YtseMagazine n. 3 - dicembre 2019

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Numero 3 - Dicembre 2019


YtseMagazine n. 3 Dicembre 2019 YtseMagazine è una pubblicazione YtseItalia 2.0 Fan club ufficiale italiano dei Dream Theater. YtseItalia 2.0 opera senza alcuno scopo di lucro e non rappresenta una testata giornalistica, in quanto pubblica contenuti senza alcuna periodicità regolare. YtseMagazine non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della Legge n. 62/2001. YtseItalia 2.0 Staff Andrea Mancini David Cangi Johnny Bros Hanno collaborato a questo numero: Daniele Caruso Emiliano Maiello Francesco Rossi Marco “Petrus” Petrini Matteo Santoro Traduzioni a cura di: Gabriele Pirovano Luis Miguel Ordóñez Foto e immagini: Alberto Gandolfo Alex Matthews Andrea Mancini Andrew Lepley Daniele Caruso Francesco Rossi François Jorge Jerry LoFaro Johnny Bros Kiara Petrucci Marco Petrini Matt Schieferstein Mike Portnoy Archivio Italian Dreamers Alcune foto sono state reperite in internet senza possibilità di accredito, e quindi valutate di pubblico dominio. Qualora i legittimi autori lo richiedessero provvederemo alla loro rimozione.

l’EDITORIALE di Matteo Santoro Ci sono cose che non durano lo spazio di un battito d’ali ed altre che rimangono nella memoria

dei più per molto, moltissimo tempo. Ci sono periodi della vita di un’artista in cui ispirazione e idee sembrano sgorgare come acqua sorgiva. Acqua fresca, trasparente, dissetante. Nel decennio che va dal 1992 al 2002 i nostri ci regalano tre capolavori assoluti (Images And Words, Awake e Scenes From A Memory, ma io ci metterei pure Six Degrees Of Inner Turbulence) raggiungendo vette compositive mai più riscontrate negli album successivi, se non in sporadiche occasioni. Ci sta, gli anni passano per tutti. Il peso di dover confermare il proprio marchio di fabbrica, di marcare il territorio, di non voler deludere la loro affezionata fanbase ha prodotto un appiattimento ed un inaridimento della vena artistica. Non del tutto, per fortuna, ma questo lo scopriremo solo vivendo. Ancora per pochi giorni scorre il 2019, vent’anni da un disco che ha segnato la mia vita ed, immagino, anche le vostre. La mente scorre indietro nel tempo: un paio di giorni prima dell’uscita dell’album, Mike Portnoy ci mandò le istruzioni per scaricare i files mp3 del disco, privilegio riservato ai soli responsabili dei Club sparsi per il pianeta. Fu una botta clamorosa. Potrete immaginare cosa provammo, Marco, Simone ed io, ognuno a casa propria, allo scorrere delle note. Per un paio di giorni, ricordo, ebbi difficoltà di memoria. Non riuscivo ad ascoltare nessuno. La gente mi parlava, flettevo la testa per far capire che avevo intuito ma, in realtà, non era così. Avevo solo le tracce di SFAM nel cervello. Tra l’altro vivevo un periodo difficile: avevo da poco ceduto il mio negozio di dischi. Quello che avevo costruito con tanta passione era passato di mano. Il Riff Raff non era più cosa mia. Per cui adottai SFAM quasi fosse un figlio acquisito e non lo mollai più. Pochi giorni dopo ci giunge notizia che John Petrucci il 26 ottobre 1999, giorno di uscita del disco negli USA, in Italia il giorno dopo, avrebbe tenuto un clinic a Bologna, bissato il giorno successivo a Montebelluna (TV). Presto fatto. Si organizza per la sera stessa il party del Fan Club allo Psycho Circus. Il resto è storia. Preascolto dell’album


ed incontro con John che fino alla 1 di notte firma autografi e scatta foto con chiunque gli si parasse di fronte. Il savoirfaire e la professionalità non gli hanno mai fatto difetto, ma lì si superò. Sono lontani quegli istanti ma sono scolpiti su pietra e quando io e John ne parliamo basta uno sguardo di complicità per complimentarci per la riuscita dell’evento. Finisco con un appunto sui social: ai bei tempi non esistevano. Ci si confrontava quando ci si vedeva e il clima non era così avvelenato. Oggi è una guerra. Ci si scontra su tutto. Ognuno vuol dire la propria. Sacrosanto, ma deve esserci un limite. Rispettare i limiti è segno di intelligenza. Quando si valicano questi limiti si entra in meandri pericolosi che, spesso, sfociano in offese, ingiurie. Quando non si conoscono i fatti logica vorrebbe che si facesse silenzio. Il silenzio… Gran cosa il silenzio. Recentemente ho visto insultare alcuni dei nostri beniamini, segnatamente Mike Portnoy e James LaBrie. Al primo sono stati affibbiati aggettivi tipo borioso, prepotente, dispotico, dittatoriale e l’argomento verteva sui motivi della sua dipartita e sui continui rumours di una sua eventuale ricongiunzione. Al secondo gli han dato dello “scoppiato”, “pallone gonfiato”, “campana stonata”, per via delle ultime esibizioni magari non proprio esaltanti. Dico solo questo: giù le mani dai due! Ci si vede a Febbraio.


METROPOLIS 2019 26/10/1999 - 26/10/2019 Ebbene, ci siamo. È arrivato il giorno... oggi “Scenes From A Memory” compie vent’anni! (ovviamente, non oggi in senso letterale per voi che state leggendo la fanzine, ma riferito al momento in cui scriviamo queste righe, ndr) Molti dreamer di vecchia data ricordano perfettamente il 26 ottobre di vent’anni fa, quando questo disco fece la sua comparsa sugli scaffali dei negozi di dischi, per poi finire, da lì a poco, nei loro lettori cd. L’emozione fu enorme, soprattutto se si ripensa ai tempi in cui internet, per molti, era ancora un miraggio e quindi non era così semplice essere costantemente informati su cosa stava facendo la propria band preferita. Immaginate quindi cosa significasse, per un fan dei Dream Theater, vedere sulla copertina del disco il ritorno, dopo la parentesi di Falling Into Infinity, del logo storico della band e, soprattutto, quel nome... METROPOLIS... sensazioni che sarebbero state confermate e poi amplificate all’ennesima potenza al momento dell’ascolto dell’album. È inutile dilungarsi sui dettagli del disco; tutti voi conoscete la storia che sta dietro al concept ed a quali film è ispirata. Sapete qual è stata la genesi dell’album e in quale particolare momento della storia dei DT è uscito. Ma se proprio non lo sapete e non resistete alla voglia di sapere, vi basterà sfogliare le prossime pagine per farvi un bel tuffo nel passato tra storia, racconti, aneddoti di chi c’era e qualche curiosità. Noi, adesso, vorremmo però soffermarci su quello che questo album ha rappresentato per ognuno di noi e ognuno di voi. Molte persone considerano SFAM il disco migliore dei Dream Theater, molti lo considerano addirittura il loro disco preferito in assoluto. E non è raro che in tanti si ricordino esattamente il momento in cui l’hanno ascoltato per la prima volta, quando sono rimasti spiazzati da quel ticchettio iniziale e da quella voce rilassante, che da lì a poco li avrebbero trascinati all’interno di un viaggio di 77 minuti. E questo vale sia per chi l’ha ascoltato per la prima volta nel lontano 1999 e chi, magari per questioni anagrafiche, oppure perché semplicemente si è avvicinato ai DT solo in un secondo momento, lo ha scoperto solo pochi (o molti) anni più tardi. In ogni caso, oggi, più che mai, sarà doveroso dare un ascolto a questo disco, magari bevendosi una birra o una coca cola, o un thè caldo, da soli o in compagnia delle persone a cui volete bene... purché la cosa venga fatta in rigoroso e religioso silenzio. E magari provando a far finta di tornare a 20 anni fa, quando per la prima volta avete sentito quella frase: “Close your eyes and begin to relax...” Anche dopo 20 anni, non ci stancheremo mai di ringraziare i Dream Theater per averci donato questo capolavoro. E voi? Quali sono i vostri ricordi e, soprattutto, le vostre emozioni legate a “Scenes From A Memory”? Johnny



RETURN TO ECHO’S HILL Testo originale di Emiliano Maiello, aggiornato e rivisto da Andrea Mancini

Per capire quale era la situazione nella band prima di SFAM, dobbiamo fare un salto indietro di quasi 2 anni. Nel settembre 1997 infatti vede la luce “Falling Into Infinity” il loro quarto album in studio dopo Awake che uscì 3 anni prima. La loro immagine ed il sound del disco sono molto diversi da quelli a cui la band aveva abituato i suoi fans e così scoppia subito una polemica su chi ritiene l’album una semplice svolta commerciale e chi invece sostiene che è solo un cambio di rotta sperimentale. Nonostante ciò l’album vola subito nei posti più alti delle classifiche arrivando 5° persino in Italia e rendendo possibile a novembre un nuovo tour mondiale. Ormai la loro popolarità in Europa ha decisamente superato quella che hanno in America, ed il nuovo tour ne è la riprova: mentre tutta la sezione americana del “Touring Into Infinity ‘97-‘98” continua a svolgersi nei soliti club in cui suonano ormai da 10 anni, in Europa i luoghi dei loro concerti sono diventati sempre più grandi. Il 1998 la band lo spende quasi interamente in tour. Le scalette variano moltissimo di sera in sera poiché ormai l’affiatamento all’interno della band è tornato quello di un tempo e quindi ci vuole poco con la loro intesa a cambiare un pezzo poche ore prima dell’inizio di un concerto; i brani di Falling vengono eseguiti tutti nell’arco dei 12 mesi del tour, così come non mancano momenti goliardici (a volte come bis finale eseguono Perfect Strangers dei Deep Purple scambiandosi tutti i rispettivi strumenti e definendosi scherzosamente i “Nightmare Cinema”), improvvisazioni, cover, riarrangiamenti dei vecchi classici ed anche molti dei brani rimasti fuori dall’album, per i ben noti motivi, vengono eseguiti e fatti conoscere ai fans. In Italia purtroppo suonano la solita unica data in un palazzetto dello sport che questa volta non è neanche a Milano bensì a Pordenone il 2 aprile; ma la fedeltà dei fans italiani è tale che, nonostante la lontananza del luogo dal resto dell’Italia, la serata registra ugualmente il sold out. Dopo un paio di mesi, il 13 giugno, Juice Malouse, ovvero John Myung torneranno a Torino per suonare nel riesumato “Monsters alle tastiere durante una performance of Rock”, ma la dipartita dei Van Halen come headliners, la del Nightmare Cinema scelta di un posto al chiuso (il Palastampa) e la pessima resa sonora del luogo renderanno il concerto tutt’altro che eccitante. Il concerto decisamente più importante dell’anno resta quello del 22 Giugno al Nighttown Club di Rotterdam, luogo dove la band organizza una performance speciale solo per gli iscritti ai vari fan club ufficiali, presentando una scaletta particolarissima su di un palco illuminato da sole candele con al centro un divano per i musicisti non impegnati nei pezzi. Il concerto viene registrato sia in video che in audio per poterne utilizzare alcune tracce su future uscite discografiche, ma purtroppo non verrà mai editato nella sua interezza se non su qualche famosissimo bootleg (uno


su tutti quello intitolato Nighttown Nostalgia; chi lo trovasse “originale” non se lo lasci sfuggire). La performance è decisamente ai massimi livelli e la scelta dei pezzi è emozionante. Settembre viene speso tutto sul nuovo imminente album dal vivo che hanno intenzione di pubblicare. La scelta cade sulla serata del 25 giugno al teatro Le Bataclan di Parigi per il doppio cd “Once in a LiveTime”, mentre montano una videocassetta di oltre 2 ore intitolata “Five Years in a LiveTime” che racconta con le immagini, tutto Concerto a Pordenone 2 aprile 1998 quello che è successo negli ultimi 5 anni della loro vita. Le due uscite sono pensate come un unico acquisto visto che sul video ci sono molte delle tracce lasciate fuori dal cd più una serie di spezzoni live e studio report, mentre sul doppio cd è inciso quasi tutto il concerto tenuto a Parigi. È senza dubbio un evento per tutti i fan della band visto che questo è il primo vero disco dal vivo se non si calcolano i due piccoli EP usciti nel ‘93 e nel ‘95, ma in realtà sono in molti a pensare che il periodo migliore della band che meritava di essere immortalato su un live sia già passato. Non mancano anche altri impegni e progetti paralleli: Petrucci, Portnoy e LaBrie trovano il tempo di partecipare ad un altro disco tributo per la Magna Carta che questa volta decide di fare un omaggio ai Queen riunendo molti artisti della scena metal e progressive. Troviamo Myung e Sherinian su “When Pus Come To Shove” dei Platypus, ovvero i due membri dei Dream con Ty Tabor alla voce e Morgenstein alla batteria; poi Petrucci e Portnoy che insieme a Tony Levin e Jordan Rudess in una sola settimana registrano il bellissimo “Liquid Tension Experiment”. James partecipa anche al primo concept album degli Shadow Gallery cantando su un brano. Ultimo in ordine di uscita il cd con i membri dei Magellan, Yes, Royal Hunt ed altri, dove James canta due tracce mentre Derek e John Petrucci suonano dei meravigliosi assoli, il cd si chiama “Age of Impact” e la super band formata per l’occasione Explorer’s Club. Come nelle migliori tradizioni la band decide di chiudere questo fantastico anno di tour ed uscite discografiche con il solito mini tour speciale natalizio nei dintorni di casa loro; così organizzano “An Intimate Evening with Dream Theater Shows” che durerà solo per 5 concerti suonati tra il 26 ed il 30 Dicembre. Il nuovo anno (1999) inizia in modo quanto mai movimentato poiché già dai primi giorni del mese di gennaio cominciano a circolare voci riguardo ad una possibile dipartita di Derek dalla band, voci che vengono rapidamente confermate. Il 18 gennaio viene infatti emesso il comunicato ufficiale. Le ragioni sono chiare e semplici, ovvero la band ritiene che Jordan Rudess (il

Foto promozionale della nuova line up


quale aveva appena finito di lavorare con loro in studio per il secondo capitolo del progetto “Liquid Tension Experiment”) sia più adatto al sound che la band sta decidendo di intraprendere e quindi licenzia Derek che già da qualche tempo si stava preparando un suo progetto solista. La cosa stupisce i fans che quindi non possono che attendere l’uscita del nuovo album per avere una conferma od una smentita al riguardo, e per ingannare l’attesa i mesi che precederanno la data di uscita del cd saranno accompagnati da una serie di uscite discografiche parallele. A fine Gennaio Portnoy, Petrucci, Rudess e Tony Levin decidono di suonare alcune date dal vivo in America, come Liquid Tension Experiment, presentando oltre i pezzi del primo cd anche tracce inedite del nuovo lavoro che sarebbe uscito solo nel mese di giugno. Il nuovo album avrà una gestazione lunga e dolorosa visto che potrebbe essere il disco del trionfo oppure la conferma che molti attendevano sull’esaurimento della vena creativa della band. In via del tutto eccezionale Mike registra con la sua telecamera un breve estratto della giornata tipo che la band passa in studio durante la registrazione, e lo invia ai ragazzi dell’Italian Dreamers come omaggio da far visionare a tutti i partecipanti alla nuova festa messa in piedi ed organizzata dal fan club al Frontiera di Roma nel mese di maggio. Durante la festa verranno fatti ascoltare in anteprima i pezzi del nuovo Liquid Tension Experiment 2 e verranno proiettati i 7 minuti video spediti da Mike, con un’entusiasmante saluto al pianoforte di Jordan, che toglie a molti i dubbi sulle sue capacità tecniche. Il progetto Liquid Tension Experiment 2 arriva sul mercato proprio alla fine della primavera del ‘99 e risulta a tratti quasi più entusiasmante del primo, confortando ed allo stesso tempo preoccupando tutti i fan in attesa del nuovo album (se suonano così “prog” in un progetto parallelo allora il disco sarà così? Oppure suonano questo fuori dal gruppo perché ormai i Dream non suoneranno mai più in questo modo?). Fortunatamente l’uscita di “Scenes From A Memory” mette l’anima in pace a tutti, ammiratori e detrattori della band; il disco è un vero e proprio “concept album” con una storia complessa che si ricollega al loro vecchio capolavoro “Metropolis part.1”, è melodicamente ispiratissimo, tecnicamente ineccepibile e con una ventata di freschezza che tanto mancava al precedente FII. La band torna subito in tour come di consueto e durante un freddissimo novembre organizza un breve tour europeo con una tappa al Filaforum di Milano. Le vendite del disco andranno molto meglio del previsto, così come i concerti che saranno quasi sempre sull’orlo del sold out in luoghi dalla capienza tutt’altro che contenuta. La band durante il biennio 99-2000 suonerà ben 6 concerti in Italia totalizzando più di 75.000 paganti e sicuramente tra tutta quella gente c’erano anche molti di voi che ora siete qui a leggere queste righe… Degno coronamento per un tour ed un album trionfali, il maestoso concerto al Roseland di New York del 30 agosto 2000 immortalato nel dvd e triplo cd “Live Scenes From New York” che tutti conosciamo.


Inside “Scenes From A Memory” Opera frutto di notti insonni di Marco “Petrus” Petrini testo originariamente pubblicato su Metropolzine n. 6 dicembre 1999 Visto il mio mestiere non potevo scegliere un titolo più tecnico ma, questo documento contiene qualcosa che sicuramente interesserà tutti voi iscritti a questo fan club. Tutto inizia il 28 agosto alle ore 2.00 di New York; mentre tutti noi siamo persi nell’inconscio dei sogni c’è chi in quel momento festeggia... arriva un messaggio di Mike Portnoy nella mia casella vocale... l’album è finito, mixato, pronto a essere distribuito; i Dream Theater stanno per intraprendere un viaggio che li condurrà dritti dritti nell’olimpo degli dei del prog, popolato da Pink Floyd, Yes, Rush, Queensryche, Genesis e pochi altri eletti. Tre mesi di TOP SECRET: la tensione è tanta ma la band sembra non volersi sbilanciare nemmeno con noi dei fan clubs; l’unica rivelazione è il titolo “Scenes From a Memory”. Dopo aver fantasticato su questo valoroso indizio per una settimana, il 4 settembre il cd dei nostri sogni arriva in casa mia creando lo scompiglio nella mia mente. Dalla tracklist ho conferma delle mie supposizioni: è un concept album e dopo 3 secondi mi accingo ad ascoltare attentamente il nuovo lavoro. 22 dicembre: sono ormai trascorsi 4 mesi, ci sono stati 4 clinic da urlo e un concerto grandioso ma dentro al mio lettore cd c’è ancora lui, “Metropolis 2: Scenes From A Memory”; il motivo? Capire ogni singolo passaggio per darvi le più ampie delucidazioni su questo album/thriller mozzafiato. Sono servite diverse chiacchierate con Mike e con John durante i clinic, le mail di Jordan, una telefonata con James e mezzora in camerino con John Myung per avere tutte queste notizie, ma sono fiero adesso di potervi dare queste spiegazioni. Spiegazioni che tutti ci state chiedendo da due mesi; chi ha ucciso Victoria? Nicholas, Julian, il maggiordomo o il gatto Nando? Ma veniamo a noi... siete pronti? Contate fino a dieci liberando la vostra mente e tra pochi minuti tutto vi sarà più chiaro. Era il 1993 quando Metropolis pt.1 fece impazzire la platea di Milano dopo la sua comparsa su Images and Words. Spero che tutti voi conosciate la storia di quel brano. I Dream lo avevano composto 5 anni prima, ed era solo strumentale. Per inserirlo in Images serviva un testo e il signor John Petrucci decise di narrare le vicende di due gemelli The Miracle e The Sleeper che, confinati nella stessa mente, scoprono che l’amore non è altro che una danza infinita… The Dance Of Eternity. 1996: “serve qualcosa per stupire i nostri fans... da poco è uscito A Change Of Seasons ma i fans là fuori vogliono di più... non si può chiamare un brano “part 1” senza far capire che ci sarà un seguito!” Mike Portnoy commenta così gli albori di questo album. Già sapevamo dell’esistenza di un demo di Metropolis part 2; Derek Sherinian completamente ubriaco la sera prima della presentazione di Falling Into Infinity ci confessa di aver scritto lui stesso alcuni passaggi di chitarra per John. Lione 1998, John Petrucci suona un accenno di Metropolis 2 durante il soundcheck ma ci prende in giro... solo un mese prima in Giappone aveva fatto assaggiare a tutta la platea alcuni scorci di Home e Beyond This Life ...ovviamente nessuno sapeva di cosa si trattasse e ce ne rendiamo conto solo ora ascoltando i bootlegs di quei concerti... che bastardi!!! Ma queste sono chicche per pochi, la vera storia inizia a febbraio 1999, Derek era fuori dalla band poiché Jordan Rudess di li in seguito avrebbe avuto il tempo di dedicarsi ai Dream Theater. Il LTE 2 sarebbe uscito a breve e prometteva molto bene, James aveva appena finito di registrare il suo album solista e John Myung usciva dagli studi con in mano il demo di Platypus 2. Dopo il meritato riposo arriva il momento di riunirsi per decidere che tipo di album fare... “eravamo emozionatissimi,


sapevamo di dover riconquistare molti fans ma eravamo anche consapevoli di non avere nulla in mano, abbiamo voluto scrivere un album intero in studio e quindi abbiamo deciso di tornare alla nostra “Home”: il BearTracks nelle campagne di New York” John Petrucci sembra fiero di raccontarci queste cose. “Il primo giorno di studio abbiamo fatto un altro briefing e ci è venuta l’idea; a dire il vero l’idea vagava in me ma non avevo il coraggio di farla diventare realtà: tutti i grandi gruppi hanno composto un concept album... perché non farne uno anche noi?” “Le tonnellate di mail che mi arrivavano dai fans dopo il tour di Falling dicevano tutte la stessa cosa: Metropolis pt. 2” dice Mike “abbiamo riascoltato il demo registrato con Derek ed estrapolato le parti più interessanti, aggiungendo alcuni pezzi scritti completamente in studio.” “Sono rimasto in studio con i ragazzi durante tutto il primo mese, poi sono tornato in Canada per lavorare al fianco di Terry Brown per le linee melodiche di questo album” chi parla è James LaBrie emozionatissimo al telefono con noi. In maggio I BearTracks Studios sul retro di copertina di Scenes arriva la prima mazzata sui denti: Mike ci manda un bellissimo video per la nostra notte al Frontiera di Roma e già si intuisce che l’atmosfera in quel di New York è densa. I Dream ci sono, stanno tornando, non rilasciano dichiarazioni ma ci regalano due emozionanti minuti di chitarra acustica di John. Al Frontiera tutti applaudono e solo due giorni dopo il video fa il giro del mondo grazie ad internet. Il 27 ottobre 1999 John Petrucci è in Italia per un clinic e decidiamo di rapirlo per fare ascoltare a tutti il nuovo album insieme a lui. Durante il clinic l’atmosfera è carica; c’è gente che ha già l’album importato dagli Stati Uniti dove è uscito qualche giorno prima. Quello che si respirava allo Psycho Circus di Bologna quella sera non è descrivibile: 77 minuti di silenzio completo interrotti solo dall’arrivo di John proprio alla fine del primo atto. Mi sono fatto carico di questo compito ingrato visto che, probabilmente, sono colui che ha in mano Scenes da più tempo e colui che ha potuto analizzarlo fino alla fine, grazie alla collaborazione della band. Il lavoro intorno a questo documento è durato circa 2 mesi e le pagine totali della storia completamente sviscerata più la traduzione completa erano più di 20. Ho fatto dei piccoli tagli, ho inserito parti tradotte insieme a parti narrate ma, alla fine vi assicuro che il contenuto non cambia. Tutto quello che volevate sapere su Scenes è qui, all’interno di queste 6 pagine. La storia si articola in due atti e viene sviscerata tra passato e presente con notevoli colpi di scena. La città è sempre la stessa e la zona si chiama “Echo’s Hill” la collina dell’eco. Nicholas un giovane ragazzo dei giorni nostri, con una moglie ed un bimbo, decide di recarsi da uno psicoterapista poiché di notte ha continui incubi, delle strane sensazioni legate al volto di una giovane ragazza che vede attraverso uno specchio che si trova dentro ad una casa sconosciuta. Fiero, circondato da una intensa luce bianca, Nicholas esplora la sua mente alla ricerca di una verità fino ad allora nascosta. Le strofe di Regression ci spiegano tutto: “Niente sembra reale, io comincio a sentire che sono completamente perso dentro la foschia di un sogno / come mi faccio più vicino la scena diventa più nitida, come guardare la mia vita in uno schermo...”. Nicholas, pur certo di non averla mai conosciuta, sente che questa ragazza di nome Victoria è a lui una persona familiare. Perché ogni notte, nei suoi sogni, si trova in questa strana casa?


In Strange Deja Vu Nicholas parla dei suoi sogni: “C’è una casa in cui sono attratto, scene familiari, niente di strano; un sentiero porta a quella casa con un freddo stregato nell’aria / c’è una stanza in cima alle scale, ogni notte vi sono attirato; una ragazza nello specchio, il suo viso mi diventa chiaro... giovane ragazza mi spieghi che ci faccio qui?”. Attraverso gli occhi della ragazza Nicholas percepisce una storia mai raccontata, un mistero mai svelato; capisce che il volto riflesso nello specchio non è altro che l’immagine della persona di cui egli stesso è la reincarnazione: Victoria. Il protagonista vorrebbe irrompere nel passato per cercare la chiave di questo mistero, la chiave per aprire la porta della sua mente in modo da togliersi finalmente di dosso questa strana sensazione. La band ci fa intendere ancora una volta che Nicholas e Victoria sono la stessa persona: i versi “Tonight I’ve been serching for it...” vengono ripetuti sia da Victoria che da Nicholas nel mezzo e alla fine del brano. Tutto ciò che gli occhi di lei hanno visto, tutto ciò che lei ha sentito è rimasto nei ricordi di Nicholas. Lui e Victoria stanno portando avanti una storia iniziata chissà quando, un filo impossibile da spezzare, condividendo un’eternità. Questo è quanto ci narra Nicholas in Through My Words. Ormai l’ascoltatore ha capito che Nicholas è la reincarnazione di una giovane ragazza vissuta nel 1928. Una ragazza con problemi d’amore, con un cuore spezzato a metà da due fratelli gemelli: The Miracle e The Sleeper che nella nostra storia hanno i nomi del senatore Edward Baynes e del suo fratello Julian. Il fulcro della trama è il tema della reincarnazione; quando una persona muore lo spirito vaga per qualche tempo fino a prendere di nuovo sembianze umane. Il film che ha suggerito alla band alcuni spunti sulla loro storia è “L’altro Delitto - Dead Again” che consiglio vivamente a tutti. Col susseguirsi dei minuti e dello stupendo e alquanto complicato sottofondo musicale arriviamo ai due pezzi chiave del primo atto: Fatal Tragedy e Beyond This Life. Nicholas ci racconta che è proprio durante i suoi sogni notturni che sente il pianto di una giovane ragazza. Sogna di uscire dalla sua casa e di entrare in un altra a lui molto familiare dove trova un vecchio all’apparenza solo... un vecchio di cui sente di potersi fidare... (certo che si può fidare di lui... perché il vecchio non è altro che la reincarnazione di Julian! ...questo lo sapevate?) “ehi ragazzo, ma lo sai che qui una ragazza è stata uccisa? Una tragedia... fatale per lei... qua intorno se ne è parlato per anni! / Victoria se ne è andata per sempre, di lei rimangono solo i ricordi nella mente delle persone; era giovane, non ci può essere pace nella sua anima...” questo narrano i versi centrali di Fatal Tragedy, infatti nell’anima di Victoria non c’è pace... lo capiamo dal fatto che la mente di Nicholas non si da tregua fino a che non troverà la chiave dei suoi misteri. “I tried to get... ho provato ad avere più risposte ma il vecchio mi ha detto che risolverò i miei dubbi da solo, si è voltato e mi ha lasciato dicendo che saprò la verità durante i miei giorni futuri” con questi versi torniamo indietro fino al 1928: in Beyond This Life il Daily Times cita: “Omicidio, giovane ragazza uccisa. Spari disperati in Echo’s Hill. Terribile conclusione, il killer è morto, evidentemente suicidio. Un testimone ha sentito un orrendo rumore. È corso in aiuto ma la donna era già morta riversa al suolo. In piedi davanti a lui un uomo, nervoso, sconvolto; una pistola nelle mani. Ha provato ad aiutarlo ma ha volto la pistola verso se stesso e si è suicidato. Il suo corpo è caduto sopra la ragazza. Dopo aver urlato invano il testimone è corso a chiedere aiuto per la tragica conclusione di una storia d’amore... Lei voleva amore per sempre, ma lui aveva altri piani.


Aveva preso una brutta strada e lei aveva detto che non poteva sopportare una relazione con un uomo così ingrato. Forse c’era una soluzione per sistemare le cose... se solo lui avesse cambiato strada, ma, probabilmente, quell’incontro era premeditato. C’è stata una violenta lotta, gli indizi conducono a questo; un coltello per terra... la vittima era ignara di tutto. Hanno continuato ad investigare e hanno trovato una lettera di suicidio nella tasca dell’assassino. Preferiva togliersi la vita piuttosto che perdere la donna amata.” Ormai il fatto accaduto nel 1928 ci è stato svelato direttamente dall’articolo di giornale ma questo è solo l’inizio di un thriller mozzafiato. Beyond This Life: Nicholas riflette su ciò che sta rivivendo; in realtà la ragazza non ha mai avuto una possibilità di scampo durante quella notte illuminata dalla luna. Sacrificata senza poter combattere, vittima delle sue stesse circostanze. “Now that I’ve become aware... ora che ne sono a conoscenza e che vi ho esposto questa tragedia, la tristezza cresce grande dentro di me, tutto è così ingiusto... sto imparando tutto ciò che riguarda la mia vita attraverso gli occhi di lei... nel cimitero vedo le scritte sopra la sua lapide... per i suoi genitori era ancora una bambina (In loving memory of our child) innocente. Ho pianto, io che dalla mia vita ho avuto tanto, una moglie, un figlio; ho sofferto un’ultima volta per capire alla fine chi ero”. Il primo atto di questa storia si conclude con questa epica interpretazione di James LaBrie che impersona Nicholas in maniera eccellente; una nota di cronaca, questo pezzo, prima di essere mixato, è stato ricantato ben 30 volte! Home: il secondo atto inizia con sensuali atmosfere indiane, un sitar (sintetizzato da Jordan e non suonato da John Petrucci come pensano in tanti) ci accompagna fino alla descrizione dei due personaggi chiave di questa storia. Un brano forte che non può non lasciare emozioni dentro di noi, la chitarra potente di John Petrucci ci conduce dentro l’America degli anni ‘30 in cui regnano il gioco d’azzardo, l’alcool e le droghe. THE SLEEPER: “Splendi lago di fiamme, strisce portatemi allo sballo. La mia mente gronda di desiderio, imprigionata e sovraffaticata. Vivere questa sciarada non mi porta da nessuna parte ma non posso abbandonare questo stile di vita”; Julian conduce un tipo di vita poco tranquilla... le strisce di coca lo portano allo sballo e il denaro che scorre sui tavoli da gioco lo rendono felice anche se il suo desiderio principale è quello di poter tornare a casa... di poter tornare ad essere quello che era una volta piuttosto che precipitare nel baratro di una vita senza senso. THE MIRACLE: “Mi ricordo la prima volta che venne da me, ha aperto la sua anima ed è scoppiata in un pianto. Mi è stato detto che nasce un nuovo amore per ognuno che ne muore. Non potevo continuare più con questa bugia, non potevo più resisterle. Non potranno vivere (Victoria e Julian) la loro storia in queste condizioni; lei sarà la mia moglie... una dolce sensazione mi chiama verso casa. La sua estasi è così importante per me, pur ingannando il mio stesso sangue (riferimento a Julian, ovviamente). Victoria mi guarda e sorride pensierosamente, mi sta riportando a casa, aiuto, lui è mio fratello ma sento che la amo; inganno, disonore”. AI minuto 7’40” torniamo alle armonie indiane ma a questo punto fate attenzione, armatevi di telecomando del vostro stereo e giocate sul balancing: in un canale sentirete il brano mixato insieme ad un sottofondo di un casinò in cui le slot machine e il rumore dei dadi che sfuggono veloci sul tavolo ci fanno rendere conto della vita che conduce Julian nel momento in cui (ed a questo punto spostate completamente la rotellina del balancing dall’altra parte) Victoria decide di iniziare il suo flirt con Edward. Lo si capisce perfettamente dai gemiti della ragazza coinvolta in un amplesso con


il gemello di suo marito Julian. Finiamo il brano fulcro di questa storia con la parafrasi delle parole di Nicholas: “La storia di lei contiene la chiave, sblocca tutti i sogni della mia memoria. Risolvere questo mistero fa parte di me. Non posso sfuggire a questa presa, devo risolvere il dubbio, devo svelare il mistero. Mi sta richiamando verso casa.” Dopo i 13 minuti chiarificatori entriamo piano piano dentro a ciò che era il centro del primo demo di Metropolis part 2. Ancora qualche spunto orientale dalle tastiere di Jordan, echi lontani di una Metropolis che sta per ritornare e batteria che rimbomba nelle nostre orecchie. A dire il vero non mi sono mai spiegato la presenza di questo brano strumentale proprio in questo punto ma penso che sia un richiamo all’ascoltatore a riposare la sua mente prima di porsi di fronte alla soluzione di questo mistero. Ovviamente i pattern di batteria di Metropolis part 1 si ripetono sullo sfondo di nuove melodie create da Jordan a cui Petrucci fa degno seguito. Il clima è più anni 50 che anni 30 ma la tastiera del Keywiz ci lascia tutti di stucco soprattutto dopo il suo stacchetto jazz. La chitarra impazza in scale impossibili su una melodia già sentita e risentita fin dal 1993. Per un attimo dimentichiamo la magia di Jordan e troviamo un assolo di basso distorto... ebbene si il signor Myung fa in questo modo il suo tributo al suo amico/maestro/ispiratore Sheehan per poi lasciarci in mano ai fraseggi sincopati di un Petrucci che non molla la presa neanche di fronte alle accelerazioni dei suoi colleghi. La fine è fin troppo scontata... un altro fraseggio “rubato” al primo capitolo di questo sensazionale brano... e dopo poco più di sei minuti ci troviamo immersi dal piano di Jordan che introduce One Last Time l’unico brano scritto da James LaBrie. “Non ha senso questa tragica conclusione, a dispetto di una grossa evidenza manca ancora qualcosa… ho sentito dei pettegolezzi, il parere di qualche persona...” Dopo questa strofa troviamo Victoria sul punto di morire, le sue ultime parole sono: “Un’ultima volta giaciamo oggi in questa terra. Un’ultima volta finché non svaniremo.” Nicholas ritorna per un attimo con la sua mente alla casa di Julian: “Gli indizi sono tutti qui, i miei sospetti sono fondati, mentre sono in piedi vedo tutto quello che ho sempre saputo. Ora ho capito, tutti i miei sogni di infanzia sono veri. I ricordi di lei tornano chiari alla mia mente, sono stati risvegliati attraverso i miei occhi. Questa casa è tornata a rivivere.... Una porta è aperta, la attraverso ed entro dentro nella stanza di Julian. È molto freddo, quasi come fuori tanto che i muri sembrano sparire... una donna urla e un uomo chiede perdono. Non riesco a sentire le sue parole.” Ovviamente Nicholas, non sentendo tali parole non è ancora in grado di risolvere i suoi dubbi, infatti nella realtà è lo stesso Edward che chiede perdono a Victoria per il suo folle gesto. Dopo questo brano passiamo alle atmosfere floydiane di The Wall, le liriche di The Spirit Carries On (opera di John Petrucci) sono fantastiche. Ci troviamo davanti ad un Nicholas pieno di domande sulla vita, sul nostro spirito, sul prima e sul dopo: “Da dove veniamo? Perchè siamo qui? Dove andiamo quanto moriamo? Cosa c’è dopo? E cosa c’è prima? C’è niente di certo nella nostra vita?” Dicono: “La vita è troppo corta, il presente è adesso, ti è data una sola


possibilità ma, ce ne potrebbero essere molte di più. Ho già vissuto precedentemente, oppure questa vita è tutto ciò che abbiamo?” “Se morissi domani, per me andrebbe tutto bene perché credo che una volta morti l’anima continui a vivere”. Nicholas ci confida che prima era spaventato dall’idea di morire ma, ora non ha più paure, per lui la morte non significa la fine di tutto, la sua anima trascenderà. Sa già che se continuerà le sue ricerche troverà la verità, può darsi che non capirà mai ma sa che deve provare. A questo punto della canzone subentra l’anima di Victoria che dice: “Vai avanti, sii coraggioso, non versare lacrime sulla mia tomba. lo non sono più qui. Non lasciare che i ricordi di me si dissolvano nella tua mente”. Prima di uscire dall’ipnosi Nicholas capisce definitivamente che Victoria è vera e che grazie a lei ha capito il senso della sua vita, ma ancora non è convinto di alcune cose. Andiamo avanti con l’ascolto. Finally Free segna il risveglio di Nicholas dall’ipnosi, il protagonista torna al presente e la musica orchestrata perfettamente da Jordan Rudess ci conduce dentro l’automobile di Nicholas per il suo ritorno a casa (Fate bene caso ai passi di Nicholas prima dell’ingresso in automobile... veloci e molto leggeri!). Questi ultimi minuti di album sono il fulcro di tutta la storia: Nicholas sulla via di casa incontra ancora, nella sua mente, i personaggi della sua vita precedente che hanno delle verità da illustrarci. The Miracle: “Venerdì sera, il sangue è ancora sulle mie mani pensando che lei voleva lasciarmi per tornare con quell’uomo ingrato. Unico sopravvissuto ad un crimine senza testimoni. Devo agire velocemente per coprire ogni traccia, c’è ancora del tempo prima che arrivi (la polizia!). Sembrava perso e senza speranze nella lettera che ha scritto... sicuramente crederanno alle parole che io ho scritto per lui”. Per chi ancora non ci fosse arrivato Edward è il vero assassino di Victoria e del fratello/marito di lei Julian. Per fare sembrare un vero suicidio ha scritto anche una lettera che ha lasciato in una tasca del fratello dopo averlo ucciso, leggiamola nella strofa successiva: “Questa sensazione dentro di me, finalmente ho trovato il mio amore, finalmente ho raggiunto la libertà. Non più diviso in due. Mi toglierei la vita piuttosto che perderti”. Passiamo a Victoria: “Mi sento bene questo venerdì pomeriggio, sono corsa a casa di Julian, gli ho detto che dovremmo tornare insieme molto presto. Il mio cuore è sempre stato suo, lo deve sapere, mi libererò del Miracle, per lui è il momento di andarsene. Questa sensazione dentro di me, finalmente ho trovato il mio amore, finalmente ho raggiunto la libertà. Non più divisa in due... ucciderebbe suo fratello se solo lo sapesse”. Notate la velata analogia fra la lettera scritta da Edward per ingannare la polizia sulla reale causa della morte di Julian e i pensieri di Victoria appena descritti: “This feeling inside me…”, troveremo questa frase anche poco più avanti, pronunciata anche da Nicholas. Veniamo ora ad un possibile errore di stampa (che si aggiunge ai due grossi errori contenuti nell’album che vedremo


dopo) la frase che vado a tradurre è associata a Victoria ma dopo numerosi consulti fra fan club siamo arrivati a pensare che deve, invece, essere associata ad un altro personaggio, forse Julian o il narratore. Si tratta di un possibile errore di stampa che la band non ha voluto chiarirci. “Il loro amore rinnovato, i loro appuntamenti in una strada fuori dalla portata della gente. Pensavano che nessuno lo sapesse... finché una sera uno sparo nella notte...” Ma andiamo avanti ancora, tocca a Julian: “Un’ultima volta giaceremo oggi, un’ultima volta finché non svaniremo. Mentre i loro corpi giacciono a terra, e la fine si avvicina, gli spiriti si innalzano al cielo, tutte le loro paure spariscono, tutto diventa chiaro. Appare una luce accecante, un’anima vecchia è stata cambiata per una nuova... si sente una voce familiare.” (Proprio il fatto che Julian parla in terza persona ci fa pensare che la frase prima sia opera sua e non di Victoria). Alla fine Nicholas ci lascia dicendo: “Questa sensazione dentro di me, finalmente ho trovato la mia vita, finalmente ho raggiunto la libertà. Non più diviso in due. Ho imparato della mia vita vivendo attraverso te...”. Come detto qualche riga più sopra, ancora una volta la frase “This feeling inside me...” si ripete all’interno del brano. Ora quello che rimane da fare è continuare ad ascoltare attentamente per “sentire” come è andata a finire sia nel lontano 1928 che nel1999. 1928: Echo’s Hill, Edward è fuori dalla casa del fratello il quale vedendolo urla impaurito, prova ad aprire la porta ma non riesce, spacca un vetro ed entra da una finestra, il cane abbaia mentre Julian gli si fa incontro con un coltello. Edward spara due colpi al fratello e Victoria accorre urlando. A questo punto le parole pronunciate dal Miracle sono “Open your eyes Victoria” poco prima di sparare due colpi anche alla giovane donna. Se proprio non riuscite a trovare tutti gli elementi descritti qui sopra, prendete il Xmas Cd 99 e ascoltate l’ultima traccia fino alla fine, avrete una gradita sorpresa. Veniamo ai due errori in cui i Dream Theater hanno incappato nella costruzione dell’intreccio. Come detto sopra Julian muore con due colpi di pistola per mano del fratello gemello. La polizia accorsa sul luogo ed Edward (unico testimone) racconta che l’uomo a terra si è sparato. È alquanto discutibile che un suicida si spari due colpi da solo (Primo errore!). Inoltre, la polizia accorsa sul luogo parla con il testimone, identifica i corpi e non scopre che Edward e Julian sono fratelli, per di più gemelli (Errore due!). Ci sono alcune teorie secondo le quali Edward avrebbe sepolto le prove e sviato le indagini grazie alla sua posizione di Senatore. La cosa è improbabile poiché proprio durante l’ascolto del disco viene fuori che c’è un coltello come prova di una colluttazione e soprattutto, Edward non direbbe “Sembrava perso e senza speranze nella lettera che ha scritto... sicuramente crederanno alle parole che io ho scritto per lui” Questo terzo errore, o atroce verità potremo chiarircelo solo durante il live di Metropolis 2000. Veniamo a noi: Nicholas scende dalla sua macchina (sta ascoltando il tema principale di Finally Free) e si dirige verso casa, fa alcuni passi (notate ancora la cadenza: veloci e leggeri!) e poi sale qualche gradino; interrompete qui l’ascolto e tornate indietro di circa 20 secondi (mentalmente, non sullo stereo!). 10‘10” dell’ultimo brano... sentiamo una televisione in sottofondo e dei passi, questa volta i passi sono lenti e pesanti a significare che la persona che è in casa (la casa è quella di Nicholas) non è Nicholas ma bensì qualcun altro! In televisione parlano della morte del senatore John John Kennedy e tale cronaca serve solo come riferimento temporale. I passi proseguono e la televisione si spegne. Arriviamo in cucina o in un posto in cui il personaggio misterioso versa del ghiaccio e un drink in un bicchiere: l’attesa è estenuante. A questo punto sparate al massimo il volume dello stereo, sentirete in sottofondo molto lontano il tema di Finally Free che è quello che stà ascoltando Nicholas mentre


parcheggia la macchina. Si sente anche chiudere la portiera e Nicholas che percorre alcuni passi (praticamente i momenti che vengono da 9’49” a 10’10” di questo pezzo. Ora il nostro personaggio dal passo pesante mette un disco su un giradischi e si nasconde in un antro buio dell’ingresso di Nicholas (sentiamo scricchiolare il pavimento). Per un secondo sentiamo ancora i passi veloci e leggeri di Nicholas che questa volta è dentro casa; sicuramente il protagonista è sorpreso dal giradischi in funzione e gli si avvicina, ed ecco il personaggio misterioso svelarsi a noi: “Open your eyes Nicholas” a simboleggiare con le parole che colui che ha ucciso Victoria ha voluto uccidere anche Nicholas. Chi è costui? Lo psicoterapista! Perché lo psicoterapista è la reincarnazione di Edward? Prima di tutto per l’associazione delle parole riferite alla persona che sta per essere uccisa... “Open your eyes Victoria/Nicholas”. Edward nel 1928 e l’ipnoterapista ai nostri giorni avrebbero detto due cose completamente diverse se non fossero stati uno la reincarnazione dell’altro. Secondo motivo: guardatevi Dead Again il film che ha ispirato Mike Portnoy nella stesura della storia. A maggior ragione vi renderete conto che queste teorie sono azzeccatissime! Infine vi lascio con un po’ di curiosità: - L’anima, durante il suo iter attraverso vite diverse, cerca di perfezionare la sua essenza portando avanti una vera e propria catarsi. Il sogno di una vita felice, che per Victoria era stata impossibile realizzare, viene conseguita da Nicholas con la creazione della sua famiglia. - sempre riguardo allo stesso tema: molte persone che credono nella reincarnazione dicono che l’anima non viene reincarnata immediatamente. In poche parole, se l’anima di Victoria si fosse reincarnata immediatamente in Nicholas, il protagonista ora avrebbe circa 71 anni (1999 - 1928 = 71 anni) cosa improbabile e che si nota dalla sua voce molto giovanile (quella di James). Quindi l’anima di Victoria si è reincarnata in Nicholas circa 30/40 anni dopo la morte della donna. - i significati di The Miracle e The Sleeper: mentre Edward “The Miracle” è una persona molto fortunata poiché nella vita è diventato senatore, suo fratello gemello Julian “The Sleeper” è una persona coinvolta nel gioco d’azzardo e nella droga. - i passi lenti e pesanti, i quali ci fanno capire nell’ultimo minuto di Scenes che lo psicoterapista sta aspettando Nicholas rientrare in casa dalla seduta, hanno la stessa cadenza dei passi di Edward che si sta recando a casa del fratello per ucciderlo insieme a Victoria. Purtroppo dal cd non è possibile notare bene questo particolare; ascoltate attentamente l’ultima track del Xmas cd 99 e avrete risolto altri dubbi. - ad un certo punto di One Last Time, Victoria ci dice, in punto di morte, che il suo corpo e quello di Julian sono uniti per un’ultima volta prima di trascendere. Sentendo la scena del delitto notiamo invece che Julian e Victoria sono stati uccisi in due stanze diverse. È stato Edward a porre i corpi uno sopra l’altro. - cosa cantano Petrucci e Portnoy nei cori di “Home”? Le parole “Death, deceit, love”. - le parti rimaste intatte dal demo di Metropolis 2 inciso dai Dream Theater insieme a Derek Sherinian sono: Ouverture 1928 dal minuto 1:53 in poi e One Last Time dal minuto 2: 04. Le altre parte, seppure in parte scritte con Derek, sono state rimaneggiate. - un’ultima curiosità: come ha fatto lo psicoterapista ad arrivare prima a casa di Nicholas? Nicholas, sulla via del ritorno, ha ripensato a tutta la sua seduta e gli sono venuti in mente i particolari mancanti di questa storia, probabilmente egli stesso ha allungato il viaggio per permettere alla sua mente di far tornare alla luce questi ricordi. Fine delle trasmissioni


Roma, PalaCisalfa 11 aprile 2000

Firenze, Palasport 12 aprile 2000

Torino, Palastampa 13 aprile 2000

Roma, Tor di Valle 16 luglio 2000

La band e la crew del tour Metropolis 2000

New York, Roseland Ballroom 30 agosto 2000


Flyer promozionale del live album con errore nella data di pubblicazione

Foglio promozionale in formato LP, fronte e retro. Notare il titolo dell’album incompleto.


L’immagine originale di Dave McKean che i DT avrebbero voluto utilizzare come copertina dell’album, ma i diritti erano già stati acquistati per la copertina del volume “Brief Lives” del fumetto “The Sandman” di Neil Gaiman. McKean allora, propose alla band un lavoro simile basato sullo stesso stile grafico, ed è quello che è poi finito sull’album.

Descrizione del drum kit definitivo di Mike Portnoy per il Metropolis 2000 Tour, scritto a mano da lui stesso.

Flyer promozionale giapponese per l’uscita del secondo singolo Through Her Eyes


Promo sheet che la casa discografica solitamente invia alla stampa per la promozione delle nuove uscite

E A S T W E S T

KEY DATA

- Street Date: October 26

DREAM THEATER

- Order Due Date: October 6 - Producer: Kevin Shirley

Scenes From A Memory

- First Single: “Home”

62448

- Radio: Metal, Rock - POP: Poster, 1x1 - Web: www.dreamtheater.net

N/A

tracks: Regression Overture 1928 Strange Deja Vu Through My Words Fatal Tragedy Beyond This Life Through Her Eyes Home The Dance of Eternity One Last Time The Spirit Carries On Finally Free also available: Once In A Livetime (0-7559-62308-2/4)

Falling Into Infinity (0-7559-62060-2/4)

A Change Of Seasons (EP)(0-7559-61842-2/4)

Images And Words (0-7567-92148-2/4)

Awake (0-7567-90126-2/4)

Images And Words - Live In Japan

f Scenes From A Memory is Dream Theater’s first studio album in two years and the epic masterpiece fans have been waiting for. This album features a special, tantalizing focus that die-hard fans have been demanding for years. f Scenes From A Memory shows the band to be in top form, wrapping their superb musicianship around a set of smart, accessible, solidly crafted rock. a With their epic songs and dazzling virtuosity, Dream Theater have long been hailed as the standard-bearers of progressive hard rock, selling gold and filling concert venues worldwide. Their spectacular instrumental prowess and passionate vision have pushed the boundaries of composition and performance to dizzying new heights. From their 1992 breakthrough, gold release, Images and Words, which featured the hit single “Pull Me Under,” to 1998’s Once In A Livetime, Dream Theater has maintained a rare combination of stellar musicianship and unwavering passion. n On Scenes From A Memory the band has focused on songwriting as never before, and the results are immediately apparent and satisfying. Highlights include the tortured love anthem “Through Her Eyes,” the spine-tingling crunch of “Home” and the grand ballad “Fatal Tragedy.”

x The first single from Scenes From A Memory will be “Home.” It will be serviced to Metal and Rock radio. e Dream Theater works simply for their love of music and for their fans. This is why Scenes From A Memory is such an important release for the band. Aside from being the first studio album in awhile, Scenes From A Memory offers a very exciting and introspective element that will be sure to electrify and intrigue fans. Full information on the concept will be unveiled upon the album’s release.

t Few bands inspire the sort of fanaticism that Dream Theater does. Fans follow the band through long touring stretches, memorize set lists and know every nuance of each live performance. Dream Theater will tour soon after the album’s release. z Dream Theater has a large and rabid fanbase that can be reached at all account levels. Look for advertising in rock and musician magazines

P The album was produced by Kevin “The Caveman” Shirley who has also worked with CS

CD

62448-4

62448-2

0

7559-62448-2

4

0

artist/ title

Dream Theater, Scenes From A Memory label

Eastwest file under

(VHS)(0-8536-50537-3)

Rock

Five Years In A Livetime

prices

(VHS)(0-8536-40204-3)

Aerosmith, The Black Crowes and Judas Priest.

CD = $17.98 CS = $11.98

7559-62448-4

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IMMAGINI E PAROLE Grugliasco (TO) 6 luglio 2019 Per qualcuno può sembrare strano leggere che i Dream Theater si sono esibiti nei pressi di un centro commerciale. In realtà, chiunque conosca la zona o abbia già assistito ad altri show in questa location, sa bene che l’area concerti adiacente al centro commerciale “Le Gru”, situato alle porte di Torino, è un’arena con una capienza di 5000 posti, molto apprezzata sia per la sua ottima acustica, sia per la sua particolare conformazione, col pavimento leggermente in discesa, che garantisce un’ottima visibilità del palco anche dalle ultime file. Inoltre, quello del Gruvillage è, ormai da 15 anni, uno dei festival musicali più importanti del Piemonte e che, in ogni sua edizione, ha visto avvicendarsi tantissimi grandi nomi della scena rock, pop e jazz internazionale. Pertanto, leggere che i Dream Theater, per la seconda volta (la prima è stata nel 2014) hanno fatto parte di questo cartellone è sicuramente un ulteriore riconoscimento del fatto che la band di Long Island è ormai considerata a buon diritto tra i big della musica mondiale. Il Gruvillage è, di fatto, una delle migliori location, nonché una delle migliori organizzazioni di concerti che poteva accogliere il tour estivo dei Dream Theater, quantomeno nel nord Italia. Torino, così, sembra essere diventata, a tutti gli effetti, una tappa abituale del quintetto newyorkese, tanto da averli ospitati ben 3 volte negli ultimi 5 anni. Questo è il mio resoconto della giornata. L’ARRIVO: Come da accordi, raggiungo il Gruvillage intorno alle 15:30: l’appuntamento è all’interno del McDonald del centro commerciale, il cui dehor sbuca proprio davanti ad uno dei due ingressi dell’arena. Andrea è già lì ad aspettarmi, mentre chiacchiera con un dreamer che ha deciso di presentarsi al raduno ancora più puntuale di noi. Tra loro due e qualche amico che avevo incontrato lungo il tragitto, siamo già una manciata di persone, quindi decidiamo di fare nostro un tavolo del McDonald, optando di rimanere però all’interno, visto che il dehor risulta impraticabile per via del caldo. La giornata, infatti è stata caratterizzata da una fastidiosissima cappa di calore che, anche durante la sera, non ha praticamente concesso tregua. Se non altro, sembrava scongiurato qualsiasi rischio di pioggia (visto che l’arena è totalmente scoperta), ma in più occasioni, un filo di vento in più non avrebbe dato fastidio. Ovviamente intorno a noi non c’è molta gente: è ancora molto presto e i pochi presenti preferiscono approfittare dell’ombra e dell’aria condizionata del centro commerciale. Tuttavia, c’è già un gruppetto di coraggiosi fan che, incuranti del caldo, sono già in coda davanti ai cancelli d’ingresso, nel tentativo di assicurarsi la prima fila. Non possiamo far altro che apprezzare questa dimostrazione d’affetto verso la band, nonché la loro resistenza... Si fanno le 16 e, alla spicciolata iniziano ad arrivare e a presentarsi i primi fan. Essendo io di Torino, posso dire che “gioco in casa”, quindi alcuni di loro li conosco già personalmente, altri ancora li conosco di vista tramite Facebook, mentre alcuni li incontro qui per la prima volta. Ma il bello è proprio questo: in quel momento è come se fossimo tutti amici da tempo, accomunati dalla passione verso i Dream Theater. Intanto Andrea tira fuori dallo zaino alcuni suoi memorabilia: vecchi tourbook ormai introvabili (che avrebbe poi fatto autografare alla band), nonché, in omaggio per i presenti, qualche copia del nostro speciale dedicato ai 25 anni di Images and Words e una manciata di depliant che venivano distribuiti agli spettatori durante il tour di The Astonishing. Tuttavia, ciò che attira maggiormente l’attenzione è un blocchetto di biglietti numerati, che vengono distribuiti alle persone sedute al tavolo. E infatti qui arriva la prima sorpresa (ma che, per chi conosce i nostri raduni, non avrebbe dovuto giungere inaspettata): viene annunciato che da lì a poco verranno regalati, tramite sorteggio, dei pass per accedere all’aftershow con i Dream Theater. Inutile dire che la notizia illumina gli sguardi dei presenti: tra di loro ci sono persone di tutte le età, che vanno dai 18 ai “quarantaqualcosa” anni, c’è chi ha visto i Dream Theater una manciata di volte e chi, invece, come numero di concerti, ormai ha raggiunto e superato la doppia cifra. Eppure tutti loro, davanti alla possibilità, totalmente inaspettata, di poter incontrare la band, si sentono elettrizzati.


Ci rendiamo conto che il caldo, nonché il caos che regna in un centro commerciale al sabato pomeriggio avrebbero potuto far desistere o rallentare le persone che volevano raggiungerci; decidiamo, quindi, di aspettare una mezz’ora abbondante oltre l’orario inizialmente previsto, in modo da permettere a eventuali ritardatari di raggiungere il McDonald, che nel frattempo sta iniziando ad affollarsi. Quando arriva il momento del sorteggio, facciamo una scoperta, curiosa, ma anche estremamente piacevole: i pass a disposizione sono esattamente lo stesso numero delle persone che si sono presentate al raduno entro l’orario previsto. Questo significa che non c’è più bisogno di effettuare il sorteggio e non c’è il rischio di vedere la delusione negli occhi di chi, per semplice sfortuna, si sarebbe visto sfuggire la possibilità di incontrare la band. Andrea dà, quindi, la notizia: “Siete tutti invitati all’aftershow” e consegna loro i certificati che attestano la vittoria dei pass. In quel momento, i volti di tutti diventano ancora più luminosi, leggono e rileggono il certificato per assicurarsi che sia tutto vero. Molti tirano fuori il cellulare: c’è chi chiama i genitori, c’è chi chiama la moglie... ma tutti dicono la stessa frase “Stasera torno a casa più tardi del previsto”, pronunciata con l’incredulità di chi, fino a poche ore prima, non poteva minimamente immaginare che quella stessa sera avrebbe potuto incontrare i Dream Theater. Nel frattempo il McDonald si è ormai riempito di gente e decidiamo quindi di spostarci all’esterno, dove il numero di persone inizia a crescere sempre più velocemente. E anche qui fuori si incontrano amici di vecchia data, fan di YtseItalia che si presentano per la prima volta o altri che si è fugacemente incontrato ad altri raduni o altri concerti. Dopo la rituale foto di gruppo dei vincitori è arrivato il momento di rompere le righe: Andrea abbandona momentaneamente il Gruvillage per andare a fare il check-in in albergo, mentre tutti gli altri decidono di mettersi in coda, raggiungendo le rispettive compagnie oppure rimanendo nel nuovo gruppo che si è appena formato. Ci si augura reciprocamente buon divertimento e ci si dà appuntamento al termine del concerto. IL CONCERTO: L’apertura della lunga serata musicale è affidata ai Vitriol, band proveniente da Bologna che risulta essere una piacevole scoperta per il sottoscritto e, a quanto pare, anche per il resto del pubblico. Il gruppo mette a segno una performance di alto livello, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche per la freschezza delle composizioni, per la loro presenza scenica e per la loro capacità di coinvolgere gli spettatori. La band, si mostra molto sicura di sé e dimostra di avere buona padronanza del palco, tanto che il pubblico li ascolta con molta attenzione e non si risparmia con gli applausi. Terminato lo show dei Vitriol, tocca a Jason Richardson, attuale chitarrista degli All That Remains, accompagnato dal batterista Luke Holland: il duo propone una serie di brani strumentali, supportati da basi pre-registrate. E qui, almeno per me, diventa difficile dare un giudizio, perché se è innegabile che i due ragazzi sfoggino una tecnica portata a livelli estremi, è anche vero che assistere ad uno show in cui la maggior parte degli strumenti (basso, tastiera, seconda chitarra e, in almeno un caso, anche la voce) era registrata su una backing track, rendeva tale situazione più consona ad una clinic che non ad un concerto vero e proprio. Richardson, dal canto suo, non sembra voler fare nulla di particolare per interagire o tentare di coinvolgere gli spettatori, già abbastanza interdetti dalla difficoltà delle sue composizioni. È indubbio che buona parte del pubblico abbia gradito la sua performance, ma in più occasioni, guardandomi attorno ho notato espressioni alquanto perplesse, a tratti quasi annoiate, accompagnate da pareri non proprio lusinghieri. Forse la presenza di una band al completo avrebbe reso più interessante lo show, a prescindere dal genere proposto che,


legittimamente, poteva risultare ostico anche agli amanti del progressive metal. Ma anche la performance di Richardson arriva alla fine. Il sole è finalmente tramontato, il telo nero che copre la batteria di Mike Mangini viene rimosso e il palco è pronto per accogliere l’arrivo dei Dream Theater. L’entrata del gruppo è preceduta da una lunga serie di visual a tema “cybernetico”. L’intro è affidata al brano Atlas dei “Two steps from hell”, a cui è già stata affidata l’intro dei precedenti tour. Il concerto si apre, com’era facilmente prevedibile, con Unthetered Angel, ovvero il primo brano del disco Distance Over Time. Subito dopo, la scaletta fa un salto di 10 anni nel passato, con la riproposizione di A Nightmare To Remember, brano che, prima di questa tournée, era stato eseguito solo nel tour di Black Clouds & Silver Linings e che dal 2010 era scomparso dalle scalette della band. Si torna, quindi a D/T con Fall Into The Light, che in sede live si rivela molto più potente rispetto alla versione su disco. Durante l’intermezzo centrale, mentre il pubblico intona in coro la melodia suonata dalla chitarra, James compare sul palco sventolando una bandiera italiana... la stessa bandiera con cui Kiara Petrucci (la figlia di John) si è fatta fotografare nel backstage del Gruvillage mentre mima ironicamente il classico gesto che, secondo il resto del mondo, noi italiani facciamo mentre parliamo. Il concerto prende una piega più melodica ed è il turno di Peruvian Skies (altro brano che latitava dalle scalette della band da ben 8 anni), seguita da Barstool Warrior, uno dei brani maggiormente apprezzati dell’ultimo album. È quindi il turno di In the Presence of Enemies Part I, che non veniva eseguita addirittura dal 2009. Durante questo brano è accaduto un episodio curioso, ma anche molto emozionante. Mentre suonava il riff che accompagna le prime strofe, John Petrucci, ha deciso di scendere dal palco, utilizzando una scaletta frontale, e si è avvicinato ad un gruppo di spettatori disabili e ai rispettivi accompagnatori, i quali si sono ritrovati il proprio idolo che suonava a pochi centimetri di distanza da loro. Il momento poteva già essere sufficientemente memorabile di suo, ma, ad un certo punto, uno degli spettatori, ha cercato, con molta discrezione, di farsi inquadrare dal suo accompagnatore, che stava filmando la scena. John Petrucci non ci ha pensato due volte e si è subito messo in posa, in modo da regalare a questa persona il più epico dei selfie. Sono stati pochi secondi, che però hanno aperto il cuore a tutti i presenti. Con un gesto così semplice e spontaneo, John Petrucci ha regalato a queste persone (e in particolare ad una) un momento che non dimenticheranno mai. Il concerto si avvia alla sua fase finale: con la doppietta Lie e Dance Of Eternity, la band spara due cartucce che funzionano sempre, oltre ad essere ormai scolpite nel DNA della band, dopo il tour del 2014. La conclusione “ufficiosa” (prima del consueto bis) della setlist è affidata a Pale Blue Dot, ma pochi minuti dopo il suo inizio capita l’imprevedibile: un blackout spegne tutto il palco! Il pubblico applaude, mentre la band si guarda attorno spaesata (e forse anche un po’ preoccupata per la strumentazione). L’unico che non sembra spegnersi è Mike Mangini, che continua a suonare come se niente fosse... e che da lì a poco avrebbe improvvisato un assolo per non lasciarci nel silenzio


più totale e per permettere ai tecnici di risolvere il problema. Dopo qualche minuto la situazione viene ripristinata, le luci si riaccendono e la band può finalmente eseguire Pale Blue Dot, stavolta senza intoppi. I musicisti lasciano il palco, ma è chiaro a tutti che il concerto non è ancora finito: e infatti manca ancora As I Am, curiosamente accompagnata da un video che mostra dragoni, castelli e scene di battaglie epiche, ispirato dichiaratamente a Game Of Thrones. E con quest’ultima martellata di note, si conclude un concerto che ha mostrato una band in formissima, nonostante il caldo si sia fatto sentire anche durante l’orario serale. AFTERSHOW: Terminato il concerto, la gente inizia pian piano a defluire dall’arena. Per noi, c’è giusto il tempo per salutare gli amici e farci trovare a fianco del palco, ovvero il punto di ritrovo stabilito per i partecipanti all’aftershow. Veniamo immediatamente accolti da un addetto della crew dei Dream Theater che, dopo essersi assicurato che tutti avessero il pass incollato alla maglietta, ci conduce nel backstage. Proprio sotto il palco, incrociamo Michele Di Lauro, il chitarrista dei Vitriol, che ringrazia (immagino che simbolicamente, volesse ringraziare tutto il pubblico) per l’accoglienza che abbiamo riservato alla loro band. Da lì a pochi metri incrociamo anche gli altri componenti dei Vitriol (Gabriele Gozzi, Francesco Lombardo e Michele Panepinto) e anche qui è una serie reciproca di strette di mano, ringraziamenti e complimenti... tanto che non si capiva chi stava ringraziando chi! Arriviamo in un giardino retrostante il palco, dove ci possiamo accomodare attorno ad un grande tavolo pieno di lattine di Coca Cola e cestini colmi di gelatine alla frutta gentilmente messe a nostra disposizione dallo staff del Gruvillage. Le lattine ovviamente sono calde, quasi imbevibili, ma la sete le rende quantomai gradite e vengono scolate senza troppi problemi. Dopo aver passato alcuni aftershow all’interno di salette affollatissime o stretti corridoi senza nemmeno una sedia, la situazione ci appare quasi paradisiaca. Ne approfittiamo tutti per riprendere fiato, scambiarci qualche opinione sul concerto e fare due chiacchiere con le altre persone presenti all’aftershow. Il primo a palesarsi è Jordan, il quale ci dà il benvenuto e ci ringrazia per l’affetto che i fan italiani dimostrano costantemente verso i Dream Theater. Dopo pochi minuti compare John Petrucci, seguito, nell’ordine da James, John Myung e Mike. I musicisti appaiono alquanto provati dal caldo della giornata e dalla performance veramente esplosiva; sono evidentemente tutti molto stanchi, ma non per questo risparmiano la propria disponibilità e cortesia nei confronti dei fan, complice anche la situazione estremamente confidenziale e rilassata di questo aftershow (fortunatamente non troppo affollato) e una notte che finalmente ha riportato la temperatura a livelli più sopportabili. Come ogni aftershow, è tutto un susseguirsi di foto, autografi e chiacchierate; c’è chi tenta di intavolare un discorso con i componenti della band e chi, imbarazzato ed emozionato, riesce a stento a biascicare qualche parola. Quello che conta è che, alla fine, tutti riescono ad ottenere i propri “trofei” da portare a casa: autografi da incorniciare, foto da pubblicare sui social e, soprattutto, un ricordo indelebile di questa giornata. Dopo una mezz’oretta, un po’ alla volta, la band augura la buonanotte a tutti e se ne va a godersi il meritato riposo. Ed è proprio Jordan, che è stato il primo ad accoglierci, l’ultimo a salutarci... non prima di averci regalato un’ultima foto di gruppo nella quale lui stesso si è imbucato chiedendo scherzosamente “May I join in?” (posso unirmi?). Risposta corale e altrettanto scherzosa: “Of course, Jordan you’re welcome!”. Ed è con questa immagine che si conclude una giornata memorabile. Johnny Bros


Taormina (ME) 10 luglio 2019 Sono passati tanti anni ormai dalla pubblicazione di uno dei miei post, dove raccontavo del grande desiderio di poter vedere i Dream Theater in una delle location che considero di culto per la musica dal vivo e per la massima espressione dell’arte in generale: l’anfiteatro di Taormina. Sono un assiduo frequentatore della Sicilia da circa 15 anni e sono solito fermarmi ad ammirare i paesaggi incantevoli lungo la tratta Messina - Siracusa. Tra tutte, penso che Taormina si possa definire il luogo ideale dove poter godere delle ricchezze che questa terra sa offrire, dai panorami mozzafiato, alla calda accoglienza delle persone del posto. Camminando tra i vicoli della città vedevo ergersi da quella meravigliosa altura il Teatro Greco, uno scorcio ricco di storia che guarda Isola Bella con lo sfondo l’imponente vulcano dell’Etna. Si, era proprio questa la location giusta per poter ammirare maggiormente lo spettacolo tecnico e godere pienamente delle atmosfere che caratterizzano i concerti dei Dream Theater. Già immaginavo i soli epici di Petrucci, le sezioni strumentali di esecuzione magistrale ricche di armonia con intrecci capaci di esaltare la componente emotiva in qualsiasi momento. Considero personalmente che è sempre nell’insieme e nel giusto coinvolgimento di tutti gli strumenti che si crea quell’energia e quell’armonia che andrà poi a scolpire quello sfondo naturalistico, teatro di grandi opere artistiche a livello mondiale. Dopo una lunga attesa, durata circa 10 anni, ecco che arriva la fantastica notizia: i Dream Theater faranno tappa in Sicilia per il loro tour estivo 2019 e nello specifico, scelgono Taormina come location di presentazione per il loro Distance Over Time Tour, oltre Torino, Villafranca Di Verona e Firenze. A questo punto l’obiettivo principale era quello di aggiudicarsi la poltronissima, e per l’occasione decido di coinvolgere anche un mio carissimo amico, nonché bassista della mia band Tributo ai Dream, Francesco Mormile, anche lui in prima fila con me. Parte il conto alla rovescia e l’evento si avvicina. Nonostante gli impegni lavorativi, decido di partire in auto direttamente da Bologna il giorno prima del concerto (9 luglio). Prima tappa: Roma, una breve sosta per “recuperare” Francesco per poi proseguire verso la terra Sicula. Il viaggio era lungo e all’altezza dell’area di servizio di Lagonegro verso le 23:00 crolliamo dal sonno. L’indomani ripartiamo sulle note di Barstool Warrior, diventata ormai colonna sonora dell’evento, per arrivare a Taormina per le 12.30. Ad accoglierci il panorama meraviglioso di Mazzarò, zona balneare di Taormina. Dopo il check-in in albergo, ci dirigiamo subito verso la funivia per approdare nel centro storico della città. Tra i tanti turisti che soggiornavano in zona, notavo la presenza di tantissime persone, di tutte le età, che indossavano magliette dei Dream Theater e devo ammettere che Taormina durante quella giornata aveva un sapore e un’armonia diversa. Verso le 18.00, dopo un giro di aperitivi, iniziamo a dirigerci verso il sito archeologico dove ergeva il meraviglioso Teatro Greco. Prendiamo posto in poltronissima, lato sinistro del palco, ma non prima di aver accuratamente visionato l’arsenale di John Petrucci capitanato dal mitico Maddi con su scritto “Natural Habitat”. L’apertura della serata è affidata a Jason Richardson, giovane chitarrista talentuoso americano che inizia a riscaldare l’ambiente sulle note sprigionate dalla sua Music Man Signature e con intrecci armonici di stampo progressivo scolpiti dalla forza del batterista Luke Holland. Arriva l’intervallo per cui decido di alzarmi e dirigermi verso l’area che circonda il teatro. Tutta la zona è caratterizzata da una galleria sorretta da un colonnato di Marmo per cui decido di attivarmi per alcuni scatti fotografici. Ed è proprio durante il mio excursus fotografico che incontro Jordan Rudess e dall’incrocio degli sguardi si capisce subito l’apprezzamento da parte sua per la location, notando il mio interesse fotografico verso il sito archeologico. Proprio in quel momento riesco a scambiare un veloce saluto facendogli notare che stavo posizionato in poltronissima e che aspettavo il loro ingresso. Alle 21.30 si spengono le luci, i riflessi della luna su Isola Bella e sul Mar Ionio vengono maggiormente scolpiti. L’atmosfera era magica ed è proprio l’intro del concerto che funge da colonna sonora su quel quadro meraviglioso - Two Steps From Hell - Atlas. Le luci si accendono e lo spettacolo prende forma.


La Cavea è gremita di persone fomentate dal gioco pirotecnico di luci profuse dal basso verso l’alto e dalla potenza sonora del brano di apertura “Untethered Angel”. Era quello l’istante in cui avevo maggiormente metabolizzato la presenza dei Dream Theater in terra sicula. Erano proprio loro che in quel momento stavano scaldando il Teatro Greco e incitavano la platea sulle note di brani tratti dal loro ultimo lavoro “Distance Over Time”. L’esecuzione del solo finale di Barstool Warrior è decretato a diventare colonna sonora di questo meraviglioso evento con Petrucci in grandissima forma, che si posiziona al centro del palco per scolpire con note avvolgenti l’intero patrimonio archeologico. Un’emozione pazzesca. “Se ci si colloca nel punto più alto occupato dagli antichi spettatori (del Teatro antico), bisogna riconoscere che mai, probabilmente, un pubblico di teatro si vide davanti qualcosa di simile” (cit. Goethe) Proprio durante un breve intervallo tra un brano e l’altro, James richiama l’attenzione del pubblico sottolineando la bellezza del posto e nello stesso tempo le origini sicule della moglie di John Petrucci. L’esecuzione magistrale dei vari brani scorre a dovere e il livello tecnico si innalza maggiormente proprio durante la performance della strumentale “The Dance Of Eternity”, brano di spessore con un Mangini dietro la sua imponente batteria che scandisce il tempo al metronomo. Brani come “In The Presence Of Enemies pt. 1” e “Lie” vengono eseguiti alla perfezione ma è “Pale Blue Dot” a dare la sferzata finale con un LaBrie a suo agio sul palco e con una prestazione vocale degna delle sue migliori performance del momento, coinvolgendo il pubblico da grande frontman. Alla fine del concerto, durante i saluti finali, Petrucci si avvicina a ridosso del palco e consegna una Music Man signature 2019 ad un ragazzo, un modello identico a quello utilizzato durante lo spettacolo. In me scatta il panico e inizio a blaterare frasi sconnesse, con espressioni miste tra stupore e invidia. Ma tanta invidia! Francesco prova a calmarmi. Faccio mille domande alle persone intorno a me e alla fine riesco a ricostruire i fatti. La chitarra era di proprietà del ragazzo ed era riuscito a farsela autografare da Petrucci, dopo una piccola gag tra lui e LaBrie, il quale finge di scappare con lo strumento. La Cavea si svuota e come ogni evento carico di emotività, passione e amore verso quelle note e verso quelle armonie non mi resta che custodire nella mia mente un ricordo che è destinato a diventare un pilastro fondamentale della mia esperienza di concerti vissuti sino ad oggi. Ai saluti finali, riesco ad avvicinare Petrucci e a farmi dare un plettro che custodirò in segno di un ricordo di un evento meraviglioso. Da oggi Taormina acquisisce un fascino in più. Daniele Caruso


Los Angeles (USA) 22 marzo 2019 Sono passati tanti anni dal mio primo concerto dei Dream Theater. Diciamo che mi reputo un dreamer fortunato: l’esordio da parte mia a uno show di Petrucci & co. risale al 2007, Gods of Metal, dove a sorpresa eseguirono tutto Images and Words. Ero in terza fila. Tornai a vederli altre 6 volte in terra italica, rimanendo sempre ammaliato dal quintetto USA. Ma questa volta mi sono spinto oltre. La band americana ha scelto la California come scenario iniziale del loro The Distance Over Time Tour 2019, stato USA a me tanto caro, dove ho legami familiari e interessi lavorativi. Decido di andare assieme a mia sorella - primo concerto dei DT per lei - alla seconda data del loro “mini residency” a Los Angeles, il 22 marzo. La caratteristica principale di questo tour americano, è che l’esibizione sarà all’interno di teatri/auditorium (scelta optata anche per i loro ultimi tour in Europa). Scenari più congeniali ai DT a mio avviso. Come avviene dal tour di The Astonishing, la progressive metal band più famosa al mondo sceglie il teatro The Wiltern per la loro epica esibizione a L.A., dove nella seconda parte dello show, eseguiranno tutto Metropolis pt.2 - Scenes From a Memory. Il The Wiltern - situato a Korea Town - ha ospitato i più grandi performers della musica mondiale: è considerato tra i migliori teatri di L.A., elegante e capace di ospitare 1.850 spettatori. Tutti presenti alla data in questione, nonostante il caro biglietto che caratterizza - purtroppo - i concerti negli USA (decisamente più costosi che in Europa). Io e mia sorella arriviamo al The Wiltern in largo anticipo, ma ciò che balza ai nostri occhi è la fila che attende di entrare fuori dal teatro: una mandria di persone circonda tutta l’area della struttura, fino a sfociare esternamente. Noto persone di tutte le età pronte per lo show, pure tanti bambini accompagnati dai genitori. Mi piazzo in fondo a questo serpente umano, forte del mio biglietto in sesta fila, settore 2. La lunga coda scorre velocemente e arrivati quasi in cima, le note di The Spirit Carries On entrano dolcemente nelle mie orecchie: un musicista si esibisce in strada per racimolare qualche quattrino dai passanti, eseguendo con una tastiera, i temi principali di Scenes From a Memory. Tipica scena in stile L.A. Ultimato il metal detector, entro finalmente nel teatro. Il colpo d’occhio è notevole: bellissimo impianto, datato ma estremamente affascinante. Luci blu e rosse ne caratterizzano l’ingresso, fancy ed enigmatico. Trovo il tempo per una birra veloce, poi vado verso la mia postazione: ottima e vicina allo stage. Devo dire che sono rimasto sorpreso - positivamente - dal palco allestito dai DT per questo tour: scenario robotico in linea con le tematiche dell’ultimo album, Distance Over Time, caratterizzato da un velo centrale che fa da maxi schermo per l’evento (durante gli eventi europei all’aperto, useranno un vero maxischermo). La novità è la presenza di vere e proprie scalette, le quali permettono ai nostri beniamini di salire in un piano superiore al palco standard del teatro. Prima volta in assoluto in uno show dei Dream Theater. Mangini utilizzerà solo una gran cassa in questo tour, a differenza delle scorse esibizioni. Intrigante l’asta del microfono realizzata per James LaBrie, con tanto di teschio e mano robotica da ornamento, come è presente nella cover dell’album. Tutto molto bello quanto sorprendente. L’adrenalina sale, nonostante la pessima musica elettronica di intrattenimento. Assolutamente fastidiosa, frenetica e fuori luogo. Gli sguardi e le espressioni dei numerosi dreamers che mi circondano, mi mettono in soggezione: finalmente ho la fortuna di vedere i Dream Theater nel loro paese! Un sogno nel sogno. Le luci si spengono e il pubblico è già in estasi. Sul maxi schermo vengono proiettate delle immagini a tema robotico, stile film di fantascienza anni ‘80-‘90. La musica è trionfale e l’introduzione è incentrata sulla ricerca di tracce umane da parte dei robot, in un futuro ancora ignoto. Il tutto si conclude con il robot ricercatore, intento a selezionare ed esaminare tutta la discografia dei Dream Theater in un archivio digitale - figata assoluta - finendo per selezionare la copertina di Distance Over Time. L’emozionante intro termina e la band compare sul palco. I nostri attaccano con Untherned Angel – primo singolo dell’ultimo album - non preceduta dalla chitarra acustica come nella versione da studio. Il teatro dei sogni appare in splendida forma, aggressivi come non mai e aiutati da un’altra, ennesima novità: il non utilizzo di cavi jack da parte dei componenti. Tutto interamente wireless. Ciò permette alla band di muoversi liberamente, garantendo un maggiore spettacolo senza eventuali intralci. Il primo estratto del nuovo album ha un bell’impatto dal vivo e James LaBrie lo interpreta senza intoppi, anche se il cantante canadese appare come il meno in forma del quintetto. Il sound all’interno del The Wiltern è altissimo, tanto che a fine concerto,


in molti hanno ribattezzato lo show come “the loudest show ever!”. La prima parte del concerto prosegue con una canzone aspettata e desiderata da molti: A Nightmare to Remember. L’opening track di Black Clouds & Silver Linings, ci riporta all’ultimo tour con Portnoy alla batteria. L’esecuzione è eccellente - a parte l’indecisione di Petrucci nel primo mini assolo - come di consueto: le atmosfere dark di questo pezzo vengono accompagnate dalle immagini che scorrono sullo schermo, coinvolgenti e ben strutturate. Emozionante la parte centrale della canzone, ben interpretata da LaBrie che poi si diletterà nel growl di Portoniana memoria, presente in questo pezzo. Il singer non esegue la parte come si deve, ma d’altronde non è materiale a lui affine. Durante la parte strumentale, Jordan Rudess sfoggia la sua nuova creazione: la tastiera wireless disegnata dalla mano esperta di Jerry LoFaro. Momento di vero godimento per tutti i presenti. L’esibizione prosegue con l’esordio dal vivo della potente Fall Into The Light (la sera prima era stata eseguita Paralyzed). Sempre dall’ultima fatica targata DT, arriva il turno dell’acclamata Barstool Warrior. LaBrie pare essersi scaldato a sufficienza ed esegue questo brano in maniera convincente, facendolo rendere al meglio vocalmente. Toccante il solo di Petrucci, preciso e scandito pure da buona parte della platea. Il pubblico americano è partecipe a differenza di ciò che si dice in giro riguardo i dreamers d’oltreoceano. Le ultime due canzoni che caratterizzano la prima parte sono In The Presence of Enemies pt.1 e la massiccia Pale Blue Dot, ultima traccia di Distance Over Time. La più attesa dal pubblico presente. Una vera mazzata nei denti. Una dimostrazione di forza da parte dei DT prima dell’ultimo atto: Scenes From a Memory. Il secondo e attesissimo atto si apre con una musica retrò, stile fine anni ‘30. Epoca in cui sono vissuti i personaggi del concept album: Victoria Page, Julian Baynes e il Senatore Edward Baynes. Sul maxischermo vengono scanditi i nomi dei protagonisti, sia presenti (Nicholas e l’ipnoterapista) che i reincarnati nella mente dello stesso Nicholas (i già citati Victoria, Julian e Edward). L’atmosfera cinematografica è memorabile quanto coinvolgente, ma solo un accanito fan dei Dream Theater - e dell’album in questione - può assaporare le varie sfumature presenti. A differenza del Live Scenes From New York, dove vennero utilizzati dei filmati con l’ausilio di attori veri per descrivere tutte le scene del maestoso concept album, questa volta I Dream Theater optano per una versione a cartone animato, caratterizzato da uno stile marcato - per così dire moderno ma sempre con atmosfere retrò dovute all’epoca 1928 - di disegno, il quale riesce nell’intento di catturare lo spettatore, immedesimandolo alla perfezione con i personaggi. I colori predominanti delle vignette proiettate sono il giallo e il nero, scelta


stilistica azzeccata ed elegante. La partecipazione dei presenti è assolutamente maggiore rispetto alla prima parte dello show: tutte le canzoni vengono cantante e accompagnate dal pubblico, rendendo questa serata indimenticabile. Il teatro è la dimensione giusta per gustarsi Scenes From a Memory. L’ipnoterapista introduce la tanto amata Regression. Petrucci si posiziona sul piano superiore del palco, intento a eseguire la parte di chitarra acustica mentre dal lato opposto, le luci illuminano un James LaBrie ispiratissimo. Il singer è seduto sulle scalette dello stage, e scandisce le parole di questo piccolo capolavoro in maniera impeccabile. Difficile fare una classifica dei momenti salienti di questo atto: ogni dreamers che si rispetti conosce a memoria tutte le canzoni, tutti i testi e tutte le parti strumentali che formano quest’opera. Sicuramente è da ricordare l’esecuzione di Through Her Eyes. Impossibile non commuoversi durante questo pezzo, accompagnato da delle immagini bellissime e stilizzate. Durante l’esecuzione della canzone, i DT celebrano sul maxischermo i grandi artisti del passato scomparsi: nelle lapidi proiettate, vengono scanditi i nomi di Bowie, Mercury, Cornell. Gli occhi di Victoria fanno capolino sullo schermo durante il filmato. L’applauso da parte del pubblico dopo questo tributo è inevitabile. Bravi Dream Theater. Il finale dello show ci porta altre emozioni con le varie The Dance of Eternity - delirio totale della platea durante i duetti strumentali tra Myung e Petrucci - The Spirit Carries On, eseguita con tutte le luci accese del teatro e la rivelazione finale, Finally Free. La band ha eseguito SFAM in maniera egregia, ma ciò appare scontato quanto dovuto: chi si reca a un concerto dei Dream Theater, si aspetta questo e va sempre sul sicuro. LaBrie ha avuto i suoi alti e bassi durante l’esibizione di Scenes From a Memory, ma ha comunque dimostrato che senza la sua interpretazione in certi pezzi, I Dream Theater non sarebbero più la stessa cosa. Uno schiaffo ai detrattori da parte del leone canadese. Prima dei saluti, i virtuosi del metal terminano con un must come Pull Me Under. Arrivati all’uscita, io e mia sorella ci posizioniamo davanti al The Wiltern per la foto di rito, con il teatro sullo sfondo, desiderosi di immortalare lo storico momento con tanto di scritta Dream Theater, tipica nei teatri americani. Peccato che lo staff del teatro abbia già tolto il nome della band, per far posto all’evento del giorno seguente. Poco importa. Lo show rimane scolpito nella nostra memoria, incastonato tra le scene più limpide delle nostre vite. Scenes From a Memory. Francesco Rossi


PARLIAMO DI TECNICA con James “Jimmy T” Meslin

Abbiamo fatto una chiacchierata con James Meslin, tecnico del suono dei Dream Theater; abbiamo parlato di questi suoi primi anni di lavoro con la band, delle sessioni di registrazione, di alcune tecniche e della strumentazione che c’è dietro al loro ultimo album, Distance Over Time. L’inizio della relazione di James Meslin con i Dream Theater risale al 2013 quando la band aveva cominciato a lavorare a quello che sarebbe diventato il self titled album al Cove City Sound Studios a Glen Cove, New York, dove James era assistente ingegnere di sala. Proprio qui aveva preso parte alle sessioni e in poco tempo ha sviluppato un intenso rapporto con la band, tanto che a registrazioni concluse era diventato semplicemente “Jimmy T”. Una volta rilasciato l’album, mentre la band era in tour in giro per il mondo per presentare il nuovo album, Jimmy lavorava come ingegnere capo al Cove City. Al ritorno della band al Cove City nel 2015, per iniziare a lavorare a The Astonishing, le abilità di Jimmy sono state fortemente richieste. Avendo finora lavorato a due album della band, il forte carattere e la grande professionalità di Jimmy hanno fatto si che fosse richiesto come membro del team a tempo pieno, anche in tour. Assunto inizialmente come playback tech, la più grande responsabilità di Jimmy era quella di verificare la corretta sincronizzazione tra lo show e tutto ciò che gli sta dietro. Con il proseguo del tour però ha assunto compiti sempre più relativi all’audio come per esempio cablaggio, microfonazione del rig di John Petrucci e supporto PA. Facendo un balzo in avanti di qualche anno, troviamo Jimmy profondamente coinvolto in ciò che sarebbe poi diventato Distance Over Time, a partire dalle primissime fasi embrionali. Parliamo dell’ultimo album, Distance Over Time. Cosa mi puoi dire del processo di pre produzione? La conversazione iniziale è stata una chiamata con John (Petrucci), il quale mi aveva accennato che era sua intenzione fare un’esperienza simile ad un AirBnB con l’intera band. È andata più o meno così: “vorremmo semplicemente andare via, senza pensare ad equipaggiamento e strumentazione di qualsiasi tipo e senza pensare alla resa sonora effettiva dall’altra parte del vetro dello studio. La nostra intenzione è quella di ritrovarci tutti assieme in una sala con l’occorrente necessario per scrivere musica così da ottenere una traccia audio che poi ci porti alla registrazione vera e propria”. Sarebbe stata una nuova esperienza per me con questa band; quel genere di esperienza che probabilmente avrei intrapreso in un’unica giornata con qualche band locale, di certo non con una band del calibro dei Dream Theater. John quindi, aveva chiuso questa chiamata dicendo “puoi cercare delle opzioni?”. Questo perché John sapeva che avevo già intrapreso questo tipo di esperienza con la mia band (Time King), e mi aveva chiesto quali erano le considerazioni da fare nella programmazione di una tal esperienza. La mia risposta è stata “beh, faremmo di certo un bel pò di rumore, ma certamente qualsiasi posto del genere non sarà acusticamente insonorizzato”. Quindi, ciò che avrebbe fatto al caso nostro sarebbe stato qualcosa di distante e isolato. Dovevamo rimanere in un ambiente molto campagnolo (come da esplicita richiesta di John nello stato di New York), in un fienile o un ranch, qualcosa di un pò fuori dalle righe. Ci serviva una grande sala e dovevamo accertarci che ci fosse un numero sufficiente di camere da letto etc… Mentre svolgevo ricerche per trovare la giusta soluzione, sono giunto ad un punto in cui mi sono detto “ogni Airbnb che sto trovando per lavorare con loro ha più o meno lo stesso prezzo di uno studio di alto rango, ma in un modo o in un altro dobbiamo pur entrare da qualche parte”. Poi, una ricerca su Google abbastanza casuale, mi ha suggerito questo posto, Yonderbarn, etichettato come “spazio creativo”. Questa proprietà, oltre al fienile vero e proprio appena ristrutturato e riconcepito come studio di registrazione, aveva annesso anche un bungalow. È stato recentemente svuotato completamente e venduto ad un nuovo proprietario, il problema era però che non c’era equipaggiamento di nessun tipo, il che non era il massimo per noi, ma


d’altro canto la soluzione corrispondeva proprio a quello che mi era stato chiesto da John. Yonderbarn è finito per essere ciò che faceva per noi più di qualsiasi altra soluzione. Misura 74 metri quadrati al piano terra del fienile, i soffitti sono alti, c’è poi una cucina, una cantina e una control room al piano di sopra che ha fatto anche da camera da letto di Mike Mangini nel periodo di scrittura dell’album. L’idea era quella di entrare a giugno e rimanerci per un periodo necessario alla scrittura stimato in circa sei settimane, cosa che in realtà non è stata minimamente rispettata perché il tempo impiegato è stato di gran lunga minore. L’idea era quella di entrare, scrivere e registrare delle demo molto semplici e soprattutto essere la band di amici stretti quali sono. Una volta completata questa fase, l’intenzione era quella di spostarsi in uno studio di registrazione vero e proprio per le sessioni di registrazione definitive. L’idea iniziale prevedeva di muoverci al Cove City Sound Studio (dove ho mosso i primi passi e dove abbiamo registrato assieme in precedenza) ad agosto, ma in realtà la band era già pronta a registrare già dopo il 4 Luglio. Ho contattato il proprietario dello studio, Richie Cannata, riferendogli che i programmi erano cambiati. Sfortunatamente però, lo studio era già prenotato per tutto il mese di luglio. La mia reazione è stata: “e adesso che facciamo?”. Proprio qui subentra JP che con una telefonata mi chiede “Non possiamo registrarlo qui?”. E la mia risposta è stata “certo, certo che possiamo”. Ma non avevamo alcun tipo di strumentazione per la registrazione. Stavi registrando durante il processo di scrittura? Avevi posizionato un microfono nella sala o c’era qualcosa di più? Allora, per quanto riguarda i Dream Theater, ti puoi permettere di tenere una bassa qualità, che però deve comunque soddisfare un certo livello produttivo. La band ha risolto comprando un mixer Behringer X32 Compact, che ha soltanto 16 input ed è espandibile digitalmente fino a 32. In realtà lo abbiamo mantenuto a 16 perché la mia idea era “se l’opzione è contemplabile, loro sicuro la sceglieranno. Finiremmo con l’avere però qualcosa che in qualche modo non ci serve e ci allontana dalla direzione intrapresa”. Ciò che stavo provando a fare era imporre una limitazione, facendo sì che quello che ti eri imposto di fare sarà proprio quello che otterrai. Abbiamo quindi lavorato con 16 canali. Ho piazzato 4 microfoni sulla batteria, solo un Beta 91A nella cassa e un Beta 56A sul rullante. Per quanto riguarda invece i microfoni “overhead” ho usato KSM 32s ed erano posizionati in modo molto particolare perché Mike ha molti tom da coprire e dato che i suoi piatti sono molto alti, a livello sonoro li perderesti completamente se piazzassi i microfoni alti tanto quanto i piatti. Osservando il kit di Mike, pare ovvio che hai dovuto microfonare il tutto diversamente, vero? Si. Strettamente per le demo, visto che la distanza tom - microfono non era così poca, ho scelto di posizionare i microfoni overhead con la tecnica AB, un po’ sopra e un po’ dietro i suoi tom. I tom 5 e 6 sono quelli esterni del suo kit, da sinistra a destra. I microfoni erano posizionati direttamente sopra i tom, con una leggera inclinazione verso il rullante per mantenere la simmetria sia visiva sia sonora nel modo migliore. I piatti sono talmente rumorosi che non hanno generato alcun problema. Ho poi tirato una linea aux per il metronomo che Mike stesso controllava. Per il basso invece abbiamo utilizzato due linee, una DI e un segnale wet, la DI era sempre pulita mentre la linea amplificata vedeva la presenza di qualsiasi effetto utilizzato che John inseriva in ogni momento. Le tastiere di Jordan erano essenzialmente un mix in uscita dal Radial Key-Largo. Qualsiasi cosa avesse, probabilmente 3 o 4 tastiere e un computer con cui sperimentava, comparivano nel mix in due canali. Riguardo JP, usciva direttamente attraverso il Cab Clone integrato nei suoi amplificatori Mesa con una linea a parte per il piezo; occupava quindi 3 canali sul banco. Ciascuno aveva poi un microfono per parlare e il tutto confluiva in un unico canale. James LaBrie aveva invece il suo microfono con linea dedicata in modo tale da poter aggiungere un po’ di ambiente, e nel caso in cui avesse avuto qualche idea, avrebbe potuto tranquillamente registrarla in qualsiasi momento.


Behringer offre un sistema davvero molto interessante. Avevo in dotazione il mixer P16 in coppia con la tecnologia Ultranet (P16, P16D), in questo modo ognuno aveva il suo mixer a 16 canali, il che è una gran cosa. Ognuno poteva crearsi il suo mix personale e per le cuffie, in più JP aveva un ulteriore P16. Per rispondere all’esigenza di lavorare in multi track, ho predisposto un template in Logic, la DAW più vicina alla band. Il risultato è stato quindi un multitrack composto da 16 canali, ai quali si aggiungono 2 rough mix, con lo scopo di sentire le tracce direttamente nella console attraverso un input aux. Ho messo a punto il sistema per permettere all’intera band di riascoltare in modo pressoché immediato ciò che era appena stato registrato e, una volta ottenuta la loro approvazione, dall’arrangiamento si passava al multitrack. Il passo successivo era poi quello di portare il tutto su ProTools alla frequenza di 96Khz, consapevole del fatto che sarei andato a registrare ciò che era appena stato registrato in qualsiasi momento. Da li, ho realizzato un template della sessione. Ciò che dovevo fare era il remix della demo. Se il risultato otteneva il consenso della band, per me era un successo. Se fosse stata necessaria qualche modifica, ciascuno avrebbe potuto riprendere in mano il proprio strumento e mandarmi le modifiche da apportare, inserirle nel progetto e una volta completati gli arrangiamenti, passare al brano successivo. E tutto questo ti sarebbe servito poi in sede di registrazione nel caso in cui avessi voluto usarle per il tracking vero e proprio? Questo mio approccio avrebbe portato a dire “Okay, registriamo le parti di batteria” senza che ci fosse troppo altro da sistemare. Non c’era tempo per un’addizionale pre produzione. Così facendo, potevo mettere in muto la batteria ma allo stesso tempo lavorare con il resto della band con la click track. Se avessero voluto passare, per esempio, al ritornello, non ci sarebbe stato alcun problema in quanto era già tutto stato etichettato e messo a tempo. Questa fase del lavoro l’ho svolta a distanza. Ho messo a punto lo studio e sono poi tornato a Long Island per lavorare alla mia strumentazione, facendo un check ogni settimana recandomi sul posto. Matt Schieferstein, tecnico delle chitarre di JP e membro del team dei Dream Theater, ha assunto l’incarico di coordinatore della produzione e il suo compito era quello di seguire la band in tutte le attività giorno per giorno. Una volta completato tutto, attorno al 4 luglio e concordato di registrare le parti di batteria allo Yonderbarn, era giunto per me il momento di cambiare strumentazione, il problema era però che c’erano 40 linee collegate che passavano dal piano terra dello studio alla sala controlli, senza però che ci fosse un minimo di equipaggiamento. Per risolvere questo problema, ho letteralmente smontato tutto il mio studio personale; computer, pre amps, processori, convertitori, patch, microfoni e addirittura il mio banco. Da qui sono partito con la costruzione di un super rig basato su Pro Tools, combinando il mio sistema con quello della band. Ho poi portato in studio ogni paio di monitor che possedevo e lo stesso ha fatto la band, addirittura mi hanno fatto usare il loro convertitore Lynx Aurora e così abbiamo creato uno studio a tutti gli effetti partendo da una stanza apparentemente vuota. Senza dimenticare che con una telefonata sono riuscito ad ottenere dai miei amici di Rupert Neve Designs e sE Electronics i microfoni e i pre necessari per catturare il tutto nel modo più adatto. A questo punto mi viene da chiederti, la selezione della strumentazione era basata su una scelta mirata e selettiva o semplicemente sul “mi piacerebbe lavorare con questi microfoni”? Qual è stato il processo di scelta? Sono stato aiutato dal fatto che alcuni pezzi importanti della strumentazione in realtà erano già sul posto. Mangini possedeva un kit di microfonazione Shure quindi, sai, stiamo parlando di 6 tom, 4 octoban, il che significa microfoni dappertutto. Ho visto un sacco di gente sperimentare diversi microfoni sul suo kit e noi, ancora una volta, siamo ricorsi al Beta 98s per i tom. Per quelli più bassi invece, come i gong a fondo aperto o cose simili, spesso si ricorre ad un Beta52 o simili. Ma lui possedeva questi microfoni, che lavorano molto bene sia in studio sia in tour. Non erano queste le apparecchiature che destavano preoccupazione. Abbiamo quindi usato questo set Shure rivelatosi ottimo. John invece per microfonare il suo rig usa microfoni Mojave e Royer, questa scelta deriva da esperienze passate in studio di cui abbiamo fatto tesoro. Sul posto c’era quindi una buona quantità di equipaggiamento ma ci mancavano dei tipi specifici di microfoni. Ci serviva un set completo di microfoni d’ambiente e overhead. Servivano delle attrezzature specifiche che non ti aspetteresti mai che una band possieda, perché la loro mentalità era “bene, nel caso in cui ci fosse la necessità di investire in qualcosa, facciamolo in modo tale da sfruttare in qualsiasi situazione


quello che abbiamo acquistato”. Non hanno in gestione uno studio, sono una band, quindi se fosse stato loro necessario investire in qualcosa, doveva essere qualcosa di utilizzabile anche on the road. Ciò che mi serviva era una selezione di microfoni valvolari e a nastro costruiti appositamente per il lavoro in studio. La mia relazione con sE Electornics è partita nel 2013. Condividono la distribuzione con Rupert Neve Designs, e ho stabilito con anch’essi una relazione solida e proficua. Ho quindi fatto una telefonata spiegando le necessità per questo progetto e gli ho detto “ho bisogno di una selezione specifica di microfoni e una marea di preamps”. L’azienda mi ha fornito un intero set di microfoni Rupert Neve Design/sE Electronic, un paio (stereo) del nuovo modello di microfono valvolare RNT Tube Microphone, microfoni stereo RN17’s SDC e un set stereo di RNR1s, che sono i microfoni a nastro. Oltre a ciò, ci siamo serviti di 32 pre’s, tutti RND. Quello che ho pensato è stato “bene, questa è la ciliegina sulla torta”. Il mio approccio è bene o male sempre rimasto lo stesso. Amo avere una stanza grossa necessaria per la batteria e la mia filosofia è quella di “catturare” nel modo più fedele possibile a come una persona lo sentirebbe come se si trovasse li a due passi. Al giorno d’oggi, questi microfoni di prossimità sono generalmente quelli più alti in assoluto nel mix, ma se riesci ad ottenere un suono funzionale semplicemente con microfoni d’ambiente e overhead, sai di essere sulla strada giusta. Poi puoi modellare il suono quanto ti pare e anche spingere i microfoni di prossimità e manipolarli come ti pare. Quello che penso io è che non è possibile simulare una stanza grande. Ci sono un sacco di ottimi album in cui sono stati usati dei sample per raggiungere questo risultato, e in certi casi è anche meglio per l’artista stesso, ma quando si sta parlando dei Dream Theater, devi per forza registrare una vera batteria in una vera stanza. La band ha espresso una richiesta vera e propria di come doveva essere il suono dell’album oppure di come doveva essere rispetto a quello di registrazioni precedenti? Il compito fondamentale era quello di avere un suono organico. Dovevamo creare qualcosa che suonasse molto hi-fi e che facesse dire alla gente “si…!”. Dovevamo fare qualcosa che avesse un suono hi-fi usando l’equipaggiamento con cui vanno in tour e compongono musica. Questo era effettivamente lo scopo vero e proprio, “catturare” il suono dei Dream Theater esattamente così come sono. È proprio questo quello che mi piace fare, amo fare registrazioni che portino l’ascoltatore a pensare “come è strutturato questo kit? Come fa ad avere un suono così puro senza che sia stato oggetto di pesanti manipolazioni? Dal punto di vista del suono, io e la band adottiamo la stessa filosofia di come è e come deve essere. Io ho ottenuto il primo incarico vero e proprio nella realizzazione di registrazioni professionali nel 2013 e l’ho avuto proprio con questa band che ha cominciato la sua carriera registrando con nastri veri e propri, quindi è inevitabile che qualche influenza ci sia stata. Si, e quindi alla fine, andando anche in tour con la band, i discorsi riguardo apparecchiatura, strumentazione e suono non sono altro che la naturale estensione della vostra relazione, o sbaglio? Certo, assolutamente. The Astonishing è stata una registrazione molto intensa. C’è una mole di lavoro non indifferente dietro questo album. Per quanto riguarda Distance Over Time invece, probabilmente “elementare” non è la parola più adatta, ma è comunque molto meno “stratificato”, il che fa si che la resa finale sia indubbiamente diversa. Hai fatto questa considerazione nel momento in cui stavi cercando di ottenere un suono ben preciso? Si, e mi fa piacere che ti sia accorto di questo aspetto, significa che il mio “scopo” è stato raggiunto. Il tutto ha avuto origine con una chiacchierata. JP che, in qualità di produttore dell’album, mi ha espresso la volontà di avere come risultato finale un prodotto che suonasse esattamente come se la band fosse sul palco a suonare quei brani. Volevamo andare a parare esattamente in questa direzione, e direi proprio che da quello che mi


stai dicendo, il nostro obiettivo è stato centrato. Riguardo The Astonishing, il lavoro è stato enorme, era come se la band fosse parte integrante di un grande puzzle, aggiungendo orchestrazioni, SFX e il ruolo di diversi personaggi in una rappresentazione, è un approccio completamente diverso sia di composizione che di produzione della musica. Qui invece la mentalità era “ragazzi, ricordate quando ci trovavamo a sperimentare in un unico grande ambiente? Rifacciamolo ancora”. È proprio questo che è questo album, qualcosa di più grezzo e diretto. In una conversazione JP mi ha detto “voglio un suono lead talmente massiccio da non avere bisogno di alcuna traccia ritmica”, è stata una decisione molto consapevole. Ed è una soluzione che permette anche agli altri membri della band di aprirsi un po’ di più senza che ci sia alcuna forma di rivalità nel mix. Questa decisione di non sovrastratificare il prodotto finale e di pensare attentamente dove e quando, eventualmente, fare questa operazione, è stata pensata proprio in base alla filosofia che ci eravamo dati all’origine di questo lavoro, in modo tale che appunto ogni strumento avesse un po’ più di considerazione. Puoi mostrarci il tuo approccio di microfonazione di ogni strumento, ovviamente anche delle parti vocali? Figo! Partiamo con la batteria. È lo strumento che richiede maggior lavoro, considerata la quantità maggiore di strumentazione da impiegare. Un aspetto importante di questo album è stato che Mike preferiva trovarsi su una pedana, esattamente come in tour. Dal canto suo, lui nota una differenza tra come suona il suo kit su una pedana piuttosto che direttamente sul pavimento. Tutto l’album è stato scritto con la batteria posta su una pedana senza che fosse mai spostata. E credo che questo aspetto sia stato una manna dal cielo. Il kit è rimasto in quella sala tra le tre settimane e mezzo e il mese prima che facessimo le registrazioni vere e proprie. Non si gode quasi mai di questo privilegio, solitamente il kit si sposta continuamente in uno studio, si intona il kit e lo si microfona, suona sicuramente bene, ma devi lavorarci parecchio. In questo caso invece il kit è sempre rimasto al suo posto. Al momento della registrazione, la temperatura era ideale a far si che il legno delle varie componenti della batteria abbia contribuito ad ottenere un prodotto finale degno di nota. I principali aspetti da considerare erano se il kit suonava bene nella sala e se si trovava nel punto giusto. Se stai lavorando con un rullante che non suona bene, non esiste nessun EQ applicato che potrà salvarti. Quindi, si parte da qui. Soffermandomi sui preamps, i RMP-D8s di Rupert Neve Desings hanno fatto totalmente al caso nostro. Ci hanno permesso di registrare praticamente tutto e permettono di ottenere un risultato davvero stupefacente sia nelle registrazioni studio che in sede live. È stato fondamentale per noi, e allo stesso tempo meritevole per Rupert Neve Designs, capire come potesse essere funzionale in una varietà enorme di casistiche. La qualità è quella da studio, è predisposto per essere portato in tour e, ovviamente, suona magnificamente. Avevamo con noi tre RMP-D8s per catturare il suono di Mike in parallelo con canali Shelford e 5024, oltre che EQ e compressori vari. Ho usato diversi microfoni di prossimità. In quest’album Mike ha usato una grancassa da 24”, il che è una cosa nuova e diversa dal solito in quanto è solito usare due casse da 22”. Il tutto è stato registrato posizionando 3 microfoni, uno davanti al kick, uno subito dopo e uno all’interno della cassa. L’Audix D6 era quello all’interno, appena sotto al battente e al centro. Ti fornisce quella precisione e quel “colpo” che risalta nel mix. Il Mojave FET 301 si trovava invece appena dietro al kick all’esterno della cassa, è una riedizione del FET 301 che sono solito usare per questa casistica. La resa sulla grancassa è stata incredibile. Ti da un senso di “inscatolamento” e spazialità che generalmente non riesci ad ottenere posizionandone solo uno all’esterno, e, oltretutto, permette di riempire il “buco” della frequenza 350Hz. Questo microfono interno alla cassa è di solito molto “scavato”, mentre quello esterno è quello che ti fa dire “mi manca quella sensazione di chiusura e “woof”. Successivamente Maddi ha cablato un woofer Yamaha NS10 invertito per “catturare” il subkick. Il bilanciamento solitamente prevede il microfono appena dietro al kick all’unità, quello appena dopo a -5 e quello interno attorno a -15, anche se in realtà tutto dipende dal guadagno. Parallelamente, usavamo un Royer R121 posizionato a circa 2 metri dalla grancassa, super compresso con un DBX 560a, il compressore a 160 della serie 500. Ho poi tagliato le alte per far risaltare di conseguenza le basse che già risaltano per la costruzione tipica di questo microfono.


Ti dà poi un po’ più di ambiente, il che non è un male. Era quella sensazione di 3D che stavo cercando. L’ho posizionato all’altezza della vita e leggermente angolato verso la cassa. Così facendo, ciò che non sei in grado di catturare sono i piatti, ma in fin dei conti non è quello che stai cercando in questo momento. Boostandolo poi, ottieni ancora più low-end. Per quanto riguarda il rullante ho usato un SM57 ed un Audio-Technica ATM450 entrambi posizionati sulla cima e con fase sincronizzata alla capsula. Il posizionamento della capsula però è diverso tra il 57 e il 450, devi quindi andare a tentativi e cercare di ottenere il miglior allineamento tra le due fasi e cercare di mantenerlo costante sull’intero rig. Ho poi usato un Beta 56 sul fondo del rullante. Nonostante sia del parere che in questa posizione tu possa davvero utilizzare qualsiasi cosa, io cercavo proprio quel preciso suono che sono riuscito ad ottenere. Alcuni usano microfoni a condensatori, io invece preferisco i dinamici perché sono meno sensibili all’influenza della cassa e inoltre interagiscono meglio con i gate. Mike ha poi un secondo rullante che ho microfonato con Beta 98s, sia sopra che sotto. Un aspetto che devi considerare quando hai a che fare con il kit di Mangini è il suo valore artistico. Devi entrare all’interno del suo kit e farti amici i microfoni che possono essere clippati. Quindi, Beta98 sopra e sotto questo secondo rullante, poi Beta98 sui tom 1,2,3 e credo anche 4. Per il Tom 5 invece ho usato uno Shure KSM27 mentre per il gong, etichettato come tom 6, che ha fondo aperto, ho posizionato un Beta 52 posizionato nella parte bassa. Da qui passiamo ai piatti: i piatti 1,2,3 e 4 sono tutti stati registrati con Beta 98. Da qui si va proseguendo a step, Mike ha un “registro” inferiore con quelli che chiamo piatti SFX, si tratta di piatti con bassa risonanza, stiamo parlando di china, stacks e simili. In questo caso sono stati impiegati KSM32. Gli hi-hats sono invece stati microfonati con KSM137, e si trovano sia alla sua destra sia alla sua sinistra. Nello specifico ne ha uno chiuso e uno controllato con un pedale, il tutto in modo simmetrico per un totale di 4. I KSM137 erano posizionati in modo da puntare in direzione di quello chiuso, mentre quello aperto aveva la tendenza di “tagliare” un po’ il suono. In merito alla sezione overhead, i microfoni in questione erano RN17 in posizione XY nel ventre della bestia. La mentalità di Mike è “la gente deve sentire la batteria nello stesso identico modo in cui la sento io, perché il mio modo di suonare è incentrato su quest’aspetto”. In qualità di ingegnere, in studio tendo a fare il mix dal punto di vista dello spettatore, per esempio nel momento di cui dico di suonare il tom, devo avere il batterista nel mio campo visivo. Ma proprio per via di questa filosofia di Mike, la batteria è stata mixata dal punto di vista del batterista stesso appunto. I due microfoni a XY si trovavano esattamente sopra la testa di Mike senza che ovviamente gli fossero di intralcio e che avessero la funzione di “catturare” il kit nel suo insieme, piatti, tom e qualsiasi altra cosa. Erano posizionati più vicini ai ride, tanto è che non è stato necessario aggiungerne altri per questo tipo di piatti. Usando anche solo questi due microfoni, è possibile catturare tranquillamente tutto il kit. E proprio questa sarebbe stata la mia prossima domanda. Considerato che il kit in questione è parecchio articolato, bastano anche solo due microfoni per sentirlo in modo fedele al suo suono “naturale”? Assolutamente. Lo puoi fare appunto con questo posizionamento XY sopra la sua testa, ed ecco che copri il kit. Potrebbe competere con il suono lead di John Petrucci? No, ma comunque hai una base che puoi considerare come buon punto di partenza, tant’è che sono stati i primi fader. Per ottenere quell’effetto 3D desiderato ci siamo serviti di RNR1 con la tecnica Blumlein collocati sopra i 121 ad una distanza di 2 metri dal kit, coerenti in termini di fase, e ad un’altezza testa o comunque di circa 2 metri. Abbiamo così ottenuto un suono organico di tutta la sala senza che fosse percepibile l’effetto della distanza. Infine abbiamo gli RNT, microfoni omni, che sono stati il tocco aggiuntivo. Il loro posizionamento era tale da trovarsi a circa 5m di altezza nelle parti più remote della sala e in modo tale da trovarsi equidistanti dal rullante e dalla cassa. La loro funzione era quella della gestione del decay. Se li ascoltassi, la prima cosa che penseresti è: “ma dove si trovava questo kit? Suona enorme!” Ed era esattamente così. A questi microfoni ho aggiunto un tocco di compressione con attacco di circa 10ms e release super rapida, inoltre sono stati “schiacciati” tra -5 e 7. Ma è stato divertente, sai? Stavamo realizzando un album rock, e aggiungendo questo tipo di cose ottieni quel tocco aggiuntivo. E questa era proprio la peculiarità del kit in uso.


Preferisci agire partendo con la configurazione XY e poi riempire lo spazio vuoto compreso tra loro oppure al contrario? Parto con XY. Sapevo sarebbe stato necessario, visto il genere. Era molto importante che Mike percepisse la componente “metal” del suo kit e che considerato il suo modo molto intricato e musicale di suonare, sentisse in modo uguale tom e piatti. Metà del kit di Mike era stato accordato più basso. Il suo modo di suonare gli permette di fare cose molto veloci e quindi ogni minima sfumatura conta. Ogni minimo colpo su un piatto importa. Non siamo di fronte ad un kit standard di stampo rock in cui pensi “mi serve un grande fill nel ritornello”. Qui siamo di fronte a terzine suonate su un hat con una mano ed accentate con quello speculare, insomma qualcosa di pazzo e super prog. Ma per fare ciò un microfono posto a distanza minima non ti avrebbe dato questo risultato perché focalizzandoti su una sola parte del kit avresti perso quel senso di unicità come se fosse un unico grande strumento. Ti serve quel senso di organicità che lega il tutto. La prima domanda che mi son posto in questa fase è stata “partendo dalla sezione overhead, sono in grado di sentire l’intero kit? Se dovessi ascoltare la batteria isolata, funzionerebbe? E poi, per trasformarla in una registrazione rock vera e propria, ho inserito e mixato in ordine cassa, rullante e tom e credimi, alla fine sentivamo la sala vibrare dalla tanta imponenza del suono. Servendoci poi dei microfoni spot su stacks e hihat abbiamo ottenuto quella definizione necessaria per completare il tutto. Una volta microfonato il tutto, come ti sei comportato con Mike? È salito in control room ad ascoltare ogni singola traccia? Faceva su e giù? Dipende dalla complessità della parte. In certi casi ha ragionato a step, io ho fatto si che fosse costantemente affiancato da JP cosicché se fosse servito un aiuto del tipo “Ho sentito un colpo che non hai sentito in questa strofa” si sarebbe tranquillamente tornati indietro a lavorare sulla parte in questione. John è stato con me nella control room nella maggior parte delle sessioni di registrazione della batteria tranne che in un paio di brani, ma è stata puramente questione di impegni. Nella maggior parte delle sessioni John si trovava con me e diceva per esempio “Mike, siamo assolutamente in linea con la direzione intrapresa” oppure “Mike, ho intenzione di fare una parte di chitarra qui, puoi fare un fill tale da farlo suonare più unisonamente? È così che siamo riusciti ad ottenere risultati davvero di qualità. L’intera band è stata molto obiettiva ed onesta, per la serie “so che funziona, ma non è esattamente come mi piacerebbe suonasse, rifacciamola”. E quindi Mike tornava in sala e io in control room. Eravamo in stretto contatto, anche visivo, e si lavorava al brano fino alla fine, pezzo per pezzo. Mi servivano poi 5 minuti per ripulire qualche sezione un po’ sporca o imprecisa. Mike mi avrebbe poi raggiunto e mi avrebbe segnalato qualcosa che non andava o poteva essere migliorata, tipo “vorrei sistemare questa cosa o darle un’occhiata, credi che dovremmo rifarla?”. Una volta completata questa fase in collaborazione con lui, entravo in azione io che provvedevo a fare un sub-mix, confrontarmi con JP e ottenere la sua approvazione. Il fatto che John stesse su con me è stato di grande aiuto. Abbiamo fatto si che avesse un banco tutto suo e che avesse il suo set di monitor con spazio per il computer e cuffie. Quel banco inoltre è servito sia per lui sia per John Myung nel momento in cui registravano le rispettive parti. Potevo disattivare i miei monitor o potevamo lavorare entrambi, se avessero voluto, avrebbero potuto addirittura farsi i loro mix personali. Come avete proseguito poi? Una volta completate le parti di batteria, siamo passati alle chitarre di John. Abbiamo impiegato più o meno 15 ore per mettere a punto i microfoni con movimenti davvero millimetrici che però avevano un effetto enorme sulla resa. Questa operazione è proseguita fin quando l’approvazione di John sarebbe stata totale. Il setup prevedeva un Mojave 301, Shure SM7B e un Royer 121, il tutto davanti alla sua cassa 4x12. Il tutto confluiva in un solo canale su Pro Tools. Mi sono servito inoltre di un microfono d’ambiente, l’RNT omni posizionato a circa 5m di distanza e 2m di altezza dal cabinet allineato. La testata in uso l’abbiamo tenuta giù in sala perché ha utilizzato il suo touring rig, impossibile da portare su in control room. Abbiamo cablato una linea dalla control room alla sua testata, che appunto non si trovava con noi, e questo


fatto rappresenta un’eccezione in quanto solitamente la si tiene in sala per sfruttarla al massimo. Questo aspetto ci ha portati però a prendere una decisione definitiva sul suono e portarla avanti fino alla fine. Ho posizionato un piccolo deflettore a lato del rig di John, facendo in modo che fosse aperto e puntasse verso i microfoni in sala ma allo stesso tempo permettendomi di modellare la “botta” che si ha coi microfoni cosi vicini. Abbiamo anche registrato una chitarra acustica. Per farlo ho usato un RN17 posizionato vicino alla chitarra direttamente giù in sala. Il vibe tipico della sala ci è piaciuto talmente tanto da volerlo mantenere in qualche modo. Addirittura in un brano, che credo sia Out of Reach, la registrazione è stata fatta direttamente davanti all’amplificatore giù in sala. L’interazione John-cabinet era totale e il feedback che gli dava era davvero incredibile. Tutto il resto invece, è stato registrato direttamente dalla control room. Quando invece abbiamo registrato le tracce lead, l’unica cosa che è cambiata è stata il passaggio al canale 3 del suo ampli e un lieve ritocco all’EQ da parte mia. Ho spinto leggermente di più la banda 1.5k a discapito del 4k mantenuto un po’ più nel registro vocale ottenendo così un suono più rotondo. Direi che è tutto. Avevamo a disposizione dell’ottima strumentazione e un grandissimo chitarrista. Non c’è nulla di estremamente complicato, non dovevamo reinventare la ruota insomma, era solo questione di recuperare la strumentazione più adatta per registrare la migliore performance. Parlami invece della registrazione del basso di John Myung. Registrare il basso è stata un’operazione davvero piacevole, JMX ha portato con sé una serie di amplificatori, stava a noi scegliere quale usare. Ho optato per uno di questi appunto, l’Ashdown ABM1200 con un cabinet 4x10” davanti al quale era stato posizionato un Mojave 301. Per togliere ogni rumore di fondo e disturbo, ho filtrato tutto con un filtro di sE. Oltre a ciò, una linea pulita in DI direttamente in un canale Shelford e una linea in uscita dalla testata. Questo è tutto, ottima strumentazione, ottimo bassista. Una volta ottenuta la sua totale approvazione, eravamo pronti a passare al prossimo strumento. Il tutto è stato mixato come nel caso delle chitarre di John con i microfoni in un’unica linea o sono stati gestiti singolarmente? No, sono stati trattati individualmente perché il basso può essere un po’ più sensibile per quanto riguarda la fase, in più la sala dello Yonderbarn era nuova per me. Sono stati gestiti singolarmente come 3 input singoli e senza aggiungere sovraincisioni addizionali, così da gestire più facilmente le tracce registrate. Cosa puoi dirmi delle tastiere di Jordan? Jordan aveva una serie di tastiere che sono state fornite di una serie di linee stereo. Abbiamo inserito il suo Hammond in una specie di “Leslie in a box” di Motion Sound. Dato che il box possedeva dei microfoni integrati al suo interno, non ho dovuto far altro che usare un’uscita diretta. Questo per quanto riguarda il suono del Leslie/Hammond. Aveva poi la sua Korg Kronos e il suo computer, oltre ad una serie di synth, ed entravamo direttamente nei nostri ottimi pre. Tutto analogico, nulla di digitale. Nient’altro. Jordan è quel tipo di artista che devi lasciare agire senza intervenire, perché si crea e gestisce tutte le patch in autonomia, devi semplicemente lasciarlo creare. È un musicista straordinario, probabilmente è più il tempo che impiega a costruire i vari suoni rispetto a quello che impiega per registrare le tracce. Esatto. E possiede quella capacità di creare qualsiasi tipo di suono che occorra. Assolutamente si. È quel tipo di persona che sedendosi davanti alla sua Kronos potrebbe dirti “ho questo singolo suono sul quale agiscono 15 layer diversi e vorrei che questa parte entri soltanto nel momento in cui suono la nota C3”; incredibile. Questo per quanto riguarda la band. Le parti vocali invece sono state registrate a distanza da Richard Chycki su in Canada dove vive LaBrie. Quando James ha chiesto di registrare le sue parti io ero ancora al lavoro con il resto della band. Le prime parti che ha registrato, nonostante avessero già la batteria, chitarra e basso registrate definitivamente, avevano ancora le parti demo di tastiera. Avevamo una scadenza e dovevamo rispettarla. Quando erano in corso le registrazioni delle parti vocali io ero ancora al lavoro con Jordan. Il mio ultimo compito è stato quello di inserire le registrazioni delle parti vocali con quelle del resto della band prima della consegna del mix finale. Per la voce è stato usato un Mojave MA-1000. Un unico microfono davanti a James in uno spazio insonorizzato e Rich Chycki. Questo è tutto. Wow, beh, grazie per tutte queste preziose informazioni e grazie per il tuo tempo, Jimmy.


François Jorge François Jorge è un pilastro del fanclub francese Your Majesty e può essere considerato il più grande collezionista al mondo di materiale dedicato ai Dream Theater; forse anche più dello stesso Mike Portnoy. Gestisce e tiene costantemente aggiornato, grazie ai suoi acquisti, Dreamologie che, per chi non lo conoscesse, è un sito/enciclopedia collegato a quello del fanclub francese ed è una vera e propria bibbia del collezionismo dreamtheateriano. Franz si è gentilmente prestato per questa intervista realizzata da Christophe Largeau per parlarci della sua passione / ossessione / collezionite acuta. Ciao Franz, ormai ci conosciamo da un po’ di tempo, attraverso il forum di Your Majesty ed anche di persona grazie ai concerti del nostro gruppo preferito. Per coloro che non ti conoscono, puoi presentarti rapidamente? Ciao! In effetti, sono ormai parecchi anni che in un modo o in un altro inseguo tutto quello che riguarda i Dream Theater. Per essere breve (preferisco soffermarmi sul resto), ora ho 61 anni e sono da poco andato in pensione da una storica compagnia di telecomunicazioni. Parigino dal 1977, adesso finalmente potrò tornare nella terra che mi ha visto nascere, da qualche parte in Piccardia (Regione della Francia settentrionale, ndr). Andiamo subito al sodo, come hai scoperto i Dream Theater o, più verosimilmente, la band Majesty? Hai ragione: bando alle ciance! Avevo già avuto l’opportunità, in un numero preistorico della fanzine Your Majesty (il 4 o 5), di raccontare questa scoperta; ma chi possiede ancora questa fanzine? È successo il 17 aprile 1989. All’epoca ero un grande consumatore di prodotti musicali (avevo già quasi 2500 album) e come quasi ogni giorno ero nel reparto specializzato di un “supermercato che commercializza prodotti culturali”. Non so se è stata la copertina, il nome dei brani o l’aspetto dei musicisti sul retro a catturare la mia attenzione. Ad ogni modo quel giorno ho comprato When Dream And Day Unite. All’epoca non sapevo che il gruppo qualche mese prima si chiamava ancora Majesty. L’ho scoperto solo nel marzo 1993 quando un amico con cui sono andato in Belgio per trovare possibili album e dischi pirata introvabili in Francia, mi ha messo in mano i numeri 1 e 2 di “Your Majesty” in occasione di una sosta in autostrada. Li sfogliai febbrilmente, scoprendo in quel momento con felicità, che non ero il solo ad essere stato stregato da questo gruppo e che un altro appassionato ne sapeva molto di più... Un certo Stéphane Auzilleau (fondatore del fanclub francese, ndr). E lo stesso Stéphane ha recensito sulla fanzine i bootleg che avevo già. Immagino che al momento della scoperta del gruppo tu non abbia minimamente pensato che avresti voluto collezionare tutto ciò che è legato a loro. Quando ti sei reso conto di essere capitato nel mondo della collezione? C’è stato un “clic” o si è verificato gradualmente? Mi piace questa domanda. Ho preso uno schiaffo tale nei pochi secondi che sono seguiti alla posa della puntina sui solchi del vinile, che mi sono chiesto su quale pianeta fossi stato trasportato. Come molti di voi, ho avuto l’impressione di scoprire senza aspettarmelo “il gruppo definitivo”... Avevo già avuto questo tipo di sensazione quando scoprii i Rush alla fine degli anni ‘70, abbozzando una raccolta di bootleg. Ma qui la folgorazione fu totale. Ho frequentato molto le mostre-mercato dei dischi da collezione, ovviamente frugando tra gli espositori in cerca di altri prodotti correlati al gruppo. Non appena le porte si aprivano, io e alcuni amici correvamo alle bancarelle degli italiani, tedeschi e olandesi alla ricerca di perle rare. A noi piacevano i dischi non ufficiali che ci permettevano di verificare le abilità “live” delle band di cui eravamo fan. Ma è solo all’inizio del 1993 che ho trovato il mio primo bootleg: Live In Long Island. Quello stesso anno poi ho messo le mani su Consciously Unreal, Classic Live e The Dance Of Eternity. Senza accorgermene sono passato a quello che tu chiami “il mondo della collezione”. Ma la vera svolta nella ricerca della completezza ebbe luogo il 22 giugno 1998 a Rotterdam. Quella notte, i Dream Theater fecero un concerto speciale, che per buona parte si trova sul Fanclub Christmas Cd del 1998. Il pomeriggio prima del concerto si tenne una convention riservata del fanclub olandese. Stéphane era già ben noto e rispettato, ed è stato in questa occasione che sono entrato in possesso dei primi cd promozionali che avessi mai visto (i singoli estratti da Awake e Falling Into Infinity). Dato che avevo con me alcune copie del cd promo Live Bonus Tracks riservato al mercato francese, i miei acquisti si sono trasformati in scambi fruttuosi. Non avevo ancora capito di essere in possesso di qualcosa di così prezioso per i collezionisti dell’epoca e che non avrei avuto difficoltà a monetizzare. Ed è stato durante questa convention che Stéphane e Sébastien Demay mi hanno suggerito di approfondire la ricerca. Va detto che sul posto, prima


Dreamologie man! di andare a questa convention, incrociai Derek mentre parlava con due belgi (Ivan e Xavier) la cui passione era quella di raccogliere ritagli di riviste (foto e articoli). I miei occhi brillavano quando vidi lo sguardo di Derek meravigliarsi di qualcosa che non fosse la sua ragazza del momento. Quindi, considerando che il lavoro della band stava appena iniziando ad assumere una certa dimensione, ho deciso di sfidare me stesso a raccogliere nella maniera più completa possibile ed in base a quanto il mio budget potesse permettermi, tutto quello che i media (di qualsiasi tipo) pubblicassero. Puoi darci una stima approssimativa del numero di pezzi nella tua collezione? Assolutamente no... Anche approssimativamente non sarei in grado di contarli. Soprattutto da quando ho molte cose che non sono, o non ancora, catalogate su Dreamologie. Molti fan francesi (e non solo loro, aggiungiamo noi!! ndr) dei DT dovrebbero conoscere Dreamologie, un’incredibile fonte di dati su pubblicazioni ufficiali e non ufficiali della band. Di contro, penso che in pochi sappiano che lo alimenti grazie ai tuoi acquisti ed infatti è un buon catalogo di ciò che possiedi. Puoi dirci quanto tempo dedichi all’aggiornamento di questa Wiki? Spero che la maggior parte dei fan francesi conoscano Dreamologie! Per quanto riguarda il tempo che impegna, è variabile e non ne richiede molto. All’inizio il sito era molto meno sviluppato di adesso ed era molto meno ordinato. Fu nel 2007 che Nicolas Antoine, uno degli “hacker” del fanclub, mi contattò per presentarmi l’idea di una organizzazione diversa di Dreamologie (quella che conosciamo oggi). A partire da marzo 2007, gran parte degli elementi esistenti sono stati adattati al nuovo layout. Quindi, la “nuova formula” di Dreamologie è stata messa online. Da allora, è sufficiente scansionare (o recuperare in rete quando sono di buona qualità) i nuovi elementi da integrare. Certo, i momenti più intensi sono quelli che riguardano l’uscita di un nuovo album... Ma siccome si tratta di un hobby, lo faccio seguendo i miei ritmi. Dato che ora sono molto meno impegnato da una vita professionale vivace, ho intenzione di perfezionare le pubblicazioni e di concentrarmi di più sull’aspetto qualitativo. Ho intenzione di ridimensionare molte immagini che risultano ancora piccole quando vengono visualizzate, perché dal periodo in cui lo spazio disponibile per l’archiviazione era limitato, hanno mantenuto questa dimensione con la migrazione al nuovo sito. A proposito di Dreamologie e quindi della tua collezione, questa è divisa in 2 sezioni principali che elencano le pubblicazioni ufficiali o meno. Puoi dirci qualcosa in più sugli oggetti (album, recensioni, oggetti) che hai o che ricerchi? Non vorrei passare per presuntuoso ma credo di avere tutti gli oggetti ufficiali commercializzati in tutto il mondo. Poche cose mi sfuggono. Tuttavia, ammetto che adoro sentirmi dire che qualcosa mi è sfuggito. Per questo Dreamologie è perfetta. C’è chi mi contatta per dirmi che c’è un “buco” e mi chiedono se è giusto che questo o quell’articolo non ci sia. Evito di pubblicare qualsiasi cosa. Devo essere selettivo nel processo, ecco perché alcune categorie di oggetti non sono elencate. Essenzialmente cerco prodotti ufficiali provenienti da tutto il mondo e che le mie finanze mi permettano di acquistare: supporti audio e video, stampe straniere, ristampe, promo... Anche contraffazioni di tutte le origini, le compilation che contengano una o magari più di una (più raramente) traccia della band, riviste di tutti i paesi in cui la band o uno dei componenti è in copertina. Di recente, parlando con alcuni fan è venuto fuori l’argomento magliette... è stato divertente quando ho detto che non avrei fotografato tutte quelle che ho, se non dovessi preoccuparmi di ripiegarle dopo! So che sei particolarmente orgoglioso di un anello e anche di una giacca, puoi raccontarci la loro storia? Mi piace molto la storia di questo anello. È semplicemente il primo acquisto che ho fatto di un oggetto pubblicato su Internet. Nel 1998 un gioielliere danese di nome Asger Thorulf vendeva su richiesta un anello con il logo Majesty, prodotto in due versioni: argento/argento e oro/argento. Trovandolo superbo, l’ho contattato e me ne ha fatto uno oro/argento. Quello che indosso costantemente da oltre vent’anni è numerato, come i primi dieci pezzi realizzati. Ha il n. 0003. Un giorno a Los Angeles, James notò che, come lui, ho questo stesso anello. Lo misi vicino al suo e gli feci notare che è d’oro mentre il suo in argento. Mi risponse con una frase che


mi risuona ancora nelle orecchie: “Sì, ma io non l’ho pagato...”. Nel mentre si avvicinò Mike e James gli chiese se ne aveva uno anche lui. Mike risponse affermativamente ma non lo indossava perché è troppo pesante e gli dava fastidio mentre suonava. Non sono mai stato in grado di sapere quale numero seriale avesse Mike. Questa giacca alcune persone la conoscono perché mi hanno visto passare, saltando la fila di fronte allo Zenith di Parigi e oltrepassando spudoratamente le barriere di sicurezza vicino all’ingresso costringendoli a farmi entrare, è un pezzo unico. Questo è un autentico Perfecto Schott sul retro del quale è dipinto il cuore in fiamme circondato da filo spinato visto sulla copertina di Images and Words. C’è la firma dell’artista accanto. Ho avuto questa giacca per una miseria da un italiano per il quale era decisamente troppo grande. È stato uno dei primi articoli disponibili su eBay con il “compralo subito”. Ero nel posto giusto al momento giusto. E dato che questo italiano era simpatico, mi ha persino offerto il rivestimento! Puoi parlarci anche di altri oggetti che ti sono cari, una specie di TOP 10? Dopo un certo periodo di riflessione, la mia scelta è questa: • L’anello, al quale va associato il ciondolo, anche lui fatto a mano (n. di serie 628). • La sveglia da viaggio (promo Awake). • Il singolo Tears ottenuto in un modo insolito: Gennaio 1998, Stéphane, che si trovava in Giappone per partecipare a una serie di concerti, mi chiamò dal suo cellulare (!) per chiedermi quanto fossi disposto a spendere per ottenere ciò che aveva davanti agli occhi nella vetrina di un negozio di dischi a Shinjuku. • La maglietta “Big Apple in Flames” per la quale ho quasi combattuto allo stand del merchandising del Roseland Ballroom il 30 agosto 2000. • La versione promo di Awake (copertina in bianco e nero) che Francis Zégut (noto dj e produttore radio francese, ndr) è andato a cercarmi specialmente nel suo ufficio. • Le compilation del 1988 che includono i pezzi dei Dream Theater sotto il nome Majesty. • Il disco d’oro per le 500.000 copie vendute di Images and Words, fortemente tassato al passaggio attraverso la dogana perché il venditore lo aveva dichiarato “un’opera d’arte”. • Il cd del gruppo di Mike Rising Power che mi ha firmato in un pub a Londra dopo il concerto al Ronnie Scott’s Jazz Club, e il biglietto d’invito per questo concerto, primo oggetto firmato da Derek dalla sua integrazione nella band. • L’audiocassetta Majesty, autoprodotta nel 1986. Ne ho due: una è sigillata e l’altra è firmata da Kevin Moore. • Il vinile test pressing della versione inglese di When Dream and Day Unite, firmato il 2/2/1989. Sappiamo tutti che una collezione non è mai finita, soprattutto perché la band è ancora in attività. Prima ancora di mettere gli occhi su un oggetto, devi sapere che esiste. Per quanto riguarda le uscite ufficiali, nulla è più facile con i social network e la comunicazione delle etichette. Questo diventa più difficile per le uscite promo e ovviamente non esiste un catalogo di bootleg o di contraffazioni. Come fai a sapere di tutti i potenziali acquisti? Hai ragione quando dici che una collezione non è mai finita! D’altronde, non pensi che sarebbe molto noioso essere certi di avere tutto? Non hai più speranza di scoprire la minima novità o la rarità. Che seccatura! Fortunatamente i social network e internet in generale consentono a coloro che condividono la stessa passione di esporre le ragioni e gli oggetti del loro orgoglio. E non ti nascondo che a volte mi capita di sospirare davanti a qualcosa che non ho... sì, sì, succede. La tua rete di conoscenze (bagarini, etichette, altri collezionisti) è sicuramente molto estesa in numero e in distanza. Quali sono i tuoi rapporti con tutte queste belle persone? Passi del tempo a cercare informazioni per sapere se qualcuno può avere un piano per procurarti il Sacro Graal del momento o piuttosto ti contattano per sapere se qualche oggetto ti interessa? Aahh... la mia “rete”... non si è creata in un giorno, è iniziato tutto con “conosco qualcuno che conosce qualcuno che...” nell’epoca in cui la posta era scritta con l’inchiostro e i vaglia postali internazionali erano costosi e non sempre raggiungevano il destinatario. Ora basta un indirizzo e-mail, senza nemmeno un ciao, che una richiesta finisce all’altro capo del mondo. Questo ha i suoi vantaggi, lo ammetto (ma un “buongiorno” a inizio e-mail non mi ha mai graffiato le dita). Tuttavia, sono felice di poter contare su conoscenze di lunga data che


sono riuscito a mantenermi; penso di aver fatto il giro del mondo. Apprezzo molto messaggi del tipo: “Posso procurati questa cosa. Non la vedo su Dreamologie; dimmi se sei interessato.” Raramente lascio questo tipo di messaggio senza una risposta rapida. Do sempre una risposta e un grazie, comunque. Per tornare alla tua rete, immagino sia un po’ un “dare e avere”. Specialmente con altri collezionisti, ti affidi molto anche agli scambi con loro? Questo era valido fino a qualche anno fa. Con alcuni, penso a due britannici e due americani molto accaniti; i rapporti erano abbastanza buoni e le piccole ripicche del tipo: “L’ho trovato ma lo tengo perché non ce ne sono altri” facevano sorridere giacché altri scoprivano rapidamente la fonte e si mettevano al tuo stesso livello. Lo stato d’animo iniziò ad inasprirsi quando uno dei due inglesi iniziò a fare sfoggio indecente della sua “fortuna”. Non puoi qualificarlo altrimenti. Rimango convinto che si faceva produrre, a sue spese, i CD in fabbrica in numero molto limitato con le registrazioni che recuperava da internet. Ne conservava uno e ne offriva un altro su eBay per oltre 150 €. I rapporti si rovinarono al punto che il secondo inglese, disgustato, mi disse: “Mi arrendo. Scegli prima nella mia collezione quello che vuoi e ti faccio un prezzo”. Quindi ho fatto alcuni acquisti, non necessariamente delle rarità, e sono ancora in contatto con lui. Molti anni prima, intorno al 2002-2003, un caro amico di un collezionista mi contattò per dirmi che il collezionista in questione si trovava nelle fasi terminali di un cancro. È sempre terribile apprendere tali notizie... Senza possibilità di guarire, questo ragazzo mi aveva scelto per essere il primo a cui offrire l’acquisizione della sua collezione. Che bel gesto! Sono ancora commosso. Ho inviato l’elenco con le mie scelte e una stima dettagliata. Ha scelto di darmi la preferenza per la mia onestà e la precisione delle valutazioni che ho dato. L’importo della transazione era relativamente elevato ma giustificato, per un bel pacco pieno zeppo e perfettamente organizzato, con la cura di un professionista. Non ho più avuto notizie di questo collezionista. Un altro collezionista americano, benestante, aveva un’altra tattica... Senza avere una collezione significativa, faceva avanti e indietro tra Dreamologie e i siti delle aste, risultato: sapeva in anticipo a cosa avrei potuto mirare e solo per farmi dispetto, faceva offerte molto alte su quegli oggetti. E dopo si vantava di avere cose che io non avevo... Questo è il caso di una compilation americana del 1997, che non sono ancora riuscito a scovare. Un giorno (spero che in quella occasione si sia pentito amaramente) mi ha fatto sapere che non avrebbe più gareggiato con me. Solo perché pensava che il mio catalogo fosse troppo esteso per essere in grado di raccogliere tutti i pezzi come avevo fatto io senza spendere una follia. Più recentemente sono apparsi nuovi collezionisti sui forum. E vorrei sfogarmi un po’ con loro: Chicchirichì! In effetti, sono convinto che agli americani piaccia solo ciò che viene da casa loro. La denigrazione verso i francesi infuria ancora, a meno che io non sia diventato paranoico. Mi spiego: un americano ha pubblicato alcune foto della sua collezione. Belle immagini di una bella collezione, molto più elaborata rispetto alla media delle collezioni normalmente presenti in giro. A cui sono seguite dozzine di elogi e commenti positivi del genere: “Non ho mai visto nulla di così completo; è la collezione più bella del mondo.” Non ho perso l’occasione per far vedere a questi fan una collezione “reale”. Senza indugio, ho pubblicato il link a Dreamologie nella pagina dedicata. E quale fu il mio stupore, perfino il mio disgusto nel vedere nel giro di pochi minuti dopo aver pubblicato il link commenti come: bello, carino, giusto... Questi stronzi non si sono presi neanche il tempo per visualizzare al massimo una decina di pagine!!! Solo vedere apparire il francese deve averli allontanati. Non hanno nemmeno provato a leggere le immagini LOL. Questa è l’ultima volta che do le perle ai porci. Quando trovi gli articoli desiderati, ti capita di dover acquistare anche dei lotti, il che comporta che ci siano dei doppioni. Anche qua ci deve essere una base di scambio, come gestisci questo “magazzino”? Questa è una domanda che non mi aspettavo. Fortunatamente ce ne sono pochi, ma nei miei scaffali c’è un posto dove sistemo i pochi doppioni in questione. Mi è capitato di acquistare articoli con una descrizione


sbagliata e quindi di ritrovarmi qualcosa che ho già. Fortunatamente queste cose sono di poco valore. Mi sono trovato nel quasi obbligo di acquistare un lotto solo per una copia inclusa. Succede quando il venditore non è disposto a venderti i suoi articoli separatamente. Ovviamente avrai una sorta di “lista dei desideri” in base alla quale spulciare i siti di vendita online (Ebay, Discogs ...). È consistente o di dimensioni ragionevoli? Sì, in effetti ho una “lista dei desideri” che rimpolpo (o che svuoto) di volta in volta. Tu non ne hai? La tengo a portata di mano e quando ricevo un avviso sulla disponibilità di uno di questi oggetti, la mia reazione è molto rapida. Nel senso: sì, il prezzo è corretto oppure no, non è ragionevole. E ti verrà da ridere ma un venditore, che ho martellato perché i suoi prezzi erano troppo, troppo alti per poter vendere i suoi oggetti, ed al quale ero pronto ad offrire un importo che consideravo molto conveniente, perché sono l’unico a cui non puoi farla passare, rimane convinto di poterli vendere a caro prezzo... che scemo! E certamente non mi prostituirò per questo tipo di ragazzo che pensa di poter trasformare in oro ciò che tocca. Cederà, ne sono sicuro. Scrivo al presente perché l’affare non si è ancora concluso. O mi vende per un prezzo che penso sia congruo, o può marcire con i suoi prezzi irragionevoli! Come per molti collezionisti, alcuni fattori frenano le proprie ambizioni, in particolare il costo ma anche lo spazio. Come gestisci tutto questo? Entrambi questi fattori devono essere considerati. Sia finanziariamente che a livello di gestione dello spazio, questi argomenti non sono banali. Cominciamo con il posto. La risposta giusta da dare, quando hai poco spazio, è che ti devi organizzare per tenere tutto ben sistemato e in maniera ergonomica. In sintesi se tutto è incasinato ti passa la voglia di esibire tale disordine. Per quanto mi riguarda, questo punto è definitivamente risolto. Come pensionato, mi sono ritirato a casa dei miei genitori, che sono venuti a mancare l’anno scorso. Mi ci vorrà ancora un po’ di tempo e molta organizzazione per, se necessario, dare un tocco più arioso alle mie presentazioni e quindi far respirare tutto quello che è ancora momentaneamente rinchiuso in armadi certamente ordinati, ma pieni. Anche l’aspetto finanziario è molto importante (che sorpresa!). Per un collezionista, una collezione non può che crescere. Avendolo vissuto in prima persona per me l’essenziale è il ritmo. Non ho costruito la mia collezione da un giorno all’altro. Ho avuto la possibilità di “scegliere” un gruppo in cui credevo fin dall’inizio, un gruppo la cui notorietà non è dovuta né agli scandali né agli eccessi o ai fronzoli, ma solo grazie al loro talento, stimato e riconosciuto da innumerevoli musicisti, praticanti o meno (puoi essere un musicista senza suonare uno strumento). Fortunatamente non ho messo gli occhi sugli Iron Maiden o i Kiss! E così, poco a poco, ho costruito questa collezione. È meglio evitare gli scossoni e soprattutto evitare improvvisi colpi di fulmine che possono trasformarsi in follie. Una cotta o un colpo di fulmine devono essere limitati a due criteri: la natura eccezionale e la rarità dell’acquisto previsto e la somma, valutata attentamente, che si è deciso di investire. Ma nulla impedisce di combinare i due (rarità e costo) in quello che tutti riterremmo “un buon affare”. Ognuno ha una propria scala di valori ben consolidata nel profondo. È lapalissiano. Sappiamo che Mike Portnoy è un grande collezionista della sua (ex) band. Immagino che vi conosciate; ti ha mai chiesto pezzi che cercava? Ci conosciamo un po’. Dubito che mi riconoscerebbe se mi incontrasse per strada. Ho trascorso un po’ più di tempo con lui, rispetto alle altre volte, durante la 2° convention di Your Majesty, il 19 maggio 2001 all’ElyséeMontmartre. Naturalmente Mike poté accedere agli stand prima che le porte si aprissero al pubblico e quindi scorrere gli scaffali improvvisati su cui avevo sistemato i bootleg che avevo in quel momento. Con un certo piacere lo vidi indugiare su alcuni pezzi. Li conosceva quasi tutti ed io egoisticamente ho approfittato dei suoi commenti e aneddoti. Ero molto orgoglioso di vederlo curioso e interessato. Orgoglio fuori luogo, perché avevo acquistato il bootleg in questione solo il giorno prima... Ed era uno di quelli più facili da trovare in giro nelle settimane seguenti. Il mio orgoglio si è particolarmente gonfiato quando fu sinceramente stupito della presenza da queste parti del singolo Tears. Sei in contatto con gli attuali membri della band? Sanno che sei un grande collezionista? No, no. Il mio ultimo contatto ravvicinato è stato nell’ottobre 2007, in un periodo in cui i meet & greet non erano ancora offerti capillarmente. Ora tocca ai giovani (ma devono pagare). In quella occasione ho incontrato James, che mentre firmava la home page di Dreamologie che gli avevo messo davanti esclama: “What the fuck is this?”. Il tempo di spiegargli che ha già firmato un’altra cosa per qualcun altro. Un modo personale per


dire che a lui questa cosa non lo riguardava molto. Dreamologie era online solo da poche settimane... John Petrucci e Jordan sanno che questa collezione è “notevole” ma non essendo essi stessi collezionisti questo complimento perde peso. Attualmente Mike rimarrebbe quello nella posizione migliore per giudicare il suo vero valore, sia in termini qualitativi che quantitativi. La tua passione per DT è la stessa di prima o è diminuita con il tempo e con gli avvicendamenti nella line-up? Non ti è bastato leggere tutte le mie risposte precedenti? LOL. Per una volta non mi soffermerò nei dettagli. Alcuni mesi fa ho visto sui forum che molti fan avevano stabilito una classifica degli album in base alle loro preferenze. In occasioni molto rare mi sono imbattuto in classifiche che potrebbero avvicinarsi alle mie preferenze. Ecco perché non ho mai osato pubblicare le mie. In effetti, basterebbe riascoltare uno qualsiasi degli album per trovare il piccolo tocco di genio che, ai miei occhi, stravolgerebbe la classifica fatta il giorno prima. È così che la band continua la sua carriera, accontentando alcuni, poi altri, per poi tornare ai gusti degli esordi. Finora non sono mai stato in grado di odiare un album al punto di abbandonare definitivamente la band. Tuttavia due album mi hanno immensamente deluso. Ma non rivelerò mai i titoli per risparmiarmi le inevitabili polemiche. A parte i DT hai dei gruppi che ti appassionano ugualmente, che ti fanno vibrare? Collegati, connetti la tua VPN e sgombera la tua bella linea in fibra, perché di sicuro si surriscalda. Soprattutto se vuoi rimanere vicino a quello che era il prog-metal negli anni ‘90. Quel prog-metal non è il bidone di oggi. Questa è solo la mia opinione ed il riflesso della mia sensibilità (sono io l’intervistato! LOL). Attualmente il progmetal mi sembra rivolto esclusivamente alle prestazioni tecniche mozzafiato mentre, 25 anni fa, la melodia era ancora predominante. Ecco un elenco in ordine sparso di gruppi i cui lavori continuano a risuonare nelle mie orecchie; nel prog-metal: Rush, Threshold, Shadow Gallery, Arkhe, Regency, Venturia, Tunnelvision, Il Trono Dei Ricordi, Ivanhoe, Vanden Plas, Magellan, Asgard (il gruppo italiano), Circus Maximus, Empty Tremor, Mayadome, Tomorrow’s Eve, Pagan’s Mind. E certamente dimentico qualcuno. Non chiedermi perché questo o quel gruppo (come Haken, Leprous, Pain Of Salvation, Periphery e Riverside, per esempio) non compaiono in questo elenco; ho le mie ragioni. Degli altri stili mi piacciono il glam metal, il southern rock, l’hard-rock con ritmi binari che mi ricorda quando avevo i capelli lunghi e facevo headbanging (AC/DC, Krokus, Status Quo, ecc...) Ho ancora un affetto particolare per la musica che ha segnato la mia infanzia e l’inizio della mia giovinezza: Deep Purple, The Who, Uriah Heep, Ten Years After e Aerosmith. Led Zeppelin e Black Sabbath non mi hanno mai attirato più di tanto, tranne che per alcuni titoli. In conclusione, hai un messaggio da dare alla comunità di Your Majesty? Forse una richiesta sull’oggetto che ti sta mettendo in difficoltà in questo momento e per il quale avresti bisogno di aiuto? O anche una o più domande a cui ti sarebbe piaciuto rispondere ma che non ti ho fatto? Per quanto riguarda la richiesta di aiuto, ti ringrazio per l’opportunità, ma dal momento in cui scruto i forum e i siti dedicati, mi sfuggono solo poche cose. Ma la porta è ovviamente sempre aperta! E attraverso questa intervista, a cui sono stato molto contento di rispondere, vorrei salutare e ringraziare tutti coloro che ho avuto l’opportunità di incrociare: Stéphane Auzilleau, Sébastien Demay, Bertrand Crossed, Valentin Angrand (RIP), Charly Sahona, Brett CaldasLima, Nathalie Campos, Charlotte Meyer, Christian Bill, Christian Cefai, Remy Lafontaine, Romuald Cobo, Masayuki Daigo, Jean-Pierre Herman, Jean Masson, Jean-Pierre Herman, Eric Ouaknin, Adriana Califano, i fratelli Demagny, Ties Göbel, lo staff dei fanclub “storici” degli anni ‘90 (olandese e italiano in particolare). L’amicizia non svanisce con il tempo ma perdura... Lunga vita al Dream Theater, a Your Majesty e... a tutti voi. Grazie per il tempo dedicato a rispondere alle nostre domande e per condividere la tua passione!


Mike Portnoy e Derek Sherinian, ex membri dei Dream Theater, Ron “Bumblefoot” Thal (ex Guns N ‘Roses), Billy Sheehan (The Winery Dogs, Mr. Big, David Lee Roth) e Jeff Scott Soto (ex Journey, ex Yngwie Malmsteen) sono pronti a dare il via al nuovo decennio con un esplosione sonora. Prodotto dai The Del Fuvio Brothers (Portnoy e Sherinian), il loro secondo album in studio, appositamente intitolato ‘MMXX’ (pronunciato: 20/20), uscirà il 17 gennaio 2020 tramite InsideOut Music nei formati: CD standard, doppio CD in edizione limitata (che include mix strumentali ed estratti a cappella), doppio LP + CD e su tutti i formati digitali. Sarà possibile preordinare l’album su iTunes e Amazon a partire dal 15 novembre, e sarà incluso un download immediato del primo singolo dell’album, “Goodbye Divinity”. “Stilisticamente, abbiamo seguito la stessa strada del disco di debutto”, sottolinea Mike Portnoy. “Ma riteniamo che sia un disco più solido, semplicemente perché ci conosciamo meglio. Psychotic Symphony è stata la prima volta che noi cinque abbiamo lavorato insieme, quindi era normale ci fosse della sperimentazione. Ora possiamo attingere dall’esperienza non solo della registrazione di quell’album, ma anche di passare molto tempo insieme nei tour. E ora la chimica è chiaramente più evidente.” “Abbiamo fatto 83 tappe nell’ultimo tour”, aggiunge Derek Sherinian. “E ne è valsa proprio la pena, perché ne siamo usciti con un legame più forte, e questo si riflette sicuramente in ciò che abbiamo scritto.” Il processo di scrittura è cominciato all’inizio dell’anno, quando si sono riuniti Portnoy, Sherinian e Bumblefoot. “Noi tre eravamo nel mio studio casalingo in Pennsylvania”, spiega Portnoy. “E ci sono volute circa tre settimane per scrivere tutta la musica. È stato un processo molto semplice. L’ultima volta deve essere stato un po’ strano per Bumblefoot scrivere insieme a Derek e me, perché non ci conosceva. Ora ci conosciamo meglio e ciò ha aiutato a portare avanti il progetto.” “Dato che tutti noi abbiamo i nostri home studio, ognuno poteva registrare lì come e quando ne aveva l’opportunità”, continua Sherinian. “Tutti abbiamo avuto il lusso di prenderci il nostro tempo per completare tutte le parti, il che è stato di grande aiuto nella riuscita dell’album. Penso che in tutto ci siano voluti circa otto mesi per registrare tutto”. I testi sono stati scritti da Soto, che ha anche creato le linee melodiche con l’input di Sherinian. “Mentre Jeff ha avuto il compito di ideare le parole da solo, siccome le linee melodiche fanno parte della musica aveva senso che io fossi coinvolto in quel processo”, dice il tastierista. Ecco la tracklist per MMXX: 1. Goodbye Divinity (7:16) 2. Wither To Black (4:48) 3. Asphyxiation (5:09) 4. Desolate July (6:11) 5. King Of Delusion (8:49) 6. Fall To Ascend (5:07) 7. Resurrection Day (5:51) 8. New World Today (16:38) “La canzone finale, New World Today, che dura 16 minuti, ha elementi simili a Opus Maximus e Labyrinth dell’album precedente. Ci sono alcuni momenti strumentali folli e brillanti, che sono sicuro i fan adoreranno” afferma Portnoy. “Volevamo fare qualcosa di epico qui, come abbiamo fatto con Opus Maximus l’altra volta”, aggiunge Sherinian. “Mike e io veniamo dai Dream Theater, dove non ci siamo mai preoccupati di quanto fosse lunga una canzone.


Quindi, per noi fare una traccia di 16 minuti non è un problema.” Il titolo dell’album prende ispirazione da un semplice fatto cronologico. “L’album uscirà a metà gennaio 2020”, afferma Portnoy. “Ciò significa che sarà una delle prime uscite in quello che è un nuovo decennio. Quindi mi è venuta l’idea di chiamarlo 2020, solo che è scritto con i numeri romani MMXX.” E la copertina dell’album è stata creata da Thomas Ewerhard (che ha disegnato anche la copertina di Psychotic Symphony), riflette il titolo. Come spiega Portnoy, “Nel primo disco avevamo un’atmosfera mitologica. Questa volta però, c’è uno stile molto più futuristico in ciò che abbiamo fatto. Ha un fascino proprio del 21° secolo. E lo stemma della band è più lucido, pulito e molto più moderno dell’ultima volta, quando aveva un aspetto vecchio stile.” “Ogni membro di questa band ha il proprio suono distintivo sul proprio strumento”, aggiunge Sherinian. “E quando metti insieme tutto ciò, ottieni una meravigliosa bestia a cinque teste. Questo rende la band musicalmente speciale, ed è sicuramente quello che trasmette MMXX. Qui puoi ascoltare tempi dispari particolari e performance incredibilmente folli. Nel complesso questa volta siamo stati più avventurosi di quanto non lo fossimo stati prima, e so che le persone adoreranno sicuramente ciò che proponiamo.” Per quanto riguarda il tour, il “MMXX World Tour” partirà il 24 gennaio a Pomona (CA, USA), e li porterà in giro per il mondo per tutto il nuovo anno. Saranno in Italia l’11 marzo 2020 al Live Club di Trezzo sull’Adda (MI).


La The Neal Morse Band fa ritorno nella grande famiglia di InsideOut Music, firmando nuovamente con la label nell’autunno 2019 e annuncia l’uscita di un nuovo live album, The Great Adventour - Live in Brno 2019 fissata per il 6 Marzo 2020. Neal commenta: “La band ed io siamo molto felici di essere tornati con i nostri amici di InsideOut! Sono davvero ottime persone e sono sicuro che questa relazione sarà molto prolifica come d’altronde è sempre stato”. Il manager Thomas Waber aggiunge “Ovviamente c’è già molta storia tra Neal e la InsideOut Music, siamo pronti a scrivere ulteriore storia con uno dei più importanti musicisti prog della nostra generazione!”. L’ultima release di Neal Morse, Mike Portnoy, Randy George, Bill Hubauer ed Eric Gilette risale ai primi mesi del 2019 e si intitola The Great Adventure. Con l’uscita di questo nuovo album, seguito dell’acclamato concept The Similitude of a Dream uscito nel 2016, la band è stata impegnata in un tour di promozione in tutta Europa. The Great Adventour - Live in Brno 2019 documenta questo show in cui la band ha eseguito integralmente il nuovo album e un medley esclusivo, The Great Medley, in cui compaiono brani della carriera solista e non di Neal. Disponibile in formato digipack contenente 2CD + 2 Blu Ray, oltre al concerto vero e proprio, il live conterrà due documentari filmati in tour nelle leg statunitensi ed europee ed i video musicali dei singoli estratti da The Great Adventure. Randy George ci spiega “dopo il tour di Similitude, le aspettative erano davvero alte e i nostri show erano più affollati che mai. Il pubblico era molto eccitato nel sentire l’album integralmente, era compito nostro soddisfare le loro aspettative”. Avendo eseguito The Great Adventure in modo impeccabile e nella sua interezza ben 47 volte nel 2019, Neal Morse (voce, tastiere e chitarre), Mike Portnoy (batteria, voce e trascinatore del pubblico), Randy George (basso), Bill Hubauer (tastiere e voce) ed Eric Gillette (chitarra e voce), si sono guadagnati un notevole successo concerto dopo concerto: “Il tour è andato grandiosamente, non ci siamo mai stancati di suonare, e siamo sempre stati ripagati” ci dice George. Una delle nazioni visitate dalla band è stata proprio la Repubblica Ceca, e la data di Brno è stata proprio quella che la band ha scelto per filmare quello che sarebbe diventato The Great Adventour - Live in Brno 2019. Come ci dice George “quella filmata era per noi la prima data in questo paese, e questa venue aveva un aspetto e un’acustica particolare, l’audience si è rivelata davvero scatenata. L’hanno amato!” The Great Adventour - Live in Brno 2019 contiene una performance della The Neal Morse Band al massimo delle sue potenzialità: un rock straordinario, intenso ed emozionante suonato alla perfezione da 5 maestri del genere che si fonde con stupende animazioni video ad opera di Christian Rios.


Molto presto si avrà un piccolo assaggio di quello che sarà questo nuovo live album. Questa la tracklist completa del live: 1. Intro 2. Overture 3. The Dream Isn’t Over 4. Welcome To The World 5. A Momentary Change 6. Dark Melody 7. I Got To Run 8. To The River 9. The Great Adventure 10. Venture In Black 11. Hey Ho Let’s Go 12. Beyond The Borders 13. Overture 2 14. Long Ago 15. Child Of Wonder 16. The Dream Continues 17. Fighting With Destiny 18. Vanity Fair 19. Welcome To The World 2 20. The Element Of Fear 21. The Great Despair 22. Freedom Calling 23. A Love That Never Dies 24. The Great Medley [Encore]


La fine di questo 2019 si avvicina a grandi falcate, un anno che è stato impegnativo, particolare e complesso un po’ per tutti, sia per il nostro fanclub sia per le nostre vite e per il mondo in generale. Si avvicina anche la fine del quarto anno di attività per YtseItalia 2.0 come fanclub ufficiale affiliato al fanclub internazionale ed ovviamente, se state leggendo queste righe significa che siete arrivati in fondo a questa nuova e “massiccia” fanzine. Spero che leggendola sia stata interessante e vi abbia appassionato: la storia di Scenes From A Memory, cui sono dedicate la maggior parte delle pagine, nell’anno che segna i suoi primi 20 anni di vita; le interviste e i report sui concerti appena passati, che ci accompagnano nell’attesa dei prossimi appuntamenti live di febbraio. Senza dimenticare le novità dei vari progetti paralleli come i Sons Of Apollo e la The Neal Morse Band, con i nostri vecchi amici Mike Portnoy e Derek Sherinian, i quali torneranno nel 2020 con nuovi dischi e nuovi concerti. E anche noi non ci fermeremo, anzi, ci aspettano impegni ed eventi importanti ai quali non mancheremo, come sempre mettendoci la nostra faccia, le nostre capacità, la passione ed il massimo impegno, come sempre! C’è un sacco di lavoro “dietro le quinte” che voi per ovvi motivi non vedete, e non si tratta solo di gestire e moderare l’attività sulle pagine social, quello è il minimo. Chi ha vissuto i “bei tempi” andati e si ricorda quello che potevano offrire ai propri iscritti i vecchi fanclub come Italian Dreamers, magari oggi può pensare che noi non facciamo nulla, magari pensavate che in questi mesi fossimo stati con le mani in mano, ma c’è voluto un bel po’ per riuscire a mettere insieme i pezzi e comporre il puzzle di questa fanzine. E consentitemi un piccolo sfogo: gestire oggi un fanclub per una band come i DT non è per niente facile, le difficoltà che costantemente si presentano sono tante, anche, purtroppo, da parte di chi invece dovrebbe aiutarci e agevolarci; per noi che vogliamo sempre offrirvi contenuti interessanti, di qualità soprattutto, che vi aiutino a conoscere ed apprezzare sempre di più questa favolosa band che noi tutti amiamo. Il tempo e le risorse non sono mai abbastanza, ma cerchiamo sempre di dare il massimo e spero che lo apprezziate. E perdonateci se alle volte vi “bacchettiamo”, metaforicamente, per qualche meme un po’ stupido o qualche post ripetitivo. Concludo, ringraziando e abbracciando virtualmente tutti coloro che hanno aiutato il fanclub in qualsiasi modo durante questo anno di attività e per questa ultima fanzine: Matteo Santoro, Marco Petrini, Emiliano Maiello, il gatto Nando, Igno Rante, Gabriele Pirovano, Francesco Rossi, Luis Miguel Ordóñez, Alberto Gandolfo, Christophe Largeau e Your Majesty, François Jorge, Daniele Caruso, Pat Scalabrino e Mascot Label Group, Rikk Feulner, John Petrucci, James LaBrie, Jordan Rudess, John Myung e Mike Mangini, InsideOut Music, Mike Portnoy, Derek Sherinian. Un abbraccio e buone feste a tutti i dreamers italiani che ci seguono. Andrea

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