YtseMagazine n. 4 - Dicembre 2020

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Numero 4 - Dicembre 2020


YtseMagazine n. 4 Dicembre 2020 YtseMagazine è una pubblicazione YtseItalia 2.0 Fan club ufficiale italiano dei Dream Theater. YtseItalia 2.0 opera senza alcuno scopo di lucro e non rappresenta una testata giornalistica, in quanto pubblica contenuti senza alcuna periodicità regolare. YtseMagazine non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della Legge n. 62/2001. YtseItalia 2.0 Staff Johnny Bros David Cangi Andrea Mancini Redazione fanzine: Andrea Mancini Hanno collaborato: Ignazio “Ignodreamers” Verzicco Marco Petrini & Nino Ninetto Traduzioni a cura di: Johnny Bros Gabriele Pirovano Foto e immagini: Tobias Andersson Sebastiano Bongi Tomà Johnny Bros David Cangi Francesca di Ianni Anne-Marie Forker (forkerfotos.com) Nidhal Marzouk (nidhal-marzouk.com) Mario Masala John Petrucci Hugh Syme Greg Vorobiov archivio Italian Dreamers Alcune foto sono state reperite in internet senza possibilità di accredito e quindi valutate di pubblico dominio. Qualora i legittimi autori lo richiedessero provvederemo alla loro rimozione. Contatti: ytseitalia@gmail.com Fb messenger: m.me/YtseItalia2.0

l’EDITORIALE Ciao Dreamers. Con molta fatica, siamo arrivati alla fine di questo 2020. Non è semplice introdurre questo quarto numero di YtseMagazine senza rischiare di dire banalità o cadere nella retorica, ma purtroppo è impossibile - e forse non sarebbe nemmeno giusto - non rivolgere il pensiero a quello che è accaduto in questi ultimi 12 mesi. Nel giro di poco tempo abbiamo visto stravolte le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre certezze... Oggi, quando riguardiamo i biglietti dei concerti o quando mettiamo sul nostro lettore un qualsiasi DVD live, quasi fatichiamo a credere che ci fu un momento in cui tutto ciò era normale e, anzi, lo davamo per scontato. Ripensando all’anno appena passato, non si può fare a meno di suddividere ogni singolo momento in “come avrebbe dovuto essere” e “come è stato”. Per i Dream Theater, il 2020 sarebbe dovuto essere un anno in gran parte dedicato alla celebrazione del 20esimo anniversario di Scenes From A Memory, con la prosecuzione del lungo tour iniziato nel 2019. Purtroppo però le cose non sono andate come previsto: la band ha fatto appena in tempo a portare a termine la leg europea, riuscendo così a registrare i due concerti londinesi, immortalati nel live album e video Distant Memories, che ormai da diverse settimane sta girando (o quantomeno, dovrebbe) nei vostri lettori. Sono, invece, completamente saltate le leg asiatiche e australiane, portando così ad una prematura conclusione il tour. Al momento non è ancora chiaro se i concerti che dovevano svolgersi in questi due continenti verranno recuperati in un futuro prossimo o se invece i dreamer asiatici e australiani hanno definitivamente perso l’occasione di rivedere dal vivo l’esecuzione integrale di uno dei dischi più amati dai fan. Da questo punto di vista, noi italiani possiamo reputarci fortunati: per il rotto della cuffia, siamo riusciti a goderci i due show dell’11 e 12 febbraio, siamo riusciti a incontrare molti di voi prima del concerto milanese e, per quanto riguarda noi dello staff, abbiamo potuto incontrare nuovamente la band per fare due chiacchiere con loro al termine dello show. Nessuno di noi avrebbe immaginato che, da lì a pochi giorni, tutto sarebbe cambiato e che quei momenti, anche se relativamente vicini nel tempo, sembrano diventati incredibilmente “lontani”. Ma se gli eventi hanno costretto la band ad un’interruzione della loro attività, questo non ha fermato i singoli musicisti che, seppur con tutte le difficoltà del caso, hanno saputo trasformare questo momento avverso in un’opportunità. Parliamo ovviamente di John Petrucci che, approfittando di


questa pausa forzata, ha finalmente trovato il tempo per dare alla luce Terminal Velocity, il suo secondo album da solista, che arriva dopo ben 15 anni di attesa dal precedente Suspended Animation. La notizia era sufficientemente gustosa di suo, ma la vera e propria bomba esplosa in mano ai fan è stato l’annuncio che in quel disco, dietro le pelli della batteria, ci sarebbe stato nientemeno che Mike Portnoy. Che i due musicisti fossero da tempo tornati in buoni rapporti è ormai risaputo, ma questa è la prima volta, dopo 10 anni, che tornano a lavorare assieme. Com’era prevedibile, i gossip e i rumour dietro questa mini-reunion si sono sprecati, ma John Petrucci ha saputo gestire ottimamente la situazione, mettendo a freno tutte le speculazioni e facendo sempre passare in primo piano la musica. Tutto il resto sono solo chiacchiere e pettegolezzi, che a noi, sinceramente non interessano. Nel frattempo, la band si è già messa al lavoro sul prossimo disco, che dovrebbe uscire nel 2021. Non si sa ancora nulla, probabilmente gli stessi musicisti stanno ancora decidendo quale direzione intraprendere, ma è evidente che non hanno alcuna intenzione di trascorrere questi mesi rimanendo con le mani in mano. Volendo dare uno sguardo anche nel mondo degli ex Dream Theater, è doveroso citare il buon Mike Portnoy che, dopo aver purtroppo dovuto annullare il tour dei Sons Of Apollo, è tornato al lavoro con i Transatlantic, anch’essi in procinto di pubblicare un nuovo mastodontico lavoro nel prossimo anno. E pure Derek Sherinian, dopo nove anni, ha deciso di tornare con un suo nuovo album solista, infarcito di collaborazioni illustri. Ma non ci dilunghiamo oltre, perché troverete informazioni su entrambi i dischi nel resto della fanzine. Tuttavia, la notizia che più ha elettrizzato i fan dei Dream Theater, è una sola: proprio mentre sto scrivendo queste righe, il mondo del progressive metal è stato sconquassato dall’annuncio del ritorno, dopo ben 22 anni dall’ultimo lavoro, dei Liquid Tension Experiment. Sono bastate poche foto e un trailer di pochi secondi (ma con un milione di note... nota più, nota meno) per far salire l’hype di tutti noi a livelli inimmaginabili. Ma ci toccherà aspettare la primavera prima di poter mettere le mani sull’album. Se è vero che nel 2020 niente sembra essere andato per il verso giusto, tuttavia aver sballato i programmi e i piani di molti musicisti può essere servito a “rimescolare le carte”, a rivedere le loro priorità e mettere mano a progetti accantonati da troppo tempo. Questo ci ha portato (o ci porterà) ad avere tra le mani dei lavori che forse, in un contesto di totale normalità, non sarebbero mai usciti o che avremmo dovuto aspettare per chissà quanti anni. Perché, come ha raccontato lo stesso John Petrucci, certi avvenimenti possono portare chiunque di noi a vedere la vita in un modo diverso, a non dare più niente per scontato... e magari rimettere in piedi rapporti professionali che, per un motivo o per l’altro, continuavano a rimanere separati da troppo tempo. Vorrei concludere questa lunga introduzione con quello che è stato per anni il motto di Italian Dreamers (e che il vecchio staff ci ha gentilmente permesso di utilizzare): “Proud to spread the disease, proud to be your fans” Oggi una frase del genere potrebbe quasi apparire fuori luogo o addirittura di cattivo gusto, ovviamente se ci si fermasse al significato puramente letterale. Ma ovviamente non è il senso letterale quello che ci interessa :) Come avrete notato, ho cercato di scrivere questo editoriale senza mai citare quella brutta parola che, ormai da un anno, condiziona le nostre vite. Quindi permettetemi di utilizzarla ora, ma con il significato migliore che possiamo dargli: perché che si parli della passione per i Dream Theater, per il progressive metal o per la musica in generale, qualunque essa sia, questa è l’unica “malattia” che ci fa sempre stare bene e di cui, soprattutto in questi momenti, non possiamo fare a meno. We’ll meet again, my friends Someday soon Johnny 3


I WALK BESIDE YOU Notizie dal mondo Dream Theater e non solo

The Holiday Spirit Carries On – I Dream Theater hanno

deciso di registrare uno speciale medley di brani tradizionali natalizi che potrà essere acquistato tramite la piattaforma Bandcamp (streaming illimitato, mp3, flac), al prezzo minimo di 2,99$ per supportare i membri della loro tour crew, i cosidetti “lavoratori dello spettacolo”. Con i tour cancellati in tutto il mondo a causa della pandemia, gli incredibili membri della crew dei Dream Theater non hanno avuto la possibilità di lavorare normalmente per tutto il 2020. Aiutateci a supportarli acquistando questa esclusiva canzone natalizia. Tutti i proventi andranno a queste persone che lavorano instancabilmente per rendere possibili i concerti dei Dream Theater. John Petrucci: “Da quando a inizio anno il COVID-19 ha colpito, tutti i concerti e i tour si sono fermati, lasciando decine di migliaia di lavoratori e tecnici senza lavoro per gran parte del 2020”. Jordan Rudess: “La nostra crew per noi è come una famiglia allargata e per noi fanno un lavoro eccezionale, permettendoci di tenere grandi show in tutto il mondo. Abbiamo deciso quindi di supportarli creando questo medley natalizio e regalando loro un bel periodo festivo”. James Labrie: “Loro sono con noi ogni volta che andiamo in tour e rendono magica ogni serata. Sono tecnici che lavorano molto duramente e siamo loro vicini”. Mike Mangini: “Acquistando questo medley di Natale, supportate direttamente persone che non vedete quando venite ai nostri concerti ma sono loro che permettono ai concerti di esistere” John Myung: “È il minimo che possiamo fare per loro. Sono dei ragazzi fantastici e fanno moltissimo per noi”.

#DT15 - Verso la fine dello scorso ottobre, Petrucci, Mangini, Myung e Rudess si sono ritrovati a New York

presso il DTHQ; il nuovo studio privato della band, già inaugurato con le registrazioni di Terminal Velocity ed il mixaggio di Distant Memories; per iniziare a lavorare al successore di Distance Over Time. Labrie invece ha preferito rimanere in isolamento nella sua casa di Toronto e seguire i lavori a distanza. “Abbiamo deciso di concentrarci sulla musica e siamo entrati in studio per lavorare al nuovo album. È tutto quello che possiamo fare ora, non potendo suonare dal vivo. Possiamo però comporre nuova musica. Siamo pronti per un nuovo grande inizio. Penso che uscirà nel corso del prossimo anno“. Pochissimi i dettagli trapelati dallo studio: al momento sappiamo che le varie fasi del lavoro saranno riprese da un cameraman, quindi è logico supporre che una eventuale edizione speciale del nuovo album potrebbe contenere un videodocumentario. Un piccolo indizio compare in una foto (a destra), postata lo scorso 8 dicembre sui profili social di John Petrucci e accompagnata da una laconica didascalia: “Another day at the office”. Ad un occhio attento non sarà sicuramente sfuggito il manico e la paletta della chitarra che appare sulla sinistra, proprio davanti alla schiena di John. Dopo molti rinvii pare proprio che questa volta JP possa sperimentare l’uso di una chitarra ad 8 corde. 4


James Labrie è stato annunciato come ospite speciale sul nuovo

album degli Evergrey Escape Of The Phoenix, in uscita il prossimo 26 febbraio 2021 via AFM Records. James duetterà con il cantante della band svedese, Tom S. Englund, nel brano The Beholder. Englund e soci sono da sempre fan dei Dream Theater e di James ed hanno dichiarato che questi hanno avuto un ruolo fondamentale nella loro crescita ed evoluzione come musicisti. Englund ha pensato che la canzone avrebbe beneficiato della presenza di James e della sua voce, la band è stata subito d’accordo ed è quindi bastata una sola email per convincerlo a partecipare: “Ho scritto a James chiedendogli di poter cantare insieme su questo pezzo e che sarebbe stato fantastico. The Beholder gli è piaciuto molto e ha accettato!” Lo scorso 17 novembre, James Labrie è stato ospite per una videochat sul canale YouTube The Everyman Podcast durante la quale ha dato alcuni aggiornamenti sul suo prossimo disco solista: sarà un album di rock prevalentemente acustico, scritto insieme a Paul Logue (bassista scozzese ex degli Eden’s Curse, ndr) e rappresenta un capitolo a parte rispetto agli altri miei album solisti. Ho conosciuto Paul una decina di anni fa quando ho collaborato con gli Eden’s Curse nel brano No Holy Man, dopodiché ci siamo un po’ persi di vista. L’ultimo show del nostro tour è stato a Glasgow, Paul era presente e mi aveva contattato su un vecchio indirizzo email per incontrarmi nel backstage. Io purtroppo, non avendo avuto modo di leggere questo messaggio, quella sera non l’ho visto. Il giorno dopo però, al momento di imbarcarci per tornare a casa, sento in aeroporto una voce conosciuta chiamare “James, James!”. Era proprio Paul, che era venuto a cercarmi in aeroporto, e dopo questo incontro ci siamo ripromessi di realizzare qualcosa insieme in futuro. La pandemia ha permesso che questa collaborazione prendesse vita, e da lì a poco ci siamo trovati a scrivere musica. Ho detto a Paul che avrei voluto basare la composizione del nuovo materiale sulla chitarra acustica. Le idee che ci scambiamo hanno quell’elemento come base. Stiamo aggiungendo anche delle tastiere. Paul suona le parti di basso e chitarra mentre mio figlio Chance le parti di batteria. Ci serviva però qualcosa in più e portare tutto ad un livello superiore, quindi ho voluto chiamare un altro dei miei chitarristi preferiti: Marco Sfogli. Ok, il mio preferito resta John Petrucci ma un altro è Marco e posso assicurarvi che i soli che fa in acustico sono fenomenali. Ha un talento incredibile.

Derek Sherinian è uno dei tanti ospiti che hanno partecipato alle registrazioni di Immortal (uscita prevista il 29 gennaio 2021 tramite Nuclear Blast) l’album con cui il leggendario chitarrista ex Scorpions ed UFO, Michael Schenker ha deciso di riesumare il monicker MSG (Michael Schenker Group) per festeggiare i cinquant’anni di attività. Derek ha suonato nel brano d’apertura dell’album, Drilled To Kill, scelto anche come primo singolo e di cui è stato pubblicato un lyric video. Il brano vede anche il cantante dei Primal Fear (ex Gamma Ray) Ralf Scheepers alla voce. Schenker commenta così: “Derek ed io che ci scambiamo gli assoli, sembra inaspettato e oltre le mie aspettative. Assolutamente fantastico!”

Rock in Rio Festival - Nonostante ancora non si veda la fine della

pandemia e non si sappia con certezza quando potranno riprendere le attività live, gli organizzatori dello storico festival brasiliano hanno già annunciato che l’edizione 2021 si terrà regolarmente tra settembre ed ottobre prossimi. Per la prima giornata di festival programmata per il 24 settembre; sul palco “Mundo” sono stati annunciati anche i Dream Theater che suoneranno in apertura agli Iron Maiden, come già successo varie volte nel corso della loro carriera. 5


I Transatlantic, il supergruppo formato da Neal Morse, Mike Portnoy, Roine Stolt e Pete Trewavas, a distanza di 6 anni da Kaleidoscope hanno annunciato la pubblicazione del loro quinto album in studio, intitolato The Absolute Universe. L’uscita è prevista per il 5 febbraio 2021 su Inside Out Music. La band ha fatto qualcosa di unico creando due versioni diverse del disco: The Absolute Universe: The Breath Of Life (Abridged Version) della durata di circa un’ora; The Absolute Universe: Forevermore (Extended Version) da 90 minuti con registrazioni differenti rispetto alla precedente versione. Infine entrambe le versioni sono contenute nel boxset The Absolute Universe: The Ultimate Edition. Il preorder è già disponibile dal 20 novembre per tutti i formati. Gli artwork, differenti per ogni versione, sono stati realizzati dall’artista tedesco Thomas Ewerhard, ma sempre raffiguranti il dirigibile creato da Pavel Zhovba. Lo scorso 20 novembre, accompagnato da un video, è stato pubblicato il primo singolo Overture/ Reaching for the Sky, tratto da The Absolute Universe: The Breath Of Life (Abridged Version). L’11 dicembre invece, è uscito un secondo singolo, The World We Used To Know, tratto da The Absolute Universe: Forevermore (Extended Version). Mike Portnoy: Abbiamo due versioni di questo album, c’è una versione da 90 minuti su 2CD e una su un singolo CD da 60 minuti. In ogni caso il CD singolo NON È una versione editata del doppio CD. Entrambi contengono versioni differenti e in alcuni casi riregistrate. Abbiamo scritto nuovi testi e abbiamo cantanti diversi tra le due versioni. Alcuni titoli sono stati cambiati mentre altri mantenuti ed anche a livello di composizione ciò che ascolterete è stato alterato. È da apprezzare che ciò che abbiamo creato è qualcosa di unico. Abbiamo rifatto le canzoni per rendere le due versioni differenti. Pete Trewavas: Abbiamo scritto nuova musica per la versione singolo CD ed inoltre, ci sono anche differenze negli strumenti utilizzati su alcune tracce nei due dischi. Il lavoro è iniziato nel settembre 2019 quando la band si è ritrovata in Svezia per scrivere e arrangiare il nuovo materiale. Come spiega Portnoy: per un periodo di 10-14 giorni, abbiamo pianificato le canzoni. Poi siamo tornati tutti ai nostri studi e abbiamo registrato. Questo è il modo in cui lo facciamo, da sempre. Ad un certo punto, però, è stato suggerito che invece di fare quello che sarebbe diventato un doppio album, avremmo dovuto accontentarci di fare un singolo CD. Stolt ricorda: però è successo che il tutto continuava ad espandersi, quindi abbiamo deciso che avesse senso fare un doppio album. Sono stati Pete e Neal a dire che secondo loro sarebbe stato troppo lungo e avremmo dovuto ridurlo ad uno. Ma stavamo già registrando, non sembrava fattibile ridurlo. C’erano così tanti pezzi che ognuno di noi amava in quello che stavamo progettando e non volevamo perderli. Quindi siamo finiti a discutere sul miglior modo per andare avanti. Questo album, per i Transatlantic, segna anche il ritorno al concept album. Mike: Beh, l’idea che i Transatlantic decidano di fare un concept questa volta non sconvolgerà nessuno, giusto? Stolt: Abbiamo essenzialmente un’unica grande composizione divisa in capitoli. La trama parla dei conflitti che tutti si trovano ad affrontare nella società di oggi. Non siamo partiti con l’idea di un concept, ma il modo in cui le cose funzionano con noi, è che abbiamo un sacco di idee e queste si sviluppano spontaneamente quando ci incontriamo. Tutto accade al momento. 6


Quindi, come si può confrontare questo nuovo, rivoluzionario album con i precedenti quattro album dei Transatlantic? Morse: io cerco sempre di non confrontare gli album, per quanto possibile. È molto difficile quando si cerca di essere creativi, perché il tuo istinto naturale è quello di confrontare costantemente. Ma per creare bisogna allontanarsi. Detto questo, direi che questo album potrebbe avere molto più in comune con The Whirlwind rispetto agli altri. Per Trewavas: The Absolute Universe è un progetto straordinario: penso che si possa proprio collocarlo lassù con i migliori album che abbiamo fatto. Come hanno detto gli altri, è un ottimo paragone quello con The Whirlwind, credo che rappresenti al meglio i Transatlantic. Come in quell’album, ci siamo presi il nostro tempo per scrivere e organizzare tutto, e questo traspare. Sono così eccitato di avere la possibilità di farlo sentire. The Absolute Universe: The Breath Of Life (Abridged Version)

The Absolute Universe: Forevermore (Extended Version)

Tracklisting:

Tracklisting:

1. Overture 2. Reaching For The Sky 3. Higher Than The Morning 4. The Darkness In The Light 5. Take Now My Soul 6. Looking For The Light 7. Love Made A Way (Prelude) 8. Owl Howl 9. Solitude 10. Belong 11. Can You Feel It 12. Looking For The Light (Reprise) 13. The Greatest Story Never Ends 14. Love Made A Way

Disc 1: 1. Overture 2. Heart Like A Whirlwind 3. Higher Than The Morning 4. The Darkness In The Light 5. Swing High, Swing Low 6. Bully 7. Rainbow Sky 8. Looking For The Light 9. The World We Used To Know Disc 2: 1. The Sun Comes Up Today 2. Love Made A Way (Prelude) 3. Owl Howl 4. Solitude 5. Belong 6. Lonesome Rebel 7. Looking For The Light (Reprise) 8. The Greatest Story Never Ends 9. Love Made A Way

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Nighttown I Dream Theater sono una delle tante band che, a causa della pandemia e del conseguente lockdown imposto in quasi tutto il mondo durante la scorsa primavera, non hanno avuto la possibilità di completare il tour in corso. Il “Distance Over Time Tour – Celebrating 20 years of Scenes From a Memory” terminata la leg europea del gennaiofebbraio 2020 si sarebbe dovuto trasferire nel continente asiatico ed in Australia nei mesi di aprile e maggio, per poi concludersi con le date giapponesi. Una previsione di ritorno alla normalità in tempi relativamente brevi, rivelatasi purtroppo, troppo ottimistica, aveva portato i promoter asiatici a riprogrammare alcune delle date giapponesi ed australiane tra la fine di ottobre ed inizio novembre, ma come ben sappiamo le cose non sono andate nella maniera sperata. Per coloro i quali non siano riusciti ad assistere ad uno degli ultimi show, ma anche per chi ha voglia di rivivere le emozioni provate assistendo ai concerti, è da poco uscito il live album registrato durante i due concerti del 21 e 22 febbraio scorsi all’Eventim Apollo Theatre di Londra, che altro non è che lo storico Hammersmith Odeon dopo l’ennesimo cambio di nome. Questa non suona come una novità, dato che la band aveva già reso nota da tempo, ben prima che gli eventi ci travolgessero, la volontà di registrare e filmare un nuovo live album. L’album ed il video però non contengono uno show pensato e realizzato ad-hoc per la pubblicazione, quindi scordatevi sorprese e chicche particolari. Si tratta infatti, della riproposizione integrale del concerto con la setlist standard ed i visuals così come sono stati proposti in tutte le date del tour. Il risultato? Più di 2 ore e mezza di show. Data la risaputa lunghezza delle composizioni della band, John Petrucci, scherzando, ci dice: “c’era spazio solamente per altri 2 brani!”. Tralasciando per un attimo il lato umoristico, Petrucci ci ha raccontato che, per i Dream Theater quella del live è un’esperienza che va condivisa con i fans ed è parte integrante del lato artistico della band, al di là della peculiarità degli show di questo tour. Nella prima parte dello show ritroviamo i brani tratti da Distance Over Time, ad eccezione di Paralyzed inserita come bonus track e che ha rappresentato insieme a Fall Into The Light l’unico brano variabile nelle setlist dei vari show. A completare il primo set due brani che nei tour degli ultimi anni non avevano mai trovato spazio in setlist. Il primo è A Nightmare To Remember, che mancava dall’agosto 2010, ovvero dall’ultima data del Black Clouds And Silver Touring nonché l’ultima apparizione live di Mike Portnoy con i DT; il secondo è In The Presence Of Enemies pt.1 che invece mancava dal luglio 2009. A seguire, nel secondo set troviamo l’intera esecuzione della pietra miliare Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory che era stato eseguito l’ultima volta per intero nel 2005, in due serate speciali in Argentina e Brasile. Se da un lato la confezione del prodotto, specialmente la cosidetta “artbook”, si presenta molto bella e curata, anche graficamente con le illustrazioni di Hugh Syme che, per una volta, ha fatto un ottimo lavoro; dall’altro lato, permetteteci però un piccolo appunto nei confronti della scelta di includere tra i contenuti bonus sia nel dvd che nel BluRay, soltanto il video di Paralyzed tratto dalla seconda serata di Londra ed un trascurabile “behind the scenes” composto unicamente da un collage di spezzoni video registrati in varie locations durante il tour (tra le quali compare brevemente anche il palasport di Roma), accompagnato dalla colonna sonora di Out Of Reach in versione (ovviamente...) album. Inoltre, questo 8


Nostalgia pt. 2 lungo tour, nonostante lo stop anticipato, ha toccato due volte il Nord America e due volte l’Europa. Oltre a quelli contenuti nel live video, sono stati suonati anche altri brani, come ad esempio Pull Me Under (che inizialmente era l’encore della prima leg americana, in seguito sostituita da At Wit’s End), oppure As I Am, Lie e Peruvian Skies i quali hanno fatto la loro apparizione nelle setlist della leg europea del 2019 quando la band ha partecipato a vari festival estivi. Uno o più di questi brani avrebbero potuto ben figurare (anche se già presenti in altri video) tra i bonus, se la band avesse voluto registrarli e filmarli. Non sono molte le interviste che la band ha concesso per promuovere questo live album e per parlarne, ma noi siamo comunque riusciti a scovare, qua e là, alcune dichiarazioni rilasciate da Petrucci, LaBrie e Myung e le abbiamo quindi riunite qui, come fossero parte di un’unica intervista. Cosa significa aver messo in piedi uno show suddiviso in due set, uno che contiene brani recenti e un altro che contiene brani di un grande concept album rilasciato 20 anni fa? Petrucci: è stato eccezionale, i fan hanno amato questa organizzazione dello show. Distance Over Time, è stato accolto molto positivamente e siamo incredibilmente grati ai nostri fan, i quali non vedevano l’ora di ascoltare live i brani dell’album. Poi, l’esecuzione integrale di Scenes From A Memory, in occasione dei 20 anni dalla sua uscita, non ha fatto altro che rendere l’intera esperienza ancora più suggestiva e unica essendo uno degli album più apprezzati dai fan. Abbiamo messo in piedi degli show con un continuo racconto visivo alle nostre spalle che non ha nulla a che vedere con quanto proposto durante il tour originale dell’album. Oltre che aver fatto divertire i fan, anche noi ci siamo divertiti parecchio. È stato un tour di successo, fino a quando non siamo stati costretti ad interrompere il tutto. Quanto fatto fino a quel momento è stato davvero incredibile per tutti noi, in tutti i sensi e i fan sono rimasti entusiasti. Distant Memories: Live in London comprende alcune delle nuove canzoni dall’album Distance Over Time. Com’è stato eseguire queste canzoni dal vivo e come ha reagito il pubblico a tutto questo? Myung: È stato emozionante, il pubblico era molto interessato al materiale, il che è stato semplicemente fantastico da vedere. I fan avevano ascoltato il disco già da un po’ di tempo, quindi è stato fantastico ottenere quel riconoscimento. Ma hanno sostanzialmente approvato il modo in cui ci siamo evoluti. È stata una bella sensazione ricevere quel tipo di accoglienza da loro. È stato più complicato eseguire per la prima volta dei pezzi nuovi oppure recuperare brani non suonati da molto tempo, appartenenti ad un periodo diverso della vostra carriera? Petrucci: Credo che i brani più vecchi ci abbiano maggiormente messo alla prova. Un pezzo come The Spirit Carries On è stato proposto di frequente negli ultimi tour, mentre ci sono altri brani che invece non suonavamo da diversi anni. In preparazione del tour è stato sicuramente più difficile reimparare e familiarizzare con brani complessi non suonati da tempo. Al momento dell’inizio del tour le due cose erano più o meno sullo stesso piano, però pensando alla preparazione ti dico che è stato molto più complicato mettere insieme un intero album come Scenes From A Memory. È impossibile negarlo! 9


C’era qualche aspetto di questo spettacolo dal vivo, o di una canzone, particolarmente impegnativo? Myung: Beh, il materiale è molto complesso ed è tanto, quindi quella era la sfida; quella ed essere sotto la pressione della registrazione. Ma la cosa che ha legato tutto, e che ha reso quella performance così grande, è stato il fatto che era praticamente alla fine di quel ciclo musicale e il pubblico era “sintonizzato” su quel materiale. Dal punto di vista della produzione, per noi era ... Sai, tutti erano davvero concentrati su quello che stava succedendo, quindi, secondo noi, ha catturato davvero bene la performance. E di conseguenza, abbiamo vissuto un momento davvero fantastico, a Londra, quella notte. LaBrie: Credo che riproporre quest’album sia stato fantastico per tutti i membri della band, e come succede spesso in queste occasioni ciò che mi colpisce di più è il fattore anagrafico. Guardando giù dal palco si notavano persone di 50 anni o più e molte altre che invece potrebbero essere tranquillamente i loro figli, che al momento dell’uscita dell’album probabilmente non erano nemmeno nati. Ciò che ci fa sentire orgogliosi è che quest’album abbia influenzato generazioni diverse di musicisti e non, proprio come nei Rush o altre band di successo che hanno alle spalle 25/30 anni di carriera. Credo che riproporre Scenes From A Memory in questo momento della nostra carriera ci abbia permesso di presentarlo come merita, intendo dire che il Live Scenes From New York è certamente uno show memorabile, realizzato però con un budget molto diverso. Questa volta abbiamo deciso di presentare l’album accompagnato da un continuo racconto visivo alle nostre spalle, dall’inizio alla fine dell’album, che all’epoca ci era impossibile. Petrucci: Le due notti in cui abbiamo registrato e filmato a Londra, sono state sicuramente tra i migliori show del tour, rivisitando e presentando uno dei dischi più amati del nostro catalogo, non possiamo essere più eccitati nel condividere questo lavoro con i fan. Se hai avuto la possibilità di vedere questo tour dal vivo e vuoi rivivere quello che, speriamo, possa essere stata una fantastica esperienza di concerto, oppure se ti stai godendo la performance in video per la prima volta, Distant Memories cattura in modo molto accurato l’energia e l’eccitazione che abbiamo provato all’Apollo lo scorso febbraio. L’incredibile crew del tour e della produzione, oltre alla fantastica troupe che ha filmato tutto; ognuno di loro ha dato il massimo ed ha fatto in modo di farci apparire sotto la luce migliore. Siamo più che orgogliosi di offrire questa pubblicazione, con suoni, immagini e visual grazie al nostro talentuoso tecnico del suono, al regista, al visual artist e all’art director, per i quali non ci sono sufficienti parole per esprimere apprezzamento. Che cosa significa avere fan di generazioni diverse? LaBrie: per me avere una fanbase multi generazionale significa, e lo dico senza arroganza, che ciò che è stato fatto come band, è stato fatto nel modo giusto. Oltre all’esperienza di Scenes From A Memory, l’anno scorso abbiamo pubblicato il nostro 14esimo album in studio, Distance Over Time, e la risposta è stata fenomenale, è arrivato in cima alle classifiche e il pubblico impazziva quando suonavamo live i pezzi dell’album. Ci sono diverse band che hanno alle spalle più di 30 anni di carriera, proprio come noi, che nei live ripropongono unicamente i pezzi di maggior successo. Per noi non è così, valorizziamo 10


pezzi di qualsiasi album, che risalgano all’anno scorso oppure a più di 25 anni fa, e la risposta da parte del pubblico è sempre fantastica. È esattamente ciò che abbiamo fatto in Distant Memories, una parte dello show è dedicata a pezzi vari della discografia e un’altra parte è dedicata all’intero album. Sentire il pubblico cantare a squarciagola tutte le sere è stato fantastico, e ci sono due brani in particolare che sono stati particolarmente coinvolgenti e hanno stretto un legame molto forte tra noi e il pubblico: Through Her Eyes e The Spirit Carries On. Non nascondo che anche per me l’emozione è stata fortissima, e quando ogni sera vedevo gente piangere durante questi pezzi pensavo tra me e me “non piangete, prima che scoppi a piangere insieme a voi!”. Ci sono molte band che quando realizzano dei live album ri-registrano in studio alcune parti venute male o fanno delle sovraincisioni, ma non è assolutamente il nostro caso. Tutto ciò che sentirete nel live album è esattamente ciò che proviene dalle due date di Londra. Spesso il ruolo dei cantanti è sotto la lente d’ingrandimento e le critiche non mancano, credo però che chiunque faccia critiche del genere non abbia neanche un minimo di esperienza alle spalle e non sappia minimamente cosa significhi cantare 3 ore a sera per 3 sere di fila, poi riposarsi un giorno e fare altre 3 date di fila, il tutto per un anno e mezzo. Oltre all’eseguire integralmente Scenes From A Memory come in questo caso, nel tour precedente avete invece eseguito Images and Words in occasione del 25esimo anniversario dalla sua pubblicazione. Avete in programma di proseguire questo trend e riproporre integralmente altri album? Petrucci: Credo che omaggiare gli album di maggior successo e di maggior significato per i fan sia un forte atto di riconoscenza. È sicuramente un format abbastanza interessante e divertente ma l’idea del dover omaggiare ogni album in occasione di ogni anniversario però, la trovo un po’ troppo invasiva. Guardando alla nostra carriera, i due album di maggior successo sono Images and Words e Scenes From A Memory. Per quanto mi riguarda la scelta deve essere orientata sul “quale album suonare e quando suonarlo”, non voglio che sia il calendario a dirci “quel particolare album compie 25 anni, è ora di suonarlo tutto”. Proseguendo questo trend saremmo quasi costretti a mantenerlo per sempre, e credo che per una band come noi sia troppo limitante.

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IMMAGINI E PAROLE Il 12 febbraio 2020, in occasione del concerto al Mediolanum Forum di Assago (MI) si è svolto il quarto raduno di YtseItalia. Il luogo scelto per l’evento è stato il fast food KFC che si trova a circa 1 chilometro e mezzo dal forum: una location sufficientemente vicina, che avrebbe permesso a tutti di potervici arrivare a piedi, senza dover spostare l’auto dal parcheggio, ma anche sufficientemente lontana dal caos che, già nel primo pomeriggio iniziava a crearsi attorno al Forum. Intorno alle 16:30 si era già radunato un bel numero di persone, che, come al solito, si dividevano equamente tra volti conosciuti e qualche volto nuovo, i quali sono stati accolti da Johnny in rappresentanza dello staff, separatosi per l’occasione; in quanto Andrea e David avevano appuntamento con Jordan Rudess per una chiacchierata. L’intervista che ne è scaturita potete sempre vederla sul nostro canale YouTube, oppure leggere la trascrizione pubblicata su Issuu. Dopo una serie di saluti, chiacchiere, qualche presentazione, e l’ovvia merenda, è arrivato finalmente il momento più atteso, ovvero l’estrazione che ha permesso ad alcuni fan di aggiudicarsi qualche gadget in ricordo della giornata ed a solo due (!!) fortunati, gli ambitissimi pass aftershow che danno la possibilità di incontrare la band. Visto l’alto numero dei presenti e l’impossibilità di distribuire tagliandini a tutti, ci siamo fatti aiutare dalla tecnologia... un’app che potesse simulare una “ruota della fortuna” in cui sono stati inseriti -con molta fatica- i nomi di tutti i partecipanti al sorteggio. Alla fine la ruota ha portato bene a Francesco Speziale e Marco Landolfi che hanno vinto i due pass aftershow, mentre Antonia Eramo e Filippo Marcato hanno dovuto “accontentarsi” rispettivamente del tourbook del World Tourbulence 2002 e di una rara copia della storica fanzine di Theater Of Dreams, il defunto fanclub internazionale. Terminata l’estrazione, alcuni sono rimasti al KFC a fare ancora due chiacchiere, mentre molti hanno iniziato ad incamminarsi verso il forum, al di fuori del quale si erano già formate lunghe code di fan pronti ad entrare per cercare di guadagnarsi i posti migliori. In altre occasioni, a questo punto, avremmo inserito il report del concerto. Ma questa volta faremo un eccezione, perché alla fine il miglior resoconto di quello show lo potete trovare nel live Distant Memories Live in London, che sicuramente molti di voi si saranno fatti regalare (o si sono regalati) per le feste appena concluse. Certo, lo sappiamo che stiamo parlando di serate diverse, location diverse, audience diversa... ma ciò che accadeva sul palco, in questo lungo -e sfortunato- tour, più o meno è sempre stato identico in ogni show. Quindi non avrebbe senso spendere altre parole per descrivere uno show che tutti noi abbiamo, fortunatamente, la possibilità di vedere e rivedere ogni volta che vogliamo. È ovvio, il pubblico londinese immortalato nel live, non potrà mai essere caloroso come quello italiano, ma non serve un nostro resoconto per ribadirlo :) Alla fine del concerto, la band ha dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, la sua nota disponibilità verso i fan, concedendosi in un lungo -e affollato- aftershow, durante il quale non si sono risparmiati nel dispensare foto, autografi, bump fist [il “pugnetto” con cui i musicisti, per motivi spiegati più volte, salutano i fan al posto della stretta di mano], sorrisi e chiacchiere con tutti i presenti. 12


Milano 12/02/2020

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Roma 11/02/2020

Firenze Rocks 13/06/2019

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JOHN PETRUCCI Complice lo stop imposto dal lockdown al tour dei Dream Theater, John Petrucci ha (finalmente…) deciso di portare a termine la produzione del suo attesissimo secondo album da solista. Terminal Velocity è uscito in anteprima sulle piattaforme di streaming e download lo scorso 28 agosto, mentre in cd e vinile dal 30 ottobre, dopo ben quindici anni da Suspended Animation ed inevitabilmente ha monopolizzato per molti mesi l’attenzione dei fan. Durante il forzato ritiro tra le mura domestiche JP ha rilasciato numerose interviste con i più disparati portali, canali YouTube e webzine sparse per il mondo. Non avendo noi avuto modo di fare una nostra personale intervista con lui, abbiamo raccolto, analizzato, scelto e tradotto per voi le dichiarazioni che riteniamo più interessanti in merito a questo nuovo lavoro, a cui ovviamente, abbiamo dedicato la maggiore attenzione compresa anche quella che, inutile girarci troppo intorno, è stata la notizia bomba che ha accompagnato l’uscita di questo album, ovvero la “reunion” artistica con Mike Portnoy. A seguire, nella seconda parte, abbiamo lasciato un po’ di spazio anche ad altri argomenti come la tecnica chitarristica, vita in tour, collaborazioni e qualche piccola anticipazione sui progetti futuri. Dopo tutto quello che è successo quest’anno, il tuo nuovo album solista, Terminal Velocity, è stato una bellissima sorpresa ed è stato una bella ventata di ottimismo. Sono certo che chiunque ami la chitarra rimarrà a bocca aperta. Sei soddisfatto delle reazioni ottenute finora? Grazie davvero, per me è stato molto divertente. Sono molto felice perché la risposta è stata incredibilmente positiva. Le persone sembrano felici ed entusiaste e sembra che la musica piaccia davvero. Sono molto molto grato per tutti i bei commenti, sono stati davvero piacevoli. Così come per Suspended Animation, l’album è stato pubblicato dalla mia etichetta, con la differenza che è distribuito globalmente da “The Orchard” in diversi formati: vinile, CD e streaming. Questa volta vesto anche i panni di distributore. È un ruolo difficile da svolgere? Si, abbastanza, ma lo trovo divertente, è una sfida e mi piace vivere anche questo lato dell’industria musicale. Mi capita di trascorrere parecchie ore al giorno davanti ad un computer fino a quando viene il momento di scrivere la musica. Questa volta, a differenza di Suspended Animation dove ci sono state diverse pause; hai lavorato per alcuni mesi sull’album. Pensi che questo abbia in qualche modo influito nel risultato finale? Penso di si. Preferisco di gran lunga fare qualcosa dall’inizio alla fine, essere in grado di focalizzarmi su di essa, ottenere la coerenza di tutti i suoni e non essere distratto da altre cose, per cui dover fermarmi e ricominciare. Penso che abbia sicuramente aiutato l’album, il sound, la produzione. Penso che il non doverlo interrompere abbia aiutato il flusso creativo. Quindi sì, penso che abbia avuto un effetto positivo. Cosa ti ha fatto pensare che fosse il momento adatto per scrivere un nuovo album? Credo che la risposta immediata possa essere che essendo molto impegnato con i Dream Theater su molti fronti, il tempo che mi rimane è molto poco. Potrebbe suonare come scusa, lo so. Il motivo per cui ho iniziato a comporre brani da solista anni fa, è che mi serviva materiale da suonare nel G3 di Joe Satriani del 2001 e da li è nato il mio primo album solista, Suspended Animation, pubblicato nel 2005. Un paio di pezzi di Terminal Velocity, li ho già suonati durante l’ultimo tour G3 a cui ho partecipato e la ragione per cui mi ci è voluto così tanto per realizzare un secondo album è stata unicamente la mancanza di tempo. L’idea iniziale era quella di realizzarlo comunque questa primavera, ancora prima che la pandemia stravolgesse tutto, perché gli impegni con i Dream Theater mi avrebbero consentito un periodo di pausa. L’annullamento del tour mi ha concesso però molto più tempo da dedicare all’album, che ripeto, era comunque programmato per quest’anno. Avevo 16


Valeva la pena aspettare organizzato anche un terzo “John Petrucci Guitar Universe” per quest’estate, anch’esso spostato all’anno prossimo, e mi sembrava buona cosa portare a termine l’album solista prima di questo evento. Ci sono anche altre ragioni ad avermi portato a realizzarlo adesso e una di queste è che il tema dell’album solista è stata una domanda pressoché costante in tutte le interviste, sapevo quindi di avere un pubblico notevole alla finestra che avendo apprezzato molto il primo album ne voleva un altro. I 15 anni che separano i due album sono tanti, ma se fossero stati 20 sarebbe stato peggio! Durante la realizzazione di quest’album, hai avuto modo di sperimentare qualcosa di nuovo in termini di tecniche e strumentazione? Hai parlato più volte dell’introduzione di una chitarra a 8 corde, è il caso di quest’album? No, non lo è. La chitarra a 8 corde è un progetto ancora in fase di sviluppo. Tutti i brani di quest’album sono suonati sulla classica 6 corde ad eccezione dell’ultima traccia, Temple of Circadia, che è suonata sulla 7. Quest’album è stato registrato usando le mie chitarre Music Man Majesty, per lo più modelli 2020, il mio amplificatore signature Mesa Boogie JP-2C e una cassa Mesa Boogie Recto 4x12. È un setup tanto semplice quanto “puro” in termini di suono, e mi permette di ottenere esattamente ciò di cui ho bisogno. Nell’album c’è un solo in style gyspy-jazz che per me rappresenta qualcosa di diverso. Ci sono poi alcuni passaggi molto veloci ottenuti sperimentando una plettrata alternata particolarmente veloce e inseriti in diversi punti dell’album per dare particolare enfasi ad alcune parti; si tratta però di parti abbastanza corte che vanno vicine alle 20 note al secondo. Credo di aver usato parecchio la tecnica dell’arpeggio, molto di più rispetto al passato. Essendo un trio, senza tastiere e voce, le progressioni di accordi hanno un ruolo fondamentale, al di là degli accordi in sé conta molto come vengono suonati e l’enfasi che si attribuisce a ciascuna nota. Rendendomi conto che la tecnica dell’arpeggio suona spesso come un esercizio, uno degli aspetti su cui ho lavorato maggiormente è stato rendere queste sequenze le più musicali possibile. Ci sono alcuni momenti particolari dell’album di cui vai particolarmente fiero o che non vedi l’ora che i fan possano sentire? I momenti che mi entusiasmano particolarmente credo siano quelli in cui ho preso un po’ le distanze rispetto al “solito”, come per esempio quel quell’assolo acustico in stile gypsy-jazz a la Di Meola in Gemini che è differente da qualsiasi altro assolo nell’album; oppure la parte molto melodica di ispirazione Ozzy o Metallica in Temple of Circadia che è piuttosto unica in tutto il disco. Mi piacciono molto queste parti singolari che risaltano inevitabilmente, creano varietà e rendono l’album più interessante. Nel caso della musica strumentale, nel mio caso incentrata sulla chitarra, devi fare molta attenzione al mantenimento di una struttura dei brani che non risulti noiosa per l’ascoltatore. In qualità di ascoltatore e produttore, mi piace fare un passo indietro e verificare che questo aspetto sia rispettato. Penso che l’inserimento di parti melodiche in un contesto shred permetta di ampliare lo scenario generale e rendere l’esperienza di ascolto più coinvolgente, senza che si limiti ad essere un susseguirsi di note. Due dei chitarristi che più mi hanno influenzato in assoluto sono stati Steve Morse e Al Di Meola. Il live Friday Night in San Francisco di Al Di Meola, Paco de Lucia e John McLaughlin è stato per me fondamentale nel capire l’importanza del ruolo della mano destra, particolarmente importante in ambito acustico. Rimanendo in ambito gypsy-jazz mi viene in mente anche il chitarrista tedesco Joshua Stefan che avrebbe dovuto far parte della line-up di istruttori nel mio guitar camp. La mia intenzione era quella di proporre questo stile in alcuni punti dell’album, e uno di questi è la parte centrale di Gemini. Le canzoni di Terminal Velocity sembrano far parte di disegno più uniforme rispetto a quelle di Suspended Animation, anche se alcune di esse sono già apparse nella tua setlist con il G3, come Glassy-Eyed Zombies ed Happy Song, che era chiamato Cloud Ten. Giusto, le ho cambiato il nome. Questi brani li hai composti alcuni anni fa, quando hai trovato il tempo per scrivere? Sono stati frutto di alcune sessioni ad hoc, oppure sono nati in momenti di tempo libero o durante i tour? 17


È stata una combinazione delle varie cose, per esempio ci sono momenti in cui suonando o facendo riscaldamento nasce qualcosa di interessante, in questi casi registro queste piccole idee con il cellulare e le metto da parte nel computer, mi piace paragonarli a dei semi. Per quanto riguarda il nuovo album, la maggior parte dei pezzi sono nati da zero in sessioni dedicate o di cui possedevo soltanto una piccola parte. Prendendo come esempio la traccia di apertura dell’album, Terminal Velocity, nel momento in cui sono entrato in studio avevo in mano soltanto il lick iniziale, tutto il resto doveva essere sviluppato. Solitamente questo lavoro lo porto avanti da solo, o in alcuni casi insieme all’ingegnere che predispone una sessione con il metronomo, che poi si evolve in una batteria programmata e alcune tracce di basso, per poi diventare un brano vero e proprio. Quando ho cominciato a lavorare al nuovo album solista, ero assolutamente cosciente del fatto che alcuni giorni avrei trascorso più di 10 ore in studio, però è esattamente questo aspetto che mi dà la convinzione e l’ispirazione giusta per portare a termine quello che ho iniziato. Il lavorare a spot e in tanti posti diversi non mi è mai andato a genio, preferisco cominciare qualcosa in un posto e portarlo a termine nello stesso posto, anche a costo di lavorare giorno e notte. Credo che il lavorare in studio o comunque in un unico posto in cui hai a disposizione tutta la tua strumentazione e tutto il tempo necessario, favorisca maggior concentrazione verso quello che stai facendo. Mi capita di registrare alcune demo nei camerini, nel tour bus o in camere d’albergo, ma non è certo l’iter che preferisco. Visto che abbiamo già accennato ad alcuni brani, facciamo una carrellata parlando di alcuni di essi. In Happy Song è presente una melodia che rimane subito impressa nonostante sia composta da parecchie note. Lo stesso succede anche in Glasgow Kiss e in entrambi i casi, col proseguire della canzone, la melodia diventa più semplice e meno articolata. Quanto è complicato scrivere melodie che rimangano impresse nella mente? Nella composizione di melodie simili, sei partito da 4 note poi arricchite con qualche sfaccettatura qua e là, oppure con dei lick veri e propri? In alcuni casi l’ispirazione proviene da una particolare tecnica su cui mi sto esercitando, nel caso di Happy Song per esempio mi stavo esercitando sul legato. Non ricordo esattamente cosa stessi facendo, probabilmente stavo suonando un frammento di scala, sta di fatto che poi ho introdotto il salto di corda e con un paio di aggiustamenti ecco che è nato il motivo. In momenti del genere vado al settimo cielo, registro questo frammento immediatamente in modo tale da poterci lavorare quando possibile. Quello che è successo nel caso di Happy Song è stata la trasformazione di un mero esercizio in qualcosa che avesse una sua musicalità. È anche il caso del riff iniziale di Terminal Velocity, che è nato mentre mi stavo esercitando su una particolare scala che chiamo “maggiore melodica”, scala modale che nasce sul quinto grado della scala minore melodica. Mi piace molto usare questa scala, ma in questo caso è stato proprio un esercizio a diventare una melodia. Di solito le idee che registro non durano più di 10-15 secondi, sono, come li ho definiti poco fa, dei semi. Quando a marzo ho raccolto e ordinato le demo che avevo in giro, ancora prima di partire con la composizione vera e propria, ho svolto un po’ di lavoro “d’ufficio” in cui ho valutato bene quello che avevo sul tavolo fino a quel momento, quali materiali valeva la pena usare e quali no. Terminal Velocity è stata la primissima canzone che ho scritto a marzo, ed è partita appunto da questa piccolissima melodia che avevo registrato con il cellulare. Da li ho registrato il basso e programmato la batteria, dopodiché ho lasciato che l’ispirazione e il mio cervello mi guidassero verso quella che è stata la canzone vera e propria. In studio eravamo soltanto io e James “Jimmy T” Meslin (in qualità di ingegnere), non c’era nessun altro musicista, quindi tutto ciò che sentite proviene interamente da me. Il processo è simile a quello della costruzione di una casa, si parte da qualcosa di definito, le fondazioni, senza avere un’idea dettagliata di quella che sarà la pianta definitiva. C’è un altro vecchio brano, Gemini, che conosciamo grazie al tuo DVD Rock Discipline; in cui c’è quella sezione in stile latino-spagnolo che non è esattamente tipica del tuo stile, ma allo stesso tempo funziona alla perfezione. Si adatta bene con il resto dei brani non credi? Sì, lo credo. Ero un po’ preoccupato perché è stato scritto molto tempo fa e stilisticamente è molto diverso dal materiale più recente. È più simile ad una demo per chitarra, quindi quando la ascolto sembra un po’ 18


immatura nello stile di scrittura. Non sembra così coerente come il resto del nuovo materiale, ma forse è qualcosa che alle persone può piacere. Questo brano è quello più vecchio tra quelli contenuti nell’album, è stato scritto nei primi anni novanta, insieme con altri brani, suonati con un sequencer. Ero molto più giovane allora, lo suonavo spesso durante le clinics o al NAMM; avevo bisogno di tracce demo su cui poter suonare. Quindi, per me, suona ancora in quel modo, ma ho provato a modernizzarlo. Ti basta fare una piccola ricerca su YouTube per vedermi suonare questo pezzo nel 1995 con addosso una camicia colorata. …e la tua vecchia Ibanez… Esatto, era la chitarra con cui suonavo Gemini. In quegli anni la sezione che adesso è stata “riempita” con la parte in stile latino-spagnolo non esisteva, solitamente improvvisavo. Quando stavo scrivendo l’album avevo a disposizione anche una chitarra acustica e mi sono trovato tra le mani questa parte gipsy-jazz di ispirazione Al di Meola, uno dei miei chitarristi preferiti. Come ho già detto, scrivere alcune parti che hanno unicamente la funzione di rendere un brano più musicale non fa parte del mio stile, viceversa mi piace spaziare tra molti generi ed inserire degli elementi estrapolati da generi diversi. Ogni volta che sento suonare questo passaggio di Gemini, eseguito alla perfezione, penso alla tua grande musicalità che non delude mai. Non è certamente un passaggio che ti esce dall’oggi al domani, ma viceversa richiede grande fantasia, sperimentazione e grande padronanza dello strumento. Grazie, la chitarra acustica spesso richiede una tecnica tutta sua che un chitarrista non può non conoscere. Quella sezione di Gemini non è stata registrata con una chitarra acustica tradizionale ma con una SelmerMaccaferri, che rispetto all’acustica differisce per scala e corde, rendendola unica nel suo genere. Non essendo una tipica chitarra acustica richiede un po’ di studio, la definirei come una chitarra acustica da shred ed è molto usata nello stile gypsy-jazz. Anni fa sono stato ad un concerto di Al Di Meola alla Carnegie Hall, e quello che mi sono portato a casa da quella serata è stato che con la giusta dedizione, chiunque può fare shred su un’acustica. A quel punto mi sono chiesto “e allora perché io non l’ho mai fatto finora? È ora di rimediare!”. Riguardo questo genere, che tipo di musica ti piace suonare e ascoltare? Bella domanda, certamente non è il genere che prediligo e che mi capita di suonare. Mi piace però spaziare tra diversi generi e, come nel caso di Gemini, mi piace inserire elementi di una musica diversa da quella che suono solitamente. Tu sei di segno gemelli? No, io sono cancro. Il titolo Gemini è stato proposto da mio suocero, che oggi non è più con noi, mentre suonavo il pezzo nell’appartamento in cui vivevo assieme a Rena. Era rimasto colpito dal pezzo e aveva proposto questo titolo, e credo che l’aver registrato e incluso il pezzo nell’album sia una sorta di tributo verso la sua memoria. Quello stacco elettrico-acustico che c’è nel pezzo credo illustri il doppio lato dei gemelli. L’idea del tributo è fantastica. Si, anche il nome di nostro figlio, Renato abbreviato in Reny, è un tributo alla sua memoria. L’essere riuscito ad arrangiare e registrare il pezzo senza avere una demo completa è stata una bella sfida, sono molto fiero del risultato. È stata una sorta di reinterpretazione giusto? Abbastanza, mi sono basato principalmente sulla memoria e sui video che ci sono su YouTube. Insomma hai “rubato” da te stesso! In un certo senso si, son dovuto andare a cercare la miglior versione in rete, una registrazione di qualcuno ad una clinic, da cui ho cercato di estrarre l’audio per ricostruire il pezzo e completarlo. Ti racconto un aneddoto divertente. Nello stesso periodo in cui ho scritto i due brani che ho suonato negli ultimi tour del G3 e durante i miei guitar camp, ne avevo scritto un terzo sempre con l’intenzione di portarlo in tour. Al momento non aveva un titolo, ma ne possedevo una demo di buona qualità su cui lavorare nel momento opportuno. Il problema era che nella mia testa questo pezzo non esisteva più, lo 19


avevo completamente dimenticato. Quando mi sono ritrovato a radunare le idee e le demo per pianificare Terminal Velocity, ho trovato sul computer questo pezzo completo e la mia reazione è stata: “questo da dove salta fuori?”. Inutile dire che il pezzo è stato inserito nell’album, con il titolo The Way Things Fall. Mi stai dicendo che hai ringraziato il “tu” del passato? Esatto, è stata una bellissima sorpresa. Non appena ho riascoltato il pezzo, ho pensato che dovesse essere incluso nell’album. Ho sistemato un paio di cose e l’ho registrato immediatamente. Out of the Blue è un pezzo dal mood abbastanza blues che attira subito l’attenzione e che tira fuori il Gary Moore che c’è in te. Immagino sia stata molto divertente da registrare. Assolutamente, amo suonare questo genere. Anche nel mio primo album era presente un brano jazz-blues con qualche variazione sul bridge, sto parlando di Lost Without You. Non conosco nessun chitarrista a cui non piaccia suonare su un pezzo blues, è sempre divertente. Out of the Blue fonde l’atmosfera di una ballata blues con delle parti di ispirazione Dregs e Steve Morse. Trovo molto interessante questa transizione tra un mood molto espressivo e qualcosa di più movimentato e ricercato dal punto di vista armonico. Questa combinazione tra generi diversi mi piace molto, è qualcosa di diverso rispetto ad un blues canonico. Il riff di apertura e la progressione di accordi principale fanno parte di quei piccoli “semi” di cui ho già parlato. Inizialmente non sapevo cosa sarebbe potuto nascere da quelle due idee, ma allo stesso tempo volevo che si concretizzassero. La struttura di base è quella di un blues, con qualche accordo sostituito qua e là, e un andamento shuffle che fa molto Gary Moore o Carlos Santana. Nel registrare questa piccola idea, per esempio, avevo suonato molto velocemente una melodia improvvisata su quella progressione di accordi che mantenesse quel vibe molto blues e spontaneo da tirare fuori nel momento opportuno. Quando parlavo precedentemente di alcuni momenti interessanti dell’album, credo proprio che l’intero pezzo sia uno di questi, è quel brano che non ti aspetti e che ti tiene in punta di piedi per tutta la sua durata. Probabilmente se avessi scritto un pezzo puramente blues, qualcuno ascoltandolo potrebbe pensare “mi sembra di averlo già sentita da qualche parte” o qualcosa del genere, niente di più lontano dal mio stile compositivo che mi spinge sempre ad inserire qualcosa di diverso e personale. Snake In My Boots credo sia progettata per essere suonata dal vivo con il battito delle mani e tutto il resto. Sì, è divertente perché alcune delle canzoni che ho quasi preso un po’ più “alla leggera”, e che dovevano essere soprattutto divertenti, come Out Of The Blue e Snake In My Boots, si stanno rivelando le preferite dal pubblico. In passato, avevo questa idea che sarebbe stato davvero bello convincere il pubblico a fare una sorta di pattern su cui io ci avrei suonato sopra la chitarra. Nella mia idea originale ci sarebbe stata solo una chitarra singola a dominare il brano dall’inizio alla fine, nessun altro strumento. È essenzialmente basato su una progressione di accordi blues, che ho voluto arricchire inserendo elementi rock old school. L’abbiamo sviluppato in modo che, per la maggior parte, ci sia proprio una sola chitarra in tutto il brano, che suona tutto, la ritmica, poi si sposta sugli assoli e torna alla ritmica. Non ci sono stratificazioni di chitarre ritmiche e cose del genere, è pensato per essere, come hai detto, una cosa interattiva dal vivo, che potresti suonare attorno al falò. Questo brano è incentrato su un riff molto rock e divertente da suonare, in grado di coinvolgere l’ascoltatore o il pubblico ed ispirato da Joe Satriani e dai Queen. Infatti ho subito pensato a loro quando l’ho sentita per la prima volta. Si esatto, però sul quinto accordo della tonalità, un Mi, abbandono quel vibe molto rock per fare qualcosa di più elaborato e modale che suona vagamente orientale o africano. Con il cambio di accordo, l’atmosfera cambia e torna quella iniziale. È esattamente ciò che intendo quando parlo di inserire elementi di generi diversi in grado di rendere il pezzo più interessante, sia per me che la suono, sia per chi la ascolta. Temple of Circadia nella mia mente è quello che soddisferà maggiormente i desideri dei fan. C’è una sorta di motivo che si ripete durante la canzone come un riff o ... È un motivo che si ripete un paio di volte, pensavo fosse abbastanza forte. Ha un riff principale molto energico e molto divertente, che spero di poter suonare live non appena possibile. È l’unico brano dell’album ad essere stato scritto su una chitarra a 7 corde. Anche il riff di apertura si ripresenta alcune volte, quindi penso che tu abbia ragione. Potrei immaginarla all’interno del catalogo dei Dream Theater, se ci fossero voce e tastiere, probabilmente suonerebbe come una loro canzone, ha qualcosa di maggiormente prog metal. Probabilmente è una di quelle che sembra più come una canzone dei Dream Theater, ma è divertente come 20


brilli di una nuova luce quando ci sono solo chitarra, basso e batteria; posso indirizzarla verso il mio album solista solo grazie all’arrangiamento e al modo in cui ci suono la chitarra, il modo in cui la chitarra suona tutte le melodie al posto della voce, il modo in cui suona tutti gli assoli invece di condividerli, e così via. C’è un’altra canzone che hai suonato durante il tour G3, chiamata Zero Tolerance, che però non hai registrato. Non era adatta al resto del materiale? La stai tenendo da parte per qualcos’altro? Ho rivisto quella canzone e semplicemente non mi sembrava sufficientemente buona. Non so come mai, è solo la mia opinione personale al riguardo, ma pensavo che il resto del materiale fosse migliore. Volevo scrivere un po’ di nuova musica e quindi, se l’avessi inserita, ci sarebbero state cinque vecchie canzoni. E ho pensato che tra il vecchio materiale, non fosse la migliore, quindi ho deciso di lasciarla fuori. In realtà quello che mi ha portato a questa riflessione è stato anche il fatto che quando lo suonavo dal vivo semplicemente non sentivo le giuste vibrazioni, come quando invece suonavo Glassy. Nel momento in cui lavori su un’idea o una demo, sai già dall’inizio se conservarla per un tuo progetto solista oppure metterla a disposizione dei Dream Theater e discuterne successivamente con gli altri membri della band? Dipende molto dal tipo di parte di cui si parla, per esempio i riff iniziali di Snake In My Boot oppure Out Of The Blue non sarebbero mai potuti diventare dei brani dei Dream Theater, viceversa brani come Temple of Circadia e The Oddfather avrebbero potuto tranquillamente esserlo, bastava aggiungere qualche parte di tastiera e il cantato. In questo caso è esclusivamente una scelta personale, dipende da come mi sento e quanto mi sento attaccato ad una specifica parte. Credo che la tua idea fosse ovviamente quella di prendere le distanze, dal punto di vista sonoro, dai Dream Theater, ma ci sono stati momenti in cui hai scritto qualcosa per l’album e hai pensato “no questo va meglio per i Dream Theater”? Ho una storia divertente su questo. In realtà, per tutto il tempo, raccolgo idee per canzoni diverse e cose che userò in seguito, le organizzo e uso alcune di queste idee con i Dream Theater e altre il mio album solista. Un giorno, in studio, avevo scritto un’intera sezione di musica, ho passato la maggior parte della giornata a lavorarci e ho pensato che fosse davvero fantastico. Il giorno successivo, qualcosa mi dava fastidio, come se mi suonasse troppo familiare. Funzionava bene, come se potessi quasi immaginarci sopra le tastiere e questo mi dà davvero fastidio. Poi ho capito che avevo riscritto una vecchia canzone dei Dream Theater, perché avevo dimenticato di cancellare gli appunti della canzone dalla mia raccolta di idee. Accidenti, quindi deve accadere sovente ... Per fortuna no, non succede spesso. Ma è stata una giornata completamente sprecata per riscrivere una canzone che avevo già scritto prima. È un episodio piuttosto divertente, credo che tu possa riderci su. Terminal Velocity ha sancito anche la “reunion” artistica con il tuo vecchio amico Mike Portnoy; cosa puoi dirci riguardo alla decisione di tornare a lavorare con Mike? Quando mi son ritrovato a dover scegliere chi avrebbe suonato le parti di batteria nel nuovo album, la mia famiglia mi ha detto, senza pensarci due volte: “dovresti chiedere a Mike”. Le nostre famiglie sono molto vicine, i nostri figli sono molto amici e sapevo che Mike avrebbe fatto un lavoro straordinario. D’altro canto sapevo però che la notizia della reunion tra me e Mike avrebbe fatto molto più scalpore dell’album stesso, portando l’aspetto musicale in secondo piano. Un giorno però, in piena pandemia, mi sono svegliato e mi son detto “la vita è troppo corta, chiederò a Mike, ci conosciamo da quando avevamo 18 anni e abbiamo suonato insieme per 25”. Precedentemente ricordo che durante una telefonata, incentrata su un argomento estraneo a tutto ciò, gli avevo accennato di aver cominciato a lavorare al mio secondo album solista e lui mi aveva detto: “se hai bisogno, io sono a tua disposizione”. È andata più o meno così; l’ho chiamato e gli ho detto “ti va di suonare le parti di batteria?” e lui mi ha risposto “certo, sarebbe fantastico”. Eri preoccupato che la notizia della collaborazione con Mike potesse “oscurare” l’aspetto musicale vero e proprio? Nella realtà dei fatti è andata così? Beh si, è successo, ma nell’accezione positiva della cosa. La notizia di Mike coinvolto nell’album ha certamente impattato parecchio, ma dopo così tanto tempo tra un album e l’altro l’aspetto musicale è stato assolutamente quello dominante. Io metto sempre pressione su me stesso, come se dovessi consegnare un 21


lavoro: non importa chi suona nel disco, questo ha il mio nome scritto sopra. Non pubblico un album da 15 anni, non posso far uscire una schifezza, è meglio che sia buono. Mi concentro sul materiale e sul suono. Sapevo che avrei ottenuto un hype e un’attenzione diversa a causa di Mike, quindi il materiale doveva essere all’altezza. Questa era la mia speranza. Non credo che la notizia abbia “oscurato” l’aspetto musicale perché la risposta che ho avuto finora è stata incredibile e i fan sembrano adorare l’album e sono felici di vederci suonare insieme, quindi questo ha infuso un elemento di gioia al progetto. Non credo che aspetterò ulteriori 15 anni prima di pubblicare il prossimo album solista! La gioia e felicità date dall’avere Mike nell’album credo che emergano molto chiaramente, e averlo al mio fianco, musicalmente parlando, dopo tutti questi anni è sicuramente stato uno dei fattori che hanno contribuito alla riuscita dell’album. La mia scelta si è rilevata azzeccata, Mike ha fatto un lavoro straordinario così come Dave LaRue, entrambi sono dei musicisti fantastici. Credo che la tua preoccupazione più grande, conoscendo la fanbase dei Dream Theater, fosse stata quella di illudere i fan ad un (non) ritorno di Mike nella band. Eri preoccupato di questo aspetto? Ti sei confrontato con gli altri membri dei Dream Theater, soprattutto Mangini, prima di scegliere di lavorare con Mike? Assolutamente si, è stata sicuramente una delle preoccupazioni proprio perché l’ultima cosa che volevo creare era una sorta di illusione e controversie. Non lo reputo rispettoso nei confronti di Mike Mangini che è il nostro batterista da ben 10 anni, così come non volevo che questa notizia generasse malcontento tra i fan, proprio perché l’album vuol essere una ventata di positività in questi tempi difficili. E si, ne ho parlato con Mike Mangini il quale ha accolto la notizia positivamente e ha rispettato in pieno la mia scelta. In qualsiasi intervista che ho rilasciato finora ho sempre sottolineato che la nostra collaborazione non è presagio di nulla ma è fine a se stessa: Mike Portnoy suona sul mio album solista, punto. Inutile dire che la risposta alla notizia è stata straordinaria e ha contribuito a creare quella “positività” che traspare dall’album. I commenti sui social network sono stati tantissimi e tutti molto positivi. Come ho già detto in altre interviste, in questo momento mi trovo a suonare con Mike Portnoy da una parte e Mike Mangini dall’altra, è come vivere contemporaneamente in due mondi spettacolari. È stata davvero la prima volta che avete suonato insieme in 10 anni? Cosa ti è mancato di più del suonare con Mike? Dire che abbiamo suonato insieme è un po’ una forzatura, nel senso che in realtà tutti i brani sono stati composti interamente da me e le parti di batteria sono state programmate in studio. Abbiamo provato insieme solo un paio di cose, alcune delle parti più difficili del disco e fatto qualche piccola jam. Mike è venuto nel mio studio e ha suonato sulle parti di chitarra preregistrate, non abbiamo suonato insieme nel vero senso della parola. Ascoltando il risultato finale però direi proprio che è come se lo avessimo fatto, il suo playing è molto energico, vivace, ispirato e spontaneo. Nonostante Mike abbia imparato le parti di batteria programmate da me e Jimmy T, è stato in grado di portare i pezzi ad un livello superiore. Anche Dave (LaRue, ndr) ha fatto un lavoro straordinario e le sue parti di basso sono state registrate in autonomia nel suo studio in Florida. In pezzi in cui c’è parecchia energia positiva come Happy Song o Terminal Velocity emerge questo affiatamento come se avessimo suonato insieme, e il ruolo di Mike in questo senso è stato molto importante. Nell’album ci sono parti metal, swing, blues o latino-americane che Mike ha contribuito a far suonare incredibilmente omogenee. Sono molto felice di avere avuto il suo contributo su quest’album. Hai notato qualche suo cambiamento o evoluzione stilistica dopo questi 10 anni di lontananza? Credo che Mike abbia fatto un lavoro straordinario e sia stato in grado di lavorare in modo eccezionale sui diversi generi che si ritrovano nell’album. Non è solo un album rock o metal ma include elementi di musica latina, blues, shuffle e altro. Alcuni batteristi provenienti dal mondo rock/metal possono non padroneggiare questi stili, invece Mike ha saputo farlo in maniera eccezionale, confermandosi uno dei migliori batteristi sulla faccia della Terra. L’album è molto vario, ci sono parti metal suonate in doppia cassa come in Temple of Circadia e Glassy-Eyed Zombies, così come parti blues o shuffle in altri brani, e non posso non menzionare lo 22


straordinario lavoro fatto anche da Dave LaRue. Ha svolto un lavoro eccezionale e ha saputo mantenere il ruolo di “camaleonte” in alcune parti, così come è uscito completamente allo scoperto in altre, esplorando generi e tecniche molto diverse. Aver avuto Mike e Dave coinvolti nell’album per me significa molto, credo che abbiano contribuito in modo esemplare alla buona riuscita dell’album. Dave, in tutta onestà, credo che sia l’eroe non celebrato del basso nel prog metal. Sono d’accordo. Non viene mai celebrato abbastanza, non so perché, ma credo che dovrebbe stare nell’elenco dei più grandi. Sono totalmente d’accordo con te, è un musicista incredibile, per la sua abilità al basso. È incredibile da guardare, da ascoltare, ma è così “musicale”. Quando ho suonato in tutti quegli show dei G3, non ha mai perso un beat, è semplicemente fantastico come musicista. Sono d’accordo sì, c’è bisogno di più riconoscimenti per Dave LaRue. Con Mike in un certo senso, avete ritrovato quell’alchimia presente sin dai primi giorni dei Dream Theater? Avendo lavorato insieme ad alcune parti, immagino che questo aspetto sia tornato. In un certo senso è stato necessario confrontarmi con Mike, soprattutto per intenderci su parti che ho scritto, registrato e programmato io. Avendo composto la musica in autonomia, mi rendo conto che per una persona che ascolta la musica per la prima volta, alcune cose non sono proprio immediate da capire e interpretare. Alcune parti necessitavano di alcuni chiarimenti e spiegazioni per farle funzionare a dovere. Siamo stati nella stessa band per 25 anni, ci conosciamo molto bene e l’intesa è stata totale, proprio come un tempo. La copertina dell’album è una specie di prosecuzione naturale di Suspended Animation e penso che abbia un tema comune anche con Distance Over Time (l’ultimo album dei Dream Theater) ed è il concetto di “uomo contro macchina”. L’hai pensata in quei termini o non proprio? Ci sono tre artisti diversi nelle tre pubblicazioni che hai menzionato. Suspended Animation è stata realizzata da Matias Norén, Hugh Syme ha realizzato Distance Over Time, mentre Sean Moser Smith è l’autore per Terminal Velocity. Quando ho assunto Sean per questo lavoro, sapeva che era il mio album solista. Ovviamente ha visto la copertina dell’album precedente, gli ho detto che non stavo cercando qualcosa nella direzione di ciò che facciamo con i Dream Theater, con quel tipo di fotografia surrealista, volevo qualcosa di colorato, di unico. Lui ha presentato alcune copertine diverse e questa, insieme al titolo del disco, sembravano perfetti compagni. Il titolo, l’aspetto di fondo di entrambi; uno su tonalità di bianco, l’altro nero ma entrambi con disegni molto colorati, funzionano insieme; un po’ come fossero un yin e yang. Una scelta che mi è sembrata alquanto insolita è stata quella di Andy Sneap, famoso per il suo lavoro con band metal più tradizionali, come Judas Priest, Accept, Testament. Come sei arrivato alla conclusione che sarebbe stato adatto per mixare l’album? Sono stato un suo fan come tecnico del suono, penso che sia incredibile; è un chitarrista, sa cosa fare. Mia moglie ed io l’abbiamo incontrato per la prima volta dopo averlo visto con i Judas Priest. Abbiamo iniziato a scriverci e-mail, poi quasi più niente, a parte condividere le foto della serata. Siccome la maggior parte del materiale dell’album è piuttosto heavy ho pensato che Andy avrebbe potuto fare un ottimo lavoro. E su questo non mi sbagliavo, amo quello che ha fatto, è fantastico con le chitarre ovviamente, ma anche con tutti gli strumenti, batteria, basso, nel modo in cui fa “parlare” le chitarre ritmiche, dandogli una sorta di tridimensionalità, hanno molta aggressività. Quando la pandemia ce lo consentirà, potrebbe esserci la possibilità di vedervi e sentirvi suonare questi brani dal vivo, magari durante un nuovo tour G3, oppure ora che hai quasi due ore di materiale da solista, ti vedi a presentare queste canzoni con un’ambientazione diversa? Beh, ora potrei. Ovviamente il mondo è in un momento diverso, molto strano, non siamo sicuri di cosa succederà con la musica dal vivo. Al momento è molto difficile fare previsioni su un’ipotetica ripresa dell’attività live. Sperando che vada tutto per il meglio, ma quando questo accadrà, bisogna considerare che la mia priorità sono e continueranno ad essere i Dream Theater, che hanno programmi e impegni molti fitti. Non ho mai avuto abbastanza materiale per fare un tour con uno show intero, ora che ho un aggiunto diversi brani al repertorio e ho materiale a sufficienza, potrei suonare per un intero spettacolo. Sarebbe fantastico. Se dovesse venir fuori qualcosa, come l’opportunità di fare un’uscita da solista, vedremo. Ma se Joe dovesse invitarmi a partecipare ad un G3, la risposta sarebbe scontata. 23


Adesso mi piacerebbe affrontare la musica da un punto di vista più tecnico e metodico. Tu stesso hai studiato proprio per diventare musicista e ti trovo molto competente a riguardo. Vorrei affrontare con te il tema del rapporto, spesso conflittuale, tra la teoria musicale e la creatività, e qual è il tuo modo di vedere alcuni artisti meno “accademici” come Kurt Kobain o Billie Joe Armstrong? Beh, il rapporto tra teoria e creatività è un tema molto discusso, c’è chi ritiene che una conoscenza molto approfondita della teoria musicale possa influenzare un artista facendo soffocando la componente creativa. Io credo che questo sia un aspetto puramente soggettivo, credo che alcune persone abbiano la creatività e la musicalità come talenti innati e possono non avere bisogno di studi particolari, ci sono nati e non puoi farci niente. Questo non significa però che non possano avere bisogno di perfezionare qualcosa, io porto grandissimo rispetto per artisti come quelli che hai citato proprio per questo motivo. Ci sono poi altre persone che nonostante possiedano di loro queste qualità, decidono di frequentare particolari scuole che cambiano alcuni aspetti dell’artista che è in loro, negativamente o positivamente che sia. Prendendo come riferimento il mio caso, l’aver frequentato il Berklee College of Music mi ha per-messo di espandere notevolmente le mie conoscenze sulla teoria musicale, così come mi ha dato molti spunti e opportunità per la mia formazione in qualità artista. Il mio approccio in fase compositiva rimane incentrato sulla fase creativa e musicale, mentre la conoscenza della teoria mi permette di sperimentare qualcosa di nuovo ed innovativo che però mantiene come principio primo la creatività. Come in ogni altra forma d’arte, la sperimentazione di discipline o tecniche al di fuori della propria comfort zone è un’importante fonte di crescita e miglioramento. Il problema sorge nel momento in cui poi ti ritrovi fuori strada rispetto alla direzione intrapresa in origine, è semplicemente questione di bilanciare ambiti diversi. La domanda che mi hai posto non ha una risposta univoca, dipende dalla persona e dalla sua esperienza diretta. Come fai a memorizzare brani lunghi e complessi come quelli dei Dream Theater? Cosa consigli a coloro che hanno una bassa soglia dell’attenzione? Beh si, i pezzi dei Dream Theater, Liquid Tension Experiment e della mia carriera solista sono abbastanza complessi, la maggior parte sono abbastanza lunghi e con passaggi intricati. La mia capacità di memorizzare pezzi simili è migliorata negli anni, non sono però in grado di dire se sia una dote naturale o qualcosa che si acquisisce con il tempo. Un aspetto che mi aiuta molto è ascoltare una melodia o memorizzare uno schema ritmico che mi guida automaticamente verso lo sviluppo del brano. Mi spiego meglio, quello che intendo è memorizzare le connessioni tra le diverse parti di un brano, ti faccio un esempio, è come se stessi guidando su una lunga strada rettilinea alla quale non devi prestare particolare attenzione; è però fondamentale che tu abbia dei riferimenti precisi che ti avvertono che sei prossimo ad una curva e ti permettono di memorizzare “a pezzi” la strada. Nel caso di lunghi brani funziona esattamente allo stesso modo. Parliamo di assoli, scritti o improvvisati? Il tuo fraseggio nelle parti soliste è sempre emozionante, specialmente durante i concerti. Nel momento in cui c’è una sorta di spazio “libero” all’interno di una parte solista, tendi ad improvvisare o prepari delle “frasi” a priori? Ho sempre trovato le parti soliste interessanti, mi piacciono i momenti in cui qualcuno nello specifico può dire la sua senza rendersi noioso o poco originale. Quando registro un solo la maggior parte è frutto di improvvisazione, ci sono però altre parti in cui decido di andare in una determinata direzione o prediligere una tecnica particolare che necessita di più attenzione e va perfezionata. Sicuramente la maggior parte di un solo è frutto di improvvisazione, amo i momenti in cui durante un lungo assolo, soprattutto in sede live, posso uscire un po’ dagli schemi; è però un’abilità che richiede parecchi anni di esercizio. Ci sono dei momenti in cui durante un solo emozionante mi capita di inserire delle parti frenetiche. C’è un “trick” che fai alla chitarra, presente praticamente in ogni album dei Dream Theater; quando ripeti la melodia principale della canzone in un assolo finale, ad esempio su Octavarium o Pale Blue Dot, è un ottimo modo per allungare un po’ la melodia e per fissarla nella memoria. Potresti parlarne un po’? Questi sono alcuni dei miei momenti preferiti, da chitarrista. Prima di tutto la chitarra è uno dei migliori strumenti su cui comporre, quindi è sempre divertente scrivere musica con la chitarra. È così naturale e divertente, fare shred, suonare assoli, improvvisare… è un po’ come guidare un’auto sportiva. Ma i momenti di cui parli tu sono quelli in cui la chitarra è la regina della melodia. Dirigere la melodia su brani come ad esempio At Wit’s End, sono alcuni dei miei momenti preferiti. Non riesco a spiegarlo... è incredibilmente gratificante; artisticamente e creativamente, è divertente essere un chitarrista e manipolare le note per 24


essere il più emotivo possibile. Ed è una buona tecnica di scrittura, perché quasi richiama uno stile più sinfonico, in cui stai riconfermando queste grandi grandi melodie, che magari sono appena state accennate. Dà anche una sorta di atmosfera cinematografica, quel genere di musica alla John Williams e Hans Zimmer; quelle grandi melodie che ti fanno piangere, ti emozionano, ti ricordano quella parte del film o qualsiasi altra cosa. Come chitarrista, questi sono alcuni dei miei momenti preferiti di sempre, li suonerò sempre e sarò sempre quello che prenderà quel ruolo. Parlando delle tue chitarre signature realizzate da Ernie Ball Music Man, sei sempre stato molto attento alla tua strumentazione vero? Che cosa ti ha spinto a scegliere Ernie Ball per realizzare il tuo modello signature? C’erano anche offerte di altre aziende? Che cosa ti lega a loro da ormai cosi tanti anni? Come ben sai sono ormai 20 anni che collaboro con EBMM, mentre in precedenza sono stato legato ad Ibanez per 10 anni. Hai detto bene, sono molto attento e interessato allo sviluppo e alla cura della mia strumentazione. Sul mercato si trovano diversi prodotti che portano la mia firma e sono tutti realizzati da aziende incredibili con dei team in grado di trasformare in un prodotto una richiesta o esigenza di un’artista. Sono entrato nel mondo delle “collaborazioni” con Ibanez, e la nostra è stata una collaborazione che nonostante sia durata diversi anni non mi ha permesso di esprimere le mie idee come volevo. Anni fa il mio chitarrista di riferimento era Steve Morse, che suonava chitarre EBMM, e il mio primo contatto con quest’azienda è stato per via del pedale del volume. EBMM produce strumenti di qualità elevatissima, questa sensazione la provavo ogni qualvolta mi capitava di imbracciare un loro strumento in negozio. Il mio grande amico e ai tempi, tecnico, Mark Snyder è stato colui che mi ha suggerito di prendere in considerazione quest’azienda, cosa che in effetti avvenne poco dopo a seguito di una telefonata tra me e Sterling Ball. Ti sto parlando di qualcosa che è successo ormai 20 anni, non ero certo nella condizione di dover scegliere tra offerte di diverse aziende. Sono sempre stato attratto da Music Man, per cui la scelta era pressoché scontata. Credo che quest’azienda metta passione in qualsiasi cosa faccia, sia durante la progettazione sia durante la realizzazione dello strumento, ed assieme abbiamo realizzato questa grande linea di strumenti di successo che porta il mio nome. Il passaggio a Music Man lo reputo un punto di svolta e una delle scelte più azzeccate della mia carriera professionale, più ci penso più mi sento grato verso chi mi ha dato questa possibilità. Mi confronto settimanalmente con il team, la nostra è una collaborazione molto intensa e proprio in questo momento stiamo lavorando alla chitarra a 8 corde, che è solo uno dei tanti progetti in corso. Sarebbe difficile immaginarti su un palco con una Strato o una Les Paul. La cosa divertente è che non possiedo nessuna di queste chitarre. Non sono mai stato un collezionista. Da quando mi è stata data la possibilità di realizzare degli strumenti sulla base delle mie esigenze, non sento la necessità di usare altro al di fuori di esse. Oltre alle già citate Strato e Les Paul non possiedo nessun’altra chitarra. So che ci sono un sacco di persone ossessionate dalla ricerca dello strumento perfetto e provano qualsiasi chitarra, vintage o non vintage che sia. Come usi la funzione “Boost” che è presente sulle versioni più recenti delle tue chitarre signature? È sempre attivo o ti limiti ad usarlo durante assoli o parti con suono distorto? La decisione di inserire questa particolare funzione sul potenziometro del volume nasce dalla facilità di attivarla e disattivarla, infatti è di tipo push-push e per azionarla mi basta sfiorare col bordo della mano il potenziometro ed il gioco è fatto, non serve nessun altro potenziometro aggiuntivo. Il boost è regolabile ed arriva a darti un massimo di +20dB di volume, io lo mantengo sulle +12dB. Su un suono pulito, quando è attivato permette alla chitarra di risaltare molto di più visto che si tratta di un boost in input nell’amplificatore. Per l’accezione di suono pulito che ho io, non ho bisogno di una funzione simile. Solitamente mi capita di usarlo sui canali due o tre del mio amplificatore Mesa Boogie Signature. Per farti un esempio, se durante un 25


solo, durante il quale il boost generalmente non è attivo, voglio enfatizzare una frase o voglio far risuonare particolarmente una nota, ricorro a questa funzione, strettamente limitata a queste parti. In questo caso ciò che si udirà non sarà un boost di volume ma un boost di gain, esattamente come se attivassi un pedale clean boost o un overdrive su un suono già distorto di suo, conferendo maggior output e sustain alla chitarra. A proposito del progetto di chitarra signature a 8 corde cosa puoi dirci? La mia partnership con Ernie Ball Music Man dura ormai da 20 anni, durante i quali cui sono state fatte cose incredibili. Tutte le mie chitarre sono disponibili nella classica versione a 6 corde, ad eccezione di alcune presenti sul mercato anche in versione 7 corde. La chitarra a 8 corde è un progetto di cui parlo ormai da tempo e si, ci stiamo lavorando insieme al team di Ernie Ball Music Man. Gli ingegneri stanno sviluppando una chitarra Majesty a 8 corde che, seppur in versione prototipo, conto di poter utilizzare durante le fasi di scrittura del nuovo album dei Dream Theater. Conoscendo le potenzialità di Music Man, so già che sarà uno strumento fantastico che sarà per me fonte di ispirazione, così come lo è stata la mia prima chitarra a 7 corde durante le sessioni di Awake. Il riff di apertura di The Mirror infatti, è stato il primissimo che ho scritto con una chitarra a 7 corde tra le mani ed è nato in modo abbastanza casuale ed immediato. Perché non aggiungere ancora una corda? Nel corso degli anni hai sviluppato assieme a Dunlop diversi plettri signature, li usi ancora tutti a seconda delle varie esigenze? Uso da sempre plettri Jazz III, realizzati in materiale rigido con scritte in rilievo e più piccoli rispetto a plettri tradizionali. Tutti i miei plettri signature sono stati realizzati da Dunlop. Il primo di questi è il JP Signature, con le mie iniziali in rilievo, punta lucida e realizzato in materiale rigido. Sono uno dei tanti chitarristi ossessionati dai plettri, ne ho provati di ogni forma e tipo proprio per provare in prima persona le differenze, in certi casi minime, in altri notevoli tra i vari modelli. Ci sono chitarristi che collezionano plettri o altri che hanno cassetti strapieni. Successivamente, durante una telefonata con Jimmy Dunlop e il suo team, è venuta fuori la possibilità di creare una nuova versione di un plettro, introducendo una novità proposta dall’azienda stessa. È il caso del plettro NYC (il secondo plettro Petrucci signature realizzato da Dunlop, ndr), che vedeva l’introduzione di una smussatura del profilo alla quale abbiamo lavorato sulla base di alcune mie esigenze. Questa soluzione mi è piaciuta talmente tanto da portarla anche sul terzo modello signature che Dunlop ha realizzato assieme a me, il Flow. Essendomi addentrato in una sorta di stile “gypsy” mi serviva un plettro più spesso, da cui è nato appunto il Flow, di spessore 2mm, con il quale è stato registrato l’intero album Distance Over Time. L’ultimo modello realizzato assieme a Dunlop è il Trinity, sviluppato a partire da un modello triangolare che mi è stato mandato da Frank Aresti (product manager di Dunlop ed ex chitarrista dei Fates Warning, ndr) e mi è piaciuto talmente tanto da volerne realizzare un mio modello. È realizzato in Ultex e possiede le già citate smussature e parti in rilievo, praticamente è come avere tre Jazz III combinati in un solo plettro. La superficie del Trinity è più ampia rispetto a quella di un classico Jazz III garantendo maggior stabilità e ora come ora è diventato il mio preferito tanto da averlo usato in tutto il mio secondo album solista Terminal Velocity. Sono plettri che per quanto simili hanno delle lievi differenze. Abbiamo scelto di mettere in commercio una confezione che li include tutti e 4 proprio per far toccare con mano le differenze tra i vari modelli a chiunque li provi. Generalmente quando suono ho tutti e 4 i modelli sotto mano, a seconda del mood ne uso uno piuttosto che un altro, nonostante siano tutti fantastici. Continui ad esercitarti sulla chitarra e per quanto tempo al giorno? Che tipo di routine cerchi di mantenere? Continuo ad esercitarmi perché amo suonare la chitarra, mi diverte e cerco sempre di migliorarmi. Generalmente la mia routine spazia tra diverse tecniche in modo tale da rimanere allenato in ognuna di esse, mi esercito su arpeggi suonati 2,3 o 4 note per corda, legato e altre tecniche. Devo dire che quest’anno la creatività non è certo mancata, mi è capitato spesso di trascorrere tra le 8 e le 10 ore in studio nell’ultimo periodo. Quindi si, continuo ad esercitarmi e suonare parecchio, credo sia molto importante. Se il tuo obiettivo è quello di migliorare, la costanza è fondamentale. Il mio consiglio è 26


quello di ritagliarsi un po’ di tempo ogni giorno piuttosto che dedicare alla pratica una giornata intera, magari durante il weekend; se si possono ritagliare quotidianamente anche solo 20 minuti, mezz’ora o 45 minuti bene, se sono 6 ore meglio ancora, l’importante è mantenere una certa costanza. Come mantieni la condizione fisica durante un tour mondiale? Viaggiando molto, soprattutto perché con una fanbase di calibro mondiale dobbiamo fare tour lunghi e per certi versi impegnativi; è molto importante rimanere in forma sia fisicamente sia mentalmente. Per noi è fondamentale evitare di ammalarsi, soprattutto perché frequentando ambienti comuni come il bus, un potenziale malanno si potrebbe diffondere molto facilmente. Cerco di fare esercizio fisico costantemente, anche in tour, perché oltre a dare benefici fisici mi aiuta a smorzare la tensione. Ogni volta ci diamo la regola di mangiare sano, ma è la prima ad essere violata in un modo o nell’altro. Io personalmente dedico molta attenzione alle mani e faccio costantemente stretching, prima e dopo lo show, anche nei giorni liberi. So di sembrare un medico, però in fin dei conti non è molto complicato, basta seguire un’alimentazione equilibrata, dormire abbastanza; per quanto mi riguarda, dormire è fondamentale; e fare esercizio fisico. A proposito di progetti futuri: secondo alcune voci è atteso per il 2021 un nuovo album in studio dei Dream Theater. La situazione COVID vi permetterà di accorciare un po’ i tempi? Direi proprio di si. Tutte le band sono nella stessa posizione. Stavamo affrontando un lungo tour mondiale e quest’anno erano in programma le leg in Asia, Australia e un tour estivo, tutto ovviamente rimandato o addirittura cancellato. La situazione dal lato live è molto incerta, così come lo è quella relativa al prossimo album in studio, che al momento non so con certezza quando diventerà realtà. So che ogni band e crew sono in questa situazione, gli sono vicino. Detto questo, il nostro programma sarà anticipato di qualche mese, siamo persone creative e lasceremo che sia la creatività a guidarci, vista l’impossibilità momentanea di affrontare un tour. L’ultima cosa che faremo, in qualità di musicisti, sarà quella di stare a guardare. Ci ritroveremo quest’autunno e cominceremo a lavorare ad un nuovo album, con l’idea di rilasciarlo nel prossimo anno. Hai già scritto qualcosa? Porti delle idee o iniziate da zero, qual è la vostra filosofia? Con i Dream Theater, per la maggior parte del tempo, preferiamo un tipo di scrittura collettivo. Siamo tutti nella stessa stanza e, se qualcuno porta un’idea, inizia a suonarla e tutti si uniscono, passandoci la palla l’uno con l’altro. Ed è così che scriviamo le canzoni. Quindi è sempre buono avere delle idee iniziali, delle direzioni da seguire, da usare o no, ma ottimi come punti di partenza. Arriviamo sempre con qualcosa. Di solito, prima di queste sessioni, discutiamo del tipo di disco che vogliamo realizzare, cosa molto importante. Abbiamo una lunga carriera e un ampio catalogo, quindi è come se provassimo a considerare ogni album come un altro tipo di capitolo della nostra storia; quando ci approcciamo ad un nuovo album, cerchiamo di fare qualcosa di unico e che potrebbe semplicemente rendere le cose più interessanti. Perché le persone dovrebbero continuare ad ascoltare i Dream Theater o attendere il nuovo disco se non c’è nulla di nuovo, di diverso o di eccitante in esso? Quindi ne parleremo in anticipo, in modo che tutti possano essere sulla stessa lunghezza d’onda. Quindi cosa stiamo cercando di fare? Per ora è una pagina vuota. A questo punto della vostra carriera sentite che c’è ancora qualcosa da conquistare? Avete composto concept album, suonato con orchestre, spettacoli acustici, eseguito album per intero... cosa tiene ancora accesa la fiamma in questi cinque ragazzi chiamati Dream Theater? Penso davvero che ci siano ancora un sacco di traguardi da raggiungere. C’è sempre un’altra idea, un giorno ti svegli e pensi “oh, sarebbe davvero bello se lo facessimo... proviamoci...” A volte potrebbe avere a che fare con decisioni stilistiche, a volte potrebbero avere a che fare con scelte di produzione o direzioni come non abbiamo mai seguito. Nel caso di Distance Over Time aveva più a che fare soprattutto con il modo in cui lo abbiamo realizzato, con tutti noi che ci siamo isolati da tutto, come non abbiamo mai fatto prima. E ogni volta provi a rendere il tuo lavoro divertente ed interessante, bello e unico. E alla fine cerchi di sentirti bene; così, quando il disco viene pubblicato, sei orgoglioso di quello che hai fatto. 27


When Dream Theater, PFM ed Elio e Le Storie Tese "quasi" unite... Possono stare sullo stesso palco Dream Theater, Premiata Forneria Marconi ed Elio e le Storie Tese ? Quasi! Oggi vi racconto di quella volta in cui ci siamo andati molto, ma molto vicini. Ma, per farlo dobbiamo tornare indietro nel tempo, molto indietro... Tutto inizia nell’autunno del 2003: i Dream Theater hanno pianificato la prima leg del tour di Train of Thought in Europa, a partire da metà gennaio. Anche questo tour sarà caratterizzato dalla formula “… an evening with Dream Theater”, ovvero una serata intera con i DT, senza nessuna band in apertura, con concerti di circa 3 ore suddivisi in due parti, con un piccolo intervallo nel mezzo. Ma la vera sorpresa di queste evening sono le famose “rotating setlist”, ovvero scalette, compilate da Mike Portnoy, che cambiano ogni sera, completamente o parzialmente, per dare modo a tutti i fan che andranno a vedere più di un concerto di ascoltare quanti più brani possibili dalla discografia dei Dream Theater (magari di come venivano compilate le rotating setlist ne parlerò un’altra volta...). Inoltre c’è un piccolo dettaglio residuo dal tour del 2002: oltre le rotating setlist, i Dream Theater hanno voluto stupire i fan organizzando dei doppi concerti in alcune location selezionate (purtroppo, mai in Italia). Le doppie serate avevano una caratteristica particolare, svelata per la prima volta alla fine del tour europeo di SDOIT, durante il doppio concerto di Barcellona nel febbraio 2002. La prima serata consisteva in normale concerto Dream Theater, mentre la sorpresa era celata nella set list della seconda serata: dopo una prima parte di brani dei Dream Theater (ovviamente diversi da quelli della sera prima) la band tornava sul palco e suonava dall’inizio alla fine un album storico di una band rock/metal che negli anni aveva influenzato la musica dei cinque musicisti americani. L’hype riguardo questo tour è molto alto, anche perché Train Of Thought è uscito a metà novembre ed ha segnato un grande punto di svolta nella storia musicale della band. C’è un nuovo pubblico che si affaccerà ai concerti e che affiancherà i fan di vecchia data: infatti il nuovo album pesca molto nel bacino del fan puramente metal e ci sono tutti i presupposti per vedere molti sold-out nei palazzetti che ospiteranno le date del tour. Poco prima di Natale arriva una mail all’YtseClubs (l’organismo che riunisce tutti i capi dei vari fan club sparsi per l’Europa): il mittente è il “solito” Mike Portnoy che ci manda una richiesta. Ci viene chiesto di inviargli un feedback circa le preferenze musicali del fan medio dei Dream Theater nella nostra nazione; il fine è quello di preparare, solo per alcune main cities, una o più cover dei gruppi che saranno indicati da noi. Qui aggiungo un piccolo aneddoto che narra che l’Italia ha rischiato fortemente di restare senza brano coverizzato… il perché? Beh, alla domanda (serissima) di Mike noi avevamo risposto (in questo ordine): Justin Timberlake (freschissimo di Justified), Britney Spears e i Black Eyed Peas !!! Nel giro di qualche ora avevamo già corretto il tiro e proposto i seguenti gruppi, in questo ordine: - Pantera, che nel maggio del 2000 avevamo letteralmente visto un’invasione di fans al Forum di Assago; - Iron Maiden,che dopo il ritorno di Dickinson in line up avevano riempito il Forum un paio di volte; 28


- Fear Factory, solo per una grande passione per Dino Cazares e soci da parte dello staff Italian Dreamers. Il tour inizia col botto e subito con una sorpresissima: al primo concerto di Manchester la band esegue tutto Train Of Thought dall’inizio alla fine, in una tirata unica. Un evento storico mai successo prima, nella storia della band. Inoltre, in qualche data selezionata fanno capolino alcune interessanti cover sapientemente selezionate. Ma veniamo alle date italiane. Chi era a Milano, quel 5 febbraio 2004, non potrà certo aver dimenticato il ritorno di Petrucci sul palco per il bis accompagnato dai rintocchi della campana iniziale di Hallowed Be Thy Name degli Iron Maiden. Portnoy aveva colto nel segno: con gli Iron Maiden in Italia non si sbaglia mai! Una piccola nota a margine: quel concerto è stato forse il miglior live dei Dream Theater in terra italica ad oggi, sia per durata, che per la scaletta infinita, che per l’intensità della band sul palco. Tutto il concerto è stato registrato con ben 9 (NOVE!) telecamere dallo staff del Fan Club, ma purtroppo non ha mai visto la luce, né come release ufficiale, né come official bootleg. Quello che resta ad oggi ancora nei nostri cassetti, si spera possa essere pubblicato prima o poi… (magari organizziamo una raccolta firme). Ma le sorprese per i fans presenti ai primi tre concerti italiani del 2004 non sono mancate. A Bologna la sera successiva succedono tante cose: l’improvvisazione finale di Beyond This Life si trasforma in una Summer Song di Joe Satriani - con qualche imperfezione da parte di Petrucci - e una Voodoo Child di Jimi Hendrix; all’inizio di Stream of Consciousness salta la tastiera di Jordan Rudess e il pezzo viene eseguito ugualmente, anche se in versione power trio (il problema alle tastiera purtroppo causerà anche un notevole taglio alla scaletta, con la mancata esecuzione della suite A Change Of Seasons). Ma l’episodio più particolare avviene quasi all’inizio, quando, al termine di Under a Glass Moon, Jordan esegue un lungo assolo che dovrebbe essere una sorta di introduzione a Through My Words. Ma qualche ora prima nei camerini era stata siglata una scommessa: qualcuno aveva scommesso con Jordan che con poche note, durante il suo assolo, avrebbe catturato l’attenzione di tutta la platea facendola esplodere in un boato. Quali note? Quelle di uno dei riff più famosi della storia della musica italiana: Impressioni di Settembre. Premiata Forneria Marconi, una sicurezza!!! Il problema di quella sera è che la sorpresa di Jordan è arrivata troppo presto e inattesa ma, la sera successiva, a Roma, Jordan ci riprova e questa volta il suo solo è quasi alla fine della seconda parte del concerto. E questa volta viene accolto da vero e proprio boato all’attacco del riff, seguito poi un coro all’unisono durato qualche minuto. Dicevamo, Premiata Forneria Marconi... un gruppo conosciuto e stimato da tutti i Dream Theater, in particolare da John Petrucci e John Myung, seguiti a ruota da un grande cultore del progressive rock come Jordan Rudess, che qualche anno dopo ha voluto incontrare Franco Mussida all’interno del suo CPM a Milano. Adesso torniamo all’oggetto principale di questo articolo, saltando in avanti di qualche mese, ma restando sempre nel 2004; con le date potrei essere un po’ meno preciso, ma credo fosse aprile quando arriva nuovamente una mail da Mike Portnoy. Ci sono in ballo dei concerti in Italia -e solo in Italia- per l’estate. Tre concerti One-Off, una cosa mai successa prima per i Dream Theater. Questi concerti avrebbero anche segnato il cambio di promoter, dalla storica Barley Arts alla Live Nation: un cambio importante anche per lo staff dell’Italian Dreamers, che si vede cambiare parecchie figure di riferimento per quanto riguarda tutti gli eventi di fan club inerenti i concerti. Il nuovo promoter organizza questi tre concerti dei Dream Theater in esclusiva per l’Italia e Mike ci chiede una collaborazione per fare diventare questi concerti dei veri e propri eventi. Quali gruppi si potrebbero affiancare ai Dream Theater per trasformare tre concerti in tre serate storiche? 29


La nostra risposta (questa volta seria… molto seria) non tarda ad arrivare e le due band che proponiamo sono: Premiata Forneria Marconi ed Elio e le Storie Tese. La nostra proposta viene presa in considerazione dalla band sapendo che il nostro consiglio è sicuramente valido. Vengono inviati oltreoceano dei brani degli Elii (band sconosciuta ai DT) e Mike in prima battuta li definisce “too poppy”, ma poi riascolta bene i brani che gli abbiamo inviato e ci fa notare che questi pazzi italiani spaccano veramente. Dal lato promoter parte la macchina organizzativa: vengono contattati sia PFM che gli Elii e la cosa sembra prendere il giusto binario. Poi però qualcosa non gira a dovere, c’è un cambio di idea e Mike ci contatta ancora dicendo che purtroppo, per vari problemi organizzativi e di budget, la nostra idea non può essere realizzata. Ci viene nuovamente richiesto di indicare delle band che avrebbero potuto suonare in apertura ai Dream Theater, una band per ognuna delle tre città che scopriamo essere: Roma, Firenze, Bergamo. La scelta è per noi complicata, ma la proposta inviata ai Dream Theater è stata questa (abbiamo le prove scritte anche se qualcuno ancora non ci vuole credere): su Roma i DGM, freschi di release con Misplaced, su Firenze i Solid Vision, con il loro primo album Eleven e su Bergamo gli Evil Wings, già ospiti ad un Italian Dreamers Party nel 1998. Oltre a queste tre band venne fatta una menzione particolare: gli Empty Tremor: Mike conosceva già questa band romagnola e ne è sempre stato un grande fan, per cui nella lista dei desiderata indicammo come richiesta la possibilità di fare suonare gli Empty Tremor a tutte e tre le date. Passa qualche giorno e arriva la risposta che è anche quella definitiva e stila la lineup delle tre serate. Per noi una buona notizia e altre meno buone. Roma: Empty Tremor + Domine Firenze: Empy Tremor + Vision Divine Bergamo: Empty Tremor + Mind Key Onestamente (dopo tanti anni lo posso dire) non ho mai accettato la decisione di Roma. A mio avviso i Domine non hanno mai avuto niente a che fare con il prog metal e con i Dream Theater e la prestazione di Roma fu anche male accettata dai fans, che fischiarono continuamente quell’opening act. Avrei preferito i DGM (il buon Titta Tani, all’epoca cantante della band, credo che sia ancora arrabbiato con me per questa decisione non nostra) o anche i Solid Vision, che sono stati veramente i grandi assenti sulla piazza di quei tre concerti estivi dei DT (ma si sono rifatti prontamente con la collaborazione con Charlie Dominici per il suo progetto solista). Per Firenze ho sempre avuto idee contrastanti: i Vision 30


Divine mi sono sempre piaciuti e sono sempre stati dei grandi amici, ma nella formazione con Michele Luppi alla voce non mi hanno mai convinto... questione di gusti ovviamente. Su Bergamo invece è arrivata la grande sorpresa: i Mind Key avevamo appena fatto uscire il loro primo album con Frontiers Records e si sono rivelati veramente un ottimo outsider. Alla fine si è sfiorato l’evento storico, ma comunque i fan presenti ai concerti hanno potuto contare su ottima musica per diverse ore e soprattutto con i Dream Theater in grande forma e con scalette veramente interessanti. I picchi più alti e più toccanti sono stati sicuramente il tributo a Marlon Brando, scomparso pochi giorni prima, con il tema de Il Padrino suonato al piano da Jordan, prima di In The Name of God (eseguita come bis a Roma) e poi l’esecuzione di The Spirit Carries On a Piazzale Michelangelo a Firenze. In aggiunta, l’esecuzione di A Change of Seasons, sia a Firenze che a Bergamo, perché nei concerti di febbraio a Milano e Bologna non era stata eseguita... giusto per rimanere in tema di rotating setlist e di dedizione per i fans. Ma, questa è un’altra storia! Tanto vi dovevo…

Nino Ninetto

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DEREK SHERINIAN Derek è senza dubbio uno dei tastieristi più

importanti dell’era moderna. Il suo talento è stato messo in evidenza attraverso la musica di Alice Cooper (che una volta lo chiamò “Il Caligola delle tastiere”), Dream Theater, Black Country Communion e la sua attuale band, i Sons Of Apollo. Inoltre, dimostrando quanto sia richiesto, è stato in tour ed ha registrato con i KISS, Yngwie Malmsteen e Billy Idol. Sherinian, negli ultimi due decenni, ha anche pubblicato una serie di album da solista. L’ultimo di questi è The Phoenix, il primo dopo Oceana del 2011. Perché un ritardo così lungo? Con le persone che scaricano la tua musica gratuitamente, i progressi con le registrazioni sono arrivati a un punto in cui non avevano più senso. Ho concentrato la mia energia creativa in altre aree. Ma poi ho avuto l’ispirazione di iniziare a lavorare su un nuovo album, così ho chiamato Simon Phillips, che per molto tempo è stato mio collaboratore e mentore per questi dischi. Era disponibile, quindi ho ottenuto un contratto con InsideOut e siamo partiti. L’iconico batterista Simon Phillips è stato una parte cruciale dell’intero processo, come lo è stato in cinque dei suoi album precedenti. È sempre un’esperienza straordinaria poter lavorare con Simon. È stato un mio eroe per molti anni, da quando l’ho sentito suonare nei dischi con Jeff Beck (“There & Back”, 1980) e Michael Schenker (“The Michael Schenker Group”, 1980). Si è rivelato preziosissimo per come questo nuovo disco è venuto fuori. Abbiamo scritto insieme la maggior parte del materiale e abbiamo co-prodotto il disco. Simon l’ha anche mixato. Oh, e suona la batteria ovviamente. Phillips non risparmia le sue lodi per Sherinian: Quando Derek mi ha chiesto di collaborare a questo album, ho detto subito “Sì!” Abbiamo una meravigliosa chimica nella composizione, l’abbiamo sempre avuta ed è stata una gioia lavorare su questi nuovi brani. Sento che tira fuori il meglio di me in termini di composizione, esecuzione e mixing. La collaborazione, semplicemente, funziona! Nell’album ci sono diversi ospiti di tutto rispetto, come già avvenuto in passato. Alcuni sono diventati collaboratori abituali nei suoi lavori da solista, come il bassista Tony Franklin (È stato su tutti i miei album fino ad oggi), Jimmy Johnson e Billy Sheehan; i chitarristi Joe Bonamassa e Zakk Wylde. Altri vengono accolti per la prima volta in questo gruppo. C’è il maestro Steve Vai: Steve è sempre stato sulla mia lista. Ma è stato solo nel 2017, quando ho suonato le tastiere nella leg asiatica del “Generation Axe Tour”, che gli ho chiesto di suonare in un mio disco e lui ha accettato volentieri. Sono presenti anche Ron Bumblefoot Thal e Kiko Loureiro: Kiko e io ci conosciamo da circa 20 anni. Ma questa è la prima volta che ho l’opportunità di suonare con lui. L’album è stato registrato in diverse località, tra cui lo studio casalingo di Sherinian a Los Angeles e quello di Phillips in California. Sono andato nello studio di Zakk, mentre Kiko è in Finlandia, quindi ha registrato le sue parti laggiù. Billy invece ha registrato a New York. Una delle tracce del disco è una cover: Abbiamo suonato un brano di Buddy Miles, “Them Changes” del 1970, che vede Joe Bonamassa alla voce; è l’unico brano di The Phoenix con una traccia vocale. Per me è stato speciale, perché con Buddy ho avuto la mia prima esperienza professionale e poterlo fare di nuovo è stato fantastico. Anche Joe e Simon l’hanno adorato, perché sono suoi grandi fan. Ad ogni chitarrista è stata data la libertà di esprimere se stessi in studio. Simon ed io avevamo realizzato in anticipo le linee melodiche per ciascuna delle canzoni. Ma abbiamo 32


Il ritorno della fenice incoraggiato tutti a scrivere gli assoli per conto proprio. Ognuno di loro è stato scelto per una canzone specifica e tutti sono stati davvero brillanti. Sono così fortunato a poter continuare a collaborare con musicisti così talentuosi. La traccia più lunga è Pesadelo, che dura otto minuti: L’ho scritta insieme a Kiko; il titolo è in portoghese e si traduce come “incubo”. Il titolo dell’album è il risultato di un post che Sherinian ha pubblicato sulla sua pagina Facebook, come sottolinea: Il tempo stava per scadere e l’etichetta mi premeva per trovare il titolo dell’album. Quindi, ho scritto su Facebook chiedendo ai fan di mandarmi suggerimenti. Ho ricevuto centinaia di risposte e le ho esaminate tutte. Ce n’era uno che si è distinto, ovvero The Phoenix, che mi è subito sembrato perfetto sotto tanti punti di vista. Ironia della sorte, questo suggerimento è arrivato da un mio amico. Non appena l’ho visto ho capito che, non solo portava il messaggio giusto per ciò che è sull’album, ma si prestava anche alla creazione di una grandiosa copertina. Sherinian è molto orgoglioso di ciò che rappresenta The Phoenix, soprattutto nel suo gioioso senso di diversità. Non è un album che dovrebbe essere paragonato a ciò che Sherinian ha fatto in precedenza. The Phoenix rappresenta ancora una volta la mia capacità non solo di essere un musicista camaleontico, ma anche la mia capacità di fondere il mio stile caratteristico con i migliori chitarristi del mondo, di diversi generi. Mi sento anche così fortunato ad avere Simon al mio fianco come partner, è così meticoloso in tutto ciò che fa ed è l’incarnazione dell’eccellenza musicale. Ha svolto un ruolo prezioso nel modo in cui tutto questo è stato realizzato. Sono molto soddisfatto del risultato di questo album. Quello che abbiamo fatto è sviluppare qualcosa che supererà la prova del tempo. Phillips è altrettanto entusiasta del suo ruolo: Derek ha un suono e uno stile esecutivo, unici e distintivi; è un piacere far parte della sua carriera da solista. Tracklist: 1. The Phoenix (Sherinian) - 05:24 2. Empyrean Sky (Sherinian, Phillips) - 03:56 3. Clouds of Ganymede (Sherinian) - 06:02 4. Dragonfly (Sherinian, Phillips) - 03:46 5. Temple of Helios (Sherinian, Phillips) – 06:01 6. Them Changes (Buddy Miles) – 05:28 7. Octopus Pedigree (Sherinian, Phillips) – 05:04 8. Pesadelo (Sherinian, Loureiro) – 06:55 Line-Up: Derek Sherinian – Keyboards, production Simon Phillips – Drums, mixing, production Zakk Wylde – Guitar (track 1) Ron ‘Bumblefoot’ Thal – Guitar (tracks 2, 5, 7) Steve Vai – Guitar (track 3) Joe Bonamassa – Vocals, Guitar (track 6) Kiko Loureiro – Guitar (track 8) Armen Ra – Theremin (tracks 1, 8) Billy Sheehan – Bass (track 1) Jimmy Johnson – Bass (tracks 2, 5, 7) Tony Franklin – Bass (tracks 3, 8) Ernest Tibbs – Bass (tracks 4, 6) 33


La recensione Se avesse dovuto scegliere un periodo ideale per lanciare un solo album Derek non poteva che farlo in un momento prolifico come questo; reduce dal successo ottenuto con la “superband” Sons of Apollo, Derek stavolta si ripresenta al pubblico con il suo ottavo lavoro solista intitolato The Phoenix, dopo ben nove anni dall’uscita di Oceana, e lo fa nel migliore dei modi, tracciando la line up assieme ad un musicista straordinario quale Simon Phillips ed accogliendo come special guest gente del calibro di Billy Sheehan, Ron “Bumblefoot” Thal, Kiko Loureiro, Steve Vai, Zakk Wylde ed altri ancora. L’album è una delizia per chi ama la musica fatta di virtuosismi e d’altronde, considerando la qualità stellare degli ospiti, non avrebbe potuto essere diversamente. La setlist è composta da otto tracce e si apre proprio con la title track, canzone dal puro animo hard rock dove Derek, come un vero samurai, usa i suoi lead come dei fendenti che disegnano assoli in un frenetico botta e risposta con la chitarra di Zakk. Empyrean Sky, di contro, esprime un animo un po’ più “fusion” sostenuto dall’accattivante groove di Simon Phillips e da un bellissimo assolo di hammond che Derek addomestica magistralmente. Si prosegue con Clouds of Ganymade, canzone sublimata dalla presenza dell’eterno Steve Vai; il mood del brano è sorretto da atmosfere più oniriche dove il costante fraseggio tra Derek e Steve si amalgama alla perfezione generando una vera perla musicale, da ascoltare tutta d’un fiato dall’inizio alla fine. Con Dragonfly si cambia ancora e ci si trova a sentire un Derek in versione unplugged unicamente al pianoforte acustico senza alcun synth di contorno. Si può chiaramente percepire la “chimica” tra Derek e Simon sostenuti da linee di basso abilmente tracciate da Ernest Tibbs in un affascinante gioco di dinamiche, colori e di chiare influenze jazz. Giungiamo a Temple of Helios, qui Derek torna alla ribalta con i suoi sintetizzatori ed il suo hammond con cui ci regala uno strabiliante assolo; il drumming di Phillips è di altissimo livello ed il pezzo è un vero inno al progressive rock che piacerà tanto agli amanti del genere. Con Theme Changes Derek rende omaggio a Buddy Miles, mentre Joe Bonamassa ci ricorda di essere un ottimo cantante oltre che un chitarrista fenomenale; assieme i due artisti re-interpretano il brano con grande disinvoltura e con un animo soul che ispira profondamente la loro performance. Octopus Pedigree giunge senza attimi di esitazione riportandoci al puro progressive; ancora una volta pazzesco il groove di Simon Phillips a sostegno degli intricati assoli e dei dark riff di Bumblefoot, con melodie un po’ esoticheggianti che fanno riaffiorare echi del passato portando la nostra memoria ai favolosi Planet X. L’album giunge alla sua chiusura con Pesadelo, il brano della maggior durata, in cui Derek e Loureiro sfoggiano le loro virtuose abilità sulle note di un tema molto variopinto che alterna momenti di progressive metal con influenze latine che sfociano in un piacevole intermezzo acustico di flamenco; a suggellare la chiusura del pezzo, il suono sensuale del Theremin con cui Armen Ra ne accompagna le note finali. The Phoenix è un lavoro eclettico, variegato, che risente di innumerevoli elementi musicali quali jazz, rock, metal, progressive, latin, rispecchiando profondamente la personalità del suo autore. Derek è artista capace di sfruttare a proprio favore questo eccletismo musicale adattandosi in maniera strabiliante ad ogni genere musicale e trovando in Simon Phillips un fedele compagno di viaggio che lo ha magistralmente guidato nella realizzazione di un lavoro più che riuscito. Ignodreamers 34


La fanza era quasi pronta, i contenuti c’erano tutti ed avevamo iniziato da poco ad impaginarla, quando, come un fulmine a ciel sereno (si fa per dire… dato che c’era già qualche indizio in giro) ecco arrivare dritta sulle nostre teste LA BOMBA. La notizia, musicalmente parlando, più importante dell’anno arriva proprio alle fine di questo 2020; ovvero, quello che più o meno tutti i fan attendevano è diventato finalmente realtà. L’annuncio di un nuovo album dei Liquid Tension Experiment, sotto una nuova etichetta. Il leggendario supergruppo formato da Mike Portnoy, John Petrucci, Jordan Rudess e Tony Levin ha firmato un contratto con InsideOutMusic per la realizzazione del loro terzo album in studio. La pubblicazione è prevista per la primavera del 2021, ben 22 anni dopo il loro ultimo album. Un’eternità in un mondo, quello del business musicale, che al giorno d’oggi viaggia ad una velocità impressionante e che macina e fagocita come se niente fosse gli artisti che non stanno al passo. Ma loro, i quattro moschettieri del jazz-fusion-latin-progjam-metal strumentale si sono presi tutto il loro tempo, tutto quanto era loro necessario perché potessero dire che adesso è veramente il momento giusto per farlo! “Cosa succede quando riunisci nella stessa stanza quattro tra i più talentuosi musicisti del pianeta? La risposta è semplice, LTE. Abbiamo atteso questo disco per parecchi anni e poterlo pubblicare ci rende incredibilmente orgogliosi. È dedicato a tutti i fans” - Thomas Waber, label manager di InsideOutMusic. “Conosciamo molto bene Thomas Waber da diversi anni, io e Jordan ci siamo resi conto quanto fosse bello poter lavorare con lui quando i Dream Theater sono entrati nella famiglia di InsideOut pochi anni fa. Credo sia l’etichetta più adatta al caso nostro, e non vediamo l’ora di creare qualcosa di incredibile insieme” - John Petrucci. “Io e John conosciamo Thomas Waber da quando lo incontrammo durante il primo tour europeo dei Dream Theater, risalente al 1993. Nel corso degli ultimi 20 anni ho lavorato assieme a lui ed InsideOut con i Transatlantic, The Neal Morse Band e Sons of Apollo. Quando i LTE si sono riuniti quest’estate sapevamo che non c’era nessun’altra etichetta che avremmo potuto chiamare casa” - Mike Portnoy. Ma chi sono i Liquid Tension Experiment? Per chi non li conoscesse abbastanza, prima di poter parlare del nuovo lavoro, che fino alla prossima primavera non potremo ascoltare; facciamo un breve riassunto delle puntate precedenti. La genesi dei Liquid Tension Experiment affonda le proprie radici nel 1996, quando la Magna Carta (etichetta indipendente fondata nel 1989 da Peter Morticelli e Mike Varney che produce principalmente artisti prog rock e prog metal) affida a Mike Portnoy il compito di assemblare un paio di “super gruppi”. Nonostante un iniziale rifiuto di quest’offerta, alla fine Mike accetta di mettere insieme un super ensemble. Per buona parte del 1997, Mike si spende in molti tentativi di mettere insieme il gruppo ma la maggior parte fallisce a causa di un problema fondamentale: la mancanza di un membro. Se da un lato infatti, riesce subito ad ingaggiare un bassista ed un tastierista, rispettivamente Tony Levin e Jordan Rudess, ciò che manca è sempre un chitarrista. Nel suo video Liquid Drum Theater Mike ha dichiarato che la sua prima scelta per


il ruolo di chitarrista era Dimebag Darrell, seguito poi da Steve Morse e Jim Matheos, ma tutti questi, invitati a prendere parte al progetto, non possono accettare l’offerta a causa di impegni ed attività già programmate che non si conciliavano. Nella primavera del 1997, nonostante l’intenzione di Mike di tenere il progetto completamente distinto dalla sua band madre, decide di chiamare John Petrucci, il quale accetta e così il gruppo è finalmente al completo, pronto per iniziare a lavorare all’album di debutto. L’idea, o il concept, è di scrivere, provare e registrare il tutto in una settimana; l’intero processo infatti viene completato dal 20 al 25 settembre 1997. L’album, senza un vero titolo, ma identificato semplicemente con il nome del gruppo, verrà poi pubblicato l’anno successivo, nel marzo 1998. Gli straordinari risultati ottenuti da questo “tentativo” soddisfano talmente tanto i membri della band e della Magna Carta, che decidono di registrare un altro album. Ad ottobre 1998 la band si ritrova e nell’arco di due mesi scrive e registra LTE 2, il quale uscirà poi a giugno 1999. Come mai questa volta la lavorazione dura “così tanto”? C’è un episodio particolare che accade durante le sessioni in studio e che giocoforza rallenta i lavori; infatti dopo pochi giorni dall’inizio, Petrucci abbandona temporaneamente lo studio per stare vicino alla moglie Rena, la cui gravidanza si è un po’ complicata portando ad un parto prematuro. Durante questo periodo di assenza del chitarrista Mike, Tony e Jordan non si fermano e dato che ormai lo studio è prenotato e tutte le attrezzature predisposte, da grandi artisti quali sono continuano a provare e fare jam. Da queste sessioni prenderanno forma poi alcuni brani che, con l’aggiunta delle chitarre, finiscono nell’album (914, Chewbacca, Liquid Dreams). La band suona anche dal vivo per un paio di concerti alla fine di gennaio 1999. Il successo ottenuto e l’affiatamento raggiunto, spinge Portnoy e Petrucci a chiedere a Jordan Rudess, ancora una volta ed ancora più convinti che sia l’uomo giusto; di entrare nei Dream Theater. Il resto è storia e la conosciamo molto bene. Mike dirà in seguito che 3/4 dei LTE confluiti nei Dream Theater abbiano di fatto messo la parola fine su questa esperienza, in quanto non ci sarebbe più stata quella differenziazione che invece deve caratterizzare un progetto parallelo. Quasi dieci anni dopo lo scioglimento, alla fine del 2007, dopo vari problemi e rapporti burrascosi tra Mike e la Magna Carta (pare che l’etichetta contestasse a Mike di aver inserito, senza permesso, alcuni brani dei LTE nel dvd Liquid Drum Theater), è stato pubblicato un terzo album in studio con nuovo (vecchio in realtà, ndr) materiale, intitolato Spontaneous Combustion e accreditato ai Liquid Trio Experiment, il quale però non riceve l’accoglienza sperata da parte del pubblico e della critica. Si tratta dei restanti brani e delle jam nate dalle sessioni in studio del “trio” Portnoy/Levin/Rudess orfani di Petrucci. Questo disco è stato pubblicato soltanto grazie alla perseveranza di Mike ed alle sue registrazioni live personali su DAT, in quanto la Magna Carta sosteneva che i nastri master originali erano scomparsi in circostanze non proprio chiare e non voleva far uscire un prodotto con una qualità sonora, a detta loro, non perfetta. Lo stesso Mike dice a proposito di quelle tracce: “credo che siano abbastanza interessanti da poter essere pubblicate, ma Magna Carta non è d’accordo. Dato che sono tutte jam improvvisate, c’è una bella “rudezza” nei mix live che mi piace molto. Penso che ci siano delle cose incredibilmente interessanti che abbiamo registrato noi tre e sarebbe un peccato non vedessero mai la luce del giorno. Si spera che uno di questi giorni la Magna Carta faccia qualcosa al riguardo”. Nel 2008, per festeggiare il decimo anniversario del primo album, i quattro musicisti si riuniscono per un breve tour americano da cui sono tratti gli album live in New York City, L.A. e Chicago (questo accreditato a “Liquid Trio Experiment 2” in quanto durante quel concerto, la tastiera subisce un black out, ma gli altri tre 36


continuano a suonare jammando, in attesa del ritorno sul palco di Jordan il quale invece, passerà il resto del concerto al telefono con i tecnici di Roland cercando, invano, di risolvere il problema) che compongono anche il cofanetto, ormai esaurito, LTE Live 2008 e pubblicati dall’etichetta dei DT, Ytsejam Records/Lazy Tomato Entertainment. Dicevamo degli indizi che erano già stati sparsi. Negli ultimi anni le richieste dei fans si sono fatte molto pressanti su ognuno dei membri della band e non sono mai mancate neanche le domande da parte dei giornalisti sulla possibilità di una reunion. In una intervista del 2019 Jordan dichiara: “Tutti noi saremmo d’accordo in una reunion. Siamo convinti che sarebbe una bella cosa, si tratta di trovare il tempo per farlo. Ognuno di noi ha una lunga lista di cose che deve o vuole fare, ma vogliamo questa cosa e credo che prima o poi si farà. La cosa complicata è incastrarla tra i nostri impegni”. Anche Petrucci sulla stessa lunghezza d’onda: “So che i fan apprezzerebbero, ma non ne abbiamo parlato molto perché siamo tutti molto impegnati ed abbiamo un tour in partenza. Ma siamo amici, siamo tutti in contatto e aperti a questa possibilità, quindi sono sicuro che ad un certo punto sia qualcosa che tutti vorrebbero fare.” Ancora Jordan, nel maggio 2020 in un video messaggio registrato per Cameo (un portale dove gli utenti possono richiedere, pagando, a varie celebrità di registrare brevi video messaggi personalizzati), si dimostra possibilista: “stiamo guardando in base ai nostri impegni. Con la pandemia è un po’ difficile riuscire ad organizzare un incontro, ma ci sono buone possibilità.” Petrucci invece, a specifica domanda, si trincera dietro un “non posso dire niente” che alle nostre orecchie è suonato come una sorta di silenzio-assenso. Poi, nei primi giorni di dicembre 2020 avviene la svolta decisiva; Tony, Jordan, John ed infine Mike, pubblicano sui loro profili social, a distanza di un paio d’ore l’uno dall’altro, delle immagini, senza alcuna didascalia ad accompagnarle, che li ritraggono con delle mascherine a coprire i rispettivi volti, etichettate con le lettere L - T - E – 3. A queste è seguita poi la foto della band al completo a svelare, finalmente, un messaggio inequivocabile. Ora, con il mondo “bloccato” e i calendari inaspettatamente allineati, l’inconcepibile è finalmente accaduto... un nuovo album targato Liquid Tension Experiment. Andrea


...E anche stavolta è andata, quante volte con il mio “socio” David ce lo siamo ripetuti abbracciandoci, davanti alle nostre auto piuttosto che in una stazione, ogni volta che abbiamo concluso una iniziativa del fanclub sia essa il preascolto di un disco, un raduno con l’immancabile concerto dei nostri amati DT o una qualche “missione per conto di Dio”; salutandoci e dandoci appuntamento alla prossima avventura. E così anche questa fanza l’abbiamo portata in fondo e chiusa. Un altro anno giunge al termine, un altro anno passato in compagnia dei nostri beniamini; purtroppo però, solo fino ad un certo punto; un altro anno di vita del fanclub se ne va in archivio, con la speranza che si possa tornare al più presto ad abbracciarci, gioire, piangere ed emozionarci tutti insieme come è normale che sia quando c’è di mezzo la musica, lasciando da parte problemi, scontri, litigi e polemiche sterili. Come ogni volta, giunti fin qui voglio ringraziare un po’ di gente che ha condiviso qualcosa con noi, oltre ovviamente alla passione per i DT. Ringrazio infinitamente, ogni volta sempre di più, i Dream Theater, John Petrucci, John Myung, Jordan Rudess, Mike Mangini, James Labrie, senza dimenticare chi è passato dalla famiglia, ma non è rimasto: Mike Portnoy, Derek Sherinian, Kevin Moore e Charlie Dominici; senza di loro, oggi noi non saremmo qui. Un saluto ed un ringraziamento, anche a chi ha dato il là al fanclub e continua a supportarci, consigliarci ed aiutarci, ovvero Marco Petrini, Simone Fabbri e Matteo Santoro. Un ringraziamento speciale a chi ha contribuito, con un po’ del suo tempo o con i suoi lavori a questo numero di YtseMagazine: Johnny, Igno, Gabriele Pirovano e Mario Masala; Nidhal Marzouk fotografo ufficiale dei DT ed Anne Marie Forker (www.forkerfotos.com) per averci permesso di utilizzare alcuni dei loro bellissimi scatti, così come tutti quei fotografi che non abbiamo potuto accreditare. Doveroso citare e ringraziare anche le fonti delle interviste originali di Petrucci, Labrie e Myung che sono state reperite dai seguenti portali web: revolvermag.com, ultimateguitar.com, The Eddie Trunk Podcast, Young Guitar YouTube channel, Music Is Win YouTube channel – Guitar Villains ep. 1, Premier Guitar YouTube channel - Wong Notes Podcast S2E1, United Rock Nations YouTube channel, Sonic Perspectives YouTube channel, The Everyman Podcast #94. Grazie infine a tutti voi che ci leggete e che animate costantemente la nostra community online; come sempre vi invito, una volta che questa fanzine sarà pubblicata, a commentarla ed a lasciarci suggerimenti, critiche, opinioni, in modo da migliorarci sempre di più. Un abbraccio Andrea

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