti hanno imposto l’obbligo generalizzato dell’utilizzo della mascherina all’aperto. É arrivata immediatamente la risposta del TAR (tribunale amministrativo regionale) del dipartimento di Strasburgo, uno di quelli interessati dal provvedimento, che ha stabilito, bocciando il decreto del prefetto, che l’obbligo generalizzato di indossare le mascherine costituisce una grave violazione della libertà personale e di circolazione. Il TAR ha quindi richiesto che venissero apportate modifiche che andassero nella direzione di escludere dall’obbligo fasce orarie e luoghi in cui il rischio di contagio è ridotto. Anche in Germania i Länder hanno decretato l’obbligo della mascherina solo in caso in cui non si possa mantenere la distanza di sicurezza.
Viene da chiedersi allora perché in Italia l’obbligo non sia relativo alle situazioni di rischio ma generalizzato. In molti potrebbero rispondere che gli italiani non sono abbastanza “maturi” e “responsabili” per capire quali situazioni possano essere rischiose e quali al no e che la richiesta di valutazioni di questo tipo non garantirebbe gli esiti sperati. Noi riteniamo che tale opinione sia deleteria e frutto di radicati pregiudizi sul popolo italiano. La sfiducia che a noi sembra essersi manifestata nei confronti dei cittadini rischia di creare una frattura tra bisogni e istanze della popolazione e risposte delle istituzioni – come peraltro testimoniano le recenti manifestazioni di piazza - in un momento in cui invece dovrebbe esservi ancor più coesione e vicinanza tra rappresentanti e rappresentati. Questo è un ottimo momento per ritrovare la solidarietà e la fratellanza del nostro popolo, dimostratosi responsabile e obbediente alle norme, anche quando esse non sono state rispettose del principio di proporzionalità, della gerarchia delle fonti e, più in generale, hanno mancato della chiarezza, della proporzionalità e del rispetto dei meccanismi democratici che il nostro popolo merita.