118 Test genetici in pediatria: tra innovazione, sfide e opportunità
Silvia Cali, Francesca Faravelli
Narrative e dintorni
123 Quasi mamma, quasi pediatra
Arianna Turriziani Colonna
124 Il pediatra è un mestiere difficile. La storia: can che abbaia morde (e ha paura)
Catherine Hamon, Francesco Ciotti, Micaela Bucci, Giancarlo Cerasoli, Mila Degli Angeli, Nadia Foschi, Marna Mambelli, Antonella Stazzoni, Francesca Vaienti, Isabella Penazzi, Chiara Bussetti
Storia ed etica della medicina
127 La pratica della fasciatura nelle cure pediatriche. Evoluzione storica e aspetti etici
Giancarlo Cerasoli, Nicolò Nicoli Aldini, Sara Patuzzo Manzati
Vaccinacipì
132 Accettare o non accettare? Questo è il problema
Patrizia Elli
Farmacipì
134 Terapie con estrogeni/progestinici e corea di Sydenham
Emanuela Ferrarin, Lorenza Driul, Nadine Mushet, Adrian Sie, Imogen Stephens, Michael Morton
Epiquaderni
136 Dalla rivista Epidemiologia & Prevenzione, un invito alla lettura per i pediatri ACP. Numero 1-2025
Giacomo Toffolo
137 Info
139 Film
Libri
140 Nati per Leggere. Una guida per genitori e futuri lettori
140 Gustavo Zagrebelsky, Il dubbio e il dialogo. Il labirinto di Norberto Bobbio
141 Riccardo Bosi, Le mille e una infanzia. Bambini, culture, migrazioni
141 Jonathan Coe, La prova della mia innocenza
142 Lettere
144 37° Congresso nazionale Acp “Acp Next Generations: c’è ancora domani”
Norme redazionali per gli autori
I testi vanno inviati alla redazione via e-mail (redazione@quaderniacp.it) unitamente alla dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista.
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in copertina: Giovanna Benzi, Sole nascosto (2014), olio su tela, 70x50 cm
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Numero chiuso a medicina
Paolo Siani
Direttore UOC Pediatria, Ospedale Santobono, Napoli
L’11 marzo 2025 è stato approvato in via definitiva alla Camera dei deputati il decreto che abolisce i test di ingresso a medicina, ma non il numero chiuso.
La novità della riforma consiste nello spostamento della selezione non più all’inizio del percorso accademico, ma alla fine del primo semestre di studi.
Per cui tutti potranno iscriversi alla facoltà di medicina, ma dopo il primo semestre si stilerà una graduatoria nazionale unica sulla base degli esami sostenuti e dei voti ottenuti nelle materie del primo semestre.
Non ci sarà quindi nessuna abolizione del numero chiuso.
Per passare al secondo semestre e proseguire gli studi, bisognerà aver superato tutti gli esami del primo semestre (chimica, fisica e biologia) e poi solo chi avrà i crediti necessari parteciperà a un test che, se superato, consentirà di continuare gli studi.
Vale la pena precisare che il test per l’accesso a medicina del 2024 comprendeva 23 domande di biologia, 15 domande di chimica, 13 domande di matematica e fisica, 5 domande di ragionamento logico e problemi (quiz “psico-attitudinali” proposti dalla CRUI), 4 domande di competenze di lettura e conoscenze acquisite negli studi. Quindi l’85% dei quiz del test di medicina del 2024 era su domande delle materie del primo semestre.
La sede universitaria verrà selezionata in base alla graduatoria nazionale, alla preferenza degli studenti e alla disponibilità dei posti in ateneo.
Chi non riuscirà a proseguire gli studi in medicina potrà continuare il secondo semestre frequentando un corso scelto tra quelli di area scientifica, senza perdere l’anno. Gli esami sostenuti, se compatibili con il percorso di studi scelto, saranno considerati validi.
Si potrà cercare di superare il “semestre filtro” al massimo per tre volte.
Perché la proposta di legge possa entrare in funzione serviranno però i decreti attuativi che verranno stilati da un tavolo tecnico dedicato e dovranno essere pronti già per il prossimo anno accademico.
La Ministra dell’Università al termine della conferenza stampa del 27 marzo in cui veniva annunciato, a tempo di record, il primo decreto attuativo, ha affermato che con la riforma di accesso a medicina “gli studenti saranno formati all’interno dell’università, gratuitamente durante le lezioni, e dovranno affrontare un esame finale al termine del semestre. Un esame e non un test”. Inoltre, non ci sarà più il numero chiuso e “già dal 2022 è stato costituito un osservatorio che monitora sistematicamente i bisogni: è sulla base di questi fabbisogni che verrà ogni anno aumentato il numero degli iscritti. Ci sono già trentamila posti in più a disposizione a partire dal 2023”.
Dal prossimo anno accademico senza il test di ammissione le università dovranno far fronte per il primo semestre agli oltre 56.000 studenti che lo scorso anno hanno partecipato al test, mentre sono attualmente in grado di poterne accogliere soltanto poco più di 13.000. Ci sarà il tempo necessario per attrezzarsi ad accogliere tanti studenti?
Riuscirà il sistema universitario a adattarsi in fretta a un così grande incremento di iscrizioni iniziali senza compromettere la qualità della formazione?
Sarà necessario affidarsi alla telematica per poter svolgere le lezioni per così tanti studenti; infatti, dal Ministero fanno sapere che le modalità di erogazione di queste prime lezioni saranno gestite autonomamente dagli atenei, che potranno decidere se farle in presenza o da remoto e non ci sarà l’obbligo di frequenza.
Con questo sistema di selezione appare inevitabile una diversità di valutazione degli studenti tra le varie facoltà che potrebbe portare quindi a selezioni non eque.
Con la riforma, quindi, spariscono i quiz d’ingresso, i corsi di preparazione privati e l’emigrazione verso altri Paesi per studiare medicina.
Ma il vero problema in Italia non è tanto l’ingresso a medicina quanto la mancanza di medici specialisti e questo provvedimento, come è evidente, non risolve il problema.
Lo scorso anno su 15.256 contratti statali e regionali a bando per le specializzazioni, solo 11.392 (75%) sono stati assegnati, e tra le specializzazioni meno ambite al primo posto c’è la medicina d’emergenza-urgenza (30% dei contratti assegnati), e poi le specialità di laboratorio (15% patologia e biochimica clinica, 11% microbiologia), anatomia patologica (47%) e radioterapia (18%).
Nelle 36 scuole di specializzazione di medicina di emergenza su 1020 contratti banditi, ne sono stati assegnati solo 304, il 30%.
Le specializzazioni più richieste che hanno visto assegnati tutti i contratti sono: chirurgia plastica (108), dermatologia (133), endocrinologia (214), cardiologia (613), gastroenterologia (225), oftalmologia (245), pediatria (840), neurologia (343).
Quelle meno richieste sono: cure palliative con 37 contratti assegnati su 170, medicina d’urgenza (304 su 1020), geriatria (287 su 400), genetica (50 su 81).
Inoltre, l’ANAAO segnala che già quest’anno mancheranno almeno 16.500 medici specialisti e la carenza maggiore sarà per i medici dell’emergenza e i pediatri.
Pertanto, quello che serve davvero è modificare il sistema della formazione post-laurea, e incentivare l’iscrizione alle scuole di specialità meno ambite come quelle dell’urgenza. Infine, non si può ignorare che tra il 2000 e il 2022 hanno scelto di lavorare all’estero circa 131.000 medici. Per ciascuno studente lo Stato spende circa 25.000 euro per gli anni della laurea e 128.000 euro per la specializzazione. Investiamo quindi molte risorse economiche per formare bravi medici e poi li regaliamo ad altri Stati. Anche questo dovrebbe far riflettere.
Questa fuga all’estero trova varie spiegazioni, tra cui un miglior trattamento economico, oggi un medico italiano guadagna meno di un collega spagnolo o francese, addirittura la metà di un collega tedesco, ma anche poter avere a disposizione migliori tecnologie in ospedale, l’eccessiva burocrazia in Italia e spesso la mancata meritocrazia. Quindi non è sufficiente spostare il test di ammissione alla facoltà di medicina al secondo semestre, servirebbe piuttosto programmare con precisione il numero di medici che servono al sistema sanitario nazionale, aumentare le borse di studio nelle specialità carenti e riformare il sistema delle specializzazioni, pagare meglio medici e infermieri, dotare di tecnologie più avanzate gli ospedali e far valere la meritocrazia.
Governare un sistema complesso come quello sanitario è molto difficile.
siani.paolo@gmail.com
Le giornate di Fiesole 2025
Edoardo Corsi Decenti Aspirante ricercatore
Un anno sì e uno no, salvo imprevisti, al Centro studi CISL di Fiesole, più o meno alle porte dell’estate, un appuntamento si ripete: le Giornate di Epidemiologia dedicate a Carlo Corchia. Il “rigoroso Corchia” [1]. La quarta edizione si terrà dal 12 al 14 giugno 2025, rigorosamente, per l’appunto, da giovedì dopo pranzo al pranzo di sabato. E guai a chi pensa di potersene andare quando vuole, una volta presentata la propria relazione!
Quando mi fu data l’opportunità di prendere parte al Laboratorio della conoscenza “Carlo Corchia” [2], in occasione della seconda edizione delle Giornate di Fiesole nel settembre del 2021 [3], queste mi vennero presentate come “un convegno diverso dagli altri, caratterizzato da una marcata forma residenziale e dal clima familiare, in cui si dedica più tempo alla discussione di quanto presentato che alla presentazione stessa”. Ero un po’ dubbioso su quello che allora mi sembrava l’incontro carbonaro di una confraternita di esperti nel campo dell’epidemiologia perinatale, anche perché una delle motivazioni dell’invito era la necessità di svecchiare la platea delle Giornate e i membri del laboratorio. Mi venne proprio detto che si voleva creare un “direttivo dei giovani” da affiancare al “direttivo dei babbioni”. All’epoca ne sapevo ancora meno di oggi di epidemiologia perinatale e l’idea di partecipare al laboratorio unicamente per motivi anagrafici mi sembrava in effetti l’unico modo per poterne prendere parte! Quindi, come dire, la curiosità ebbe la meglio sulla perplessità. Si rivelò la scelta giusta. Vidi confermati i racconti sulla residenzialità dell’evento, con i pranzi e le cene nella mensa del Centro studi, sulla bellezza e la pace delle colline fiesolane, sul confronto disteso e rispettoso: le Giornate si aprirono – e si aprono tutt’ora – con la comunicazione delle regole dell’incontro, tra cui non dimenticherò mai quella della “gentilezza reciproca”. L’approfondimento dato dal dialogo e dalla discussione come forma di resistenza alla deriva di accelerazione e approssimazione. Tutto questo non deve lasciare immaginare un contesto poco o meno scientifico di altri. Il rigore di Carlo Corchia è infatti una costante delle Giornate, dalla valutazione degli abstract presentati dai partecipanti, alla costruzione del programma, allo snocciolamento quasi ossessivo degli studi presentati e dei metodi che hanno prodotto quei risultati. Anche quest’anno ci saranno molte sessioni, tra cui una dedicata all’analisi dei dati correnti, una alle disuguaglianze di salute materna e infantile, una all’impatto dell’esposizione ambientale sullo sviluppo, una all’interazione madrebambino. Un’intera sessione sarà curata dal gruppo di lavoro interno al Laboratorio sul “Neonato sano”, in cui si discuteranno aspetti quali la “separazione zero” e il contatto “pelle a pelle”. Durante le Giornate verranno anche presentati i dati nazionali sulla mortalità materna in Italia, curata dall’Italian Obstetric Surveillance System dell’Istituto Superiore di Sanità, i risultati di un modello matematico ISTAT per la stima dell’abortività illegale e quelli relativi al sovrappeso in età pediatrica dello studio NASCITA del Mario Negri. Verrà dedicato spazio anche a progetti regionali, come quelli relativi al percorso nascita della Provincia autonoma di Trento, e locali, come quello sull’assistenza territoriale
per i bambini con malattia cronica complessa incurabile della ASL di Biella. Le relazioni saranno intervallate dalla presentazione del libro Sul pubblicare in medicina di Luca De Fiore, da letture e focus su formazione, questioni metodologiche e sul tema dell’incertezza, tanto caro al Laboratorio [4].
All’interno di una cornice multidisciplinare, popolata da esperti in pediatria, ginecologia, ostetricia, statistica e psicologia, l’incontro dedicato a Carlo Corchia e al suo approccio innovativo alla salute perinatale sarà anche questa volta un appuntamento a cui i partecipanti saranno felici di aver preso parte.
La piramide dello stile di vita per adolescenti. Movimento
In questo numero aff ronteremo il tema del movimento della Piramide dello stile di vita sviluppata da Wellness Foundation con il contributo scientifico di ACP Romagna.
Spostarsi a piedi o in bici: il passo giusto per te e per il pianeta!
È ora di alzarsi, uscire e riscoprire il mondo fuori.
Il movimento all’aria aperta non è solo una scelta sana, ma un’esperienza che può cambiarti la giornata (e anche la vita).
Muoversi all’aperto è fantastico perché ti fa stare meglio, infatti 30 minuti di camminata al giorno migliorano la salute del cuore e rafforzano i muscoli, riduce lo stress, migliora l’umore e ti dà più energia. Il sole, il vento, gli alberi… tutto questo ti aiuta a sentirti più libero e in equilibrio. Camminare è gratis, fa bene ed è divertente.
Inoltre, camminando riduci l’inquinamento e aiuti a combattere il cambiamento climatico.
Gioco libero
Lo sport è benessere, divertimento e libertà! Fare sport senza agonismo significa allenarti senza l’ansia di vincere o perdere. L’ unico obiettivo è stare bene. Muoversi aiuta a liberare la mente, migliorare l’umore e aff rontare meglio le giornate. Lo sport rinforza il corpo, migliora la postura e aumenta la resistenza fisica.
Praticare attività sportiva agonistica
Lo sport agonistico non è solo competizione: è crescita, determinazione e passione. È l'occasione per metterti alla prova, migliorarti ogni giorno e scoprire di essere più forte di quanto pensassi. Ogni allenamento è un passo avanti, ogni gara un'opportunità per crescere. Impari disciplina e determinazione. La costanza e l’impegno ti aiuteranno non solo nello sport, ma anche nella vita. Le sconfitte insegnano, le vittorie ripagano. Ogni esperienza ti rende più forte. Lo sport agonistico è una sfida continua, ma anche una delle esperienze più entusiasmanti della vita.
Vivi il mondo reale: spegni lo schermo, accendi la vita Quanto tempo passi davanti al telefono, al computer o alla TV? Ti sei mai accorto di quanto scorra veloce il tempo mentre scorri i social o giochi online? Gli schermi fanno parte della nostra vita, ma lasciarli un pò da parte può farti scoprire un mondo più vero, più emozionante, più tuo. Staccare dagli schermi aiuta a ridurre l'ansia, migliorare l'umore e aumentare la concentrazione. La luce blu dei dispositivi disturba il sonno. Meno telefono la sera = più energia al mattino. Viversi le relazioni più vere con gli amici guardandosi negli occhi, ridere insieme e chiacchierare senza interruzioni. Accetta la sfida? Prova a stare un giorno intero senza social e scopri quante cose belle puoi fare.
NASCITA (NAscere e creSCere in ITAlia): uno sguardo per un avvenire migliore
Laboratorio per la Salute Materno Infantile, Dipartimento di Salute Pubblica, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, IRCCS Milano
In questa primavera 2025 i primi bambini che, con i loro genitori, hanno partecipato allo studio NASCITA compiono sei anni d’età. Nei prossimi 15 mesi saranno in 5054 a completamento dell’intera popolazione che 139 pediatri di famiglia hanno costituito. NASCITA è uno studio di coorte, nazionale, condotto con l’interesse e la disponibilità dei soci dell’Associazione Culturale Pediatri, basato principalmente sull’analisi di alcune delle informazioni raccolte durante le visite per i bilanci di salute. Dati largamente inutilizzati con uno sguardo clinico-epidemiologico per descrivere lo stato di salute nel tempo di una comunità, in modo partecipato, collettivo e condiviso. “Lavorare meglio con meno”, con le risorse che già ci sono, utilizzandole in modo più appropriato, è possibile e questo studio, a tutt’oggi unico, lo dimostra anche con numerose pubblicazioni dei risultati sulle riviste scientifiche nazionali e internazionali [1-17].
Nel corso dei primi tre anni di vita dei partecipanti alla coorte la raccolta dei dati correnti è stata integrata con l’utilizzo di strumenti e questionari per valutare in modo più dettagliato gli aspetti nutrizionali, la crescita, il sonno, il neurosviluppo, il benessere genitoriale e le pratiche attuate dai loro genitori. Lo studio ha rappresentato l’esecuzione di una ricerca nella pratica con un esito anche formativo per i partecipanti, sia i pediatri sia i genitori. Una delle finalità dello studio è stata quindi quella di fornire al pediatra strumenti semplici, ma efficaci per monitorare lo sviluppo psicomotorio con il raggiungimento delle varie tappe fondamentali, le abilità sociali dei propri assistiti e la presenza di difficoltà genitoriali [7,11,14]. Così come in caso di comparsa di disturbi del neurosviluppo o di altra area medica il costruire relazioni con altri specialisti nell’ambito dell’accompagnamento del prendersi cura in carico al pediatra di famiglia.
L’osservatorio rappresentato dalla coorte NASCITA ha contribuito alla produzione di evidenze nella pratica clinica ambulatoriale utili per approfondire le conoscenze sullo stato di salute, la nutrizione, crescita e lo sviluppo dei bambini, sul benessere della coppia genitoriale e sull’attività dei pediatri. Tra le peculiarità delle analisi condotte a partire dai dati della coorte NASCITA segnaliamo la valutazione delle buone pratiche genitoriali in termini (anche) di attitudine complessiva da parte dei genitori e della descrizione delle connessioni esistenti tra le pratiche (attraverso la network analysis) [12,15]. L’attitudine complessiva ad attuare comportamenti in grado di favorire la crescita è influenzata dalle caratteri-
stiche sociodemografiche (livello di istruzione, occupazione, cittadinanza italiana vs straniera), ma anche dall’area geografica di residenza. Quest’ultimo aspetto rimanda a fattori di contesto culturale, sociale e sanitario che devono essere affrontati per ridurre le disuguaglianze e garantire la salute dei bambini.
Oltre a un approccio di tipo cross-sectional, con un approfondimento di singoli aspetti in determinate tappe della crescita, la coorte di nuovi nati ha consentito anche una valutazione longitudinale e prospettica, per esempio dei disturbi del sonno nel corso dei primi due anni di vita [13,16], del neurosviluppo [7,1,14] e della crescita [9].
In base all’osservazione del neurosviluppo effettuata dai pediatri e dai genitori, il 16% dei bambini a 2 anni d’età e il 14% a tre anni presenta segnali di possibili disturbi del neurosviluppo che necessitano una valutazione specialistica. La sensibilità nell’identificare i bambini con diagnosi di disturbo è maggiore nell’approccio di valutazione combinato pediatra-genitori (87,5%) rispetto alla valutazione dei soli genitori (62,5%) o del solo pediatra (75%) [11].
Il 5% dei bambini ha segnali di attenzione persistenti e la lettura ad alta voce precoce e mantenuta nel tempo è risultata come la variabile più fortemente associata a una minore probabilità di persistenza dei segnali di attenzione [17]. A questo riguardo, l’osservatorio NASCITA ha consentito di confermare nella pratica quotidiana dell’ambulatorio l’efficacia degli interventi da tempo promossi dall’ACP.
Un altro sguardo unico dello studio riguarda la valutazione anche del benessere genitoriale, in parallelo alla valutazione del neurosviluppo. È importante infatti considerare il legame tra la vulnerabilità del bambino e il distress dei genitori. È possibile che i genitori di bambini con fattori avversi precoci sperimentino livelli maggiori di stress o che, quando i genitori hanno difficoltà, anche i bambini abbiano maggiori probabilità di sviluppare problematiche comportamentali o emotive [14]. Un bambino su cinque della coorte NASCITA aveva almeno un genitore con distress genitoriale, con una prevalenza simile nelle mamme (15%) e nei papà (14%). La presenza di segnali di attenzione è risultata associata a un aumento della prevalenza di distress, ma solo nelle mamme [11].
Circa la crescita, la prevalenza di sovrappeso nei primi tre anni di vita ha minime variazioni (21-23%), con un 9% di bambini che hanno un sovrappeso che persiste nel corso dei primi 36 mesi di osservazione. Un appetito del bambino percepito “eccessivo” dai genitori, un’elevata frequenza di interazione diretta con i dispositivi elettronici e lo svezzamento tradizionale sono le variabili associate a una maggiore probabilità di sovrappeso persistente. La prevenzione dell’obesità infantile (e di conseguenza di quella in età adulta) deve coinvolgere l’intero nucleo familiare, attraverso l’educazione alimentare e la promozione di stili di vita favorenti la salute.
In questa primavera 2025 i primi bambini che, con i loro genitori, hanno partecipato allo studio NASCITA compiono sei anni d’età e a settembre inizieranno il percorso nella scuola primaria. Un’occasione unica, quella che si presenta, per completare la valutazione di questa coorte in procinto di intraprendere il primo ciclo scolastico per l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva del pieno sviluppo della persona. Identificare quelle bambine e bambini (e nuclei familiari) che necessitano di ulteriore accompagnamento per sviluppare le dimensioni cognitive, emotive, affettive, sociali, e corporee dei saperi irrinunciabili: ecco, questa sarà la nuova scommessa che i pediatri di famiglia che aderiranno a partecipare anche a questa ultima tappa del percorso. L’ultimo ramo germogliato dall’albero NASCITA.
Bibliografia
1. Clavenna A, Bonati M, Zanetto F. NASCITA (NAscere e creSCere in ITAlia). Quaderni acp. 2019;26:10.
2. Pansieri C, Clavenna A, Pandolfini C, et al. NASCITA Italian birth cohort study: a study protocol. BMC Pediatr. 2020 Feb 19;20(1):80.
3. Zanetti M, Clavenna A, Pandolfini C, et al. Informatics Methodology Used in the Web-Based Portal of the NASCITA Cohort Study: Development and Implementation Study. J Med Internet Res. 2021 Mar 12;23(3):e23087.
4. Nacamuli M, Clavenna A, Ferraroni M, et al. La nutrizione nei primi sei mesi di vita: un’analisi dei dati della coorte NASCITA. Ricerca & Pratica. 2021;218:53-61.
5. Bartucci G, Clavenna A, Cartabia M, et al. La prescrizione dei farmaci nel corso del primo anno di vita, dall’osservatorio della coorte NASCITA. Ricerca & Pratica. 2021;222:255-263.
6. Morabito E, Clavenna A, Cartabia M, et al. Nascere e crescere in Italia oggi: dall’osservatorio ambulatoriale del pediatra di famiglia. Ricerca & Pratica. 2021;220:150-159.
7. Segre G, Costantino I, Scarpellini F, et al. Uno sguardo al neurosviluppo raggiunto ai 2 anni d’età. Ricerca & Pratica. 2022; 225:107124.
8. Pandolfini C, Clavenna A, Cartabia M, et al. National, longitudinal NASCITA birth cohort study to investigate the health of Italian children and potential influencing factors. BMJ Open. 2022 Nov 15;12(11):e063394.
9. Clavenna A, Morabito E, Cartabia M, et al. National, longitudinal NASCITA birth cohort study: prevalence of overweight at 12 months of age in children born healthy. BMJ Paediatr Open. 2023 Jan;7(1):e001622.
10. Segre G, Clavenna A, Cartabia M, et al. Postpartum depression screening in mothers and fathers at well-child visits: a feasibility study within the NASCITA cohort. BMJ Open. 2023 Jun 23;13(6):e069797.
Commenti allo studio
Per me la partecipazione allo studio coorte NASCITA è stata occasione di crescita professionale e di una più profonda consapevolezza del nostro ruolo all’interno delle famiglie, facendomi meglio comprendere la differenza tra l’esserci e il non esserci. L’importanza dell’osservazione attenta dei particolari e il giusto peso alle relazioni. I miei bilanci di salute sono profondamente cambiati da allora, lasciando molto spazio all’osservazione di quanto accade nella traiettoria di sviluppo del piccolo e di quanto l’ambiente e i caregiver influiscano. Sono diventata più attenta ai segnali di disagio dei più grandicelli, cercando di intervenire quando necessario, indicando un supporto adeguato alla famiglia, e sostenendolo al pari di una qualunque altra terapia prescritta, senza scivolare sopra le cose come poteva accadere in passato. Con dolore penso a Pavel, giovane di 21 anni, una volta mio assistito. Un ragazzino da grandi occhi azzurri, tristi e un po’ spaesati, nonostante la famiglia fosse affettuosa e presente. Sempre silenzioso e un po’ schivo, timido, intelligente e sensibilissimo. Avevamo pensato che, lasciandolo crescere, le cose sarebbero migliorate da sole. Non ne ho avuto più notizie sino a una settimana fa, quando in un drammatico incidente, ha perso la vita alla guida della sua auto, dopo aver travolto e ucciso una giovane mamma, sua conoscente. Resosi conto di quanto aveva fatto scendendo dall’auto, si è ucciso, sul ciglio della strada, tagliandosi i polsi con un cutter. A ottobre aveva pubblicato un ebook in cui parlava della sua passione per la velocità, di quanto lo facesse star bene nel fargli superare quella “nebbia” che si frapponeva tra sé e gli altri, facendolo sentire meno “strano”, più sicuro. E più felice. Ma anche quanto fosse consapevole del rischio che correva per sé stesso e quanto temesse di nuocere agli altri. Tuttavia non è bastato. Non possiamo permetterci di continuare a pensare che le cose si aggiusteranno da sole. È un grande inganno. Noi possiamo e dobbiamo fare la nostra parte.
Antonella Lavagetto, pediatra di famiglia, Genova
11. Segre G, Clavenna A, Roberti E, et al. Pediatrician and parental evaluation of child neurodevelopment at 2 years of age. BMC Pediatr. 2024 Feb 22;24(1):137.
12. Pandolfini C, Clavenna A, Campi R, et al. Parental practices that influence children’s development: how often are they implemented and by whom-results from the NASCITA birth cohort study. Eur J Pediatr. 2024 Jul;183(7):3029-3038.
13. Segre G, Clavenna A, Roberti E, et al. Children’s nocturnal awakenings and sleep duration during the first two years of life in the NASCITA cohort study. Sleep Med. 2024 Sep:121:127-134.
14. Segre G, Clavenna A, Roberti E, et al. Within-couple comparison of maternal and paternal distress in an Italian birth cohort. BMC Psychol. 2024 Oct 31;12(1):611.
15. Pandolfini C, Clavenna A, Campi R, et al. Le buone pratiche genitoriali precoci per lo sviluppo nei primi anni di vita. I risultati della coorte NASCITA. Ricerca & Pratica. 2024; 238:151-160.
16. Segre G, Clavenna A, Roberti E, et al. Routine del sonno e risvegli notturni nei bambini durante i primi due anni di vita. Medico e Bambino. 2024;43: 365-370.
17. Segre G, Roberti E, Campi R, et al. Neurosviluppo a 3 anni d’età: follow-up dei bambini della coorte italiana NASCITA. Ricerca & Pratica. 2024; 239:198-205.
antonio.clavenna@marionegri.it
I bambini e le bambine che hanno partecipato allo studio NASCITA, compiranno sei anni nel 2025. Uno studio di coorte svolto sul territorio, in pediatria di cure primarie, che ha dimostrato come, ottimizzando le risorse, si possa lavorare meglio. Non solo, questo studio, che ha mobilitato insieme genitori e pediatri, come effetto secondario o collaterale credo abbia anche aumentato il senso di “autoefficacia” dei genitori. A loro volta i pediatri partecipanti – lo sono stata fino al pensionamento – hanno avuto un’occasione unica di dare maggiore valore al proprio lavoro e di fare ricerca sul campo, dimostrando come l’implementazione di buone pratiche basate su evidenze consolidate, possano agire a supporto della genitorialità e fornire a chi ne ha bisogno maggiore, il supporto necessario.
“La ricerca dovrebbe essere uno degli imperativi morali di ogni medico che si occupi di cure primarie, particolarmente in pediatria”. La ricerca di base, intesa non come “mera adesione a protocolli o moduli creati da altri”, ma come partecipazione attiva a qualcosa che riguarda la salute del bambino, diventa occasione di aggiornamento attivo, partecipato, collaborativo; sollecita a precise responsabilità e alla disponibilità al controllo esterno e tra pari; permette di “guardarsi allo specchio” (da: Pediatria di famiglia, a cura di Gangemi M, Tamburlini G. Il Pensiero Scientifico Editore, 2024).
Come ex pediatria di famiglia e, come presidente ACP oggi, credo che sia quanto mai necessario, per migliorare il futuro delle bambine e dei bambini, integrare le prospettive dei genitori con quelle dei pediatri, condividere con i genitori lo sviluppo della loro bambina o bambino e saper insieme identificare precocemente un segnale atipico che possa necessitare un approfondimento. Il ramo del grande albero della coorte NASCITA che riguarda il neurosviluppo offre questa possibilità: lo studio di coorte ha messo in evidenza come i fattori sociodemografici contribuiscano a portare avanti buone pratiche di sostegno allo sviluppo e come anche la zona geografica di appartenenza sia un fattore che incide sulla attitudine
da parte dei genitori all’adozione di comportamenti atti a promuovere lo sviluppo. Tra le buone pratiche che incidono sullo sviluppo cito la promozione della lettura in famiglia in età precoce. Una formazione sul campo ma anche un’occasione per “guardarsi allo specchio” nella pratica clinica quotidiana. Stefania Manetti, pediatra, Pisa
Allo studio coorte NASCITA ho aderito da subito con entusiasmo, cogliendo l’invito a documentare la storia di un campione di miei piccoli assistiti, seguendoli negli anni per registrare e cogliere i fattori di rischio e protettivi per la salute e lo sviluppo.
L’impegno richiesto è stato da subito ripagato dall’interesse dei genitori per questa metodologia di ricerca, e dall’abbondanza dei dati raccolti, alcuni dei quali non sarebbero stati presenti di routine nella mia anamnesi, ma che offrono importanti punti di vista sulla popolazione. Conoscere meglio la composizione e la storia delle famiglie, sapere in che ambiente vivono, come mangiano, come affrontano il sonno i nostri bambini e approfondire le loro tappe del neurosviluppo con strumenti più ricchi e complessi mi hanno permesso anche di seguire “minuto per minuto” i cambiamenti degli stili di vita e le traiettorie evolutive e di intercettare per tempo fattori di rischio o problemi appena emergenti.
I genitori hanno avuto modo di riflettere sulle relazioni, le competenze e le difficoltà educative e, grazie alla condivisione degli articoli pubblicati, anche sulle ricadute in termini di salute “comunitaria” di comportamenti e abitudini, nonché dell’importanza dell’attività di studio e ricerca condotta dal loro pediatra di famiglia.
I webinar in itinere mi hanno permesso di consolidare la metodologia di raccolta e di conoscere l’anteprima dell’analisi dei dati, offrendo la possibilità di un ragionamento collettivo sui risultati e su possibili ulteriori sviluppi di ricerca. Sarebbe, per esempio, un utile proseguimento la raccolta di dati in adolescenza, “età dello tsunami”, in questa generazione in cui le novità evolutive seguono una velocità inedita, con il bisogno di rafforzare il corredo di fattori protettivi dei primi mille (o tremila?) giorni di vita dei bambini. Non da ultimo, evidenze di questa portata utilmente incidono sulle politiche per l’infanzia e per le famiglie, anche in condivisione con le altre società scientifiche pediatriche italiane.
Maria Luisa Tortorella, pediatra di famiglia, San Vito al Tagliamento (PN)
La storia del progetto coorte NASCITA è un pezzo di vita associativa ACP importante, partecipato, condiviso, concreto, “sul campo”. In animo dal 2016, ne custodisco tutti i tanti passaggi di informazione e condivisione, sia nazionali sia “dedicati” ai referenti di area e locali, sempre coinvolti in una progettazione accurata e poi nelle fasi operative dello studio. Ricordo con una punta di nostalgia i due importanti e partecipati incontri in presenza con tutti i referenti regionali, i consiglieri nazionali ACP e i coordinatori del progetto (a Roma il 9 giugno 2018) e con i referenti dei cluster e i consiglieri nazionali ACP (a Milano il 22 settembre 2018) per la pianificazione dettagliata del protocollo e per la costruzione di un osservatorio competente e capace di uno sguardo nuovo rivolto alla crescita, allo sviluppo e a tutto il contesto di vita del bambino. È stato un percorso di ricerca certamente difficile, impegnativo, con criticità (tra cui il rallentamento e la rimodulazione del percorso imposti dalla pandemia) e fatiche che ancora sono proprie del fare ricerca nell’ambito delle cure primarie.
È stata una sfida, dove “utilizzare la curiosità e rispondere al bisogno di specifici approfondimenti in un contesto prospettico”, come più volte ci è stato sottolineato dai coordinatori del progetto. È stato un capitolo rilevante nella storia della ricerca in ACP, oltre che per la produzione di dati sul campo, anche per le ri-
cadute formative e per la valorizzazione della pediatria delle cure primarie (ruolo, mandato, contratto, advocacy); per il coinvolgimento delle famiglie (genitorialità partecipata); per la ripresa concreta e operativa delle priorità di riflessione e intervento che sono proprie di ACP; per l’attenzione alle buone pratiche e a test che fossero semplici da utilizzare da parte del pediatra e dei genitori, validati per il contesto italiano, sensibili in termini di precisione e accuratezza nel fornire informazioni, utili nell’individuare precocemente un potenziale bisogno e nell’accompagnamento del bambino e della famiglia a un approfondimento e a una valutazione specialistica più competente, quando si rende strettamente necessario, e a un invio più consapevole e più motivato.
I coordinatori e lo staff IRCCS Mario Negri hanno assicurato il corretto svolgimento del percorso e una stabile, attenta rete di sostegno ai pediatri partecipanti: gli eventi di accompagnamento, l’identificazione di quesiti pertinenti, le analisi dei dati e la loro discussione ci hanno confermato l’importanza, nella ricerca di qualità in area pediatrica, del collegamento e della collaborazione con istituti e team che si occupano istituzionalmente di ricerca e che hanno competenze tecniche specifiche.
Abbiamo ora a disposizione una miniera di dati che rinforzano quelli di altre pubblicazioni e che ci interpellano sulla necessità di una osservazione clinica competente, che possono essere interrogati (in particolare dai gruppi di lavoro ACP), che aprono a possibili ulteriori curiosità.
Una sfida che continua, da raccogliere e condividere.
Federica Zanetto, pediatra, Vimercate (MB)
Le sofferenze dei bambini dovute alle modifiche del sistema sanitario USA
Stefania Manetti1 , Laura Reali2
1 Presidente ACP
2 Presidente ECPCP
Nel lontano 1919 una straordinaria donna inglese, Eglantyne Jebb, venne arrestata e multata per aver protestato contro il blocco britannico della Germania durante la prima guerra mondiale, situazione che stava portando alla morte per fame i bambini in Germania e Austria. In tribunale Eglantyne dichiarò che non esiste un “bambino nemico”. Un’affermazione che nel 1919 sembrava quantomeno curiosa. Jebb, nello stesso anno, fondò a Londra un’organizzazione chiamata “Save the Children” e arrivò a noleggiare una nave da carico per trasportare 600 tonnellate di razioni alimentari per i bambini russi in grave malnutrizione. Successivamente, nel 1924, presentò la prima Dichiarazione dei diritti del fanciullo alla Convenzione della Società delle Nazioni. Da qui sono germogliate molte organizzazioni umanitarie internazionali del ventesimo secolo, come la UNRRA (United National Relief and Rehabilitation Administration) che durò solo 4 anni ma che diede vita a UNICEF, all’OMS nel 1946-47 e nel 1949 alla UNRWA, l’agenzia ONU per il soccorso e l’occupazione della Palestina. A più di un secolo di distanza, in un tempo complesso e diseguale, non è mai stato forse così importante riflettere sulla dichiarazione di Eglantyne Jebb.
La scrittura di questo Osservatorio nasce dall’esigenza di condividere le nostre riflessioni con le lettrici e i lettori di Quaderni acp, perché come pediatre e pediatri abbiamo la necessità di leggere il grido di disperazione e rabbia emerso dalla voce di tanti scienziati, dalla prospettiva della salute delle bambine e dei bambini del mondo.
L’assalto alla salute dei bambini e ai diritti umani a seguito della elezione del presidente Trump e delle sue azioni politiche non riguardano solo i bambini negli Stati Uniti, ma quelli di tutto il mondo e, come sempre succede, soprattutto colpiscono i Paesi con grandi vulnerabilità.
I fatti
Il 12 febbraio 2025 il BMJ pubblica l’ articolo di uno scienziato del sistema federale USA, che sceglie l’anonimato per evitare ritorsioni. È un grido di rabbia e di disperazione per quello che, in tempi brevissimi sta succedendo nel mondo scientifico statunitense: “Le persone di tutto il mondo assistono incredule alla chiusura del programma di aiuti da parte del nuovo governo degli Stati Uniti, al ritiro dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, alla cancellazione di serie di dati dei CDC che non si adattano alla nuova ideologia governativa, al rifiuto di pagare spese generali adeguate alle università, bloccando così la ricerca e mandando in bancarotta molte di esse; addirittura al divieto di usare sia nei lavori scientifici che nei documenti federali, parole come ‘bias’, ‘biased’, ‘women’, ‘female’ o ‘gender’. Non sarà più possibile condurre una ricerca scientificamente valida senza queste parole: non si potrà, ad esempio, scrivere del rischio di bias in un campione di donne, che pure
rappresentano la metà della popolazione [...]. Ma un gruppo che forse non sentirete nominare è quello dei membri del sistema federale. Non avete sentito parlare di noi perché siamo terrorizzati dalla reazione: non solo di veder cancellata la nostra ricerca e di essere licenziati sommariamente, ma anche di essere attaccati dai 250 milioni di seguaci di Elon Musk su X. Le nostre case, i nostri stipendi, le nostre famiglie e persino le nostre vite sono a rischio. Questo ‘genocidio digitale’ porterà alla perdita di dati demografici che monitorano le popolazioni a rischio, come gli uomini e le donne transgender e la mortalità materna. Questo renderà difficile per i responsabili dei programmi sanitari prendere decisioni informate o allocare risorse per coloro che hanno maggior bisogno di assistenza sanitaria. Gli Stati Uniti, che hanno avuto una pessima performance durante la pandemia di Covid-19, con oltre un milione di morti, si stanno preparando a fare ancora peggio in futuro. La comunità scientifica federale degli Stati Uniti è preoccupata per la comunità globale, mentre le morti evitabili si accumulano all’estero e negli Stati Uniti, specialmente tra i più vulnerabili”. L’articolo ha avuto una tale risonanza nel mondo scientifico che più di 1900 membri di accademie nazionali di scienze, ingegneria e medicina hanno firmato una lettera aperta in cui mettono in guardia gli americani dal “pericolo” degli attacchi dell’amministrazione Trump alla scienza. Mentre gli scienziati scrivono “Vediamo un pericolo reale in questo momento”, “Abbiamo convinzioni politiche diverse, ma siamo uniti come ricercatori nel voler proteggere l’indagine scientifica indipendente. Inviamo questo SOS per lanciare un chiaro avvertimento: l’impresa scientifica della nazione sta per essere decimata”, l’amministrazione Trump persevera nel suo incessante assalto alle istituzioni scientifiche statunitensi con minacce alle università private, cancellazioni di sovvenzioni federali, revisioni ideologiche dei finanziamenti, licenziamenti di massa da parte del governo, dimissioni e censura. Il ministro della salute USA, Robert Kennedy Jr., un teorico della cospirazione, noto per le sue convinzioni contrarie alle vaccinazioni, nel corso di un’epidemia di morbillo in Texas, che ha già ucciso tre bambini sani, banalizza la malattia e riesuma i dubbi sui rapporti del vaccino antimorbillo con l’autismo. Inoltre annulla un contratto di quasi 600 milioni di dollari per studiare potenziali trattamenti per l’influenza aviaria. Il 31 marzo il dottor Peter Marks della FDA si è dimesso, denunciando l’amministrazione per “un assalto senza precedenti alla verità scientifica”. “È ormai chiaro che la verità e la trasparenza non sono desiderate dal Ministro”, ha scritto Marks nella sua lettera di dimissioni. “Ma piuttosto desidera una conferma servile della sua disinformazione e delle sue bugie”. “Se gli scienziati e le organizzazioni scientifiche e mediche non si esprimono con forza in difesa della scienza e della salute pubblica, chi lo farà? Non c’è alternativa”. The Lancet scrive in un coraggioso editoriale che si impegna a monitorare le azioni del governo degli Stati Uniti e le loro conseguenze sulla salute nei prossimi anni. Anche in Italia numerosi articoli hanno ripreso gli eventi statunitensi. Tra gli altri, in aprile su Scienza in rete, l’epidemiologo Francesco Barone Adesi racconta come i provvedimenti governativi USA abbiano di fatto bloccato le comunicazioni con l’esterno delle più importanti agenzie federali statunitensi che influenzano la ricerca scientifica nel mondo: il National Institute of Health (NIH), Il Center for Disease Control (CDC), la Food and Drug Administration (FDA) e la Environmental Protection Agency (EPA). Per alcuni giorni il sito del CDC è stato oscurato; sono stati effettuati licenziamenti di massa del personale; un taglio cospicuo dei finanziamenti federali e nominati personaggi controversi alle loro guida. Con un ordine esecutivo a gennaio il governo USA ha emanato l’obbligo di eliminare ogni riferimento all’identità di genere, decretando l’esistenza di solo due sessi biologici, maschio e femmina. Sono stati aboliti tutti i programmi
di promozione delle diversità nelle attività federali ed è stato emanato il divieto di finanziare atenei, ONG e società scientifiche che aderiscono a questi programmi con l’obbligo per i dipendenti federali di denunciare le colleghe e i colleghi che non aderiscono a tali ordini. C’è tanta inquietudine nell’apprendere che 13% dei dataset del CDC sono stati oscurati. Per la prima volta in sessant’anni, cita sempre Barone Adesi, la rivista scientifica Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR) non è stata pubblicata: una delle fonti scientifiche più affidabili che informa gli scienziati di tutto il mondo sull’andamento dei fenomeni epidemici emergenti. Dal mese di febbraio 2025 alcune pagine web e articoli precedentemente oscurati sono ricomparsi con un’inquietante dicitura: “Tutte le informazioni contenute in questa pagina che promuovono l’ideologia di genere sono estremamente imprecise e scollegate dalla realtà biologica immutabile che esistono due sessi, maschile e femminile [...]. Questa pagina non riflette la realtà biologica e pertanto l’Amministrazione e il Dipartimento la rifiutano”. L’amministrazione Trump ha anche tagliato l’83% dei fondi a USAID, l’agenzia USA per lo sviluppo internazionale. Solo per fare qualche esempio questo comporta il blocco dell’iniziativa antimalaria in Myanmar dove si stima che i casi di malaria siano aumentati del 300% dall’inizio della guerra civile, ma il numero reale è probabilmente più alto e interessa tutto il Mekong. Per lo stesso motivo si è aperta una grave crisi umanitaria anche in Etiopia, il maggior beneficiario dell’assistenza statunitense in Africa subsahariana e il quinto a livello mondiale. Non ci sono più fondi per il supporto ai malati di HIV, per le forniture di cibo e per l’approvvigionamento idrico, in un Paese senza risorse e che ospita oltre un milione di rifugiati dalle guerra e dalla repressione nel Paesi vicini (Sudan, Somalia, Eritrea). In questo mondo ormai schizofrenico, da un lato il rapporto della Commissione AIDS di Lancet sui diritti umani e la salute sottolinea l’urgente necessità di azioni per realizzare il diritto alla salute al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ma, allo stesso tempo, evidenzia l’impatto delle aziende commerciali sui diritti umani e l’effetto corrosivo del potere diseguale tra stati e società sulla salute. Propone quindi un approccio basato sui diritti umani per affrontare queste sfide, inclusa la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e l’introduzione del concetto di “economia dei diritti umani,” con il coinvolgimento delle comunità emarginate nelle politiche sanitarie e l’assicurazione della responsabilità per i crimini di guerra. Dall’altro lato, la salute globale è a rischio, anche perché l’OMS, che ha svolto un ruolo significativo per le esigenze sanitarie dell’intero pianeta tra il 1948 e il 1998, è poi andata incontro a carenze di bilancio sempre maggiori e a uno status ridotto a causa di nuovi attori come la Banca Mondiale. Ha quindi dovuto rafforzare la sua posizione attraverso partnership globali e fondi sempre meno pubblici. Non è andata molto diversamente alle altre principali istituzioni globali di salute: la Banca Mondiale, il Fondo Globale per la Lotta contro HIV/AIDS tubercolosi e malaria, e GAVI-Alleanza per i vaccini. Ormai i finanziatori di queste istituzioni influenzano le loro agende e la governance globale della salute, con finanziamenti sempre più discrezionali, attori non statali e mandati più ristretti e meno sistemici. In questo contesto l’amministrazione USA sta giocando una partita molto azzardata e tutta economica. Per Trump la salute, la scienza e i diritti umani non contano, conta solo ridurre il deficit pubblico USA pari al 6,3% del PIL, che è il più alto del mondo (27,72 migliaia di miliardi USD nel 2023), con un debito di oltre il 120%, che richiede ogni anno un finanziamento di circa 2000 miliardi di dollari in nuovi titoli di Stato. Le sue strategie sono draconiane: ridurre drasticamente le spese interne e la sanità (insieme alla ricerca) è tra queste, perché sono una delle voci più costose. Infatti, in politica interna stiamo assistendo alla brutalità con cui si muove questa amministrazione, senza
alcun rispetto per i diritti dei suoi cittadini. In politica estera l’intento è di farsi finanziare il deficit USA da tutti i Paesi che sono sotto l’“ombrello USA”, attraverso la minaccia di dazi punitivi e di garantire il dollaro attraverso un sistema di stable bitcoin. Questa valuta digitale basata sul dollaro dovrebbe favorire i depositi in dollari, finanziare il debito americano e competere meglio con l’euro. L’obiettivo è che gli Stati Uniti possano vendere più beni al resto del mondo e mantenere favorevoli i propri debiti e tassi d’interesse.
È una partita molto azzardata, Cina e Giappone potrebbero non accettare di continuare a finanziare il debito USA. Gli statunitensi andrebbero in recessione e questo avrebbe ripercussioni su tutto il mondo. Ma Trump non è un mediatore e, data la posta in gioco, è probabile che continueremo questa folle corsa sulle montagne russe.
Ma, almeno in ambito sanitario, come pediatri, possiamo e dobbiamo far sentire la nostra voce.
Bibliografia
1. Duke T. No child is an enemy. Arch Dis Child. 2025 Feb 19;110(3):190.
2. Anonymous. Anger, despair, and defiance from a voice within the US federal research system. BMJ. 2025 Feb 12:388:r294.
3. Kraft CA, Weitzman M, Koller D, et al. Children will suffer from changes to US research system. BMJ. 2025 Mar 26:388:r572.
4. The Lancet. American chaos: standing up for health and medicine. Lancet. 2025 Feb 8;405(10477):439.
5. Türk V. Revitalising the right to health is essential to securing better health for all. Lancet. 2024 Apr 6;403(10434):1315-1318.
6. Brown TM, Cueto M, Fee E. The World Health Organization and the transition from “international” to “global” public health. Am J Public Health. 2006 Jan;96(1):62-72.
7. Clinton C, Sridhar D. Who pays for cooperation in global health? A comparative analysis of WHO, the World Bank, the Global Fund to Fight HIV/AIDS, Tuberculosis and Malaria, and Gavi, the Vaccine Alliance. Lancet. 2017 Jul 15;390(10091):324-332.
8. USAID’s demise raises fears for millions of lives across the Global South. https://www.aljazeera.com/news/2025/3/13/across-globalsouth-usaids-demise-raises-fears-of-malaria-tb-resurgence.
9. Fubini F. Trump e il complotto contro l’Europa: le due strategie per dare l’assalto all’euro (e nascondere le fragilità Usa). Corriere della Sera. 19 febbraio 2025.
Quando la collaborazione fa la differenza
La sinergia tra pediatria territoriale e specialistica nella diagnosi e nella gestione delle malattie rare permette cure personalizzate. Un caso da ricordare: la sindrome di Aicardi-Goutières
Laura Andaloro, Francesca Sciorio
S., 6 mesi, giunge alla nostra attenzione per la prima volta presso l’ambulatorio di pediatria di libera scelta, presentando dai 2 mesi di vita un quadro di ipotonia cervico-assiale con movimenti nistagmiformi sul piano orizzontale, episodi di sussulto in risposta a stimoli sensoriali lievi e alterazione del ritmo sonno-veglia. L’analisi globale della situazione della piccola, con particolare riguardo alle traiettorie di sviluppo psicomotorio, alle curve di crescita e all’esame neurologico, ha permesso di porre il sospetto di encefalopatia dello sviluppo con disturbi oculari nistagmiformi e, in seguito a esami mirati, di porre la diagnosi di sindrome di Aicardi-Goutières (AGS). Il caso descritto evidenzia l’importanza di una valutazione clinica globale e integrata, che coinvolga una stretta collaborazione tra pediatria territoriale, specialisti di settore e famiglia del paziente, come elemento cruciale per giungere a una diagnosi accurata di patologie complesse a bassa prevalenza.
S., 6 months old, comes to our attention for the first time at the primary care outpatient clinic, presenting from 2 months of age with a clinical picture of cervico-axial hypotonia with nystagmoid movements on the horizontal plane, startle episodes in response to mild sensory stimuli, and altered sleep-wake rhythm. A comprehensive analysis of the child’s situation, with particular attention to psychomotor development trajectories, growth curves, and neurological examination, raised the suspicion of developmental encephalopathy with ocular nystagmus disorders. Following the appropriate tests, a diagnosis of Aicardi-Goutières syndrome (AGS) was made. The case described highlights the importance of a comprehensive and integrated clinical evaluation, involving close collaboration between community paediatrics, specialist sectors, and the patient’s family, as a crucial element in reaching an accurate diagnosis of lowprevalence diseases.
La storia
S. è una bambina primogenita, nata a 41+1 settimane di gestazione da un parto eutocico. La gravidanza è trascorsa senza complicazioni, gli screening neonatali, inclusi quelli metabolici e le otoemissioni acustiche, non hanno rilevato anomalie. A circa due mesi di vita, i genitori hanno iniziato a notare un peggioramento del controllo posturale: la bambina faticava a sostenere il capo e appariva ipotonica, con una consistenza che loro stessi descrivevano simile a “un budino”. La piccola S.
non sorrideva, pur mostrando una buona capacità di fissare e seguire gli oggetti con lo sguardo. Inoltre erano presenti episodi di sussulto in risposta a stimoli sensoriali lievi. Pochi giorni dopo il richiamo vaccinale, i genitori hanno osservato la comparsa di movimenti oculari anomali, descritti come nistagmo, presenti sia nello sguardo verso destra che verso sinistra, con variazioni di intensità nel corso della giornata. Non sono stati riportati episodi febbrili o segni di irritabilità. S. era descritta come una bambina tranquilla, con pianti rari e solitamente legati alla fame. Il ritmo sonno-veglia risultava regolare, caratterizzato da un sonno continuativo notturno e numerosi riposini diurni.
Il percorso diagnostico
Abbiamo conosciuto S. a 6 mesi, in seguito alla decisione della famiglia di cambiare pediatra. Dall’insorgenza dei sintomi S. era stata indirizzata a un percorso diagnostico che prevedeva una valutazione oculistica e neuropsichiatrica infantile. Dalla prima era emerso un quadro di atrofia ottica peripapillare, più marcata nell’occhio sinistro; la seconda aveva rilevato un discreto controllo del capo, risposta adeguata agli stimoli acustici, sguardo prevalentemente orientato verso l’alto e a sinistra e la presenza di nistagmo orizzontale con movimenti rotatori. La motricità risultava ridotta, con pochi movimenti spontanei e un tono muscolare alterato: ipotonia cervicoassiale e ipertono agli arti superiori con riflessi vivaci.
Fig. 1. Esempio di flow-chart: “ipotonia del lattante”.
Gli esami diagnostici eseguiti includevano:
• Ecografia transfontanellare, risultata nei limiti della norma.
• Elettroencefalogramma (EEG), che ha mostrato un’attività cerebrale simmetrica e priva di anomalie epilettiformi.
• Indagini ematochimiche e metaboliche, che hanno escluso endocrinopatie congenite e disturbi metabolici.
• Esami infettivologici, che hanno escluso infezioni congenite.
A questo punto gli specialisti prevedevano l’esecuzione di una RMN encefalo. Per un probabile gap comunicativo, all’epoca i genitori non avevano ben compreso il programma previsto e le possibili ipotesi diagnostiche, con conseguente sviluppo di una sensazione di sconforto, smarrimento e confusione. Abbiamo conosciuto la famiglia in questo contesto, e il percorso diagnostico è stato ripreso con molteplici difficoltà. Per recuperare la distanza in cui ci siamo imbattuti sono stati necessari numerosi colloqui e molto lavoro di collaborazione con tutti gli specialisti coinvolti.
In questo momento critico, il ruolo del pediatra è diventato ancora più centrale poiché, oltre a sostenere la famiglia dal punto di vista emotivo, si è impegnato attivamente per riprendere l’iter diagnostico interrotto, ristabilendo i contatti con i neuropsichiatri infantili e organizzando il ricovero. La risonanza magnetica cerebrale ha evidenziato un ritardo nella mielinizzazione e un lieve ampliamento dei solchi cerebrali [1].
Alla luce di tali indagini, è stato possibile escludere, nell’ambito della diagnosi differenziale, malformazioni cerebrali maggiori, patologie epilettiche, disordini neuromuscolari primari, cause infettive acute, endocrinopatie e disturbi metabolici congeniti, concentrando il sospetto diagnostico su una malattia della sostanza bianca su base demielinizzante [Figura 1].
Nelle settimane successive, il pediatra ha mantenuto un contatto costante con la madre, sia telefonicamente sia in ambulatorio. È stato avviato un percorso di fisioterapia territoriale e psicomotricità per sostenere lo sviluppo motorio della bambina.
Tabella 1.
Cause Patologie
Genetiche Sindrome di Prader-Willi
Sindrome di Down
Sindrome di Aicardi-Goutières
Tossiche Avvelenamento da botulino
Neuromuscolari
La diagnosi
Nell’ambito del percorso di diagnosi differenziale è stato pertanto intrapreso il sequenziamento esomico completo (Whole Exome Sequencing, WES), con l’obiettivo di identificare una possibile eziologia genetica dell’ipotonia. L’indagine genetica ha permesso di identificare due mutazioni sul gene RNASEH2B, nello specifico c.392T>C p.(Leu131Pro) di origine materna e c.529 G>A p.(Ala177Thr) di origine paterna, confermando così l’ipotesi diagnostica. Sulla base di questi risultati, è stata posta la diagnosi di sindrome di Aicardi- Goutières (AGS), malattia genetica caratterizzata da alterazioni della sostanza bianca a patogenesi infiammatoria, coerente con i reperti clinico-radiologici precedentemente descritti [2].
L’identificazione di questa mutazione ha consentito di escludere altre patologie genetiche con manifestazioni simili, come le leucodistrofie su base metabolica o altre sindromi genetiche associate a ipotonia [Tabella 1].
La sindrome di Aicardi-Goutières è una rara encefalopatia genetica autosomica recessiva che colpisce prevalentemente il sistema nervoso centrale, spesso diagnosticata nei primi mesi di vita. Le mutazioni genetiche coinvolgono diversi geni che partecipano ai meccanismi di controllo della risposta immunitaria innata, in particolare quelli associati alla regolazione dell’interferone di tipo I [3].
La diagnosi si basa su un’attenta valutazione clinica, supportata da esami strumentali e test genetici. Nel caso della nostra bambina, il sospetto diagnostico è emerso a seguito della combinazione di sintomi neurologici progressivi, tra cui nistagmo, ipotonia e movimenti anomali [4].
Il decorso
Dopo la diagnosi, S. è stata indirizzata al centro specialistico dell’ospedale Buzzi di Milano, con un costante scambio di informazioni tra il pediatra e il team multidisciplinare. Il pediatra ha continuato a essere un riferimento saldo per la famiglia, garantendo un filo diretto con gli specialisti e offrendo un supporto emotivo costante.
Questa tabella integra i sintomi principali di ipotonia del lattante, per ciascuna patologia, fornendo un quadro più chiaro delle possibili manifestazioni cliniche.
Attualmente, la bambina mostra alcuni progressi, con un discreto controllo del capo e tentativi di reaching, sebbene con difficoltà nella prensione, soprattutto con l’arto sinistro. Si alimenta regolarmente, manifesta sorrisi frequenti e produce vocalizzazioni occasionali.
Il commento
Questo caso clinico evidenzia la complessità della diagnosi di patologie neurologiche rare e il ruolo cruciale del pediatra di famiglia non solo come clinico, ma anche come figura di riferimento e guida per le famiglie. Egli ha il compito di tradurre informazioni mediche complesse in un linguaggio comprensibile, accompagnare i genitori nelle scelte e creare una rete di contatti con gli specialisti, per garantire il miglior percorso di cura possibile. La comunicazione regolare tra i professionisti garantisce un accesso alle cure tempestive, unendo le competenze in maniera sinergica. Il pediatra di famiglia è il primo punto di riferimento per le famiglie e ha una visione “globale” del paziente, di fondamentale importanza soprattutto in caso di patologia complessa.
Che cosa abbiamo imparato L’esperienza di S. dimostra l’importanza di un approccio multidisciplinare e della comunicazione costante tra i professionisti della salute. La diagnosi tempestiva di patologie rare, come l’AGS, permette di fornire cure precoci e specifiche. Il pediatra sul territorio, con la sua visione d’insieme e la capacità di dialogare con tutte le figure coinvolte, ha avuto un ruolo chiave nell’assicurare una presa in carico efficace, mettendo al centro non solo la piccola paziente, ma anche la sua famiglia e accompagnandola in un percorso di consapevolezza e supporto. Nel caso della paziente in esame, la presentazione precoce
Syndromic games
18 SETTEMBRE 2025 (08.30-18.30)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
La formazione sulle malattie rare è uno degli obiettivi del Piano Nazionale Malattie Rare (PNMR). L’elevato numero delle singole malattie rare, la complessità che le caratterizza e il ridotto numero di casi, lo sviluppo esponenziale della genetica, i nuovi strumenti diagnostici e le nuove terapie richiedono uno sforzo delle Società Scientifiche per supportare la crescita professionale e le esperienze pratiche di tutte le figure professionali coinvolte nel percorso diagnostico assistenziale. Nello specifico è indispensabile favorire ed implementare il corretto orientamento dei pediatri di famiglia al sospetto di una malattia rara, all’idoneo utilizzo degli strumenti a disposizione per la diagnosi, alla adeguata comunicazione alle famiglie, alla tempestiva attivazione delle terapie, ed alla presa in carico olistica, specie nel caso di pazienti con condizioni ultra rare ad alta complessità assistenziale. La metodologia del “gioco a squadre” oltre a rendere più interattiva e coinvolgente la formazione, permette di elevare il coinvolgimento emotivo e promuovere lo spirito collaborativo, fondamentale nell’approccio alle malattie rare.
“Syndromic Games” è un progetto formativo ideato da Giuseppe Zampino.
09.20 - 08.30 INTRODUZIONE AI LAVORI Un saluto e buon lavoro (Stefania Manetti, Angelo Selicorni) ACP e Genetica clinica (Daniele De Brasi)
08.45 - 10.45 La Diagnostica in Genetica Clinica Anamnesi: Cosa chiedere e perché attraverso i casi clinici (Luigi Memo)
Test genetici: passato e futuro (Angelo Selicorni)
Lo screening allargato per le MME (Silvia Di Michele)
10.45 - 11.00 PAUSA CAFFÈ
11.00 - 12.15 Quadri clinici
Le 20 sindromi genetiche che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Roberta Onesimo)
Le 10 malattie metaboliche da non dimenticare (Silvia Di Michele)
12.15 - 13.30 Quiz sul programma del mattino con televoto
dei sintomi neurologici, associata alla presenza di nistagmo e ipotonia, ha sollevato il sospetto di una patologia neurodegenerativa. La diagnosi differenziale è stata inizialmente ampia, includendo diverse encefalopatie genetiche [5]. La presa in carico multidisciplinare, con un livello di coordinazione e comunicazione costante tra la pediatria del territorio e gli specialisti in neuropsichiatria infantile e neurologia pediatrica dell’ospedale Buzzi di Milano, è stata determinante nel raggiungimento di una diagnosi tempestiva e precisa per una patologia estremamente rara. La collaborazione stretta e continua tra i vari professionisti ha permesso di offrire un percorso di cura altamente personalizzato, assicurando interventi mirati e un supporto costante, essenziali per la gestione efficace della malattia. Questa strategia integrata rappresenta un esempio virtuoso di come la cooperazione tra discipline possa fare la differenza nella cura di condizioni complesse e rare.
2. Frémond ML, Hully M, Fournier B, et al. JAK Inhibition in Aicardi-Goutières Syndrome: a Monocentric Multidisciplinary Real-World Approach Study. J Clin Immunol. 2023 Aug;43(6):14361447.
3. Liu A, Songcheng Y. Aicardi-Goutières syndrome: A monogenic type I interferonopathy. Scand J Immunol. 2023 Oct;98(4):e13314.
4. Morton SU, Christodoulou J, Costain G, et al. Multicenter Consensus Approach to Evaluation of Neonatal Hypotonia in the Genomic Era: A Review. JAMA Neurol. 2022 Apr 1;79(4):405-413.
5. Younger DS. Neonatal and infantile hypotonia. Handb Clin Neurol. 2023:195:401-423.
13.30 - 14.30 Assemblaggio delle squadre e light lunch
14.30 - 15.30 La comunicazione della diagnosi e il counselling genetico (Luigi Memo e Giuseppe Zampino)
2 filmati differenti: comunicazione di una condizione rara e il counseling Debriefing comune
15.30 - 16.30 Il percorso assistenziale
Concetti base della pediatria della disabilità (Angelo Selicorni) Device respiratori: quali le nozioni che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Roberta Onesimo) Device gastro-nutrizionali: quali le nozioni che ogni pediatra dovrebbe conoscere (Elisa Mazzoni)
16.30 - 18.15 Tavoli pratici Prendere confidenza con i device * (Claudia Bonetti, Elisa Mazzoni, Francesca Meroni, Roberta Onesimo)
Casi assistenziali simulati (Luigi Memo, Angelo Selicorni, Giuseppe Zampino)
18.15 - 18.30 Debriefing comune e proclamazione della squadra vincitrice
€. 50,00 quota per chi segue anche il 37° Congresso nazionale ACP
La quota comprende la partecipazione ai lavori e l’attestato.
* Il costo è relativo all’iscritto al solo corso e che non prosegue la formazione con la partecipazione al congresso nazionale (19-20 settembre).
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:: Destinatari
Tutti, max 40 partecipanti (minimo 32)
:: Docenti del corso
Claudia Bonetti, Fisioterapista,SC Riabilitazione Generale e Neuromotoria ASST Lariana, Como
Daniele De Brasi, UOSD Genetica Medica, AORN Santobono Pausilipon, Napoli
Silvia Di Michele, Responsabile Sportello Malattie Rare e Metaboliche, UOC Pediatria, ASL di Pescara
Luigi Memo, Professore a.c. Genetica Medica, Università di Trieste
Stefania Manetti, Presidente Associazione Culturale Pediatri (ACP)
Elisa Mazzoni, Dirigente medico, Programma Bambino Cronico Complesso, Azienda USL di Bologna
Francesca Meroni, Infermiera SC di Pediatria, Centro fondazione Mariani per il Bambino fragile, ASST Lariana, Como
Roberta Onesimo, Direttore UOC Pediatria Generale, Fondazione Policlinico A Gemelli IRCCS, Roma Angelo Selicorni, Direttore SC di Pediatria, Centro fondazione Mariani per il Bambino fragile, ASST Lariana, Como Giuseppe Zampino, Responsabile Programma Malattie Rare, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, IRCCS, Roma
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La sindrome di Alagille: un pleiotropismo fenotipico
Carmen Campanile1 , Claudia Mandato2
1 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli studi di Salerno
2 Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università degli studi di Salerno
La sindrome di Alagille è una patologia multisistemica a trasmissione autosomica dominante associata a mutazione dei geni JAG1 e NOTCH2. Clinicamente si può presentare con una facies caratteristica in associazione al coinvolgimento di vari organi quali fegato, cuore, occhi, sistema scheletrico, reni e vasi sanguigni. La prevalenza stimata è di circa 1:30.000; tuttavia, vista l’elevata variabilità fenotipica e la mancata correlazione genotipo-fenotipo, è probabile che la sindrome sia ancora sottodiagnosticata. La colestasi grave e il prurito sono spesso le manifestazioni più debilitanti della sindrome di Alagille. Il trattamento prevede un approccio multidisciplinare che coinvolge figure quali epatologo, nutrizionista, nefrologo e cardiologo.
Alagille syndrome is an autosomal dominant multisystem disorder caused by mutations in the JAG1 and NOTCH2 genes. It can present with a characteristic facial appearance and involvement of organs like the liver, heart, eyes, skeleton, kidneys and blood vessels. Its estimated prevalence is around 1 in 30,000; however, due to high phenotypic variability and poor genotype-phenotype correlation, it is likely underdiagnosed. Severe cholestasis and itching are often the most debilitating manifestations. Treatment involves a multidisciplinary approach, including specialists such as hepatologists, nutritionists, nephrologists, and cardiologists.
Introduzione
La sindrome di Alagille è una patologia multisistemica a trasmissione autosomica dominante a penetranza ed espressività variabile, associata a mutazioni dei geni JAG1 e NOTCH2. Fu descritta per la prima volta nel 1969 dal medico francese Daniel Alagille in trenta pazienti colestatici con paucità dei dotti biliari intraepatici e, nel 50% dei casi, furono riconosciute manifestazioni extra-epatiche ricorrenti [1,2]. Prima dell’avvento della genetica molecolare, la diagnosi era stabilita in presenza di tre tra le cinque caratteristiche cliniche tipiche in associazione al riscontro bioptico di paucità dei dotti biliari, con una prevalenza stimata di circa 1:70.000 [1].
A oggi, grazie alle avanzate tecniche di diagnostica molecolare, la prevalenza stimata è di circa 1:30.000; tuttavia, vista l’elevata variabilità fenotipica, è probabile che la sindrome sia ancora sottodiagnosticata [1-3].
Clinica
È importante definire la variabilità fenotipica anche tra soggetti affetti dalla stessa mutazione genetica: sono in corso studi su geni modificatori coinvolti in questa sindrome per chia-
rire ulteriormente la relazione tra genotipo e fenotipo [2,4].
La sindrome coinvolge diversi organi, tra cui fegato, cuore, occhi, sistema scheletrico, reni, vasi sanguigni e prevede una facies caratteristica [Tabella 1]: tre criteri maggiori permettono la diagnosi clinica di sindrome di Alagille [1,2,5,6].
Tabella 1. Criteri rivisitati per la diagnosi di sindrome di Alagille
Criterio maggiore Manifestazione
Facies caratteristica Fronte ampia, occhi infossati, rime palpebrali oblique verso l’alto, orecchie prominenti, naso dritto con punta bulbosa e mento appuntito (facies triangolare)
Cuore Stenosi dell’arteria polmonare, atresia polmonare, difetto del setto atriale, difetto del setto ventricolare, tetralogia di Fallot
Fegato
Paucità dei dotti biliari interlobulari, colestasi
Scheletro Vertebre a farfalla, emivertebre
Rene Displasia renale
Occhio
Vasi
Embryotoxon posteriore, drusen, retinopatie
Aneurismi dei vasi intracranici, moyamoya, aneurismi dei vasi addominali
1. Almeno tre criteri maggiori sono necessari per la diagnosi clinica di sindrome di Alagille
2. La presenza della mutazione di JAG1 è diagnostica in presenza di anamnesi familiare di sindrome di Alagille, anche in assenza di tutti i criteri maggiori
3. Se c’è familiarità per sindrome di Alagille o mutazione genetica causativa della stessa, è necessario almeno un criterio maggiore per fare diagnosi.
Coinvolgimento epatico
L’interessamento epatico è comune, ma non sempre presente. La colestasi si riscontra in circa l’89% dei pazienti affetti da sindrome di Alagille, la paucità dei dotti biliari in circa il 75% [2]. Agli esami ematochimici si può osservare un incremento degli acidi biliari (e contestuale aumento della GGT e della fosfatasi alcalina per il danneggiamento dei colangiociti), iperbilirubinemia prevalentemente diretta e incremento dei valori del colesterolo totale [1]. L’accumulo di acidi biliari nel fegato determina un danno epatico progressivo che può esitare in fibrosi. La funzionalità di sintesi epatica è prevalentemente conservata. La coagulopatia che può manifestarsi è generalmente secondaria al malassorbimento delle vitamine liposolubili e si risolve con la supplementazione di vitamina K [1]. Il malassorbimento che ne risulta causa anche scarso accrescimento, osteopenia e aumentata incidenza di fratture. Il sintomo più debilitante è il prurito che generalmente compare dai sei mesi di vita; non sempre si associa a ittero e causa notevoli lesioni da grattamento (soprattutto a mani, piedi, orecchie e tronco) e disturbi del sonno. Altra manifestazione è la comparsa di xantomi, lesioni tipicamente indolori che compaiono sulle superfici estensorie delle mani, delle ginocchia e delle pieghe inguinali, secondarie all’ipercolesterolemia che raggiunge livelli notevoli. Alla biopsia epatica si riscontra paucità dei dotti biliari (assenza dei dotti biliari in più del 50% degli spazi portali, quando almeno dieci di essi sono stati esaminati). Il prurito intrattabile e l’insufficienza epatica rappresentano le cause principali di trapianto epatico [6].
Coinvolgimento cardiaco
Presente fino al 94% dei casi totali, i reperti che più frequentemente si associano alla sindrome di Alagille sono la stenosi del ramo dell’arteria polmonare (76%), la tetralogia di Fallot (12%) e, in misura minore, la stenosi aortica sopravalvolare [1,2].
Facies caratteristica
È presente nel 70-96% dei pazienti affetti [1]. Le caratteristiche includono un viso triangolare con fronte alta e prominente, mento appuntito, occhi infossati, ipertelorismo e naso dritto con punta bulbosa. Può essere difficile identificare queste caratteristiche fenotipiche nei neonati [2].
Coinvolgimento oculare
La presenza dell’embryotoxon posteriore è la più frequente manifestazione oculare (56-95%), pur non essendo patognomonica, in quanto presente sia nella popolazione non affetta sia in soggetti affetti da altre cromosomopatie [1,2,4]. Altri reperti sono i drusen del disco ottico e la retinite periferica [6].
Coinvolgimento osseo
L’anomalia più comunemente segnalata è la presenza di vertebre a farfalla, osservate nel 33-66% dei casi, formate dalla fusione incompleta dell’arco anteriore [2,4]. Generalmente interessa le vertebre toraciche. Non è però patognomonica della sindrome in quanto si riscontra anche in altre sindromi quali VACTREL e la sindrome di Kabuki.
Coinvolgimento renale
È più frequentemente descritto nei pazienti affetti da sindrome di Alagille con mutazione di NOTCH2, gene coinvolto in tutte le fasi di embriogenesi renale: più comunemente si osservano la displasia renale (59%), l’acidosi tubulare renale e il reflusso vescicoureterale [2,5,6].
Coinvolgimento vascolare
Sono riportate malformazioni vascolari a livello del sistema nervoso centrale, quali restringimento dell’arteria carotide interna, aneurismi della cerebrale media e dell’arteria basilare, malattia di Moyamoya. Alcuni esperti raccomandano l’esecuzione di una angio-RM encefalo a 8 anni e prima di qualsiasi intervento chirurgico maggiore [2].
Diagnosi
La sindrome di Alagille è una malattia autosomica dominante causata da mutazioni eterozigoti in uno dei due geni fondamentali della via di segnalazione di Notch, JAG1 e NOTCH2. La via di segnalazione di Notch è un sistema altamente conservato che coinvolge cinque ligandi transmembrana (tra cui JAG1) che legano i quattro recettori Notch (tra cui NOTCH2), espressi su una cellula adiacente. In risposta a questa interazione il recettore Notch subisce un evento di scissione proteolitica che rilascia un peptide intracellulare che trasloca nel nucleo e regola la trascrizione genica coinvolta nell’organogenesi [7]. L’espressione di JAG1 è necessaria per la formazione del dotto biliare e ha un ruolo nell’angiogenesi. I segnali NOTCH2 sono importanti per la differenziazione degli epatoblasti in cellule epiteliali biliari e per la loro sopravvivenza, per l’angiogenesi, per la formazione glomerulare e per la differenziazione dei cardiomiociti [1,2,5,6]. Mutazioni nel gene JAG1 sono generalmente troncamenti proteici, delezioni genetiche e mutazioni missenso [2,7]. In casi molto più ristretti, si ha una microdelezione nella regione 20p12 che comprende JAG1, da sospettare soprattutto in individui con ritardo dello sviluppo psicomotorio, disturbo dello spettro autistico e disturbi dell’udito [7].
Nel 3,2% degli individui con diagnosi clinica di sindrome di Alagille non si riscontra una variante patogenetica [3,7].
Nei pazienti con sospetta diagnosi di sindrome di Alagille la valutazione iniziale dovrebbe includere [Tabella 2]:
• test di funzionalità epatica;
• esami strumentali tra cui ecografia addome completo, ecografia cardiaca, radiografia della colonna vertebrale, biopsia epatica;
• valutazione oculistica;
• valutazione nutrizionale;
• indagini genetiche.
Tabella 2. Valutazione dei pazienti con sospetta sindrome di Alagille [1,2,5]
Esame obiettivo
Facies tipica, ittero, xantomi, lesioni da grattamento
Test di funzionalità epatica Bilirubina totale e frazionata, acidi biliari, colesterolo totale, trigliceridi, AST, ALT, GGT, profilo coagulativo
Test di funzionalità renale
Valutazione nutrizionale
Creatininemia, azotemia
Vitamine D, E, K, A prealbumina, transferrina, proteina legante il retinolo
Valutazione oculistica Embryotoxon, retinopatia
Ecografia addome completo Valutazione organi ipocondriaci
Ecografia cardiaca Ipoplasia/stenosi arteria polmonare; tetralogia di Fallot
La colestasi grave e il prurito sono spesso le manifestazioni più debilitanti della sindrome di Alagille. Il trattamento prevede un approccio multidisciplinare che coinvolge figure quali epatologo, nutrizionista, nefrologo e cardiologo.
1. Valutazione nutrizionale
La malnutrizione nel bambino con colestasi è determinata da:
• compromissione dell’assorbimento e della digestione dei nutrienti (è compromesso soprattutto l’assorbimento degli acidi grassi a catena lunga, LCT). In questo caso gli acidi grassi a catena media (MCT), non richiedendo l’emulsione con gli acidi biliari per poter essere assorbiti, possono rappresentare una buona fonte energetica;
• ridotto introito dei nutrienti dovuto alle alterazioni della fisiologia dell’alimentazione (la presenza costante di prurito costituisce un ulteriore elemento di fastidio e di distrazione dal cibo);
• aumento della spesa energetica di circa il 40% a causa delle ridotte riserve energetiche.
È necessaria una presa in carico nutrizionale per garantire un apporto calorico giornaliero pari a 130 kCal/kg/die, assicurando la supplementazione di vitamine liposolubili [Tabella 3].
Tabella 3. Gestione nutrizionale della colestasi nella sindrome di
Supplementazione vitamine liposolubili
Vitamina D
Vitamina A
Vitamina E
Vitamina K
Fabbisogno calorico giornaliero
Minerali
Calorie
Carboidrati
Lipidi totali/MCT
PUFA
Proteine
BCAA
Calcio
Selenio
Zinco
Fosforo
[8;9]
Colecalciferolo 1200-8000 UI/die
Calcitriolo 0,05-0,20 µg/kg/die
< 10 kg 5000 U/die
> 10 kg 10.000 U/die
α-tocoferolo acetato 25-200 UI/kg/ die
TPGS: 15-25 UI/kg/die per os 2-5mg/die (in base a INR)
130-180% del fabbisogno
45-60% calorie totali (da preferire maltodestrine e amidi)
30-50% calorie totali di cui 30-70% MCT
> 10% quota lipidica
2-3 g/kg
Presenti in alcune formule speciali per patologia
25-100 mg/kg
1-2 μg/kg
1 mg/kg
250-500 mg/kg
TGPS: tocopheryl polyethylene glycol 1000 succinato; MCT: trigliceridi a catena media; PUFA: acidi grassi polinsaturi; BCAA: aminoacidi a catena ramificata.
2. Il prurito
Il prurito colestatico nella sindrome di Alagille è dovuto in gran parte agli elevati livelli sierici di acidi biliari; compromette notevolmente la qualità della vita e porta al trapianto di fegato nel 69% dei pazienti affetti [10].
• Acido ursodesossicolico (UDCA): 13-15mg/kg/die. Stimola l’escrezione degli acidi biliari all’esterno dell’epatocita attraverso l’up regulation di BSEP e MRP2; ha un effetto antiapoptotico per inibizione della caspasi 8 intraepatocellulare; stimola la secrezione di bicarbonato; riduce la citotossicità della bile rendendola meno idrofobica, meno litogena; riduce il pool degli acidi biliari per un legame competitivo con IBAT (ileal bite acid transporter) [11].
• Altri farmaci sintomatici: colestiramina, fenobarbital, rifampicina, naltrexone, antistaminici.
• Maralixibat: è un inibitore del trasportatore intestinale di acidi biliari (IBAT) e può essere utilizzato per ridurne l’accumulo, interrompendone la ricaptazione ileale [Figura 1]. Gli studi registrativi ne hanno valutato l’efficacia in pazienti con colestasi e prurito severi [12,13]. Il farmaco si è dimostrato sicuro ed efficace nel trattamento del prurito e della colestasi nella sindrome di Alagille che
rappresentano insieme un forte determinante di qualità di vita e delle indicazioni al trapianto epatico in questi pazienti [13].
Il trial clinico dell’uso del maralixibat nei pazienti affetti da sindrome di Alagille (ICONIC: NCT02160782) randomizzato, controllato con placebo, ha dimostrato un significativo miglioramento del prurito [13]. L’84% dei pazienti ha manifestato una risposta al prurito entro le prime 48 settimane di trattamento, nonché una significativa diminuzione degli acidi biliari sierici. Questi effetti sono stati mantenuti nel tempo nei pazienti che hanno continuato il trattamento con maralixibat fino a 204 settimane [13]. Inoltre, sono stati osservati miglioramenti nella crescita, negli xantomi e nella qualità della vita rispetto al placebo [13]. Uno studio multicentrico italiano (11 centri), osservazionale, prospettico/retrospettivo, ha evidenziato una riduzione degli acidi biliari significativa già a 3 mesi dall’inizio del trattamento. A 6 mesi il 70% aveva una riduzione ≥25% e una riduzione netta del prurito a 3, 6 e 12 mesi dall’inizio del trattamento [14]. La congrua riduzione dei valori degli acidi biliari durante il trattamento potrebbe avere un effetto favorevole sull’evoluzione fibrotica dell’epatopatia. Gli effetti indesiderati sono rari, transitori o reversibili con l’interruzione della terapia. La dose target raccomandata è di 380 μg/kg una volta al giorno. La dose iniziale è di 190 μg/kg una volta al giorno e deve essere aumentata a 380 μg/kg una volta al giorno dopo una settimana. Gli studi clinici mostrano che il maralixibat è ben tollerato, senza complicanze gastrointestinali. È stato osservato un aumento degli enzimi epatici, coerente però con le normali fluttuazioni segnalate nella sindrome di Alagille [15].
• Odevixibat: è un altro inibitore del trasporto degli acidi biliari la cui approvazione per la sindrome di Alagille è basata sui dati della sperimentazione clinica di fase III ASSERT, in cui il trattamento con il farmaco ha dimostrato miglioramenti statisticamente e clinicamente significativi in merito al sintomo del prurito rispetto al placebo, miglioramenti che sono stati osservati rapidamente e che si sono mantenuti per tutto il periodo dello studio. Nei pazienti trattati con odevixibat è stata anche evidenziata, rispetto al placebo, una riduzione statisticamente significativa della concentrazione sierica degli acidi biliari. L’incidenza complessiva degli eventi avversi emersi dal trattamento con odevixibat è stata simile a quella del placebo. La reazione avversa più comunemente segnalata nei pazienti trattati con il farmaco è stata la diarrea [16].
Figura 1. Maralixibat: meccanismo d’azione.
Alagille
Conclusioni
La sindrome di Alagille è una malattia multisistemica a trasmissione autosomica dominante dovuta a mutazioni di JAG1 o NOTCH2. La gestione della sindrome prevede una stretta collaborazione tra figure professionali multidisciplinari. L’uso del maralixibat ha contribuito a migliorare la qualità di vita di questi piccoli pazienti che a volte ricorrono al trapianto epatico per prurito intrattabile, in aggiunta ai farmaci tradizionali quali l’UDCA.
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carmencampanile.96@gmail.com
Impariamo la lettura critica: a scuola di journal club
18 SETTEMBRE 2025 (10.00-19.00)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
10.00 - 10.30 Presentazione corso (introduzione della lettura critica) e partecipanti
10.30 - 11.45 Lavori di gruppo: riassunto e commento dell’articolo
11.45 - 12.00 Pausa caffè
12.00 - 13.30 Presentazione del lavoro di gruppo e discussione
13.30 - 14.30 Pranzo
14.30 - 15.15 Condivisione e correzione delle schede
E ora la pratica…
15.15 - 15.30 Le caratteristiche del JC
15.30 - 16.00 Pianificazione del JC
16.00 - 16.15 La leadership
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17.00 - 17.45 La newsletter pediatrica: com’era, com’è e come può diventare
17.45 - 18.45 Valutazione in un JC: cosa valutare, le prove di efficacia, il cambiamento nella pratica professionale
18.45 - 19.00 Saluti e presentazione di webinar
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Il corso “Impariamo la lettura critica: a scuola di journal club” ha come finalità quello di fornire le basi per imparare a valutare con metodo sistematico qualunque produzione scientifica, per arrivare a impostare correttamente un journal club. Il corso costituisce la prima parte di una formazione più ampia, che prevederà degli appuntamenti nei mesi successivi, svolti come incontri online. Per chi sarà interessato, verrà poi data la possibilità di partecipare alla Newsletter pediatrica di ACP.
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L’iscrizione è gratuita e dovrà pervenire entro il 30 giugno 2025
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:: Destinatari
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Antonio Clavenna, Responsabile, Laboratorio di Epidemiologia dell’Età Evolutiva. Dipartimento di Epidemiologia Medica
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
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Impatto del nirsevimab sui ricoveri per bronchiolite da VRS
2 Scuola di specializzazione in Pediatria, Università degli studi di Bologna
3 UO Malattie Infettive Pediatriche, Ospedale Giovanni XXIII, Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari
4 UOC Pediatria, Ospedale S. Spirito, Azienda Sanitaria Locale Pescara
La recente disponibilità in ambito nazionale del nirsevimab, anticorpo monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale (VRS), ha consentito di disegnare un programma di profilassi universale in epoca neonatale con l’obiettivo di modificare l’epidemiologia dell’infezione da VRS in età infantile. La campagna di immunizzazione è stata tuttavia avviata con tempi e modalità molto difformi a livello regionale. Dall’analisi dei ricoveri per VRS, nelle stagioni epidemiche 2023-2024 e 2024-2025, in tre reparti pediatrici situati in tre Regioni differenti, abbiamo cercato di tracciare un primo bilancio dell’impatto che l’impiego del nirsevimab ha avuto sulle ospedalizzazioni nel recente periodo epidemico.
The recent national availability of nirsevimab, a monoclonal antibody against the respiratory syncytial virus (VRS), prompted to design a universal prophylaxis programme in the neonatal period, with the aim of changing the epidemiology of VRS infection in infancy. However the immunisation campaign was, launched with very different timing and modalities at regional level. By analysing hospitalisations for VRS, in the 2023-2024 and 2024-2025 epidemic seasons, in three paediatric wards located in three different regions, we attempted to draw an initial balance of the impact that the use of nirsevimab had on hospitalizations in the recent epidemic period.
La recente disponibilità e commercializzazione del nirsevimab, un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina F di fusione del virus respiratorio sinciziale (VRS), ha aperto nuove prospettive nella profilassi della bronchiolite, una delle più comuni malattie respiratorie acute dell’infanzia. Le prime esperienze sul suo impiego durante la stagione 2023-2024 in diversi Paesi (USA, Francia, Spagna, Lussemburgo), ne hanno confermato l’efficacia sia nella prevenzione della malattia respiratoria sia nella riduzione dei ricoveri e delle forme più impegnative di bronchiolite [1-6]. Una campagna di immunizzazione con nirsevimab, condotta in Spagna su oltre 10.000 neonati e lattanti, ha dimostrato un’efficacia del 82% nel prevenire il ricovero per infezione respiratoria da VRS e dell’86,9% nel prevenire le forme più gravi con necessità di ossigenoterapia [2].
Un altro studio spagnolo che ha coinvolto oltre 15.000 neonati nel periodo epidemico 2023-2024, ha dimostrato che la profilassi con nirsevimab è stata in grado di ridurre del 74% l’ospedalizzazione e dell’85% il ricovero in terapia intensiva nei bambini di età inferiore a 6 mesi con bronchiolite da VRS [7]. In Italia, l’unica Regione a sperimentare estensivamente l’uso del nirsevimab nella stagione 2023-2024 è stata la Valle d’Aosta: il rischio di ospedalizzazione per VRS dall’inizio della stagione epidemica fino al 15 febbraio 2024 nella coorte oggetto dello studio è stato del 3,2%, in contrasto con la prevalenza del 7% osservata nella stagione epidemica 2022-2023 [8]. Dopo l’inizio della campagna di profilassi con nirsevimab, il rischio di ospedalizzazione per bronchiolite da VRS tra i bambini che non avevano aderito alla profilassi è stato dell’8,3%. Nessuno dei 369 neonati immunizzati con il nirsevimab è stato ricoverato per infezione da VRS. Di conseguenza, la Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 17 ottobre 2024, ha fornito le prime indicazioni per realizzare un programma di profilassi contro il VRS che raggiungesse tutti i nuovi nati sul territorio nazionale, a partire da novembre 2024, richiamando altresì i nati nei 100 giorni precedenti e includendo (come già precedentemente fatto con il palivizumab) i soggetti di età inferiore a 24 mesi affetti da specifiche fragilità di salute [9]. Inizialmente il nirsevimab era stato classificato in fascia C, quindi extra-LEA, escludendo di fatto la possibilità di acquisto da parte delle Regioni in piano di rientro economico. In seguito all’evidenza del grande impatto che ha avuto la campagna di profilassi attuata in altri stati, è stato riclassificato in fascia A, quindi universalmente gratuito e disponibile per tutte le Regioni. In successione, le Regioni hanno avviato le procedure per l’acquisizione del monoclonale riuscendo, peraltro, a organizzarne la somministrazione universale con tempi e modalità molto difformi [10].
I primi dati da noi raccolti in tre centri pediatrici, afferenti ciascuno a una diversa Regione, ci hanno consentito di avere un quadro aggiornato, quasi in tempo reale, dell’impatto che il nirsevimab ha avuto sulla recente stagione epidemica di bronchiolite da VRS.
Pazienti e metodi
I centri coinvolti nella raccolta dei dati sono situati in tre Regioni differenti: Bari/Puglia (centro 1), Forlì/Emilia-Romagna (centro 2) e Pescara/Abruzzo (centro 3); due (centri 2 e 3) sono reparti di pediatria situati in ospedali generali e uno è un reparto specialistico di infettivologia pediatrica. Sono stati considerati tutti i bambini di età inferiore a 12 mesi ricoverati con un quadro clinico di bronchiolite dal 1° novembre al 15 marzo nei periodi 2023-2024 e 2024-2025.
Oltre ai dati anagrafici fondamentali, sono stati raccolti: la positività per VRS (ottenuta mediante PCR su tampone nasale), la necessità di supporto di ossigeno a basso flusso, ad alto flusso (HFNC) e, per il centro di Forlì, di C-PAP, il ricorso al trasferimento in terapia intensiva, e l’avvenuta profilassi con nirsevimab.
Il confronto tra i gruppi è stato fatto, quando indicato, mediante il test esatto di Fisher e il test U di Mann-Whitney, con livello di significatività per p<0.05.
Risultati
Nel corso della stagione epidemica 2024-2025, nei centri 1 e 2 appartenenti a regioni (Puglia ed Emilia-Romagna) nelle quali la campagna di profilassi con nirsevimab nei nuovi nati è stata avviata dal mese di novembre 2024, si è registrata una riduzione del numero dei casi di bronchiolite da VRS rispetto alla corrispondente stagione 2023-2024 [Tabella 1]. Nel centro 1 la riduzione dei casi è stata del 78,6% (p=0.002), mentre nel centro 2 è stata pari al 62,8% (p=0.05). Sostanzialmente invariato è stato il numero dei casi non-VRS in entrambi i centri. Nel centro 3, nel quale la somministrazione del nirsevi-
Tabella 1. Dati clinici relativi ai pazienti con bronchiolite da VRS e non-VRS osservati nei tre centri nelle stagioni 2023-2024 e 2024-2025
VRS 2023-2024 n (%)
VRS 2024-2025 n (%) non-VRS 2023-2024 n (%) non-VRS 2024-2025 n (%)
2024-2025 vs 2023-2024: *p=0.002; #p=0.05; § p=0.001. 2023-2024 VRS vs 2024-2025 VRS: $p=0.02; &p=0.01.
mab è stata posticipata a gennaio, si è verificato un incremento (+9%) del numero dei casi di VRS e una diminuzione (-79,2%) delle bronchioliti non-VRS (p=0.001).
Nel centro 1, si è rilevata una riduzione, per quanto non significativa (p=0.16), nell’uso di HFNC nei pazienti con VRS appartenenti al gruppo 2024-2025, riduzione che è stata più evidente (p=0.02) nel centro 2 (HFNC/C-PAP). Nel centro 3, l’impiego di HFNC è rimasto sostanzialmente invariato ma più elevato – in entrambi i periodi (83,1% e 80,9% rispettivamente) – rispetto ai centri 1 e 2, mentre è cresciuta significativamente (p=0.01) la percentuale di bambini con VRS che ha richiesto il ricovero in terapia intensiva nel corso della stagione 2024-2025.
In tutti i tre centri si è osservato un piccolo numero di bambini che hanno sviluppato una bronchiolite da VRS nonostante avessero ricevuto la profilassi con nirsevimab: 5/12 nel centro 1, 3/16 nel centro 2 e 3/84 nel centro 3 (che, tuttavia, aveva avviato la profilassi universale solo a gennaio 2025). In tutti gli altri casi di bronchiolite da VRS, si è trattato di bambini che non avevano ricevuto la profilassi perché nati precedentemente alla data di avvio del reclutamento o perché i genitori avevano negato il consenso.
Nei centri 1 e 2, l’età mediana dei pazienti ricoverati con VRS è risultata leggermente (anche se non significativamente) più elevata, nel periodo 2024-2025 rispetto al precedente [Tabella 2]. Questo, verosimilmente, per la protezione offerta dall’immunoprofilassi nei nuovi nati e nei lattanti più piccoli. Anche la du-
12 (37,5) 6 (50)
(23,8) 3 (12,5) 2 (8,3) 19 (79,2) 1 (4,2)
(62,5) 13 (65) 5 (25) 2 (10)
(15)
(62,5)
(50)
(62,5)
(20)
rata del ricovero, in questi pazienti, non ha subito significative modificazioni, pur confermandosi una lieve, ulteriore, riduzione della già breve degenza mediana nel centro 2. Nessuna variazione di età e durata della degenza per il centro 3.
Nella Figura 1 è sintetizzato l’andamento mensile dei ricoveri per bronchiolite da VRS e non-VRS in ciascuno dei tre centri nei periodi 2023-2024 e 2024-2025. Appare evidente che nel centro 3 l’andamento dei ricoveri per VRS nella stagione 2024-2025 è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al periodo precedente. Al contrario, le frequenze osservate nei centri 1 e 2 confermano la significativa variazione nell’epidemiologia dei ricoveri per VRS, indotta dalla profilassi con nirsevimab, nella stagione 2024-2025. Il numero dei ricoveri per bronchiolite non-VRS è risultato sovrapponibile per numero e andamento temporale nei centri 1 e 2, mentre ha mostrato una tendenza alla riduzione nel centro 3. Tra i bambini ricoverati per bronchiolite non-VRS nei centri 1 e 2, il 15% e il 62,5% rispettivamente erano stati trattati con nirsevimab, mentre nessuno di quelli ricoverati nel centro 3 aveva ricevuto il nirsevimab.
Discussione
L’appartenenza dei tre centri di pediatria a tre Regioni differenti ci ha consentito di valutare l’impatto che tempi diversi di attivazione delle rispettive campagne di immunizzazione hanno avuto sull’epidemiologia locale dei ricoveri per bronchiolite da VRS nella stagione 2024-2025. In due centri (Ba-
Tabella 2. Dati relativi ai pazienti ricoverati nei tre centri per bronchiolite da VRS, nei periodi 2023-2024 e 2024-2025. I dati sono espressi come mediana e intervallo interquartile
*Differenze tra 2023-2024 e 2024-2025, tutte non significative.
Figura 1. Andamento del numero di ricoveri per bronchiolite da VRS e non-VRS nei tre centri, nel periodo 1° novembre-15 marzo delle stagioni 2023-2024 e 2024-2025.
Centro 1 = Bari; centro 2 = Forlì; centro 3 = Pescara.
ri-Puglia e Forlì-Emilia Romagna) la somministrazione del nirsevimab ai nuovi nati è stata avviata all’inizio di novembre 2024, con un’adesione molto elevata (85-90%). In Puglia sono stati altresì richiamati per eseguire la profilassi i nati da luglio a ottobre, mentre in Emilia-Romagna sono stati richiamati i nati di settembre-ottobre. In Abruzzo, la disposizione regionale impartita solo a fine dicembre ha determinato il posticipo dell’inizio della campagna di immunizzazione dopo la prima settimana di gennaio 2025 (con progressivo richiamo dei nati in dicembre), a epidemia già in corso di espansione. I primi dati raccolti a Bari e a Forlì, nel periodo tra novembre 2024 e gennaio 2025, ci avevano già fatto intuire che la profilassi con nirsevimab in tutti i nuovi nati avesse la capacità di modificare significativamente l’epidemiologia delle forme più impegnative di bronchiolite da VRS che richiedono il ricovero, un supporto respiratorio o un trattamento intensivo [dati personali]. L’estensione dell’osservazione al 15 marzo 2025 conferma che l’avvio della somministrazione del nirsevimab all’inizio della stagione 2024-2025 ha complessivamente ridotto del 72% il numero dei lattanti con bronchiolite da VRS ricoverati nei reparti pediatrici di Bari e Forlì. Da questo punto di vista, il centro di Pescara ha funzionato come gruppo di “controllo”, mostrando un andamento epidemiologico del tutto sovrapponibile (+9%) a quello della stagione 2023-2024,
risultando sostanzialmente ininfluente l’avvio tardivo della campagna di immunizzazione a epidemia ormai conclamata e prossima al naturale esaurimento.
Complessivamente, nei centri di Bari e Forlì si è assistito a un minore ricorso al supporto respiratorio nel periodo 20242025 rispetto al periodo 2023-2024 (p=0.013), senza alcuna necessità di trasferimento in terapia intensiva. Al contrario, del tutto sovrapponibile nei due periodi considerati, il ricorso al supporto respiratorio nel centro di Pescara, con un significativo (p=0.01) incremento della necessità di assistenza intensivistica nel corso della stagione 2024-2025.
Conclusioni
Questa prima osservazione, fatta quasi “in tempo reale”, appare confermare l’efficacia della profilassi con nirsevimab, estensivamente applicata a tutti i neonati, nel ridurre le ospedalizzazioni per bronchiolite da VRS. Il primo anno di applicazione sul territorio nazionale ha purtroppo comportato, in alcune Regioni, ritardi nell’approvvigionamento del farmaco e, di conseguenza, nell’avvio della campagna di immunizzazione. L’esperienza e i dati raccolti “sul campo” in un più ampio ambito nazionale dovrebbero dirci, entro pochi mesi, con quale strategia affrontare – ancor più efficacemente ed equamente – la prossima stagione autunno-invernale, con il ragionevole obiettivo di abbattere ulteriormente l’impatto epidemiologico del VRS.
Bibliografia
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1 Già ordinario di Pediatria, Università Tor Vergata, Roma
2 Già responsabile della Struttura Complessa di Pediatria, Ospedale di Narn e Ospedale di Spoleto (USL Umbria 2)
3 UOC Pediatria Ospedale S. Eugenio, Roma
Michele viene inviato dal pediatra curante all’età di 11 anni e 5 mesi anni per micropene e criptorchidismo bilaterale. L’anamnesi familiare è negativa: in particolare non risultano parenti con malformazioni, disturbi puberali, anomalie scheletriche. Michele è secondogenito, il fratello di 8 anni è in buona salute. La gravidanza è decorsa normalmente; parto eutocico; normali i primi atti di vita.
Alla nascita è stato riscontrato micropene e testicoli non palpabili bilateralmente nello scroto e nel canale inguinale. Cariotipo 46, xy. Un mese prima della programmazione dell’intervento chirurgico per criptorchidismo bilaterale, è stato praticato il test di funzionalità testicolare con gonadotropina corionica (hCG) che ha dimostrato l’assenza funzionale della componente endocrina del testicolo.
All’età di 1 anno e mezzo durante l’intervento, i due testicoli sono stati trovati all’anello inguinale interno fortemente ipoplasici con completa dissociazione didimo-epididimo: non è stato possibile posizionarli nello scroto. All’età di 2 anni i bassi valori, sia di inibina B 2,2 pg/ml (v.n. 4-252) che di AMH 0,42 ng/ml (v.n. 3,8-160), indicavano insufficiente funzionalità delle cellule testicolari di Sertoli. Anche l’ecografia scrotale e della regione inguinale bilaterale non evidenziava formazioni sicuramente riferibili a testicoli. Pertanto, all’età di 4 anni, alla conclusione del follow-up, è stata formulata dai chirurghi la diagnosi di “atrofia testicolare bilaterale” con il programma di “praticare in età puberale la terapia sostitutiva con testosterone (T) e inserire le protesi testicolari”.
All’età di 8 anni poiché il pene era di piccole dimensioni (cm 3,5) sono state praticate 2 dosi di 25 di T i.m.; al controllo la lunghezza del pene era di 4,5 cm.
Al nostro controllo, età 11 anni e 5 mesi, le condizioni generali e di nutrizione erano buone, sviluppo intellettivo soddisfacente, aspetto armonico, regolare accrescimento staturo-ponderale, in assenza di dismorfie o di anomalie corporee. L’esame dei vari organi e apparati era nella norma, l’aspetto completamente prepubere, pubarca assente, testicoli non palpabili nello scroto e nel canale inguinale bilateralmente, pene di normali dimensioni (in quanto precedentemente trattato con T).
Micropene e criptorchidismo bilaterale nel maschio 46, xy
Come procedere?
Si devono anzitutto escludere alcune sindromi malformative. Note dismorfiche, ipotonia marcata, mani e piedi piccoli ed eccesso di peso orientano verso la sindrome di Prader-Willi. Note dismorfiche, pterigium colli, torace carenato e stenosi della polmonare si riscontrano nella sindrome di Noonan. Macroglossia, gigantismo, visceromegalia, età ossea accelerata sono le principali caratteristiche della sindrome di Beckwith.
Escluse queste sindromi, l’orientamento è verso un ipogonadismo congenito da deficit di gonadotropine (Gn) oppure di ormoni testicolari.
Fanno parte della prima condizione la forma isolata non organica di ipogonadismo ipogonadotropinico (II) e la sindrome di Kallmann (SK), mentre l’ipogonadismo gonadico (IG) congenito si osserva nella “sindrome da regressione testicolare embriogenetica” (definita anche “agenesia gonadica xy”) che nel 20% dei pazienti è associata alla mutazione del gene DHX37.
Poiché nel periodo prepuberale, a eccezione del primo anno di vita, l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi è in stato di quiescenza, sia nel bambino sano sia in quello con ipogonadismo congenito (sia II o IG), la diagnosi differenziale tra le due forme di ipogonadismo non è possibile. Le anomalie dei genitali esterni, infatti, sono identiche e i valori basali di T, inibina B, AMH, Gn e di Gn dopo stimolo con GnRH sono di tipo prepuberale in entrambe le forme. Solo il riscontro dell’anosmia potrebbe indirizzare verso la SK, ma in genere questo dato anamnestico non viene ricercato. Al contrario, la diagnosi differenziale è possibile nel periodo puberale quando l’adolescente ha una età cronologica di perlomeno 14 anni e l’età ossea ha raggiunto 1213 anni, età che è stata definita “soglia puberogena “ in quanto fisiologicamente coincide con l’inizio della pubertà. Un T <20-30 ng/dl, valori prepuberali di inibina B e soprattutto di Gn basali <0,3 mU/ml e <5 mU/ml dopo stimolo con GnRH indicano un II.
In realtà l’origine ipofisaria o testicolare dell’ipogonadismo congenito nel lattante con microrchidia e criptorchidismo può essere identificata anche nel periodo della minipubertà (tra 2 e 6 mesi di età); infatti, specie nel 2° e 3° mese di vita, bassi valori di T e di LH indicano l’origine ipogonadotropinica delle anomalie genitali, mentre T basso e LH elevato quello gonadico. Purtroppo questi accertamenti vengono raramente effettuati e il problema diagnostico è affrontato solo nell’età puberale.
Torniamo al nostro caso
All’età 12 anni e 8 mesi, l’aspetto del bambino era ancora del tutto prepuberale, con dimensioni del pene ai limiti bassi della norma e testicoli non palpabili. L’età ossea era intorno a undici anni.
Tutti i valori di laboratorio indicavano uno stato prepuberale: T 7 ng/dl (v.n. <20) LH 0,1 mU/ml (v.n. 0,1-03), inibina B 2,2 pg/ml (v.n. 4-252 pg/ml), AMH 0,42 ng/ml (v.n. 3,8-8,9), α-fetoproteina e hCG nella norma. Alla visita successiva (14 anni e 5 mesi) è risultato un dato anamnestico sfuggito nelle precedenti visite: alla nostra diretta richiesta Michele ha risposto che da sempre non percepiva alcun odore e l’anosmia veniva confermata dal test olfattometrico.
Raggiunta l’età ossea di 12 anni e 6 mesi abbiamo rivalutato la situazione endocrina. I valori basali di T (<20 ng/dl), LH (0,2 mU/ml) e inibina B (4 pg/ml) risultavano prepuberali; inoltre l’LH non subiva alcun aumento al test di stimolo con GnRH: si confermava così l’origine ipogonadotropinica dell’ipogonadismo congenito. L’α-feto-proteina e hCG risultavano sempre nella norma.
Poiché l’associazione di micropene-microrchidia, ipo/anosmia e II si osserva tipicamente nella SK, abbiamo richiesto la RM encefalo che dimostrava l’assenza dei bulbi olfattori a conferma del sospetto clinico di SK. Michele ha iniziato una terapia con T percutaneo (10 mg/die) che ha migliorato le dimensioni del pene, delle masse muscolari e della peluria pubica.
La ricerca di quelle malformazioni che possono associarsi alla SK [Tabelle 1-2] è risultata negativa. La risposta genetica, pervenutaci dopo circa 9 mesi, non evidenziava la mutazione di geni conosciuti come responsabili della SK, tuttavia la mancata identificazione non escludeva la possibile origine genetica della SK diagnosticata clinicamente.
La sindrome di Kallmann nel maschio
La SK (prevalenza 1:8000-10.000) è una condizione clinicamente e geneticamente molto eterogenea. Sono coinvolti diversi geni che impediscono a vari livelli la migrazione embriogenetica dei neuroni olfattori e dei neuroni GnRH dal placode olfattivo che, via prosencefalo, raggiungono l’ipotalamo. L’assenza nell’ipotalamo dei neuroni olfattori spiega la ipo/anosmia, quella dei neuroni GnRH (ormone ipotalamico che stimola le Gn ipofisarie) l’II.
La trasmissione può essere X-linked, recessiva, autosomica dominante, autosomica recessiva, ma molti casi sono sporadici quasi sempre senza riscontro di anomalie geniche. Nell’anamnesi familiare vi sono spesso familiari con “ritardo costituzionale di crescita e pubertà”, criptorchidismo, ipo-anosmia isolata o II normosmico.
Il fenotipo della SK è molto variabile: può essere presente l’anosmia con le anomalie dei genitali limitate al criptorchidismo o al micropene, oppure associate con ulteriori anomalie corporee (indicate nella Tabella 1). Circa 1/3 dei pazienti può avere uno sviluppo parziale dei caratteri sessuali puberali e infertilità per una forma attenuata di GnRH deficienza.
Tabella 1. Possibili anomalie nella sindrome di Kallmann Volto Fessurazione della labbra e del palato, agenesia dei denti, iperteleorismo
Mani Sindattilia, clinodattilia, campodattilia
Sordità neuro-sensoriale
Difetti neurologici Sincinesia bimanuale, anomalie dell’oculomotore e atassia cerebellare
Anomalie renali
Le forme della SK sono:
1. SK classica X-linked da mutazione del gene ANOS1 (KAL1) localizzato nella regione Xp22.3;
2. SK da mutazione di geni autosomici a trasmissione AD o AR con sintomatologia molto variabile. Quelle più definite sono da mutazione dei geni SEMA3A (AD con variabile penetranza), IL17RD (AD a variabile penetranza) e FEZF1A (AR). Può essere responsabile della SK anche la mutazione del gene FGFR1 che codifica per il “fibroblast growth factor receptor”; si tratta di una forma grave di SK con malformazioni dello scheletro e della dita. Anche la mutazione dei geni PROK2 e PROKR può causare forme molto gravi di SK;
3. forme sporadiche quasi sempre senza dimostrate anomalie geniche.
Forma classica (mutazione di ANOS1)
La forma classica X-linked riguarda l’8% di tutte le forme di SK ed è la prima a essere stata individuata e meglio definita. La causa risiede nelle anomalie del gene ANOS1 (mutazioni puntiformi o più raramente delezioni) localizzato sul cromosoma X (Xp22.3). Il gene ANOS1 codifica per la “anosmina1”, glicoproteina essenziale per la migrazione embriogenetica dei neuroni olfattori e dei neuroni GnRH. Le mutazioni geniche causano la formazione di una anomala anosmina1 con conseguente assenza della migrazione embriogenetica. Il fenotipo è il più grave e meno variabile rispetto a quello di altri difetti genetici noti.
I maschi portatori di queste mutazioni in ANOS1 sono completamente anosmici, mostrano un fenotipo riproduttivo co-
stantemente grave, caratteristico di un disturbo mendeliano altamente penetrante e di una condizione di ipogonadismo permanente. Poiché l’anosmina1 si esprime anche a livello cerebellare e renale, la sua anomala funzione è responsabile anche della sincinesia bimanuale, della adiadococinesia presente nell’80% dei casi e della agenesia renale unilaterale in 1/3 dei pazienti con SK classica.
La possibile mutazione di geni contigui al gene ANOS1 (localizzati nella stessa regione Xp22.3) è la causa inoltre di altre anomalie corporee, che si aggiungono a quelle note della SK realizzando il quadro della “sindrome dei geni contigui” [Tabella 2].
Tabella 2. Sindrome dei geni contigui
Scheletro Condrodisplasia puctata recessiva, anomalie delle dita della mano
Cute Ittiosi X-linked da deficit della steroidosulfatasi
Ritardo mentale
Bassa statura
Occhio Diminuzione dell’acuità visiva, nistagmo
Nel bambino prepubere, se l’ipo-anosmia non viene accertata, la SK non è sospettata e l’esecuzione delle indagini rimandata al periodo puberale quando, dato il mancato inizio della pubertà, l’adolescente, che in genere assume un aspetto eunucoide, viene sottoposto agli accertamenti che documentano l’II.
Dasegnalare che le alterate indagini ormonali di laboratorio si ritrovano anche nei pazienti con forme parziali di SK.
Comunque, il sospetto di SK deve essere sempre confermato dalla RM cerebrale (immagini coronali della regione frontale anteriore) che evidenzia l’aplasia o l’ipoplasia dei bulbi olfattori e dei solchi olfattori. Nel richiedere la RM cerebrale si deve sempre comunicare il sospetto clinico in modo che il radiologo possa eseguire gli accorgimenti tecnologici mirati.
L’ulteriore conferma della diagnosi si ha con il test genetico, ma la mancata dimostrazione di mutazioni di KAL-1 o di altri geni conosciuti responsabili della SK non esclude la diagnosi basata su criteri clinici e radiologici, in quanto, come già detto, e anche nel nostro bambino, molti casi sono sporadici senza dimostrate anomalie geniche al momento. Se presente il criptorchidismo, è raccomandato il controllo periodico dell’hCG e dell’α-feto-proteina.
Nel periodo puberale la terapia consiste nella somministrazione di T in modo da indurre la comparsa e il mantenimento dei caratteri sessuali puberali, migliorare la massa muscolare e la densità ossea.
Se le prove di laboratorio hanno dimostrato una residua attività della componente endocrina del testicolo, è giustificato somministrare al posto del T le Gn, anche allo scopo di ottenere una possibile, peraltro ancora incerta, fertilità. Durante la seconda decade di vita è necessario accertarsi dell’assenza di residui testicolari che, se presenti, vanno sempre rimossi chirurgicamente data la tendenza a sviluppare nel tempo tumori testicolari; successivamente si procederà all’inserimento di protesi nello scroto.
Se la diagnosi di II è stata posta durante il periodo della minipubertà la terapia con Gn nel lattante migliora le dimensioni dei genitali, permette la maturazione funzionale del testicolo e spesso induce la discesa dei testicoli nello scroto (evitando
l’intervento chirurgico di orchidopessi); inoltre consente di iniziare all’età fisiologica di 11-12 anni l’induzione farmacologica della pubertà con T o con gonadotrpine, senza attendere l’età di 14-15 anni, e a volte anche oltre come quasi sempre accade, con notevole disagio per l’adolescente.
Cosa abbiamo imparato
La presenza nel neonato di micropene e criptorchidismo bilaterale è una indicazione a:
• richiedere durante il periodo della minipubertà, meglio nel 2°-3° mese di vita, il dosaggio basale di testosterone e di gonadotropine allo scopo di individuare l’ipogonadismo ipogonadotropo oppure gonadico;
• ricercare l’ipo/anosmia durante il periodo prepuberale non appena possibile avere la collaborazione del bambino. L’associazione di ipogonadismo ipogonadotropo congenito, ipo/anosmia e anomalie della regione olfattoria alla RM cerebrale permette la diagnosi clinica di sindrome di Kallmann.
La conferma della diagnosi di sindrome di Kallmann si ottiene con il test genetico; tuttavia, allo stato attuale, la mancata individualizzazione dei geni responsabili della sindrome non esclude la diagnosi basata su solidi criteri clinici e radiologici.
Bibliografia
1. Zaghouani H, Slim I, Zina NB, et al. Kallmann syndrome: MRI findings. Indian J Endocrinol Metab. 2013 Oct;17(Suppl 1):S142-5.
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5. Costa-Barbosa FA, Balasubramanian R, Keefe KW, et al. Prioritizing genetic testing in patients with Kallmann syndrome using clinical phenotypes. J Clin Endocrinol Metab. 2013 May;98(5):E943-53. brunetto boscherini@fastwebnet.it
Il meeting ECPCP di Lisbona
Il 9-10 maggio si è tenuto a Lisbona il meeting primaverile ECPCP. Hanno partecipato tutti i delegati dei paesi membri, compresi Israele e Ucraina. La mattinata della 1° giornata è stata congiunta con la Società Portoghese di Pediatria ambulatoriale. Di particolare interesse la relazione sulla Intelligenza artificiale e le sue possibili applicazioni e rischi nei bambini, tenuta da Miguel Castelo-Branco, ricercatore dell’università di Coimbra (Miguel Castelo-Branco professore presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Coimbra e coordinatore scientifico del Centro per l’imaging biomedico e la ricerca traslazionale (CIBIT) dell’Istituto per le scienze nucleari applicate alla salute (ICNAS) dell’Università di Coimbra).Partendo dalla difficoltà della classificazione dei fenotipi dell’autismo, ha illustrato la possibilità di riuscire a superarla presentando i risultati delle sue ricerche su soggetti autistici, dove l’elettrofisiologia è associata all’Intelligenza artificiale. Ad esempio, esponendo soggetti autistici ad una esperienza di IA come la faccia di un avatar che sorride, la macchina può rilevare rilevare le emozioni dei soggetti esposti e insegnare loro a riconoscerle. Ricardo Encarnacao, psicologo, ha illustrato gli effetti della esposizione dei bambini di oggi ad un mondo che si evolve “alla velocità della luce” : nel 2024 c’erano 6.9 miliardi di telefoni cellulari nel mondo; dai 2 esabytes generati nel 2000 siamo arrivati a oltre 175 zettabytes di dati generati nel 2024. Questa esposizione determina effetti sul neurosviluppo perché le connessioni neurali di un cervello ancora in evpluzione si adattano al mondo della tecnologia digitale (homo sapiens digitalis). Si è focalizzato in particolare sugli effetti sugli adolescenti e sui rischi (inclusi sexting e grooming) e i vantaggi della tecnologia e dell’Intelligenza artificiale. Ci sono vantaggi quali la facilità di imparare e la continua connessione con gli amici online. Gli svantaggi sono il confronto sociale senza soluzioni di continuità, col rischio di cyberbullismo e di crollo dell’autostima. Disturbi del sonno, calo delle performance accademiche. Sviluppo di ansia e depressione. Le strategie essenziali per combattere i rischi da esposizione alla tecnologia digitale sono state illustrate da Pedro Aires Fernandez, psicoterapeuta dell’Associazione portoghese di terapie cognitivo-comportamentali e integrative (APTCCI) di Lisbona, esperto di adolescenti. Si tratta di strategie di parenting education per insegnare il controllo dell’uso della tecnologia, promuovendo l’autonomia, la selfregulation e il pensiero critico nei ragazzi.
La rappresentante della Società portoghese di pediatria, Helena Porfirio, ha presentato il documento di etica sulle sfide cui l’evoluzione tecnologica espone i ragazzi dal punto di vista della pratica clinica. Infine, la relazione di Adriana Nascimento sui risultati della vaccinazione antinfluenzale per via intra-nasale in Portogallo in paragone al resto d’Europa. Nel pomeriggio i delegati dei paesi membri di ECPCP hanno presentato i risultati delle esperienze locali più rilevanti nelle cure primarie pediatriche dei loro paesi. Tra questi: il nuovo curriculum educativo per gli specializzandi in pediatria in Israele; l’esperienza dei 25 anni di attività nelle cure primarie pediatriche della AEPap (società spagnola dei pediatri delle cure primarie), tutte reperibili liberamente sul loro sito web completamente rinnovato: https://aepap.org/. La Francia ha proposto un survey sulle caratteristiche epidemiologiche, diagnostiche e terapeutiche di bambini con ADHD, che ha sollevato un grande interesse in tutti i delegati partecipanti e in particolare della Finlandia che ha recentemente rilevato un notevole aumento locale dei casi. Anche Austria, Ungheria e Grecia hanno riportato le novità più importanti delle loro nazioni in materia di cure primarie pediatriche a dimostrazione di una grande attività in questo setting, a fronte di budget economici sempre più ridotti. Il problema della riduzione dei budget destinati alle cure primarie pediatriche è la nota dolente comune per tutti i paesi. È possibile conoscere ulteriori dettagli della attività dei paesi membri di ECPCP attraverso il nuovo sito web (ecpcp.eu) che vi invitiamo a visitare. Il sito rinnovato sarà anche il nuovo strumento per le attività dei gruppi di lavoro ECPCP che sono stati il core delle attività della seconda giornata del meeting.
Gruppo Ambiente: ha in elaborazione uno statement selle raccomandazioni per genitori, medici, educatori e bambini per fronteggiare il Cambiamento climatico e l’inquinamento ambientale in particolare da plastica.
Il gruppo advocacy intende dedicarsi alla redazione del codice etico della ECPCP.
Il gruppo formazione sta estendendo lo Studio EPA sulla efficacia della valutazione degli specializzandi, già iniziato in Italia e in Spagna, anche ad altri paesi europei (Germania, Slovenia, Israele per il momento).
Il gruppo vaccinazioni ha preparato uno statement sul diritto dei bambini ad essere protetti attraverso le vaccinazioni, approvato dall’assemblea plenaria.
Il gruppo ricerca ha approvato la pubblicazione sul confronto tra le diverse linee guida sull’obesità dei paesi membri di ECPCP e si è impegnato a produrre programmi di ricerca sia secondaria che primaria in collaborazione con WHO ufficio Europa, EEACI e EASO.
Il meeting si è chiuso con la visita ad una clinica territoriale pediatrica (privata) nella città di Lisbona.
Patrizia Calamita, Innocenza Rafele, Laura Reali
Con questo interessante articolo, da questo numero inizia la collaborazione con la Società di Malattie Genetiche Pediatriche (SIMGEPeD). Sono previsti altri articoli in forma continuativa e strutturata.
La redazione
Test genetici in pediatria: tra innovazione, sfide e opportunità
Silvia Cali, Francesca Faravelli
UOC Genomica e Genetica Clinica, IRCCS Istituto Gaslini, Genova
Negli ultimi venti anni, i progressi nella genomica, in particolare con l’introduzione del Next Generation Sequencing (NGS), hanno trasformato la diagnosi genetica in pediatria, creando una graduale evoluzione da approcci “phenotype-first” ad altri “genotype-first”. Questa rivoluzione ha migliorato il percorso diagnostico dei pazienti pediatrici con malattie, facilitando l’identificazione delle cause genetiche di molte condizioni e consentendo, in alcuni casi, trattamenti mirati. Persistono tuttavia sfide significative, tra cui l’interpretazione delle varianti genetiche, il riconoscimento e la gestione delle diagnosi multiple e le implicazioni psicologiche ed etiche delle analisi genomiche. La formazione dei pediatri e la collaborazione con i genetisti clinici sono essenziali per garantire un uso appropriato delle tecnologie genetiche, ottimizzare la gestione clinica dei pazienti e ridurre il rischio di risultati di incerta interpretazione. Verosimilmente assisteremo nei prossimi anni a un’ulteriore evoluzione del contesto legato alle tecnologie di indagine, con un progressivo aumento della sensibilità e della specificità dei test genetici.
Over the past twenty years, advances in genomics, particularly with the introduction of Next Generation Sequencing (NGS), have revolutionized genetic diagnosis in pediatrics, shifting from a “phenotype-first” to a “genotypefirst” approach. This transformation has improved diagnostic pathways, facilitating the identification of genetic causes of many pediatric disorders and enabling more targeted treatments. However, significant challenges remain, including the interpretation of genetic variants, the identification and management of multiple diagnoses, and the psychological and ethical implications of genomic testing. Pediatricians’ education and collaboration with clinical geneticists are essential to ensure the appropriate use of genetic technologies, optimize patient care, and minimize the risk of uncertain diagnostic results. We are likely to see a further evolution of the environment related to investigative technologies in the coming years, with a progressive increase in the sensitivity and specificity of genetic tests.
Test genetici in pediatria
Negli ultimi venti anni, i progressi compiuti nell’ambito della genomica hanno rivoluzionato la pratica clinica pediatrica, rendendo disponibili test genetici sempre più sensibili, speci-
fici e accessibili per un numero crescente di pazienti. In particolare, il Next Generation Sequencing (NGS) ha introdotto un nuovo paradigma diagnostico, caratterizzato dal potenziale passaggio da un approccio tradizionale “phenotype-first” a uno “genotype-first”, in cui la definizione diagnostica può derivare direttamente dal dato molecolare, indipendentemente dalla presenza di un sospetto clinico iniziale definito [1]. Nonostante le potenzialità offerte da queste tecnologie, il panorama nazionale e internazionale resta caratterizzato da un’elevata eterogeneità, con significative variazioni nella disponibilità e nell’accesso ai test genetici tra diversi contesti territoriali e sanitari. Questa disomogeneità si riflette in una disparità nella probabilità di giungere a una diagnosi eziologica e nelle relative tempistiche di analisi e refertazione [1,2]. Nonostante questi progressi e la disponibilità di test che permettono un’analisi genome-wide e non guidata da un sospetto diagnostico, la competenza clinica rimane essenziale, dalla identificazione del test più corretto da offrire al paziente, alla capacità di fornire al laboratorio una descrizione clinica accurata che supporti la identificazione delle varianti causali, alla interpretazione del valore di queste ultime in relazione al quadro clinico. La probabilità di ottenere una diagnosi corretta dipende quindi dalla combinazione tra l’acume clinico e la comprensione approfondita dei limiti di sensibilità di ogni metodica [3].
La complessità dell’interpretazione dei dati genomici infatti impone un’integrazione accurata tra il dato clinico e quello molecolare, per il raggiungimento della diagnosi corretta e affinché la definizione eziologica di una patologia non resti fine a sé stessa, ma possa tradursi in beneficio concreto per il paziente e la sua famiglia [4].
In questo scenario diviene imprescindibile la formazione specifica dei pediatri in genetica medica e la stretta collaborazione multidisciplinare con i genetisti clinici, al fine di orientare in maniera appropriata il percorso diagnostico e garantire un impiego mirato delle risorse disponibili
Vantaggi e limiti della diagnosi eziologica
L’identificazione della causa genetica alla base di una condizione patologica in età pediatrica assume un’importanza centrale, non solo per il miglioramento della prognosi e la possibilità di avviare trattamenti personalizzati, ma anche per il valore intrinseco che essa riveste per la famiglia, spesso alla ricerca di una spiegazione definitiva del quadro clinico [4,5]. Una diagnosi eziologica consente di fornire informazioni dettagliate sul decorso della malattia e sulle opzioni terapeutiche disponibili; attivare strategie di sorveglianza precoce; pianificare percorsi terapeutici mirati; definire il rischio riproduttivo in vista di future gravidanze; ridurre la durata e l’invasività del percorso diagnostico, limitando l’impiego di indagini costose o superflue.
Parallelamente, l’integrazione della genomica nella pratica pediatrica ha ampliato il concetto stesso di utilità clinica, includendo anche interventi preventivi e terapie di supporto specifiche.
Tuttavia persistono alcune criticità e limiti della diagnosi eziologica. Innanzitutto la letteratura più recente conferma che una proporzione significativa di pazienti con malattie pediatriche rare presenta una “doppia diagnosi”, ovvero la presenza di due varianti genetiche causali che contribuiscono al quadro clinico. Questa proporzione è stimata nel 6,5% dei pazienti da uno dei più importanti studi sulla diagnosi genetica di malattie pediatriche rare (Deciphering Developmental Disorders, DDD) [6]. Ne consegue l’importanza di una correlazione tra il genotipo-fenotipo e la necessità di ricorrere ad altre indagini laddove una prima diagnosi “genetica” non spieghi il quadro clinico del paziente. Un esempio importante è rappresentato dalle Copy Number Variant (CNV) ricorrenti,
Tabella 1. Test genetici comuni, risoluzione e applicazioni cliniche
Test Risoluzione Varianti rilevate Varianti attese per persona
MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification) Esone all’interno di un gene specifico
Analisi di espansione (tramite PCR)
Specifiche regioni a triplette ripetute
0-1
10-100s
Aneuploidie e CNV 0-1
CNV intrageniche 0-1
Espansioni di triplette
Dipende dal test
Vantaggi clinici Svantaggi clinici Esempio di domanda clinica
Risultato rapido (entro 3 giorni)
Identifica anomalie di struttura dei cromosomi
Identifica CNV di piccole dimensioni/SNP array identifica anche disomia uniparentale e regioni di omozigosità
Risultato rapido (entro 1 settimana)
Sensibile, spesso combinato con il sequenziamento di un singolo gene
Quantifica il numero di ripetizioni di triplette
Disponibile solo per alcuni cromosomi (13, 18, 21, X, Y)
Non identifica CNV di piccole dimensioni
Non identifica anomalie cromosomiche senza perdita/eccesso di materiale (bilanciate)
Disponibile solo per alcune condizioni specifiche, utilizzo ormai limitato
Disponibile solo per geni specifici
Disponibile solo per regioni specifiche
Questo bambino ha una trisomia?
Una coppia ha presentato aborti ricorrenti. Uno dei genitori è portatore di una traslocazione bilanciata?
Un bambino con palatoschisi e tetralogia di Fallot ha la sindrome da delezione 22q11.2?
Un bambino con palatoschisi e tetralogia di Fallot ha la sindrome da delezione 22q11.2?
La analisi di sequenza del gene NF1 non evidenzia varianti, viene effettuato MLPA per la ricerca di delezioni intrageniche
Un bambino di 3 anni con ritardo del linguaggio, iperattività e tratti autistici viene sottoposto a PCR per analisi espansione trinucleotidi per la sindrome dell’X fragile
Test genetici basati sul sequenziamento
Test Risoluz. Numero di loci testati Varianti rilevate
Sequenziamento di un singolo gene 1 bp
Dipende dal test
Varianti a singolo nucleotide in un solo gene
Varianti attese per persona
Dipende dal test
Vantaggi clinici Svantaggi clinici Esempio di domanda clinica
Mirato, evita molte VUS
Pannello di geni 1 bp 10-100.000 Varianti a singolo nucleotide in geni specifici 10-1000 Utile quando il fenotipo è causato da più geni (es. disabilità intellettiva)
Esoma 1 bp 50 milioni SNV e CNV codificanti
20.000
Non mirato, analizza tutti i geni contemporaneamente
Genoma intero 1 bp ~3 miliardi La maggior parte delle varianti 4-5 milioni Indentifica varianti codificanti e non codificanti, migliore per CNV
Deve essere affiancato a MLPA per delezioni esoniche
Analizza solo i geni inclusi, i pannelli devono essere aggiornati
Il test del sudore suggerisce fibrosi cistica.
Lattante di 10 settimane con encefalopatia epilettica. Si richiede pannello di geni per epilessie infantili precoci
Solo 30% dei geni ha una associazione nota con malattia
Difficile interpretare le varianti non codificanti, comuni le VUS
Lattante di 10 settimane con encefalopatia epilettica. Si richiede sequenziamento dell’esoma in trio nei genitori
Un lattante di 10 settimane con encefalopatia epilettica. Si richiede sequenziamento del genoma in trio con i genitori
Tabella 2. Classificazione delle varianti genetiche secondo l’American College of Medical Genetics and Genomics (ACMG) Classe della Variante Probabilità di essere patogenetica
5 – Patogenetica
4 – Probabilmente patogenetica
3 – Variante di significato incerto (VUS)
2 – Probabilmente benigna
1 – Benigna
>99%
90-99%
10-90%
0,1-10%
<0,1%
Adattato da [5 ] sulla base delle linee guida ACMG [10]
Evidenze necessarie per la classificazione (esempi) Utilizzo nella pratica clinica
Variante riportata in soggetti affetti, segrega con la malattia, studi funzionali evidenziano effetti patologici, rara nelle popolazioni sane.
Manca qualche evidenza rispetto alla classe 5, ma ci sono forti indicazioni di patogenicità. Errore possibile fino al 10%.
Evidenze contrastanti: alcune suggeriscono patogenicità, altre suggeriscono benignità. Oppure dati insufficienti per la classificazione.
Trovata più frequentemente nella popolazione sana di quanto atteso per una variante patogenica.
Non segrega con la malattia nelle famiglie, studi funzionali dimostrano nessun effetto significativo.
tipicamente associate a un aumento della probabilità di disordini del neurosviluppo e talvolta interpretate come causa di quadri clinici più complessi, giustificati in realtà dalla presenza di una seconda variante genetica (Francesca Faravelli, osservazione personale).
Lo stesso studio ha fornito osservazioni importanti circa la probabilità di raggiungere una diagnosi eziologica, che aumenta quando è possibile l’analisi simultanea del paziente e dei genitori (trio), in presenza di quadri clinici gravi (in termini sia di disabilità intellettiva sia di associazione di anomalie congenite) e in presenza di segni clinici indicativi di una condizione sindromica. Al contrario, la prematurità, un’esposizione a farmaci antiepilettici e il genere maschile sono alcuni tra i fattori che rendono il raggiungimento della diagnosi meno probabili, insieme alla appartenenza a una etnia africana. La ragione di quest’ultima osservazione sta nella difficoltà di predire il valore causale di varianti genetiche in assenza di dati relativi alla frequenza delle stesse nella popolazione generale di etnia africana, sottorappresentata nei database internazionali genomici [6].
Non di meno, la probabilità di generare risultati incerti si traduce potenzialmente in diagnosi errate o in una sequela di accertamenti a cascata e follow-up ingiustificati, inevitabilmente associati a elevati livelli di ansia e confusione nelle famiglie. Infine, occorre ricordare che un risultato “negativo” non esclude la presenza di una patologia genetica, potenzialmente dovuta a varianti ancora non note o non rilevabili con le tecnologie attuali [4,5].
Indicazione al test genetico in età pediatrica
L’indicazione all’esecuzione di un test genetico deve essere accuratamente valutata sulla base del quadro clinico e anamnestico, privilegiando un approccio personalizzato e attento alle specifiche esigenze del paziente e della famiglia. Tra le principali condizioni che possono motivare l’attivazione di un percorso diagnostico genetico si annoverano:
• ritardo psicomotorio e disabilità intellettiva di origine sconosciuta;
• presenza di anomalie congenite multiple;
• disturbi del neurosviluppo, inclusi i disturbi dello spettro autistico con elementi sindromici;
• difetti sensoriali, quali sordità e cecità;
Può essere usata per guidare la gestione clinica, screening dei familiari, diagnosi prenatale.
Usata con cautela per la gestione clinica, può essere monitorata nel tempo per confermare la classificazione.
Non deve essere usata per decisioni cliniche. Possibile rivalutazione con nuovi dati o test aggiuntivi.
Generalmente non riportata, non ha implicazioni cliniche significative.
Non riportata, non utilizzata per decisioni cliniche.
• sospetto clinico di malattia rara su base genetica;
• presenza di tumori rari, indicativi di possibile predisposizione ereditaria a tumori pediatrici.
L’adozione di algoritmi diagnostici standardizzati, condivisi a livello nazionale e internazionale, rappresenta un elemento fondamentale per ottimizzare l’impiego delle risorse e ridurre la possibilità di ottenere risultati di difficile interpretazione [1,4,5,7].
La scelta della tecnica diagnostica deve essere orientata dal sospetto clinico, dalla disponibilità tecnologica e dalle risorse disponibili nel contesto di riferimento, al fine di massimizzare la resa diagnostica e minimizzare tempi e costi [5,8].
La Tabella 1 illustra le principali tecniche di analisi genetica utilizzate nel contesto assistenziale, le relative applicazioni e limiti di risoluzione.
Limiti e implicazioni etiche
I test genetici presentano aspetti peculiari e criticità. La più rilevante è rappresentata dalla identificazione di varianti di significato incerto (VUS). Le linee guida internazionali dell’American College of Medical Genetics and Genomics (ACMG), raccomandano la classificazione delle varianti in cinque categorie (da benigne a patogenetiche), sottolineando la necessità di un follow-up attivo delle varianti di significato incerto, in collaborazione con centri di riferimento di genetica clinica [4,5].
Tuttavia gli attuali criteri di classificazione delle varianti presentano importanti limitazioni, ed è indispensabile che i laboratori applichino uno stretto rigore metodologico nella refertazione. Analogamente, i clinici devono avere una percezione chiara delle evidenze utilizzate per valutare il ruolo causale delle singole varianti, oltre alle raccomandazioni relative alla loro gestione clinica. La Tabella 2 fornisce una sintesi di questi elementi. Si tratta ovviamente di situazioni in cui è indispensabile il ricorso ad approcci multidisciplinari, per garantire una integrazione delle competenze necessarie ad una corretta interpretazione e gestione del dato genetico.
Nel Box di approfondimento 1 sono elencate alcune delle risorse disponibili online per la consultazione.
Un aspetto particolarmente critico è la gestione delle informazioni “inattese”, ovvero il riscontro di varianti associate a condizioni non correlate alla patologia oggetto del test, che
Descrizione della risorsa Domande cliniche esemplificative
Descrive ciò che è noto sulle sindromi cliniche e sui geni umani
Descrive condizioni genetiche e geni in modo accessibile ai pazienti
Database di informazioni fenotipiche e genotipiche
Descrive condizioni associate ad anomalie cromosomiche e monogeniche in maniera fruibile da parte delle famiglie
Fornisce informazioni per i clinici sulle principali indicazioni per l accesso a test genetici
Strumento per la composizione di panelli genici a seconda dell indicazione clinica
Federazione delle associazioni malattie rare
Catalogo di informazioni sulle malattie rare
Portale di ricerca che identifica le malattie rare, inquadrando quelle incluse nei LEA
potrebbero rivelare informazioni di difficile gestione (es. non paternità) e avere implicazioni sulla salute futura del bambino o dei suoi familiari [8].
L’utilizzo sempre più diffuso di tecniche genomiche avanzate rende imprescindibile una gestione rigorosa e consapevole del consenso informato [5,8,9]. È necessario garantire che i genitori e, quando appropriato, il minore ricevano informazioni chiare e dettagliate sui possibili risultati del test, i limiti, le possibilità di ottenere risultati incerti o reperti incidentali, e le implicazioni etiche e psicologiche associate. Per una sintesi dei punti salienti si veda il Box di approfondimento 2 .
Prospettive future
Il futuro della genetica pediatrica è strettamente legato al miglioramento delle tecnologie diagnostiche e all’integrazione di strumenti avanzati di analisi, tra cui l’intelligenza artificiale, che promette di supportare la diagnosi attraverso il riconoscimento automatizzato di pattern dismorfologici e l’interpretazione delle varianti genetiche ultra-rare. Il sequenziamento
– Il gene responsabile di questa condizione è noto?
Quali fenotipi sono associati a questa condizione? –
Quali disturbi clinici sono associati a questo gene?
– Quali informazioni possono essere fornite ai pazienti e alle famiglie su questa condizione genetica?
– Ci sono altri pazienti con le stesse o simili varianti genetiche?
Quali sono i loro fenotipi?
– Ci sono pazienti con CNV che coinvolgono il gene della mia variante?
– Quali sono le caratteristiche cliniche della condizione, descritte in linguaggio accessibile e con il contributo narrativo delle famiglie – Alcune descrizioni disponibili anche in italiano
Questa mutazione è stata segnalata in associazione con una malattia genetica?
– Quali geni analizzare a seconda del contesto?
– Esiste un gruppo di supporto per il paziente e la sua famiglia?
– Quali informazioni generali/risorse educative sono disponibili sulle malattie genetiche?
– Quali informazioni possono essere fornite ai pazienti e alle famiglie su questa condizione genetica?
– Quale codice identificativo ha una malattia rara?
Qual è il codice di esenzione per questa malattia rara?
Quali i centri specializzati di riferimento?
long-read migliorerà l’identificazione di varianti strutturali, mentre l’integrazione con altre discipline omiche (proteomica, epigenomica) fornirà una comprensione più approfondita dei meccanismi eziopatogenetici delle malattie genetiche.
La progressiva diffusione del Whole Genome Sequencing (WGS) come test di prima linea è destinata a incrementare ulteriormente la proporzione di pazienti che raggiungono una diagnosi [10]. Un esempio molto recente è rappresentato dalla identificazione, tramite analisi del genoma di varianti nel gene RNU4-2, di una porzione di DNA non codificante. Varianti in questo gene, comprese in una sequenza di soli 18 nucleotidi, sembrano spiegare circa lo 0,4% dei casi di disordini del neurosviluppo e non sono a oggi identificabili se non tramite analisi del genoma [11,12].
L’utilizzo del WGS, unitamente alla creazione di reti nazionali di consulenza genetica e di banche dati condivise, potrà contribuire a ridurre le disuguaglianze territoriali e garantire a ogni paziente l’accesso a un percorso diagnostico di eccellenza, etico, sostenibile e personalizzato.
Box di approfondimento 2. Consenso e NGS: contenuti della conversazione con i pazienti e genitori
Introduzione e contesto del test
– Test diagnostico (per identificare la causa della condizione del paziente).
– Potrebbero essere richiesti campioni di altri membri della famiglia.
Risultati
– Il test potrebbe non fornire risultati significativi; ciò non esclude una diagnosi genetica.
– L’interpretazione e la conoscenza dei risultati possono cambiare nel tempo.
Risultati principali: relativi alla condizione esistente. Possono influenzare le cure attuali/future o fornire informazioni sulla prognosi.
Varianti di significato incerto: risultati incerti che potrebbero richiedere approfondimenti.
Risultati incidentali: scoperte inaspettate non correlate al motivo del test (incluse relazioni familiari, es. non paternità).
– Confermare tempistiche dei risultati e modalità di comunicazione (come e a chi saranno comunicati).
Implicazioni per il paziente
– Potrebbero essere necessarie ulteriori visite per il follow up assistenziale in base ai risultati.
– Potenziale impatto psicosociale della ricezione dei risultati e supporto disponibile.
– Implicazioni per la pianificazione familiare e le scelte riproduttive.
Implicazioni per i familiari
– Opportunità basate sui risultati o sulla storia familiare per accedere a screening preventivo, test predittivi e/o informazioni sulle scelte riproduttive.
– Importanza di condividere i risultati con i familiari e strategie utilizzabili
Uso dei campioni
– Campioni: tipicamente sangue; può essere saliva o tessuto, o DNA precedentemente conservato.
– I campioni sono conservati nei laboratori.
– I campioni conservati possono essere utilizzati per futuri test genomici con consenso appropriato.
– Il campione può essere usato (previo consenso) come controllo per test su altri individui, inclusi membri della famiglia.
– Campioni anonimizzati potrebbero (previo consenso) possono essere usati per lo sviluppo di test di laboratorio o procedure di controllo qualità.
Uso dei dati
– I dati includono informazioni sulla salute e genomiche del paziente, accessibili in modo sicuro dai professionisti sanitari.
– I dati genomici possono essere rianalizzati in futuro poiché nuove evidenze possono modificare i risultati nel tempo.
Adattato da Clinician’s guide for requesting whole genome sequencing: rare disease, https://www.genomicseducation.hee.nhs.uk/wp-content/ uploads/2019/11/Guide-to-requesting-WGS-RD-Nov-20.pdf.
Conclusioni
L’impiego dei test genetici in pediatria è in continua espansione, offrendo opportunità diagnostiche e terapeutiche sempre più avanzate. Tuttavia, per garantire un utilizzo appropriato, è essenziale che il pediatra acquisisca competenze specifiche in genetica medica e si avvalga di un approccio multidisciplinare per l’interpretazione dei risultati.
L’integrazione delle nuove tecnologie con criteri diagnostici rigorosi rappresenta la chiave per un futuro in cui la genetica pediatrica possa migliorare concretamente la qualità della cura e della vita dei piccoli pazienti.
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Quasi mamma, quasi pediatra
La gravidanza vista dagli occhi di una specializzanda in Pediatria
Arianna Turriziani Colonna
Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università Cattolica del Sacro Cuore; Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS Roma
“Ma tu sei pediatra! Beata te!” “Per te sarà facilissimo, di che ti preoccupi?”
Quante volte ho sentito pronunciare queste frasi da altre future mamme o amici. E ogni volta pensavo o rispondevo: “In realtà non è proprio così”. Banalmente vale il detto “Beata ignoranza”. La gravidanza è infatti un viaggio meraviglioso che può complicarsi in mille modi. Se il tuo cervello è “del mestiere”, però, rischi di complicartelo da sola. Non si può infatti eliminare il proprio background culturale, specialmente se si lavora in un grande punto nascita, con una grande terapia intensiva neonatale e si è vista sul campo tanta patologia negli anni in cui la prima maternità era lontana...
Si può, tuttavia, scegliere di godersi il viaggio e di avere ansia solo se e quando la gravidanza si complica. E pensare a quanti bambini e famiglie felici ci circondano.
È quello che ho provato a fare nel mio piccolo.
Ho vissuto la prima parte della gravidanza in pieno inverno: per il pediatra è la stagione “calda” delle influenze, per una futura mamma al primo trimestre di gravidanza è un campo minato da attraversare con mascherina e prudenza.
Poi è arrivata la bella stagione (la primavera!) che ha portato con sé l’epidemia di pertosse del 2024 (ricordiamo che è fortemente raccomandata la vaccinazione a tutte le donne in dolce attesa!), con notizie di neonati accorsi quotidianamente in pronto soccorso e spesso ricoverati.
Infine è iniziata l’estate torrida che ha spazzato via le temperature miti e limitato molto la possibilità di passeggiate all’aria aperta, specialmente per una donna all’ultimo trimestre di gravidanza.
Aldilà delle temperature fuori dalla finestra, come ho vissuto i vari controlli “medici” della gravidanza? Non posso negare che i giorni delle visite e delle analisi ho sempre manifestato un pizzico d’ansia, che rimaneva sapientemente sopita il resto del tempo. A tutti i controlli ecografici (solitamente programmati nel primo pomeriggio) il cuore iniziava a battermi forte dal giorno prima, a pranzo non parlavo. Ricordo che quando abbiamo sentito il cuore della mia bambina con l’ecografo per la prima volta il ginecologo mi ha detto “tu e lei avete lo stesso numero di battiti”… E sappiamo che 150 bpm per un feto è normale, per una mamma è decisamente tachicardia! Nonostante il mio lavoro, per nove mesi sono rimasta serena, pur mantenendo delle accortezze in più: non accumulare troppo peso, misurare spesso la pressione arteriosa, assumere ferro e acido folico in quantità adeguata... Ho lavorato fino all’ottavo mese di gravidanza, cercando di limitare al minimo i miei contatti con pazienti contagiosi (con fortune alterne), sfruttando la possibilità di essere in reparti a basso rischio infettivo senza privarmi dell’opportunità di acquisire competenze preziose nell’ultimo anno di specializzazione, che scorre così rapidamente. Rimanere a contatto con i piccoli pazienti e con le loro famiglie ha riempito le mie gior-
nate e mi ha ricordato tante e tante volte la bellezza e la complessità delle famiglie, portandomi a immaginarmi pochi mesi dopo dall’altra parte, nel ruolo di madre. Una sensazione nuova, più grande di me, ma assolutamente desiderata. La gravidanza è stata anche un’occasione per prendermi cura di me e della mia bambina. Non praticavo sport da tanti (troppi!) anni. Ho allora colto la palla al balzo e ripreso l’attività fisica (anch’essa raccomandata per le donne in dolce attesa, a meno di controindicazioni specifiche). Ne hanno beneficiato il corpo e la mente. Un’altra grande scoperta del viaggio della maternità è stata la figura del padre. Nel mio caso, il papà non è del mondo medico né è mai stato a stretto contatto con bambini. Ho dovuto dunque imparare a non dare per scontate tante nozioni (anche banali). È vero che da alcuni anni mi occupo della salute dei bambini e li prendo quotidianamente per mano, ma anch’io diventerò genitore per la prima volta con lui; sarà il nostro viaggio. Se è vero che essere pediatri comporta un maggiore carico di consapevolezza e quindi di apprensione, d’altro canto la gravidanza e la futura maternità sono anche l’occasione per acquisire un quid in più per la professione. Ho acquistato libri di puericultura, sul sonno, sull’alimentazione complementare. Ho iniziato a leggere con l’interesse di chi un domani non dovrà solo convincere e consigliare i suoi pazienti ma dovrà sperimentarlo in prima persona. Perché, se una cosa ci riguarda così da vicino, è naturale che ci appassioniamo di più. Avere più tempo da dedicare allo studio di aspetti dell’infanzia non prettamente ospedalieri è stata una grande ricchezza. E, in un domani ormai molto vicino, immagino che diventare madre mi aiuterà a comprendere meglio genitori e figli e mi darà un valore aggiunto nella professione, quel valore che deriva direttamente dall’esperienza personale, un privilegio che mi ritengo fortunata a poter avere.
Adesso provo anche tanta curiosità. Mi chiedo: “Mia figlia dormirà?” “Come cambierà la coppia?” “Riuscirò ad allattarla (proprio io che sostengo l’allattamento al seno con tutte le mie amiche)?”
Queste e tante altre domande si affollano nella mia mente, in un misto di emozioni, paure e trepidazione.
Non sono pronta, anche se sono una futura pediatra. Ecco, questo vorrei rispondere quando mi dicono: “Ma tu sei pediatra! Beata te!”, “Per te sarà facilissimo, di che ti preoccupi?”
Ma sono felice e serena, e questo meriterebbero di esserlo tutte le mamme in attesa.
Pianifichiamo quello che possiamo: il passeggino migliore, la culla più bella, la tutina più carina… ma niente sarà più imprevedibile e sorprendente di un figlio.
Il pediatra è un mestiere difficile. La storia: can che abbaia morde (e ha paura)
Si discute la relazione tra il pediatra e un genitore che contesta il medico, non segue le sue prescrizioni e agisce per conto suo. Come prendersi cura del bambino che è a rischio di trascuratezza e abuso? Come coinvolgere il genitore nella ricerca di una strada comune di collaborazione e partecipazione? Il gruppo di counselling cerca di rispondere a queste difficili domande attraverso il racconto di un caso.
We discuss the relationship between the paediatrician and a parent who disagrees with the doctor, does’nt follow his prescriptions and acts indipendently. How care the child in the risk of negligence and abuse? How involve the parent in the search of a common road of sharing and working together? By counselling, the group tries to answer at these difficult questions.
Il racconto del pediatra
Enrico ha 10 anni quando viene in ambulatorio da me per la prima volta. È un passaggio da una collega che è andata in pensione. Non ho notizie. Entra in studio con madre e padre. Appena entra, dall’aspetto mi appare un bambino almeno problematico, se non autistico. È chiuso su sé stesso, guarda in basso, si aggira per l’ambulatorio con fare smarrito. Il padre silenzioso. La madre prende subito la parola in maniera aggressiva e invadente. Vengono perché, qualche giorno prima, il bambino è caduto e si è fatto male alla pancia. Non avevano visto bene come era accaduto, il bambino era confuso a raccontarlo, solo che accusava dolore all’addome. Lo visito. Il dolore ormai non c’è più e non vi è obiettività. Li rassicuro che non c’è niente di organico. Due o tre giorni dopo chiamo la famiglia per sapere come sta ora il bambino. La mamma mi risponde malissimo, dicendo che non capisce perché l’ho chiamata. Le spiego il motivo e le fisso un appuntamento per una visita di controllo. La segretaria mi dice poi che l’appuntamento è stato annullato perché la madre non ne vedeva la necessità. Qualche giorno dopo, improvvisamente e senza appuntamento, di nuovo si presentano tutti in ambulatorio perché Enrico ha un forte dolore a un orecchio. All’otoscopia il condotto è solo lievemente arrossato e comunque la mamma mi anticipa che lei è contra-
ria agli antibiotici. Li rassicuro sull’orecchio e propongo loro un appuntamento a breve per un bilancio di salute completo e un’eventuale valutazione. La mamma rifiuta la proposta dicendo che suo figlio non ne ha nessun bisogno.
Io penso che la mamma abbia colto che suo figlio ha dei problemi e li nega, oppure è una mamma aggressiva che inibisce e figlio e marito. Che cosa posso fare?
Il confronto
NP1. La prima cosa forse sarebbe parlarne con la collega in pensione per raccoglierne la storia.
PedR. È un problema. Si tratta di una collega che era nel nostro gruppo di lavoro e con cui non ci siamo lasciati bene. Sono riuscita a vedere che aveva fatto una richiesta di visita NPI per problemi scolastici ma non so se è stata poi fatta. Non mi sento di chiederlo alla mamma. O forse potrei sentire con la scuola che frequenta.
NP1. Senza autorizzazione e consenso di questa mamma mi pare comunque inopportuno e pericoloso. I genitori più problematici in ambulatorio sono quelli che si pongono in una relazione di dominanza-sottomissione che hanno appreso nella loro storia. È lei che comanda, è lei il medico di suo figlio. Se tu vuoi comandare al suo posto non hai speranza.
NP2. Sei obbligata a colludere con lei.
Ped1. Ma tu sospetti davvero un autismo?
PedR. Anche se non fosse autistico, certo con una madre simile è almeno totalmente inibito. A vederlo sembra addirittura spaventato. Non guarda. Perché è autistico o perché ha paura?
NP2. La domanda è anche quella se possa essere o no un bambino maltrattato. Se non lo è fisicamente, psicologicamente sembra esserlo.
NP1. Con una persona così sfidante non si può provare a mettersi in una posizione down anziché di controllo? O a esplicitare con lei la tua difficoltà di comunicazione e, per affrontare questa difficoltà, chiederle per esempio un colloquio a due. Così, per aiutarti ad aiutarla.
Ped1. Non credo che verrà mai.
Ped2. Non può non essere un bambino non conosciuto dalla scuola e dai servizi per i suoi problemi. Vive in una comunità e certo deve aver passato dei filtri.
NP1. A meno che non sia come una mamma cinese che è riuscita a evitare tutti i filtri.
Ped3. Il problema della privacy è comunque insormontabile. Anche una segnalazione della scuola ai servizi deve essere controfirmata dai genitori.
Ped4. Il bambino ha di certo un bisogno cui la mamma non risponde. E del suo disagio psicologico la mamma o non si occupa o ne è la responsabile. Cosa può fare il pediatra per il bambino? Una segnalazione al servizio sociale?
NP1. Se il pediatra segnala, ha chiuso il rapporto con questa famiglia e la famiglia cambia pediatra. Il servizio sociale senza riscontri oggettivi è disarmato. A meno che il bambino non sia già noto al servizio sociale.
Ped4. Puoi chiedere a servizio sociale e servizio NPI se è nei loro elenchi. Così anche se ha avuto accessi al PS per incidenti fisici o sospetto maltrattamento.
Ped3. Senza cercare la collega, dal fascicolo sanitario puoi conoscere tutto il suo percorso in ospedale e servizi sin dalla nascita.
NP2. Sì, perché una segnalazione al servizio sociale per incuria o ipercuria rischia di non portare a nulla.
NP1. Occorrerebbe capire le ragioni del comportamento di questa mamma.
Ped3. Perché non vedere anche il fascicolo sanitario della mamma e telefonare al suo medico di base?
PedR. Della mamma non so neppure il nome e il cognome e non so nemmeno se me lo vuole dire.
Ped1. Se un paziente così scostante e aggressivo arriva in uno studio psicologico, cosa fa lo psicoterapeuta?
NP2. La terapia finisce presto. Ricordo una mamma con una aggressività simile in studio con un figlio molto inibito e isolato a scuola. Il padre era deceduto per un aneurisma cerebrale quando il bambino aveva due anni. Il bambino viveva con mamma e nonna materna, entrambe molto vessatorie con lui, con mortificazioni e umiliazioni almeno verbali. L’ho rivisto in preadolescenza per sintomi ossessivi-compulsivi, la nonna lo comandava con un bastone, gli vietavano l’uso della bicicletta e dopo la scuola stava chiuso in casa. Non c’era prova di violenza fisica e io non ho potuto fare niente per lui. La segnalazione per vessazioni psicologiche non porta a niente. Il servizio sociale va a domicilio e non trova nulla.
NP1. Hai un senso di impotenza e frustrazione. E la consapevolezza che anche chi vessa l’altro viene da una vita in cui è stato male e sta ancora male.
Ped4. Questi genitori ti dicono cosa devi fare. La pancia. L’orecchio. Il resto non ti compete. E fanno ciò che vogliono col loro bambino.
NP1. Il problema è che noi non siamo dei giudici ma dei terapeuti.
Ped4. Però abbiamo anche il diritto del rispetto, a essere rispettati dai genitori di cui abbiamo in cura il bambino. Non possono dirci quello che dobbiamo fare o non fare come medici.
NP1. Forse in casi estremi come questo dovremmo tollerare anche il non rispetto, come terapeuti che curano. Non pronunciamo sentenze su chi è colpevole o no. Ma ci prendiamo cura di chi sta male.
PedR. Con questa mamma non riesci a parlare, non riesci a dirgli quale è il tuo compito.
Ped3. Occorrerebbe esplicitare che tu sei preoccupata per la salute di suo figlio.
Ped4. Non gliene fregherebbe niente.
PedR Ho provato a coinvolgere il padre sulle mie preoccupazioni per il bambino, ma al suo posto rispondeva sempre la madre. Il padre viene sempre, ma sta in silenzio.
NP2. Potresti chiedere aiuto alla pediatria ospedaliera? In un caso di problema organico come l’orecchio, puoi inviarlo al collega ospedaliero, che dovrebbe anche accorgersi delle stranezze del bambino e forse lui riuscirebbe a convincere la madre a una valutazione psicologica.
Ped3. Difficile in questo momento chiedere questo tipo di collaborazione ai colleghi ospedalieri sovraccarichi di lavoro. Questo tipo di genitori dovremmo affrontarli noi.
Ped5. Io con una madre simile ho risolto il problema con una grossa litigata da sola a sola con lei. Sono sbottata quando da un referto del PS sulla bimba ho scoperto che al PS la mamma aveva dichiarato di avere la neurofibromatosi. Di solito io quando ricevo un referto di PS su un mio bambino, chiamo al telefono il genitore per accertarmi dell’accaduto. In questo caso ho chiamato la mamma non per questo ma per affrontarla, e lì ho anche scoperto che la mamma a mia insaputa era stata per sua figlia dal genetista e aveva manipolato il fascicolo sanitario in modo che io non leggessi il referto del genetista. La mamma a sua volta era seguita da molto tempo a Bologna per la sua neurofibromatosi, ma mi aveva mentito tutto il tempo per vergogna. Infuriata com’ero in quell’occasione le ho chiesto di cancellare dalla mia assistenza tutti i suoi tre figli. Non se ne è più andata, dei suoi figli ora mi porta ogni più piccola documentazione e il suo maggiore l’ha rinnovato fino al compimento dei 16 anni. Era una situazione certo diversa, lei mi aveva mentito per la vergogna della sua malattia e di averla trasmessa alla figlia. NP1. Non è una situazione sovrapponibile, ma in generale credo che un genitore con cui sei in difficoltà si debba provare
a chiamarlo personalmente, senza altri presenti, per cercare di chiarirsi.
PedR. Certo i referti del PS relativi a Enrico forse vanno cercati. Il racconto nebuloso mi ha sempre lasciato nel dubbio sul fatto accidentale o di violenza domestica rispetto a quei dolori addominali da caduta in casa.
NP2. Vi è da dire che alle visite per i dolori addominali e per il male all’orecchio non è emerso niente di obiettivo. Con questi dolori improvvisi alla pancia o all’orecchio il bambino ci vuole comunicare qualcosa? Forse allora si potrebbe prendere la palla al balzo per chiedere una consulenza alla pediatria ospedaliera.
Ped6. Questa discussione mi fa ricordare una famiglia albanese con 3 figli, di 8, 5 e 2 anni, anche questi passati a me da un collega in pensione. Al bilancio del bambino di 2 anni, la mamma mi dice che quello di 5 anni non va alla materna e non parla. Su mio invito i genitori me lo portano e, appena entra in studio, mi rendo conto anche dal cammino incerto che ha un ritardo psicomotorio importante. Anche nel pasto la mamma lo imbocca. All’ultimo bilancio di salute dei 3 anni vedo che il collega ha fatto un invio al servizio NPI. Leggo che ha fatto la prima valutazione, ma che ai tre appuntamenti successivi i genitori non si sono presentati. Chiedo loro il motivo. Mi rispondono che non ci sono andati perché al loro bambino era stato fatto il malocchio. In quel momento io ho pensato che avrei dovuto richiedere una visita specialistica NPI per sospetto disturbo dello spettro autistico. Per convincerli ho detto loro che fra un anno avrebbe avuto l’obbligo di iscrizione alla scuola elementare e che non sarebbe sicuramente riuscito ad affrontarla nelle sue condizioni. Anche se ora stavano per iscriverlo alla scuola materna, io ho detto loro che se non si recavano al servizio NPI avrei dovuto fare la segnalazione all’assistente sociale. A quel punto la mamma, che pure mi pare avesse un livido a un occhio, mi ha abbracciato per ringraziarmi. Il padre, serio, mi ha confessato che sicuramente avevano aspettato troppo, lui aveva visto da tempo che il piccolo di due anni era più avanti di quello di cinque. Mi è sembrato che il babbo fosse più sensibile al problema e che la mamma se ne sentisse responsabile e si sentisse in colpa. Quando gli ho detto queste cose, gliele ho dette col cuore in mano. Che anch’io come loro volevo bene al loro bambino e che dovevamo occuparci dei suoi diritti come persona. Ho pensato che forse non l’avevano mandato alla scuola materna perché si vergognavano del suo ritardo.
Ped7. Anch’io avevo un bambino di 5 anni che non andava alla scuola materna perché mangiava solo con la mamma poche cose e la mamma si vergognava, convinta che lì si sarebbe rifiutato di mangiare. Era un bambino triste e taciturno. Sono riuscita a convincerli a mandarlo in comunità: ora il bambino mangia tutto ed è uscito dalla deprivazione.
NP1. Negli anni ’70, in una realtà contadina come quella cesenate, i bambini più a rischio alle elementari erano i figli dei contadini perché i contadini preferivano tenere a casa i bambini con le mamme anziché mandarli alla materna. Gli immigrati di oggi fanno come i nostri contadini di ieri.
NP2. Possono tenerli a casa anche perché l’asilo costa.
NP1. Ora in certi Comuni della nostra Provincia la scuola materna è gratuita per tutti.
Ped7. Con mamme difficili come questa mamma albanese e con le quali mi trovo in difficoltà, cerco di parlare loro col cuore in mano, dire che io mi trovo in difficoltà come loro e che comunque dobbiamo trovare una strada comune per occuparci della salute del bambino.
NP1. Certo in questo modo sei riuscita a costruire un’alleanza terapeutica con questa madre di una cultura così diversa, ponendoti sullo stesso piano, come persona che si prende cura del bambino, come cerca di prendersene cura sua madre.
Ped7. Forse anche la mamma di Enrico è una madre che sa che suo figlio ha un problema serio, ma se ne vergogna e lo vuole nascondere e quindi usa meccanismi di difesa e di negazione.
NP2. Forse dovresti fare come ha fatto la tua collega, che ha chiamato la mamma da sola. Esplicitare a quattr’occhi le tue difficoltà di fronte ai problemi del figlio e dichiarare apertamente che, se non consente di affrontarlo insieme, è meglio che cambi pediatra. Può essere anche che questa madre in realtà sia una madre impaurita che non riesce a fidarsi di nessuno. Tutti la trattano male e trattano male anche suo figlio. È un cane che abbaia perché ha paura. Cerca di accoglierla e di parlarle col cuore in mano.
Il genitore reticente/resistente
I segnali I rischi Le risposte complementari (non simmetriche)
– Ignora la prescrizione
– Contesta la prescrizione – Fa sempre a modo suo – Incuria del bambino – Trattamenti inappropriati – Maltrattamento
– Colloquio personale – Ammissione di impotenza – Richiesta di aiuto e di collaborazione in nome del prendersi cura insieme.
Bibliografia
1. Bert G, Quadrino S. Parole di medici, parole di pazienti. Il Pensiero Scientifico Editore, 2002.
2. Ciotti F, Lambruschi F, Gangemi M, et al. Una esperienza di formazione al counselling in ambulatorio pediatrico. Quaderni acp. 2006;13:218-221.
3. Ciotti F. Relazione genitoriale e relazione terapeutica nell’ambulatorio del pediatra. Quaderni acp. 2008;15:78-82.
francescociotti1949@gmail.com
L’ecografia polmonare ed il pediatra: percorso teorico pratico e quadri clinici più comuni
18 SETTEMBRE 2025 (10.00-19.00)
VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
09.20 - 10.00 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI
10.20 - 10.40 INTRODUZIONE AL CORSO
10.40 - 10.50 Oltre il fonendo: ambiti applicativi del POCUS e prospettive future Francesco Caprioli
10.50 - 11.15 Ecografia clinica cenni di semeiotica del polmone sano
Alberto La Valle
11.15 - 11.30 Il referto in ecografia clinica polmonare
Francesco Caprioli
11.30 - 11.45 DISCUSSIONE
11.45 - 13.00 Parte pratica su polmone sano
13.00 - 14.30 PRANZO
14.30 - 14.55 Pocus: l’interstiziopatia dai primi giorni di vita all’adolescenza Gianluca Iovine
14.55 - 15.20 Pocus: Sindrome alveolare e patologia pleurica Andrea Apicella
15.20 - 15.35 DISCUSSIONE
15.35 - 16.00 PAUSA CAFFÈ
16.00 - 17.00 Diagnosi a colpo d’occhio
17.00 - 17.15 DISCUSSIONE
17.30 - 19.00 Parte pratica su polmone patologico con casi clinici
Lo scopo di questo corso è fornire una panoramica sui principali campi di applicazione dell’ecografia polmonare in ambito pediatrico, partendo dal quadro di normalità. Dato che essa è utilizzata come estensione dell’esame clinico del bambino, le sessioni formative saranno sviluppate da pediatri che effettuano l’ecografia polmonare in vari setting assistenziali (pronto soccorso, reparti di pediatria, ambulatorio del pediatra di famiglia). Si partirà dalle conoscenze della letteratura scientifica e dai progetti di ricerca in essere sull’argomento favorendo, sia nella parte teorica che in quella pratica del corso, la più ampia discussione critica sull’argomento.
:: Quote di iscrizione e info
€. 80,00 quota per chi partecipa solo al corso * €. 50,00 quota per chi segue anche il 37° Congresso naz. ACP La quota comprende la partecipazione ai lavori e l’attestato.
* Il costo è relativo all’iscritto al solo corso e che non prosegue la formazione con la partecipazione al congresso nazionale (19-20 settembre).
[ Apri ] Modulo iscrizione
:: Responsabili del corso
Gianluca Iovine, pediatria di famiglia, Modena
Giuseppe Pagano, pediatria ospedaliero, Verona
:: Docenti del corso
Francesco Caprioli pediatra di famiglia, ASL3 “Genovese”
Alberto La Valle pediatra libero professionista, Genova
Gianluca Iovine pediatria di famiglia, Modena
Andrea Apicella, pediatra ospedaliero, AORN Santobono Pausilipon Napoli
:: Destinatari Tutti, max 28 partecipanti (minimo 16)
:: Sede Villaggio Marzotto - Viale Oriente, 44 a Jesolo Lido (VE) https://villaggiomarzotto.it/ Inquadra il QRCODE (o fai click) per sapere come raggiungere il villaggio.
La pratica della fasciatura nelle cure pediatriche
Evoluzione storica e aspetti etici
Giancarlo Cerasoli1 , Nicolò Nicoli Aldini2 , Sara Patuzzo Manzati2
1 Scuola di Storia della Medicina, Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Rimini
2 Dipartimento di Scienze chirurgiche, Odontostomatologiche e Materno-infantili, Università degli Studi di Verona
In passato in molti Paesi era diffusa l’usanza di fasciare i neonati dalle caviglie alle spalle, con l’intento di proteggerli, mantenerli al caldo e limitarne i movimenti per prevenire ferite o deformazioni. Tuttavia l’immobilizzazione forzata poteva compromettere la loro salute. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, iniziarono a emergere voci critiche che denunciavano i rischi legati a questa pratica. Nel XIX secolo si sviluppò una vera e propria campagna contro la fasciatura, che però non ottenne risultati immediati. Solo nel corso del XX secolo questa abitudine fu progressivamente abbandonata. Negli ultimi decenni tuttavia si è assistito a una sua parziale riscoperta, grazie all’osservazione che i neonati fasciati o avvolti in coperte sembrano più facilmente consolabili. Per garantire la sicurezza del bambino è pertanto fondamentale che il pediatra affianchi i genitori nell’uso di questa tecnica, fornendo indicazioni basate sulle più recenti revisioni scientifiche e metanalisi, così da bilanciare rischi e benefici.
In the past, the practice of swaddling infants from the ankles to the shoulders was widespread in many countries with the aim of protecting them, keeping them warm, and restricting their movements to prevent injuries or deformities. However, forced immobilization could have detrimental effects on their health. Beginning in the latter half of the 18th century, critical voices emerged, highlighting the risks associated with this practice. During the 19th century, an active campaign against swaddling gained momentum, though it did not yield immediate results. It was only in the 20th century that this practice was gradually abandoned. In recent decades, however, swaddling has experienced a partial revival, as it has been observed that wrapped or swaddled infants tend to be more easily soothed. To ensure infant safety, it is essential for pediatricians to guide parents in the appropriate use of this traditional practice, providing evidence-based recommendations grounded in the latest systematic reviews and meta-analyses, thereby balancing potential risks and benefits.
Introduzione
La storia della materialità e la fasciatura nella cura neonatale
Negli ultimi anni, lo studio della “materialità” ha acquisito crescente rilevanza, portando a una riscoperta del ruolo che gli oggetti svolgono nelle interazioni storiche. Le disamine si sono progressivamente ampliate, passando dall’indagine delle loro funzioni alla ricostruzione delle loro specifiche
“biografie”, mettendo in luce la molteplicità di usi, l’importanza nella vita quotidiana, la persistenza e le evoluzioni con le loro dimensioni simboliche, antropologiche, etiche, psicologiche, affettive, politiche e altro ancora [1]. L’interesse per gli oggetti è inizialmente emerso in settori in cui la materialità è centrale per il campo di studio, come la storia del consumo, della tecnologia, dell’alimentazione e dell’abbigliamento. Tuttavia, l’interesse si è rapidamente esteso a nuovi ambiti. In particolare, in quello della storia della medicina recenti pubblicazioni hanno approfondito lo studio degli oggetti impiegati nella pratica medica, tracciandone l’evoluzione e le trasformazioni d’uso [2]. Tra questi, la fasciatura rappresenta un caso emblematico. Una pratica ampiamente diffusa in passato nella cura del neonato [3] e oggi parzialmente riscoperta, che il presente contributo intende esaminare per porne in luce le caratteristiche storiche e le principali implicazioni etiche.
Le caratteristiche della fasciatura
La fasciatura nel contesto familiare e in ambito medico
Le fasce utilizzate per avvolgere il corpo dei neonati nei primi mesi di vita sono strisce rettangolari simili a nastri, che variano per spessore, lunghezza e altezza. Possono essere realizzate in differenti tessuti, tra cui cotone grezzo, lino, canapa o lana. Alcune presentano colori vivaci, ricami o bordature in pizzo. Esistevano fasce destinate all’uso quotidiano e altre più elaborate, riservate a occasioni speciali come battesimi, festività o processioni.
L’impiego di queste fasce in ambito domestico è attestato da numerose fonti, sia artistiche sia documentarie, tra cui miniature, dipinti, sculture, ex voto, stampe, fotografie, registri mercantili e biografie. La loro presenza è documentata sin dall’antichità in diverse civiltà. Oltre al contesto familiare, la fasciatura era una pratica consolidata anche in ambito pediatrico e ostetrico, rientrando nelle competenze delle levatrici. Il loro impiego seguiva regole precise, tramandate nei trattati di medicina e ostetricia più antichi [4].
Le ragioni dell’uso della fasciatura nella storia
Nell’antichità, il neonato era considerato un essere fragile che necessitava di protezione e calore. Per questo motivo veniva avvolto saldamente in fasce, ricreando l’ambiente contenitivo del grembo materno e fornendo un sostegno alle sue ossa per guidarne la crescita. Si riteneva che questa pratica favorisse un corretto sviluppo corporeo, garantendo che braccia, gambe, schiena, collo e testa crescessero dritti. Inoltre, si credeva che le fasciature aiutassero a correggere eventuali deformità ossee presenti alla nascita e a prevenirne di future. L’immobilizzazione era ritenuta essenziale per favorire la quiete del neonato e proteggerlo dai pericoli derivanti dai suoi stessi movimenti, prevenendo cadute, posizioni potenzialmente rischiose come il decubito prono o il rischio di ferirsi con le proprie mani. Il bambino così fasciato poteva essere facilmente collocato in luoghi sicuri, tenuto in braccio dalla nutrice o adagiato orizzontalmente in culle o cassette apposite, che ne facilitavano il trasporto. In alcuni casi, veniva persino sistemato in posizione verticale all’interno di strutture in legno o vimini o appeso a chiodi fissati a porte e pareti.
Modalità e durata della fasciatura
In generale, il bambino da fasciare veniva disteso sulle ginocchia della donna che eseguiva l’operazione, oppure su un tavolo o sul pavimento, sopra un cuscino o una coperta. Il corpo del bambino veniva tenuto ben diritto, con le braccia distese e aderenti al torace, le mani appoggiate sui fianchi, le gambe estese e i piedi uniti. Per evitare sfregamenti, venivano inseriti cuscinetti di tessuto tra le ascelle, le gambe e i talloni. La parte superiore del corpo poteva essere inizialmente avvolta in una
Giuseppe Gambarini, Inverno. Olio su tela. 1721-1725. Bologna, Pinacoteca Nazionale. Siamo in Italia all’inizio del XVIII secolo. In una modesta camera, vicino al braciere, una giovane sta fasciando il neonato tenendolo sulle sue ginocchia. Le gambe del bambino non sono ancora state coperte e si agitano vigorosamente dimostrando, anche con la sua bocca aperta urlante, la sua contrarietà.
camicetta leggera, mentre quella inferiore in un panno destinato a trattenere feci e urine. Successivamente, il bambino veniva avvolto con le fasce, partendo dai talloni e arrivando fino alle spalle o viceversa, in modo spirale, a volte con più giri. In alcuni casi, le mani del piccolo venivano lasciate libere. Anche la testa veniva coperta con cuffie, lacci o altre soluzioni che ne garantivano l’immobilizzazione. Non è facile determinare con precisione quante volte il bambino venisse cambiato, ma alcune fonti indicano che ciò avveniva almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera. Nelle famiglie aristocratiche, dove vi era una maggiore disponibilità di fasce, il cambio era sicuramente più frequente [5].
Per quanto riguarda le modalità di fasciatura e la durata della permanenza delle fasce, esisteva una grande variabilità nel tempo e tra le diverse popolazioni. L’avvolgimento completo dai piedi alle spalle durava di solito un periodo breve, tra uno e quattro mesi, dopodiché le braccia venivano liberate, a volte prima un braccio e poi l’altro, a seconda delle culture. La fasciatura delle gambe, invece, poteva durare anche fino ai due anni di vita in alcuni casi.
Il dibattito sulla fasciatura
Il dibattito medico sulla pratica della fasciatura nel XVIII secolo
A metà del XVIII secolo in Europa l’attenzione sociale verso l’infanzia crebbe notevolmente e iniziarono a circolare e venire pubblicate opinioni contrarie alla fasciatura [6]. In Francia, seguendo le osservazioni dei naturalisti, il medico Louis de Jaucourt (1704-1779), nel redigere la voce sul fasciare per l’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers di Denis Diderot, sottolineava che alcune popolazioni non seguivano questa pratica, preferendo invece coprire e vestire i bambini senza fasciarli. Questo metodo, che considerava meno problematico, era ritenuto più giudizioso e ragionevole. Dopo aver descritto i danni causati dall’uso delle fasce, Jaucourt esortava a sostituirle in futuro con metodi migliori, raccomandando, nel frattempo, di non stringerle troppo e di cambiarle frequentemente. Nel 1762, il filosofo Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), nel suo saggio pedagogico Émile (1762) condannava severamente la fasciatura, ritenendola una pratica contro natura [7]. Il dottor Antoine-François de Fourcroy (1755-1809) in I fanciulli allevati secondo l’ordine della natura (tradotto in italiano nel 1782) [8], consigliava alle madri di vestire i neonati con una camicia e un “farsettino di fustagno”, avvolgendoli poi in un pannolino e una pezzuola di fustagno, evitando completamente la fasciatura.
Alessandro Vitali, Ritratto di Federico Ubaldo della Rovere in culla Olio su tela. 1605. Firenze, Palazzo Pitti. Il neonato è avvolto in una fascia rossa, riccamente decorata, che lo avvolge fino alle spalle e lo immobilizza supino nella culla. Sul cuscino sono ricamate in oro e argento le ghiande, simbolo della sua casata. La coperta è in raso di seta broccato in rosso e oro. Il ritratto fu probabilmente realizzato in occasione del battesimo.
In Inghilterra, nel suo An Essay Upon Nursing and the Management of Children (1748), il medico William Cadogan (17111797) metteva in guardia contro l’eccessiva copertura dei bambini, suggerendo l’uso di un corpetto, un grembiule o una gonnellina. Anche il medico William Buchan (1729-1805) si opponeva fermamente alle “crudeli fasciature”, come scriveva ne Il conservatore della salute delle madri e dei bambini (tradotto in italiano nel 1806) [9]. Analoghe posizioni avevano Alexander Hamilton (1755-1804), come espresso nel suo Trattato delle donne e dei bambini (tradotto in italiano nel 1802) [10] e Robert Thomas (1753-1835) nel suo Trattato delle malattie dei bambini (tradotto in italiano nel 1827) [11].
Il ginevrino Jacques Ballexserd (1726-1774) nella Dissertazione sull’educazione fisica de’ fanciulli, che nel 1762 riportò il premio della Società olandese delle scienze (tradotta in italiano nel 1763) [12], elencava vari gravi danni associati alla fasciatura, invitando a non utilizzarla. Già nel secolo precedente dipinti olandesi ritraggono lattanti non fasciati, ma piuttosto vestiti con cuffie, camicie, giubbini e ampie pezze comode che coprono gli arti inferiori [13].
In Svezia, nel 1764, Nils Rosen von Rosenstein (1706-1773), nel suo celeberrimo Trattato delle malattie de’ bambini (tradotto in italiano nel 1798) [14], pur esortando le nutrici a fasciarli correttamente, dichiarava che sarebbe stato più ragionevole non fasciare i bambini, come avevano fatto alcuni medici anche con i propri figli.
In Italia, nel 1758, il palermitano Giuseppe Serra, nella sua Dissertazione fisico-pratico-medica intorno alle regole di allattare ed allevare i bambini [15], dopo aver citato Rousseau, consigliava alle balie di fasciare i neonati con “fasce molli, delicate, lasciando un convenevole spazio tra il largo e lo stretto, affinché liberamente giocasse il mantice del loro respiro, e che il movimento dei muscoli articolari rimanesse un po’ sciolto”. Serra citava anche il poema Il Cicerone di Giancarlo Passeroni (1755) [16], in cui la giovane madre Elvia fasciava il figlio senza stringere troppo, evitando i danni che le fasce troppo strette causavano, tanto che “per la grande tortura delle fasce / si comincia a morir quando si nasce”. Nel 1764, il gesuita Giambattista Roberti (1719-1786) pubblicava a Venezia il libretto Discorsi due sulle fasce dei bambini [17], in cui venivano analizzati i lati positivi e quelli negativi di questa pratica. Il medico che criticava l’uso delle fasce, dopo aver
osservato che l’immobilità del bambino causava irritabilità, talvolta anche convulsioni, esortava le madri a tenerle meno strette. Il suo oppositore, invece, tra i vantaggi della fasciatura, indicava anche quello di evitare che i bambini si girassero proni da supini, prevenendo il pericolo di “trovarli talora bocconi soffocati”. Nel 1794 Giovanni Paolo Pizzetti (17491821), traduttore del Trattato delle malattie de’ Fanciulli dell’inglese Michael Underwood (1736-1820), in una nota al testo ammoniva le madri affinché “abbandonisi una volta il detestabil costume di stringerli, anziché ravvolgerli fra molli e pulite fasce, onde possano piegare a piacere le tenerelle membra, e cambiarne la direzione” [18]. Nel 1798, il chirurgo milanese Giovanni Battista Palletta (1748-1832), nella sua traduzione del testo di Rosenstein [19], aggiungeva in nota che la fasciatura era il metodo più diffuso per vestire i lattanti, ma che era possibile anche “involgerli semplicemente in pannilini logori, non ruvidi, netti ed asciutti, per poi avvolgerli in un piccolo panno di lana foderato di tela, oppure mettergli una camicina di tela fine e sopra una camiciola di lana con maniche per coprire le braccia”, deposti su un materasso in una culla a sponde alte per evitare che cadessero. Contrariamente, l’ostetrica Maria Maddalena Petraccini Ferretti (1759-1791), nella sua Memoria per servire alla fisica educazione dei bambini, edita nel 1789 [20], si schierava apertamente contro l’uso delle fasce. Nel 1805, il bolognese Domenico Antonio Mandini (1756-1827) nel trattato di pediatria L’infanzia [21], dopo aver sostenuto l’abolizione delle fasce, osservava che “la forza del pregiudizio è grande, massime quando il costume il sostiene, e l’osservazione l’avvalora”, esortando almeno ad “adoperare dolcezza di modi e pietosa cortesia nell’adattarle al bambino”.
Anonimo, Madre mostra il neonato fasciato e tenuto sollevato in verticale . Fotografia in bianco e nero, Italia. Circa anni Cinquanta del XX secolo. www.barinedita.it/storie-e-interviste/n4245-l-anticapratica-di
La denuncia dei danni delle fasciature nel XIX secolo Nell’Europa del XIX secolo, la pratica della fasciatura era ancora diffusa. Le due modalità più consigliate per vestire i neonati erano quelle “alla francese” e “all’inglese”. “I Francesi vestono il bambino con una camicia e un giubbetto che fissano sul dorso. Successivamente collocano l’infante su un panno di tela che copre una o due fasce di lana o di cotone. Avvolgono con questo il corpo del bambino, un po’ sotto le ascelle, facendo in modo che il panno avvolga le gambe e le separi una dall’altra con la parte inferiore, che si richiama sulle ginocchia del bambino. Gli Inglesi, invece, usano piccole camicie di tela aperte posteriormente, giubbetti di lana a maglia, piccoli corsetti di piqué e panni triangolari di tela o flanella, detti ‘triangoli da imbracatura’. Dopo aver vestito il neonato, lo depongono sul triangolo con la base superiore, unendo i due angoli laterali sul ventre del bambino, mentre l’angolo inferiore del triangolo, fatto passare tra le cosce del bambino, viene fermato con un nastro sopra gli altri due angoli uniti sul ventre” [22]. A queste si aggiunse quella “all’americana” sul modello di quella inglese ma con vestiti senza maniche e più scollati [23].
A fronte dell’uso della fasciatura, gli effetti negativi derivanti dalla trasformazione dei neonati in “piccole mummie egiziane” divennero sempre più evidenti. Numerosi pediatri segnalarono il torpore del bambino, dovuto alla mancanza di stimolazioni e sollecitazioni tattili, e una maggiore irritabilità causata da frequenti infiammazioni e infezioni cutanee per il prolungato ristagno di feci e urine e lo sfregamento della pelle contro i tessuti. La continua alimentazione in risposta al pianto del bambino, unita alla costrizione di stomaco e intestini, provocava disturbi gastrointestinali pericolosi, come vomito e diarrea. Quando i bambini venivano liberati dalle fasce, si osservavano spesso deformità del torace e della pelvi, che nelle femmine potevano causare difficoltà durante il parto, nonché deformità degli arti inferiori, come lussazione della testa del femore, zoppia e un marcato ritardo nella deambulazione. A queste osservazioni si aggiungevano l’evidenza che la mancanza di fasciatura non causava danni alla crescita dei bambini, oltre alla progressiva importanza attribuita alla libertà di movimento dei neonati per favorire il loro corretto sviluppo motorio e psicologico. Il monito di medici e pedagogisti a rinunciare alla fasciatura divenne sempre più deciso e frequente, assumendo i toni di una vera e propria “crociata per la salvezza dei bambini” [24].
Tuttavia, non tutti i medici si dichiararono completamente contrari alla fasciatura. Alcuni, pur riconoscendo l’abitudine diffusa tra le popolazioni più povere, sia in campagna che in città, tolleravano ancora l’uso delle fasce, raccomandando magari soltanto di non stringerle troppo, di liberare le braccia, di cambiarle frequentemente e di mantenerle per un periodo limitato di pochi mesi [25].
Verso una rimodulazione della pratica della fasciatura nel XX secolo e la critica etica alla contenzione
Durante la prima metà del secolo scorso, la graduale acquisizione di evidenze sulle conseguenze negative dell’uso delle fasce portò a una rimodulazione delle raccomandazioni mediche. I manuali di pediatria e puericultura iniziarono ad autorizzare l’uso di fasce corte, alte una decina di centimetri, da mettere sopra la camicia che ricopriva l’addome, e, successivamente, l’utilizzo di camicie, giubbetti, pannolini e pantaloncini che lasciassero libere le braccia e le gambe [26]. Tuttavia, il progresso medico-scientifico non sempre garantisce un immediato cambiamento nei comportamenti e nelle abitudini, soprattutto se le conoscenze non sono facilmente accessibili a tutti. Infatti, a livello popolare restò persistente la convinzione che le fasce rappresentassero un metodo di protezione e cura per i bambini, portando alla sopravvivenza della pratica
nel nostro Paese per decenni. Fino agli anni Quaranta del secolo scorso i pediatri segnalarono, denunciandola, la diffusione delle antiche fasciature, in particolare tra le classi più svantaggiate sia nelle aree rurali, sia in quelle urbane [27]. Come ricordava Claudia Pancino: “nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento ci sono stati neonati non fasciati e neonati fasciati fino alle ascelle” [28].
La riduzione di questa pratica in Italia avvenne in modo graduale a partire dai decenni successivi alla seconda guerra mondiale, quando migliorarono le condizioni socioeconomiche e igieniche della popolazione. Con la diffusione del sapere scientifico-tecnologico e medico-sanitario, furono introdotti pannolini facilmente lavabili (prima ancora di quelli “usa e getta”), insieme a una maggiore disponibilità di acqua corrente, lavatrici e detergenti.
Sull’abbandono della pratica della fasciatura nella seconda metà del Novecento contribuì inoltre il dibattito etico sulla liceità morale della contenzione fisica, entro cui la fasciatura, quando utilizzata in ambito medico-pediatrico, può essere fatta rientrare. Infatti, in quel periodo storico si sviluppò un dibattito sulla possibile violazione etica da parte dei medici che applicavano forme contenitive ai pazienti, considerando almeno due principi fondamentali dell’etica medica: quello di beneficenza e quello di non maleficenza. Il principio di beneficenza impone al medico il dovere di perseguire il miglior interesse clinico del paziente, proteggendone la salute e salvaguardandone la vita. Il principio di non maleficenza stabilisce che il medico non deve arrecare danno al paziente ( primum non nocere). Pertanto, nel proporre un intervento, il medico deve valutare attentamente il bilancio tra benefici e potenziali rischi, assicurandosi che la pratica sia clinicamente appropriata. In merito alla contenzione fisica, la discussione etica rilevò come, se da una parte essa potesse essere considerata in linea con il principio etico di beneficenza laddove usata per proteggere la salute e la vita del paziente, dall’altra essa potesse violare quello di non maleficenza, date le conseguenze negative dell’immobilizzazione sulla salute e, in alcuni casi, anche sulla vita stessa del paziente [29]. I dubbi sollevati sull’appropriatezza clinica e sulla proporzionatezza etica della contenzione sono ancora presenti nel dibattito etico, rendendola una pratica se non altro controversa sotto il profilo morale [30-32]. Per estensione, anche la pratica della fasciatura presenta criticità in etica medica, soprattutto considerando che il paziente è un neonato e che quindi si trova nella condizione di dover subire le decisioni degli adulti. Questo solleva interrogativi sulla legittimità delle scelte imposte a un individuo vulnerabile, in cui i principi di beneficenza e non maleficenza devono essere applicati con particolare attenzione.
Un nuovo utilizzo: tra benefici (veri o supposti) e rischi reali A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, i pediatri hanno iniziato a rivedere la pratica di fasciare i neonati, partendo dall’evidenza che i bambini avvolti strettamente in teli o coperte, che li tenevano immobili e al caldo, mostravano una riduzione del pianto e una maggiore tendenza al sonno [33,34]. Nel corso dei decenni, si sono susseguiti studi che hanno messo in luce sia i vantaggi delle tecniche di wrapping (avvolgimento) e swaddling (fasciatura), sia gli effetti negativi sulla salute. Purtroppo, come spesso accade, l’enfasi sull’effetto positivo della facilitazione del sonno e la riduzione dei risvegli ha portato all’adozione di alcune modalità di contenimento del corpo dei neonati che, seppur favorevoli a un effetto immediato, presentano rischi per la loro salute. Recenti revisioni e metanalisi hanno cercato di fare chiarezza sulle modalità, le indicazioni e i limiti di queste tecniche [35,36].
La fasciatura dei lattanti non è una necessità, ma può essere presa in considerazione in occasioni particolari, sempre sot-
Bartolomeo Pinelli. Costumi di Roma . Incisione acquerellata su rame. Roma. 1819. Siamo all’inizio dell’Ottocento nella campagna romana, dove i rilievi marmorei sulle pareti delle abitazioni rimangono a testimoniare gli antichi fasti. Con un gesto di affetto e orgoglio, un giovane padre solleva il figlio, avvolto in fasce colorate, che protende mani e braccia verso di lui. Vicino a loro la madre, vestita a festa, guarda compiaciuta.
to la guida di personale sanitario [37]. Se si decide di utilizzarla, le fasce o copertine devono essere della giusta misura e spessore, e devono avvolgere il bambino seguendo le istruzioni delle linee guida. È fondamentale non stringere troppo, ma neppure lasciare che i teli siano troppo allentati, così da coprire il viso. Il collo, la testa e il viso del bambino devono sempre essere lasciati scoperti. Inoltre, l’uso delle fasce non deve essere prolungato per l’intera giornata poiché il bambino ha bisogno di muoversi e di essere stimolato. È consigliato tenerlo fasciato per un massimo di 12-20 ore al giorno nelle prime settimane di vita. Una volta immobilizzato, il bambino va tenuto in posizione supina, su un materasso rigido e in un ambiente sicuro, lontano da oggetti che potrebbero causare danni o soffocamento. La fasciatura deve essere evitata quando il bambino inizia a rotolarsi, un fenomeno che solitamente avviene tra i due e i quattro mesi. I neonati fasciati tendono ad addormentarsi più facilmente, a svegliarsi meno e a dormire più a lungo. I neonati prematuri, quando fasciati, mostrano un miglior sviluppo neuromuscolare, ridotto stress fisiologico, una migliore organizzazione motoria e una maggiore capacità di autoregolazione e sopportazione del dolore. La fasciatura è anche di supporto nei casi di sindrome da astinenza neonatale e nei neonati con lesioni cerebrali neonatali, oltre a risultare utile nei casi di coliche gassose [38]. Anche se il suo impiego rimane controverso e vi sono preoccupazioni riguardo all’efficacia e alla sicurezza [39], il wrapping in terapia intensiva neonatale (TIN) viene utilizzato per garantire una maggiore stabilità posturale, nei primi spostamenti fuori dall’incubatrice, per facilitare l’alimentazione e durante le procedure dolorose e i primi bagnetti abilitativi [40]. I neonati pretermine ricoverati in TIN, avvolti in una rete tubolare ortopedica che li contiene come in un bozzolo, mostrano livelli di stress più bassi e minori alterazioni nelle variabili dei sistemi autonomo, motorio e regolatorio [41]. Inoltre, i neonati di peso estremamente basso beneficiano dell’avvolgimento in involucri di plastica che riducono le perdite di calore [42]. La fasciatura e l’avvolgimento, insieme alla suzione non nutritiva di saccarosio, hanno dato buoni risultati nel controllo del dolore e dello stress sia nei neonati pretermine sia in quelli a termine [43]. Tuttavia, sono stati riscontrati diversi svantaggi legati alla fasciatura. Numerosi studi hanno confermato una maggiore incidenza di lussazione congenita delle anche nei bambini fasciati con le gambe diritte e addotte. Il rischio si riduce no-
tevolmente se le ginocchia sono mantenute flesse verso l’alto, in leggera abduzione, ossia divaricate verso l’esterno in posizione a rana, oppure se le gambe sono lasciate completamente libere [44]. Per questo motivo, in passato, sono state avviate campagne informative in Giappone, Canada, America, Turchia e attualmente in India per incoraggiare a sostituire le fasciature tradizionali con mezzi di contenimento che permettano alle ginocchia di flettersi e alle gambe di muoversi liberamente [45]. Un altro rischio è rappresentato dall’ipertermia, che aumenta se il bambino è troppo vestito o avvolto in tessuti pesanti, stretti o mantenuti per troppo tempo. La temperatura corporea può aumentare anche se la testa è coperta o se il bambino ha un’infezione. È importante osservare che il bambino fasciato non mostri segni di ipertermia, come sudorazione, capelli umidi, guance e fronte arrossate, e respiro accelerato. Inoltre, il bambino fasciato che inizia a rotolarsi può passare dalla posizione supina a quella prona, aumentando significativamente il rischio di soffocamento e di sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS). Pertanto, è necessario avvertire i genitori di tenere i bambini a dormire sempre a pancia in su, fasciati o non, nei primi 12 mesi di vita, e di interrompere la fasciatura quando il bambino inizia a girarsi [46]. Alcuni studi suggeriscono che la fasciatura, limitando l’espansione della gabbia toracica e la produzione di vitamina D a causa della ridotta esposizione al sole, possa aumentare il rischio di infezioni respiratorie. Infine, un’importante limitazione riguarda l’allattamento al seno. La fasciatura immediatamente dopo la nascita può causare una maggiore rilassatezza del bambino, riducendo il pianto e ritardando l’inizio dell’allattamento. Ciò comporta una suzione meno efficace, una minore richiesta di latte e una ridotta assunzione, con conseguente perdita di peso maggiore rispetto ai neonati non fasciati, compromettendo la loro crescita. Inoltre, la mancanza di contatto pelle a pelle tra madre e neonato può sfavorire un corretto allattamento [47].
Conclusione. La fasciatura come pratica medicosanitaria e il suo vaglio clinico ed etico Pur essendo una pratica di lunga data, nel corso del tempo la contenzione è stata progressivamente posta in discussione a causa dei potenziali svantaggi che comporta per la salute e il benessere del neonato. Sebbene possieda alcuni aspetti positivi, è imprescindibile non sottovalutarne i rischi associati. Pertanto, è fondamentale che la fasciatura venga applicata esclusivamente da personale sanitario competente, dopo una valutazione approfondita dei benefici e dei rischi connessi alla sua implementazione e alla durata del trattamento [48]. Inoltre, è indispensabile che i professionisti sanitari forniscano un’informazione completa e trasparente ai genitori o ai tutori, al fine di consentire loro di esprimere un consenso informato, consapevole e validamente acquisito. In conclusione, pur apparendo la fasciatura come una pratica domestica e con effetti immediati, come nel caso della gestione del pianto eccessivo nei neonati, la storia della medicina e la storia del dibattito in etica medica ci insegnano che essa debba essere piuttosto considerata una vera e propria pratica medica. Di conseguenza, è necessario sia sottoposta a un’attenta valutazione di appropriatezza clinica da parte del medico, il quale, nel proporla, avrà il dovere di informare e discutere con i genitori i rischi, i benefici e le implicazioni del trattamento, intervenendo solo dopo aver ottenuto il loro consenso. Sarà inoltre essenziale un monitoraggio continuo del neonato fasciato, allo scopo di valutare tempestivamente se interrompere la pratica o adottare opportune misure correttive.
La bibliografia di questo contributo è consultabile online.
sara.patuzzomanzati@univr.it
Accettare o non accettare?
Questo è il problema
Patrizia Elli Pediatra, Milano
Nella rubrica interattiva “Clinical decisions” del New England Journal of Medicine del 30 gennaio 2025 [1] viene presentato il caso di due genitori che, in occasione della futura nascita del secondo figlio, vorrebbero affidare anche il primo alle cure del medico consultato.
Relativamente al primo figlio emerge che è stato adottato uno schema vaccinale particolare, deciso dai genitori, che prevede 2 dosi di vaccino antiepatite B, 2 dosi di antitetanica antidifterica e antipertosse, e due dosi di Haemofilus influentiae tipo B. Il bambino non è stato vaccinato contro Steptococco Pneumoniae, polio, influenza e Covid-19 e i genitori non intendono vaccinarlo contro parotite rosolia e morbillo perché hanno sentito che potrebbe provocare l’autismo.
Viene chiesto ai lettori quale decisione prenderebbero rispetto alle due opzioni presentate e discusse da due esperti:
• accettare il paziente anche senza il vaccino MMR;
• rimandare la presa in carico sino a quando il bambino non avrà ricevuto il vaccino MMR.
Una prima considerazione che è doveroso fare riguarda il contesto in cui si muovono gli esperti nelle loro considerazioni: gli Stati Uniti non hanno una copertura sanitaria universale mentre in Italia il sistema sanitario nazionale è un sistema pubblico a carattere universalistico finanziato dallo stato all’interno del quale sono comprese le cure primarie con la pediatria di libera scelta cui sono affidati gli aspetti di diagnosi, cura e prevenzione dei bambini nella fascia 0-14 anni. Questo aspetto è importante nell’analisi degli effetti che può avere la presa in carico o il rifiuto di un bambino non vaccinato sulla sua salute futura.
Rimandiamo alla lettura dell’articolo per le interessanti considerazioni morali, etiche, scientifiche e legali che i due esperti espongono in favore o contro la presa in carico di un bambino non vaccinato.
Dalla lettura dei due approcci si colgono tuttavia delle differenze che caratterizzano i due comportamenti e che non sono imputabili alla correttezza e alla condivisibilità di entrambe le tesi esposte ma che riguardano più il clima comunicativoemotivo in cui tali decisioni vengono prese.
Nel primo caso la preoccupazione per il futuro di questo bambino che potrebbe non ricevere le cure adeguate unita all’attenzione di una tutela estesa anche ad altri bambini e alla comunità, il timore che un rifiuto di presa in carico possa minare la fiducia dei genitori nei confronti del medico e del sistema sanitario esprimono la consapevolezza di far parte di un sistema e un atteggiamento di apertura e di comprensione delle ragioni dei genitori.
Come ben illustrato in un articolo di Quaderni acp dedicato all’analisi dei risultati di una ricerca di Genitori Più sui determinanti della scelta vaccinale [2] il rifiuto vaccinale ha diverse motivazioni ed è un atteggiamento modificabile: è dunque considerando questi due aspetti che dovremo valutare la nostra decisione.
Spesso i medici, che ragionano in termini epidemiologici-statistici, danno per scontati concetti e conoscenze che in realtà
potrebbero non esserlo per persone che non fanno parte della comunità scientifica. In questo caso, per esempio, la paura di un legame tra l’autismo e il vaccino antimorbillo, sostenuto da A. Wakefield, o per il Thimerosal presente nei vaccini sino a molti anni fa, sostenuto da Mark e David Geier, meriterebbe comprensione e non svalutazione e banalizzazione delle conoscenze dei genitori: sono persone che si sono affidate a quanto diffuso da una prestigiosa stampa scientifica dove studi metodologicamente poco rigorosi e talora fraudolenti sono stati accettati e pubblicati ignorando contemporaneamente le evidenze prodotte dagli studi di buona qualità, che escludevano un ruolo dei vaccini nella patogenesi dell’autismo [3]. Spetta al pediatra far comprendere l’infondatezza di queste notizie accollando eventualmente alla comunità scientifica la colpa di un’errata comunicazione.
In questo modo l’assenza di un giudizio unito all’accoglienza e all’ascolto può aprire la strada alla fiducia e alla costruzione di una relazione attraverso la quale provare a veicolare anche queste informazioni utili per permettere il cambiamento nei genitori legittimando la loro responsabilità genitoriale, termine che ha sostituito nel nuovo ordinamento familiare il vecchio concetto di “patria potestà”.
La comprensione che si dimostra a questi genitori permetterà loro di capire le ragioni degli altri: i genitori si preoccupano per il loro bambino e ragionano in termini soggettivi-emotivi che impediscono loro di cogliere lo stretto legame che esiste tra la salute della comunità e quella del loro figlio: non tutti infatti sanno che molte malattie esistono ancora e la percezione di una loro assenza è data solo dall’effetto “gregge” di una copertura vaccinale universale che ne impedisce la circolazione. Tutte le considerazioni sopra esposte sono possibili solo in presenza di una presa in carico che può favorire la costruzione di un rapporto di fiducia nel tempo. Questo facilita uno scambio frequente di informazioni, la proposta di scenari alternativi e la verifica delle decisioni prese dalla famiglia.
Nel secondo caso la decisione di non accettare il bambino non vaccinato è sostenuta da considerazioni valide e condivisibili, ma appare evidente come in questa tesi prevalgano le ragioni mediche e, essendoci poco spazio per la comprensione dell’altro, si ha la sensazione che l’accurato elenco di informazioni difficilmente raggiungerà lo scopo di un cambiamento di atteggiamento nei genitori.
Ricordiamo inoltre l’importanza che comunque le informazioni fornite dai diversi professionisti sanitari siano uniformi e basate sulle evidenze scientifiche, perché la difformità è destabilizzante per un genitore che, per arginare le proprie paure, avrebbe bisogno di autorevolezza e professionalità.
Da sottolineare come in entrambe le tesi ci sia la giusta preoccupazione di tutela della salute non solo del singolo paziente ma della comunità tutta e dei bambini più fragili in particolare.
Tutto quanto sin qui detto può essere riassunto nel concetto di tridimensionalità etica di una buona pratica clinica. In pratica secondo la Carta della professionalità medica [4], nata da un consenso tra l’European Federation of Internal Medicine, l’American College of Physicians e l’American Board of Internal Medicine, la pratica clinica deve confrontarsi con tre principi: la beneficialità che mette al centro i pazienti (nel nostro caso il bambino), l’autonomia del malato che deve essere adeguatamente informato per prendere decisioni che dovranno essere rispettate dal medico (nel nostro caso l’informazione e il rispetto delle decisioni dei genitori), la giustizia sociale che prevede una giusta distribuzione delle risorse (nel nostro caso l’attenzione alla comunità) [5].
Vale la pena ricordare come nella gestione di un conflitto, quale può essere quella del rifiuto vaccinale da parte dei genitori, per evitare la rottura bisognerebbe poter concentrare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo uscendo da una logica di dife-
sa delle proprie posizioni. La risoluzione del conflitto può essere il raggiungimento di un obiettivo che soddisfi entrambe le parti dopo un’attenta analisi delle motivazioni che hanno portato alla situazione conflittuale, e con la consapevolezza da parte del professionista che l’atteggiamento di rifiuto non va inteso sul piano personale [6,7].
In conclusione, il caso presentato ripropone un tema dibattuto da diversi anni e l’aspetto positivo risiede non tanto in cosa ciascun lettore decide di fare, ma nel come farlo, riflettendo sugli aspetti complessi e affascinanti del lavoro di pediatra, del suo rapporto con il bambino e la famiglia e delle responsabilità che il professionista ha nei confronti di tutti i suoi pazienti e della comunità in generale. Prendendo spunto dalla rubrica del New England Journal of Medicine ci piacerebbe che anche i nostri lettori dopo aver letto l’articolo e le considerazioni fatte, esprimessero un loro parere per riaprire un dibattito su un argomento sempre molto attuale e che può presentare numerosi risvolti professionali e culturali.
PROGRAMMA
Ore 8.30 Iscrizioni ed accoglienza
Ore 9.00 Introduzione ai lavori
Massimo Farneti
Dal passato al presente
Manuela Orrù
Ore 9.30 Inizio lavori Moderano: Michele Torella, Federica Zanetto
Disturbi del neurosviluppo Lo sguardo del pediatra di famiglia
Caso clinico in 5 minuti
Bruna Cammarata
Bibliografia
1. Cheung A. Deciding whether to accept an unvaccinated child into a pediatric Practice. N Engl J Med. 2025 Jan 30;392(5):510-512.
2. Speri L, Simeoni L, Brunelli M, et al. La scelta di vaccinare: uno sguardo dal ponte. Quaderni acp 2014;21:229-236.
3. Offit P. Autism’s false prophets: bad science, risky medicine and the search of cure. New York, Columbia University Press, 2008.
4. Carta della professionalità medica. Janus. Medicina: cultura, culture 2002;6:96-102.
5. Spinsanti S. La responsabilità della cura. Il Pensiero Scientifico Editore, 2024.
6. Valdambrini A. La gestione dei conflitti in ambito sanitario. Il Pensiero Scientifico Editore, 2008.
7. Mizzau M. E tu allora? Il conflitto nella comunicazione quotidiana. Società Editrice Il Mulino, 2002. patriel52@gmail.com
Neuropsichiatria quotidiana per il pediatra
VI° congresso ACP Emilia Romagna Bologna, 25 Ottobre 2025
Teatro Mazzacorati 1763
Via Toscana 19
Informazioni logistiche e organizzative Il congresso è accreditato ECM L’iscrizione che comprende cartellina congressuale, pranzo, certificazione ECM ha un costo di 70€ (50€ per gli iscritti ACP Emilia Romagna e specializzandi) La sede del congresso è raggiungibile dalla stazione ferroviaria con Bus n.11 cambiando in piazza Minghetti e quindi Bus n. 13
Segreteria organizzativa per informazioni: farnetimax@gmail.com
Ore 12.30 Chiusura lavori mattino e pausa pranzo
Ore 14.00 Ripresa lavori Moderano: Duccio Maria Cordelli, Franco Mazzini
Aggiornamento avanzato
Il tema della sessualità e della identità sessuale nell’ambulatorio del pediatra
Margherita Graglia
Discussione
Eterogeneità clinica e traiettorie evolutive
Stefania Millepiedi
Discussione
ADHD: il bambino insopportabile
Narrazione personale in 5 minuti
Samuele Castelli
Dati epidemiologici, criteri diagnostici e farmacoterapia
Sara Carucci
Interventi clinici multidimensionali
Discussione
Simona Chiodo
Aggiornamento avanzato
L’attività motoria e i processi di apprendimento
Leonardo Fogassi
Outdoor education ed “Esposizioni alla natura”
Discussione
Giacomo Toffol
Il bambino che ha sempre “le farfalle nello stomaco” Caso clinico in 5 minuti
Comprendere ed affrontare i disturbi d’ansia
Mariella Allegretti
Discussione
l bambino che mangia sempre le stesse cose
Caso clinico in 5 minuti
ARFID e dintorni
Elisabetta Malaspina
Discussione
Cosa ci portiamo a casa
Stefania Manetti
Chiusura dei lavori
Ore 17.00
Disegno di Franco Panizon
Terapie con estrogeni/ progestinici e corea di Sydenham
Riflessioni da una mapping review sulla prescrizione e sull’informazione ai pazienti
Emanuela Ferrarin1 , Lorenza Driul2 , Nadine Mushet3 , Adrian Sie4 , Imogen Stephens5 , Michael Morton4
1 Biblioteca scientifica e per i pazienti, Centro di riferimento oncologico di Aviano IRCCS
2 Dipartimento di Medicina, Università degli studi di Udine
3 CAMHS, Northumberland Tyne and Wear NHS Foundation Trust, UK
4 Institute of Health and Wellbeing, University of Glasgow, Scotland, UK
5 Retired consultant in public health, UK
Le terapie con estrogeni/progestinici (EPTs) sono state associate all’insorgenza di corea. Le domande su questo argomento rivolte a un’associazione di pazienti (la Sydenham’s Chorea Association, www.sydenhamschorea. com) hanno stimolato la nostra revisione della letteratura (database multipli, dall’inizio ad agosto 2024), da cui è emerso che la corea di Sydenham (Sc) può rappresentare un indicatore di rischio d’insorgenza di corea con le EPTs. Ciò ha stimolato una riflessione sull’uso e sulla necessità d’informazioni adeguate sulle EPTs nelle persone con una storia di Sc. Sarebbero importanti a questo riguardo una rilevazione più accurata del fenomeno di riattivazione della corea durante l’uso delle EPTs in persone con precedente Sc, così come l’identificazione della strategia terapeutica più adatta (es. di contraccezione ormonale) e del momento più opportuno per discuterla con questi pazienti.
Estrogen/progestin therapies (EPTs) have been associated with the development of chorea. Questions on this topic addressed to a patients’ association (the Sydenham’s Chorea Association, www.sydenhamschorea.com) prompted our mapping review of the literature (multiple databases, from the beginning to August 2024), from which emerged that Sydenham’s chorea (Sc) may represent an indicator of the risk of developing chorea with EPTs. This has stimulated a reflection on the use and need for balanced information on EPTs in people with a history of Sc. A more accurate detection of the phenomenon of chorea reactivation during the use of EPTs in persons with previous Sc and the identification of the most suitable therapeutic strategy (e.g. hormonal contraception) and the most appropriate time to discuss it with these patients would be of relevance in this regard. The full English version is available from: https://gbox.garr.it/garrbox/s/v4poBtZdKA1AzkA
Le terapie estrogeniche/progestiniche (EPTs), che includono la contraccezione, la terapia ormonale sostitutiva, la terapia ormonale per la transizione di genere e trattamenti per altre condizioni (l’acne, l’irsutismo, la sindrome dell’ovaio policistico), rappresentano un numero crescente di prescrizioni per le
donne e le adolescenti a livello globale [1]. Il loro uso è stato associato a insorgenza di corea, ed è descritto in letteratura (a partire dagli anni ’60) [2,3] e nelle più recenti informazioni online [4]. Le persone con anamnesi di corea di Sydenham (Sc), un raro disturbo neuropsichiatrico post-streptococcico a esordio infantile, sembrano essere a maggior rischio di sviluppare corea e sintomi psichiatrici durante le EPTs. Le domande poste a un’associazione di pazienti (la Sydenham’s Chorea Association, www.sydenhamschorea.com), hanno stimolato la nostra revisione della letteratura. Una ricerca sistematica (mapping review) dei casi di manifestazione di corea durante le EPTs è stata condotta in PubMed, Embase e LILACS dall’inizio ad agosto 2024. Le 11 serie di casi e i 42 singoli casi rinvenuti, per un totale di 80 pazienti, sono stati esaminati. I report dei 61 pazienti con anamnesi disponibile per Sc, includono 20 pazienti (33%) con una diagnosi passata o attuale di Sc [Figura 1A], suggerendo che la Sc può essere un indicatore di rischio che la corea si ripresenti durante le EPTs, sebbene un’anamnesi negativa per Sc non escluda l’insorgenza di corea con le EPTs. I meccanismi coinvolti nella corea che si manifesta durante le EPTs non sono noti e potrebbero comprendere fattori vascolari, immunologici, metabolici e di neurotrasmissione o una combinazione di questi. La corea (talvolta accompagnata da sintomi psichiatrici) si manifesta spesso alcuni mesi dopo l’inizio delle EPTs, anche se sono stati osservati casi con insorgenza più rapida o ritardata [Figura 1B]. Nella maggior parte dei casi sospendendo l’EPT la corea migliora in poche settimane e cessa in pochi mesi [Figura 1C]. Le ETPs principalmente segnalate sono i contraccettivi orali [Figura 1D]. Questi risultati hanno stimolato delle riflessioni sull’uso e la necessità di una corretta informazione sulle EPTs ai pazienti con una storia di Sc. La documentazione di registrazione delle ETPs, compresi i fogli illustrativi [5], spesso riporta un’avvertenza per la Sc, a cui non corrisponde un richiamo nelle linee guida per la loro prescrizione, per es. per i contraccettivi ormonali (World Health Organization, Medical eligibility criteria for contraceptive use, V ed., 2015 o Faculty of Sexual & Reproductive Healthcare, Combined Hormonal Contraception, ed. 2019, aggiornata a ottobre 2023).
Fig. 1. Caratteristiche della corea che insorge durante le EPTs. Dati aggregati degli 80 casi rinvenuti in letteratura.
Il timore delle persone con pregressa Sc di assumere le EPTs (es. i contraccettivi ormonali dalla nota elevata efficacia) potrebbe esporle a gravidanze indesiderate, che possono rappresentare un problema più grave del rischio d’insorgenza temporanea dei sintomi della corea. Tuttavia, per alcune persone la possibile ricomparsa di sintomi neuropsichiatrici associati alla precedente Sc può rappresentare la problematica maggiore.
La nostra revisione della letteratura e le informazioni richieste alla nostra associazione suggeriscono:
1. la necessità di chiarire le caratteristiche e la frequenza del fenomeno della riattivazione della corea con le ETPs, per es. istituendo registri di persone con pregressa Sc alle quali sono prescritte ETPs;
2. la necessità di considerare quali strategie di contraccezione ormonale potrebbero essere più adatte a persone con precedente Sc. La contraccezione con un singolo agente progestinico, per es. con un impianto sottocutaneo, potrebbe essere preferita, escludendo un contributo degli estrogeni al fenomeno della riattivazione della corea, mentre la contraccezione d’emergenza, dove c’è esposizione alle ETPs per un tempo breve, potrebbe presentare un minor rischio di riattivare la corea;
3. la necessità di identificare un momento appropriato per il medico per discutere tutto questo con il paziente con pregressa Sc dopo la sua diagnosi, data l’esposizione di pazienti e caregiver a varie fonti d’informazione. Le fonti d’informazione complementari (es. le risorse informative su internet, comprese le chat basate sull’intelligenza artificiale) possono supportare un processo decisionale clinico collaborativo, ma se non ben contestualizzate possono contribuire all’emergere di preconcetti non opportuni.
Materiali supplementari
La ricerca bibliografica dettagliata con il diagramma di flusso PRISMA (Materiale supplementare 1) e la bibliografia per i case reports/case series inclusi nell’analisi (Materiale supplementare 2) sono disponibili su https://gbox.garr.it/garrbox/s/ vQtbS0TDEvbLVix. I dati grezzi estratti sono disponibili su richiesta motivata all’autore corrispondente.
Contributi
Emanuela Ferrarin: ideazione, stesura del manoscritto, estrazione e interpretazione dei dati; Michael Morton: ideazione, stesura del manoscritto, interpretazione dei dati; Nadine
Mushet e Adrian Sie: ideazione e revisione del manoscritto; Lorenza Driul e Imogen Stephens: revisione del manoscritto, interpretazione dei dati.
Dichiarazione di trasparenza
Michael Morton è presidente onorario, Adrian Sie è presidente, Nadine Mushet è membro ed Emanuela Ferrarin è collaboratore dell’associazione Sydenham’s Chorea, Glasgow, UK.
Ringraziamenti
Si ringrazia la dottoressa Maria Chiara Bassi, responsabile della Biblioteca Medica dell’Azienda USL, IRCCS di Reggio Emilia e Information Specialist per il Multiple Sclerosis and Rare Diseases of the CNS, per la supervisione metodologica della mapping review.
Bibliografia
1. World Family Planning 2022: Meeting the changing needs for family planning: Contraceptive use by age and method. [Internet]. New York, United Nations Department of Economic and Social Affairs, Population Division; 2022 [citato: 7 dicembre 2024]; [30 pagine]. Disponibile da: https://www.un.org/development/desa/pd/sites/ www.un.org.development.desa.pd/files/files/documents/2023/Feb/ undesa_pd_2022_world-family-planning.pdf
2. Feinstein E, Walker R. Treatment of Secondary Chorea: A Review of the Current Literature. Tremor Other Hyperkinet Mov (N Y). 2020 Jul 16:10:22.
3. Vásquez-Builes S, Correa-Roldan MC, Rojas-Gallego IC, et al. Corea de sydenham: revisión práctica de la literatura actual [Sydenham’s chorea: a practical review of current literature]. Rev Mex Neuroci 2018;19:56-67.
4. Sydenham Chorea [Internet]. Cleveland (Ohio): Cleveland Clinic; aggiornato il 21 maggio 2022 [citato: 7 dicembre 2024]; [6 schermate circa]. Disponibile da: https://my.clevelandclinic.org/health/ diseases/23077-sydenham-chorea
5. Foglio Illustrativo. Yasmin® [Internet]. Milano (IT): Bayer S.p.A.; [citato: 7 dicembre 2024]; [15 pagine]. Documento reso disponibile da AIFA il 23 aprile 2022: https://medicinali.aifa.gov.it/it/#/it/detataglio/0000034369
emanuela.ferrarin@gmail.com
Dalla rivista
Epidemiologia
& Prevenzione, un invito alla lettura per i pediatri ACP
Numero 1-2025
Giacomo Toffol
Coordinatore Pagine elettroniche di Quaderni acp
Continua su questo numero di Quaderni acp la segnalazione degli highlights dell’ultimo numero della rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia Epidemiologia & Prevenzione, frutto di un accordo tra l’Associazione italiana di epidemiologia e l’ACP che prevede uno scambio di segnalazioni per evidenziare e promuovere reciprocamente i temi di maggior interesse delle due riviste. Abbiamo letto per voi il numero 1-2025 della rivista, ricco di spunti di sicuro interesse per i nostri lettori.
Effetto della pandemia e di altre variabili note sulla vulnerabilità nella prontezza scolastica all’apprendimento (School Readiness Vulnerability, SRV)
La “prontezza scolastica”o “school readiness”, ossia l’idoneità del bambino a intraprendere il cammino verso l’apprendimento scolastico, si costruisce gradualmente nei primi anni di vita mediante interazione tra le naturali capacità cognitive del bambino e l’ambiente sociale in cui si trova, famiglia e scuola dell’infanzia in particolare. Segnaliamo su questo argomento un articolo di Valeria Formosa e collaboratori che hanno analizzato la vulnerabilità di una popolazione scolastica del Lazio al primo anno della scuola primaria nell’anno 2022. Gli autori evidenziano nel campione analizzato una prevalenza di SRV pari al 44,9%, con maggior difficoltà nelle abilità motorie, nella pre-matematica e nella pre-alfabetizzazione. Lo studio ribadisce delle correlazioni già note tra questa vulnerabilità e la scarsa frequenza del nido e il basso livello socioculturale di uno o entrambi i genitori. Inoltre mette in risalto l’importanza dell’isolamento dei bambini durante la pandemia da Covid-19, che sembra aver determinato in questa popolazione, a confronto con i valori di riferimento pre-pandemia, un anno di ritardo nello sviluppo psicomotorio. Un commento a questo articolo a cura di Roberta Penge, Silvia Baldi e Franca Rusconi suggerisce cautela nell’interpretare in chiave pandemica questi dati, che hanno comunque il pregio di ribadire l’importanza di una maggiore attenzione al periodo prescolare, fase in cui si costruiscono molte delle basi per lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale che avverrà negli anni successivi.
Hikikomori tra gli studenti 15-19enni italiani Uno studio trasversale effettuato da Sonia Cerrai e colleghi fornisce la prima stima quantitativa del fenomeno del ritiro sociale volontario tra gli studenti 15-19enni in Italia. Lo studio si basa sui dati rilevati da ESPAD®Italia, uno studio campionario nazionale condotto annualmente dal 1999 per monitorare i comportamenti a rischio tra gli studenti delle scuole
superiori di secondo grado. Dallo studio risulta che nel 2023 la prevalenza di isolamento sociale volontario per almeno 6 mesi prima della compilazione del questionario è risultata pari al 2,0% (IC95% 1,8-2,2) e la prevalenza di quello che gli autori definiscono “ritiro corrente” ovvero l’attuale comportamento di non uscire mai di casa durante la settimana tranne per andare a scuola risulta del 11,3% (IC95% 10,0-12,6). Si tratta di numeri significativi, anche considerando che, trattandosi di un questionario compilato da ragazzi che frequentavano la scuola, è plausibile che individui con livelli più elevati di isolamento o con condizioni psicologiche più vulnerabili non siano stati individuati dallo studio e che quindi il fenomeno risulti sottostimato.
Esposizione a sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) e salute riproduttiva in giovani uomini
L’articolo di Francesco Bertola e colleghi presenta i primi dati di uno studio che ha coinvolto 1000 soggetti di 18-37 anni residenti in un’area delle province di Padova, Verona e Vicenza in Veneto caratterizzata da una grave contaminazione delle acque da PFAS, arruolati nel periodo 2022-2023 con l’obiettivo di valutare l’associazione tra esposizione a PFAS e qualità del seme in età giovane adulta. Si tratta di una analisi a interim che riguarda 507 soggetti. Sono state valutate le associazioni dei livelli sierici e seminali di PFOA e PFOS, la residenza della madre in gravidanza e la durata di residenza del soggetto nell’area contaminata e i parametri di qualità del seme, in particolare la conta degli spermatozoi e la presenza di alterazioni morfologiche o di motilità degli spermatozoi. Dallo studio emerge un’associazione tra difetti di motilità e morfologia degli spermatozoi e durata di residenza nell’area contaminata: OR 1,14 (IC90% 0,99; 1,31). Questi risultati rafforzano la letteratura sui rischi per la salute riproduttiva legati all’esposizione a PFAS. Sottolineano inoltre l’importanza della durata di esposizione e dell’esposizione a partire dalla vita fetale. Lo studio fa parte di un progetto più ampio ancora in corso. Questi primi riscontri, unitamente al fatto che la popolazione studiata si conferma ancora molto esposta, indicano la necessità di proseguire con la valutazione di tutti gli altri esiti sanitari previsti nello studio.
Aumentare il verde per ridurre la mortalità in Italia
Nella rubrica ambiente e salute uno studio pubblicato su Nature Communications nel dicembre 2024 viene commentato da Orazio Valerio Giannico e colleghi. Lo studio ha provato a stimare su tutta Italia il numero di decessi potenzialmente evitabili nei 49 milioni di abitanti adulti (20 anni o più) a seguito di un ipotetico incremento del verde residenziale. Lo studio ha stimato per il 2022 un totale di 28.433 (IC95% 21.400-42.350) morti prevenibili e 279.324 (IC95% 210.247415.980) anni di vita persi prevenibili, pari al 5% della mortalità nei comuni considerati. Molto interessanti le considerazioni degli autori e le conclusioni, già ribadite anche in molte pagine della nostra rivista, sulla necessità di un’azione forte per aumentare la quantità e la qualità degli spazi verdi in tutti gli insediamenti umani.
Numerosi altri contributi arricchiscono questo numero, integralmente leggibile per gli abbonati dal sito https://epiprev.it/ (abbonamento scontato per i soci ACP).
Vi auguriamo una buona lettura.
Info
Il Centro Fibrosi Cistica di Verona intitolato al prof. Mastella
Il riconoscimento è avvenuto a quattro anni dalla scomparsa del prof. Gianni Mastella , direttore scientifico e co-fondaetore di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, padre e pioniere della ricerca italiana sulla fibrosi cistica (FC). Un uomo visionario, che ha dedicato la sua vita alla ricerca scientifica, contribuendo a cambiare il destino di migliaia di persone. L’intitolazione del Centro è stata quindi l’occasione per ricordare, una volta di più, la figura del professore, punto costante di riferimento clinico per malati, familiari, colleghi e ricercatori scientifici, che nel 1957 ha diagnosticato per primo un caso di fibrosi cistica in Italia. Nel 1967, a Verona, costituisce e dirige il primo centro di cura per la fibrosi cistica d’Italia, che assumerà un ruolo sempre più rilevante a livello nazionale e internazionale. Ed è proprio al Centro di Verona che a inizio anni ’80, in via sperimentale, si getteranno le basi dei primi test per effettuare lo screening neonatale della FC. Dieci anni dopo, su stimolo del prof. Mastella, l’intero Veneto diventerà la Regione capofila del progetto pilota. L’Italia sarà in anticipo di quasi 20 anni sugli Stati Uniti. Nel 1993, grazie al suo fondamentale supporto, vede la luce la legge 548, nota come “Legge Garavaglia”, che estende a tutte le Regioni italiane il modello organizzativo e assistenziale sperimentato in Veneto. Una vera e propria rivoluzione nel trattamento della fibrosi cistica, che ha contribuito a una qualità delle cure ai malati che raramente si riscontra in altri Paesi. Nel 1997, insieme agli imprenditori Vittoriano Faganelli, Matteo Marzotto e Michele Romano, il prof. Mastella istituisce a Verona la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica della quale resta direttore scientifico sino al 2021, anno della sua scomparsa.
Nel 2020 M. Gangemi e C. Chiamenti, nella rubrica “Educazione in Medicina” di Quaderni acp, hanno tracciato un bellissimo profilo del professore Mastella; ne riportiamo qui solo un pezzo “Noi abbiamo avuto il privilegio, alla fine degli anni settanta, di incontrare un vero maestro in un contesto culturale e sociale favorevole. Ai primordi della pediatria di base, terreno ancora inesplorato, quando il fulcro della medicina erano l’ospedale e la clinica universitaria, quando non c’era l’EBM, quando la letteratura era scarsa e imperava l’aneddotica, noi incontrammo ‘l’anglosassone’. L’uomo fumava la pipa e metteva soggezione. Con l’umiltà di allievi zen ci siamo sottoposti alla disciplina del Maestro. Inconsapevoli ma fiduciosi abbiamo seguito il pifferaio. E… abbiamo imparato un metodo.”
Marketing delle formule in Australia (e in Italia...)
Questo articolo (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10. 1111/jpc.16761), sebbene faccia riferimento alla situazione australiana, è trasferibile alla nostra realtà italiana. Si concentra sull’importanza dell’allattamento, sui fattori che ne ostacolano la diffusione e sull’influenza del marketing delle formule per l’infanzia (CMF), che contribuisce significativamente alla riduzione dei tassi di allattamento esclusivo nei primi sei mesi di vita. Nonostante i numerosi benefici per la salute, l’economia e l’ambiente, l’allattamento è sistematicamente indebolito dalle pratiche promozionali aggressive delle aziende produttrici di formule.
In Australia, nonostante un’alta percentuale di donne che iniziano ad allattare, solo il 39% dei neonati è allattato esclusivamente al seno fino a tre mesi e solo il 15% fino ai sei mesi. Le ragioni di questi tassi insufficienti sono legate a una combinazione di mancanza di conoscenza, influenze commerciali e politiche insufficienti per promuovere l’allattamento. L’industria delle formule per l’infanzia, che investe enormi somme (oltre 3,5 miliardi di dollari all’anno in marketing), ha un impatto significativo sulla percezione dell’allattamento. Le campagne pubblicitarie spesso minano la fiducia delle madri nelle loro capacità di allattare e promuovono le CMF come alternative migliori, nonostante le evidenze scientifiche dimostrino che l’allattamento è superiore sotto ogni aspetto. Inoltre, le pratiche di marketing sono studiate per sfruttare la vulnerabilità dei genitori, creando una falsa percezione di “problemi” nei comportamenti infantili normali che portano a suggerire l’uso di formule. Un altro aspetto critico sollevato nell’articolo è l’influenza della sponsorizzazione delle aziende di CMF sulle associazioni professionali sanitarie (HCPA) e sui singoli professionisti sanitari (HCP). Le aziende sponsor, attraverso eventi educativi, finanziamenti per la ricerca e influenze sulle linee guida cliniche, indirizzano le pratiche professionali e i consigli che i medici e altri operatori sanitari danno ai genitori. Questo crea un conflitto di interesse che mina l’indipendenza delle pratiche sanitarie, distorcendo la valutazione dei benefici dell’allattamento rispetto alle formule.
Il Codice Internazionale di Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, creato dall’OMS, è uno strumento fondamentale per proteggere e promuovere l’allattamento e garantire l’uso appropriato delle CMF. Questo Codice stabilisce che le aziende di CMF non dovrebbero sponsorizzare eventi educativi o ricerca per i professionisti sanitari, e che le associazioni sanitarie non dovrebbero accettare finanziamenti da queste aziende. Nonostante l’esistenza di questo Codice dal 1981, la sua applicazione in Australia è ancora carente e le pratiche di sponsorizzazione sono ampiamente diffuse, minando l’efficacia della politica. La produzione delle CMF ha anche impatti ambientali negativi significativi, contribuendo all’emissione di gas serra, al consumo di risorse naturali come l’acqua e alla produzione di rifiuti. Il sostegno all’allattamento, che non richiede processi di produzione industriale, potrebbe ridurre notevolmente queste problematiche ecologiche.
L’articolo propone diverse azioni per migliorare la promozione dell’allattamento in Australia:
• Migliorare l’implementazione del Codice OMS: è necessario un intervento più rigoroso da parte del governo australiano per applicare correttamente il Codice e vietare le pratiche di sponsorizzazione delle aziende di CMF.
• Educazione dei professionisti sanitari: i programmi universitari devono includere una formazione adeguata sull’allattamento e sui conflitti di interesse legati alle sponsorizzazioni delle aziende di CMF. La formazione continua deve rispettare il Codice OMS, e le HCPA devono regolamentare l’educazione professionale per evitare influenze commerciali.
• Sostegno alle iniziative per la certificazione “Baby Friendly”: si consiglia di promuovere l’accreditamento delle strutture sanitarie secondo i criteri della Baby Friendly Health Initiative (BFHI), che include la formazione continua sul tema dell’allattamento e la compliance con il Codice OMS.
Proteggere i giovani medici dalle influenze commerciali
Il 9 settembre 2024 è stato pubblicato sul British Medical Journal l’editoriale Protecting early career physicians from commercial influence di Alice Fabbri e Quinn Grundy, che esplora come le industrie farmaceutiche attuino pratiche di marketing volte a condizionare le scelte degli operatori sanitari. In particolare, l’articolo evidenzia come tra le categorie
più vulnerabili rientrino i futuri professionisti, che già durante il periodo di formazione sono vittime delle strategie delle industrie farmaceutiche. Viene infatti riportato che negli Stati Uniti riceve finanziamenti il 73% degli specializzandi in cardiologia, durante l’ ultimo anno di specializzazione, percentuale che aumenta all’88% nell’anno successivo alla fine del percorso di formazione. Fabbri e Grundy evidenziano poi come le strategie delle ditte farmaceutiche non si limitino ai soli finanziamenti. Altri metodi usati sono la pratica del gift giving, come l’elargizione di pasti e gadget, la presenza di rappresentanti farmaceutici negli ospedali e la sponsorizzazione degli eventi di formazione (nello specifico gli ECM nel sistema italiano). Di fronte a queste pratiche, i medici in formazione risultano essere particolarmente vulnerabili in quanto stanno ancora sviluppando un’identità professionale e costruendo i propri modelli di pratica. Gli autori sottolineano come i rapporti tra ditte farmaceutiche e professionisti, se consolidati precocemente, possono influenzare negativamente l’autonomia e l’etica professionale dei medici, portando a cure eccessive o inadeguate. Ciò ha un impatto diretto sia sulla sostenibilità del sistema sanitario che sulla salute dei pazienti. A livello del nostro territorio, per prevenire queste problematiche, il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina (SISM) ha avviato una serie di iniziative. Già nel 2009 è stata stilata la prima versione del Policy Document Conflitto di Interessi nella Pratica Medica, tramite cui gli studenti di medicina italiani hanno preso posizione riguardo al tema del conflitto d’interessi, proponendo anche delle modalità di condotta. Analogamente, l’International Federation of Medical Students’ Associations (IFMSA) ha adottato una politica di integrità e trasparenza nell’educazione medica, sollecitando le università a implementare policy in ambito di conflitti di interessi e a limitare la presenza dell’industria farmaceutica nei contesti formativi. Dalla necessità di avere un impatto diretto sugli studenti di medicina e sopperire alle carenze formative nei corsi universitari, il SISM ha successivamente istituito anche il workshop sul conflitto di interessi nella pratica medica, che viene svolto ogni anno con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza tra gli studenti sul conflitto d’interessi e i rischi che esso comporta sia nella pratica medica che in ambito di ricerca. Infine, l’articolo di Fabbri e Grundy evidenzia la necessità di implementare politiche robuste da parte delle istituzioni, non limitandosi alla sola trasparenza, ma affrontando direttamente i conflitti di interessi derivanti da rapporti finanziari con l’industria. Ciò richiederebbe che le scuole di medicina, le Università e le istituzioni sanitarie adottino misure efficaci per prevenirli o gestirli, poiché la trasparenza, pur essendo un passo importante, non elimina i conflitti di interessi ma si limita a renderli visibili (fonte: Nograzie).
Rapporto Cedap 2023
Dove partoriscono le donne in Italia . Il 90,1% dei parti è avvenuto negli istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,8% nelle case di cura e solo lo 0,13% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio ecc.). Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 61,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui (134 strutture, il 34,4% dei punti nascita totali). L’8% dei parti avviene invece in strutture con meno di 500 parti annui.
L’età media della madre è di 33,2 anni per le italiane, mentre scende a 31,2 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 33,8 anni per le italiane e 31,6 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane, quasi in tutte le Regioni, superiore a 31 anni, con lievi variazioni regionali. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 29,2 anni.
Le caratteristiche delle madri: cittadinanza, grado di istruzione e professione. Circa il 20,1% dei parti è relativo a cittadine straniere, concentrati soprattutto al centro-nord (più del 21% dei parti avviene da madri non italiane): in Emilia Romagna, Liguria e Marche oltre il 30% delle nascite è riferito a madri straniere. Le donne straniere provengono in particolare dall’Africa (29,6%) e dell’Unione europea (17,9%). Le madri di origine asiatica e sudamericana sono rispettivamente il 21,0% e l’8,3% delle madri straniere. Delle donne che hanno partorito nell’anno 2023 il 42,4% ha una scolarità medio alta, il 22,0% medio bassa e il 35,6% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (41,2%). Delle donne che hanno partorito nel 2023 il 42,4% ha una scolarità medio alta, il 22,0% medio bassa e il 35,6% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (41,2%). Il 60,1% delle madri lavora, il 23,7% sono casalinghe e il 14,2% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2023 è per il 50,1% quella di casalinga a fronte del 67,9% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa.
Visite e tecniche diagnostiche Nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4, mentre nel 76,7% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è dell’1,8%, percentuale che sale al 10,6% tra le donne straniere. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata a un maggior rischio di controlli assenti (2,6%) o tardivi (prima visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 12,7% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 2 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 5,17% dei casi con un trend decrescente nell’ultimo triennio.
Il parto La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 94,84% dei casi il padre del bambino, nel 4,26% un familiare e nello 0,90% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica.
Si conferma il ricorso eccessivo al parto per via chirurgica. In media, nel 2023 il 30,3% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. I dati denotano comunque una tendenza alla diminuzione in linea con le indicazioni delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”.
I neonati Lo 0,9% dei nati ha un peso inferiore a 1500 grammi e il 6,1% tra 1500 e 2500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 98,5% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10. Sono stati rilevati 919 nati morti corrispondenti a un tasso di natimortalità pari a 2,40 nati morti ogni 1000 nati, e registrati 4.507 casi di malformazioni diagnosticate alla nascita.
Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita . Il ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) è in media di 3,9 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).
Il treno dei bambini
Chi ti ama, non ti trattiene
Rubrica a cura di Italo Spada
Comitato per la Cinematografia dei Ragazzi di Roma
Il treno dei bambini
Regia: Cristina Comencini
Con: S. Rossi, B. Ronchi, C. Cervone, S. Accorsi, G. Arena, F. Di Leva, A. Truppo, I. Zerbinati
Italia, 2024
Durata: 106’
Lars von Trier, il regista danese creatore del manifesto programmatico Dogma 95, sosteneva che “un film deve essere come un sassolino in una scarpa”. Non saprei dire se Cristina Comencini, con Il treno dei bambini, tratto dal romanzo di Viola Ardone, oltre che dedicare questa sua fatica “ai bambini e alle mamme di tutte le guerre”, abbia voluto anche togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma mi piace immaginarlo.
Mi piace pensare che, tra le intenzioni della regista romana, ci sia stata anche quella di dimostrare, come accade ogni tanto nelle storie d’amore, che gli opposti si attraggono . Sassolino che diventa lezione da impartire a chi si batte per mantenere le distanze tra Bianchi e Neri, Noi e gli Altri, Ricchi e Poveri, Bene e Male, Nord e Sud… Libro e film ci proiettano nei quartieri spagnoli di Napoli, quando, nella prima metà degli anni Quaranta, si cercava di sopravvivere alla devastazione del secondo dopoguerra. È lì, in un clima di povertà, di infanzia rubata, di fame e di famiglie smembrate, che vive Antonietta (Serena Rossi), una donna provata dalla miseria e dall’indigenza. Il marito, stando a quanto dice lei, è in America e l’unica gioia della sua vita è Amerigo, un figlio di otto anni che sogna il giorno in cui potrà calzare un paio di scarpe. Quando viene organizzata la campagna di solidarietà chiamata “Il treno dei bambini”, finalizzata a strappare temporaneamente dalla miseria alcuni bambini meridionali dandoli in affido temporaneo a famiglie agiate del Nord, Antonietta inserisce nell’elenco anche il nome di suo figlio. È così che Amerigo si ritrova a passare un tranquillo periodo della sua fanciullezza nella campagna emiliana, accolto con grande affetto da zii e cugini acquisiti e, soprattutto, da Derna (Barbara Ronchi), una donna senza figli e marito, che gli farà da seconda mamma. Altro sassolino: la smentita di velenose battute, come quella dei comunisti che mangiano i bambini. È storicamente accertato che, a organizzare tutto – scelta dei bambini, viaggio, pasti, coperte, accoglienza, collocazione, affido… – provvide l’Unione Donne del Partito Comunista Italiano. Non fu facile, nel clima che si era creato allora in Italia, far capire a genitori e bambini che bisognava mettere da parte pregiudizi e paure. Amerigo e i suoi amici scoprono che nella vita, più dell’orco che mangia i bambini e della strega cattiva, esistono nani che si prendono cura di reginette orfane e cigni che accolgono brutti anatroccoli. Quando il treno arriva a destinazione, infatti, trovano l’intero paese in festa: folla osannante all’unità nazionale, banda musicale, inno d’Italia, striscioni di benvenuto, sventolio di bandierine tricolori, pranzo, abbuffata di mortadella e tortellini.
Terzo sassolino: la precisazione di ciò che bisogna intendere quando si parla di famiglia. Antonietta, donna ancora giovane ma già provata dalla sfortuna, pensa solo a non fare mancare il cibo a suo figlio e cerca di arrangiarsi con favori a Capa e’ Fierro, il boss locale che si dà arie di camorrista. Avere vincoli di sangue, dormire sotto lo stesso tetto, mangiare allo stesso tavolo, non bastano. Antonietta, come accadeva a molte donne del Sud, non ha proseguito gli studi dopo le elementari; come avrebbe potuto tenere presente, allora, quello che aveva detto un certo Buddha con “la famiglia è un luogo in cui le menti entrano in contatto l’una con l’altra?”
Lo sapeva bene, invece, Alcide, lo zio modenese di Amerigo. È lui, infatti, che riesce a entrare in contatto con la mente di quel bimbo napoletano che, di giorno in giorno, dimostra un’innata predisposizione per la musica. Ed è sempre lui che, alla fine dell’affido temporaneo, gli attutisce il dispiacere della separazione, regalandogli un violino. Amerigo torna a Napoli, riabbraccia sua madre, ma porta con sé uno strumento che può annullare le distanze e farlo sentire ancora membro di una seconda famiglia. Poesia e musica che, per Antonietta, sono solo parole quando il piatto resta vuoto; per questo decide di impegnare il violino al monte di pietà, non prevedendo minimamente la reazione di Amerigo che fugge da Napoli e ritorna tra le braccia della sua seconda madre. Il quarto sassolino, pertanto, diventa un sasso pieno di interrogativi: “Che significa essere genitori? Fino a che punto si può dire che mamma ce n’è una sola?” Nella letteratura per l’infanzia ricoprono questo ruolo sia fate belle e buone che streghe brutte e cattive; nella cronaca di tutti i giorni c’è di peggio: neonati abbandonati, figli che uccidono i genitori, genitori che uccidono i figli. In questo film viene spontaneo contrapporre la rigidità di Antonietta alla dolcezza di Derna. Una madre, si dirà, può lasciare andare suo figlio per un determinato periodo di tempo e per assicurargli vitto e vestiti, ma non può abbandonarlo per sempre. Sul banco degli imputati, Antonietta non avrebbe scampo, ma non sempre le cose stanno così come sembrano. Ci sono madri che accettano accuse, condanne, separazioni pur di vedere la carne della loro carne vivere una vita migliore. La saggezza antica insegna che “chi ci ama, non ci trattiene”. Il treno dei bambini si apre con Amerigo (Stefano Accorsi), già adulto e affermato violinista, che, un attimo prima di dare inizio a un concerto, riceve la notizia della morte di Antonietta e si chiude con il suo rientro a Napoli. Quello che ci viene narrato lo apprendiamo in flashback e in sua soggettiva, come se la musica avesse aperto a lui e a noi il cassetto della memoria. “La musica – come dice Nick Hornby – ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza”.
Amerigo, dopo avere varcato la soglia della vecchia casa, scopre che sotto il letto dove dormiva sua madre c’è qualcosa che attira la sua attenzione: è il violino, riscattato dal monte di pietà di Napoli e da lei custodito come religiosa reliquia. Davanti ai suoi occhi si squarcia il velo di una verità nascosta e non può fare a meno di accarezzare le corde dello strumento come se fossero i capelli di chi l’ha generato. Il pianto che non riesce a trattenere è un quinto sassolino nella sua e nostra scarpa. Mai giudicare le scelte degli altri, perché tutti combattiamo battaglie che altri non conoscono.
italoepifaniospada@gmail.com
Libri
Occasioni per una buona lettura
Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano
la Guida online facilita la ricerca tra i libri consigliati da Nati per Leggere a partire dal 2008, includendo i libri in edizione speciale NpL e NpM, i libri premiati da Nati per Leggere e i libri selezionati per il progetto #ioleggoperché LAB NIDI. Giovanna Malgaroli
Il dubbio e il dialogo. Il labirinto di Norberto Bobbio di Gustavo Zagrebelsky Einaudi 2024, pp. 96 , € 12,35
Nati per Leggere. Una guida per genitori e futuri lettori
Nona edizione a cura di Nives Benati, Angela Dal Gobbo e l’Osservatorio editoriale Nati per Leggere Associazione Italiana Biblioteche, 2025, pp. 129 € 9
Come non farsi sfuggire i migliori libri per l’infanzia: la nuova edizione della bibliografia di Nati per Leggere I circa 6000 libri per le bambine e i bambini in età prescolare che vengono pubblicati ogni anno (Fonte: Ufficio studi AIE su dati IE-Informazioni editoriali) testimoniano di una grande vitalità dell’editoria per l’infanzia nel nostro Paese. Non tutti questi libri arrivano sui banchi delle librerie né sugli scaffali delle biblioteche, per motivi economici, di spazio e di selezione in relazione allo specifico profilo delle singole librerie e biblioteche. D’altro canto, molti libri per bambini sono onestamente brutti, come sostiene – un po’ provocatoriamente – l’autore americano Mac Barnett (La porta segreta. Perché i libri per bambini sono una cosa serissima, Terre di Mezzo, 2024). Vale per tutte le forme letterarie e più in generale per qualsiasi prodotto artistico, ma in particolare, i libri per bambini sono spesso didascalici, moralizzanti, sdolcinati, insipidi, scritti e illustrati in modo amatoriale, perché gli adulti che ne sono gli autori non hanno sempre la giusta considerazione dei loro giovani interlocutori. In ogni caso, per chi si occupa di scegliere i libri da leggere con bambine e bambini, la questione è come non farsi sfuggire i libri imperdibili, quelli che fanno la differenza e possono suscitare l’interesse di piccoli e grandi. L’Osservatorio editoriale di Nati per Leggere ci viene a questo proposito in aiuto. Un gruppo composto da bibliotecarie, libraie, pediatre ed esperte di letteratura per l’infanzia, ogni due anni cura la pubblicazione Nati per Leggere. Una guida per genitori e futuri lettori. Chi compila questa guida legge e passa in rassegna pressoché tutti i libri destinati all’età prescolare e sceglie quelli più belli e rappresentativi della produzione editoriale del periodo esaminato, per l’edizione che stiamo qui presentando, il biennio 2023 e 2024. Questa bibliografia ha un altro pregio: quello di raggruppare tipologicamente i tanti libri selezionati, indicando piste di lettura e consentendo a lettrici e lettori di ritrovare più facilmente diversi libri rispondenti al proprio gusto e all’interesse di lettura. La guida 2025 segnala 224 titoli di 54 editori, realizzati da 263 autori e illustratori. I titoli sono suddivisi in sei sezioni che mettono in luce da una parte la rispondenza dei libri alle competenze delle bambine e dei bambini in evoluzione e dall’altra rendono conto delle tendenze editoriali che si affermano e caratterizzano questi libri. Può interessare a tutte e tutti coloro che promuovono il programma Nati per Leggere, ma anche a chi ancora non sa quanta bellezza e ricchezza è contenuta nei libri per bambine e bambini. Mentre la versione cartacea è a tutti gli effetti una guida bibliografica che organizza i libri segnalati in percorsi di lettura e ne introduce le caratteristiche salienti,
Devo l’opportunità di questa lettura a Dante Baronciani. Gustavo Zagrebelsky, noto giudice costituzionale, con questo scritto rende un affettuoso omaggio al suo maestro Norberto Bobbio, nella ricorrenza dei vent’anni dalla morte. In poche pagine Zagrebelsky coglie il cuore del pensiero del grande filosofo, giurista, politologo e storico italiano. La forma mentis di Bobbio è quella di procedere per dicotomie: giovane e vecchio, pace e guerra, libertà e potere, democrazia e autocrazia, individualismo e totalitarismo, uguaglianza e gerarchia, ecc. A proposito di eguaglianza/diseguaglianza l’autore cita uno scritto di Bobbio. Nel Discorso sull’origine della disuguaglianza, Rousseau parte dalla considerazione che gli uomini siano nati uguali ma che la società civile li abbia resi disuguali. Nietzsche invece parte dall’idea che gli uomini siano per natura diseguali ma che la società, con la sua morale del gregge e la sua religione della compassione e della rassegnazione, li abbia resi uguali. In sintesi: “in nome dell’eguaglianza naturale, l’egualitario condanna la diseguaglianza sociale; in nome della diseguaglianza naturale, l’inegualitario condanna l’eguaglianza sociale”. La dicotomia serve per conoscere e per giudicare, cioè “prendere posizione”. Lo sguardo duplice (“ma è davvero vero?”) è lo sguardo vigile. Accettare la duplicità, che va vista come arricchimento, corrisponde ad accettare la complessità. Procedendo con le distinzioni spesso si finisce nel labirinto. Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale; occorre usare l’ingegno per districarsi, occorre rischiare ed essere sempre pronti a tornare indietro. Alle volte tuttavia si finisce nel vicolo cieco. Per esempio la domanda “esiste un al di là dopo la morte?” ci pone di fronte alla dicotomia indicibile, davanti alla quale ci si può solo fermare perplessi e rispettosi, perché il mistero non nega la ragione ma fissa i limiti. Il professor Bobbio non è solo un teorico, è sempre agganciato alla realtà. Infatti il diritto e la politica sono scienze “pratiche”: si deve comprendere per convivere, e così all’etica della convinzione si affianca l’etica della responsabilità. La scelta della convivenza richiede un atteggiamento etico caratterizzato da tolleranza, dialogo e dubbio. La tolleranza, che è un atteggiamento positivo nei confronti degli altri e dei loro punti di vista, è la base del pluralismo. La sintesi di Zagrebelsky sull’uomo Bobbio è “semper idem et semper novus”: idem nel metodo concettuale e novus negli atteggiamenti pratici. “Il problema accende ma non corrompe il metodo, e il metodo illumina e non schiaccia il problema”. Il metodo non è un freddo atteggiamento teorico, ma è un modo d’essere morale, riguarda la personalità. Negli ultimi anni Bobbio, che è sempre stato l’uomo dei diritti (L’età dei diritti, 1990), in un’intervista dichiara: “Se la forza necessaria mi assistesse scriverei una età dei doveri”. È un’ammissione di resa. È convinto che i diritti dell’uomo sono un’invenzione più an-
nunciata che eseguita, che risplende nelle dichiarazioni solenni, ma nella realtà è sistematicamente violata. All’enunciato morale non è seguita la scelta pratica. Chissà cosa penserebbe il professore di come trattiamo i migranti, e delle guerre, e del nostro quotidiano e pervasivo politically correct. “La speranza (in cui Bobbio non crede, essendo pessimista della ragione) è una virtù teologica”, sperare in un intervento esterno è una prospettiva messianica, millenaristica. Si può solo contare sulle proprie forze. Le virtù del laico sono mondane e civili: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui. Nell’ultima fase della vita Bobbio, forse con una certa amarezza, diceva “più che i concetti, contano gli affetti”. Proprio lui, uomo dei concetti. Sono parole molto umane, che chiudono il piccolo volume e richiamano al conforto dell’amicizia. E si agganciano all’incipit del libro “Vieni a trovarmi!”, frase più volte rivolta all’autore.
Claudio Chiamenti
caratterizzano il percorso verso l’età adulta. Mille e una infanzia è un’analisi approfondita e coinvolgente dell’infanzia, che invita a riflettere su come si possa contribuire a un futuro migliore per le nuove generazioni, e che colpisce il lettore per la sensibilità e l’affetto che traspare nei confronti dei bambini. Laura Reali
La prova della mia innocenza di Jonathan Coe
Feltrinelli 2024, pp. 416, € 22
Le mille e una infanzia. Bambini, culture, migrazioni di Riccardo Bosi
Carocci 2024, pp. 124, € 14
Le mille e una infanzia di Riccardo Bosi esplora la complessità dell’infanzia, intrecciando elementi autobiografici e riflessioni più ampie sulla crescita e l’identità attraverso una lente multidisciplinare e multiculturale che lui ha conosciuto nel suo lavoro con i bambini migranti. Il libro, strutturato in brevi racconti o episodi sui bambini che l’autore ha incontrato lungo la sua vita di pediatra, affronta i vari aspetti della loro crescita. Ne analizza le dinamiche sociali, culturali e psicologiche che hanno influenzato la loro vita quotidiana, commentandole con riflessioni più profonde, a volte affettuose. Con uno sguardo narrativo e riflessivo, ma anche affettuoso, Bosi invita il lettore a guardare le mille sfaccettature dell’infanzia, riconoscendone il valore nella società contemporanea. Il suo stile, a tratti evocativo, descrive le emozioni e le esperienze tipiche dei bambini. Lo strumento, vincente, è quello delle storie dei bambini. Le riflessioni, di cultura pediatrica, antropologica, socioculturale, che si intrecciano con le storie, sono sempre con tono leggero, mai accademico. L’autore riesce a raccontare l’infanzia multietnica che ha conosciuto nel suo lavoro, intrecciando elementi autobiografici e riflessioni più ampie sull’infanzia e sull’importanza di creare ambienti favorevoli alla crescita e al benessere dei bambini. Il contesto è familiare, scolastico, socioculturale e ambientale, incluso l’inquinamento. A livello educativo, Bosi pone l’accento sull’importanza dell’educazione inclusiva e sulla necessità di ascoltare le voci dei bambini per comprendere meglio le loro esigenze e aspirazioni. La conclusione è che l’infanzia è profondamente influenzata dalle dinamiche sociali e culturali, cioè dal contesto in cui viene vissuta, e noi adulti dovremmo sempre tenerlo presente, in particolare noi pediatri, cui spetta il compito speciale di garantire ai bambini le migliori opportunità di crescere, grazie al supporto che riusciamo a offrire ai genitori nel loro ruolo. La prosa di Bosi è fluida e visiva, capace di trasmettere non solo le esperienze esteriori ma anche le emozioni interiori rispetto a temi come la crescita, la scoperta di sé e le relazioni familiari, esplorando le paure e le speranze che
Phyl è una giovane laureata in lettere, tornata a vivere dai genitori, frustrata dagli orizzonti ristretti della vita di provincia inglese e da un orrido lavoro in un ristorante giapponese all’aeroporto di Heathrow. Oltretutto i suoi progetti di diventare una scrittrice non stanno andando da nessuna parte. Almeno fino a quando non si presenta a casa un amico di vecchia data della madre, Christopher Swann con la figlia adottiva Rashida, della quale Phyl diventerà grande amica. Chris racconta che sta indagando su un oscuro think tank, il Processus Group, fondato a Cambridge negli anni Ottanta e costituito da un gruppo di fanatici che vuole spingere il governo sempre più a destra. L’immaginazione di Phyl si accende e la ragazza inizia a scrivere quello che sembra un tipico giallo anglosassone. Intanto, mentre la Gran Bretagna si ritrova sotto la guida di Liz Truss (e chi se la ricordava Liz Truss!), che durerà solo sette settimane, Chris porta avanti la sua inchiesta e si reca nel cuore del Paese, nelle Cotswolds, dove si tiene un convegno utile alla sua ricerca. Fin qui la descrizione della trama. Jonathan Coe è uno dei miei scrittori preferiti. Descrive la società inglese (o meglio anglosassone) con una critica feroce, e spesso i suoi romanzi hanno previsto cose che sarebbero arrivate nel futuro e che al momento della lettura potevano sembrare inimmaginabili (es. La famiglia Winshaw e la mucca pazza). Ma i suoi libri hanno ironia, e pur trattando argomenti molto seri senza infingimenti, la lettura non angoscia mai. In questo libro l’autore gioca mescolando vari generi letterari, il cosy crime, l’autofiction, la dark accademia, il giallo. Ma è invece l’attualità che racconta, e lo fa usando sms, email, social. Londra, la morte della regina, l’ascesa al potere della destra estrema e i suoi progetti di privatizzare la sanità fanno da sfondo alla vita di Phyl, una giovane donna che torna a casa dopo la laurea, e scopre quanto la vita tranquilla nella casa di famiglia e nella città di provincia le stia adesso molto stretta. C’è una conversazione a cena tra le due nuove amiche e i loro genitori, in cui emergono prepotentemente la critica della sua generazione e l’indignazione per il mondo che si sono trovati, mettendo ben a fuoco la pericolosità dei tempi che viviamo, mentre i suoi genitori tendono piuttosto a rifugiarsi nel ricordo dei tempi vissuti, salvo poi trovarsi catapultati nella realtà a causa di ciò che accade, e a dovere prendere, come da ragazzi, una posizione. Il finale del libro è come sempre spiazzante e, a mio avviso, geniale. Lo leggo in serate in cui le notizie del mondo ci parlano di questa destra internazionale spietata e feroce, non mi sento affatto consolata dall’autore, non in fuga anzi al contrario molto preoccupata, perché è forte e lucida la denuncia di quello che sta succedendo, ma so che passerà molto tempo e molte letture prima di trovarmi così appagata da un libro.
Maria Francesca Siracusano
Lettere
Casette Giralibro
Un bambino che legge sarà un adulto che pensa Jerome Bruner
Gentile Direttore di Quaderni acp, vorremmo condividere con i lettori della nostra rivista un progetto che con costi risibili può aiutare come volano moltiplicatore quello che i pediatri stanno cercando di fare quotidianamente, aderendo al progetto Nati per Leggere. Il Rotary Club Valsesia, che nel proprio piano d’azione ha sempre dedicato molta attenzione e impegno alla promozione e al sostegno dell’istruzione di qualità, ha proposto un piccolo, ma significativo intervento per incentivare la lettura, come presupposto essenziale di cultura: la consegna alle scuole primarie del territorio di una casetta in legno da posizionare all’ingresso di ogni scuola, permettendo lo scambio gratuito di libri.
La lettura rappresenta una componente fondamentale nella formazione dei bambini e dei giovani per molteplici ragioni: arricchisce il linguaggio, sviluppa la fantasia e la creatività, aiuta a costruirsi un pensiero critico, a conoscere meglio sé stessi e a promuovere dunque il progresso civile, sociale ed economico, favorendo benessere e contrastando la povertà educativa. Aiuta in sostanza a costruire quel bagaglio di competenze indispensabili ad affrontare la complessità della nostra epoca. Non va dimenticato anche l’aspetto ludico e piacevole della lettura che regala intensi momenti di evasione, di intimità, di emozioni e fantasie che possono anche aiutare in momenti difficili.
A Varallo Sesia è attiva da molti anni la scuola di falegnameria Barolo. Gli studenti del primo anno di corso hanno realizzato, sotto l’attenta guida e regia dei loro docenti e in particolare del prof. Roberto Multone, anima e deus ex machina di questa scuola, e con molta passione e maestria, 20 graziose casette, che sono state distribuite ad altrettante scuole, coprendo in questo modo tutto il territorio della Valsesia e della Valsessera (Province di Vercelli e Biella), coinvolgendo 2 istituti comprensivi, 1 scuola professionale, 16 sindaci di comuni e 1 club di servizio.
Vale la pena sottolineare, come queste sinergie e queste reti che si costruiscono tra istituti scolastici e altri enti, con spirito di grande collaborazione e condivisione, rappresentano una grande opportunità per qualunque territorio. Un grande plauso va a tutti gli allievi falegnami che si sono mostrati mol-
to abili, coinvolti e piacevolmente interessati (e che non conoscevano il progetto Nati per Leggere), mostrando un atteggiamento di partecipazione a una cittadinanza consapevole che ci fa ben sperare di avere in futuro cittadini più competenti, intraprendenti e consapevoli.
Andrea Guala, Patrizia Rizzolo, Roberto Mattasoglio (Rotary Club Valsesia) Si ringraziano i dirigenti scolastici e tutti i rappresentanti degli enti locali che sono intervenuti all’evento e ricordiamo che quest’anno le casette sono state destinate alle scuole di: Alagna, Boccioleto, Borgosesia, Grignasco, Romagnano e alla scuola per l’infanzia di Coggiola.
La Casa della Gioia di Yu a Yalcınta
Per i bambini ricoverati al Santobono, il pittore turco Yuşa Yalcıntaş ha immaginato e realizzato un disegno intitolato La Casa della Gioia. Questo disegno sarà esposto nella struttura complessa di pediatria per tre mesi.
Prima di tutto, i bambini “hanno” cioè possiedono una casa? No, i bambini non posseggono nulla, tranne i loro vestiti e i loro giocattoli. Le case dei bambini sono quelle dei loro genitori, o di chi si occupa di loro. Ma Yuşa ha immaginato una “Casa della Gioia” che è piccola, quindi i grandi non ci potrebbero neanche entrare. È abitata solo da bambini. È tutta loro! Questo edificio si chiama “Casa della Gioia”, come è scritto in inglese sulla bandierina che sventola sul tetto. Che cosa è la Gioia? Non è un sentimento di semplice allegria, come si può avere correndo o giocando con gli amici. È qualcosa di più bello, raro e importante. Seneca, un filosofo antico, cioè un uomo sapiente vissuto molto tempo fa, ci dice che la gioia non è solo contentezza, come si può avere per cose che ci fanno piacere: a meno che tu non creda, dice Seneca, che una persona è felice solo perché ride. Invece anche se ride può essere molto triste dentro.
La vera gioia sorge all’interno di noi, misteriosa, come una fontana che zampilla al centro della casa. La Casa della Gioia che dipinge Yuşa è una casa lieta, dove i bambini sembrano stare bene, impegnati in tante piccole tranquille attività, non sono disturbati né comandati dai Grandi.
È una casa serena ma fragile. Aperta da tutte le parti, che succederà quando piove o fa freddo? Eppure i bambini che vi stanno sembrano sereni, le loro piccole facce accennano un sorriso.
Essi sono impegnati in diverse attività: una sembra pescare con una lunga treccia, un bambino e una bambina prendono tranquillamente un té coi biscotti; altri ballano un girotondo. Due bambine si scambiano un dono, ma guardate, non si capisce chi delle due lo dà e chi lo riceve. La Casa della Gioia ha le ruote: vedi una bambina che ne è al timone, e ne dirige con aria sicura il viaggio, come fosse una nave. Dove andrà? Questo per dire che la Gioia non si prova sempre, che gli uomini e le donne – e anche i bambini – possono provarla a volte. A volte sì e a volte no.
Prova a sentire il rumore della vera gioia dentro di te, c’è, ascolta: è leggero, ma irrefrenabile e irresistibile come il gorgoglio di una fontana al centro di una casa.
A cura di Vittorio Urbani e Fabio Schiattarella per Ospedale Pediatrico Santobono, Napoli; Fondazione Morra, Napoli; Nuova Icona APS, Venezia.Con il Patrocinio di Pio Monte della Misericordia, Napoli; associazione IF Imparare Fare, Napoli.
37° CONGRESSO NAZIONALE
19-20 SETTEMBRE 2025, VILLAGGIO MARZOTTO, JESOLO (VE)
“ACP
NEXT GENERATIONS: C’E’ ANCORA DOMANI”
VENERDÌ 19 SETTEMBRE
09.00 - 09.30 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI E SALUTI
09.30 - 09.40 SALUTI DEL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE PER LA RICERCA FIBROSI CISTICA MATTEO MARZOTTO
09.40 - 10.00 LA COLLABORAZIONE SIP - ACP Rino Agostiani
10.00 - 10.30 LETTURA MAGISTRALE: “CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE: LA CONTINUITÀ DELLE CURE DA NOI E IN EUROPA”
Franca Benini
“LARGO AI GIOVANI: LE COMUNICAZIONI ORALI DEGLI
SPECIALIZZANDI”
MODERANO: LUIGI GRECO, ANGELO PIETROBELLI
10.30 - 11.05 Dall’Università
Claudia Mandato e specializzande/i
11.05 - 11.40 Dall’Ospedale
Martina Fornaro e specializzande/i
11.40 - 12.15 Dal Territorio
Laura Reali e specializzande/i
“AMBIENTE E SALUTE: GLI AMBULATORI VERDI” MODERANO: GIACOMO TOFFOL, VINCENZA BRISCIOLI
12.15 - 12.45 Ambulatori Verdi: Si può fare!
Ilaria Mariotti, Rita Stracquadaino
12.45 - 13.15 Come i farmaci fanno male all’ambiente
Mara Tommasi
13.15 - 14.15 PRANZO
“AGGIORNAMENTO AVANZATO”
MODERANO: ENRICO VALLETTA, MARIA FRANCESCA SIRACUSANO
14.15 - 14.45 Ecografia polmonare nell’ambulatorio del pediatra di famiglia
Gianluca Iovine
14.45 - 15.15 Una bella sfida per il pediatra: real world evidence o EBM?
- Non socio: €. 350 (con iscrizione ACP in omaggio)
L’ospitalità sarà in modalità pensione completa. La quota di iscrizione e/o la prenotazione della pensione completa non saranno più rimborsabili dopo il 1° settembre.
:: SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Michele Gangemi - responsabile formazione ACP
Gianni Piras - segretario nazionale segreteria@acp.it
118 Genetic tests in paediatrics: between innovation, challenges and opportunities
Silvia Cali, Francesca Faravelli
Via Filippo Garavetti 12 07100 Sassari (SS) www.acp.it
Around narration
123 Almost a mother, almost a pediatrician
Arianna Turriziani Colonna
124 Paediatrician is a difficult job. The story: a dog that barks bites (and is afraid)
Catherine Hamon, Francesco Ciotti, Micaela Bucci, Giancarlo Cerasoli, Mila Degli Angeli, Nadia Foschi, Marna Mambelli, Antonella Stazzoni, Francesca Vaienti, Isabella Penazzi, Chiara Bussetti
History and ethics of medicine
127 The practice of swaddling in pediatric care: historical evolution and ethical issues
Giancarlo Cerasoli, Nicolò Nicoli Aldini, Sara Patuzzo Manzati
Vaccinacipì
132 To accept or not to accept? This is the problem Patrizia Elli
Farmacipì
134 Estrogen/progestin therapies and Sydenham’s chorea Emanuela Ferrarin, Lorenza Driul, Nadine Mushet, Adrian Sie, Imogen Stephens, Michael Morton
Epiquaderni
136 From the Epidemiology and Prevention journal an invitation to read for ACP Paediatricians. Number 1-2025
Giacomo Toffolo
137 Info
139 Film
140 Books
142 Letters
144 37th National ACP Congress “ACP Next Generations: There Is Still a Tomorrow”
Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP
La quota d’iscrizione per l’anno 2025 è di 130 euro per i medici, 30 euro per gli specializzandi, 30 euro per il personale sanitario non medico e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato attraverso una delle modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina «Come iscriversi». Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di adesione e seguire le istruzioni in esso contenute, oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, le pagine elettroniche di Quaderni acp e la newsletter mensile Appunti di viaggio. Hanno anche diritto a uno sconto sull’iscrizione alla FAD di Quaderni acp; a uno sconto sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino; a uno sconto del 50% per l’abbonamento alla rivista Epidemiologia & Prevenzione; a uno sconto sull’abbonamento a Uppa (se il pagamento viene effettuato contestualmente all’iscrizione all’ACP); a uno sconto sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento e formazione a quota agevolata. Potranno anche partecipare ai gruppi di lavoro dell’Associazione. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.acp.it.