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Barriere architettoniche e inclusione sociale C. Bonolis
from Alternativa 4_2022
BARRIERE ARCHITET TONICHE E INCLUSIONE SOCIALE
Sembra realistico aspettarsi che i tempi siano maturi per un salto culturale che agevoli l’affermazione di una visione più completa della condizione delle persone con disabilità in tutti gli spazi sociali, sia quelli fisici che relazionali
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Chiara Bonolis
(1) United Nations, Convention on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD), New York, 13 dicembre 2006. (2) Legge 3 Marzo 2009 (GU n.61 del 1403-2009).
(3) Schianchi M., Disabilità e relazioni sociali, 2021, Carocci Editore, Roma.
(4) Questo inciso nulla vuole togliere all’importanza del linguaggio ed alla pregnanza di quelle parole. Si è consapevoli, al contrario, del loro carattere dinamico-evolutivo, e della necessità di riappropriarsene adeguandolo alla realtà, appunto perché, come per la disabilità, visioni, concezioni, atteggiamenti, idee mutano nel tempo e con esse la semantica. A questo proposito si vedano due convergenti pubblicazioni di fonte diversa (una istituzionale, una aziendale): Agenzia delle Entrate, Disabilità Iniziamo dalle parole, 2021; Intesa Sanpaolo, Le parole giuste - Media e persone con disabilità, 2021. Quale impostazione? Nel corso degli ultimi decenni l’approccio alle questioni sociali che si usa ricomprendere sotto il termine disabilità, è stato oggetto di una lenta e graduale evoluzione di cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (1), ratificata dal Parlamento Italiano nel 2009, (2) è una significativa espressione. Alle vecchie e brutali pratiche di segregazione e isolamento è succeduto progressivamente un approccio che vede nell’assistenzialismo il punto nevralgico. Ora ci si trova in una fase in cui forse si è intrapreso, a più livelli, un percorso di superamento persino di quest’ultima impostazione che risulta molto radicata anche perché si traspone in corrispondenti e consolidate prassi. Una prassi che considera, in via esclusiva, la persona con disabilità destinataria di misure e sostegni medico-assistenziali-reddituali (peraltro necessari e molto spesso insufficienti) che ha radici in una cultura della normalità e dell’abilismo tutt’oggi prevalente. In questa visione riaffiorano ancora meccanismi mentali, atteggiamenti, comportamenti, azioni di inferiorizzazione e marginalizzazione (3) delle persone con disabilità, considerandole una categoria speciale o a parte dell’universo umano. Si tratterebbe, allora, di costruire e diffondere una nuova consapevolezza che non pensi più la disabilità in termini di estraneità rispetto a una condizione-modello della persona che si valuta funzionalmente regolare, equilibrata, normale. Dunque, la consapevolezza che la disabilità è insita e propria della condizione umana, costituisce il presupposto affinché l’inclusione sociale delle persone sia effettiva, perseguita, tangibile e sia vera solo se riguarda tutte le dimensioni del vivere, non ultima quella fondamentale delle relazioni. In questo modo si cercherebbe, finalmente, di superare quel frequente abuso linguistico (“inclusione”, “fragilità”, “diversità”, “empatia”, “resilienza”…) a cui, in particolare nei discorsi pubblici e con altrettanta frequenza, non corrisponde la concretezza delle azioni e che, perciò, rischia di rimanere puro esercizio retorico. (4)
Contesti complessi
È in questo solco che nel recente lavoro di tesi di laurea in Giurisprudenza (Università dell’Insubria) ho cercato di collocare le riflessioni concernenti l’ampia e articolata problematica dell’abbattimento delle barriere architettoniche - specificamente con riferimento ai luoghi pubblici di cultura. La vastità e complessità del tema con cui ho dovuto confrontarmi è principalmente riferibile a due sue dimensioni intrinseche: da una parte, l’eterogeneità delle disabilità per tipologia (fisiche, sensoriali, mentali, altamente diversificate al loro interno) e
gravità; dall’altra, l’altrettanta variabilità degli ambienti fisici con le loro specifiche caratteristiche strutturali. In particolare, ambienti costruiti nei quali le barriere erano proprio componente ed elemento progettuale necessario o voluto. In questi casi, riferendosi prevalentemente a edifici antichi, si tratta del mero “superamento delle barriere architettoniche che il costruito storico presenta, [e che sono] ad esso strettamente connaturate.” (5) Al di fuori di queste situazioni, tuttavia, dovrebbe essere del tutto evidente che termini quali eliminazione delle barriere, accessibilità, visitabilità, agibilità, fruibilità, assumono un significato molto più ampio dovendo rispondere a quelle complessità. In questo senso, ovunque sia possibile, non è sufficiente agire su singole parti di un luogo ma occorre avere una visione d’insieme che colga tutte le possibili interazioni con l’ambiente e le sue componenti (non limitandosi all’eliminazione - peraltro essenziale - di una scala, un cordolo, un rialzo…). Questa filosofia è alla base di quella impostazione progettuale denominata Universal Design (o, in alternativa, con analoghi inglesismi Design for All, Inclusive Design, Barrier-free Design) (6) termine introdotto negli anni ‘80 per indicare “la progettazione di prodotti e ambienti utilizzabili da tutti, nella maggiore estensione possibile, senza necessità di adattamenti o ausili speciali”. In altri termini si tratta di realizzare “ambienti utilizzabili da parte di chiunque, nella maggiore estensione del termine, indipendentemente dall’età, dalle abilità o dalla situazione [...] persone giovani e anziane, con abilità eccellenti o ridotte, in condizioni ideali o in circostanze difficili.” (7) Ovviamente, ove si debba intervenire su ambienti già costruiti - non potendo ripensarli ex novo - si tratterà di operare adattamenti, aggiustamenti, modifiche nella medesima logica o, qualora non vi sia possibilità, di ottemperare al mero superamento della barriera di cui si è detto più sopra.
Due interessi
Quest’ultimo necessario tipo di interventi sul patrimonio di edilizia antica, se invasivo, presenta un grado di complicazione tanto maggiore quanto più è alto il valore storico artistico da preservare, condizione assai ricorrente di buona parte degli edifici pubblici destinati ad attività di interesse culturale (musei, sedi storiche, sedi istituzionali, siti archeologici, teatri…). Emerge qui il problema di conciliare conservazione e tutela di questo patrimonio e l’interesse all’indistinta (di tutti) e inclusiva accoglienza ambientale. È questo un alto grado di problematicità che impone un corrispondente livello di competenza ed esperienza che riesca a bilanciare efficacemente la massima accessibilità/fruibilità con la minima o nulla incidenza e invasività al complessivo valore storico-artistico delle strutture. D’altra parte, frequentemente, certe caratteristiche costruttive e identitarie di un sito storico o di sue parti (ad esempio certe cupole, torri, campanili…) rendono gli interventi ardui se non impossibili, con il rischio di arrecare un grave pregiudizio a questa identità. È opportuno qui richiamare la specifica articolata normativa in merito, che nel corso degli ultimi decenni è intervenuta cercando di fornire strumenti che consentano di mantenere gli interventi in un quadro omogeneo e univoco. Alla fine degli anni ‘80 risale una prima significativa iniziativa legislativa, la legge n. 13/1989 (8) che pur disciplinando, come si deduce dalla sua titolazione, gli interventi su abitazioni private, delinea una procedura autorizzativa (condizionata dalla verifica della sussistenza di quel pregiudizio) per le opere di adattamento di edifici sottoposti a vincolo artistico-architettonico e quindi considerandole nel novero delle possibili riqualificazioni. Solo nel 2008 sono state emanate le già citate Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale (9) che, richiamando come fonti ispiratrici i principi di uguaglianza e pari opportunità contenuti nella Costituzione Italiana e nella Convenzione ONU, regolamentano in modo organico e rigoroso le tipologie d’intervento finalizzate a rendere accessibili i luoghi di cultura. Tuttavia, l’impostazione di questo documento intende “superare la logica da manuale di progettazione, evitando di suggerire soluzioni preconfezionate.” e volendo essere “... strumento per stimolare la riflessione su un tema la cui complessità viene spesso sottovalutata [...] al fine di superare la prassi corrente della mera
(5) Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Decreto 28 Marzo 2008, Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale (GU Serie Generale n.114 del 16-05-2008 - Suppl. Ordinario n. 127) Allegato A Premessa.
(6) Di Ruocco G. (a cura di), Il piano di eliminazione delle barriere architettoniche, 2018, Franco Angeli Editore, Milano. p.14.
(7) Ibidem.
(8) Legge 9 gennaio 1989, n. 13 Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati (GU n.21 del 26-01-1989).
(9) Si veda nota 5.