158 Gestione multidisciplinare nella disfagia pediatrica: l’esperienza di Padova
Tiziana Mondello, Annalisa Salerno, Anna Agostinelli, Giusy Melcarne, Franca Benini, Francesco Fantin, Irene Maghini, Francesca Rusalen, Silvia Montino, Rosario Marchese Ragona
Research letter
161 Figli di detenuti nell’ambulatorio del pediatra di famiglia Maurizio Bonati, Paolo Siani
Osservatorio internazionale
164 Ricerca spaziale e salute umana: un’opportunità inattesa per la pediatria? Fabio Capello
Il caso che insegna
166 La sindrome diencefalica: una causa spesso misconosciuta di Failure to Thrive Nicola Improda, Gyusy Ambrosio, Carmen Campanile, Giusy Franzese, Valeria Crisci, Claudia Mandato, Maria Rosaria Licenziati
169 Dermatite streptococcica perianale con interessamento vulvovaginale Francesco Accomando, Melodie O. Aricò, Filomena Grimolizzi, Luca Savelli, Enrico Valletta
Il punto su
172 Adolescenti di oggi, genitori di domani. Un motivo in più per prendercene cura Enrico Valletta, Antonella Liverani
174 Update sul progetto policy aziendale per l’allattamento
Riccardo Davanzo
I primi mille
177 E se dalla crisi climatica emergesse una generazione che si prende cura? Una faccenda per professionisti dello sviluppo Beatrice De Censi, Sarah Nazzari, Livio Provenzi
Traiettorie e orizzonti familiari
180 Navigare la complessità del ruolo dei media digitali nelle vite di bambini e adolescenti
Marina Everri, Mattia Messena
Narrative e dintorni
183 La vita a volte è strana. Storia di un cammino nel mondo dei trapianti pediatrici
Serena Ferretti
Farmacipì
184 Farmaci agonisti del recettore del GLP-1. Quale ruolo per il trattamento dell’obesità in età pediatrica
Antonio Clavenna
Info
185 L’OMS rafforza la regolamentazione del marketing digitale dei sostituti del latte materno per proteggere la salute infantile
185 “Le Equilibriste: la maternità in Italia nel 2025”, online la pubblicazione di Save the Children Italia
185 Rapporto OCSE sul digitale nei bambini
186 L’offerta di impianti e servizi sportivi nelle regioni italiane
Film
187 Il sottile veleno del bullismo
Libri
188 Silvana Quadrino, Narrazione, comunicazione e counselling negli interventi di cura
188 Paola Zannoner, La casa del pane. Una storia dall’Etiopia
189 Adriana Cavarero, Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno
189 Silvia Vecchin, I bambini si rompono facilmente
Congressi in controluce
190 Diventare grandi con disabilità gravi Patrizia Elli
192 37° Congresso nazionale Acp “Acp Next Generations: c’è ancora domani”
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Italia e Trattato pandemico: una scelta ideologica che isola
Mario De Curtis già Professore Ordinario di Pediatria, Università di Roma “La Sapienza”
Il 20 maggio 2025 l’Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato con 124 voti favorevoli e 11 astensioni il primo Trattato pandemico globale. Promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’accordo mira a rafforzare la capacità di risposta coordinata, equa e trasparente alle crisi sanitarie, colmando le lacune emerse durante la pandemia di Covid-19 [1].
Una delle lezioni più importanti apprese riguarda l’inadeguatezza delle regole internazionali allora in vigore, che lasciavano ampia discrezionalità agli stati. Tale frammentazione ha favorito la circolazione del virus e l’insorgere di nuove ondate epidemiche.
L’Italia ha scelto di astenersi, insieme a un gruppo eterogeneo di Paesi (tra cui Russia, Iran, Israele, Polonia e Slovacchia), motivando la scelta con la difesa della sovranità nazionale. Una posizione che rischia di compromettere la credibilità internazionale del Paese e contraddire le lezioni acquisite durante l’emergenza pandemica.
Il Trattato, tuttavia, non attribuisce poteri coercitivi all’OMS né impone misure come lockdown, obblighi vaccinali o chiusure delle frontiere. Promuove invece la cooperazione tra stati, la trasparenza dei dati e il rafforzamento della sanità pubblica globale. Definisce strumenti e principi per una risposta più efficace alle pandemie, con particolare attenzione all’accesso tempestivo e paritario a vaccini, terapie e strumenti diagnostici.
Un aspetto innovativo è l’obbligo per le aziende farmaceutiche di destinare almeno il 20% della produzione di prodotti sanitari legati alla pandemia all’OMS, per una distribuzione equa basata su rischio e necessità, a beneficio dei Paesi in via di sviluppo. Si tratta di un approccio che supera i confini nazionali, fondato sulla responsabilità condivisa.
In questo contesto, la scelta italiana appare più ideologica che pragmatica, proprio quando sarebbe necessario rafforzare la cooperazione globale.
Come pediatra, sottolineo l’impatto che simili decisioni possono avere sull’infanzia. Durante la pandemia, bambini e adolescenti sono stati tra i più penalizzati: scuole chiuse, attività sociali sospese, minore accesso a controlli sanitari e supporto psicologico.
Le conseguenze sono tuttora evidenti: arretramenti educativi, disagio emotivo, crescita delle disuguaglianze. In questo contesto, l’indebolimento dei meccanismi sovranazionali di prevenzione rappresenta un rischio concreto.
E sebbene il trattato non sia privo di limiti – mancano meccanismi esecutivi pienamente efficaci – costituisce un punto di partenza fondamentale, soprattutto in un’epoca segnata dalla crescente sfiducia nella scienza. In Italia assistiamo a segnali allarmanti: sanatorie per chi ha violato l’obbligo vaccinale anti-Covid, proposte di abolizione dell’obbligo per i vaccini pediatrici, delegittimazione delle autorità sanitarie e scientifiche.
Questo clima favorisce il calo delle coperture vaccinali, come dimostrano gli oltre 1000 casi di morbillo registrati nel 2024 (a fronte dei 44 del 2023), con un terzo dei pazienti che ha sviluppato almeno una complicanza e il 90% dei casi non vaccinati [2].
Nel frattempo, il Servizio Sanitario Nazionale è sempre più in difficoltà: la percentuale di cittadini che rinunciano a cure è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,9% nel 2024, spesso per liste d’attesa o costi elevati [3].
Parallelamente il settore privato si espande e copre ormai un quarto dell’offerta sanitaria nazionale, con conseguente ampliamento delle disuguaglianze, in particolare nel Mezzogiorno.
Anche in ambito pediatrico le disparità sono marcate: nonostante un tasso di mortalità infantile tra i più bassi al mondo, permangono differenze regionali significative. In Sicilia, Calabria e Campania, i tassi sono circa il doppio rispetto a quelli di Emilia-Romagna, Toscana e Veneto [4]. In molte aree del Sud, la migrazione sanitaria resta l’unica via per accedere a cure pediatriche specialistiche.
Invertire questa tendenza richiede politiche coraggiose: investimenti nella sanità pubblica, difesa della medicina basata su evidenze e tutela della salute collettiva. L’Italia, con il governo precedente, era tra i promotori della prima bozza del trattato, insieme all’Unione europea, al Canada e all’Australia. Oggi l’astensione ci allontana da quella visione, avvicinandoci a Paesi con scarso rispetto per la scienza e le istituzioni democratiche.
La pandemia ci aveva ricordato che nessuno si salva da solo. Oggi, purtroppo, rischiamo di dimenticarlo. L’idea di autosufficienza può facilmente diventare abbandono, soprattutto per i più fragili: bambini, anziani, persone ai margini.
L’astensione dell’Italia è un segnale di chiusura. Sarebbe auspicabile un ripensamento, per tornare a far parte attiva di una rete globale che metta al centro equità, prevenzione e solidarietà.
Bibliografia
1. World Health Assembly adopts historic Pandemic Agreement to make the world more equitable and safer from future pandemics. 2025. https://www.who.int/news/item/20-05-2025-world-healthassembly-adopts-historic-pandemic-agreement-to-make-the-worldmore-equitable-and-safer-from-future-pandemics
2. Morbillo e Rosolia New. Gennaio-dicembre 2024. Istituto Superiore di Sanità. Epicentro 2025. https://www.epicentro.iss.it/morbillo/ bollettino/RM_News_2024_80.pdf .
3. ISTAT. 2025. Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia. https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale2025-la-situazione-del-paese-il-volume/
4. Simeoni S, Frova L, De Curtis M. Infant mortality in Italy: large geographic and ethnic inequalities. Ital J Pediatr. 2024 Jan 17;50(1):5.
Il 18 luglio 2025 il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha ufficialmente notificato all’OMS il rifiuto da parte dell’Italia degli emendamenti 2024 al Regolamento Sanitario Internazionale. Tali emendamenti erano finalizzati a rafforzare la capacità di risposta globale alle emergenze sanitarie, introducendo il concetto di “emergenza pandemica” e promuovendo maggiore solidarietà, trasparenza e cooperazione tra Stati. La decisione italiana, che segue la linea degli Stati Uniti, è stata adottata su indicazione della Presidenza del Consiglio. Colpisce che anche un ministro tecnico, come Schillaci, abbia aderito a una posizione che appare più dettata da logiche politiche che da considerazioni scientifiche o sanitarie.
mario.decurtis@uniroma1.it
Iniziative di miglioramento delle prescrizioni
antibiotiche in pediatria
Le raccomandazioni di AIFA e l’App
Firstline per le cure territoriali
Elena Carrara1 , Evelina Tacconelli1 , Michele Gangemi2
1 Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, Malattie Infettive, Università di Verona
2 Direttore Quaderni acp
L’antibiotico-resistenza (AMR) è un fenomeno globale che rende le infezioni più difficili da trattare, aumentando il rischio di complicanze a breve e lungo termine, il tasso di mortalità e i costi sanitari e sociali [1].
Dal 2019, il rapporto Global Burden of Diseases ha inserito le infezioni resistenti agli antibiotici tra le principali cause di mortalità nel mondo [2]. Si stima che l’AMR sia responsabile di quasi 5 milioni di decessi ogni anno, di cui circa 1,27 milioni attribuibili direttamente a batteri resistenti agli antibiotici. Tra gli stati europei, l’Italia è indicata come il Paese con il più alto numero di decessi per infezioni da batteri multi-resistenti, con circa 12.000 morti all’anno, pari a un terzo del totale dei decessi per AMR in Europa [3].
Sebbene l’AMR abbia un impatto particolarmente evidente in ambito ospedaliero, non si può sottovalutare la rilevanza del problema anche per le cure territoriali, ove le infezioni da batteri multi-resistenti si associano a una maggior possibilità di fallimento terapeutico, perdita di produttività e necessità di ripetute visite ambulatoriali [4]. Il principale fattore che contribuisce all’aumento dell’AMR è l’uso eccessivo di antibiotici, a scopo sia terapeutico sia profilattico, nella cura dei pazienti ospedalizzati e ambulatoriali. I dati europei riferiti al 2020 evidenziano una grande variabilità nel consumo e nei modelli di prescrizione tra i diversi Paesi [5]. L’Italia rientra tra le nazioni con i livelli più elevati di prescrizione, con circa 16,5 DDD/1000 abitanti al giorno. Secondo il rapporto OsMed di AIFA [6], in Italia – come in molti altri Paesi europei – la maggior parte del consumo di antibiotici avviene a livello territoriale. Nel 2021 l’uso degli antibiotici è stato di 15 DDD/1000 abitanti al giorno nel territorio, rispetto a circa 1 DDD/1000 abitanti al giorno in ambito ospedaliero. Inoltre, si osserva un gradiente crescente di consumo da Nord a Sud. I principali determinanti di prescrizione inappropriata includono la scarsa conoscenza delle raccomandazioni terapeutiche, l’uso di antibiotici per trattare infezioni virali, l’impiego di antibiotici ad ampio spettro quando non necessario, dosaggi inadeguati e trattamenti eccessivamente prolungati. I programmi di antibiotic stewardship sono interventi di miglioramento della qualità delle cure che mirano proprio a correggere i determinanti dell’utilizzo inappropriato. Tali programmi si basano su iniziative
educazionali, adozione di linee guida, revisione delle prescrizioni tramite audit e feedback e, talvolta, anche sull’introduzione di “restrizioni” all’utilizzo di determinate molecole. Nel contesto italiano sono diversi i gruppi di lavoro che hanno messo in essere programmi efficaci, soprattutto in ambito ospedaliero, dimostrando un impatto positivo su outcome clinici e resistenze antibiotiche [7-8]. Anche in ambito pediatrico, dove l’utilizzo di antibiotici risulta frequentemente inappropriato, si possono citare alcuni esempi di iniziative virtuose sul territorio nazionale, dove la formazione del personale e l’utilizzo di applicativi elettronici hanno permesso di ridurre fino al 50% il consumo di antibiotici nei reparti di pediatria generale [9], in area critica [10] e in onco-ematologia [11].
A livello territoriale, nonostante siano numerose le evidenze a supporto della stewardship antibiotica nei Paesi europei, sono ancora poche le iniziative sul territorio nazionale [12]. In un contesto complesso come quello territoriale, non bisogna dimenticare l’impatto significativo che possono avere interventi di politica prescrittiva a livello nazionale. Si può citare, per esempio, l’introduzione della Nota Informativa Importante da parte di AIFA riguardo agli effetti collaterali dei farmaci fluorochinolonici che ha determinato una marcata riduzione dei consumi di tali antibiotici sia in comunità sia in ospedale [13].
Per supportare interventi volti a migliorare la gestione degli antibiotici a livello locale, nazionale e globale, nel 2017 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha introdotto la classificazione AWaRe all’interno della lista dei farmaci essenziali. Questo strumento facilita il monitoraggio e l’ottimizzazione delle terapie antibiotiche, contribuendo a un uso più responsabile di questi farmaci. La classificazione suddivide gli antibiotici in tre gruppi: Access , ovvero antibiotici che hanno uno spettro di attività ristretto e un buon profilo di sicurezza in termini di reazioni avverse, da usare preferibilmente nella maggior parte delle infezioni più frequenti quali le infezioni delle vie aeree superiori; Watch , ovvero antibiotici a spettro d’azione più ampio, raccomandati come opzioni di prima scelta solo per particolari condizioni cliniche; Reserve , ovvero antibiotici da riservare al trattamento delle infezioni da germi multi-resistenti [14]. L’applicazione di questa classificazione nelle raccomandazioni terapeutiche e nel monitoraggio degli interventi di antibiotic stewardship supporta i clinici nella prescrizione, riducendo il rischio di sviluppo di resistenze e di reazioni avverse.
In tale contesto, l’OMS ha anche stilato una serie di raccomandazioni evidence-based per la gestione di oltre 30 patologie infettive, sia negli adulti sia nei bambini, in ambito ospedaliero e territoriale, con l’obiettivo di identificare chiaramente le situazioni in cui gli antibiotici non sono necessari. Tali raccomandazioni sono state pubblicate dall’OMS nel The WHO AWaRe (Access, Watch, Reserve) antibiotic book [15] che è stato tradotto da AIFA e reso disponibile gratuitamente in lingua italiana nel gennaio 2023 [16].
Negli ultimi anni, AIFA ha assunto un ruolo sempre più centrale nel migliorare la prescrizione degli antibiotici e nel contrastare le infezioni da batteri resistenti. In particolare, il gruppo multidisciplinare di esperti di prescrizione antibiotica, AIFA-OPERA (Ottimizzazione della PrEscRizione Antibiotica), ha operato tra il 2021 e il 2024 sviluppando documenti di indirizzo terapeutico per promuovere un uso più mirato degli antibiotici di nuova introduzione [17]. Nell’ambito delle iniziative di AIFAOPERA, inoltre, un gruppo di specialisti composto da infettivologi, medici di medicina generale, pediatri e farmacisti ha selezionato a partire dall’AWaRe Book
dell’OMS le indicazioni relative alle 10 sindromi infettive più comuni, adattandole al contesto epidemiologico italiano e alla disponibilità di farmaci sul territorio. Per facilitarne la consultazione, queste indicazioni sono state riassunte in un’infografica, con eventuali modifiche rispetto al documento originale dell’OMS segnalate in un’apposita nota introdotta da AIFA.
Le raccomandazioni terapeutiche sono destinate alla gestione dei pazienti in ambito ambulatoriale e nelle residenze sanitarie assistenziali, con l’obiettivo di fornire ai medici di medicina generale (MMG) e ai pediatri di libera scelta (PLS) uno strumento pratico basato sulle più recenti evidenze scientifiche.
Per favorire l’adesione alle linee guida, AIFA ha recentemente lanciato una App per dispositivi mobili, dedicata alle raccomandazioni terapeutiche per pazienti adulti e pediatrici sul territorio (https://firstline.org/aifa). Questo strumento digitale consente ai professionisti sanitari di consultare rapidamente le indicazioni terapeutiche, selezionando l’antibiotico più appropriato in base al quadro clinico e riducendo così il rischio di un uso inappropriato. La App fornisce anche informazioni sul dosaggio corretto, la durata del trattamento e le alternative per i pazienti allergici, oltre a elencare i patogeni più frequentemente coinvolti in ciascuna sindrome e l’eventuale necessità di test diagnostici microbiologici o radiologici.
L’adozione di strumenti digitali, come l’App dedicata in particolare ai medici che lavorano sul territorio, rappresenta un passo avanti nella formazione e responsabilizzazione dei prescrittori al buon uso degli antibiotici, facilitando scelte terapeutiche più consapevoli e basate sulle migliori evidenze disponibili. L’obiettivo a lungo termine di queste iniziative è ridurre la diffusione delle resistenze batteriche e migliorare la qualità delle cure per adulti e bambini, garantendo l’efficacia degli antibiotici anche per le future generazioni. Il ruolo dei medici di base e dei pediatri è cruciale per il successo di questa strategia, poiché l’adozione di buone pratiche prescrittive è un elemento chiave nella tutela della salute pubblica contro l’AMR. Siamo certi che l’Associazione Culturale Pediatri continuerà a giocare un ruolo centrale nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato dall’iniziativa anche attraverso la formazione dei pediatri di famiglia.
2. GBD 2021 Antimicrobial Resistance Collaborators. Global burden of bacterial antimicrobial resistance 1990-2021: a systematic analysis with forecasts to 2050. Lancet. 2024 Sep 28;404(10459):1199-1226.
3. Cassini A, Högberg LD, Plachouras D, et al. Burden of AMR Collaborative Group. Attributable deaths and disability-adjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the EU and the European Economic Area in 2015: a population-level modelling analysis. Lancet Infect Dis. 2019 Jan;19(1):56-66.
7. Mandelli G, Dore F, Langer M, et al. Effectiveness of a Multifaced Antibiotic Stewardship Program: A Pre-Post Study in Seven Italian ICUs. J Clin Med. 2022 Jul 28;11(15):4409.
8. Carrara E, Sibani M, Barbato L, et al. How to ‘SAVE’ antibiotics: effectiveness and sustainability of a new model of antibiotic stewardship intervention in the internal medicine area. Int J Antimicrob Agents. 2022 Nov-Dec;60(5-6):106672.
9. Zaffagnini A, Rigotti E, Opri F, et al. Enforcing surveillance of antimicrobial resistance and antibiotic use to drive stewardship: experience in a paediatric setting. J Hosp Infect. 2024 Feb:144:14-19.
10. Liberati C, Brigadoi G, Gres E, et al. Revisiting Antimicrobial Stewardship in the Paediatric Intensive Care Unit: Insights from an Unconventional Approach. J Hosp Infect. 2025 Jun:160:53-59.
11. Liberati C, Barbieri E, Cavagnero F, et al. Impact of a two step antimicrobial stewardship program in a paediatric haematology and oncology unit. Sci Rep. 2024 Nov 26;14(1):29296.
12. Corsini R, Manzotti E, Zini A, et al. Appropriateness of antibiotic prescribing in paediatrics: retrospective controlled study assessing a multifaceted intervention in Northern Italy in a 7-year period. BMJ Paediatr Open. 2024 Sep 24;8(1):e002858.
Un nuovo strumento per migliorare le pratiche di prescrizione degli antibiotici
Melodie O. Aricò
UO Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì
AIFA ha recentemente reso disponibile l’App Firstline (https://firstline.org/aifa), uno strumento digitale a sostegno dei professionisti sanitari, soprattutto impegnati in ambito territoriale, per ottimizzare, quindi dove possibile evitare, la prescrizione di terapie antibiotiche.
Come presentato nell’editoriale Iniziative di miglioramento delle prescrizioni antibiotiche in pediatria: le raccomandazioni di AIFA e l’App Firstline per le cure territoriali in questo numero di Quaderni acp [1], l’applicazione rende immediata la consultazione delle più recenti raccomandazioni diagnostico-terapeutiche di 10 quadri clinici infettivi molto comuni. In particolare, le raccomandazioni fornite costituiscono l’adattamento al nostro contesto italiano, del manuale AWaRe [2], disponibile dal 2023 come “semplice” traduzione del The WHO AWaRe (Access, Watch, Reserve) antibiotic book [3] prodotto dall’OMS e rivolto a tutte le regioni del mondo. Le raccomandazioni fornite sono presentate come delle infografiche di semplice e rapida consultazione.
Si riportano le schede di Polmonite acquisita in comunità e Otite media acuta.
Bibliografia
1. Carrara E, Tacconelli E, Gangemi M. Iniziative di miglioramento delle prescrizioni antibiotiche in pediatria: le raccomandazioni di AIFA e l’App Firstline per le cure territoriali. Quaderni acp. 2025;32(4).
Patologia acuta che interessa i polmoni. Si presenta generalmente con tosse, espettorato, tachipnea e dispnea con infiltrato polmonare di nuova insorgenza o in peggioramento alla radiografia del torace
DIAGNOSI
Manifestazione clinica
– Tosse di nuova insorgenza (<2 settimane) o in peggioramento con febbre (≥38°C), dispnea, tachipnea, ridotta saturazione di ossigeno, crepitii, cianosi, grunting, alitamento delle pinne nasali, pallore
– Incremento della frequenza respiratoria per età e/o presenza di segni di distress respiratorio (rientramenti toracici)
– Controllare l’ipossia misurata con saturimetro, se disponibile
– I bambini con rinorrea e tosse e senza segni di gravità di solito non hanno la polmonite e non dovrebbero ricevere un antibiotico
Test microbiologici
Casi lievi: di solito non necessari
Casi gravi:
– Emocolture (per guidare il trattamento antimicrobico)
– Considerare in ambito ospedaliero l’esecuzione di tampone rinofaringeo per ricerca di virus (incluso SARS-CoV-2)
Altri test di laboratorio
Nessun test differenzia chiaramente la CAP virale o batterica
Considerare: emocromo completo e proteina C-reattiva
Nota: i test dipendono dalla disponibilità e dalla gravità clinica (es. l’emogasanalisi deve essere eseguita solo in casi gravi)
Imaging
– Non necessari nei casi lievi
– Rx o ecografia del torace sono utili nei casi moderati/severi per valutare presenza consolidamento lobare o versamento pleurico
– L’aspetto radiologico non può essere utilizzato per prevedere con precisione l’agente patogeno
Analisi per la tubercolosi (TB)
– Considerare analisi specifiche per la tubercolosi in presenza di una storia, anche sospetta, di contatto con caso di tubercolosi (in relazione anche a provenienza da area geografica a rischio), o in caso di persistenza dei sintomi respiratori
– Un test molecolare rapido eseguito su un singolo campione di espettorato è attualmente il test diagnostico di prima linea preferito per TB polmonare e per rilevare la resistenza alla rifampicina
MICROBIOLOGIA
Agenti patogeni più probabili
Batteri “tipici”
– Streptococcus pneumoniae (più comune causa di CAP dopo la prima settimana di vita)
– Haemophilus influenzae
– Moraxella catarrhalis
– Staphylococcus aureus
– Enterobacterales
Patogeni “atipici” (più frequenti nei bambini >5 anni)
– Mycoplasma pneumoniae
– Chlamydia pneumoniae
Virus respiratori
– Virus respiratorio sinciziale (VRS)
– Influenza virus (A e B)
– Metapneumovirus
– Virus parainfluenzale
– Coronavirus (compreso SARS-CoV-2)
– Adenovirus
– Rhinovirus
– Altri virus respiratori
TRATTAMENTO
Casi lievi-moderati
I dosaggi si intendono per una funzionalità renale normale
Durata del trattamento: trattare per 5 giorni
Trattamento antibiotico
– Amoxicillina 80-90 mg/kg/die in 3 dosi ORALE
L’AIFA ha reso disponibile una App – sulla piattaforma Firstline – che ingloba e rielabora le raccomandazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel WHO AWaRe (Access, Watch, Reserve) antibiotic book sulla gestione delle infezioni più comuni nei bambini e negli adulti, di cui AIFA ha realizzato l’edizione italiana. Il lavoro sulle 10 schede su 10 malattie infettive è stato realizzato dall’AIFA con il contributo sostanziale di tutti gli organismi di indirizzo pediatrici (SIP, SITIP, FIMP, ACP). Queste schede sono disponibili online ed è possibile scaricarne l’App al seguente link: https://firstline. org/aifa. Le modifiche apportate nelle schede, rispetto alle indicazioni dell’OMS del manuale AWaRe, e alcune note clinico-terapeutiche aggiuntive sono riportate in: “Maggiori Informazioni. Nota introduttiva AIFA”. Rendiamo disponibile la versione in formato stampa delle singole schede, al fine di favorire la loro più larga conoscenza e applicabilità nella pratica clinica.
VALUTAZIONE DELLA GRAVITÀ E CONSIDERAZIONI
Bambini con polmonite non grave
Osservazione domiciliare e terapia antibiotica con amoxicillina.
La polmonite viene diagnosticata in presenza di:
– tachipnea (frequenza respiratoria, FR >50 atti respiratori/minuto nei bambini tra 2-11 mesi; FR >40 atti respiratori/minuto nei bambini tra 1 e 5 anni) – segni di distress respiratorio (rientramenti toracici)
Bambini con polmonite grave (o che non tollerano la terapia orale)
Ricovero in ospedale e trattamento con antibiotici per via endovenosa
La polmonite grave viene diagnosticata con:
– tosse o dispnea più uno dei seguenti:
- saturazione di ossigeno <90% - cianosi centrale
- grave distress respiratorio (es. grunting o severi rientramenti toracici)
– segni di polmonite con almeno uno tra:
- incapacità di alimentarsi
- vomito persistente
- convulsioni
- letargia o ridotto livello di coscienza
- Grave distress respiratorio
TRATTAMENTO
Casi gravi
Vedi valutazione di gravità e considerazioni per la diagnosi dei casi gravi
I dosaggi si intendono per funzionalità renale normale
Durata del trattamento: trattare per 5 giorni
Considerare un trattamento più lungo e ricercare complicanze come empiema se paziente non clinicamente stabile al 5° giorno di terapia
Prima scelta
– Ampicillina 150-200 mg/kg/die in 3 dosi EV oppure
– Ceftriaxone 80-100 mg/kg/die, singola dose EV
In caso di precedente trattamento con amoxicillina a domicilio e non risposta e nei non vaccinati oppure
– Cefotaxime 150 mg/kg/die, in 3 dosi EV
In caso di precedente trattamento con amoxicillina a domicilio e non risposta e nei non vaccinati
Se età <1 mese:
– Ampicillina 150-200 mg/kg/die in 2 dosi EV +
– Gentamicina 5 mg/kg/dose q24h EV
Seconda scelta
Se NON risposta clinica a prima scelta dopo 48-72 ore
– Ceftriaxone 80-100 mg/kg/die, in singola dose EV oppure
– Cefotaxime 150 mg/kg/die, in 3 dosi EV +
– Clindamicina 45 mg/kg/ die, in 3 dosi EV oppure
– Vancomicina 45 mg/kg/die, in 3-4 dosi EV
OTITE MEDIA ACUTA
DEFINIZIONE
Infezione dell’orecchio medio che si verifica principalmente nei bambini di età <5 anni, in genere come complicanza di un’infezione virale delle vie aeree superiori
DIAGNOSI
Manifestazione clinica
Insorgenza acuta di dolore auricolare (mono o bilaterale), febbre (>38 °C), +/- secrezione auricolare
Test microbiologici
– Di solito non necessari salvo sospetta complicanza
– Le colture di pus da timpani perforati non vanno usate per orientare il trattamento
Altri test di laboratorio
Di solito non necessari salvo sospetta complicanza
Imaging
Di solito non necessario salvo sospetta complicanza (es. mastoidite, ascesso cerebrale)
Otoscopia
Necessaria per la diagnosi definitiva tumefazione, infiammazione/congestione della membrana timpanica (può essere opaca/mostrare mobilità ridotta)
AGENTI PATOGENI PIÙ PROBABILI
Virus respiratori
– Virus respiratorio sinciziale
– Rhinovirus
– Coronavirus (compreso SARS-CoV-2)
– Influenza virus (A e B)
– Altri virus respiratori
Batteri (raramente possono verificarsi sovrainfezioni)
– Streptococcus pneumoniae
– Haemophilus influenzae
– Moraxella catarrhalis
– Streptococcus pyogenes (Streptococcus di gruppo A)
PREVENZIONE
Coincide con prevenzione delle infezioni delle vie aeree superiori; sono utili l’igiene delle mani, la vaccinazione
contro Streptococcus pneumoniae, Haemophilus Influenzae e i virus influenzali
CONSIDERAZIONI CLINICHE
Importante: la maggior parte dei casi non gravi può essere trattata in modo sintomatico senza trattamento antibiotico, soprattutto nei bambini di età >2 anni
– Istruire i caregiver a monitorare i sintomi e a riferire se peggiorano/persistono dopo alcuni giorni
Gli antibiotici devono essere considerati se:
sintomi gravi (es. importante malessere generale, dolore all’orecchio nonostante gli analgesici, febbre ≥39°C)
– bambini con anomalie dell’orecchio interno o portatori di impianti cocleari o in fase di accertamento per sospetta sordità – bambini immunocompromessi – età <2 anni, fatta eccezione per: le forme monolaterali, lievi, in casi adeguatamente vaccinati e senza fattori di rischio in lattanti/bambini di età >6 mesi – al di sotto dei 6 mesi di età c’è sempre indicazione al trattamento antibiotico
TRATTAMENTO SINTOMATICO
Nota: i medicinali sono elencati in ordine alfabetico e devono essere considerati come pari opzioni di trattamento
Ibuprofene (non usare se età <3 mesi)
Controllo del dolore/trattamento antipiretico: – 5-10 mg/kg/dose ogni 8h se necessario oppure
Paracetamolo
Controllo del dolore/trattamento antipiretico: – 10-15 mg/kg/dose ogni 6h se necessario
L’AIFA ha reso disponibile una App – sulla piattaforma Firstline – che ingloba e rielabora le raccomandazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel WHO AWaRe (Access, Watch, Reserve) antibiotic book sulla gestione delle infezioni più comuni nei bambini e negli adulti, di cui AIFA ha realizzato l’edizione italiana. Il lavoro sulle 10 schede su 10 malattie infettive è stato realizzato dall’AIFA con il contributo sostanziale di tutti gli organismi di indirizzo pediatrici (SIP, SITIP, FIMP, ACP). Queste schede sono disponibili online ed è possibile scaricarne l’App al seguente link: https://firstline.org/aifa. Le modifiche apportate nelle schede, rispetto alle indicazioni dell’OMS del manuale AWaRe, e alcune note clinico-terapeutiche aggiuntive sono riportate in: “Maggiori Informazioni. Nota introduttiva AIFA”. Rendiamo disponibile la versione in formato stampa delle singole schede, al fine di favorire la loro più larga conoscenza e applicabilità nella pratica clinica.
TRATTAMENTO ANTIBIOTICO
Nota: il trattamento antibiotico non è richiesto nella grande maggioranza dei casi (vedi “Considerazioni cliniche” per i casi in cui sono indicati gli antibiotici)
Durata del trattamento: – 5 giorni se >2 anni, in assenza di complicanze o comorbidità – 7-10 giorni nel bambino <2 anni di età o in presenza di comorbidità o complicanze
Prima scelta
Amoxicillina 80-90 mg/kg/die in 3 dosi ORALE
Seconda scelta
Amoxicillina+acido clavulanico 80-90 mg/ kg/die in 3 dosi ORALE (è consigliabile in caso di esposizione recente ad Amoxicillina (meno di 3 mesi) o di episodi ricorrenti (più di quattro episodi all’anno) di otite media acuta)
Il pediatra e il dermatologo in ambulatorio: una collaborazione utile per la salute del bambino
May El Hachem
UOC di Dermatologia, Ospedale Pediatrico IRCCS Bambin
Gesù, Roma
Introduzione
La salute del bambino è una delle priorità di ogni sistema sanitario e richiede in genere un approccio multidisciplinare. Tra le patologie possibili quelle dermatologiche in età pediatrica possono influenzare notevolmente la qualità della vita del bambino e della famiglia. La collaborazione tra pediatra e dermatologo è quindi essenziale: il pediatra individua le alterazioni cutanee e, nel caso ci siano dubbi o difficoltà nella diagnosi e nella terapia, il dermatologo può fornire supporto, diagnosi e trattamento specialistici. Una stretta collaborazione, che includa anche un supporto anamnestico e clinico, riduce i tempi diagnostici e migliora l’efficacia delle cure. Un modello di lavoro interdisciplinare che può ottimizzare in maniera efficace la gestione delle dermatosi pediatriche e promuovere la salute del bambino.
Perché parlare di dermatite atopica in ambulatorio pediatrico e dermatologico
La dermatite atopica (DA) rappresenta una delle condizioni cutanee più comuni in età pediatrica, ed è per questo un esempio emblematico di patologia che merita particolare attenzione nell’ambito della collaborazione tra pediatra e dermatologo. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica della pelle, spesso associata a una predisposizione genetica, che può manifestarsi già nei primi mesi di vita e accompagnare il bambino per anni, con fasi alterne di riacutizzazione e remissione. Parlare di dermatite atopica è utile per diverse ragioni. Innanzitutto, la sua alta prevalenza : colpisce fino al 20-30% dei bambini nei Paesi industrializzati, rendendola una delle principali cause di consultazione sia dal pediatra sia dal dermatologo. In Nord America, la prevalenza varia tra il 9,8% e il 10,3% nei bambini di 6-7 anni e tra il 6,5% e il 9,4% in quelli di 13-14 anni. La DA va in remissione completa nel 25% di questi bambini entro i 16,4 anni; la prevalenza in età adulta rimane intorno al 10% [1].
In secondo luogo, la variabilità clinica della malattia – che può presentarsi con quadri più o meno severi – richiede un’attenta valutazione diagnostica e una gestione personalizzata. Il coinvolgimento di entrambi gli specialisti consente di riconoscere tempestivamente i segni della dermatite, distinguendola da altre dermatosi e adottando strategie terapeutiche adeguate.
La manifestazione clinica della dermatite atopica varia in base all’età. Nel bambino, le lesioni sono essudanti ed è frequente
rilevare cheratosi follicolare, pityriasis alba, le pieghe di Dennie-Morgan, e una dermatite seborroica del cuoio capelluto, mentre nell’adulto le lesioni sono piuttosto croniche e lichenificate. La dermatite atopica, sia per la variabilità della gravità dei quadri clinici, che per la sua cronicità, può avere un forte impatto sulla qualità della vita del bambino e della sua famiglia: il prurito intenso, il disagio estetico e le difficoltà legate al sonno possono influenzare lo sviluppo psicologico ed emotivo del piccolo paziente. Una gestione condivisa tra pediatra e dermatologo può favorire non solo un approccio terapeutico più efficace, ma anche un supporto educativo alle famiglie, migliorando l’aderenza al trattamento e la comprensione della malattia. Infatti, La gravità della dermatite atopica deve tenere conto non solo del quadro clinico, ma anche dell’impatto sulla qualità di vita del paziente e del nucleo familiare. La patogenesi non è ancora del tutto nota, si tratta comunque di una malattia multifattoriale, senza causa genetica definita. I fattori noti sono il difetto di filagrina che contribuisce alla alterazione e disfunzione della barriera cutanea con aumento della sua permeabilità, predisponendo così i pazienti con DA a ipereattività da agenti irritanti e allergizzanti [1,4,5]. In questo senso la dermatite atopica può rappresentare il primo segnale di un terreno atopico, predisponendo a condizioni allergiche come asma e rinite allergica. Un corretto inquadramento fin dai primi sintomi, grazie al dialogo tra le diverse figure sanitarie coinvolte, permette di monitorare l’evoluzione clinica e prevenire eventuali complicanze.
Criteri diagnostici per la dermatite atopica secondo Hanifin, Rajka, 2001 (modif.)
Criteri maggiori (almeno 3 richiesti per la diagnosi)
1. Prurito
2. Distribuzione e morfologia tipica dell’eruzione
- Bambini: volto, superfici estensorie
- Adulti: superfici flessorie, mani
3. Decorso cronico o recidivante
4. Storia personale o familiare di atopia
- Asma
- Rinite allergica
- Dermatite atopica
Criteri minori (almeno 3 richiesti tra oltre 20 elencati)
– Xerosi (cute secca)
– Ittiosi o cheratosi pilare
– Reazione positiva ai test cutanei allergici
– IgE sierica elevata
– Dermatite alle mani o ai piedi
– Cheilite (infiammazione delle labbra)
– Ragadi auricolari
– Pityriasis alba
– Dermatografismo bianco
– Prurito indotto dalla sudorazione
– Intolleranza alla lana o a solventi grassi
– Tendenza alle infezioni cutanee
– Prurito provocato da stress emotivo
– Eritema perioculare
– Oscuramento perioculare
– Piega palpebrale inferiore accentuata (plica di DennieMorgan)
Per tutte queste ragioni, la dermatite atopica costituisce un modello assistenziale integrato, continuo e centrato sul pa-
ziente che evidenzia l’importanza della sinergia tra pediatra e dermatologo nella presa in carico del bambino. La diagnosi della dermatite atopica è essenzialmente clinica e generalmente semplice, e deve essere precoce per avviare un trattamento appropriato [6]. Tuttavia, la diagnosi è talvolta insidiosa. Hanifin e Rajka hanno definito i primi criteri diagnostici che rimangono i più completi [3]. Secondo numerosi autori, alcuni di questi criteri non erano specifici e furono revisionati diverse volte. Nel 2003, un consensus conference dell’American Academy di dermatologia ha proposto una revisione rendendoli anche applicabili a tutte le fasce di età [4].
Anche in questa revisione, uno dei criteri prevede la presa in considerazione della diagnosi differenziali, in particolare, scabbia, dermatite seborroica, dermatite da contatto irritativa ed allergica, ittiosi, linfoma a cellule T, psoriasi, dermatosi da fotosensibilità, malattie da immunodeficit ed eritrodermie [1].
Secondo Wollenberg et al., 9 anni dopo, le diagnosi differenziali della dermatite atopica (DA) includono le stesse patologie citate da Eichenfield et al. Queste sono: dermatite seborroica, dermatite irritativa o allergica, eczema nummulare, scabbia, linfoma a cellule T allo stadio iniziale, psoriasi palmo-plantare (quando la DA colpisce mani e piedi), tinea e immunodeficienze come la sindrome da iper IgE, la sindrome di Omenn, Wiskott-Aldrich e Neterthon [4].
In pratica, le diagnosi differenziali della DA si possono classificare come segue: principali diagnosi differenziali in dermatologia pediatrica.
– Disturbi del metabolismo, aciduria propionica, leucinosi, acrodermatite enteropatica
– Disturbi del comportamento, patomimie, prurigo
– Patologie da fotosensibilità, dermatomiosite, lupus S.
– Immunodeficienza, sindrome di Omenn
– Neoplasie linfoma T, istiocitosi a cellule di Langerhans
Diagnosi clinica
La diagnosi clinica di DA prevede un’anamnesi accurata personale prossima e remota del bambino, della manifestazione in atto nonché l’anamnesi familiare.
Inoltre, l’esame obiettivo dermatologico prevede di controllare tutto l’ambito cutaneo e gli annessi, rilevare ed esaminare con particolare attenzione la lesione elementare della manifestazione in atto e le sue caratteristiche (distribuzione, colore, esordio e modalità di estensione…) e di palpare le lesioni. In tutti i criteri diagnostici della dermatite atopica, è da sempre segnalata la necessità di tenere conto delle possibili diagnosi differenziali con numerose patologie, talvolta anche sistemiche, alcune delle quali anche gravi [1,4]. Infatti, già nei criteri rivisti di Hanifin e Rajka nel 2001, veniva indicato come quarto criterio diagnostico clinico, l’esclusione delle diagnosi differenziali.
Nella pratica clinica, bisogna tenere sempre conto che le diagnosi differenziali variano in base all’età del bambino e all’aspetto clinico della dermatite atopica. Infatti, la DA si manifesta diversamente in funzione dell’età. Nel lattante le lesioni sono generalmente caratterizzate da chiazze rotondeggianti, eritematose e localizzate sul viso con risparmio delle zone periorale e perioculare e sulle regioni estensorie degli arti; nel bambino più grande la DA si manifesta a livello delle pieghe flessorie, delle regioni periorale e palpebrale. Nell’adolescente è generalmente localizzata al volto e in modo più grave.
Inoltre, la manifestazione varia in funzione della gravità della malattia, da lesioni rosee, eritematose, più o meno essudanti o lichenificate, spesso accompagnate da xerosi cutanea e lesioni da grattamento diffuse. Pertanto, la diagnosi differenziale in base all’età andrà considerata come segue:
Nel lattante:
• quando le lesioni sono rotondeggianti, va posta con le lesioni anulari in particolare con la tinea corporis, il Lupus neonatale e il granuloma anulare;
• in presenza di lesioni da grattamento diffuse, o di peggioramento del prurito in bambino con DA già nota va considerata la scabbia;
• quando il bambino presenta dermatite seborroica al cuoio capelluto, bisogna escludere una psoriasi o un’istiocitosi a cellule di Langerhans;
• se la localizzazione è periorale escludere una dermatite irritativa da contatto o dermatite da leccamento;
• quando la manifestazione è a livello dell’area del pannolino, bisogna considerare una dermatite irritativa, Napkin psoriasis, malattia metabolica, istiocitosi a cellule di Langerhans o allergia alle PLV.
Nel bambino più grande:
• Le lesioni alle pieghe flessorie possono essere confuse con una dermatite irritativa o allergica da contatto, psoriasi o istiocitosi a cellule di Langerhans.
Nell’adolescente con localizzazione al volto, areole mammarie o palmo-plantari: la diagnosi differenziale si pone con il Paget mammario, la dermatomiosite o il Lupus o la psoriasi palmo-plantare rispettivamente.
Diagnosi differenziali in funzione dell’aspetto clinico:
• quando il lattante è eritrodermico, è bene considerare alcune forme di ittiosi o di un immunodeficit primitivo;
• in caso di xerosi cutanea diffusa nel lattante, va comunque considerata l’ittiosi;
• quando le lesioni sono localizzate nella stessa sede e a portata di mano, escoriate a scodella, o lichenificate, bisogna pensare a prurigo/autolesionismo;
• in presenza di lesioni in sede palmo-plantari, bisogna controllare se il margine è netto e verificare l’anamnesi in particolare l’evoluzione delle lesioni per escludere una tinea. Inoltre, è bene indagare alterazioni ungueali (ipercheratosi distale, pitting) ed effettuare un’anamnesi familiare per escludere una psoriasi palmo-plantare;
• quando la cute del bambino più grande o dell’adolescente è eritrodermica, ispessita e con prurito intenso, non trascurare l’ipotesi di un linfoma a cellule T.
Criteri diagnostici clinici e indagini specifiche
I criteri diagnostici si basano essenzialmente sulla clinica e in alcuni casi, sarà necessaria una biopsia.
Principi generali È importante:
• effettuare una corretta anamnesi personale e familiare;
• identificare la lesione elementare e le sue caratteristiche (colore, sede, forma, margini);
• raccogliere la storia clinica delle lesioni rilevate, ossia l’esordio, l’evoluzione ed eventuali trattamenti eseguiti;
• laddove la clinica non fosse dirimente non bisogna esitare ad approfondire la diagnosi con indagini mirate all’ipotesi diagnostica clinica.
• Non avviare mai un trattamento a base di farmaci che possono mascherare il quadro in assenza di diagnosi certa (es. cortisonici topici).
Per esempio, nel lattante con xerosi cutanea intensa, si osserva una desquamazione biancastra sottile diffusa. L’ittiosi si manifesta alla nascita e sono generalmente presenti deformità dei lineamenti del volto dovute alla xerosi eccessiva (ectropion, eclabion e deformità dei padiglioni auricolari).
In presenza di eritrodermia
Considerare che tutte le patologie che si pongono in diagnosi differenziale con la DA eritrodermica si manifestano con l’eritrodermia sin dalla nascita. Nello specifico, la sindrome di Neterthon (una forma di ittiosi) e la sindrome di Omenn (SCID, immunodeficit primitivo). Pertanto, l’epoca di insorgenza costituisce uno dei criteri diagnostici differenziali importanti in quanto la DA diventa eritrodermica progressivamente e non compare come tale alla nascita. Inoltre, i bambini con le due suddette sindromi presentano anche altri segni e sintomi importanti, quali sepsi ricorrenti in ambedue le sindromi anche se maggiormente nella Omenn dove si osserva anche linfadenopatia; ipernatremia, ipereosinofilia e tricorressi invaginata (non sempre evidente alla nascita) sono presenti nella Neterthon. Tuttavia, vista la gravità delle altre due patologie e le complicanze dell’eritrodermia come tale, è indispensabile avviare in tempi rapidi un percorso diagnostico con prelievo ematico per indagare i segni del Neterthon e le complicanze dell’eritrodermia, e un prelievo ematico in trio (bambino e genitori), per avviare la diagnosi genetica sempre nel sospetto di Neterthon o di sindrome di Omenn.
La tinea invece si manifesta inizialmente come papula eritematosa o piccola chiazza rotondeggiante che si estende in modo eccentrico con guarigione centrale, mentre la chiazza rotondeggiante della DA compare così, d’emblée. Nel dubbio è indicato l’esame micologico (microscopico e colturale) delle squame.
Nel sospetto di psoriasi: osservare attentamente il colorito rosso che di solito è più intenso di quello della DA, le lesioni sono secche e non essudanti, nel lattante è generalmente coinvolto l’ombelico e talvolta si osserva anche pitting ungueale. Quando la psoriasi è localizzata solo al cuoio capelluto, di solito la desquamazione è più spessa di quella della DA e talvolta la cute sottostante è eritematosa. Quando l’eritema coinvolge la zona del pannolino, nel caso della Napkin psoriasis, le lesioni hanno un margine netto. La lesione elementare della psoriasi è “eritemato-squamosa”, ma nel caso della psoriasi dell’area del pannolino, la squama non è presente per l’effetto occlusivo del pannolino. Spesso l’anamnesi familiare è positiva. Un test di semplice esecuzione anche dal pediatra è quello della
ricerca dei segni della macchia di cera e quello di Auspitz, ossia grattando la lesione molto delicatamente si evidenzia inizialmente una pellicola traslucida e grattando ancora compare un sanguinamento puntiforme che è il segno di Auspitz. In realtà, questo corrisponde a uno degli aspetti istologici della psoriasi che è la papillomatosi: scoprendo il tetto della papilla, compare il capillare all’apice. Se persiste il dubbio, è bene riferire il bambino al dermatologo per completare il percorso diagnostico.
In caso di eritema sul viso, o di eczema del dorso delle mani, la diagnosi differenziale va posta con la dermatomiosite e il Lupus, ma non è difficile proprio per la specificità delle lesioni elementari e loro distribuzione: eritema periunguelale e
Figura 1. Chiazze rotondeggianti eritematose comparse così d’emblée, senza guarigione centrale. Inoltre sono essudanti: dermatite atopica.
Figura 2. Psoriasi: onicopatia ed eritema secco e intenso, margini netti, squame e coinvolgimento ombelicale.
bambino va riferito al dermatologo per effettuare un prelievo bioptico e garantire una diagnosi precoce, che può condizionare la prognosi.
palmare, papule di Gottron sul dorso delle articolazioni delle dita, gomiti e ginocchia, edema succulento del volto come segni suggestivi della dermatomiosite ed eritema a farfalle e del regioni interfalangee del dorso delle dita e dei polpastrelli nel lupus. Inoltre, le lesioni peggiorano con l’esposizione al sole e sono spesso associati sintomi e segni extracutanei.
La scabbia è una diagnosi di facile omissione specialmente se si manifesta in un bambino con DA. In questi casi, l’anamnesi è molto importante: epoca e modalità di insorgenza, intensificazione notturna del prurito, polimorfismo delle lesioni elementari: papule, noduli, lesioni da grattamento diffuse e in particolare i cunicoli, segno clinico patognomonico della scabbia. Il cunicolo va ricercato con molta attenzione a livello delle pieghe, in quanto l’acaro predilige il caldo. Talvolta è di difficile identificazione a causa del prurito. Infine, l’anamnesi familiare è importante in quanto altri individui ne potrebbero essere affetti.
Quando le lesioni sono a livello periorale con anamnesi di peggioramento in seguito all’ingestione di alcuni cibi, non si tratta di allergia alimentare, bensì di una dermatite irritativa da causa esterna. Se la lesione è eritematosa, a stampo (margini netti), pensare alla dermatite da leccamento, spesso il gesto viene negato dai genitori, poi invitando in modo giocoso il bambino a farlo lo fa!
Nel sospetto di istiocitosi a cellule di Langerhans: le lesioni possono essere localizzate proprio nel solco delle pieghe flessorie generalmente inguinali, ascellari e collo, sono purpuriche e non solo eritematose, talvolta associate a lesioni papulose o papulo-vescicolose purpuriche o ulcero-necrotiche sparse sul tronco e viso. Un’altra manifestazione clinica dell’istiocitosi è seborrea-like quindi con desquamazione al cuoio capelluto, su cute talvolta eritematosa. Al minimo sospetto, il
Quando le lesioni sono localizzate, crateriformi “a scodella”, croniche e lichenificate in zone facilmente accessibili con o senza DA, è necessario indagare un prurigo/autolesionismo
Figura 2a. Psoriasi del cuoio capelluto: squame su cute eritematosa; nella foto in basso dermatite seborroica in dermatite atopica: squame su cute sana.
Figura 3. Cunicoli, noduli, papule e pustole, coinvolgimento palmoplantare nel lattante. I cunicoli: sono le lesioni lineari eritematose sui polsi.
Figura 4. Il prurito si manifesta anche nel lattante in modo importante e pertanto impatta molto sulla qualità di vita del bambino e della famiglia.
In questi casi, è necessario ascoltare il paziente, provocare il colloquio che di solito non è spontaneo, chiedere e affrontare la situazione evitando di alimentare sensi di colpa ma solo sottolineando l’importanza e la necessità del benessere che non si raggiunge con il grattamento. In questi casi bisogna offrire un supporto psicologico.
Le malattie metaboliche che possono simulare una dermatite atopica sono la leucinosi e l’aciduria propionica; in tutti e due i casi, il bambino presenta sintomi extracutanei importanti. Un’altra patologia che talvolta si confonde erroneamente con la DA è l’acrodermatite enteropatica. La lesione elementare in quest’ultima patologia è una bolla e non eritema e microvescicole come nell’eczema.
Una patologia grave di difficile diagnosi precoce e di facile confusione con la DA, specialmente in fase iniziale, è il linfoma cutaneo a cellule T. All’esordio le lesioni sono eritematose e pruriginose, ma non rispondono al trattamento della DA comportando un’eritrodermia e progressivo ispessimento della cute.
Oltre a queste diagnosi differenziali note nei criteri diagnostici, arrivano talvolta all’osservazione del dermatologo patologie con lesioni elementari del tutto diverse da quelle dell’eczema e seguite per mesi/anni come dermatite atopica. Alcuni esempi sono rappresentati dalla lipoidoproteinosi, acrodermatite entreropatica e tinea incognita. Nel primo caso, la lesione elementare è un’erosione con esito cicatriziale atrofico, ma spesso associata a disfonia progressiva. La tinea icognita è invece una tinea non diagnosticata e trattata erroneamente con steroide topico con apparente beneficio ma con successiva recidiva e in modo sempre più esteso alla sospensione dello steroide. L’acrodermatite enteropatica è caratterizzata invece da lesioni elementari completamente diverse da quelle della
DA in quanto sono bollose erosive e acroposte con altri sintomi associati: alopecia, diarrea, ritardo di crescita e suscettibilità alle infezioni. Una diagnosi differenziale che si pone con la DA impetiginizzata è l’eczema erpetico o eruzione varicelliforme di Juliusberg: in questo caso le lesioni compaiono sì nelle sedi della DA, ma con lesione elementare diversa: sono vescicolose, ombelicate al centro talvolta necrotico-purulente. Si tratta di un’infezione da herpes virus nel bambino con dermatite atopica, quindi osservare sempre la lesione elementare ed indagare la possibile compresenza di herpes simplex in famiglia.
7. Acrodermatite enteropatica. Lesione elementare: bolla/erosione. Localizzazione: estremità e periorifiziale, alopecia e manifestazioni extracutanee.
Figura 5. Prurigo: lesioni escoriate alcune a scodella localizzate in assenza di lesioni lineari da grattamento.
Figura 6. Manifestazioni cutanee aspecifiche eczema-like ma in associazione a sintomi extracutanei.
Figura
Figura 8. Eczema erpetico. Importante la lesione elementare: lesioni ombelicate a scodella confluenti.
In conclusione, la fonte dell’errore diagnostico è spesso dovuta a un esame obiettivo veloce e superficiale. Un esame attento consente di ridurre il rischio dell’errore diagnostico. Eseguire l’esame obiettivo di tutto l’ambito cutaneo e non limitarsi alla lesione indicata dai genitori, identificare la lesione elementare per ridurre il campo delle diagnosi differenziali. Non avviare mai un trattamento con steroidi in assenza di una diagnosi certa per non alterare la storia naturale della patologia e le indagini diagnostiche qualora necessarie. Una valutazione attenta e condivisa, quando necessario, delle lesioni cutanee sospette per dermatite atopica rappresenta sempre un passaggio cruciale per garantire una diagnosi corretta e tempestiva. La collaborazione tra pediatra e dermatologo è sempre preziosa, particolarmente nei casi atipici o resistenti alla terapia, in cui la presentazione clinica può sovrapporsi ad altre patologie dermatologiche, infettive o sistemiche. Non esitare a pro-
porre una collaborazione multidisciplinare che è sempre proficua per il paziente e per noi specialisti. Infatti, solo attraverso un approccio integrato e multidisciplinare è possibile evitare errori diagnostici, prevenire trattamenti inappropriati e garantire al bambino una presa in carico efficace e personalizzata. Rafforzare questo dialogo tra specialisti è, quindi, un’opportunità concreta per migliorare la qualità dell’assistenza e tutelare la salute della pelle del bambino in modo competente e sicuro.
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ERRATA CORRIGE
Il dottor Vittorio Urbani, socio ACP di Napoli, a margine di quanto pubblicato alla pagina 142 del vol. 32 numero 3 di Quaderni ACP, precisa che il progetto Cura ad Arte non gode del patrocinio morale del Pio Monte della Misericordia, come da lui per errore comunicato.
may.elhachem@opbg.net
La piramide dello stile di vita per adolescenti. Alimentazione
In questo numero completiamo la Piramide dello stile di vita sviluppata da Wellness Foundation con il contributo scientifico di ACP Romagna affrontando il tema dell’alimentazione.
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- Riduci salumi e carni rosse.
Gestione multidisciplinare nella disfagia pediatrica: l’esperienza di Padova
1 Sezione di Otorinolaringoiatria, Dipartimento di Neuroscienze (DNS), Università di Padova, Padova
2 Unità di Otorinolaringoiatria-Chirurgia cervico-facciale, Azienda Ospedale Università di Padova, Padov
3 UOC Hospice Pediatrico, Centro Regionale Veneto per terapia antalgica del dolore e cure palliative pediatriche, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera di Padova, Padova
4 Unità di Foniatria e Audiologia, Dipartimento di Neuroscienze DNS, Università di Padova, Treviso
5 Pediatra di libera scelta
Introduzione: La disfagia colpisce circa l’1% dei bambini, ma la prevalenza aumenta in presenza di specifiche condizioni patologiche. Questa condizione può determinare un apporto calorico insufficiente e predisporre alla polmonite da aspirazione. La diagnosi e la gestione richiedono un approccio multidisciplinare. Obiettivi e metodi: Gli autori presentano l’esperienza dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, dove, tra il 2022 e il 2024, sono stati valutati 92 bambini. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a un iter diagnostico completo che ha incluso una valutazione otorinolaringoiatrica e una logopedica. L’inquadramento diagnostico si è avvalso della valutazione endoscopica della deglutizione (FEES) o della videofluoroscopia (VFS).
Risultati e conclusioni: L’integrazione tra valutazione clinica e strumentale ha consentito di identificare i pazienti a rischio di aspirazione e di indirizzarli verso il trattamento più adeguato, con terapia logopedica o nutrizione enterale nei casi più complessi e gravi. Laddove indicato il trattamento logopedico si è dimostrato efficace nel migliorare le competenze oro-motorie. È necessario sviluppare protocolli standardizzati e formare adeguatamente famiglie e caregiver.
Introduction: Dysphagia affects about 1% of children, but the prevalence increases in the presence of specific pathological conditions. This condition can lead to inadequate caloric intake and predispose to aspiration pneumonia. Diagnosis and management require a multidisciplinary approach.
Aims and methods: The authors present the experience of the Hospital-University of Padua, where 92 children were evaluated between 2022 and 2024. All patients underwent a complete diagnostic procedure that included an otolaryngological and logopedic evaluation. The diagnostic framing made use of endoscopic evaluation of swallowing (FEES) or videofluoroscopy (VFS).
Results and conclusions: The integration of clinical and instrumental assessment made it possible to identify patients at risk of aspiration and to direct them towards the most appropriate treatment, with speech therapy or enteral nutrition in the most complex and severe cases. Where indicated, logopedic treatment has proved effective in improving oral-motor skills. There is a need to develop standardized protocols and to adequately train families and caregivers.
Introduzione
Il termine disfagia indica un’alterazione delle fasi orale, faringea e/o esofagea della deglutizione, che può ostacolare, parzialmente o completamente, il transito di cibi, liquidi, farmaci o saliva dalla cavità orale allo stomaco [1].
La disfagia può impattare significativamente sul benessere globale del bambino, sulla sua crescita e sul suo sviluppo psicofisico. Si stima che circa l’1% dei bambini presenti una forma di disfagia, ma la prevalenza aumenta significativamente in alcune condizioni mediche complesse, arrivando fino al 99% nelle paralisi cerebrali infantili [2,3]. La diagnosi e la gestione prevedono un approccio integrato multimodale e interdisciplinare adatto alle esigenze e aspettative di bambino e famiglia [4].
La valutazione strumentale nei bambini si basa sulla FEES e sulla VFS. La FEES utilizza un’endoscopia a fibre ottiche per analizzare, durante un pasto di prova, l’anatomia faringea, la sensibilità, la protezione delle vie aeree e la presenza di residui post-deglutitori. La VFS esamina radiograficamente le fasi della deglutizione e il transito esofageo con un pasto al bario. Studi come quello di Miller et al. confermano l’efficacia e sicurezza della FEES in pediatria, soprattutto nella gestione di pazienti fragili, riducendo il rischio di aspirazione [3,5,6]. Il centro multidisciplinare di Padova offre un servizio di valutazione bedside nei vari reparti, integrando valutazioni cliniche e strumentali da parte di un team multispecialistico (pediatri, otorinolaringoiatra e foniatra, logopedisti, radiologi, foniatri, dietisti).
Obiettivi e metodi
Lo studio, condotto presso il centro multidisciplinare di Padova tra novembre 2022 e novembre 2024, ha coinvolto 92 pazienti pediatrici con sospetta disfagia. Ogni bambino è stato valutato da un pediatra, quindi indirizzato a un logopedista e un otorinolaringoiatra. La FEES, eseguita in tutti i pazienti durante l’assunzione di cibo (latte materno, biberon o alimenti solidi), ha permesso di valutare sensibilità, motilità orofaringea e disfunzioni della deglutizione. L’uso di un colorante alimentare ha facilitato la visualizzazione del bolo con i liquidi.
La FEES è stata preferita alla VFS per la sua esecuzione bedside, la possibilità di testare diversi alimenti e l’assenza di radiazioni. La VFS è stata riservata ai casi di dubbia aspirazione o a pazienti meno collaborativi.
Le valutazioni cliniche sono state integrate con scale di rischio, tra cui la Penetration-Aspiration Scale (PAS) e la Yale Pharyngeal Residue Severity Scale, fondamentali per una valutazione quantificabile della disfagia, nonostante l’assenza di strumenti specifici validati per l’età pediatrica.
Risultati
Lo studio ha coinvolto 92 bambini disfagici (43 femmine, 49 maschi, età mediana 3 anni). L’80% presentava patologie complesse (neurologiche, genetiche, muscolari o iatrogene), mentre il 20% non aveva comorbidità rilevanti.
Le richieste di valutazione provenivano principalmente dall’hospice pediatrico (35,1%), seguito da clinica pediatrica (10,6%), neurologia (8,5%), chirurgia pediatrica e terapia intensiva pediatrica (7,4%). I sintomi più comuni nei pazienti
dell’hospice includevano tosse, soffocamento e sudorazione durante il pasto, vomito post-prandiale e infezioni respiratorie ricorrenti.
L’alimentazione dei pazienti valutati variava tra: orale (35%), via sondino nasogastrico (SNG) nel 35% dei casi e via PEG (22%).
Gli obiettivi della valutazione erano identificare la presenza di disfagia, quali fasi della deglutizione e quali strutture anatomiche fossero coinvolte, stabilire la gravità del quadro e l’eziologia, valutare il rischio di aspirazione e definire un piano
Tabella 1. Principali patologie nella casistica di Padova
Categoria (%)
Neurologiche (28%)
Genetiche e Sindromi (25,6%)
Malformazioni e Disfunzioni motorie (20,7%)
Iatrogene (9,7%)
Cardiologiche (3,6%)
Respiratorie e Polmonari (3,6%)
terapeutico personalizzato. Ai pazienti con rischio di aspirazione basso e buona partecipazione è stato proposto un training logopedico. Nei casi di disfagia severa con rischio elevato di inalazione e scarse prospettive di recupero, si è optato per il posizionamento della PEG per garantire sicurezza ed adeguato apporto nutrizionale.
Discussione
Lo studio evidenzia l’importanza di un approccio multidisciplinare nella gestione della disfagia pediatrica, integrando va-
Sindrome genetica complessa (epilessia e ritardo psicomotorio)
Sindrome di Aicardi-Goutieres
Malattia di Gaucher
Glutarico aciduria I
Arnold Chiari I
Deficit 6 piruvoil-tetraidropterina sintasii
Tetraparesi spastica
Tetraparesi spastico-distonica
Distrofia miotonica di tipo I
SMA 1-2
Distrofia miotonica di Steinert
Miopatia congenita
Miopatia a corpi nemalinici
Malattia di Pompe
Sarcoma del pavimento orale
Asportazione medulloblastoma
Ependimoma fossa cranica posteriore
Esiti secondari a neuroblastoma laterocervicale
Trapianto cardiaco
Intervento cardiochirurgico
Atresia esofagea tipo III (esiti chirurgici)
Anastomosi esofago-esofagea
Sindrome dell’intestino corto (NEC multifocale)
Insufficienza mitralica severa
DORV (double outlet right ventricle)
Cardiopatia congenita e stridor inspiratorio
Paralisi corda vocale sinistra
Paralisi periferica del VII nc e deficit ipoglosso
Esiti di grave prematurità con broncodisplasia
Insufficienza respiratoria cronica
LAM (linfangioleiomiomiatosi)
ARDS post sepsi grave
Gastrointestinali ed Esofagee (2,4%)
Fistola tracheoesofagea
Ingestione di caustici
lutazioni mediche e logopediche per personalizzare il percorso terapeutico in base alla complessità del bambino e alle esigenze familiari [2,3].
I dati confermano l’alta prevalenza della disfagia nei pazienti con patologie life-limiting [7] (es. malattie neurologiche degenerative, paralisi cerebrale infantile) che nella nostra realtà sono seguiti dall’hospice pediatrico di Padova. In questi pazienti il rischio di aspirazione di secrezioni e/o alimenti compromette lo stato nutrizionale e respiratorio. Un’adeguata valutazione specialistica è cruciale per ridurre tali complicanze.
È altresì importante sottolineare che il 20% dei bambini valutati per disfagia non presentava comorbidità di rilievo, evidenziando come tale condizione possa insorgere anche in pazienti con uno sviluppo neuromotorio normale. Tale dato è in linea con quelli della letteratura in cui la percentuale di bambini disfagici con normale sviluppo riportata è del 25% [8]. Per quanto riguarda la presentazione clinica non sempre i segni e sintomi sono immediatamente riconoscibili; inoltre le manifestazioni cliniche variano in base al tipo di paziente. Nella nostra casistica, il dato clinico più frequente suggestivo di disfagia erano le infezioni respiratorie ricorrenti, con o senza altre red flag, evidenziando l’importanza di considerare la disfagia orofaringea nella diagnosi differenziale dei bambini con complicanze respiratorie isolate, non altrimenti spiegabili.
Benefici delle metodiche diagnostiche: FEES e VFS
La scelta tra FEES e VFS è fondamentale nel protocollo diagnostico delle disfunzioni deglutitorie, poiché forniscono informazioni complementari. Nel nostro studio, la FEES è stata l’esame preferito, ben tollerato nel 57,3% dei casi, permettendo una diagnosi rapida e diretta della deglutizione. La sua capacità di monitorare aspetti cruciali, come la sensibilità faringea e la protezione delle vie aeree, ha reso la FEES l’esame di prima scelta rispetto alla VFS.
Interventi logopedici e riabilitazione funzionale
La valutazione clinico-funzionale logopedica riveste un ruolo cruciale nel bambino disfagico. Essa si compone di: anamnesi generale con focus sull’anamnesi alimentare, esame obiettivo generale e delle strutture oro-facciali coinvolte nella deglutizione (delle quali si valutano simmetria a riposo e in movimento, motricità, forza, tono e sensibilità) e infine osservazione al pasto [9]. La valutazione al pasto ha come obiettivo principale quello di esaminare se la modalità di alimentazione sia sicura e adeguata. Si valutano aspetti come la relazione bambinocaregiver, le caratteristiche del cibo, gli utensili, la durata del pasto, eventuali reazioni avverse alla somministrazione del cibo, eventuali segni indiretti di aspirazione-penetrazione. Particolare attenzione viene data all’aspetto posturale, valutato in sinergia con il fisiatra, considerando il ruolo che il corretto allineamento del capo-collo-tronco ha sul facilitare la deglutizione e ridurre il rischio di aspirazione [2,10].
La valutazione logopedica permette di contestualizzare l’esame endoscopico e di personalizzare le strategie riabilitative al fine di migliorare la funzione deglutitoria e ridurre il rischio di inalazione. Tra gli approcci proposti quelli sensomotori sono particolarmente efficaci nel migliorare il controllo orale [10]. Nei casi di disfagia faringea risultano utili, invece, interventi compensativi e/o dispensativi che prevedono la modifica delle consistenze o degli ausili.
Nei pazienti sottoposti a posizionamento di PEG, questa soluzione invasiva ha garantito la sicurezza nutrizionale, riducendo il rischio di infezioni respiratorie da aspirazione, come riportato anche in altri studi sulla disfagia pediatrica [3]. La PEG, inoltre, aiuta a garantire un adeguato stato nutrizionale, riducendo le complicanze legate alla malnutrizione in bambini vulnerabili.
È importante sottolineare, tuttavia, che nel 17% dei bambini alimentati via PEG la valutazione logopedica ed otorinolaringoiatrica aveva la finalità di rivalutare la possibilità di reintrodurre qualche alimento per os.
Una volta eseguito un corretto inquadramento del paziente con disfagia in ambiente ospedaliero, laddove indicato, la famiglia è stata indirizzata ai servizi territoriali di logopedia per esecuzione del training deglutitorio, mantenendo followup periodici presso la nostra struttura.
Conclusioni
La nostra esperienza ha dimostrato che l’integrazione di diverse competenze è fondamentale per la gestione ottimale della disfagia pediatrica, specialmente nei bambini con patologie complesse.
L’integrazione della valutazione clinica, logopedica e strumentale tramite FEES è risultata essenziale per una diagnosi accurata, identificando tempestivamente i bambini a rischio di aspirazione e permettendo interventi mirati. Nei pazienti con deficit oro-motori e sensoriali, l’invio alla riabilitazione logopedica ha permesso di migliorare la sicurezza della deglutizione, mentre nei pazienti con alto rischio di aspirazione, la PEG ha garantito un supporto nutrizionale sicuro.
La continuità delle cure, l’addestramento delle famiglie e il monitoraggio a lungo termine rappresentano, infine, aspetti essenziali per garantire una corretta gestione della disfagia pediatrica e prevenire possibili complicanze associate [3,5,10].
I dati della nostra esperienza sottolineano la necessità di protocolli standardizzati e formazione continua per famiglie e caregiver. Future ricerche dovrebbero sviluppare linee guida standardizzate per la gestione della disfagia pediatrica.
Bibliografia
1. Goday PS, Huh SY, Silverman A, et al. Pediatric Feeding Disorder: Consensus Definition and Conceptual Framework. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2019 Jan;68(1):124-129.
2. Kenny DJ, Koheil RM, Greenberg J, et al. Development of a multidisciplinary feeding profile for children who are dependent feeders. Dysphagia. 1989;4(1):16-28.
3. Lawlor CM, Choi S. Diagnosis and Management of Pediatric Dysphagia: A Review. JAMA Otolaryngol Head Neck Surg. 2020 Feb 1;146(2):183-191.
4. Krasaelap A. Understanding Pediatric Dysphagia: a Multidisciplinary Approach. Current Pediatrics Reports. 2023;11:245-252.
5. Pizzorni N, Rocca S, Eplite A, et al. Fiberoptic endoscopic evaluation of swallowing (FEES) in pediatrics: A systematic review. Int J Pediatr Otorhinolaryngol. 2024 Jun:181:111983.
6. Miller CK, Willging JP. Fiberoptic Endoscopic Evaluation of Swallowing in Infants and Children: Protocol, Safety, and Clinical Efficacy: 25 Years of Experience. Ann Otol Rhinol Laryngol. 2020 May;129(5):469-481.
7. Calis EA, Veugelers R, Sheppard JJ, et al. Dysphagia in children with severe generalized cerebral palsy and intellectual disability. Dev Med Child Neurol. 2008 Aug;50(8):625-630.
8. Umay E, Eyigor S, Giray E, et al. Pediatric dysphagia overview: best practice recommendation study by multidisciplinary experts. World J Pediatr. 2022 Nov;18(11):715-724.
9. Arvedson JC. Assessment of pediatric dysphagia and feeding disorders: clinical and instrumental approaches. Dev Disabil Res Rev. 2008;14(2):118-27.
10. Abd-Elmonem AM, Saad-Eldien SS, Abd El-Nabie WA. Effect of oral sensorimotor stimulation on oropharyngeal dysphagia in children with spastic cerebral palsy: a randomized controlled trial. Eur J Phys Rehabil Med. 2021 Dec;57(6):912-922.
tiziana.mondello@studenti.unipd.it
Figli di detenuti nell’ambulatorio del pediatra di famiglia
Maurizio Bonati1 , Paolo Siani2
1
Ricerca&Pratica, Milano
2 Struttura complessa di Pediatria, Ospedale Santobono, Napoli
La reclusione di un genitore è considerata un’esperienza avversa infantile. Per definire la dimensione e le caratteristiche di questo gruppo di bambini particolarmente vulnerabile è stata condotta un’indagine online rivolgendo 20 domande ai pediatri di famiglia soci dell’ACP. Hanno aderito 215 pediatri, con l’ambulatorio ubicato in 18 delle 20 Regioni italiane. 55 pediatri (27% dei partecipanti) ha dichiarato di non sapere se uno o entrambi i genitori erano detenuti; 90 (42% dei pediatri) non aveva in carico figli di detenuti, mentre i rimanenti 70 pediatri avevano in carico almeno 70 assistiti i cui genitori (63 il padre, 7 la madre) erano detenuti o agli arresti domiciliari (4 madri e 8 padri). Dei 70 assistiti, 25 (36%) erano figli unici, mentre i rimanenti avevano fratelli o sorelle di maggiore età per un totale di 88 congiunti (da 2 a 5). 16 avevano una malattia cronica o disabilità (12 con disturbo neuropsichiatrico dei 60 con un’età >2 anni, 20%).
Considerando il numero degli assistiti dei 165 pediatri che hanno dichiarato di essere a conoscenza dello stato di libertà personale dei genitori dei propri assistiti si potrebbe inferire che l’1‰ (88 di 90.790) dei minori ha uno dei genitori in stato detentivo.
Complessivamente erano 34 (49%) le famiglie assistite dai servizi sociali e 10 (14%) da associazioni di volontariato, a conoscenza del pediatra. Di 7 assistiti (10%), tutti con età <2 anni, i pediatri non sapevano se frequentavano il nido. Così come per 23 assistiti (33%) i pediatri non sapevano se facessero visita al genitore detenuto (o lo vedessero a distanza) e per 20 genitori detenuti (29%) i pediatri non sapevano i tempi di detenzione.
In conclusione, almeno uno degli assistiti del pediatra di famiglia è figlio di un detenuto e molti dei pediatri non lo sanno o sono scarsamente informati della situazione familiare di questi loro assistiti. Questa popolazione vulnerabile (di bambini e di famiglie) necessita di particolari attenzioni, cure e accompagnamento per ridurre la condizione di svantaggio sociale, economico, culturale e sanitario, in particolare durante l’età evolutiva.
The imprisonment of a parent is considered an adverse childhood experience. To define the size and characteristics of this particularly vulnerable group of children, an online survey was conducted by asking 20 questions to family pediatricians who are members of the ACP. 215 pediatricians participated, with clinics located in 18 of the 20 Italian regions. 55 pediatricians (27% of participants) stated that they did not know if one or both parents were detained; 90 (42% of pediatricians) did not have children of detainees in their care, while the remaining 70 pediatricians had at least 70 patients in their care whose parents (63 fathers, 7 mothers) were detained or under house arrest (4 mothers and 8 fathers). Of the 70 patients, 25 (36%) were only
children, while the remainder had older brothers or sisters for a total of 88 relatives (from 2 to 5). 16 had a chronic disease or disability (12 with neuropsychiatric disorder of the 60 with an age >2 years, 20%).
Considering the number of patients of the 165 pediatricians who declared to be aware of the state of personal freedom of the parents of their patients, it could be inferred that 1‰ (88 of 90,790) of minors has one of the parents in detention. Overall, there were 34 (49%) families assisted by social services and 10 (14%) by voluntary associations, who knew the pediatrician. Of 7 patients (10%), all aged <2 years, the pediatricians did not know if they attended nursery school. Likewise, for 23 patients (33%) the pediatricians did not know if they visited the detained parent (or saw him remotely) and for 20 detained parents (29%) the pediatricians did not know the length of detention.
In conclusion, at least one of the patients of the family pediatrician is the child of a prisoner and many of the pediatricians do not know it or are poorly informed about the family situation of these patients. This vulnerable population (of children and families) requires special attention, care and support to reduce the condition of social, economic, cultural and health disadvantage, especially during developmental age.
Introduzione
Sebbene i diritti dei figli di detenuti siano inviolabili e riconosciuti da tempo a livello sia nazionale sia internazionale, molto rimane da fare affinché questi siano garantiti [1].
Al 30 giugno 2022 in Italia erano 25.316 le persone detenute con figli, prevalentemente il padre. Tra queste, il 30,6% ha uno figlio, il 34,5% due, il 21,2% tre, l’8,6% quattro, il 3% cinque e il 2,1% dai 6 in su [2]. Sono quindi circa 100.000 oggi gli “orfani della giustizia”. Una condizione non permanente, ma critica in rapporto all’età dei minori per il loro sviluppo cognitivo e comportamentale. Inoltre la separazione di un genitore dalla famiglia a seguito della detenzione ha effetti sia a breve sia a lungo termine sulla famiglia, anche dopo il rilascio dalla prigione. Questi bambini vulnerabili affrontano difficoltà uniche e il loro numero crescente e le loro esigenze particolari richiedono, da tempo, attenzione [3]. L’incarcerazione dei genitori è un processo complesso che può avere ripercussioni su tutti gli ambiti principali dello sviluppo del bambino e contribuisce a comportamenti esternalizzanti, difficoltà relazionali, uso di sostanze, problemi scolastici e sociali, vulnerabilità per la salute. Condizioni che protratte nel tempo possono ripercuotersi anche in età adulta [4]. Con l’introduzione della “Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti” nel 2014 il numero delle visite che i figli minorenni hanno fatto ai propri genitori detenuti è andato incrementando nel tempo [5]. Nei primi 11 mesi del 2021 sono stati 280.675 i colloqui tra detenuti e almeno un familiare minorenne [6]. La Carta, prima nel suo genere in Italia e in Europa, riconosce il diritto dei minorenni alla continuità del legame affettivo con i genitori detenuti e mira a sostenerne il diritto alla genitorialità. La Carta intende promuovere iniziative affinché ci siano spazi bambini nelle sale d’attesa e di colloquio, visite in giorni compatibili con la frequenza scolastica, videochiamate, formazione del personale carcerario che entra in contatto con i bambini, informazioni, assistenza e supporto alla genitorialità. Purtroppo, come spesso accade, a una norma non corrisponde la sua attuazione, la valutazione nel tempo dell’efficacia e la conseguente modifica per migliorarla. Questi bambini hanno assegnato sin dalla nascita un pediatra di famiglia che, oltre a garantire la diagnosi e la cura delle malattie dei propri assistiti, dovrebbe adoperarsi per la prevenzione e l’educazione sanitaria attivando interventi efficaci per il benessere psicofisico del bambino. Un pediatra di famiglia
dovrebbe quindi conoscere le condizioni familiari dei propri assistiti per esplicitare il suo mandato professionale ed etico al meglio delle proprie possibilità [7].
Ma i pediatri conoscono quanti bambini tra i loro assistiti hanno un genitore in carcere?
Metodi
È stato effettuato un sondaggio online trasversale utilizzando un questionario autosomministrato per determinare quanti assistiti dei pediatri di famiglia sono nella condizione di essere figli di detenuti e la conoscenza di questo stato da parte dei pediatri. Sono stati contattati, mediante apposita email, i circa 2000 soci dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) proponendo anche di estendere l’invito ad altri colleghi. Poiché non è possibile sapere quante persone abbiano ricevuto il link al sondaggio, non è stato calcolato il tasso di risposta. Alla email iniziale hanno fatto seguito due promemoria e il sondaggio è stato chiuso dopo un mese dall’apertura (marzo 2025). Il sondaggio consisteva in 20 domande chiuse relative al pediatra, all’assistito e al genitore. Il completamento della compilazione è stato pressoché totale. I dati raccolti sono stati elaborati e codificati in un foglio excel. I risultati sono presentati come frequenza e percentuali.
Risultati
Hanno aderito 215 pediatri: 80% pediatre; un’età compresa tra i 33 e 71 anni (mediana 61); 3 convenzionati a partire dal 1984 (mediana 2000); con l’ambulatorio ubicato in 18 delle 20 Regioni italiane (no Molise e Trentino-Alto Adige). 55 pediatri (27% dei partecipanti) con in carico 110.201 assistiti (55% del totale: 200.991; da 313 a 1996 per pediatra con una mediana di 943 assistiti) ha dichiarato di non sapere se uno o entrambi i genitori erano detenuti; 90 (42% dei pediatri) non aveva in carico figli di detenuti, mentre i rimanenti 70 pediatri avevano in carico almeno 70 assistiti (48 maschi) i cui genitori (63 il padre, 7 la madre) erano detenuti o agli arresti domiciliari (4 madri e 8 padri). I 70 assistiti (48 maschi) avevano un’età compresa tra il mese e i 14 anni (mediana 6 anni) e 16 avevano una malattia cronica o disabilità (12 con disturbo neuropsichiatrico dei 60 con un’età >2 anni, 20%); 25 (36%) erano figli unici, mentre i rimanenti avevano fratelli o sorelle di maggiore età per un totale di 88 congiunti (da 2 a 5). Con-
siderando il numero degli assistiti dei pediatri che hanno dichiarato di essere a conoscenza dello stato di libertà personale dei genitori dei propri assistiti si stima che l’1‰ (88 di 90.790) dei minori ha uno dei genitori in stato detentivo. Di 7 assistiti (10%) il pediatra non era a conoscenza se la famiglia fosse assistita dai servizi sociali o da associazioni di volontariato, mentre erano 9 (13%) le famiglie assistite sia dai servizi che dalle associazioni. Complessivamente erano 34 (49%) le famiglie assistite dai servizi sociali e 10 (14%) da associazioni di volontariato.
Una sola bambina di 5 anni viveva in comunità, 5 (7%) vivevano da parenti, i rimanenti (64) con il genitore non detenuto. Di 7 assistiti, tutti con età <2 anni, i pediatri non sapevano se frequentavano il nido, mentre 6 (8%) frequentavano il nido, 23 (33%) la scuola d’infanzia e 34 (49%) la scuola dell’obbligo. Così come per 23 assistiti (33%) i pediatri non sapevano se
SUPPLEMENTO
https://acp.it/...
Bambini figli di detenuti nell’ambulatorio del Pediatra di Famiglia
Pediatra
Genere M • F • Non binario/Altro •
Età (anni compiuti) • •
Anno di inizio convenzione •
Numero di Assistiti •
Ambulatorio sito in Provincia di (sigla) • •
Tra gli assistiti ha figli con un genitore deteneuto? SI � NO � Non so �
Figlia/ unico SI • NO (N. totale figli in famiglia compreso la/il presente) • •
Genitore detenuto Padre • Madre • Entrambi •
L’assistita/o soffre di malattia cronica/disabilità SI • NO • Se SI (indicare) __________________________
La famiglia è assistita dai servizi sociali SI • NO • Non so • da parrocchia/associazioni SI • NO • Non so •
L’assistita/o vive con il genitore non detenuto • da parenti • in affido • in comunità •
L’assistita/o è iscritta/o a nido � scuola dell’infanzia � scuola primaria � scuola secondaria � Non so � �
L’assistita/o fa visita al genitore detenuto SI • NO • Non so • Se SI quante volte in un anno • • Non so • •
Detenuta/o
Italiana/o � Straniera/o �
Detenuta/o/i da (N. di mesi) • • • Non so • •
Detenuto/a/i in Provincia di (sigla) • • Non so • •
Detenuto da (anni compiuti) • • o mesi (se < 1 anno) • • Non so • •
Anni • • o mesi (se < 1 anno) • • ancora da scontare Non so •
facessero visita al genitore detenuto (o lo vedessero a distanza), mentre 17 (24%) non avevano contatti con il genitore detenuto, 18 (26%) mensilmente e 12 (17%) talvolta. Le visite non sono associate all’età dell’assistito o alla distanza del carcere dalla residenza.
Dei 70 detenuti 8 (11%) erano stranieri (10%) e almeno 11 (16%) erano detenuti da oltre un anno e dovevano rimanerci per almeno un altro ancora. Tuttavia per 20 (29%) genitori detenuti i pediatri non sapevano i tempi di detenzione.
Discussione
Negli ultimi due decenni, il numero di detenuti in carcere è aumentato notevolmente in tutto il mondo, con conseguente aumento del numero di bambini con uno o entrambi i genitori separati dalla famiglia a causa della detenzione [8]. La detenzione influisce su tutte le condizioni della famiglia, sia quelle economiche che quelle relazionali. Nelle mutate circostanze familiari, tutti i familiari più prossimi sono colpiti, in particolare i figli [9].
Sebbene sia conosciuta e ribadita l’importanza che i pediatri individuino tra i propri assistiti i casi di detenzione dei genitori, affinché promuovano relazioni fondanti e resilienza familiare (incluse, ove opportuno, le relazioni con i genitori detenuti) e valutino l’invio a specialisti della salute mentale o indirizzino a programmi specializzati per i figli di genitori detenuti [10], lo studio ha evidenziato che per oltre la metà dei propri assistiti i pediatri che hanno partecipato al presente studio non conoscono la situazione famigliare. È il risultato principale e che necessita di riflessioni da parte di tutti coloro che sono coinvolti nel percorso di care pediatrica, ma anche e in particolare di nurturing care [11], così da identificare efficaci modalità per migliorare le attività del pediatra di famiglia. È evidente che attualmente la conduzione dei bilanci di salute non è sufficiente a fornire informazioni essenziali sullo stato di salute generale dell’assistito e della sua famiglia. Dalla prevalenza stimata dal campione dei partecipanti ogni pediatra di famiglia potrebbe avere in carico almeno un assistito con un genitore detenuto. Analoghe considerazioni sulla necessità di acquisire più informazioni sulle condizioni di vita della famiglia dei propri assistiti riguardano le condizioni economico-sociali: infatti sono pochi i pediatri a conoscenza delle famiglie assistite dai servizi sociali o da associazioni di volontariato. Sono ben noti i determinanti sociali ed economici sulla salute anche dei bambini [12], con la conseguenza che devono essere identificati anche dal pediatra nel corso della sua attività.
Sul fronte dei minori figli di detenuti ci sono da contemplare anche quelli, piccoli per età, che sono in carcere con le rispettive madri [13]. Popolazione di piccole dimensioni, ma ancor più negletta che non faceva parte degli obiettivi del presente sondaggio. Diciannove al 30 giugno 2025 [14], quelli detenuti negli ICAM (istituto a custodia attenuata per detenute madri), pur sempre un carcere e, comunque, con alcuni dei diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176, indiscutibilmente negati [15]. Imporre la separazione dei figli da uno o entrambi i genitori affinché questi, rei, scontino una pena con la detenzione dovrebbe tener conto anche dei potenziali effetti sullo sviluppo cognitivo e comportamentale dei figli. Il rischio che i figli, specie se piccoli, siano “orfani di giustizia” e “vittime innocenti” che scontano pene altrui è purtroppo la realtà [16,17]. Se il valore e il ruolo del pediatra di famiglia, sia individualmente che in associazioni, si caratterizza con le azioni advocacy che producano cambiamenti in favore dello stare bene e meglio dei bambini e delle rispettive famiglie, lo stato di “figlio di detenuto” è un fattore determinante della salute dei propri assi-
stiti che caratterizza la necessità di attenzioni e interventi [7]. Certo è necessario (e doveroso) conoscere questa condizione.
Conclusioni
Almeno uno degli assistiti del pediatra di famiglia è figlio di un detenuto. Molti dei pediatri non lo sanno o sono scarsamente informati della situazione familiare di questi loro assistiti. Questa popolazione vulnerabile (di bambini e di famiglie) necessita di particolari attenzioni, cure e accompagnamento per ridurre la condizione di svantaggio sociale, economico, culturale e sanitario, in particolare durante l’età evolutiva.
Bibliografia
1. Galletti L, Pedrinazzi A. Il mantenimento della relazione tra genitori detenuti e figli: esperienze negli U.S.A., in Europa e in Italia. Rassegna penitenziaria e criminologica. 2014;2:77-101. https:// rassegnapenitenziaria.giustizia.it/raspenitenziaria/cmsresources/ cms/documents/9230.pdf.
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6. Bambinisenzasbarre. La “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”. La storia (2014-2022). https://www.bambinisenzasbarre.org/ la-carta-dei-diritti-dei-figli-di-genitori-detenuti-la-storia/.
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8. UNODC, Prison Matters 2024: Global Prison Population and Trends; A Focus on Rehabilitation. New York, United Nations. 2024. https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/ briefs/Prison_brief_2024.pdf.
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12. Pickett KE, Vafai Y, Mathai M, Small N. The social determinants of child health and inequalities in child health. Paediatrics and Child Health. 2022;32:88-94.
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14. Ministero della Giustizia. Detenute madri con figli al seguito. 30 aprile 2025. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST1460728#.
15. UNICEF. Convenzione syui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. https://www.datocms-assets.com/30196/1607611722-convenzionedirittiinfanzia.pdf.
16. Bonati M, Siani P. Ma il periodo di detenzione dei figli è parte della pena inflitta alle madri? Scienzainrete. 11 aprile 2025. https://www. scienzainrete.it/articolo/ma-periodo-di-detenzione-dei-figli-parte-della-pena-inflitta-alle-madri/maurizio-bonati.
17. Siani P. Bambini in carcere: l’arte ci interroga, ma la politica guarda altrove. Scienzainrete, 16 luglio 2025. https://www.scienzainrete.it/ articolo/bambini-carcere-larte-ci-interroga-ma-politica-guarda-altrove/paolo-siani/2025-07-16.
maurizio.bonati@ricercaepratica.it
Ricerca spaziale e salute umana: un’opportunità inattesa per la pediatria?
Fabio Capello
Dipartimento
Cure Primarie, UO Pediatria Territoriale, AUSL Bologna, Italia
L’esplorazione spaziale non è soltanto una sfida tecnologica e ingegneristica: è anche un’occasione unica per studiare il corpo umano in condizioni estreme. Una notizia pubblicata il 6 maggio 2025 dalla NASA descrive come l’equipaggio attualmente impegnato nella Spedizione 73, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), stia partecipando a una serie di ricerche cliniche avanzate sulla salute umana. Queste ricerche sono finalizzate principalmente a garantire la sicurezza degli astronauti in missioni di lunga durata, in vista di progetti ambiziosi come il ritorno sulla Luna e i futuri viaggi verso Marte. Tuttavia gli effetti della microgravità, dell’isolamento prolungato e dell’esposizione a radiazioni cosmiche sul corpo umano offrono spunti sorprendenti anche per la medicina terrestre, inclusa quella pediatrica. Come vedremo, alcune problematiche osservate nello spazio trovano parallelismi con condizioni cliniche riscontrabili in età evolutiva, aprendo nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche.
La Spedizione 73: la salute umana in primo piano
La Spedizione 73 è attualmente in corso e l’equipaggio sta partecipando a un programma di ricerche multidisciplinari volte a indagare gli effetti dello spazio sul corpo umano [Box 1]. Le attività si svolgono principalmente a bordo dell’ISS, in condizioni di microgravità, dove ogni sistema dell’organismo – dal sistema cardiovascolare al nervoso centrale – è sottoposto a forze molto diverse da quelle terrestri.
Box 1. Le attività più rilevanti svolte dagli astronauti impegnati nella Spedizione 73 sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS)
– Il comandante Takuya Onishi (JAXA) ha eseguito, con l’astronauta Jonny Kim (NASA), una serie di esami oculistici e cardiovascolari.
– Kim ha indossato un manicotto compressivo alla coscia, mentre Onishi ha eseguito un’ecografia.
– Onishi ha anche raccolto campioni d’acqua potabile e collaborato allo scarico della navetta SpaceX Dragon.
– L’astronauta Anne McClain ha partecipato a una serie di test per CIPHER.
– Nichole Ayers ha indossato per 48 ore un bio-monitor per la rilevazione continua di parametri cardiovascolari.
Il progetto CIPHER: una visione sistemica della salute umana nello spazio
CIPHER (Complement of Integrated Protocols for Human Exploration Research) è un programma integrato condotto
dalla NASA con la collaborazione di partner internazionali. Riunisce 14 protocolli di ricerca clinica per analizzare in modo sistemico le trasformazioni fisiologiche e cognitive che si verificano durante i voli spaziali.
Gli astronauti sono divisi in gruppi in base alla durata della missione:
• breve: meno di 3,5 mesi;
• standard: tra 3,5 e 8 mesi;
• estesa: oltre 8 mesi.
I principali ambiti indagati da CIPHER includono:
• sistema cardiovascolare: adattamenti del cuore e dei vasi in microgravità;
• sistema immunitario: risposta immunitaria alterata in ambiente spaziale;
• ossa e muscoli: riduzione della densità ossea e della forza muscolare;
• funzione cerebrale: cambiamenti cognitivi, dell’umore e del sonno;
• nutrizione: variazioni nei bisogni nutrizionali;
• microbioma : cambiamenti nella flora microbica intestinale.
I dati raccolti, insieme a quelli provenienti da altri studi attualmente in corso [Box 2] saranno fondamentali per future missioni verso la Luna, Marte e oltre.
Box 2. Altre ricerche in corso
– Nichole Ayers (NASA), nel modulo Columbus Laboratory, ha indossato per 48 ore il bio-monitor, un sistema di monitoraggio della funzione cardiovascolare. Ha inoltre effettuato la manutenzione dell’Advanced Resistive Exercise Device (ARED) e partecipato alle operazioni di carico del Dragon.
– Nel segmento Roscosmos, Alexey Zubritsky e Sergey Ryzhikov hanno lavorato su un esperimento relativo alla forza aerodinamica della stazione.
Spunti per la medicina pediatrica
Le osservazioni raccolte in orbita, sebbene riferite ad astronauti adulti in salute, possono offrire indicazioni preziose anche per la pratica pediatrica, soprattutto in contesti clinici complessi.
1. Crescita ossea e atrofia muscolare
L’ambiente spaziale provoca una rapida demineralizzazione ossea e perdita di massa muscolare, analogamente a quanto osservato in bambini immobilizzati o affetti da patologie neuromuscolari.
2. Intolleranza ortostatica
Gli astronauti sperimentano intolleranza ortostatica al rientro, simile a quanto avviene in bambini con disfunzioni autonomiche o sindrome da allettamento prolungato.
3. Disbiosi e immunodeficienza
Il microbioma intestinale degli astronauti si altera sensibilmente nello spazio, e si osserva una soppressione immunitaria. Questi dati possono offrire insight utili per pazienti pediatrici immunocompromessi o con malattie infiammatorie croniche.
4. Pressione endocranica e nervo ottico
La cosiddetta Spaceflight-Associated Neuro-ocular Syndrome (SANS) implica cambiamenti del nervo ottico e può fornire modelli per studiare condizioni pediatriche correlate alla pressione intracranica.
Conclusioni
La ricerca spaziale in corso nel 2025, come dimostrato dalla spedizione di ricerca attualmente in corso, non è soltanto una sfida ingegneristica: è anche un laboratorio clinico straordinario che può migliorare le conoscenze della vita e dei meccanismi di regolazione del nostro organismo anche sulla Terra. I dati raccolti in orbita, specie nell’ambito del progetto CIPHER, possono aprire nuove vie di riflessione anche per la medicina pediatrica. Le scoperte relative agli effetti della microgravità, dell’isolamento prolungato e dell’esposizione alle radiazioni cosmiche sugli astronauti adulti offrono infatti parallelismi sorprendenti con condizioni cliniche riscontrabili nei bambini, dalla demineralizzazione ossea e atrofia muscolare in caso di immobilità, all’intolleranza ortostatica e alle alterazioni del microbioma intestinale e del sistema immunitario. Un’area di ricerca pensata per missioni lunari e marziane può così tornare utile sulla Terra per i bambini che affrontano sfide mediche complesse.
Mentre ci proiettiamo verso un futuro in cui l’umanità potrebbe non solo esplorare ma persino abitare lo spazio, una riflessione emerge: queste ricerche pionieristiche potrebbero non solo migliorare la salute e la qualità di vita di bambini con patologie croniche e invalidanti sulla Terra, ma potrebbero un giorno svelare i segreti per garantire alle generazioni future una vita sana e sostenibile tra le stelle, trasformando il sogno dell’abitazione spaziale da fantascienza a realtà.
Sarà possibile quindi che un giorno lo spazio sia popolato di bambini che nasceranno e cresceranno al di fuori del nostro pianeta? A questa affascinante prospettiva risponderanno il tempo e la ricerca scientifica continua.
Bibliografia
1. NASA. Crew Spends Tuesday Focused on Health Research. 6 maggio 2025. https://www.nasa.gov/blogs/spacestation/2025/05/06/ crew-spends-tuesday-focused-on-health-research/.
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6. Mader TH, Gibson CR, Pass AF, et al. Optic disc edema in an astronaut after long-duration space flight. J Neuroophthalmol. 2013 Sep;33(3):249-255.
info@fabiocapello.net
L’ecografia polmonare ed il pediatra: percorso teorico pratico e quadri clinici più comuni
18 SETTEMBRE 2025 (10.00-19.00)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
09.20 - 10.00 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI
10.20 - 10.40 INTRODUZIONE AL CORSO
10.40 - 10.50 Oltre il fonendo: ambiti applicativi del POCUS e prospettive future
Francesco Caprioli
10.50 - 11.15 Ecografia clinica cenni di semeiotica del polmone sano Alberto La Valle
11.15 - 11.30 Il referto in ecografia clinica polmonare Francesco Caprioli
11.30 - 11.45 DISCUSSIONE
11.45 - 13.00 Parte pratica su polmone sano
13.00 - 14.30 PRANZO
14.30 - 14.55 Pocus: l’interstiziopatia dai primi giorni di vita all’adolescenza Gianluca Iovine
14.55 - 15.20 Pocus: Sindrome alveolare e patologia pleurica Andrea Apicella
15.20 - 15.35 DISCUSSIONE
15.35 - 16.00 PAUSA CAFFÈ
16.00 - 17.00 Diagnosi a colpo d’occhio
17.00 - 17.15 DISCUSSIONE
17.30 - 19.00 Parte pratica su polmone patologico con casi clinici
Lo scopo di questo corso è fornire una panoramica sui principali campi di applicazione dell’ecografia polmonare in ambito pediatrico, partendo dal quadro di normalità. Dato che essa è utilizzata come estensione dell’esame clinico del bambino, le sessioni formative saranno sviluppate da pediatri che effettuano l’ecografia polmonare in vari setting assistenziali (pronto soccorso, reparti di pediatria, ambulatorio del pediatra di famiglia). Si partirà dalle conoscenze della letteratura scientifica e dai progetti di ricerca in essere sull’argomento favorendo, sia nella parte teorica che in quella pratica del corso, la più ampia discussione critica sull’argomento.
:: Quote di iscrizione e info
€. 80,00 quota per chi partecipa solo al corso * €. 50,00 quota per chi segue anche il 37° Congresso naz. ACP
La quota comprende la partecipazione ai lavori e l’attestato.
* Il costo è relativo all’iscritto al solo corso e che non prosegue la formazione con la partecipazione al congresso nazionale (19-20 settembre).
[ Apri ] Modulo iscrizione
:: Responsabili del corso
Gianluca Iovine, pediatria di famiglia, Modena
Giuseppe Pagano, pediatria ospedaliero, Verona
:: Docenti del corso
Francesco Caprioli pediatra di famiglia, ASL3 “Genovese”
Alberto La Valle pediatra libero professionista, Genova
Gianluca Iovine pediatria di famiglia, Modena
Andrea Apicella, pediatra ospedaliero, AORN Santobono
Pausilipon Napoli
:: Destinatari Tutti, max 28 partecipanti (minimo 16)
:: Sede Villaggio Marzotto - Viale Oriente, 44 a Jesolo Lido (VE) https://villaggiomarzotto.it/ Inquadra il QRCODE (o fai click) per sapere come raggiungere il villaggio.
La sindrome diencefalica:
una
causa spesso misconosciuta di Failure
manifestations beyond DS are mainly neurological and visual in nature, sometimes associated with endocrinological alterations and hypothalamic dysfunctions. However, neurological or endocrine signs often appear in the advanced stages, leading to diagnostic and therapeutic delays and an increased risk of long-term complications. DS generally regresses after cytoreductive surgery and/ or chemotherapy, but subsequent evolution towards hypothalamic obesity is frequent.
1 UOSD Malattie Neuroendocrine, Centro Obesità, Dipartimento di Neuroscienze, AORN “Santobono Pausilipon”, Napoli
2 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana”, Università degli Studi di Salerno, Baronissi (SA)
3 Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università degli Studi di Salerno.
Descriviamo il caso di una lattante con sindrome diencefalica (DS), con lo scopo di sensibilizzare i pediatri circa questa rara causa di Failure to Thrive (FTT) e ridurre il ritardo diagnostico.
La DS è una condizione rara caratterizzata da emaciazione, ipercinesia e/o euforia, nonostante normale apporto calorico e crescita lineare. Essa è una manifestazione rara di gliomi di basso grado o craniofaringiomi coinvolgenti l’ipotalamo e il diencefalo.
Le manifestazioni cliniche oltre alla DS sono principalmente di natura neurologica e visiva, talvolta associate ad alterazioni endocrinologiche e disfunzioni ipotalamiche. Tuttavia, i segni neurologici o endocrini insorgono spesso in fase avanzata, con conseguente ritardo diagnosticoterapeutico e rischio di maggiori complicanze a lungo termine. La DS generalmente regredisce dopo chirurgia citoriduttiva e/o chemioterapia, ma è frequente una evoluzione successiva verso l’obesità ipotalamica.
We describe the case of an infant with diencephalic syndrome (DS), with the aim of raising awareness among pediatricians about this rare cause of failure to thrive (FTT) and reducing diagnostic delay. DS is a rare condition characterized by emaciation, hyperkinesia and/or euphoria, despite normal caloric intake and linear growth. It is a rare manifestation of low-grade gliomas or craniopharyngiomas involving the hypothalamus and the diencephalon. Clinical
Storia clinica
C. è una lattante nata a termine AGA, che si presenta dall’età di 5 mesi con un rallentamento della crescita ponderale a partire dall’inizio dello svezzamento, con normale crescita lineare [Figura 1a e b]. Pertanto, viene sottoposta a stretto monitoraggio dei parametri auxologici.
Percorso diagnostico
Vengono inoltre escluse le principali cause di FTT. In particolare, gli esami di laboratorio escludono le principali cause di malassorbimento o patologie sistemiche causanti aumentate richieste metaboliche (normale funzionalità renale, epatica e pancreatica, indici infiammatori non elevati, sierologia per celiachia negativa, immunoglobuline e profilo tiroideo nella norma, esame chimico-fisico delle feci e parassitologico negativi, dosaggio della calprotectina fecale normale, esame delle urine ed urinocoltura normali). La revisione del diario alimentare della piccola mostra pasti adeguati all’età e i genitori riferiscono un normale appetito, in assenza di episodi di vomito. Viene comunque prescritto inizialmente un integratore alimentare nutrizionalmente completo ad alta concentrazione energetica (1,5 kcal/g) e poi viene praticato un trial con dieta priva di proteine del latte vaccino, in entrambi i casi senza miglioramento della crescita in peso. Vengono quindi prescritte ulteriori indagini tra cui cariotipo su 50 metafasi, ecocardio, ecoaddome, consulenza oculistica con valutazione del fondo oculare e consulenza neurologica, tutte risultate nella norma. Lo sviluppo psicomotorio della piccola presenta una regolare evoluzione.
All’età di 10 mesi, considerata la scarsa risposta alle modifiche dietetiche, viene nuovamente prescritta dieta libera. A questa età viene però riscontrato un fine ma incostante nistagmo. Condotta nuovamente a visita dall’oculista, il fondo oculare risulta nella norma, per cui viene posta diagnosi di “nistagmo di fissazione”. Per il persistere della sintomatologia oculare e per il riscontro di progressivo aumento della circonferenza cranica verso percentili più elevati [Figura 1b], all’età di 13 mesi esegue RMN encefalo che evidenzia una lesione diencefalica di diametro massimo circa 4 cm coinvolgente la regione ipotalamica e il chiasma ottico, entrambi non più dissociabili dalla stessa con associata dilatazione idrocefalica dei ventricoli laterali [Figura 2].
Decorso
La piccola C. viene sottoposta a intervento neurochirurgico in endoscopia con exeresi parziale della lesione e successiva risoluzione dell’idrocefalo. L’esame istologico consente di porre diagnosi di astrocitoma pilomixoide e pertanto inizia la chemioterapia con Vincristina e Carboplatino, secondo le linee guida 2004.
Tuttavia, alla RMN di controllo effettuata dopo 6 mesi si riscontra progressione della malattia, tale da rendere necessaria una seconda exeresi chirurgica parziale. Inoltre, avendo riscontrato all’indagine molecolare next generation sequencing sul pezzo operatorio una fusione KIIA BRAF, inizia terapia mirata con trametinib (farmaco biologico inibitore delle tirosin-kinasi), che induce una riduzione della massa tumorale stabile nel tempo.
il
Tuttavia, i controlli oculistici evidenziano la persistenza di nistagmo di piccola intensità ed elevata frequenza e di un deficit visivo importante (visus 2/10 bilateralmente). Inoltre, successivamente al trattamento chirurgico si assiste ad un recupero ponderale eccessivo, con obesità progressivamente ingravescente [Figura 1b], sebbene la piccola non presenti iperfagia rilevante e segua uno schema nutrizionale adeguato alla sua età. La crescita staturale di C. si mantiene regolare nel tempo. A un anno dal secondo intervento, C. sviluppa segni biochimici di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaie (LH=0,9 mIU/ mL, vn <0,3; FSH=7 mIU/mL, vn 0,5-2,8; Estradiolo 18,6 pg/ ml), in assenza però di comparsa di caratteri sessuali secondari, richiedendo regolare monitoraggio endocrinologico. La restante funzionalità ipofisaria si mantiene nella norma.
Commento
La FTT è un disturbo dell’accrescimento definito come il riscontro di un peso persistentemente inferiore al 5° percentile per età e inappropriato alla lunghezza oppure come una decelerazione dell’incremento del peso di almeno due curve percentili sulle carte di crescita. Come è accaduto nel caso della piccola C, la DS rappresenta un’ipotesi diagnostica spesso
La lesione tumorale è indicata dalla crocetta
trascurata nei casi di FTT con conseguente ritardo della diagnosi e peggiore outcome a lungo termine [1]. La DS, rara ma potenzialmente letale, si presenta perlopiù nei primi tre anni di vita in associazione a neoplasie del sistema nervoso centrale localizzate nella regione ipotalamica e del chiasma ottico. La principale manifestazione è rappresentata da emaciazione e uno scarso incremento o perdita di peso in assenza di altre cause, nonostante un normale intake calorico e un normale accrescimento staturale [2]. Nel 56-66% dei casi si associano sintomi oculari, come nistagmo e riduzione del campo visivo. La circonferenza cranica può aumentare di percentile sulle curve di crescita a causa di un sottostante idrocefalo. Possono presentarsi anche iperattività o agitazione, febbre persistente o intermittente, ipoglicemia, ipotensione, disordini comportamentali, deficit focali neurologici ed endocrinopatie. L’eziologia della DS non è ancora ben nota, ma sono stati riscontrati
Figura 1. Curva di crescita nel tempo su percentili CDC: si nota come, a partire dai 5 mesi inizi una deflessione del peso nonostante
normale sviluppo in lunghezza (a-b). Si noti inoltre l’incremento eccessivo della circonferenza cranica (b).
Figura 2. Immagini RMN encefalo pre-intervento.
bianca.
elevati livelli di GH a causa di una resistenza recettoriale ed un’eccessiva produzione di beta-lipotropina che comporta aumentata lipolisi e perdita di tessuto adiposo sottocutaneo [1]. I primi step quando si valuta un bambino con FTT sono sicuramente rappresentati da attenta valutazione delle curve di crescita, anamnesi nutrizionale volta a valutare l’intake calorico ed esame obiettivo comprensivo di valutazione neurologica. Può essere utile far stilare al genitore un diario alimentare del bambino di almeno 3 giorni ed assistere ad almeno un pasto del bambino per escludere cause di ridotto introito alimentare come reflusso gastroesofageo, errata preparazione del latte in formula, scarsa alimentazione al seno per difficoltà nell’attacco. Gli esami ematochimici di primo livello possono essere stabiliti caso per caso in base ad eventuali elementi di sospetto rilevati all’anamnesi e/o all’esame obiettivo [Figura 3] e includono: emocromo; test di funzionalità epatica, renale e pancreatica; elettroliti; IgE; esame urine e urinocoltura; ricerca di sangue occulto nelle feci; esame chimico-fisico e parassitologico delle feci; coprocoltura; profilo tiroideo; emogasanalisi; sierologia per virus delle epatiti e complesso TORCH. Tali esami sono principalmente volti ad escludere un failureto-thrive per un inadeguato assorbimento dei macro- e micronutrienti (celiachia, malattie infiammatorie intestinali croniche, esofagite eosinofila, infezioni, fibrosi cistica, allergia alle proteine del latte) o per un aumentato metabolismo (infezioni croniche, patologie cardiache o polmonari, ipertiroidismo, condizioni infiammatorie e tumorali, insufficienza renale). Esami di secondo livello includono una valutazione multidisciplinare e l’eventuale esecuzione di esami di imaging a seconda del quadro (ecografia cardiaca e addominale, radiografia del torace, risonanza magnetica cerebrale) [3]. Il trattamento ottimale della DS dipende dal tipo e dalla sede della lesione e prevede generalmente la rimozione chirurgica del tumore (nella maggior parte dei casi parziale) più eventuale chemioterapia. La radioterapia viene raccomandata in casi selezionati (es. nei craniofaringiomi dopo iniziale intervento citoriduttivo) [2]. Successivamente, i bambini necessitano di un follow-up multidisciplinare a lungo termine, al fine di riconoscere e trattare precocemente eventuali deficit permanenti
o complicanze a lungo termine [2]. Nonostante trattamento appropriato, una larga percentuale di questi pazienti svilupperà obesità ipotalamica, che non sempre è associata ad iperfagia severa.
Cosa abbiamo imparato
La DS deve essere sospettata di fronte ad un incremento ponderale insoddisfacente, con normale crescita staturale, nonostante un adeguato intake calorico e l’esclusione di altre cause di FTT. In questi casi, va tempestivamente richiesta la risonanza magnetica cerebrale. Infatti, è importante che la diagnosi venga posta prima che compaiano segni e sintomi neurologici e/o visivi, al fine di ridurre il rischio di deficit permanenti. L’idrocefalo talvolta associato, anche se di grave entità, può non associarsi al vomito o al papilledema.
L’obesità ipotalamica è un esito frequente del trattamento della causa sottostante la DS e rappresenta una sfida terapeutica in quanto è disponibile un farmaco specifico (la setmelanotide) soltanto per i bambini trattati per craniofaringioma, mentre in tutti gli altri casi si può ricorrere solo a strategie terapeutiche nutrizionali e comportamentali, spesso con scarsi risultati. Infine, sono possibili altri disturbi endocrini a lungo termine, quali deficit di ormoni ipotalamo-ipofisari o pubertà precoce.
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Figura 3. Flow-chart diagnostica della failure to thrive. Modificato da [3].
Dermatite streptococcica perianale con interessamento vulvovaginale
2 UO Ostetricia e Ginecologia, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL Romagna, Forlì
La dermatite streptococcica perianale o perineale è una situazione infettiva causata da Streptococcus pyogenes Si presenta tipicamente con un eritema nettamente demarcato attorno alla regione anale, spesso associato a prurito, dolore e sanguinamento rettale. In alcuni casi, si osserva un coinvolgimento genitale (balanite o vulvovaginite), rendendo la diagnosi più difficile con potenziali ritardi nel trattamento. Descriviamo qui un caso clinico di dermatite streptococcica perineale con coinvolgimento vulvovaginale, discutendone l’approccio diagnostico e terapeutico.
Perianal or perineal streptococcal dermatitis is a pediatric infectious condition caused by Streptococcus pyogenes . It typically presents with sharply demarcated erythema around the anal region, often associated with pruritus, pain, and rectal bleeding. In some cases, genital involvement (balanitis or vulvovaginitis) is observed, making the diagnosis more challenging and leading to potential delay in treatment. We describe a clinical case of perineal streptococcal dermatitis with vulvovaginal involvement, highlighting its diagnostic and therapeutic approach.
La dermatite streptococcica perianale o perineale è una condizione infettiva tipica dell’età pediatrica, caratterizzata da un eritema a margini netti, spesso associato a prurito, dolore e sintomi legati all’evacuazione. Prevalentemente localizzato alla regione perianale, in alcuni casi può coinvolgere l’area genitale con vulvovaginite o balanite. Descriviamo il quadro clinico di una bambina con lesioni ano-genitali di origine streptococcica, evidenziandone la peculiarità diagnostica e discutendo brevemente le condizioni che possono entrare in diagnosi differenziale, sia con le lesioni eritematose perianali che con quelle vulvovaginali.
Il caso clinico
Una bambina di tre anni accede all’ambulatorio pediatrico per lesioni vulvovaginali e perineali con prurito prevalentemente genitale. Da circa dieci giorni lamenta disuria, associata a enuresi secondaria sia diurna sia notturna. L’anamnesi patologica è sostanzialmente negativa, a eccezione di una pregressa faringotonsillite streptococcica (sei mesi prima), trattata con amoxicillina. Circa due settimane prima dell’attuale episodio, la bambina ha avuto un ulteriore episodio febbrile con farin-
godinia, risoltosi spontaneamente senza necessità di antibioticoterapia. I sintomi attuali sono esorditi con bruciore vulvare urente con associata iperemia perigenitale e successiva comparsa, dopo circa 4-5 giorni, di lesioni cutanee vulvari con estensione al perineo.
La valutazione obiettiva e la vulvoscopia evidenziano iperemia e lesioni eritematose con fondo sanioso e simil-aftosiche in presenza di secrezioni vaginali biancastre che interessano le grandi labbra bilateralmente e la cute intorno alla forchetta vaginale (ore 4-6). La cute perianale è intensamente iperemica, e la lesione ha margini ben delineati. Si riscontrano, inoltre, alcune lesioni satelliti a livello perineale e gluteo, di tipo eritemato-papulare, talora di tipo pustoloso e con aspetto impetiginizzato [Figura 1].
Il tampone streptococcico rapido, eseguito sulla cute perianale, risulta positivo mentre il tampone faringeo mostra solo una sfumata positività. Gli esami ematici sono risultati sostanzialmente nella norma (GB 10880/mmc, N 5240/mmc, L 4100/ mmc, M 1480/mmc, Hb 11,4 g/dl, PLT 420000/mmc, PCR 1,6 mg/L) a eccezione di un titolo antistreptolisinico (TAS) piuttosto elevato (1852 KU/L, v.n. < 200) e una velocità di eritrosedimentazione (VES) di 93 mm/h (v.n. <20). L’esame colturale del tampone vaginale conferma l’infezione da Streptococco pyogenes di gruppo A. È stata impostata antibioticoterapia sistemica con amoxicillina clavulanato (90 mg/kg/die divisi in tre somministrazioni giornaliere) per otto giorni associata a terapia locale con mupirocina crema 2% (tre applicazioni al giorno, in sede perianale) per dieci giorni.
Al termine della terapia, l’obiettività genitale e perineale risulta normalizzata con completa risoluzione delle lesioni cutanee [Figura 2]. Si conferma, quindi, la diagnosi di dermatite streptococcica perianale, nota anche come anite streptococcica, con estensione vulvovaginale e perineale.
Discussione
La dermatite streptococcica perianale (anite streptococcica) è una patologia tipica dell’età pediatrica, prevalentemente descritta entro i dieci anni di età e causata da un’infezione da Streptococcus beta emolitico di gruppo A (SBEGA) [1]. Si presenta con eritema a margini netti attorno all’ano (dermatite perianale) con associati possibili disturbi della defecazione, prurito o dolore perianale ed ematochezia. Possono associarsi ragadi anali, erosioni ed escoriazioni superficiali con secrezioni purulente [2-4] [Tabella 1].
Tabella 1. Principali manifestazioni associate alla dermatite streptococcica perianale [2,5]
Segni e sintomi locali
– dolore e prurito perianale
– disordini associati all’evacuazione (dolore, tenesmo, costipazione o incontinenza fecale)
– sanguinamento rettale durante l’evacuazione o ematochezia
– ragadi o fissurazioni perianali
– secrezioni purulente
– impetiginizzazione delle lesioni
– estensione in sede genitale (balanite o vulvovaginite)
Segni sistemici
– febbre
– rash scarlattiniforme
Sequele post-streptococciche
– mialgia post-streptococcica
– psoriasi (guttata)
Nel 10% circa dei casi, la dermatite perianale si accompagna a un coinvolgimento genitale (balanite o vulvovaginite) e, talvolta, è presente una localizzazione primaria unica in queste sedi, in assenza della dermatite perianale [2]. Per questo mo-
tivo, si ritiene più corretto descrivere le diverse localizzazioni della malattia con il termine più complessivo di dermatite streptococcica perineale [5].
L’infezione streptococcica è certamente rara (2%) nelle bambine con vulvovaginite, ma resta comunque un’evenienza da escludere e che rientra tra le diagnosi differenziali con altre affezioni più comuni della regione perineale [6] [Tabella 2]. Per l’eterogeneità della presentazione e dei sintomi, la diagnosi può avvenire anche dopo diverse settimane dall’esordio [2].
Nel nostro caso, la diagnosi è stata supportata dal dato anamnestico della recente infezione delle alte vie respiratorie (sospetta streptococcica) non trattata con antibioticoterapia, dall’evidenza della tipica lesione eritematosa perianale e, infine, dalla conferma microbiologica, inizialmente con il tampone rapido e, quindi, con l’esame colturale. È utile, comunque, riflettere su alcune peculiarità della presentazione clinica nella nostra bambina. La dermatite streptococcica perineale è tipicamente descritta come lesione unica a margini ben demarcati in assenza di ulteriori lesioni distanti e sepa-
Figura 1. Manifestazioni cliniche della dermatite streptococcica perianale con estensione vulvovaginale (a, b: iperemia vulvare con lesioni erosive; c: cute perianale iperemica; d: lesioni satelliti in sede perineale).
rate dall’iperemia perianale. La presenza delle “lesioni satelliti” è più tipica delle infezioni fungine (Candida), con aree cutanee che tendono a essere intensamente iperemiche e di aspetto simile alla lesione principale, più ravvicinate o confluenti e spesso localizzate a livello delle pieghe. Le lesioni satelliti di carattere papulare o pustoloso, viceversa, sono più frequentemente secondarie a un’infezione da Staphylococcus, anche recentemente segnalata come una delle principali cause di infezione cutanea perianale [7]. Non sempre, comunque, l’aspetto della lesione perianale da streptococco appare così precisamente delineato e isolato: in alcuni casi sono descritte lesioni papulari, anche in assenza di un’eventuale coinfezione da parte dello stafilococco [8]. Nella nostra paziente abbiamo considerato l’ipotesi di una coinfezione e la scelta terapeutica ha tenuto conto, inizialmente, anche di questa possibilità. La dermatite streptococcica perineale è spesso associata a faringotonsillite streptococcica ed è possibile si verifichi l’autoinoculazione tra l’orofaringe e i tessuti perineali, per contatto digitale o ingestione del patogeno stesso [5,9]. La diagnosi è clinica con conferma colturale da tampone cutaneo eseguito in sede perineale. Il test rapido per lo streptococco – quello comunemente utilizzato nella diagnosi delle faringotonsilliti – ha un valore predittivo positivo dell’80% e un valore predittivo negativo del 96%, valori sostanzialmente sovrapponibili a quelli noti per il tampone rapido a livello faringeo [2,3]. Il semplice utilizzo presso gli ambulatori pediatrici può fornire una rapida conferma in presenza del sospetto clinico, in attesa dell’esito del colturale cutaneo perianale o, come nel nostro caso, del tampone vulvare. Il trattamento combinato – sistemico e topico – consente di prevenire eventuali recidive o l’emergenza di resistenze batteriche possibili nei casi in cui venga utilizzato il solo trattamento topico. L’infezione sembra infatti interessare anche i piani cutanei profondi, difficilmente raggiungibili con la sola terapia locale [5,10]. I farmaci di scelta sono l’amoxicillina (40 mg/kg/die) in tre somministrazioni quotidiane e, localmente, la mupirocina 2% tre volte al giorno per dieci giorni [1,11]. Nel nostro caso abbiamo scelto un dosaggio più elevato (90 mg/kg/ die) di amoxicillina, preferendo l’associazione con acido clavulanico per la presenza di lesioni sospette per infezione da stafilococco.
Alternative terapeutiche prevedono l’uso di penicillina V, eritromicina, azitromicina, claritromicina, clindamicina, penicilline resistenti alla penicillinasi o cefalosporine. Il trattamento consigliato va dai 10 ai 14-21 giorni. Può essere utile eseguire tamponi e colture perianali per verificare l’eradicazione dei batteri responsabili [5,12].
Figura 2. Risoluzione del quadro clinico in sede vulvovaginale (e) e perianale (f).
Tabella 2. Diagnosi differenziali della dermatite perineale streptococcica con altre patologie perianali e vulvovaginali [5,12,13]
– dermatite irritativa (dermatite da pannolino, strofinamento o manipolazione intensiva)
– candidosi (infezione da Candida spp.)
– dermatite seborroica
– dermatite atopica
– psoriasi
– dermatite allergica da contatto
– infezione da ossiuri
– malattia infiammatoria intestinale
– istiocitosi
– abuso sessuale
– trauma genitale
– corpo estraneo in sede vaginale
– infezioni sessualmente trasmesse
– scabbia
– lichen planus
– patologia sistemica (m. di Kawasaki, m. di Crohn, scarlattina)
Conclusioni
La dermatite streptococcica perianale, specialmente quando si associa a interessamento vulvovaginale, rappresenta una condizione di non immediata diagnosi a causa della varietà di presentazioni cliniche e della necessità di distinguerla da altre patologie perianali e vulvovaginali [13]. Una diagnosi rapida, supportata dagli esami microbiologici, consente di avviare una terapia antibiotica mirata, fondamentale per la risoluzione completa e per la prevenzione delle recidive. La conoscenza clinica di questa condizione è essenziale per migliorare i tempi diagnostici e l’approccio terapeutico negli ambulatori pediatrici e ginecologici.
Bibliografia
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8. Brilliant LC. Perianal streptococcal dermatitis. Am Fam Physician. 2000 Jan 15;61(2):391-3, 397.
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11. Rehder PA, Eliezer ET, Lane AT. Perianal cellulitis. Cutaneous group A streptococcal disease. Arch Dermatol. 1988 May;124(5):702-704.
12. Jongen J, Eberstein A, Peleikis HG, et al. Perianal streptococcal dermatitis: an important differential diagnosis in pediatric patients. Dis Colon Rectum. 2008 May;51(5):584-587.
13. Eyk NV, Allen L, Giesbrecht E, et al. Pediatric vulvovaginal disorders: a diagnostic approach and review of the literature. J Obstet Gynaecol Can. 2009 Sep;31(9):850-862.
francesco.accomando@auslromagna.it
Un appello per Gaza: “Gli aiuti umanitari non sono un’arma”
Milano, 28 maggio 2025. Il 25 maggio scorso un bambino palestinese di 4 anni, Mohammed, è morto di fame a Gaza. Mohammed non è morto di carestia per cause naturali, ma in un posto dove si è deciso di non far arrivare il cibo attraverso gli aiuti umanitari.
A distanza di poche ore di tempo, una mamma e collega pediatra palestinese, Alaa al-Najjar, di turno all’ospedale Nasser di Khan Yunis, uno dei pochi attivi a Gaza, si è vista arrivare i corpi dei suoi 9 figli colpiti da un bombardamento israeliano, e il suo unico figlio sopravvissuto versa in condizioni critiche.
L’enormità di questi accadimenti ci sovrasta e ci sentiamo inermi. Il nostro raggio di azione è o ci appare così insignificante che spesso si tace, pensando che quasi tutto il resto del mondo, di fronte all’assenza totale di protezione e di diritti nei confronti dei più deboli, sia indignato.
Sono diverse le società scientifiche e le associazioni mediche che stanno lanciando un appello per la protezione dell’infanzia nei conflitti armati, esprimendo anche il cordoglio per le tante vittime civili.
Ogni giorno, si legge da un editoriale del Lancet del 24 maggio, 35 bambini vengono uccisi a Gaza, per un totale di 18.000 bambini morti a oggi. Gaza ha la più grande coorte di bambini e bambine amputate, oltre a coloro che muoiono e moriranno di fame, non per carestia, ma per impossibilità ad accedere agli aiuti umanitari. La fame non può essere un’arma di guerra, né una moneta di contrattazione.
Dobbiamo comunicare la nostra indignazione come madri e padri, come pediatri che si prendono cura delle bambine e dei bambini e delle loro famiglie, e come Associazione Culturale Pediatri ribadiamo con forza l’enorme gravità di questa situazione. Il nostro appello, insieme a quello di altre istituzioni e associazioni, speriamo venga accolto affinché la negazione dei diritti umani e la totale assenza di protezione nei confronti delle bambine e dei bambini di finisca al più presto. La distruzione del popolo palestinese avrà enormi ripercussioni sulle generazioni a venire, sui figli e sui nipoti dei bambini che sopravviveranno a tutto questo. NON POSSIAMO TACERE perché i bambini non sono nemici e affinché gli aiuti umanitari non siano un’arma.
Stefania Manetti, presidente ACP Il Direttivo ACP I referenti regionali ACP
Adolescenti di oggi, genitori di domani
Un motivo in più per prendercene cura
Enrico Valletta1 , Antonella Liverani2
1 UO Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì
2 SSI Psicologia della Salute e di Comunità, AUSL della Romagna, Forlì
Le situazioni di disagio psicologico e/o psicosociale che giungono all’attenzione dei servizi sanitari e sociosanitari durante il periodo perinatale, hanno subito un significativo incremento. Analogamente, stiamo assistendo alla sempre maggiore diffusione della psicopatologia tra gli adolescenti e i giovani adulti. Atteso che gli adolescenti di oggi saranno, tra non molto, gli adulti e i genitori di domani, ci siamo chiesti quali tipi di genitorialità saranno in grado di esprimere e, infine, quale potrà essere l’impatto di tutto questo sulla generazione immediatamente successiva. E, soprattutto, ci siamo chiesti come sia meglio muoversi oggi in un’ottica di prevenzione e di sistema.
Situations of psychological and/or psychosocial distress that come to the attention of health and social health services during the perinatal period have undergone a significant increase. Similarly, we are witnessing the increasing prevalence of psychopathology among adolescents and young adults. Given that today’s adolescents will soon be the adults and parents of tomorrow, we wondered what types of parenting they will be able to express and, finally, what the impact of all this could be on the immediately following generation. And, above all, we asked ourselves how it would be best to move today in a preventive and systemic perspective.
L’intercettazione della psicopatologia materna in gravidanza e l’attenzione ai contesti genitoriali (multi)problematici sono tra i principali compiti attribuiti ai servizi sanitari e sociosanitari nell’ambito dei percorsi di accompagnamento alla nascita [1,2].
Evidenze scientifiche ormai consolidate – e riprese altrove in Quaderni acp – testimoniano la rilevanza che la salute mentale materna (senza dimenticare quella paterna) ha nel determinare le traiettorie del neurosviluppo dei nuovi nati nel corso dei primi anni di vita [3,4]. L’esperienza diretta e la letteratura ci dicono anche che le situazioni di disagio psicologico e/o psicosociale in gravidanza hanno subito un deciso e diffuso incremento [Figure 1-2] [5].
Allo stesso tempo, assistiamo ormai da 10-15 anni alla sempre maggiore diffusione della psicopatologia tra gli adolescenti e i giovani adulti. A livello globale, l’OMS segnala un incremento del 50% degli accessi al pronto soccorso per disturbi psichici e il suicidio è ormai, per frequenza, una delle principali cause di morte tra i ragazzi [6,7]. La pandemia, ha senz’altro accelerato questi fenomeni, ma evidentemente l’onda arriva da più lontano e, certamente, non accenna a esaurirsi, tutt’altro. In Emilia-Romagna, i casi di psicopatologia nella fascia d’età 1425 anni erano aumentati del 43% già dal 2011 al 2015, mentre i casi in carico ai servizi NPIA nell’età 14-17 anni (dal 2011 al 2016) erano aumentati del 51,8% [8].
Figura 1. Incremento percentuale dei casi seguiti dall’équipe multidisciplinare del Percorso nascita del Distretto di Forlì dal 2008 al 2024 (dati personali).
Figura 2. Percentuale di donne con Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) score ≥9 in uno studio multicentrico italiano. Modificato da Camoni et al. [10].
A fronte di queste dinamiche, atteso che gli adolescenti di oggi saranno, tra non molto, gli adulti e, sperabilmente, i genitori di domani, viene spontaneo chiedersi quali saranno le possibili traiettorie evolutive delle ragazze e ragazzi che abbiamo oggi in cura, quali tipi di genitorialità riusciranno a esprimere e, infine, quale potrà essere l’impatto di tutto questo sulla generazione immediatamente successiva. La trasmissione transgenerazionale e intrafamiliare della psicopatologia è, infatti, un determinante importante – anche se ancora scarsamente compreso nelle sue componenti genetiche e ambientali – nello sviluppo dei disturbi psichiatrici [9].
Dobbiamo farci questa domanda, non fosse altro che per cercare di adeguare le risposte dei servizi (già oggi in grave difficoltà) a quello che verrà. Senza alcuna pretesa di predire il futuro, essere consapevoli del presente è già un buon punto di partenza.
Psicopatologia in gravidanza e nell’adolescenza
In Italia, la prevalenza dei disturbi depressivi nelle donne in epoca perinatale è stimata al 20,2% (1 donna su 5) in gravidanza e al 27,5% (oltre 1 donna su 4) nel puerperio [10]. Dati, questi, non dissimili da quanto registrato a livello europeo. Sul versante paterno, il 10-13% dei neopadri soffre di depressione e il 4-18% di ansia peri- e post-partum [11].
La rilevazione del problema richiede un elevato grado di sensibilità da parte degli operatori coinvolti nell’accompagnamento della coppia in attesa e non sempre le strutture sanitarie sono culturalmente attrezzate o adeguatamente organizzate per fornire una risposta commisurata al bisogno. In Italia solo il 58% dei dipartimenti di salute mentale (DSM) offre consulenza preconcezionale e solo il 5% ha la disponibilità di mate-
riale informativo. Un professionista di riferimento per il trattamento psicofarmacologico durante la gravidanza o l’allattamento è disponibile in meno della metà dei DSM, e solo un DSM su cinque ha previsto percorsi specifici di trattamento per le donne con disturbo psichiatrico [12]. Certamente, i DSM non sono e non debbono essere i primi e tanto meno gli unici servizi a sostegno della salute mentale dei futuri genitori. I consultori, i centri per le famiglie, i servizi educativi, le strutture sanitarie e sociosanitarie, i singoli professionisti sono tutti chiamati a dare il proprio contributo, in maniera integrata, nel rilevare i segni del disagio e nel garantire accompagnamento e cura [13]. Quello che oggi sappiamo sull’importanza dei “primi 1000 giorni” impone un’attenzione diffusa a questi temi, soprattutto nelle situazioni di evidente fragilità genitoriale.
Sul versante dell’adolescenza, l’emergenza della salute mentale appare ancor più pervasiva, con numeri in continua crescita in Italia e in tutto il mondo. Secondo l’OMS, un adolescente su sette deve confrontarsi con un problema di salute mentale. Si tratta di disturbi d’ansia (4-5%), depressione (1,4-3,5%), disturbi del comportamento (1,9-3,5%) o della condotta alimentare (0,1-0,4%), fino alle psicosi, alle condotte autolesive o suicidiarie o all’adozione di comportamenti a rischio con abuso di sostanze e/o alcol [14]. Anche in questo caso l’esperienza quotidiana dei servizi NPIA e della pediatria territoriale e ospedaliera trova riscontro nei dati epidemiologici continuamente aggiornati in incremento. Il 13% (12 milioni) dei ragazzi europei soffre di un problema di salute mentale: l’8% soffre di ansia, il 4% di depressione e il suicidio è oggi la seconda causa di morte tra i 15 e i 19 anni di età.
In un’indagine promossa dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, il 51,4% dei ragazzi ha dichiarato di avere ricorrenti e prolungati stati di ansia o tristezza, il 49,8% lamenta un eccesso di stanchezza, il 46,5% si sente nervoso, il 29% ha frequenti cefalee e il 25,4% dichiara di non dormire bene [15]. In un contesto socioculturale che oggi pone le basi della possibile evoluzione della genitorialità futura, è importante considerare la cornice nella quale l’adolescente vive e interagisce: stimoli continui veicolati da una socialità in gran parte virtuale e contaminata da messaggi stereotipati e alterati; contesti genitoriali disadattivi con ritmi di vita sempre più incalzanti e conseguenti forme di assenza; dinamiche relazionali con perdita dei ruoli o dove la stessa famiglia non è più il luogo sicuro. Inoltre le stesse determinanti ambientali, legate a periodi di incertezza economica e di isolamento, sono generatori di un clima marcatamente instabile, caratterizzato da stati d’ansia, senso di frustrazione e condotte inadeguate.
Stiamo assistendo a una sempre più definita stratificazione della società, con la perdita di riferimenti stabili, di codici morali e di comportamento. L’adulto attuale sembra aver perso autorevolezza e fiducia nel ruolo di guida e di accompagnamento alla progettualità futura dell’adolescente. Le condotte adolescenziali sono caratterizzate da una sfida costante e oltremodo disfunzionale, nella ricerca di limiti e forme di contenimento alle quali le agenzie educative e gli stessi genitori stentano a trovare risposta, rendendosi spesso necessari interventi urgenti di natura sanitaria o, addirittura, di forza pubblica.
Quale genitorialità futura per gli adolescenti di oggi?
Il quadro che abbiamo sintetizzato è certamente riduttivo rispetto alla complessità della realtà che stiamo affrontando ma comunque sufficiente a legittimare il quesito che ci siamo posti. Anche perché, altri prima di noi hanno cercato di intravedere i possibili percorsi evolutivi della genitorialità in questi adolescenti, traendone conclusioni non sempre rassicuranti [16-18]. Il 78% dei bambini che ricevono una diagnosi di disturbo mentale durante l’infanzia è a rischio di protrarre o ag-
gravare il proprio stato di salute nelle successive fasi di vita e circa la metà degli adulti con disturbo psichiatrico ha avuto probabilmente i sintomi di esordio prima di arrivare alla maggiore età [19]. Oltre a questo, è anche probabile che un adolescente che si trovi in questa situazione finisca con lo sperimentare isolamento sociale, discriminazione, stigma, difficoltà educative e comportamenti a rischio, compromettendo ulteriormente le sue capacità di esercitare una genitorialità positiva e responsiva in un prossimo futuro.
Tracciati questi scenari, è lecito immaginare future genitorialità contrassegnate da carenza di progettualità, di riferimenti, di saldi ideali e di obiettivi da raggiungere. Questa stessa vulnerabilità disadattiva, se non recuperata, potrebbe rivelarsi transgenerazionale, restituendo una visione prospettica della quale il nuovo nato diventerà a sua volta depositario.
La rete degli interventi possibili
Dobbiamo quindi aprirci a un ragionamento che abbracci questa problematica nella sua interezza e alla creazione di una rete, nella quale la stessa comunità possa assumere un ruolo attivo e partecipato. Si vanno sempre più affermando “azioni di sistema” che offrano interventi integrati in cui la sanità, il sociale, le associazioni, i centri per le famiglie, le agenzie educative insieme ai genitori e alla comunità possano ridisegnare gli ambienti di vita dell’adolescente per restituirgli un luogo in cui sentirsi visto e accolto e nel quale possa riconoscersi e costruire la propria identità e il proprio percorso di vita. Il lavoro prevede quindi più vettori e il focus non è esclusivamente l’adolescente di oggi, ma gli stessi adulti e i diversi ambiti che lo accolgono e che dovranno essere essi stessi promotori del cambiamento.
Nell’ottica di una pro-attività a sostegno della fragilità del genitore di oggi e dell’attuale adolescente, dobbiamo confidare che la concertazione delle risorse naturali e istituzionali possa divenire rete di sostegno e di accompagnamento per una genitorialità di domani più solida e più consapevole delle proprie funzioni, capacità e responsabilità.
Come già oggi è tangibile la domanda massiva di interventi sanitari specialistici, così diventerà necessario operare in modo altamente integrato e strutturato per accompagnare e sostenere le nuove genitorialità attraverso interventi multidisciplinari che prevedano supporti sul piano sanitario, sociale ed educativo. Certamente, la continuità di questa rete deve prevedere, da subito, un percorso integrato e un orizzonte prospettico che transiti l’adolescente di oggi verso l’adulto di domani, accompagnandolo nelle sue tappe evolutive e agendo interventi a tutela della sua salute e a prevenzione del rischio di sviluppo di disturbi psichiatrici nella generazione successiva. Questa visione prospettica avrà la capacità di influenzare non solo l’individualità, ma di coinvolgere l’intera collettività con un’azione bidirezionale. Da interventi comunitari psicoeducazionali a tutela dei sani stili di vita potranno scaturire effetti positivi anche sulla psicopatologia del singolo individuo e/o della famiglia. In eguale maniera, interventi di rete strutturati sul piano individuale potranno acquisire una valenza preventiva e protettiva a livello della comunità intera.
La bibliografia di questo articolo è consultabile online. enrico.valletta@auslromagna.it
Update sul progetto policy aziendale per l’allattamento
Riccardo Davanzo
Presidente della Commissione Allattamento e BLUD della Società Italiana di Neonatologia
Premessa
Se inseriamo la parola breastfeeding su PubMed troviamo (giugno 2025) oltre 74.000 voci bibliografiche, riferite ai vari topic dell’allattamento. La letteratura mette a nostra disposizione la possibilità di conoscere quasi tutto su teoria e pratica dell’allattamento e su come promuoverlo, proteggerlo e sostenerlo nelle strutture sanitarie, ma non lo facciamo del tutto o lo facciamo in maniera imperfetta. I motivi sono noti: scarso interesse professionale nei confronti dell’allattamento e in generale della prevenzione e presenza di conflitti di interesse più o meno rilevanti.
Da almeno mezzo secolo e in maniera crescente le donne, le famiglie, le parti sociali, le società scientifiche e le Agenzie che si occupano di salute, sottolineano l’importanza dell’allattamento e ci invitano a farci carico della sua promozione in maniera competente, decisa e non ambigua.
L’iniziativa Ospedale Amico delle Bambine e dei Bambini
Vista l’immobilità di gran parte delle strutture sanitarie, negli anni ’90 l’UNICEF ha avviato la benemerita “Baby Friendly Hospital Initiative” (BFHI) alla base della quale c’era una tensione ideale, ma allo stesso tempo una visione chiara su come cambiare cultura e funzionamento degli ospedali per favorire l’allattamento. La BFHI stabilisce un indubbio gold standard organizzativo e culturale, ma va sottolineato che, dal suo lancio internazionale nel 1991, in Italia solo una trentina di ospedali cono diventati BFH.
La BFHI in Italia attualmente è in uno standby, le cui principali cause illustriamo di seguito.
In Italia non ci sono leggi che prevedano, a beneficio degli ospedali BFH, una significativa incentivazione che sia non solo morale, ma anche economica. La maggior parte delle Regioni e Province Autonome italiane non ha mai indicato per i direttori generali delle aziende sanitarie precisi obiettivi di lavoro sulla BFHI.
ll Tavolo Tecnico per l’Allattamento (TAS) del Ministero della Salute, pur avendo prodotto una serie di significativi documenti sull’allattamento, per mancata volontà politica non ha avuto una sufficiente autonomia d’azione e un budget dedicato, che consentissero interventi più incisivi sulla promozione dell’allattamento e in particolare sulla BFHI. Peraltro il TAS, dopo la scadenza del mandato triennale a fine 2024, non è stato riconfermato dal Ministero della Salute che ha preferito la costituzione di un Tavolo Nazionale sulla Sicurezza Nutrizionale (TaNSin) con oltre 40 componenti, sul tema più generale della Nutrizione, nel cui ambito i riferimenti all’allattamento non potranno che risultare diluiti e meno incisivi (https:// www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?a nno=2025&codLeg=105677&parte=1%20&serie=null).
Una più ampia adesione alla BFHI non è stata finora possibile anche per il parziale e incostante impegno dei medici ospeda-
lieri ad applicare pienamente il Codice Internazionale di Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno (“Codice”). Questa situazione ha portato a un atteggiamento molto critico e polemico da parte degli attivisti dell’allattamento, che continuano a ritenere la promozione dell’allattamento imprescindibile dal pieno rispetto del Codice e giungono a squalificare quasi tutte le società scientifiche dei pediatri, ritenute inadeguate alla sua promozione.
Bisogna però ricordare che in Italia la legge riconosce di fatto alle società scientifiche di poter essere sostenute per le loro attività, in particolare congressuali, anche dalle ditte produttrici di alimenti per l’infanzia.
Non è poi previsto nessun riconoscimento o fondo per gli operatori sanitari impegnati nel percorso di accreditamento BFHI, che possa agevolare l’aggiornamento professionale nel rispetto del Codice.
L’organizzazione portata avanti dall’UNICEF per accompagnare gli ospedali verso il traguardo di BFH è efficace, prevede il tutoraggio lungo un percorso impegnativo e una valutazione esterna per certificare i traguardi ottenuti dagli ospedali. L’accreditamento però richiede molte risorse, anche economiche. Raggiungere lo status di BFH è una vera sfida tenuto conto dell’attuale contrazione numerica del personale sanitario, dell’elevato turnover dei professionisti e del fatto che la BFHI si basa in maniera determinante sulla motivazione, sulla positiva attitudine degli operatori sanitari e sulla buona volontà di capaci team leader, oggigiorno più difficilmente reperibili, se non proprio meno disponibili. Lo status di BFH, una volta raggiunto, è anche difficilmente sostenibile, come testimoniato dalla necessità di periodiche ed impegnative ricertificazioni.
Allattamento e pandemia
Nel corso del 2020 la pandemia di Covid-19 ha determinato un impatto negativo sull’avvio dell’allattamento, almeno in parte attribuibile all’assenza nelle Maternità italiane di policy aziendali sull’allattamento, che potessero tutelarlo. La disponibilità pur tempestiva, già a fine febbraio 2020 (https://www. asppalermo.org/wp-content/uploads/2024/05/IndicazioniSIN-Allattamento-e-infezione-da-SARS-CoV-2.pdf) [1], di linee di indirizzo emesse dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) sulla gestione del neonato di madre Covid positiva, non è stata sufficiente a impedire che l’allattamento venisse penalizzato. In questa situazione bisogna riconoscere che i BFH sono riusciti a tutelare meglio l’allattamento perché positivamente influenzati da una consolidata cultura specifica e dalla disponibilità di policy aziendali [2].
Il Progetto Policy Aziendale Allattamento Nel complesso contesto sopra illustrato, a partire dal 2022 la Commissione Allattamento e Banche del Latte Umano Donato della Società Italiana di Neonatologia (Com.A.SIN), avvertendo la necessità che gli ospedali si dotassero di una policy sull’allattamento, ha voluto promuovere, d’intesa con le società scientifiche d’area perinatale e le federazioni professionali (FNOPO e FNOPI), il Progetto Policy Aziendale Allattamento (o semplicemente Progetto PAA).
È un progetto di promozione dell’allattamento che, pur ispirandosi alla BFHI, richiede agli ospedali di raggiungere traguardi meno ambiziosi (inclusi quelli sul Codice) in modo da facilitare una maggiore adesione, in un tempo limitato. Si tratta, peraltro, di un’iniziativa che non prevede alcun onere finanziario. A seguito dell’invito ad aderire al Progetto PAA giunto ai direttori di Neonatologia e/o Pediatria e ai direttori di Ostetricia e Ginecologia del territorio nazionale, ha fatto seguito un impegno formale delle direzioni strategiche. Nel 2023 sono stati arruolati 104 Punti Nascita, che hanno raccolto fra l’altro una serie di informazioni sulle pratiche
ospedaliere post-natali facilitanti l’allattamento e sulla modalità di alimentazione alla dimissione.
È stato indicato un cronogramma d’azione, sono state proposte 2 survey (la prima dopo 6 mesi dall’adesione al progetto e la seconda 21 mesi dopo), sono state fornite proposte per 19 dei 20 protocolli sull’allattamento (o a esso correlati), offerto in modo facilitato l’accesso a FAD per le principali figure professionali del dipartimento materno-infantile (medici pediatri e neonatologi, specializzandi in Pediatria, infermiere/i, ostetriche/i e ginecologhe/gi) e sono stati organizzati 3 incontri di informazione/formazione (1 in videoconferenza e 2 in presenza a Bologna) per lo staff e i referenti aziendali dei Punti Nascita aderenti al Progetto PAA. La gestione del Progetto con i 104 Punti Nascita è stata condotta esclusivamente per email o telefonicamente, rinunciando a site visit. Si è confidato infatti sulla qualità dei dati forniti dai colleghi, verificandoli sistematicamente con i referenti locali del progetto.
Dai risultati della seconda survey (febbraio 2025), 2 dei 104 Punti Nascita risultavano chiusi mentre altri 5 non avevano trasmesso i dati richiesti, uscendo quindi di fatto dallo studio di valutazione dell’intervento. Questo studio (pre/post) prevedeva il confronto degli indicatori di processo (istituzione di un Gruppo di Lavoro aziendale, disponibilità di una policy aziendale completata, pelle a pelle in sala parto, rooming-in, copertura formativa del personale) e degli indicatori di esito (tassi di allattamento).
A maggio 2025 sono stati diffusi i risultati del Progetto PAA riguardanti i 97 Punti Nascita che hanno partecipato sia alla survey 1, che alla survey 2 (https://www.sin-neonatologia.it/ wp-content/uploads/2025/05/R3-2025_PAA_-Red.pdf ).
Di questi 97 Punti Nascita 74 sono situati al Nord, 12 del Centro e 11 del Sud. Sette ospedali erano già accreditati BFH, 23 sono ospedali universitari, 37 sono dotati di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN). Più della metà dei 97 Punti Nascita fa meno di 1000 nati/anno; 77 su 97 hanno un tasso di TC <30%.
Nella Tabella 1 sono indicati alcuni dei principali risultati dello studio di intervento.
Tabella 1. Progetto PAA: efficacia dello studio pre/postintervento condotto in 97 Punti Nascita
Indicatore° Prima (nov. 2023) Dopo (feb. 2025)
Percentuale di Punti Nascita con PAA completata
Neonati sani a termine con SSC dopo parto vaginale
Rooming-in estensivo (20/24 h) nei nati sani, a termine, con PN >2,5 kg
Formazione (mediante corsi in presenza o FAD strutturate) dei professionisti d’area maternoinfantile ospedaliera
Allattamento esclusivo nei neonati sani, a termine, di peso appropriato
43% 92%
77%# 90%#
L’efficacia del Progetto PAA è testimoniata, in particolare, dall’aumento del tasso di allattamento esclusivo, in un lasso di tempo relativamente breve.
Un tasso di allattamento del 71%, pur aumentato nel passaggio dal 2023 al 2025, è però subottimale, perché si riferisce a neonati sani, a termine in cui il successo dell’allattamento non dovrebbe implicare particolari sfide. Il dato in termini assoluti risulta ancor meno soddisfacente in considerazione del fatto che l’adesione al Progetto PAA è volontaria e che i 97 Punti Nascita del campione di studio (circa 1/4 di tutte le Maternità italiane) risultano verosimilmente selezionati, per grado di motivazione, a promuovere l’allattamento. Possiamo quindi ritenere che il tasso di allattamento in dimissione, se riferito alla totalità delle Maternità italiane, possa risultare in realtà ancora inferiore. Si conferma infine il dato, già noto da altre precedenti indagini, del ridotto tasso di allattamento nel Sud Italia rispetto al resto del Paese.
Continuità ospedale-territorio
Il Progetto PAA, come del resto la BFHI, ha come focus l’ospedale, punto critico per l’avvio dell’allattamento. Le strutture sanitarie territoriali ed i professionisti che vi lavorano hanno comunque un ruolo importante per il successo dell’allattamento, che richiede attitudine positiva, competenze specifiche e continuità assistenziale nel Percorso Nascita.
Critiche al Progetto PAA
Al Progetto PAA sono state avanzate alcune critiche di carattere generale, che meritano d’essere riportate e brevemente commentate per punti:
60%^ 77%^
69% § 71% §
Nord: 71%
Centro: 74%
Sud: 59%
° Tutte le differenze elencate (fra 2023 e 2025) sono risultate statisticamente significative.
# Campione compreso fra 5.900 e 7.000 neonati.
^ Campione di circa 9.000 professionisti.
§ Campione di circa 34.000 nati nell’arco di 4 mesi di monitoraggio e corrispondente a circa l’8% dei nati in un anno in Italia.
Il Progetto PAA apparirebbe antagonista della BFHI. In verità l’obiettivo è lo stesso (la promozione dell’allattamento nelle Maternità), per cui andrebbero valorizzati piuttosto i punti in comune fra BFH e PAA e promosse le sinergie. La pragmaticità del Progetto PAA andrebbe apprezzata, in quanto lo standard proposto dal BFH risulta per molte Maternità difficilmente raggiungibile. Promuovere in maniera organizzata l’allattamento negli ospedali non può del resto essere inteso come oggetto di monopolio. Le società scientifiche e le federazioni professionali hanno infatti pieno titolo e competenze per occuparsene e hanno inoltre una posizione istituzionale e una conoscenza del funzionamento delle Maternità, che consente una miglior interazione e un’intesa maggiormente empatica con gli operatori sanitari ospedalieri. Si ricordi, come esempio, la pronta e autorevole presa di posizione da parte delle società scientifiche in difesa dell’allattamento all’esordio della pandemia da Covid-19 [1] e quella a sostegno del regime di rooming-in in occasione del caso di collasso postnatale in un ospedale romano ad inizio 2023 (https://www.sin-neonatologia.it/comunicato-stampa-sin-sip-sigo-aogoi/). Il Progetto PAA è permissivo sul Codice. Può essere vista come un’imperfezione, non come una colpa. Non essendoci al momento una soluzione politica che fornisca adeguate risorse per la formazione in service del personale sanitario, il Progetto PAA accetta la collaborazione con l’industria di prodotti per l’infanzia, ma, si badi bene, non incoraggia comportamenti che siano lesivi della salute infantile o della dignità professionale. In assenza di obblighi legislativi o di prese di posizione dell’Azienda sanitaria di appartenenza, ogni singolo professionista deve quindi gestire il dilemma del Codice a livello personale. Il Progetto PAA intende evitare che l’irrisolto problema del rispetto del Codice continui a essere motivo e forse alibi per un mancato impegno da parte degli operatori sanitari.
Va però riconosciuto che il Progetto PAA richiede comunque di non prescrivere in maniera immotivata latte artificiale ai neonati dimessi in allattamento al seno e vieti la presenza di spazi prestampati nelle lettere di dimissione per la prescrizione di una formula lattea.
Il Progetto PAA non prevede negli ospedali una valutazione esterna sui traguardi conseguiti nella promozione dell’allattamento. Anche se la valutazione esterna risulta più accurata di un’eventuale autovalutazione [3], questa seconda scelta è stata effettuata per rendere fattibile e sostenibile il progetto. Il Progetto PAA ha inteso smuovere, magari di poco, molti Punti Nascita nella direzione della promozione dell’allattamento, piuttosto che voler raggiungere un gold standard solo in pochi. Nulla vieta che, nei modi opportuni, un ospedale del Progetto PAA si impegni a diventare BFH in un secondo tempo. I 7 ospedali BFH che hanno aderito al Progetto PAA hanno ben compreso che i 2 percorsi (Progetto PAA e BFHI) sono compatibili, apprezzando in particolare il lavoro fatto dal Progetto PAA di produrre FAD e protocolli relativi all’allattamento in un clima di collaborazione inter-aziendale e interprofessionale.
Conclusioni
Il Progetto PAA è riuscito ad attivare/riattivare la promozione dell’allattamento in un centinaio di ospedali, ottenendo dei risultati rispettabili, che incoraggiano a procedere lungo questo percorso.
I Punti Nascita del Progetto PAA devono continuare ad impegnarsi per migliorare i tassi di allattamento alla dimissione ospedaliera.
Bibliografia
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3. Araújo RG, Fonseca VM, de Oliveira MIC, Ramos EG. External evaluation and self-monitoring of the Baby-friendly Hospital Initiative’s maternity hospitals in Brazil. Int Breastfeed J. 2019 Jan 5:14:1.
riccardo.davanzo@gmail.com
Programma
Impariamo la lettura critica: a scuola di journal club
18 SETTEMBRE 2025 (10.00-19.00)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
10.00 - 10.30 Presentazione corso (introduzione della lettura critica) e partecipanti
10.30 - 11.45 Lavori di gruppo: riassunto e commento dell’articolo
11.45 - 12.00 Pausa caffè
12.00 - 13.30 Presentazione del lavoro di gruppo e discussione
13.30 - 14.30 Pranzo
14.30 - 15.15 Condivisione e correzione delle schede
E ora la pratica…
15.15 - 15.30 Le caratteristiche del JC
15.30 - 16.00 Pianificazione del JC
16.00 - 16.15 La leadership
16.15 - 16.45 Apprendimento per competenze
16.45 - 17.00 Pausa caffè
17.00 - 17.45 La newsletter pediatrica: com’era, com’è e come può diventare
17.45 - 18.45 Valutazione in un JC: cosa valutare, le prove di efficacia, il cambiamento nella pratica professionale
18.45 - 19.00 Saluti e presentazione di webinar
:: Razionale
Il corso “Impariamo la lettura critica: a scuola di journal club” ha come finalità quello di fornire le basi per imparare a valutare con metodo sistematico qualunque produzione scientifica, per arrivare a impostare correttamente un journal club. Il corso costituisce la prima parte di una formazione più ampia, che prevederà degli appuntamenti nei mesi successivi, svolti come incontri online. Per chi sarà interessato, verrà poi data la possibilità di partecipare alla Newsletter pediatrica di ACP.
:: Quote di iscrizione e info
L’iscrizione è gratuita e dovrà pervenire entro il 30 giugno 2025 [ Apri ] Modulo iscrizione
:: Destinatari Tutti, max 20 partecipanti (In ordine di iscrizione)
:: Docenti del corso
Antonio Clavenna, Responsabile, Laboratorio di Epidemiologia dell’Età Evolutiva. Dipartimento di Epidemiologia Medica
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
Villaggio Marzotto - Viale Oriente, 44 a Jesolo Lido (VE) https://villaggiomarzotto.it/ Inquadra il QRCODE (o fai click) per sapere come raggiungere il villaggio.
E se dalla crisi climatica emergesse una generazione che si prende cura?
Una faccenda per professionisti dello sviluppo
Beatrice De Censi1 , Sarah Nazzari1 , Livio Provenzi1,2
1 Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, Università di Pavia
Negli ultimi anni il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico sono diventati temi centrali nelle discussioni sulla salute pubblica, con riperscussioni che si estendono ben oltre gli ecosistemi e l’ambiente naturale. L’inquinamento e la crisi climatica non solo compromettono la salute fisica, ma sembrano influenzare anche il benessere psicologico, specialmente nelle fasce più vulnerabili della popolazione, come bambini e donne in gravidanza (Pardon et al., 2024; Olson et al., 2020). Per questo motivo psicologi, pediatri e in generale gli operatori nel materno-infantile possono svolgere un ruolo fondamentale nel comprendere e affrontare queste nuove sfide, indagando come le condizioni ambientali influenzino la salute mentale dei genitori e lo sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini. Promuovere un’integrazione virtuosa tra scienze ambientali, neuroscienze e psicobiologia dello sviluppo e professioni di cura perinatale in generale è essenziale per definire interventi mirati e politiche di prevenzione sostenibili.
L’ambiente e il parentoma: un sistema di interazioni L’ambiente di crescita è in grado di influire sulla biologia e lo sviluppo infantile attraverso meccanismi epigenetici, ovvero modificazioni nell’espressione dei geni in risposta a fattori ambientali (Kolb et al., 2017). L’epigenetica, però, non è un processo rigidamente deterministico: l’interpretazione soggettiva delle esperienze e il significato che vi attribuiamo, il cosiddetto “meaning making”, può modulare l’impatto delle avversità ambientali sullo sviluppo infantile. Infatti, l’ambiente in cui i bambini crescono non è soltanto quello fisico, fatto di aria, acqua e territorio, ma anche l’insieme delle relazioni umane che li circondano. Ispirandoci al crescente interesse scientifico per le “omiche” che inquadrano il nostro rapporto con l’ambiente (genomica, epigenomica, connettomica), possiamo definire “parentoma” quell’ambiente prossimo al bambino costituito dai gesti, dai pensieri, dalle regolazioni fini e a volte invisibili dei genitori. Da questo punto di vista, il parentoma è tutto ciò che tramite i genitori funziona da filtro e traduttore tra il bambino e il modo esterno (Tronick, 2017). Tale processo è interattivo e bidirezionale: è un gioco di scambi tra il genitore e il bambino, che porta alla costruzione di significati in una narrazione condivisa. In questo contesto, i genitori fungono da mediatori tra il bambino e il mondo esterno, trasmettendo non solo la loro interpretazione della realtà, ma anche le proprie esperienze di stress e difficoltà ambientali. Ciò
significa che, se da un lato modulano l’esposizione del bambino alle avversità, dall’altro ne sono essi stessi influenzati e vulnerabili. In particolare, in situazioni critiche come la crisi climatica, un ambiente familiare disponibile a co-costruire significati all’esperienza del bambino può fungere da fattore protettivo, mitigando le conseguenze negative dello stress ambientale sullo sviluppo infantile.
Ambiente a rischio e impatto sul parentoma: come gestire l’ansia climatica?
In ambienti caratterizzati da elevati livelli di inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici, il sistema relazionale familiare – il parentoma – subisce ulteriori pressioni che possono influenzare negativamente direttamente il benessere e lo sviluppo dei bambini. È stato dimostrato, per esempio, come esposizione prenatale a livelli elevati di inquinamento atmosferico, in particolare di particolato fine (PM 2,5), e stress materno durante la gravidanza influenzino i livelli di metilazione del gene SLC6A4 (Nazzari et al., 2023). Questo gene è cruciale per la regolazione della serotonina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo fondamentale nel controllo dell’umore e nella gestione dello stress. Le modificazioni epigenetiche che si instaurano in risposta a questi stress ambientali possono alterare le traiettorie di sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale del neonato. Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini esposti a livelli elevati di inquinamento atmosferico durante la gravidanza siano a maggior rischio di ridotte prestazioni cognitive (Holm et al., 2023; Christensen et al., 2022). Questo si traduce in difficoltà di attenzione, problemi nella memoria di lavoro e, di conseguenza, in un rendimento scolastico inferiore (Davis et al., 2019; Ni et al., 2022). Le alterazioni che si verificano, in parte mediate dalle modificazioni epigenetiche, evidenziano come l’ambiente fisico possa incidere profondamente sui processi di apprendimento e sulle capacità di gestione delle emozioni (Martin et al., 2021; Burke et al. 2018).
Un ulteriore aspetto rilevante riguarda il modo in cui i bambini costruiscono significati sul tema del clima e possono talvolta sviluppare preoccupazioni stabili sotto forma di ansia rispetto alla crisi climatica. Secondo lo studio di Provenzi e colleghi (2024), la consapevolezza riguardo al cambiamento climatico tra i bambini italiani delle scuole elementari è estremamente elevata: ben il 93% dei bambini ha dichiarato di aver sentito parlare del clima, e il 63% lo ha ritenuto un tema di grande rilevanza. Questi dati indicano che i messaggi ambientali sono ampiamente diffusi e fortemente percepiti anche dalle fasce più giovani. I bambini, tuttavia, non si limitano ad assorbire passivamente tali informazioni, ma interpretano attivamente e attribuiscono un significato alle narrazioni che li circondano. In particolare, il 40% dei bambini ha riportato di sentirsi profondamente coinvolto nelle sfide climatiche, un sentimento che può accompagnarsi anche a manifestazioni fisiche ed emotive. Per esempio, lo stesso studio ha evidenziato che una percentuale significativa, il 39% dei bambini, ha sperimentato difficoltà nel dormire o incubi legati alle preoccupazioni sul clima. Questi dati indicano come la narrazione ambientale, veicolata dai media e dalle conversazioni adulte, possa influenzare profondamente la sfera emotiva e cognitiva dei più piccoli.
La costruzione di significati sul clima riveste un ruolo cruciale nel determinare il modo in cui i bambini si relazionano con l’ambiente che li circonda e con le sfide globali come il cambiamento climatico. Le narrazioni che ricevono dai genitori, dagli insegnanti e dai media possono, infatti, alimentare un senso di impotenza e ansia, o, al contrario, favorire la resilienza, a seconda della modalità con cui vengono presentate (Baker et al., 2021; Léger-Goodes et al., 2023; Malboeuf-Hurtubise et al., 2024). Per esempio, racconti centrati su scenari
catastrofici inevitabili, senza offrire strumenti di comprensione o azione, tendono ad aumentare l’eco-ansia e la percezione di minaccia nei bambini e negli adolescenti (Hickman et al., 2021). Al contrario, una comunicazione che riconosce le difficoltà ma valorizza le azioni collettive, il senso di agency e l’impegno per un cambiamento possibile può sostenere un atteggiamento proattivo e resiliente (Ojala, 2012; Ojala, 2021). Un ambiente, in particolare quello costituito dai genitori e dagli operatori materno-infantili, in grado di offrire una narrazione costruttiva alle avversità, accompagnata da sostegno emotivo e strategie di coping efficaci, può contribuire a mitigare alcuni degli effetti negativi dell’inquinamento e dello stress sulla salute mentale e sullo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini. Questi strumenti, quando integrati in un contesto familiare e educativo che promuove l’empatia e l’azione civile, possono trasformare la percezione del cambiamento climatico da una minaccia inevitabile a una sfida concreta da affrontare insieme, in cui ciascuno, fin dalla giovane età, può avere un ruolo attivo. Promuovere un ambiente prossimo – il parentoma, appunto – che renda accessibile la riflessione, ma anche l’azione concreta, può equipaggiare i bambini con una maggiore consapevolezza e motivazione per il futuro, sviluppando competenze che li aiuteranno ad affrontare non solo il cambiamento climatico, ma anche le future sfide della vita.
Interventi e strategie per occuparci del benessere ai tempi della crisi climatica
Alla luce di tali evidenze, è importante capire come affrontare gli effetti degli stress ambientali che ci preoccupano sullo sviluppo umano, a partire dal periodo prenatale fino all’età adulta. Come precedentemente menzionato, la combinazione tra esposizione in gravidanza a inquinamento atmosferico e stress materno può alterare i pattern di metilazione di alcuni geni coinvolti nella regolazione dello stress del neonato, con possibili effetti a lungo termine per lo sviluppo emotivo e comportamentale (Nazzari et al., 2023). Sono necessari, dunque, interventi mirati a supportare il benessere psicologico delle donne sin dalla gravidanza, attraverso consulenze psicologiche, corsi di preparazione al parto focalizzati sulla gestione dello stress e strategie di coping. Questi potrebbero promuovere una regolazione emotiva più efficace sin dai primi momenti di vita. Allo stesso modo è importante promuovere un regolare contatto con ambienti naturali. Anche la semplice vista di spazi verdi, infatti, si è rivelata in grado di ridurre i sintomi di stress, ansia e depressione negli adulti (Mariani Wigley et al., 2025). In particolare si ipotizza che l’esposizione alla natura agisca come fattore protettivo nei confronti di fonti di stress urbano, migliorando il benessere psicologico attraverso la riduzione dell’attivazione dei sistemi biologici di risposta allo stress e la promozione di una maggiore connessione con il mondo naturale (Mariani Wigley et al., 2025). L’esposizione agli spazi verdi ha un rilevante impatto anche sullo sviluppo cognitivo dei bambini. È stato dimostrato, infatti, che i bambini maggiormente a contatto con la natura negli spazi urbani che circondano casa e scuola, tendono ad avere una memoria di lavoro più efficace e riescono più facilmente a rimanere concentrati. (Dadvand et al., 2015). Questo è dovuto al fatto che stare all’aperto in ambienti naturali riduce fisiologicamente lo stress psicologico e promuove lo stato di attenzione. Imparare all’aperto, infatti, risulta più facile per i bambini, che sono sia in uno stato fisiologico che promuove l’attenzione, sia esposti a meno rumore (Goldenberg et al., 2024). Programmi educativi che includano attività all’aperto e spazi verdi nelle scuole, abbinati a percorsi di educazione emotiva e ambientale per i genitori, potrebbero non solo ridurre il carico di stress ma anche rafforzare la resilienza dei bambini di fronte a un ambiente in continua trasformazione. Queste strategie potrebbero fornire una solida base per politiche pubbli-
che volte a garantire un ambiente di crescita sano e sostenibile, promuovendo un futuro in cui la salute mentale e quella ambientale siano strettamente interconnesse.
Questa complessa interazione tra fattori ambientali e dinamiche relazionali sottolinea l’importanza di interventi integrati. Da un lato, politiche ambientali mirate a ridurre i livelli di inquinamento e a garantire spazi verdi nelle aree urbane sono fondamentali; dall’altro, programmi di supporto e formazione rivolti a genitori e operatori materno-infantili sono indispensabili per rafforzare la resilienza delle famiglie. Tuttavia, a oggi, le esperienze di programmi strutturati e specificamente orientati a sostenere genitori e operatori materno-infantili nel contesto del cambiamento climatico risultano ancora limitate, soprattutto nei Paesi ad alto reddito. Alcune iniziative internazionali, come quelle promosse dall’UNICEF – (Mental Health and Psychosocial Support in Emergencies | UNICEF, n.d.) o dall’OMS (Mental Health and Climate Change, n.d.), includono componenti di supporto psicosociale per caregiver in situazioni di emergenza climatica, ma si tratta di interventi ancora frammentari e spesso legati a contesti di crisi estrema. In alcune regioni particolarmente esposte agli effetti del cambiamento climatico, come le Filippine (in seguito al tifone Haiyan), (Philippines Subnational Consultation on Valuing and Investing in Unpaid Care and Domestic Work, n.d.) o il Mozambico (con il Programma di Resilienza Climatica, (“Mozambique Climate Resilience Program,” n.d.) – si stanno sperimentando approcci comunitari che uniscono la promozione della salute mentale infantile alla formazione dei caregiver su strategie di adattamento e gestione dello stress ambientale. Nonostante queste esperienze, manca una sistematizzazione di buone pratiche e una loro integrazione stabile nei servizi educativi e sanitari rivolti alla prima infanzia. Segnalare questa lacuna è cruciale per orientare future politiche di prevenzione perché solo attraverso un approccio sinergico promuoviamo uno sviluppo sano e armonico nei bambini anche in contesti a rischio.
Verso un’etica della cura nel contesto della crisi climatica
Il contesto ambientale, sia in termini di inquinamento e crisi climatica, sia nell’ambito relazionale rappresentato dal parentoma, gioca un ruolo determinante nello sviluppo dei bambini. In questo sistema, genitori e operatori materno-infantili non si limitano a trasmettere informazioni, ma agiscono come co-costruttori di significati, influenzando profondamente la consapevolezza ambientale dei bambini e il loro benessere emotivo e cognitivo. In quest’ottica, in un’epoca di crisi climatica diventa fondamentale supportare la genitorialità, non tanto potenziandone capacità o skills; piuttosto prendendosi cura della genitorialità come un luogo – il parentoma, appunto – come un giardino, il giardino dove lo sviluppo accade e dove i bambini costruiscono significati. Non si tratta soltanto di adottare misure educative finalizzate alla correzione dei comportamenti, ma di promuovere una generale cultura della cura che si configuri come un’etica dello sviluppo. Citando Bowlby, “se diamo valore ai nostri bambini, dobbiamo avere cura dei loro genitori” (Bowlby, 1988). Questa riflessione ci invita a considerare che il benessere infantile è strettamente legato alla qualità delle relazioni e del contesto ambientale in cui il bambino cresce. È importante, dunque, dare un senso condiviso alle sfide ambientali, e trasmettere il concetto di cura verso l’ambiente come equivalente alla cura verso gli altri, poiché tutti facciamo parte dello stesso sistema. Favorendo tale senso di interconnessione, possiamo rafforzare la resilienza dei bambini nei confronti dei cambiamenti climatici, garantendo un futuro in cui la salute mentale e lo sviluppo possano prosperare, nonostante le difficoltà imposte dall’ambiente. Abbiamo quindi un’occasione unica nella crisi: la pos-
sibilità di lavorare insieme per costruire un’etica della cura che possa caratterizzare e guidare la costruzione di significati e i valori che guideranno lungo uno sviluppo armonioso e sostenibile i bambini e adulti del futuro.
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beatrice.decensi01@universitadipavia.it
Rubrica a cura del gruppo ACP Emilia, caso presentato da Ilaria Mariotti, pediatra di famiglia a Serramazzoni
Navigare la complessità del ruolo dei media digitali nelle vite di bambini e adolescenti
Una prospettiva psico-sociale
Marina Everri, Mattia Messena School of Medicine, University College Dublin, Irlanda
Francesco ha 12 anni e frequenta la seconda media, è un ragazzino tranquillo che conosco da quando è piccolo. È figlio unico e abita insieme ai genitori in una piccola cittadina dell’Appennino dove lavoro. Nella prima infanzia ha sofferto di bronchiti asmatiche ricorrenti con alcuni ricoveri ospedalieri e necessità di terapia inalatoria con broncodilatatori e corticosteroidi. Con la crescita il problema respiratorio è progressivamente migliorato e Francesco non ha più necessitato di terapia cronica. Durante l’ultima visita, avvenuta nell’estate tra la quinta elementare e l’inizio della prima media, Francesco mi racconta di essere contento di iniziare la scuola media anche perché finalmente riceverà lo smartphone in regalo, visto che dovrà andare a scuola in autobus da solo. Discutiamo assieme alla famiglia su luci e ombre di questo importante strumento di comunicazione. Non ho più contatti con questa famiglia, anche a causa della pandemia Covid. A novembre dell’anno successivo vengo contattata telefonicamente dalla mamma di Francesco che mi chiede una visita urgente per i frequenti mal di pancia del figlio che gli impediscono talvolta di andare a scuola. Quando Francesco entra in ambulatorio vengo immediatamente colpita dal suo profondo cambiamento fisico ma ciò che mi colpisce di più è lo sguardo: stanco, triste e a tratti assente. Mi racconta che non riesce più ad andare a scuola perché ha dei fortissimi dolori addominali soprattutto al mattino al risveglio e quando si sforza di andare a scuola spesso deve chiamare a casa per farsi venire a prendere. Inizio a fare le solite domande anamnestiche sul dolore addominale ricorrente; lo visito trovando un addome trattabile ed eseguo uno stick urine (per calmare le mie ansie da internista!) che risulta nella norma. Mentre la segretaria prepara le impegnative per eseguire degli esami ematici generali, mi soffermo a fare alcune domande relative al sonno per capire se questi dolori addominali fossero in grado di risvegliare Francesco anche durante la notte. Con estrema meraviglia mia, ma soprattutto della madre, si apre uno scenario inaspettato. Francesco scoppia in lacrime e racconta disperato che da quasi un mese non riesce più a dormire la notte perché è costretto a collegarsi a un videogioco che ha degli alert che deve assolutamente disattivare superando delle prove e che il mal di pancia è una scusa per non andare a scuola perché è stanco e deve dormire. È il panico in ambulatorio. Per un meccanismo a me ignoto Francesco ha deciso di aprire il suo vaso di Pandora proprio quel lunedì pomeriggio, nel mio studio, mentre fuori la sala d’attesa è gremita di bambini con l’influenza: all’improvviso, dopo una semplice domanda sul sonno, sono arrivata per caso ma forse al momento giusto. Avrei voluto fermare il tempo, alzarmi in
piedi per abbracciare Francesco, avrei voluto avere le parole giuste per la mamma di Francesco; invece, mi sono ritrovata ad assistere a un litigio tra madre e figlio con una folla di persone fuori dalla porta incapaci di comprendere quello che stava accadendo dentro.
Non era il solito mal di pancia, purtroppo…
La storia di Francesco si presta molto bene a diverse riflessioni: il tema della vergogna che molti adolescenti provano quando cadono nel gaming disorder che impedisce loro di costruire un dialogo costruttivo con le figure adulte di riferimento; il tema del parental control relativo ai siti e alla posizione dei device nelle ore notturne; il tema dell’intercettazione dei segnali precoci da IAD.
Il caso di Francesco pone l’accento su un tema “caldo” nelle famiglie contemporanee e nel dibattito pubblico: il ruolo delle tecnologie digitali e, in particolare, degli smartphone nelle vite dei bambini e il loro impatto sulla loro salute psicofisica. Le innovazioni nell’ambito dei media e degli strumenti di comunicazione storicamente hanno generato contrapposizioni tra giovani generazioni, che con entusiasmo si approcciano al nuovo, e vecchie generazioni che, al contrario, demonizzano le innovazioni a partire da un presupposto di vulnerabilità e bisogno di protezione verso i più giovani. Questo accadde, per esempio, nel secondo dopoguerra per il rock’n roll e i fumetti, e sta accadendo oggi con le tecnologie digitali quali smartphone, social media e intelligenza artificiale verso i quali si nutrono timori e sospetti. Questo fenomeno è noto come moral panics [1] e si manifesta in un discorso pubblico polarizzato verso gli aspetti negativi delle tecnologie per lo sviluppo e la salute dei bambini (si veda, per esempio, un volume che sta avendo successo nel contesto anglosassone, intitolato Generation Zombie, e che si colloca nel filone di pubblicazioni che enfatizzano il versante negativo delle tecnologie e vedono i bambini come ricettori passivi – privi di agentività, in balia delle tecnologie) e in interventi governativi volti a limitare o proibire lo smartphone nelle scuole. Questa tendenza sembra tuttavia non riflettere ciò che accade nella quotidianità e quello che la ricerca ha dimostrato, ovvero:
1. anche gli adulti utilizzano social e dispositivi mobili e giocano online;
2. le tecnologie digitali, se usate in modo adeguato, offrono ai bambini opportunità di apprendimento, individuazione e socialità fondanti per la loro crescita;
3. i bambini transitano tra il mondo fisico e virtuale, offline e online, per diversi scopi, attività e funzioni, sperimentando e sviluppando competenze che vengono trasferite attraverso questi mondi.
In un recente lavoro di ricerca [2] abbiamo utilizzato l’immagine del “bambino cyborg”, metà umano e metà macchina, per mettere in luce il progressivo sfumarsi del confine tra il mondo fisico e mondo virtuale e sottolineare come oggi i bambini crescano in un mondo dove gli artefatti digitali (smartTV, console di gioco, tablet, computer, ecc.) sono parte integrante delle routine della vita quotidiana delle loro famiglie e dei loro molteplici contesti relazionali che frequentano (scuola, i pari). Vedremo più avanti come anche le funzioni della genitorialità, così come l’intervento clinico, educativo e psico-sociale, non possano più prescindere dal riconoscere la presenza e l’influenza, se non l’integrazione, dei contesti virtuali nelle vite e nei processi psicologici e relazionali dei bambini e delle loro famiglie.
“Content and Context”, etero e autoregolazione per comprendere dipendenze e uso di dispositivi digitali Il Covid-19 ha trasformato i modi di usare le tecnologie in particolare incrementando l’uso e il tempo trascorso online generando un fenomeno quasi paradossale: se, da un punto di vista educativo, fino a quel momento al bambino veniva impedito o
limitato l’utilizzo di strumenti digitali, improvvisamente e a causa del lockdown è stato obbligato a utilizzarli: per la scuola, per rimanere connesso con gli amici e con i familiari. Il tempo libero dei bambini è dovuto cambiare. Potremmo ipotizzare che Francesco e i suoi amici abbiano iniziato a interessarsi a un gioco online per potere restare connessi e divertirsi assieme, non potendosi incontrare al parco o nelle loro case o a scuola. Di per sé, coinvolgersi in giochi online non è negativo; le ricerche dimostrano che alcuni giochi stimolano concentrazione, problem solving, sviluppo del linguaggio (ad esempio, Minecraft). In questo senso, è importante prendere in considerazione il tipo di contenuto al quale il bambino ha accesso. Giochi violenti o con contenuti adulti possono generare reazioni emotive che vanno contenute, oppure esporre i minori a rischi quali l’adescamento da parte di adulti che mascherano il loro profilo e possono coinvolgere i bambini in conversazioni inappropriate, richiedere immagini/fotografie private o, addirittura, organizzare incontri di persona. Tutto questo può accadere all’oscuro dei genitori, magari quando i bambini sono da soli nella loro cameretta oppure di notte tramite l’accesso ad applicazioni sul loro smartphone. Ecco, quindi, che anche il contesto oltre al contenuto, diventa un fattore centrale per comprendere i comportamenti dei bambini, i possibili rischi e quando intervenire. Il termine contesto deve qui intendersi in senso ampio: dal luogo in cui il bambino utilizza il dispositivo, al tipo di dispositivo usato (mobile o fisso) e da chi è presente insieme al bambino quando si connette online, al tipo di relazioni che bambini e genitori hanno instaurato in termini di stili genitoriali e comunicazione familiare. Questi fattori contestuali mettono in luce la necessità di approcciare l’uso delle tecnologie da parte dei bambini, incluso il gioco online, a partire da modelli complessi, ecologici e multidimensionali. Nel nostro laboratorio di ricerca presso la University College Dublin (AdoDigitFam_Lab) portiamo avanti lavori di ricerca guidati da modelli teorici complessi, multidimensionali ed ecologici che considerano l’intersezione dei seguenti aspetti: il bambino come agente attivo del suo sviluppo (agentività); la rilevanza dei processi intersoggettivi con le molteplici figure di riferimento (e i pari) con i quali il bambino interagisce nei diversi contesti fisici e virtuali; il ruolo degli artefatti – inclusi i dispositivi digitali – che mediano la relazione bambino-adulto e bambino-bambino. Per esempio, in uno degli studi che abbiamo condotto in Italia guidato da questo approccio teorico e da metodi di ricerca etnograficaabbiamo trovato che gli adolescenti (14-15 anni) cresciuti in famiglie con chiare regole sulla collocazione degli smartphone nell’ambiente domestico (per esempio, lasciare lo smartphone in carica nella cucina prima di andare a letto) riuscivano a gestire meglio l’uso dello smartphone sviluppando strategie adeguate che permettevano loro di limitare l’interferenza dello strumento con attività quali lo studio [3,4]. Un aspetto rilevante emerso da questo studio era che le regole valevano per tutti, ovvero anche i genitori dovevano rispettarle. Questo e altri studi [5] dirigono l’attenzione sui modelli di ruolo genitoriali; ricordiamo che anche gli adulti sono utilizzatori assidui di smartphone e sono coinvolti in giochi online. I bambini osservano e imitano gli adulti significativi attorno a loro e lo smartphone è uno strumento spesso presente nelle interazioni tra adulti e bambini, talvolta senza che gli adulti ne siano totalmente consapevoli. In questo senso non bisogna dimenticare l’importanza di regolare l’accesso e l’uso delle tecnologie, prima di tutto per gli adulti stessi, e poi per i bambini. Gli studi sulla mediazione genitoriale ( parental mediation) di internet e dispositivi digitali hanno messo in luce come ci siano strategie più o meno efficaci di regolazione per mitigare gli effetti negativi sulla salute psichica, fisica ed emotiva dei bambini [6,7]. Venti anni di ricerca su questi temi ci permettono di sostenere che strategie restrittive, come proibire l’uso di smartpho-
ne, console di gioco o accesso a social network si rivelano inefficaci per proteggere i bambini dai potenziali rischi della rete. I genitori che adottano queste strategie hanno tendenzialmente meno competenze digitali, hanno un’alta percezione dei rischi posti dai media digitali e temono che i figli non abbiano competenze adeguate. La limitazione di esperienze online non consente al bambino di partecipare alla cultura dei suoi pari, esplorare, sperimentare e imparare a gestire i possibili rischi, che sono aspetti fondamentali per il processo di individuazione. Inoltre l’adulto, non coinvolgendosi in queste attività online con i bambini, viene tenuto all’oscuro di importanti aspetti della vita dei bambini, limitando quindi lo sviluppo di una comunicazione aperta che finisce per inibire i bambini nel chiedere supporto e aiuto all’adulto nel momento ne avessero bisogno [5]. Nel caso di Francesco, la pediatra ha giustamente instaurato una conversazione con il bambino e i genitori sullo smartphone parlando di “luci e ombre” dello strumento; tuttavia, sarebbe stato utile sapere se, in seguito, i genitori abbiano colto l’occasione per continuare quella conversazione con Francesco, oltre a esplorare quali strategie di mediazione genitoriale i genitori abbiano messo in atto. Per esempio, hanno parlato di quando spegnere e accendere lo smartphone e dove metterlo quando si fanno i compiti? Hanno selezionato e scaricato insieme alcuni giochi adatti alla sua età? Oppure, hanno assistito Francesco nella creazione di un profilo sui social o guardato assieme un video su YouTube? Inoltre, hanno spiegato a Francesco che cosa può succedere in rete se si accedono a certi siti, come stare in guardia da certi messaggi, e che cosa poter condividere online e che cosa non condividere? Queste domande sono esemplificative di strategie genitoriali opposte a quelle restrittive e che i ricercatori hanno definito come enabling, o di mediazione attiva, ovvero strategie che favoriscono un uso sia adeguato all’età del bambino sia protetto. In altre parole, il bambino viene accompagnato dall’adulto all’esplorazione di contenuti e funzioni dello smartphone attraverso scambi comunicativi che possono favorire la condivisione, l’ascolto e, eventualmente, offrono al bambino la possibilità di parlare di esperienze negative, trovando un contesto pronto ad accoglierlo e non a giudicarlo o punirlo. In questa prospettiva, Francesco può essere considerato come un preadolescente che vuole partecipare alla cultura dei suoi pari attraverso attività di gioco online dove può trovare amici, sperimentarsi e mettersi alla prova; tuttavia, si è trovato privo di quegli strumenti, o competenze, necessarie per gestire questo tipo di attività all’interno di un contesto familiare e relazionale che non ha saputo sostenerlo nello sviluppo delle stesse. Ne deriva che le caratteristiche disposizionali/individuali di Francesco, la possibile mancanza di regole su come gestire l’uso dello smartphone nelle routine quotidiane, insieme a forme di regolazione restrittive (che inoltre possono venire ignorate o facilmente aggirate) e probabilmente una comunicazione familiare non sufficientemente aperta, possono avere contribuito alla segretezza e al nascondimento del disagio emergente [3]. In ultima istanza, si può dire che l’utilizzo di strategie attive (enabling) di mediazione favoriscono quel processo definito come passaggio dall’etero all’autoregolazione, che permette al bambino/adolescente di sviluppare strategie per gestire autonomamente l’utilizzo dei dispositivi digitali.
Prospettive per l’intervento nell’ambito dell’uso delle tecnologie digitali da parte dei bambini
Quali sono, quindi, le sfide per il professionista, in quanto adulto (e forse anche genitore), che si confronta con questa complessità? La letteratura sul tema e i risultati dei nostri lavori di ricerca ci spingono sempre di più a riflettere sul fatto che le criticità portate dalle tecnologie siano particolarmente salienti nel dibattito contemporaneo in quanto ci obbligano ad affrontare una trasformazione “antropologica”. Per la prima volta nella storia, la generazione adulta si trova a svolgere
ruoli sociali, quali la genitorialità, in assenza di modelli normativi ai quali possono fare riferimento per l’educazione dei figli. La genitorialità, intesa come contenimento, autonomia, sostegno allo sviluppo di competenze [8], viene agita nel presente facendo riferimento a modelli genitoriali forniti dalle generazioni più anziane o esperiti all’interno della propria famiglia. La penetrazione delle tecnologie nel tessuto sociale e della vita familiare ha richiesto la creazione di nuovi modelli educativi quali, appunto, la regolazione dell’acceso a internet e dei media digitali. Questa assenza di modelli crea disorientamento, paura e iper-responsabilizzazione, aspetti che portano il genitore al proteggere il bambino, ma con modalità rigide e restrittive, quali il divieto di accesso a internet o il sequestro/ rimozione dello smartphone, in particolare nella transizione verso l’adolescenza. Questo “circolo vizioso” (mancanza di modelli normativi-paura-restrizione/punizione) non consente al bambino di fare esperienze cognitive e relazionali fondamentali per la crescita, oltre a limitare lo sviluppo di competenze digitali che possono consolidarsi solo attraverso l’uso e la frequentazione dei contesti virtuali [9]. Infine, dal punto di vista dell’intervento, a prescindere dal modello teorico di riferimento e dal tipo di pratica (clinica, sociale, educativa), riteniamo che lo studio e il lavoro con bambini e famiglie non possa più trascurare l’indagine delle pratiche agite anche nei contesti virtuali. L’anamnesi dovrebbe quindi includere domande relative a frequenza e stili di utilizzo di internet e dispositivi digitali, strategie di mediazione genitoriale e autoregolazione del bambino. Come nel caso di Francesco, i pediatri possono diventare figure di riferimento fondamentali non solo per il bambino stesso, che può trovare un adulto curioso verso le sue esperienze e pronto ad ascoltarlo, ma anche per il genitore che può essere aiutato a vedere come il
Syndromic games
18 SETTEMBRE 2025 (08.30-18.30)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
La formazione sulle malattie rare è uno degli obiettivi del Piano Nazionale Malattie Rare (PNMR). L’elevato numero delle singole malattie rare, la complessità che le caratterizza e il ridotto numero di casi, lo sviluppo esponenziale della genetica, i nuovi strumenti diagnostici e le nuove terapie richiedono uno sforzo delle Società Scientifiche per supportare la crescita professionale e le esperienze pratiche di tutte le figure professionali coinvolte nel percorso diagnostico assistenziale. Nello specifico è indispensabile favorire ed implementare il corretto orientamento dei pediatri di famiglia al sospetto di una malattia rara, all’idoneo utilizzo degli strumenti a disposizione per la diagnosi, alla adeguata comunicazione alle famiglie, alla tempestiva attivazione delle terapie, ed alla presa in carico olistica, specie nel caso di pazienti con condizioni ultra rare ad alta complessità assistenziale. La metodologia del “gioco a squadre” oltre a rendere più interattiva e coinvolgente la formazione, permette di elevare il coinvolgimento emotivo e promuovere lo spirito collaborativo, fondamentale nell’approccio alle malattie rare.
“Syndromic Games” è un progetto formativo ideato da Giuseppe Zampino.
09.20 - 08.30 INTRODUZIONE AI LAVORI Un saluto e buon lavoro (Stefania Manetti, Angelo Selicorni) ACP e Genetica clinica (Daniele De Brasi)
08.45 - 10.45 La Diagnostica in Genetica Clinica
Anamnesi: Cosa chiedere e perché attraverso i casi clinici (Luigi Memo)
Test genetici: passato e futuro (Angelo Selicorni)
Lo screening allargato per le MME (Silvia Di Michele)
10.45 - 11.00 PAUSA CAFFÈ
11.00 - 12.15 Quadri clinici
Le 20 sindromi genetiche che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Roberta Onesimo)
Le 10 malattie metaboliche da non dimenticare (Silvia Di Michele)
12.15 - 13.30 Quiz sul programma del mattino con televoto
problema non siano lo smartphone, il gioco online o il bambino stesso, ma quell’intersecarsi di fattori individuali, interpersonali e sociali che possono essere affrontati solo attraverso la collaborazione di diversi attori sociali: famiglie, scuole e professionisti della salute.
Bibliografia
1. Goode E, Ben-Yehuda N. Moral panics: Culture, politics, and social construction. Annual review of sociology. 1994;20:149-171.
2. Everri M, Heitmayer M. Cyborg Children: A Systematic Literature Review on the Experience of Children Using Extended Reality. Children (Basel). 2024 Aug 14;11(8):984.
3. Everri M. La comunicazione familiare nell’era digitale. In: Famiglie d’oggi. Quotidianità, dinamiche e processi psicosociali. Carocci, 2018:
4. Everri M. Adolescents, parents, and digital media: looking for the pattern that dis/connects. 2016. FIRST RESEARCH REPORTMSCA-IF-EF-ST 660743 - 2015/2016.
5. Livingstone S, Blum-Ross A. Researching children and childhood in the digital age. In: Research with children. Routledge, 2017.
6. Warren R. In words and deeds: Parental involvement and mediation of children’s television viewing. The Journal of Family Communication. 2001;1:211-231.
7. Beyens I, Valkenburg PM, Piotrowski JT. Developmental trajectories of parental mediation across early and middle childhood. Human Communication Research. 2019;45:226-250.
8. Fruggeri L. Famiglie d’oggi: quotidianità, dinamiche e processi psicosociali. Carocci, 2018
9. Messena M, Everri M, O’Brien V, Cooney A. Children’s Digital Skills. Safe and Positive use of Digital Technologies in Ireland and Italy/Competenze Digitali dei Bambini: Uso sicuro e positivo delle tecnologie digitali in Irlanda e Italia. CyberSafeKids, 2024.
marina.everri@ucd.ie
13.30 - 14.30 Assemblaggio delle squadre e light lunch
14.30 - 15.30 La comunicazione della diagnosi e il counselling genetico (Luigi Memo e Giuseppe Zampino)
2 filmati differenti: comunicazione di una condizione rara e il counseling Debriefing comune
15.30 - 16.30 Il percorso assistenziale Concetti base della pediatria della disabilità (Angelo Selicorni) Device respiratori: quali le nozioni che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Roberta Onesimo) Device gastro-nutrizionali: quali le nozioni che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Elisa Mazzoni)
16.30 - 18.15 Tavoli pratici Prendere confidenza con i device * (Claudia Bonetti, Elisa Mazzoni, Francesca Meroni, Roberta Onesimo) Casi assistenziali simulati (Luigi Memo, Angelo Selicorni, Giuseppe Zampino)
18.15 - 18.30 Debriefing comune e proclamazione della squadra vincitrice
€. 50,00 quota per chi segue anche il 37° Congresso nazionale ACP
La quota comprende la partecipazione ai lavori e l’attestato.
* Il costo è relativo all’iscritto al solo corso e che non prosegue la formazione con la partecipazione al congresso nazionale (19-20 settembre).
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:: Destinatari
Tutti, max 40 partecipanti (minimo 32)
:: Docenti del corso
Claudia Bonetti, Fisioterapista,SC Riabilitazione Generale e Neuromotoria ASST Lariana, Como
Daniele De Brasi, UOSD Genetica Medica, AORN Santobono Pausilipon, Napoli
Silvia Di Michele, Responsabile Sportello Malattie Rare e Metaboliche, UOC Pediatria, ASL di Pescara Luigi Memo, Professore a.c. Genetica Medica, Università di Trieste
Stefania Manetti, Presidente Associazione Culturale Pediatri (ACP) Elisa Mazzoni, Dirigente medico, Programma Bambino Cronico Complesso, Azienda USL di Bologna
Francesca Meroni, Infermiera SC di Pediatria, Centro fondazione Mariani per il Bambino fragile, ASST Lariana, Como Roberta Onesimo, Direttore UOC Pediatria Generale, Fondazione Policlinico A Gemelli IRCCS, Roma
Angelo Selicorni, Direttore SC di Pediatria, Centro fondazione Mariani per il Bambino fragile, ASST Lariana, Como
Giuseppe Zampino, Responsabile Programma Malattie Rare, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, IRCCS, Roma :: Sede Villaggio Marzotto - Viale Oriente, 44 a Jesolo Lido (VE) https://villaggiomarzotto.it/ Fai click qui per sapere come raggiungere il villaggio.
La vita a volte è strana
Storia di un cammino nel mondo dei trapianti pediatrici
Serena Ferretti
Un riquadro dello schermo della TIP (Terapia Intensiva Pediatrica) che osservo in silenzio appoggiata al bancone del reparto. Dentro, l’immagine di un adolescente vestito di sola disperazione, sopraffatto, indifeso, che stringe la mano immobile della sorella. Le chiede perdono per quel qualcosa che non doveva accadere, per una colpa che non ha, ma che inevitabilmente sente. Tante parole in poco tempo, quello necessario per l’accertamento di morte cerebrale. A me sembrano ore interminabili. A lui, probabilmente, una manciata di secondi. Lo stesso per i loro genitori. Hanno deciso di donare. Ammiro la grandezza delle loro anime in mezzo a quella tragedia che non conosce misura. La mattina successiva, il letto vuoto, in ordine. Sulla schermata del computer, accanto al nome di quella ragazza, il simbolo della sala operatoria: nella mia mente, andata senza ritorno. La vita a volte è strana.
La mia storia di odio e amore per i trapianti nasce così, in un giorno di pioggia del mio quarto anno di specializzazione in Pediatria, dalla parte degli sconfitti. Sconfitti dalla vita, dalla rabbia, dalla speranza che da medici sapevamo già in principio di non avere, ma che non ci potevamo negare, dal dover sopportare il senso di impotenza che ti morde la faccia di fronte a un ragazzo che piange e a una ragazza che non potrà più farlo. Passano due mesi, lascio il mio ospedale per una nuova esperienza. Il mio maestro dice che devo farlo. Devo andare a conoscere un posto nuovo, confrontarmi con persone che non sanno nulla di me, imparare la nefrologia pediatrica come ha fatto lui, così potremo lavorare meglio insieme. Non so se mi piacerà, ho tante perplessità, ma trattengo il respiro e vado, sperando di tornare presto “a casa”. Dopo pochi giorni, prima chiamata trapianto. È per un ragazzo che fa dialisi da anni. I suoi occhi scuri, increduli e impauriti, brillano di speranza. Gli infermieri lo abbracciano, c’è fermento in reparto. Tutti accolgono la notizia con apprensione e gioia, una strana commistione. Per me è una pugnalata. Non ho la forza di tollerare quell’entusiasmo, non ho la forza di stare là dentro. Come farò? A chi potrò dire che mi sento morire a pensare che dietro a quella chiamata c’è un bambino strappato alla vita? Come resisterò nei prossimi mesi? Riuscirò a tenermi tutto dentro? Devo andare via. Ho bisogno di prendere aria. Finisco di fare quanto necessario, esco di fretta. Non l’ho mai fatto, mi sono sempre trattenuta in ospedale prima d’ora, perché amo il mio lavoro e le persone con cui lo condivido. C’è il sole fuori, la vista è stupenda. Finita la scalinata per arrivare al parcheggio, non trattengo più le lacrime. Mi sento vuota, totalmente. Mi vorrei sfogare. Sarà un cammino lungo e difficile, non avevo calcolato tutto questo. I giorni successivi altre chiamate, vite che si fermano, vite che rinascono. Alcuni partono in quarta, altri in prima, altri vanno avanti e poi di nuovo indietro. È una danza che non conosce ritmo. In parallelo, la commozione dei genitori, felici per quei bambini per cui è tornata la luce grazie alla generosità di chi l’ha vista spegnersi di colpo. Continuo a non capire, a non trovare il senso di quel ciclo per me folle. Perché una madre o un padre per far vivere il proprio figlio deve sperare che muoia quello di qualcun altro? Dio mio, perché?! Poi, la prima guardia diurna festiva. L’estate è alle porte, le giornate si allungano, il primo sole di giugno scalda l’asfalto
davanti al cancello dell’ospedale. Arrivo, mi siedo, recepisco dalla strutturata il messaggio a cui mi sto abituando. C’è un trapianto anche oggi. È un intervento difficile, il ricevente è un bimbo piccolo, il rene molto grande. Un chirurgo giovane, che avrà qualche anno più di me, passa in reparto. È lui il ponte tra gli sconfitti e i vincitori, tra colei che penso di essere e quella che inconsapevolmente sto per diventare. Nei suoi occhi leggo la preoccupazione e il coraggio che ancora non sa di avere. Speriamo vada tutto bene... La mamma porta in braccio il bambino, prova a trasmettergli la calma, ma i suoi movimenti sono concitati. Nel vedere tutti questi volti, provo qualcosa di diverso dal solito, non so di cosa si tratti. La vita a volte è strana.
“Perché non vai in sala?”
La mia strutturata mi gela il sangue con poche, inattese parole. Mi piaceva la chirurgia quando ero all’università, ma questa storia dei trapianti mi mette in crisi. È primo pomeriggio, siamo due specializzande e alla fine, passivamente, mi lascio trasportare. Il clima in sala è teso, qualcuno lo stempera. Declampaggio. Silenzio. Riperfusione. Quel fagiolo bianco sembra ora una di quelle spugne che mia madre mi comprava per il bagnetto, che si gonfiavano una volta messe nell’acqua. Il rene diventa rosso, si ingrandisce. Dopo un po’, il giallino dell’urina nel catetere. Incredibile. È di nuovo vita. Mi sento confusa, mi sembra un miracolo.
Ciò che non riuscivo ad accettare giorno dopo giorno diventa, insieme alle urgenze, l’esperienza più straordinaria della mia specializzazione. Vivo otto mesi di umanità. Imparo a sorridere per chi riceve, senza dimenticarmi il sacrificio di chi dona. Vedo anche genitori regalare il proprio rene ai figli quando la compatibilità lo consente. Storie stupefacenti. Il chirurgo che avevo conosciuto quella mattina mi dice che, nonostante tutto, non riesce a immaginare un lavoro più bello. Finalmente comprendo il suo pensiero, non l’avrei mai detto. La vita a volte è strana.
Anno nuovo, vita nuova, si torna all’ovile. Mi travolge l’affetto di chi mi ha cresciuta durante questi anni per farmi diventare la pediatra che spero di saper essere. Porto con me tanta ricchezza, ma sono sempre la stessa, me lo dicono tutti. O forse no… Qualcosa è cambiato. Ricomincio con gioia il gioco di squadra della mia amata famiglia del pronto soccorso, accanto alla TIP. La nefrologia è ormai l’altra fetta del mio pane quotidiano, il mio maestro ne va fiero! Ora non vedo più trapianti, ma non me ne sono dimenticata. Mi specializzo, divento strutturata. E così, un freddo pomeriggio, mentre prendo consegne per una delle mie prime guardie, vengo a sapere che in TIP, dove tutto era iniziato, c’è un altro accertamento di morte. Improvvisamente, i ricordi di quella lunga strada che avevo percorso con tanta fatica si affastellano nella mia testa. Un’altra vita che vola via. Mi sento di nuovo dalla parte degli sconfitti. Ma stavolta so che non lo siamo del tutto, perché quella bambina se ne sta andando solo per metà. E domani altri bambini rinasceranno per quella stessa metà grazie a lei e all’amore di chi l’ha messa al mondo. Non avrei mai pensato di saper dare un senso alla sofferenza di queste famiglie e di trovare nella loro incondizionata generosità la certezza di una speranza che non potrà spegnersi mai. La vita a volte è strana. Strana come un miracolo. Un miracolo come un trapianto.
Farmaci agonisti del recettore del GLP-1
Quale ruolo per il trattamento dell’obesità in età pediatrica
Antonio Clavenna Laboratorio di Epidemiologia dell’Età Evolutiva Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano
L’obesità infantile è un problema crescente a livello globale, con un impatto rilevante in termini di salute fisica e mentale dei singoli e dei nuclei familiari e in termini economici e di utilizzo delle risorse sanitarie. L’obesità in età pediatrica ha infatti effetti a lungo termine, dal momento che è associata a una maggiore probabilità di obesità in età adulta e a un maggior rischio di malattia cronica, in particolare di diabete di tipo 2, di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori.
La prevenzione e il trattamento dell’obesità pediatrica assume pertanto un’importanza considerevole in ambito di salute pubblica.
Lo sviluppo dei farmaci agonisti recettoriali del Glucagon-Like Peptide-1 (GLP-1), originariamente utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2, ha rivoluzionato il trattamento farmacologico dell’obesità nell’adulto.
Il GLP-1 è un ormone appartenente alla classe delle incretine secreto dalle cellule endocrine dell’intestino tenue e crasso in risposta all’ingestione di cibo, soprattutto glucosio e grassi; agisce su recettori bersaglio per stimolare la secrezione dell’insulina dalle cellule beta del pancreas. Inoltre, il GLP-1 rallenta lo svuotamento gastrico, inibisce la produzione di acido cloridrico e riduce l’appetito promuovendo a livello del sistema nervoso centrale un senso di sazietà.
Il GLP-1 è rapidamente degradato ed eliminato e non è pertanto adatto a essere somministrato a scopo terapeutico. Alcune modifiche alla struttura del GLP-1 hanno invece consentito di ottenere analoghi dotati di una maggiore emivita plasmatica, in grado di agire come agonisti recettoriali. Semaglutide e liraglutide sono autorizzati sia dalla Food and Drug Administration che dall’European Medicines Agency (EMA) per il trattamento a lungo termine dell’obesità a partire dai 12 anni di età. In Italia attualmente sono rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale solo le specialità medicinali autorizzate per il trattamento per il diabete di tipo 2, mentre l’uso per il trattamento dell’obesità non è rimborsato. Entrambi i farmaci sono somministrati per via sottocutanea, con somministrazione giornaliera nel caso della liraglutide e settimanale per la semaglutide. Un terzo principio attivo, la tirzepatide, che oltre a essere agonista del recettore del GLP-1 agisce anche sul recettore di un altro ormone incretinico, il Gastric Inhibitory Peptide (GIP), è al momento autorizzato solo per l’uso nell’adulto.
Gli studi clinici condotti negli adolescenti hanno documentato una diminuzione media dell’indice di massa corporea (BMI) del 4,6% nel caso della liraglutide e del 16% nel caso della semaglutide. Una riduzione di almeno il 5% del BMI è stata ottenuta nel 43% dei trattati con liraglutide e del 76% degli adolescenti che avevano ricevuto semaglutide.
Gli studi su questi farmaci avevano come confronto un gruppo trattato con placebo e manca un confronto diretto tra i due principi attivi. Non è quindi possibile valutare se ci sono differenze di efficacia.
Gli effetti indesiderati osservati nella popolazione adolescente sono simili a quelli dell’adulto: quelli più frequenti sono nausea, vomito, dolori addominali. Sono inoltre stati segnalati casi di colecistite, pancreatite e miosite.
Nel mese di febbraio 2025 è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine il primo studio clinico randomizzato (SCALE-Kids) che ha confrontato l’efficacia della liraglutide versus placebo nel ridurre il BMI nella popolazione di età compresa tra 6 e 12 anni. Alla fine del periodo di trattamento di 56 settimane, la variazione media del BMI è stata –5,8% per il gruppo liraglutide (N=56) e +1,6% per il placebo (N=26), con una differenza fra i due gruppi del 7,4%. Una riduzione di almeno il 5% del BMI è stata osservata nel 46% dei trattati con liraglutide e nel 9% del gruppo placebo (Odds Ratio aggiustato: 6,4; IC95% 1,4-28,8).
L’80% dei bambini nel gruppo trattato con liraglutide ha avuto effetti indesiderati gastrointestinali, in particolare nausea e vomito e l’11% ha interrotto il trattamento a causa degli eventi avversi. Nonostante si tratti di dati promettenti, devono essere considerati con qualche cautela, per diversi motivi. Per esempio, la numerosità del campione dello studio era bassa; l’affidabilità del BMI come indicatore di obesità è oggi dibattuta e altri indicatori potrebbero essere più affidabili; la ricaduta clinica di una diminuzione del 5% (o del 10%) del BMI è ancora da documentare; mancano dati di efficacia e sicurezza a lungo termine. Quest’ultimo aspetto è tutt’altro che irrilevante, dal momento che si tratta di terapie di lunga durata e che l’interruzione spesso è associata a una ripresa del peso corporeo e alla perdita dei benefici. Necessita inoltre di essere valutata in modo approfondito l’eventuale associazione tra questi farmaci e l’aumento del rischio di ideazioni suicidarie, anche se le evidenze disponibili non sembrano documentare l’esistenza di un nesso causale. L’attenzione all’alimentazione e allo stile di vita rimangono aspetti fondamentali nella gestione dell’obesità in età pediatrica. La terapia farmacologica potrebbe fornire benefici nei casi di obesità severa che non rispondono adeguatamente alla dieta e alle modifiche dello stile di vita e ad alto rischio di obesità e malattie cardiovascolari in età adulta.
In ogni caso, la terapia farmacologica deve essere accompagnata da consigli nutrizionali specifici (per esempio evitare di saltare i pasti, calcolare in modo adeguato le porzioni, assumere cibi iperproteici). Particolare attenzione deve essere inoltre posta a evitare carenze di micro e macronutrienti, come al rischio di perdita di massa muscolare che può accompagnarsi alla diminuzione del peso corporeo.
Inoltre occorre valutare gli aspetti di tipo psico-sociale. Dal momento che i bambini e gli adolescenti con obesità sono a maggior rischio di disturbi del comportamento alimentare, è necessario valutare la presenza di questi disturbi prima della prescrizione dei farmaci e monitorare il comportamento alimentare di chi assume il farmaco.
In conclusione, sono necessari maggiori evidenze sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci agonisti del recettore del GLP-1 in età pediatrica e sulle implicazioni associate al loro utilizzo. Il trattamento farmacologico potrebbe trovare indicazione in casi particolari, in associazione a interventi di educazione alimentare e di promozione di uno stile di vita salutare.
Bibliografia
1. Stefater-Richards MA, Jhe G, Zhang YJ. GLP-1 Receptor Agonists in Pediatric and Adolescent Obesity. Pediatrics. 2025 Apr 1;155(4):e2024068119.
2. Drucker DJ. Discovery of GLP-1-Based Drugs for the Treatment of Obesity. Engl J Med. 2025 Feb 6;392(6):612-615.
3. Fox CK, Barrientos-Pérez M, Bomberg EM, et al. Liraglutide for Children 6 to <12 Years of Age with Obesity – A Randomized Trial. N Engl J Med. 2025 Feb 6;392(6):555-565.
antonio.clavenna@marionegri.it
Info
Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali
L’OMS rafforza la regolamentazione del marketing digitale dei sostituti del latte materno per proteggere la salute infantile L’OMS ha compiuto un passo significativo nella protezione della salute infantile e nella promozione dell’allattamento, approvando una risoluzione (https://apps.who. int/gb/ebwha/pdf_files/EB156/B156_(30)-en.pdf) che mira a rafforzare la regolamentazione del marketing digitale dei sostituti del latte materno. Questa decisione, adottata dall’Assemblea Mondiale della Sanità, sottolinea l’urgente necessità di contrastare le pratiche di marketing inappropriate che minano l’allattamento ottimale di neonati e bambini piccoli. La risoluzione riconosce che le tecnologie digitali, inclusi l’influencer marketing, hanno creato nuovi e potenti strumenti per la promozione dei sostituti del latte materno, dei biberon e delle tettarelle, e degli alimenti per neonati e bambini piccoli. Tali strategie di marketing, se non regolamentate efficacemente, hanno un impatto dannoso sulla salute pubblica, esponendo donne in gravidanza, genitori, operatori sanitari e assistenti a contenuti personalizzati e spesso fuorvianti.
Punti chiave della risoluzione:
• Contrasto al marketing inappropriato: la risoluzione esprime profonda preoccupazione per le strategie di marketing digitale inappropriate utilizzate dai produttori e distributori, che continuano a compromettere i progressi nell’alimentazione ottimale dei neonati e dei bambini piccoli.
• Rafforzamento delle misure regolatorie: gli stati membri sono invitati a intensificare gli sforzi per sviluppare e rafforzare robuste misure regolatorie per il marketing dei sostituti del latte materno e degli alimenti per bambini, anche negli ambienti digitali, tenendo pienamente conto delle raccomandazioni contenute nella “Guida sulle misure regolatorie volte a limitare il marketing digitale dei sostituti del latte materno”.
• Sistemi di monitoraggio: viene sottolineata l’importanza di costruire e rafforzare i sistemi e le tecnologie di monitoraggio per identificare e segnalare le pratiche di marketing inappropriate negli ambienti digitali.
• Coordinamento inter-agenzie: la risoluzione esorta gli stati membri a identificare, responsabilizzare e coordinare tutte le agenzie governative appropriate responsabili dell’attuazione e del monitoraggio del “Codice Internazionale per la Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno”.
• Salvaguardia dai conflitti di interesse: viene ribadita la necessità di tutelarsi dai conflitti di interesse nello sviluppo, nell’attuazione, nel monitoraggio e nella valutazione delle misure regolatorie.
• Supporto tecnico dell’OMS: il direttore generale dell’OMS è invitato a fornire supporto tecnico agli stati membri nell’attuazione delle raccomandazioni e nel monitoraggio della loro applicazione.
L’OMS ribadisce che proteggere, promuovere e sostenere l’allattamento è fondamentale per la salute e i diritti dei bambini e delle donne. Questa risoluzione rappresenta un passo cruciale per garantire che le informazioni sull’alimentazione dei neonati e dei bambini piccoli siano imparziali, obiettive, basate sull’evidenza e prive di conflitti di interesse. L’attuazione di queste misure richiederà la collaborazione tra i governi, la
società civile e tutte le parti interessate per garantire un ambiente digitale più sicuro e favorevole all’allattamento al seno e alla salute infantile.
“Le Equilibriste: la maternità in Italia nel 2025”, online la pubblicazione di Save the Children Italia
Ancora oggi, le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro, lo sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza dei servizi per la prima infanzia condizionano la vita e il benessere delle madri. Non sorprende se la natalità tocca il minimo storico con solo 1,18 figli per donna e che il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre.
In Italia le madri sono sempre più sole e penalizzate, e quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica sono le mamme single: poco più di 1 mamma single su 2, tra i 25 e i 34 anni, lavora.
Questi sono solo alcuni dei dati raccolti nella 10ma edizione di “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2025” (https://www.satvethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/le-equilibristela-maternita-italia-nel-2025 ) il rapporto elaborato dal Polo Ripcerche di Save the Children Italia che ogni anno traccia un bilancio sulle sfide e gli infiniti equilibrismi che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme e i dati sulla maternità.
In Italia, il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni. In questo panorama di crisi demografica, le donne sono penalizzate nel mondo del lavoro, con divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese. Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori.
Tra i contenuti principali del rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2025”, diffuso a pochi giorni dalla Festa della Mamma, si trovano le ripercussioni sul lavoro a causa dello sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale, i sistemi di sostegno alla genitorialità nel nostro Paese e la fragilità delle mamme single e di quelle che per lavorare in Italia lasciano i figli nel Paese di origine, e il divario tra le regioni più o meno mother friendly nella classifica elaborata in esclusiva dall’ISTAT.
Rapporto OCSE sul digitale nei bambini
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che raggruppa 38 Paesi ha prodotto un rapporto dal titolo “ Com’è la vita dei bambini nell’era digitale?” È innegabile che i servizi digitali oggi siano in grado di offrire enormi opportunità di apprendimento e di accesso alle informazioni ma anche di entrare in contatto con altri coetanei in qualsiasi parte del mondo. Tuttavia, presentano anche dei rischi, tra cui un uso eccessivo dei media digitali e l’esposizione a contenuti inappropriati, comportamenti dannosi e problemi di sicurezza online. Il rapporto offre una panoramica dello stato attuale della vita dei bambini nell’ambiente digitale nei Paesi OCSE, sulla base dei più recenti dati transnazionali. Esplora le sfide nel garantire che i bambini siano protetti e abilitati a utilizzare i media digitali in modo proficuo, gestendo al contempo i potenziali rischi. Il rapporto sottolinea la necessità di un approccio politico multisettoriale, che deve coinvolgere l’intera società, i fornitori di servizi digitali, gli operatori sanitari, gli educatori, i genitori. Nel mondo iperconnesso di oggi, dove il 98% dei quindicenni nei Paesi OCSE possiede uno smartphone, i bambini hanno accesso a un ventaglio di opportunità mai visto prima; tuttavia, l’esposizione
precoce e intensa all’ambiente online espone anche a rischi crescenti, che richiedono un’attenzione coordinata e basata su evidenze. (Fonte: OECD (2025), How’s Life for Children in the Digital Age?, OECD Publishing, Paris, https://doi. org/10.1787/0854b900-en
L’offerta di impianti e servizi sportivi nelle regioni italiane
Ormai è riconosciuto che lo sport oltre alla sua funzione sociale ed educativa, è elemento fondante della strategia italiana per la promozione della salute, perché dove si fa più sport c’è una salute migliore. La parola sport e il riconoscimento del suo valore educativo, formativo e di benessere psicofisico è entrata nel settembre 2023 a far parte del testo Costituzionale, con la modifica all’art. 33, che introduce il nuovo comma “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Tuttavia, sebbene l’art. 3 della Costituzione affermi che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”, le ricerche presenti dimostrano che esiste un enorme divario tra il Nord e il Sud Italia per quanto concerne la tutela di molti dei diritti fondamentali, creando così delle disuguaglianze che risultano ancora più gravi e radicate se si osservano i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, come evidenziato anche nel recente rapporto del Gruppo CRC “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia – i dati regione per regione”.
A confermare questo divario, il rapporto (https://www.uiusp.it/nazionale/files/principale/2023/RicercaUISP_2023_ STAMPA.pdf ) sull’offerta di impianti e servizi sportivi nelle Regioni italiane, una delle ultime indagini realizzate da Svimez e da Uisp Nazionale, con il sostegno di Sport e Salute SpA, aggiunge dati interessanti rispetto alle disuguaglianze sociali che attraversano l’Italia, confermando l’amara consapevolezza che i diritti dipendono in larga misura dalla regione di residenza, diventando di fatto “privilegi” di alcuni.
Dal rapporto si evince che più della metà delle strutture sportive pubbliche e private di interesse pubblico sono collocate al Centro-Nord (74%) mentre solo il 26% si trova nelle regioni del Sud, confermando la correlazione tra i livelli di sedentarietà registrati nelle diverse Regioni italiane e il numero di impianti sportivi pro-capite: infatti le regioni del Mezzogiorno registrano livelli di sedentarietà ben al di sopra della media nazionale con il 31,35% dei bambini in sovrappeso e, allo stesso tempo, riportano una percentuale inferiore per quanto riguarda la presenza di impianti.
E sempre in tema di minorenni, il rapporto conferma una cristallizzazione dell’ampio divario tra gli studenti del Nord con quelli del Mezzogiorno: in Italia, infatti, solo 4 edifici scolastici su 10 sono dotati di una palestra. Più nel dettaglio, nel Mezzogiorno sono circa 550.000 gli alunni delle scuole primarie (66% del totale), 328.000 quelli delle scuole secondarie di I grado (57% del totale) e ancora 550.000 gli allievi delle secondarie di II (57% del totale) che frequentano scuole che non sono dotate di una palestra.
È importante non dimenticare che per molte famiglie l’attività fisica dei propri figli e delle proprie figlie al di fuori dell’orario scolastico rappresenta un lusso e quindi l’attività sportiva svolta a scuola diventa per molti giovani una delle poche occasioni per praticare uno sport. Le carenze strutturali per l’apprendimento informale registrate dalle Regioni del Sud, unite a una quota più elevata di famiglie in potenziale disagio specialmente economico, negano di fatto ai bambini e alle bambine gli spazi fondamentali alla relazione e all’incontro in cui perseguire e mettere in atto stili di vita sani, contrastando da un lato la sedentarietà e dall’altro la povertà educativa ed esperienziale. Negli ultimi anni la pandemia di Covid-19 e il conflitto russo-ucraino hanno contribuito ad aggravare la situazione determinando da una parte la diminuzione del numero dei tesserati e dei partecipanti alle iniziative sportive, mentre dall’altra importanti rincari dei costi dell’energia e delle materie prime che hanno indotto a un rialzo delle tariffe proposte agli utenti mettendo a rischio la fruibilità dello sport sia per le categorie di soggetti fragili e a rischio di esclusione sociale sia per il target più giovane di bambini e ragazzi. In ultima analisi, sempre in merito al tema dell’uguaglianza e delle pari opportunità, il rapporto sull’offerta di impianti e servizi sportivi nelle Regioni italiane rivela una fotografia preoccupante nella quale un impianto sportivo su 5 (ovvero il 21%) è inaccessibile alle persone con disabilità. Questa percentuale è più alta nelle Regioni meridionali, portando la media italiana in termini di accessibilità al 27,5%. Le percentuali peggiorano ulteriormente se vengono analizzati gli spazi riservati agli spettatori dello sport: nella metà degli impianti sportivi analizzati sul territorio nazionale (ovvero il 48,74%) non è garantito l’accesso a spettatori con disabilità. Questa percentuale nel Mezzogiorno si rivela ancora più grave, affermandosi del 54% e confermando la mancanza, per alcune persone, sia del diritto a partecipare e sia di poter assistere come spettatore allo sport, elemento questo di discriminazione non tollerabile.
È necessario evitare in tutti i modi che anche lo sport diventi elemento di disuguaglianza; al contrario deve essere una spinta di contrasto degli squilibri tra Nord e Sud per garantire diritti uguali per tutti i cittadini. Il rapporto sugli impianti sportivi in Italia, con la sua fotografia attenta, mostra una possibile strada: passare da una concezione di welfare di protezione a una idea nuova di welfare di promozione, di sviluppo, di innovazione essendo lo sport, infatti, anche occasione di lavoro per gestori, operatori, organizzatori, istruttori. L’investimento sugli impianti e sui servizi sportivi deve essere parte delle politiche di sviluppo del Paese: servono certamente risorse per costruire nuovi impianti, ma anche per garantirne la gestione. È necessaria, inoltre, una assistenza tecnica per i Comuni che devono realizzare i progetti, seguendo il criterio del fabbisogno e non solo della capacità di vincere i bandi.
La pratica dello sport da parte dei minorenni, l’educazione fisica e lo sport nelle scuole, la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità anche in ambito sportivo infatti sono materie, individuate dal Comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie, riferibili a livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e perciò devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. (Fonte Gruppo CRC).
Il sottile veleno del bullismo
Rubrica a cura di Italo Spada
Comitato per la Cinematografia dei Ragazzi di Roma
Il ragazzo dai pantaloni rosa
Regia: Margherita Ferri
Con: S. Carrino. C. Pandolfi, S. Ciocca, C. Fortuna, A. Arru, P. Serpi
Italia, 2024
Durata: 114’
Meno di due minuti: è questo il tempo che, nel Ragazzo dai pantaloni rosa, primo lungometraggio di Margherita Ferri, ci viene concesso per condividere le sofferenze di una partoriente e il pianto liberatorio di un neonato, la gioia dei genitori e la tristezza di una voce fuori campo che dice: “Tutto questo accadeva 27 anni fa… Oggi avrei 27 anni”. Non sappiamo ancora quello che accadrà, ma quel condizionale dell’io narrante ci accompagna per tutta la durata del film e anticipa la fine della storia: quel bambino non c’è più. Spazio, allora, alla nostra curiosità e a ciò che ci narrerà il diretto interessato. Che cosa è successo? Quando? Dove? Perché?
Con il susseguirsi delle sequenze, sapremo che si chiama Andrea (brillantemente interpretato dal giovane Samuele Carrino), è il primogenito di Teresa e Tommaso Spezzacatena, vive a Roma, trascorre vacanze felici al mare e in campagna, è bravo a scuola, è dotato di una voce talmente bella da superare la selezione delle voci bianche del coro papale. La sua vita cambia proprio nel delicato momento dell’adolescenza, quando i suoi genitori decidono di divorziare e lui, per gioco o per cattiveria innata di alcuni coetanei, diventa bersaglio di atti di bullismo. L’amore della mamma e i successi scolastici non bastano a fargli superare la delusione per il tradimento di Christian, l’amico Giuda – “bello ma stronzo”, come lo definisce Sara, sincera e dolce compagna di scuola –, che ricambia i suoi favori e le sue attenzioni con allusioni e scherzi pesanti. Tutto precipita quando l’ingenuo Andrea, già deriso per il colore dei suoi pantaloni, cade nella trappola che gli tendono Christian e il gruppo dei bulli. Convinto di uniformarsi agli altri, prende parte al ballo di fine anno travestito da prostituta, viene aggredito in bagno e trascinato davanti a tutti. Dalla vergogna alla rabbia, dallo scoraggiamento alla crisi irreversibile quando su Facebook è preso di mira per la sua presunta omosessualità. Entra in depressione, si chiude in sé stesso, attende il compimento del suo quindicesimo compleanno e dice addio alla vita.
Dalle didascalie che si susseguono nei titoli di coda, veniamo a conoscenza di altri particolari: “20 novembre 2012. Andrea Spezzacatena si tolse la vita senza lasciare un biglietto”; “Teresa Manes ha dedicato il resto della sua vita a parlare dei pericoli del bullismo e del cyberbullismo a migliaia di studenti in tutta Italia”; “nel 2022 è stata insignita da Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere della Repubblica per la sua opera di sensibilizzazione”.
Motivi più che sufficienti per proporre la visione di questo film – che è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 e ha ottenuto pareri favorevoli dalla critica e un bel po’ di riconoscimenti – soprattutto ai ragazzi e a quanti (genitori, docenti…) hanno a cuore la loro formazione. Eppure…
Eppure, in un cinema di Roma, durante una matinée riservata alle scuole, alcuni studenti, protetti dal buio della sala, hanno espresso commenti omofobi talmente pesanti da provocare l’interruzione del film e suscitare il disappunto del Ministro dell’Istruzione; in un istituto di Treviso, un gruppo di genitori l’ha ritenuto “inadatto” alla visione dei ragazzi e ha tentato di bloccarne la proiezione.
Non ci vuole una buona dose di fantasia, soprattutto per chi ha avuto esperienza didattica, per immaginare, nel primo caso, la difesa di avvocati difensori (“Ragazzate! Non è il caso di drammatizzare! Ma cosa volete che sia un Buuu di minorenni rispetto a tutto quello che succede nel Senato e nella Camera dei Deputati! Si sa che queste cose sono sempre accadute nella scuola…”) e, nel secondo caso, la scandalosa reazione di chi non reputa adatto toccare certi argomenti che esulano dalla cultura intesa stricto sensu Non basterebbe una lectio magistralis per confutare gli uni e gli altri; ma è impossibile tacere del tutto quando si confondono capre e cavoli. Si sa, d’altronde, che, spesso con poche parole si possono dire più cose di quante non se ne dicano con un lungo sermone. E allora, prima del suono della campanella e/o dell’accensione delle luci in sala: “No, ragazzi. Ripassate la lezione di Orazio che nelle sue Satire dice: ‘C’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto’”.
E voi genitori date retta ad Antonio Gramsci che nei Quaderni del carcere precisa: “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”.
Stacco. Salto di anni e cambio di io narrante. Teresa (una splendida Claudia Pandolfi) è davanti al computer. Grazie alla password confidatale dallo stesso Andrea, ha scoperto che il suo ragazzo si è suicidato perché non ha resistito agli attacchi mediatici dei suoi coetanei; da qui la decisione di scrivere Andrea. Oltre il pantalone rosa e di dedicarlo ai suoi figli affinché “il sacrificio dell’uno valga il riscatto dell’altro”.
Libri
Occasioni per una buona lettura
Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano
Narrazione, comunicazione e counselling negli interventi di cura di Silvana Quadrino Ebookecm.it
Change, 2025, pp. 232, € 19
Molti dei lettori di Quaderni acp conoscono l’autrice di questo libro sia per averla ascoltata in più di un Congresso ACP, sia per aver partecipato a suoi corsi sull’applicazione del counseling sistemico-narrativo nella comunicazione in ambito sanitario. Io sono tra costoro e ho ritrovato nella sua lettura tutta la chiarezza di esposizione di un tema che a molti può sembrare banale e a cui Silvana Quadrino ha restituito valore, importanza, comprensibilità.
La prefazione del libro è costituita da una interessante raccolta di brani tratti dall’archivio di Giorgio Bert, uno dei precursori in Italia della medicina narrativa, intesa come “un progetto nuovo, in quanto associa alla competenza strettamente clinica l’uso di tecniche che trovano le loro radici nella letteratura, nell’antropologia, nelle scienze della comunicazione, nel counseling, nella pedagogia, nella filosofia: in quelle insomma che oggi è d’uso definire medical humanities ”.
Nella lettura dei capitoli relativi alla storia del counseling sistemico e della sua evoluzione in counselling narrativo appare evidente come la medicina narrativa non sia un’invenzione di moda, ma il risultato di un lungo cammino in cui studiosi di diverse discipline hanno contribuito a delineare le caratteristiche di questa “metodologia di intervento clinico-assistenziale”.
In merito alla medicina narrativa utile e fondamentale è la precisazione che “la medicina narrativa non è un’aggiunta al lavoro del professionista sanitario, ma uno strumento per svolgerlo meglio”. Vengono spiegati i significati e le origini di termini come “sistemico”, “equifinalità”; viene approfondita la teoria dei sistemi applicata alle relazioni umane e si comprende in tal modo la rilevanza di questa teoria nelle caratteristiche che la comunicazione deve avere all’interno della relazione medicopaziente.
Una precisazione più volte sottolineata nei corsi di Silvana Quadrino, e anche qui evidenziata, è che “le competenze comunicative non sono un optional, non sono un ibrido-medico-psicologo, non sono un galateo del rapporto medico-paziente”.
Ogni capitolo è arricchito da esempi tratti dalla pratica clinica che facilitano la comprensione degli argomenti trattati e dove ogni professionista può ritrovarsi senza sentirsi giudicato, ma anzi spesso è compreso e accompagnato a scoprire una modalità nuova e diversa per far sì che “l’ascolto non sia semplicemente un atteggiamento o un comportamento ma una modalità relazionale”. Anche questo aspetto, la comprensione e l’affiancamento al lettore, è un modo concreto per far com-
prendere quanto spiegato nel testo. Vengono forniti modelli di analisi, come il “modello del quadrato della comunicazione”, e strumenti come la “tecnica dei tre passi” per superare incomprensioni e contrapposizioni.
Non è possibile elencare qui tutti gli aspetti interessanti e funzionali all’acquisizione di una consapevolezza dell’importanza della comunicazione in ambito professionale che il libro affronta: l’invito è a leggerlo. Si tratta di un vero e proprio testo di studio utilissimo sia per chi affronta per la prima volta l’argomento sia per coloro che hanno già avuto un approccio con il counseling sistemico e la medicina narrativa.
Patrizia Elli
La casa del pane. Una storia dall’Etiopia di Paola Zannoner, illustrato da Sophie Fatus Carthusia, 2025, pp. 24, € 14
Carthusia è una storica casa editrice che pubblica libri per ragazzi. “Storiesconfinate”, una sua collana curata da Graziella Favaro che ha vinto il Premio Andersen nel 2003, è fatta di storie che raccontano il mondo attraverso fiabe della tradizione orale o vicende reali e significative. È sempre bilingue, italiano e la lingua del Paese protagonista della storia. Più di venti titoli che vedono protagonisti Paesi diversi, dalla Romania al Marocco, dal Senegal alla Cina, dall’Ucraina alla Serbia e l’elenco potrebbe continuare. I libri hanno un formato particolare, sono fatti a fisarmonica ed è possibile una duplice lettura: da un lato si sfoglia come un libro illustrato, dall’altro la storia è visualizzata attraverso un’unica grande immagine (lunga 138 centimetri) che, come un silentbook, funge da scenario attraverso il quale i bambini potranno ricreare la storia con le loro parole.
A febbraio è uscito l’ultimo volume, La casa del pane, un libro che nasce da una storia vera e racconta di una insegnante etiope che ha istituito un orfanotrofio o, meglio ancora, una sorta di casa famiglia per bambini abbandonati. In Etiopia la miseria e la fame sono fenomeni endemici e l’abbandono dei bambini è molto diffuso anche per antichi pregiudizi. Aynalem, l’insegnante protagonista della storia, vive e lavora a Hawassa, una città a duecento chilometri a sud di Addis Abeba. È una donna che ama il suo Paese e si spende in prima persona per costruire una singolare esperienza di solidarietà. Ha cominciato con un gesto impulsivo, portare a casa un bambino in condizioni pietose che viveva ai margini della città, e ha continuato. Oggi sono diverse centinaia i bambini ai quali Aynalem ha dato una casa e un futuro.
Il testo, in italiano e in inglese, è di Paola Zannoner mentre le illustrazioni sono di Sophie Fatus, due nomi che sono una garanzia nella letteratura per ragazzi.
All’interno del libro, due schede forniscono informazioni e curiosità sull’Etiopia, su Aynalem e sull’associazione che ha sostenuto il progetto (IPO, Increasing People Opportunities), un’associazione di Perugia che da anni lavora a quelle latitudini. È stato grazie alla collaborazione con IPO che ho conosciuto Aynalem e ho sempre pensato che la sua era una storia straordinaria da far conoscere.
All’interno del sito della casa editrice, www.carthusiaedizioni.it, potrete trovare le informazioni su tutti i titoli della collana e non solo.
Anna Grazia Giulianelli
Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno di Adriana Cavarero
Castelvecchi, 2023, pp. 130, € 17
Difficile resistere a un titolo così accattivante. Adriana Cavarero insegna Filosofia politica all’Università di Verona ed è Visiting Professor presso la New York University. Negli anni Ottanta del Novecento ha fondato la comunità filosofica femminile Diotima e, a partire dagli anni Novanta, ha stretto legami sempre più forti con il pensiero femminista internazionale, insegnando in diverse università negli Stati Uniti e in Inghilterra. È tra le esponenti di spicco del “pensiero della differenza sessuale” (una prospettiva teorica che consente di decostruire la testualità occidentale da un punto di vista femminista) e tra le massime studiose di Hannah Arendt (“la mia autrice preferita”), pur mantenendo un dialogo costante con la filosofia antica. L’indagine di Cavarero mette al centro l’esistenza individuale e unica dell’essere umano, in relazione al corpo e al sesso. Quindi la maternità: destino o scelta? Da questa premessa parte il saggio. Il fil rouge è la frase di Clitemnestra nell’Elettra di Sofocle: “Tremendo è il figliare”. Si tratta di un tremendo che suscita stupore e meraviglia oltre che timore e attrazione. Si tratta di qualcosa che, pur familiare come il fatto che le donne partoriscono, tuttavia è strano e inquietante. Infatti Virginia Woolf comtmenta la frase di Clitemnestra in questo modo: “C’è uno strano potere nella maternità”. Potere che riguarda “l’esperienza di un corpo singolare che viene travolto dalla forza generativa della physis, ovvero che prende parte al processo procreativo della natura e, complice della vita che si dà sempre forme singolari di vita, ne viene determinato, posseduto”. Il principio di singolarizzazione degli esseri umani. L’autrice poi segue un pensiero di Hannah Arendt: “Il corpo femminile non può, per natura, rimanere intatto; la sua legge è lo strappo dell’accoppiamento e della nascita”. Siamo nell’iperfemminismo? Certo non un incoraggiamento per uscire dal gelo demografico. La tesi di Cavarero è chiara: la sfera biologica è caratterizzata dall’ordine di necessità che contrasta con la libertà che caratterizza la sfera dell’azione umana. Come se la donna si trovasse all’incrocio tra l’essere-per-sempre della natura e l’essere-per-un-tempo-limitato dei viventi. Per sostenere la tesi dell’ipermaterno l’autrice si rifà al mito di Niobe, specchio inquietante della potenza del corpo femminile. Niobe, madre di sette robusti figli e di sette figlie, si compiace molto della sua prole, pretendendo per questo un primato dagli dei. Per la sua hybris viene punita con l’uc-
cisione di tutti i maschi da parte di Apollo e di tutte le femmine da parte di Artemide. Nella maternità come forza generativa i greci sentivano qualcosa di eccessivo, spaventoso, prossimo all’animalità, come le Baccanti di Euripide che allattano cuccioli di animali selvatici. Il femminile è legato alla fertilità e alla rigenerazione, e il prototipo è la donna che allatta. Estasi della nutrizione, bisogno di alimentare la vita che si è creata: è anche qui il senso dell’ipermaternità? In un’intervista l’autrice parla del ricatto della natalità, come se partorire fosse un dovere sociale, e riprende il concetto di Virginia Woolf dello strano potere della maternità concludendo “e rimane un potere, anche se si sceglie legittimamente di non esercitarlo”. Un potere che l’altro sesso non può esperire.
Claudio Chiamenti
I bambini si rompono facilmente di Silvia Vecchin, illustrazioni Sualzo Bompiani, 2023, pp. 80, € 14
Venti racconti per questo libro in prosa e poesia di Silvia Vecchini, edito nel 2023, dal titolo non molto incoraggiante I bambini si rompono facilmente, con una premessa per altro da tempo nota: “I bambini sono maestri”.
Le vicende, accattivanti nello stile, nella scelta delle tematiche e nella capacità di suscitare emozioni, riguardano situazioni complesse di cui i bambini sono vittime. Genitori disattenti, violenza e trasgressioni colpevolmente gravi, disabilità, disturbi del comportamento, perdita di un familiare, drammi della migrazione: sono questi i temi dei racconti.
Come un’ancora di salvataggio, in ogni situazione si evidenzia anche un “antidoto”, la resilienza dei bambini, la loro particolare reazione, che apre una speranza a ciò che è espresso nel titolo. Come narra l’autrice nella premessa, la particolare reazione dei piccoli “è l’impronta leggera dei bambini che passa accanto alla cieca distrazione degli adulti, è la traccia del loro sapersi indirizzare al bene quando non si vede, la fedeltà alla vita anche se ferisce, il credere e il capire, i loro giuramenti, il fitto colloquio con anime e animali, è un sapere breve che non torna indietro”.
Leggendo questo libro, ciascuno può rivedere alcune situazioni vissute in ambito medico e trovare le chiavi per riconoscere i meccanismi di difesa, i mezzi utilizzati dai bambini per proseguire e per far cicatrizzare le ferite.
Maria Grazia Cazzuffi
Diventare grandi con disabilità gravi
Età, luogo di cura e bisogno di assistenza: affrontiamo le transizioni insieme
Il 23 maggio si è svolto a Milano il convegno “Diventare grandi con disabilità gravi” organizzato dalla Fondazione Maddalena Grassi (FMG). La Fondazione fornisce da diversi anni cure domiciliari (C-Dom) e palliative (CP) a minori, adulti e anziani. In particolare segue a domicilio, con équipe multiprofessionali, minori affetti da disabilità gravi e gravissime.
Nella prima parte della mattinata Nora Concas e Marta Abrate, care manager delle C-Dom minori della FMG, ne hanno illustrato l’attività e le motivazioni che l’hanno indotta a scegliere la transizione come tema conduttore del convegno. Dai dati riportati è stato possibile infatti cogliere come un discreto numero di minori assistiti da diversi anni al domicilio siano ormai in età adulta e come questo aspetto abbia sollevato ed evidenziato una serie di criticità che si è voluto condividere nel corso della giornata con i diversi attori coinvolti nella transizione.
Si è così potuto prendere atto non solo che anche a livello regionale i numeri confermano un aumento della vita media di questi pazienti, ma anche che il tema è sentito a tutti i livelli: sanitario, sociale, educativo, psicologico e familiare.
Nella sessione del mattino, coordinata da Orsola Sironi, direttore sanitario di C-Dom e CP-Dom della FMG, e da Elena Morselli, responsabile dell’area disabilità della Fondazione Don Gnocchi, sono state affrontate le transizioni, termine correttamente usato al plurale da Angelo Selicorni nella lettura introduttiva, nei diversi contesti sanitari in cui queste transizioni avvengono: nelle cure primarie, in ospedale, in ambito neuropsichiatrico, nelle cure palliative, negli aspetti psicologici e nella cura delle malattie neuromuscolari. Un denominatore comune è risultato essere la delicatezza e importanza di questo passaggio a fronte di una quasi totale assenza di linee guida e di normativa che renda possibile una uniformità di presa in carico, accanto alla necessità che la transizione si configuri come un percorso in cui gli operatori sanitari che hanno seguito il minore lo accompagnino insieme
alla sua famiglia alle cure dell’adulto in momenti di condivisione dei professionisti.
Non sono mancate tuttavia esperienze in atto, per esempio, a livello ospedaliero come quella dei DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) introdotte a Milano nella ASST Santi Paolo e Carlo da Filippo Ghelma e sviluppata anche a Merate, dove Francesca Cortinovis ne è referente per l’età pediatrica e dove la transizione è un percorso affrontato insieme dai pediatri e dai medici dell’adulto, con un passaggio di consegne graduale in spazi condivisi.
Abbiamo anche potuto apprendere che si sta discutendo in merito alla possibile diffusione dei DAMA a livello nazionale. Molto interessante l’intervento della psicologa Simona Spinoglio, che ha portato tutti i presenti a riflettere su aspetti spesso dimenticati o sottovalutati dagli operatori sanitari che fanno fatica a guardare con occhi diversi un paziente che, sebbene dipendente a volte quasi totalmente dagli altri, non è più tuttavia un bambino e deve e vuole acquisire un grado di autonomia che va facilitata e riconosciuta.
Nella sessione pomeridiana si è dato spazio agli aspetti sociali, educativi e legali della transizione.
In una tavola rotonda coordinata da Maurizio Marzegalli, medico cardiologo fondatore della Fondazione, e da Patrizia Elli, pediatra collaboratrice per le cure domiciliari FMG, i rappresentanti di diverse associazioni hanno risposto a due quesiti: 1) qual è il vostro contributo alla rete? 2) cosa chiedete per lavorare meglio?
Abbiamo così conosciuto l’esistenza di associazioni di familiari di pazienti con disabilità e di volontari che offrono molti servizi diversificati in base alla propria peculiarità: tutela giuridica, assistenza nelle procedure, consulenza su amministratore di sostegno, attività rivolte non solo ai genitori ma anche ai fratelli dei pazienti con disabilità, creazione di spazi di socialità dopo la scuola dell’obbligo, sostegno psicologico e pedagogico, visite domiciliari in ottica psicosociale.
Numerose e articolate le richieste con un denominatore comune: costruire reti effettive di condivisione, integrazione, scambio di esperienze, facilità nei contatti, elaborazione di linee guida che regolino la transizione nei vari contesti.
Da parte di tutti la richiesta che la giornata segnasse l’inizio di qualcosa e che “non finisse lì” per cui FMG ha assunto l’impegno di farsi promotrice di incontri tra le varie associazioni e con le famiglie e i pazienti per meglio articolare il lavoro e le richieste da porre alla parte pubblica.
Una giornata stimolante su un tema molto sentito, come dimostrato dalla partecipazione di più di 250 iscritti, e con la prospettiva di ulteriori sviluppi.
Patrizia Elli patriel52@gmail.com
RELAZIONI CHE CURANO ogni giorno, accanto a te
ACCREDITAMENTO:
Il Convegno è accreditato ECM per tutte le professioni sanitarie Crediti ECM n. 9 , 1
Il Convegno è accreditato per la figura professionale dell'assistente sociale presso l’Ordine degli Assistenti Sociali della regione Lombardia nr. 4 crediti formativi e nr. 2 crediti di natura deontologica o di ordinamento professionale.
Si ricorda ai Partecipanti che il rilascio della certificazione dei
Crediti è subordinata alla partecipazione effettiva all'intero programma formativo ed alla verifica del questionario di apprendimento.
COMITATO SCIENTIFICO:
Marta Abrate
Paolo Arosio
Valeria Borsani
Nora Concas
Francesca Contri
Filippo Cristoferi
Patrizia Elli
Roberto Marinello
Maurizio Marzegalli
Mario Renato Rossi
Orsola Sironi
FORMAZIONE MEDICO-SCIENTIFICA anno 2 0 2 5
venerdì
2 3
MAGGIO
CENTRO CONGRESSI FONDAZIONE CARIPLO Via Romagnosi, 8 Milano (MM 3 Montenapoleone )
dalle ore 8 : 3 0 alle ore 1 7 : 0 0
DIVENTARE GRANDI CON DISABILITÀ GRAVI
Et à, luogo di cura e bisogno di assistenza: affrontiamo le transizioni, insieme
ISCRIZIONE:
È richiesta l ’iscrizione obbligatoria con iscrizione online entro il 20/05/2025
L’iscrizione include: partecipazione ai lavori, attestato di partecipazione, attestato ECM/Assistenti Sociali con assegnazione crediti formativi (per gli aventi diritto) e coffee break.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE:
Partecipazione gratuita con obbligo di iscrizione online.
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Per iscrizioni:
37° CONGRESSO NAZIONALE
19-20 SETTEMBRE 2025, VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
“ACP
NEXT GENERATIONS: C’E’ ANCORA DOMANI”
VENERDÌ 19 SETTEMBRE
09.00 - 09.30 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI E SALUTI
09.30 - 09.40 SALUTI DEL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE PER LA RICERCA FIBROSI CISTICA MATTEO MARZOTTO
09.40 - 10.00 LA COLLABORAZIONE SIP - ACP Rino Agostiani
10.00 - 10.30 LETTURA MAGISTRALE: “CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE: LA CONTINUITÀ DELLE CURE DA NOI E IN EUROPA”
Franca Benini
“LARGO AI GIOVANI: LE COMUNICAZIONI ORALI DEGLI SPECIALIZZANDI”
MODERANO: LUIGI GRECO, ANGELO PIETROBELLI
10.30 - 11.05 Dall’Università
Claudia Mandato e specializzande/i
11.05 - 11.40 Dall’Ospedale Martina Fornaro e specializzande/i
11.40 - 12.15 Dal Territorio
Laura Reali e specializzande/i
“AMBIENTE E SALUTE: GLI AMBULATORI VERDI” MODERANO: GIACOMO TOFFOL, VINCENZA BRISCIOLI
12.15 - 12.45 Ambulatori Verdi: Si può fare! Ilaria Mariotti, Rita Stracquadaino
12.45 - 13.15 Come i farmaci fanno male all’ambiente Mara Tommasi
13.15 - 14.15 PRANZO
“AGGIORNAMENTO AVANZATO” MODERANO: ENRICO VALLETTA, MARIA FRANCESCA SIRACUSANO
14.15 - 14.45 Ecografia polmonare nell’ambulatorio del pediatra di famiglia Gianluca Iovine
14.45 - 15.15 Una bella sfida per il pediatra: real world evidence o EBM?
- Non socio: €. 350 (con iscrizione ACP in omaggio)
L’ospitalità sarà in modalità pensione completa. La quota di iscrizione e/o la prenotazione della pensione completa non saranno più rimborsabili dopo il 1° settembre.
:: SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Michele Gangemi - responsabile formazione ACP
Gianni Piras - segretario nazionale
segreteria@acp.it
:: SEGRETERIA SCIENTIFICA
Presidente e Direttivo nazionale ACP
:: PROVIDER ECM
Italian Made Health Services
:: SEDE
Villaggio Marzotto
Viale Oriente, 44 - Jesolo Lido (VE)
Sito web: https://villaggiomarzotto.it/
SABATO 20 SETTEMBRE
“SESSIONE: “I PRIMI MILLE GIORNI”
MODERANO: GIORGIO TAMBURLINI, SILVIA ZANINI
09.00 - 09.30 L’evoluzione dei primi mille giorni Livio Provenzi
09.30 - 09.50 Nati per la Musica compie 20 anni Stefano Gorini
09.50 - 10.15 Coorte Nascita: dopo i primi 3 anni la crescita assume altre dimensioni Antonio Clavenna
“SALUTE MENTALE”
MODERANO: FEDERICA ZANETTO, FRANCO MAZZINI
10.15 - 10.50 Uso dei media digitali: traiettorie evolutive e psicopatologia Stefania Millepiedi
10.50 - 11.15 “Insieme per la crescita”. Un progetto pilota di collaborazione tra pediatra e psicologo Antonella Lavagetto, Cristina Venturino
11.15 - 11.45 PAUSA CAFFÈ
“ABUSO E MALTRATTAMENTO “LE RISONANZE TRA LE EMOZIONI DELLE VITTIME E LE NOSTRE”
MODERANO: ANTONELLA BRUNELLI, LUCIANA NICOLI
11.45 - 12.15 I racconti Carla Baroncelli
12.15 - 12.45 I vissuti psicologici legati alla violenza Maria Grazia Apollonio
12.45 - 13.15 Le emozioni degli operatori, ostacolo o risorsa Doriana Chiucchiù
13.15 - 14.15 PRANZO
“CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE: LA CONTINUITÀ DELLE CURE”
MODERANO: FRANCESCO MORANDI, GIUSEPPE PAGANO
14.15 - 14.45 Cure palliative pediatriche perinatali: il passaggio sul territorio Patrizia Papacci
14.45 - 15.15 Ruolo del pediatra delle cure primarie nella pre sa in carico di bambini in CPP Nicola Guaraldi
15.15 - 15.45 La parola a chi li cura Antonio Aguglia
15.45 SALUTI E ARRIVEDERCI AL PROSSIMO ANNO
DIAGNOSI E TERAPIA DELLE
PATOLOGIE NELL’AREA PEDIATRICA IN AMBITO TERRITORIALE E OSPEDALIERO
XIII EDIZIONE
MODULO 1: 14 MARZO 2025 - 20 DICEMBRE 2025 È ABUSO SESSUALE?
I DUBBI NELL'AMBULATORIO PEDIATRICO
Maria Grazia Apollonio, Alessandra Paglino
MODULO 2: 1 LUGLIO 2025 - 20 DICEMBRE 2025 IL PEDIATRA E IL DERMATOLOGO IN AMBULATORIO: UNA COLLABORAZIONE UTILE PER LA SALUTE DEL BAMBINO
May El Hachem
MODULO 3: 1 NOVEMBRE 2025 - 20 DICEMBRE 2025
LO STROKE IN ETÀ PEDIATRICA: È DAVVERO UN EVENTO RARO? CAUSE, SINTOMI, ESITI
Elena Laghi
Fad Asincrona
Quote di iscrizione
€ 25 per singoli moduli (SOCI ACP)
€. 60 per intero corso (SOCI ACP)
€. 30 per singoli moduli (NON SOCI)
€ 80 per intero corso (NON SOCI)
Il pagamento è da effettuarsi tramite bonifico bancario alle seguenti coordinate: IBAN: IT56P0344017211000035017181
158 Multidisciplinary management in paediatric dysphagia: the experience of Padua
Tiziana Mondello, Annalisa Salerno, Anna Agostinelli, Giusy Melcarne, Franca Benini, Francesco Fantin, Irene Maghini, Francesca Rusalen, Silvia Montino, Rosario Marchese
Ragona
Research letter
161 Children of prisoners in the paediatric primary care outpatient office Maurizio Bonati, Paolo Siani
A window on the world
164 Space research and human health: an unexpected opportunity for paediatrics? Fabio Capello
Learning from a case
166 Diencephalic syndrome: an often unrecognized cause of failure to thrive
Via Filippo Garavetti 12 07100 Sassari (SS) www.acp.it
Nicola Improda, Gyusy Ambrosio, Carmen Campanile, Giusy Franzese, Valeria Crisci, Claudia Mandato, Maria Rosaria Licenziati
169 Perianal streptococcal dermatitis with vulvovaginal involvement
Francesco Accomando, Melodie O. Aricò, Filomena Grimolizzi, Luca Savelli, Enrico Valletta
Appraisals
172 Today’s teenagers, tomorrow’s parents. One more reason to take care of them Enrico Valletta, Antonella Liverani
174 Update on the Health District policy for breastfeeding Riccardo Davanzo
The first thousand days
177 What if a caring generation emerged from the climate crisis? A matter of discussion for development professionals
Beatrice De Censi, Sarah Nazzari, Livio Provenzi
Family trajectories and horizons
180 Navigating the complexity of the role of digital media in the lives of children and adolescents: a psychosocial perspective
Marina Everri, Mattia Messena
Around narration
183 Life is strange sometimes. Story of a journey into the world of paediatric transplants
Serena Ferretti
Farmacipì
184 GLP-1 receptor agonist drugs: what role for the treatment of obesity in paediatric age
Antonio Clavenna
185 Info
187 Film
188 Books
190 Meeting synopsis
192 37th National ACP Congress “ACP Next Generations: There Is Still a Tomorrow”
Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP
La quota d’iscrizione per l’anno 2025 è di 130 euro per i medici, 30 euro per gli specializzandi, 30 euro per il personale sanitario non medico e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato attraverso una delle modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina «Come iscriversi». Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di adesione e seguire le istruzioni in esso contenute, oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, le pagine elettroniche di Quaderni acp e la newsletter mensile Appunti di viaggio. Hanno anche diritto a uno sconto sull’iscrizione alla FAD di Quaderni acp; a uno sconto sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino; a uno sconto del 50% per l’abbonamento alla rivista Epidemiologia & Prevenzione; a uno sconto sull’abbonamento a Uppa (se il pagamento viene effettuato contestualmente all’iscrizione all’ACP); a uno sconto sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento e formazione a quota agevolata. Potranno anche partecipare ai gruppi di lavoro dell’Associazione. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.acp.it.