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La lavorazione

Le fave di cacao nascono racchiuse all’interno di cabossidi, frutti oblunghi di circa 20 centimetri, del peso di circa 500 grammi, di vari colori e sfumature (da giallo-verde a arancione-rosa-rosso), che crescono sulla pianta omonima. La pianta del cacao cresce nelle zone calde e umide, a una temperatura tra 24 e 28 gradi centigradi, nella fascia equatoriale compresa tra +20 e -20 gradi di latitudine. Le principali varietà sono:

- il Criollo, che è il più aromatico. È coltivato principalmente in Venezuela e nei paesi dell’America centrale (circa 2% della produzione mondiale);

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- il Forastero, (circa 80% della produzione globale), è principalmente coltivato in Amazzonia e in Africa e ha un gusto alquanto amaro. Fa eccezione il tipo Arriba National, prodotto in Ecuador, caratterizzato da spiccati aromi floreali;

- il Trinitario, che è un ibrido dei primi due, è nato nel secolo XVII nell’isola di Trinidad e oggi è coltivato principalmente in America Centrale e Asia (circa 18% della produzione mondiale).

Di queste tre varietà di cacao esistono innumerevoli sottotipi, caratterizzati da specifiche caratteristiche, dovute al territorio di origine, al terreno di coltivazione, alle piante ivi coltivate e al clima. Proprio per la notevole diversità che caratterizza i sottotipi esistenti, nel 2008 è stato pubblicato dal genetista venezuelano Juan C. Motamayor lo studio “Geographic and genetic population differentiation of the Amazonian chocolate tree”, nel quale sono state mappate le famiglie genetiche del cacao in base alla biodiversità, ed è stata proposta una nuova classificazione in 10 varietà principali (destinate ad aumentare negli anni): marañon, curaray, criollo, iquitos, nanay, contamana, amelonado, purús, nacional, guiana. Vi è, poi, una diversa classificazione basata sulla forma delle cabosse: angoleta (di forma allungata, con superficie ruvida e solchi profondi), cundeamor (dalla forma ovale, a punta, con superficie grinzosa), amelonado (dalla forma ovale e tondeggiante e dalla superficie liscia), calabacillo (più larga delle altre e dalla forma tondeggiante). Quando le cabossi di cacao giungono a maturazione esse vengono raccolte e aperte in due metà; le fave in esse racchiuse sono estratte e poste a riposare per la fermentazione sotto foglie di banano o sotto apposite tettoie. Al termine della fermentazione, della durata da 3 a 7 giorni, le fave si separano dalla loro mucillagine (una sorta di polpa bianca che le avvolge), sviluppano i primi aromi, assumendo un tipico colore bruno. Le fave sono, dunque, lasciate al sole (o in speciali forni se le condizioni climatiche non sono favorevoli) per altri 15 giorni circa per l’essiccazione, cosicché possa limitarsi l’acidità, evitarsi l’insorgere di muffe e aversi un ulteriore sviluppo di aromi. A questo punto le fave di cacao vengono poste in sacchi di juta e depositate in magazzini in attesa della spedizione verso le fabbriche di cioccolato. Arrivate a destinazione, le fave vengono tostate: questa operazione conferisce loro il proprio odore caratteristico, esaltando ulteriormente gli aromi, e riduce o annulla la presenza di eventuali batteri. La tostatura viene effettuata a temperature tra 110° e 150° e dura da circa 20 minuti fino a un’ora. Dalle fave tostate si ottiene il burro di cacao e la polvere di cacao mediante un particolare processo di estrazione. Poi, le fave di cacao vengono decorticate (viene eliminata la cascara, la buccia che avvolge la fava) e frantumate, così da aversi la granella (nibs in inglese, grué in francese). Successivamente, si ha la fase della macinatura: le fave sono ulteriormente frantumate a caldo in un mulino così da essere trasformate in una pasta fluida, che rapprendendosi forma la c.d. massa di cacao (o pasta di cacao o liquore di cacao). Dopo la macinatura, in presenza di cacao amaro, viene effettuata l’alcalinizzazione (trattamento chimico effettuato generalmente con carbonato di sodio o di potassio), per ridurre gli eccessi di acidità e amarezza, con l’appiattimento, però, di qualsiasi aroma. La massa di cacao, poi, viene posta in un mescolatore insieme allo zucchero e ad altri ingredienti opzionali (per esempio, vaniglia), dando così vita al cioccolato. Naturalmente per ottenere il cioccolato al latte, si aggiunge il latte in polvere. Infine, la massa di cacao addizionata dei vari ingredienti subisce il trattamento del concaggio: attraverso questo procedimento il cioccolato viene ulteriormente mescolato a caldo (da circa 60-70 gradi fino a circa 80 gradi) in una vasca dotata di particolari rotori per svariate ore (da un minimo di 8-10 ore fino a circa 70 ore), insieme agli eventuali ultimi componenti della ricetta. Mediante il concaggio, si ottiene una raffinazione ulteriore della granulometria dell’impasto, una riduzione dell’acidità e dell’umidità, vengono meglio amalgamati gli ingredienti e si sviluppano ulteriormente gli aromi conferendo così rotondità al prodotto finale. Dopo il concaggio, il cioccolato viene temperato: passa così dalla temperatura di 50 gradi (la temperatura di fusione per il cioccolato fondente e al latte è di 50 gradi, mentre per il cioccolato bianco è di 45 gradi) alla temperatura di 28 gradi (27 gradi per il cioccolato al latte e 26 gradi per il cioccolato bianco) per poi essere portato alla temperatura di 31 gradi (30 gradi per il cioccolato al latte e 29 gradi per il cioccolato bianco). Mediante il temperaggio si ottiene una perfetta cristallizzazione del burro di cacao, che così si lega perfettamente alla massa di cacao, evitando che, dopo il raffreddamento, il cioccolato risulti farinoso e opaco per il distaccamento dei cristalli di burro di cacao dalla massa di cacao. Il temperaggio è oggi effettuato normalmente attraverso l’uso di una macchina detta temperatrice, ma alcuni artigiani lo realizzano ancora a mano. Dopo il temperaggio, il cioccolato viene colato negli stampi e viene raffreddato in un macchinario per poi essere confezionato.

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