Villa Cambiaso n° 72

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA www.villacambiaso.it vintera@villacambiaso.it

Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue

Anno XIV - N° 72 - Marzo 2014 - Direttore: Pio Vintera - Aut. Trib. di Savona N° 544/03 Redazione: Via Torino, 22R - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Grafica e Fotografia: Mattia e Veronica Vintera Edicole: P.za Diaz di Mauro Sguerso - C.so Italia, 129/Bis di Matteo Zanardo - Via Torino 50R di Michela Sebastiani

Ingresso principale di Villa Cambiaso

GRUPPO BANCA CARIGE


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QUATTRO PASSI A LAVAGNOLA Una Lavagnola da (ri)vedere

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a Delegazione di Savona del FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha scelto, per la ventiduesima edizione delle Giornate di Primavera, 22 – 23 marzo 2014, Lavagnola. Frazione di Savona, fino a tutto l’Ottocento era separata dalla città (distante 1,65 Km.) da una vasta distesa di terreni pianeggianti e collinari, irrigati da canali (beudi) e dalle acque del Letimbro, il cui nome era Lavagnola prima che il poeta savonese Gabriello Chiabrera lo definisse “laetus imber”. Il torrente (lungo 20 Km. con sorgente a Sella ad Est di Altare, a 400 mt. Sul mare) riceve proprio nel quartiere lavagnolese il suo maggior affluente il Lavanestro (lungo 15 Km. che scende dal Colle di Cadibona, a 350 mt. sul mare). Lavagnola oggi, a seguito dello sviluppo edilizio del Novecento che ha portato alla parziale scomparsa di orti e frutteti, è ormai unita al capoluogo. Il borgo risale all’epoca romana e, nell’organizzazione amministrativa voluta da Augusto, nel 27 a.C., faceva parte della Nona Provincia. Pare che Savona non fosse toccata nel periodo augusteo dalle grandi strade romane che facevano capo a Vado: la Via Aurelia, che da Genova raggiungeva Albissola, saliva a “Vico Vi r g i n i s ” i d e n t i f i c a b i l e c o n Lavagnola. Quivi, come scrive lo storico Nicolò Cesare Garroni: “L’antichissimo passaggio offre accesso alla strada diruta sotto il colle della Madonna degli Angioli che metteva precisamente nei Vadi”. A Vado i Romani rimasero dal 109 a.C. al 13 a.C., anno in cui Augusto fece continuare la Julia Augusta, poi

denominata Aurelia fino ad Arles. Prima del Mille si ha notizia della strada “Montis Mauri” che, da Lavagnola a Cantagalletto, lungo la sinistra del Lavanestro, giungeva al Colle di Montemoro dove si raccordava con la Via Antiqua di Castagneto Reale e proseguiva per Cadibona, Altare e Carcare. Questa via era la più percorsa per i collegamenti con Torino e Alessandria, ma perse importanza all’inizio dell’Ottocento quando Napoleone fece costruire la strada militare di Cadibona. Savona, a seguito della proclamazione a Libero Comune nel 1191, esercitava la sua giurisdizione oltre che sulla città e sul distretto, anche sul territorio podestarile, così chiamato perché a capo delle “Ville” che lo costituivano vi era un podestà. Lavagnola, come le altre Ville di Legino, di Vado e Segno, di Bruciati e Celle, era guidata da un Console eletto tra i cittadini savonesi che avessero compiuto il 30° anno di età e fossero abitanti di Savona da almeno vent’anni. Il Console, il cui compito consisteva nell’amministrare la giustizia, era affiancato, nell’esercizio della sua carica, da uno “Scriba” iscritto al Collegio dei Notai di Savona, e veniva controllato direttamente dal Podestà. L’incarico del Console si svolgeva dall’ora terza fino al vespro di tutti i “giorni dominicali” presso la Chiesa di San Dalmazio costruita in collina poco prima dell’XI secolo ricca di opere d’arte: un polittico di Barnaba da Modena, gli affreschi di Lazzaro De Maestri, una statua lignea di Antonio Brilla e una di Filippo Martinengo. L’aumentato benessere

economico consentì, nel periodo medioevale, la costruzione di nuovi edifici religiosi. Risale al XII secolo la Chiesetta di San Martino, collocata sul lato sinistro del Letimbro, con ospedale destinato ad ospitare ed assistere temporaneamente pellegrini e stranieri di passaggio. Nel XIV secolo l’assistenza fu estesa ai malati bisognosi. La piccola Chiesa, a navata unica, nella seconda metà del XVI secolo, fu sopraelevata. La struttura attuale, con l’originario campanile quadrato, chiuso da una cuspide ottagonale, e pronao all’ingresso, è il risultato di un rifacimento ottocentesco in forme neoromaniche secondo le indicazioni dell’architetto portoghese Alfredo D’Andrade. All’interno il tetto ligneo a capriate scoperte venne dipinto dall’ornatista savonese Giuseppe Bertolotto nel primo Novecento. Su una parete uno dei pochi esempi di scultura medioevale in Savona: una lapide commemorativa della costruzione del ponte datata 1264, rappresentante Dio Padre affiancato da due Angeli, dedicata a Simone Doria, Podestà in quell’anno. All’esterno su un pilone una formella marmorea con la scritta “Vitam praesta puram/item para tutum”. Oggi la cappella, dopo un periodo di semi abbandono, è sede di un laboratorio d’arte del pittore ritrattista Piergiorgio Vangelista. Sulla sponda destra del Letimbro sorge la cappella di Santa Maria o della Madonna del Ponte, collegata a quella di San Martino dal ponte ad arco acuto. Punto di passaggio della romana Via Emilia ha resistito alle cicliche piene diversamente dagli altri 25 ponti sul torrente che hanno subito

Case di Lavagnola sul letimbro, 1980. Trittico a olio 300x90 cm, Pio Vintera (Prop. CRS)


Anno XIV n°72 - Marzo 2014 danneggiamenti e distruzioni. La cappella di Santa Maria, a navata unica, con piccolo campanile a vela, in facciata portale a tutto sesto, sovrastato da un rosone trilobato baroccheggiante, ha all’interno un altare marmoreo, risalente al Seicento, ornato da una tela raffigurante la Madonna con Bambino tra Angeli attribuita a G.A. Ratti. L’edificio, in epoca passata alloggio per i pellegrini, ha subito un lungo abbandono. Le case di Lavagnola, come oggi, con le facciate a colori vivaci, dal rosa al rosso mattone, al giallo ocra, e con i tetti grigi di ardesia o rossi di coppi, si allineano “a schiera” da una parte sul torrente e dall’altra sulla strada, spianata ed allargata tra il 1539 e 1644, che porta alla frazione di Santuario distante 6,04 Km. Ivi, sulla piazza venne costruita nel 1536 la Chiesa di Nostra Signora della Misericordia, uno dei più importanti centri di culto Mappa elaborata mariano, nel luogo dove il dal Geom. Alex Vaiani contadino Antonio Botta il 18 marzo e l’8 aprile 1536 ebbe Madonna al frate cappuccino Padre l’apparizione della Madonna. A Agostino da Genova il 18 marzo 1580. Lavagnola è stata edificata la prima All’interno della cupola l’affresco di delle nove cappellette seicentesche, Bartolomeo Guidobono riportato al tutte a forma di cubo (3,80 mt x 6,60 suo originario splendore a seguito di mt.), equidistanti 400 metri, sette un recente restauro. La Cappella fu donate dal genovese Franco Borsotto edificata nel 1679-80 ad opera del e due dal marchese Giacomo Filippo “prete savonese” Bartolomeo Durazzo. Il cammino devozionale Guidobono e del “prospettico” Gio termina alla Cappella della Crocetta Enrico Haffner. costruita in alto a sinistra della Degni di particolare menzione, su Basilica, su roccia viva, a forma di corso Ricci, la Torre Pancalda prisma ottagonale, con cupola a appartenuta alla famiglia di Leon squame di ardesia. L’edificio è stato Pancaldo, il nocchiero di Magellano; donato dal nobile genovese Pier Paolo all’inizio di via Nazionale Piemonte il Franchi proprietario del terreno, a Castello Imperiale-Migliardi con ricordo dell’apparizione della affreschi ben conservati di Raffaello

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Resio, il “pittore degli angeli”, in via Santuario la seicentesca Villa Grassi. La popolazione lavagnolese si è dedicata per secoli ad attività agricole: frutteti, castagneti, uliveti, coltivazioni di ogni tipo di ortaggi, piantagioni di lino e canapa. Inoltre ha costruito e gestito falegnamerie, segherie, cartiere e una filanda. Nel Novecento si intensifica l’edilizia popolare, aumentano le aree agricole abbandonate e i siti industriali dismessi. Si costruiscono capannoni come “opere di riqualificazione urbana”. L’ a t t i v i t à s p o r t i v a d e i lavagnolesi negli ultimi decenni è stata favorita dalla realizzazione di aree per lo sport: campi da calcio, da calcetto, da bocce e da una piscina. Centri di promozione sociale e culturale sono la parrocchia e la storica Società di Mutuo Soccorso. Anche gli artisti, coniugando l’estetica all’etica, hanno fornito un loro contributo: la pittrice-ceramista Anita Santoni con il monumento a Giacomo Minuto, pioniere savonese dell’Idea Repubblicana, e con l’opera commemorativa del viaggio apostolico di Benedetto XVI il 17 maggio 2008; l’artigiano-artista Benedetto Bignone-Martin- con il monumento alla Resistenza e l’Opera dedicata alle lavandaie ricordate così da Maria Acquarone: “U beu scuriva lungu Lavagòa a quei tempi in pò a sinistra in pò a destra, in pò sciurtiva foa e in se sò spunde a tratti ghean e bugaixe che lavavan tè i drappi pè è casanne”. Graziella Ferrari


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ORTI FOLCONI: RADICI NEL CEMENTO Progetto per la realizzazione di un roseto napoleonico e giardinaggio collettivo

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n prossimità di Corso Ricci, tra via Lichene e via Frugoni, c’è un pezzettino di Savona che versa in condizioni di profondo degrado e abbandono; una piccola steppa metropolitana, il cui perimetro è stato recintato nel tentativo di celare ai Savonesi la sua più intima bruttezza. Sto parlando degli Orti Folconi, zona un tempo agricola divenuta poi sede di svariate attività (officine, imprese edili, vivai etc), ma da una decina d’anni in stato di pressoché c o m p l e t o abbandono. Molti progetti si sono fatti su tale area, secondo l’amministrazio ne su questo terreno nascerà un insediamento, composto da palazzine (molte) e aree verdi (pochine), che dovrebbe collegare Corso Ricci con il Piazzale della Stazione; un progetto molto dibattuto, osteggiato dai cittadini della zona e dalle molte associazioni ambientaliste, che per il momento pare essere stato accantonato anche per mancanza di investitori disposti a spendere le somme necessarie a realizzarlo, o forse per altre oscure (almeno per chi scrive) ragioni di carattere speculativo. Rispetto all’effettiva esigenza nella nostra città di nuovi stabili e abitazioni basta citare il fatto che il mercato immobiliare versa in una condizione di profonda crisi, molti sono gli stabili sfitti (ne parlavano anche i giornali la scorsa settimana) e poche le persone che oggi potrebbero permettersi di investire denaro in beni immobili; probabilmente questo è uno dei motivi per cui nessun imprenditore si è ancora arrischiato a costruire su quel terreno. Comunque sia, Savona si trova con uno spazio che può tranquillamente

essere catalogato come “non luogo” a pochi passi dal suo cuore, un “non luogo” che ha inoltre il grande difetto di essere talmente vicino alla stazione ferroviaria da risultare il primo scorcio di cui un visitatore, giunto in treno, gode della nostra città; una steppa desolata, punteggiata di ruderi e sovrastata da quell’abbominio del nostro Palazzo di Giustizia. Un ben misero biglietto da visita per

una città che coltiva velleità turistiche. L’abbandono e l’obblio sono quindi il substrato su cui sta fiorendo un’iniziativa davvero singolare per il nostro territorio: alcuni cittadini aderenti al gruppo denominato OSTinati hanno pensato di coinvolgere la cittadinanza per mettere un freno a tale declino e riqualificare almeno una porzione degl’Orti Folconi, nella speranza che questo primo sforzo collettivo possa dare il via a un processo di recupero generale della zona; l’intenzione è quella di recuperare in termini filologici la zona, riportandola alla sua primordiale funzione di giardino e di punto di aggregazione. Il progetto prevede infatti la realizzazione di un roseto costruito secondo le regole rinascimentali in onore dei Della Rovere, che fecero la

grandezza di Savona a cavallo tra 400 e 500 e di cui la pianta riprenderà lo stemma; un oasi di bellezza entro la steppa dell’abbandono. Oltre al roseto il progetto prevede anche la realizzazione di alcuni orti coltivati con la tecnica dell’agricoltura sinergica (a questo link qualche informazione in proposito). L’area su cui si sta realizzando tale progetto è quella dell’ex Vivaio Scotto messa a disposizione gentilmente dalla famiglia che la possiede, tale area si trova nella porzione di via Lichene adiacente a Corso Ricci (di fianco all’ex c e n t r a l e operativa dei Carabinieri). Già pronto un progetto di ampliamento con una sezione di roseto Napoleonico, da realizzare su terreni adiacenti di proprietà pubblica qualora venissero concessi, con cui si traguarderebbe l’apertura di un nuovo, sontuoso, corridoio di collegamento tra Corso Ricci e il piazzale della stazione. L’aspetto davvero interessante dell’iniziativa è il suo carattere collettivo, i promotori hanno contattato il proprietario, il quale ha accettato di partecipare al progetto concedendo il terreno, che versava in stato di profondo abbandono, e impegnandosi attivamente alla sua pulizia e riqualificazione. A questo primo gruppo di “ottimisti”, da molti sbertuciati in verità, si sono pian piano aggiunti nuovi membri, alcuni provenienti da realtà associative, come la GASSA (Gruppo di Acquisto Solidale Savonese), sensibili al tema della cementificazione eccessiva del territorio quindi ben disposte a partecipare a iniziative che


Territorio - Artisti

Anno XIV n°72 - Marzo 2014 offrano una concreta alternativa alla costruzione di nuovi palazzi; altri, “semplici” cittadini della zona motivati dalla necessità di riqualificare e rendere migliore il paesaggio ammirabile dalle loro finestre. Anche Palazzo Sisto, bisogna dirlo, si è reso conto della bontà del progetto e ha contribuito, tramite l’Assessorato all’Ambiente, inviando ATA con i suoi mezzi a prelevare l’immondizia prodotta dalla pulizia dell’area; grazie anche agl’interventi del Consigliere Aschiero che come membro degli OSTinati ha parlato in più occasioni dell’iniziativa al Consiglio e alla Giunta. L’azione di giardinaggio collettivo, a

priori se giungerà o meno al compimento del suo scopo quindi alla realizzazione del roseto, rappresenta per la comunità savonese una palestra di responsabilità; un luogo dove i cittadini possono esercitare attivamente la gestione condivisa del territorio su cui vivono. La gestione del nostro territorio, specie in periodi di crisi, può e deve essere configurata in termini di responsabilità condivisa; il roseto degl’Orti Folconi è un esempio lampante di risposta dal basso a un esigenza della comunità, a cui il Comune non riusciva, a vario titolo, a dare una risposta. Si parla di esigenza della comunità per

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due ragioni: la prima, da quando si è cominciato a lavorare al roseto si è assistito a un aumento abbastanza incoraggiante dei “lavoratori”; la seconda, da quando si è cominciato a parlare dell’iniziativa, sulla stampa e sul web, si sono raccolti quasi esclusivamente pareri favorevole. Anche se il progetto, per qualsiasi ragione, non arrivasse a concludersi, l’obiettivo di diffondere nella comunità una visone di cittadinanza attiva e responsabile nella gestione del proprio territorio sarà comunque stato raggiunto, almeno tra coloro che il progetto avrà direttamente coinvolto. Andrea Guido

ENRICO ANDREOLI Il pittore marinaio di Varazze diventato internazionale

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e vi capita d’incontrarlo noterete che è un marinaio ligure, con due occhi dilatati dal grosso spessore delle lenti d’occhiali che porta e che non mascherano uno sguardo umile, gentile, quasi a smentire il veleno del vissuto e quella ruvidezza che è un fenomeno tipico di tutta la gente di mare abituata alle fatiche, alle sfide del tempo instabile quando naviga. Quando vi osserva in modo del tutto naturale sembra esorcizzare tutto il vostro intimo, messo a nudo e a confronto con la realtà più amara e impietosa. Enrico Andreoli per vivere ha fatto tanti mestieri d’uomo di mare, poi è diventato un guardiano del porto di Varazze fino ad andare in pensione per incominciare la sua vita più vera e più congeniale al suo temperamento. Il suo grande sogno è sempre stato quello di fare il pittore e questo è quello che ha sempre voluto e cercato di fare, tra un lavoro e un altro, tra un viaggio intercontinentale sulle rotte del mondo e una fermata in un porto qualsiasi. Lui ha sempre dipinto con accanimento e fin dagli anni più giovanili l’arte è stata la sua vera attività, il suo linguaggio e la sua umana essenza. È stato in questo modo che si è sempre più affermato, più internazionalizzato, che si è

fatto conoscere, apprezzare, usando una ricca tavolozza cromatica che ha nutrito di colori espressionisti e d’immagini raccontate dentro ai suoi quadri originali e tipici che, come ha rilevato Ennio Cavallo: “stuzzicano un mondo borghese, spesso banale e crudele, con un’accentuazione intima e poetica che non esclude l’ironia e il

dramma dell’uomo d’oggi”. L’aria un po’ stravagante e bizzarra dei suoi personaggi caricaturali, talvolta crudeli, altre volte trasognati, trascina l’osservatore in atmosfere sensuali ed erotiche, in situazioni esistenziali, che ricordano gli “espressionisti” e quelli della “nuova oggettività” (Nolde, Schmidt-Rottluff, Kirchner, Grosz, Dix, Schad, etc...) in un clima più vicino a noi, quello per intenderci dei “nuovi selvaggi”, se non altro per la cruda violenza espressiva del segno e le deformazioni più impetuose delle figure che caratterizzano le sue composizioni. Andreoli è un individualista testardo e cocciuto che nutre una visione particolare, e a suo modo sociologica, della realtà che è in atto nel mondo d’oggi. Coerente, in quanto risolve le sue meditate accensioni con emozioni vissute, quasi gridate, agitando all’interno delle sue figurazioni il suono ritmico d’una vita da lui stesso interpretata, contesta con una sua poetica gli stimoli prodotti dalla civiltà dei consumi portati dal progresso d’una condizione falsa e opulenta, combattuta con la sua visionarietà quasi profetica, rivelata dai suoi pensieri figurati che combattono il presente. Franco Passoni


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CIRCOLO CALAMANDREI Punto d’incontro e dibattito con il gotha di cultura, politica, storia ed economia

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a dove parte l’idea. Concentrate, per un attimo, la vostra attenzione sull’incrocio tra Corso Italia e Via Paleocapa. Negli anni ‘50 e ‘60 era popolarmente conosciuto come l’“angolo dei misci” (i senza soldi), punto di incontro dei giovani, ma non solo. Il ritrovo ideale, a costo zero, dove si poteva discutere di qualsiasi argomento per arrivare fino al pettegolezzo. Alla politica andava il posto d’onore. Venivano commentati avvenimenti riportati dalla stampa, dalla radio, e per quanto fosse ancora poco diffusa, dalla televisione. Attraverso quelle fonti si percepiva la situazione del momento. Uno dei temi all’ordine del giorno era il nuovo tipo di conflitto che minacciava la pace, cioè: la “guerra fredda”. Si temeva che i c a v a l i e r i dell’apocalisse tornassero a cavalcare. Savona, sentiva m o l t o l a presenza delle forze politiche ancorate ad un ideologismo eccessivo. Non dimentichiamo che negli anni cinquanta e s i s t e v a l ’ U n i o n e Sovietica di Stalin, la quale, aveva una n o t e v o l e influenza sul Pci e anche sul Psi; la Dc subiva direttamente quella del Vaticano. Le rivelazioni di Nikita Kruscev, l’invasione nello stesso anno (1956) e successivamente, nell’agosto del 1968, l’occupazione della Cecoslovacchia, crearono lo scompiglio nel Pci e tra la gente comune. Scompiglio che infiammò anche la vita culturale esistente. Fino ad allora le iniziative venivano prese dai partiti o dalle istituzioni. Ora c’era la volontà di affrontare democraticamente una seria discussione su ciò che di nuovo stava emergendo. All’interno delle strutture partitiche rimaneva, tuttavia, ancora una certa rigidità

verso l’esterno. Intellettuali militanti e no, decidono di impegnarsi nella creazione di un polo di attività criticoculturale. Sarà una delle esperienze più interessanti della nostra città. Nel marzo 1958, un gruppo di loro, visibilmente emozionato, si reca in uno studio notarile per ufficializzare l’ambizioso progetto: la creazione del Circolo Calamandrei. Alcuni giorni dopo, eleggono il primo comitato direttivo composto da: Gerolamo Assereto, Giovanni Burzio, Pier Franco Beltrametti, Arrigo Cervetto, Luigi Chiazza, Gina Lagorio, Maurizio Marrone, Giuseppe Racca, Giovanni Urbani, Gian Franco Zino e Mirko Bottero. Quest’ultimo svolgerà

un ruolo particolare, determinante, per la vita del circolo. Sarà l’anima e soprattutto le gambe dell’organizzazione. Ancora oggi, dopo tanti anni, chi lo conobbe non può che riconoscere come essenziale il suo contributo al successo di quella iniziativa. La tenacia, l’intuito organizzativo, l’impegno costante, supplivano alla modesta cultura personale e infondevano la forza e l’entusiasmo necessari a tutto il gruppo per portare avanti l’agognato progetto. Senza di lui, quel Circolo non avrebbe potuto avere la storia che ha avuto. Scrive il senatore. Giovanni Urbani sulla Civetta, bimestrale del

Circolo degli Inquieti, nel 2004: “Mirko seguiva con attenzione lo scontro politico culturale ma voleva portarlo a Savona attraverso figure note, più o meno famose che si battevano per la cultura di sinistra. Mi sorprendeva che riuscisse a farlo senza soldi, Credo che il suo successo nascesse da quel misto di ingenuità e sfrontatezza nell’approccio. In qualche modo prendeva gli interlocutori e ne stimolava l’interesse. Aveva l’entusiasmo per la cultura dell’operaio consapevole delle proprie ragioni di classe, direi che lo portavano ad avere stima e considerazione per gli intellettuali di sinistra che sentiva dalla stessa parte della barricata ma da pari a pari”. Inizia la vera e propria attività l ’ a n n o s u ccessivo. Si e l e g g e p r es i d e n t e l ’ a vvocato Pier F r a n c o B e ltrametti, che ricoprirà quel ruolo fino al 1 9 7 4 . I n un’intervista rilasciata a “Il Lavoro” e “Il S ecolo X I X ”, dirà: “Siamo nati quindici anni orsono senza eccessive ambizioni, ma con molto entusiasmo. Per noi si trattava di un tipo di opera quasi da pionieri soprattutto se si considera che a Savona fino ad allora non esisteva nulla sul piano culturale”. Ribadirà, la volontà di mantenere intatta la matrice laica ed antifascista, senza peraltro aggregarsi a nessun carro. Perché “Piero Calamandrei”. Il nome voleva essere un doveroso omaggio ad una delle voci più nobili della Resistenza italiana. Nel direttivo non mancavano personaggi impegnati politicamente mantenendo un’identità indipendente. Nonostante ciò si potevano riconoscere in quella piccola organizzazione che liberamente affrontava ogni tema con senso critico


Anno XIV n°72 - Marzo 2014 senza dover rendere conto a nessuno. Per questo motivo l’atmosfera con i vari partiti risultava piuttosto fredda. Tuttavia non bastò a scoraggiarne l’attività che, a quel punto spostava il luogo del confronto al n° 1 di Via Pia. Ricordo, quella sede. All’entrata, storicamente nobile, seguivano scale di marmo consumato dal tempo. Un atrio piuttosto buio le anticipava. Dopo la prima rampa una porta, meno nobile, introduceva alla sede vera e propria. Un piccolo ingresso e quindi una sala dal soffitto affrescato. Ammobiliata con un tavolo dove sostavano perennemente depliant, manifesti, libri in disordine. Molte sedie sparpagliate qua e là, ma nonostante tutto, ci si sentiva liberi e al riparo da condizionamenti. Il Circolo rimane un protagonista indiscusso della cultura savonese fino al 1974. Grazie, però, al nuovo filone culturale che segue l’arte del cinema si trasforma, nel 1975, in “Film Studio” sempre per iniziativa di Mirko

Bottero, coadiuvato da nuovi intellettuali come: Carlo Freccero, Tatti Sanguinetti, Aldo Grasso, Felice Rossello per citarne alcuni. Mirko è stanco, ma credo che si senta anche solo. Non sarà lontana la sua uscita di scena. Come savonesi, penso che, avremmo dovuto ricordarlo più adeguatamente. Un suo ultimo ricordo rimane legato al “Nuovo Film Studio”. Dal “Calamandrei”, in quegli anni, sono passati i massimi rappresentanti della cultura, della politica, della storia, del cinema, del teatro, del giornalismo. Si sono dibattuti i temi più scottanti e di attualità di quegli anni: dalla guerra in Vietnam all’Ottobre messicano, dalla svolta cubana al caso Allende, dal Concilio Vaticano al possibile dialogo tra comunisti e cattolici, dal referendum sul divorzio alle lotte per l’emancipazione morale e civile della donna, da piazza Fontana a l l ’ o b i e t t i v i t à d e l l a t v, d a l l e prospettive del socialismo in Europa e

Territorio - Libri

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n e l m o n d o a l l o s v i l u p p o d e ll’economia cinese. Incontri e dibattiti che hanno trasformato il Calamandrei in un punto di riferimento politico-culturale di altissimo livello nazionale. Ed è anche per rendere un omaggio a Mirko Bottero, che ne fu promotore e artefice. Ne ricordiamo alcuni tra i più significativi: Lelio Basso, il fondatore di Lotta comunista Arrigo Cervetto, la senatrice Angiolina Merlin, Paolo Sylos Labini, Antonio Giolitti, Giuseppe Boffa, il giornalista Piero Ottone, padre Nazareno Fabretti, Umberto Segre, Alessandro Natta, il padre del divorzio Loris Fortuna, l’allora ministro Ugo La Malfa, Kino Marzullo, Carlo Galante Garrone, Marco Pannella, Marco Boato, lo scrittore Gianfranco Venè, Umberto Terracini, Lucio Magri, Luigi Pintor. Grazie “Calamandrei”. Grazie Mirko. Claudio Tagliavini

SOLI, INSIEME Il secondo romanzo–giallo di Gianfranco Barcella

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oli, insieme è un romanzo-giallo, il secondo della serie che vede protagonista il Commissario Cantoni, un milanese trasferito a Genova per doveri d’ufficio, sposato e senza figli. L’opera è stata scritta dal prof. Gianfranco Barcella, giornalista pubblicista, già direttore di periodici, docente di Materie Letterarie. Il primo volume, dal titolo: “Una sola verità”, edito per i tipi dell’editore De Ferrari

di Genova è stato definito dalla critica come un “giallo culturale” che cerca di nobilitare l’origine e la natura del genere letterario a cui appartiene, considerato alla stregua della letteratura minore o d’evasione. Ma ritorniamo a “Soli, insieme”. Il protagonista Leonardo, un giovane ligure senza “arte né parte”, un intellettuale –eternamente precario si direbbe oggi– che vive rincorrendo un ideale di bellezza decadente per soffocare la sua angoscia esistenziale, si accompagna ad una ricca vedova che lo scorrazza in giro per le località più amene della Riviera. La signora Leda, un brutto giorno, viene ritrovata morta nel bagno di una suite dell’Hotel Royal di San Remo. Il giovane compagno, indiziato di omicidio dal commissario Cantoni, inizia così una fuga spasmodica per l’Italia. A suo dire, si sente braccato ingiustamente. Prima tappa è Roma e lì si innestano nuove “relazioni pericolose”. Di certo Leonardo è disposto a tutto per soddisfare i propri desideri ma la sua vita di esteta senza morale lo porterà alla rovina. È il tipico eroe negativo del nostro tempo o forse solo una vittima del lavoro “eternamente precario”, di una società insensibile ai bisogni dei più deboli

che tende ad emarginare e non ad accogliere, della decadenza d’ogni valore che non sia quello del mero consumismo. Lascio al cortese lettore il resto della vicenda come sfida ed invito. Aggiungo solo questa indicazione finale. Il viaggio di Leonardo vuole essere la metafora dell’iter esistenziale d’ogni creatura che è destinato a concludersi “male” perché cerca disperatamente una “via di fuga” dalla morte, nell’ossessiva avidità. Noi siamo accolti dalla vita senza sapere cosa sia la vita stessa (cito a memoria Claudio Magris), e la consapevolezza di questa verità ci pone in una condizione di disagio profondo. Unico linimento per l’anima senza fede in Dio, resta la bellezza che si ama con immediato trasporto come l’incanto di una rosa, pur consapevoli che tutto sia destinato a perire nello spazio di un mattino ed a svanire nel nulla. Potremmo definire la bellezza così come l’unico antidoto al vuoto che cura lo spirito malato ma non lo guarisce. Il romanzo giallo di Gianfranco Barcella fa riflettere dunque sulla condizione umana che resta schiava del nichilismo se non mira al trascendente. È di grande attualità, purtroppo!


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IL RICORDO E L’OPERA DI GIUSEPPE CAVA Presentazione del volume di Giuseppe Milazzo con Pino Cava

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iuseppe Cava torna a far sentire la sua voce. Il 30 marzo 1940 cessava di vivere il più grande poeta savonese, l’autore indimenticato delle liriche apparse nel 1930 nel volume “In to remöin”. A 74 anni dalla sua morte, per l’editore Marco Sabatelli, viene pubblicato un nuovo volume sull’opera del celebre autore dialettale ligure. Il libro, intitolato “Il ricordo e l’opera di Giuseppe Cava” è stato scritto da Giuseppe Milazzo, già autore, nel 2007, di un’accurata biografia su questo poliedrico personaggio, che, nel corso della sua esistenza, fu anche organizzatore operaio, esponente di spicco del movimento anarchico cittadino, giornalista, disegnatore e caricaturista, tipografo e, persino, inventore di giocattoli. Il nuovo testo che viene oggi dato alle stampe è, in un certo senso, la continuazione e il completamento del precedente, riportando in modo preciso l’elenco di tutti i testi scritti da Giuseppe Cava nel corso della sua vita: poesie in dialetto e in lingua italiana, articoli per giornali, testi teatrali, racconti e romanzi, alcuni dei quali tuttora inediti. Pino Cava, il nipote del poeta, ha collaborato attivamente alla realizzazione di questo libro, mettendo a disposizione di Milazzo il vasto archivio di famiglia e ideando il progetto stesso del volume, disegnandone anche la copertina, con la fotografia di una scultura che è stata appositamente realizzata dall’artista savonese Anna Maria Frizza. All’interno del libro i lettori potranno trovare la ricostruzione completa ed approfondita di tutti gli eventi e le iniziative tenute nel corso degli anni, nella nostra città, per mantenere vivo il ricordo dell’opera poetica e in prosa di cui fu autore Beppìn da Cà. Soprattutto, obbiettivo dichiarato dell’autore è sottolineare come, in questi oltre settant’anni, la critica letteraria nazionale e il mondo universitario abbia espresso giudizi assolutamente lusinghieri sul valore dei testi poetici di

Cava, tanto da farne, unanimemente, il maggior poeta dialettale ligure del Novecento, insieme a Edoardo Firpo. Accanto ai saggi scritti da studiosi quali Stefano Verdino, Enrico Malato e Fiorenzo Toso, va in particolare ricordato The Other Italy: The Literary Canon in Dialect (1999), un saggio in lingua inglese sulla poesia dialettale italiana realizzato dal prof. Hermann W. Haller, docente di Lingua e letteratura italiana al Queens College e direttore di Dipartimento al Graduate Center della City University di New York, che ha inserito il nome di Giuseppe Cava tra gli autori più importanti del panorama dialettale italiano. Addirittura, un’artista di fama quale Roberta Alloisio ha inserito due liriche di Beppìn da Cà nei suoi ultimi lavori discografici, Lengua serpentina e Ianua, che hanno ottenuto il favore della critica, ricevendo anche il Premio Tenco nel 2011. Il valore dell’opera di Cava è quindi indiscutibile e riconosciuto. La pubblicazione di questo nuovo libro di Milazzo giunge, purtroppo, a quasi un anno dalla scomparsa di colui che ne fu il maggior promotore: Pino Cava ci ha infatti lasciato lo scorso 8 giugno, all’età di 77 anni. Per ricordarne la figura, il volume ospita una corposa appendice, con interventi scritti da alcune tra i personaggi che

gli furono vicini nel corso della sua vita e che condivisero con lui varie e diverse esperienze di politica, di lavoro e culturali: Luciano Angelini, Mauro Baracco, Elmo Bazzano, Silvia Bottaro, Anna Maria Frizza, Bruno Marengo, Aldo Pastore, Rocco Peluffo, Silvio Riolfo Marengo, Carlo Ruggeri, Umberto Scardaoni, Sergio Tortarolo e Giovanni Urbani. Il libro “Il ricordo e l’opera di Giuseppe Cava” sarà presentato sabato 29 marzo 2014, alle ore 16.00, presso la Sala Rossa del Comune di Savona. Interverranno, oltre all’autore, Ferdinando Molteni, Silvia Bottaro, Silvio Riolfo Marengo e Bruno Marengo. Secondo la volontà dell’autore e della famiglia Cava, il volume verrà distribuito gratuitamente a tutti coloro che ne faranno richiesta.


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Libri

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ELVEZIA Commento di Franca Maria Ferraris al nuovo romanzo di Bruno Marengo

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n questo nuovo romanzo breve, o racconto lungo che dir si voglia, Bruno Marengo traccia un ritratto psicologico per ciascuno dei personaggi che ne animano la vicenda, affidando la parte più significativa, e quindi di protagonista, a un uomo che, giunto ad una età avanzata, sente forte il desiderio di “tirare le somme” sulla qualità del proprio agire fino a quel momento della vita. Il signore in questione, chiamato intenzionalmente Aliquis, nel senso di “qualcuno”, o di “uno fra i tanti”, è impegnato in politica, e ben deciso a portare avanti la sua carriera senza troppi scrupoli. Attraverso un’attenta osservazione svolta sia sul soggetto sia su coloro che lo circondano, osservazione seguita da riflessioni profonde, Marengo mette a nudo la durezza d’animo di Aliquis, forse più acquisita che naturale, necessaria, però, per raggiungere le mete prefissate, immolando le azioni più spregevoli sull’altare del proprio sfrenato egocentrismo e della propria ambizione personale. Ciò accade

senza procurargli rimorsi fino al giorno in cui, folgorato da un risveglio di coscienza (o nauseato di sé?) inizia a comprendere che un agire così ambiguo gli provoca sgomento. Dolorosa è la constatazione, ma il ministro Aliquis è ormai entrato in un “giro” da cui è difficile uscire. Infatti, né la visione del padre redivivo (puntualizzata con abilità narrativa), sempre contrario alle sue idee e al suo agire, né il ricordo della compagna di liceo Elvezia (figura che risalta per eccellenza significativa), ragazza dotata di grande umanità, che ha nutrito nei confronti di lui un’affezione amorosa mai apertamente svelata perché non condivisa, riusciranno a demolire la gabbia di ferro entro cui egli ha rinchiuso il suo animo, sebbene ora, a scoppio ritardato, il ricordo di queste due persone, per lui così importanti, lo commuova. Magistralmente, M a r e n g o scolpisce con argomentazioni, le più svariate al r i g u a r d o , l’immagine psicologica di quest’uomo, creando con la tecnica del flashback alcune situazioni in cui vibra il fascino della poesia, sempre presente nelle descrizioni del paesaggio ligure su cui non smette di puntare lo sguardo e di immergervi i personaggi dei suoi romanzi. In questo costante rivolgersi al passato per capire e penetrare meglio il presente, in questo acuto senso di nostalgia mai patetico, ma tormentato da ciò

che avrebbe potuto essere, e per inerzia o avverso destino non fu, in questa connaturata presenza di umanità, s’innerva lo stile di una scrittura che determina l’attrattiva del romanzo Elvezia, come di ogni altro romanzo marenghiano. Ottimo narratore di storie sempre riferite a un ben determinato periodo storico, in questo nuovo racconto ambientato nell’attualità, essendo egli, per esperienza diretta, profondamente consapevole che la politica non è soltanto qualcosa di estraneo, ma è invece strettamente connessa al vivere dell’uomo, offre al lettore l’immagine di un uomo politico di cui analizza le radici e le ragioni –o le non ragioni– del suo modo di essere e di agire. D’altronde, lo scrittore Bruno Marengo è molto apprezzato proprio perché sa dare al pubblico ciò che da lui il pubblico si aspetta in quanto uomo politico, quale in realtà è stato nella sua pratica di vita votata all’onestà e ai grandi ideali, e in quanto, appunto, scrittore, quale, non smentendo la sua essenza interiore, non può fare a meno di apparire tuttora, attraverso ciò che scrive. Poiché, è grazie a tale interiorità o, direi meglio, innata appartenenza alla “res publica”, che egli, avendo conosciuto da vicino l’animo di certi personaggi politici negativi, i quali agendo nella Polis, non possono che trasmettervi, purtroppo, la loro negatività, ha preso come spunto per il suo racconto la figura di uno fra questi, Aliquis, che fortunatamente non li rappresenta tutti, e ha saputo focalizzarne un ritratto così realistico da essere riscontrabile, e ripeto purtroppo, nelle figure di molti politici operanti sulla scena del mondo attuale.


Libri - Conferenza

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I TAROCCHI Giunta a compimento la trilogia di Guido Araldo stato pubblicato il libro “i Tarocchi come via iniziatica anche nella Divina Commedia” a compimento di una trilogia, da parte dell’Editore Bastogi di Roma, dopo “Il Mistero di Saliceto” e “Torino magica”. Anche questa volta un’intero capitolo è dedicato a “Le Maddalene nel paese dell’esoterismo...”. Un esperto di Tarocchi, giunto quasi per caso a

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curiosare a Saliceto da Milano, è rimasto esterrefatto: nel pastore della natività giottesca in castello ha individuato il “Matto”: l’arcano senza numero. In tal caso sarebbe la più antica (metà XIV secolo) rappresentazione di una carta dei Tarocchi al mondo... Non a caso è un pastore senza gregge, nemmeno una pecora... e va solitario con il fagotto e il cane. I Tarocchi come mai sono stati studiati, analizzati, interpretati. Un viaggio iniziatico-massonico in compagnia del “Matto”: dalla bestialità del recinto di Circe pieno di maialini a “fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”! Dante! Sì proprio Dante! Il percorso della Divina Commedia tracciato dagli Arcani Maggiori dei Tarocchi. I “Babylonios numeros” di Leuconoe, amante del poeta latino Orazio, sono i Tarocchi? I Fedeli d’Amore, Dante, i Tarocchi, la Divina Commedia: nodi sciolti da riannodare. Non esiste libro più antico dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi: un libro di sole immagini che tutti, in ogni parte del mondo, in tutte le epoche, possono leggere e interpretare.

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uido Araldo è nato a Saliceto (CN) da una famiglia presente in loco da secoli. Intensa e varia è stata la sua attività lavorativa: insegnante, poi capo gestione nelle Ferrovie dello Stato, funzionario tributario del Ministero delle Finanze e infine cancelliere presso il tribunale di Cuneo. La sua attività letteraria e le sue ricerche storico-artistiche coprono un arco di trent’anni, sia attraverso viaggi in Europa, sia attraverso la frequentazione di biblioteche ed archivi storici. È autore di 22 romanzi stor i c i a mbientati in s e c o l i d iversi. Un libro sumero? Il libro della torre di Babele, che superò l’incomprensione delle lingue o il libro del dio egizio Toth? Un libro intriso di religiosità arcana, la più antica, senza Dei. Il libro dimenticato dei Fedeli d’Amore e dei franc-maçons costruttori di cattedrali?

CONFERENZA SULLA FINE DEL MONDO Il 1 Marzo a Villa Cambiaso, dibattito teologico con Giorgio Bongiovanni

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Vi l l a C a m b i a s o , l’Associazione culturale Giordano Bruno ha presentato la conferenza teologica di Giorgio Bongiovanni, sulla Giustizia di Dio nell’Antico Te s t a m e n t o , r i p r e s o successivamente da Gesù Cristo nel Nuovo Te s t a m e n t o , q u a n d o i l messia profetizza se stesso come colui che giudicherà il mondo con la sua seconda venuta sulla terra. Per illustrare come molte fonti profetiche, indicano il periodo in corso la “Fine dei tempi”, all’incontro con Giorgio Bongiovanni, mistico stigmatizzato, sarà presente Pier Giorgio Caria, ricercatore e documentarista.

Quello attuale quindi, è un momento storico di grandi eventi, che porteranno alla trasformazione completa del mondo. La “Santa ira di Dio”, sconvolgerà le fondamenta della Terra e della società, e conoscere

le implicazioni di tutto ciò, è di fondamentale importanza. Dal punto di vista teologico, spirituale e fisico l’Ira di Dio è di fondamentale importanza per prepararsi ai grandi sconvolgimenti e trasformazioni che accadranno nel prossimo futuro. “La Bibbia spiega chiaramente che proprio come Dio è buono verso coloro che confidano in Lui, Tanto Egli è terribile verso coloro che non lo fanno. Gesù stesso precisò che la retribuzione sarebbe stata proprorzionata al merito di ciascuno”. M.COS. - Estratto da “La Stampa” del 28/02/2014


ASSOCIAZIONE NAUTICO LEON PANCALDO

LA VOCE D E L L ’

ESTRATTO AUTONOMO DELLA RIVISTA VILLACAMBIASO

www.alpleonpancaldo.org info@alpleonpancaldo.org

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N° 23 - Marzo 2014 - Redazione: A.LP. - Via Torino, 22 R - 17100 Savona - Tel: 349/6863819 - E-mail: vintera@villacambiaso.it

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ingraziamo il Dott. Aldo Pastore per averci fornito una testimonianza sul naufragio della Tito Campanella MIO PADRE TRA I DIMENTICATI DEL NAUFRAGIO TITO CAMPANELLA

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ono passati trent’anni e ancora oggi i familiari delle 24 vittime del naufragio della nave da carico “Tito Campanella” aspettano risposte. Vedove, figli, fratelli e sorelle dei 24 marinai che persero la vita in quella tragica notte tra il l3 e il l4 gennaio del l984 non hanno una tomba su cui poter piangere i propri cari. La realtà dei fatti non è mai stata accertata, né la nave né i corpi delle vittime sono mai stati ritrovati. Nel giorno del trentesimo anniversario della tragedia i parenti sono tornati a invocare la verità. «Non mi darò pace finché non saprò cosa sia successo a mio padre». A dare voce al vivo dolore dei parenti dei dispersi è Anna Gaggero. Aveva appena 13 anni quando suo papà Antonio sparì insieme alla nave su cui era imbarcato, inghiottito dalle acque dell’oceano Atlantico, al largo del Golfo di Biscaglia. Tra le vittime svanite per sempre insieme al cargo “Tito Campanella” tre savonesi: il radiotelegrafista Pier Giovanni Dorati, di 50 anni, il ventitreenne Mario Incorvaia e il cellese Antpnio Gaggero, il papà di Anna.

La sede operativa A.LP. a Villa Cambiaso (Via Torino 22r - Savona) è aperta il 1° e il 3° Martedì di ogni mese dalle 17.00 alle 18.30. Luglio e Agosto esclusi. Tel: 349 6863819

«E terribile non sapere che fine abbia fatto. –racconta con coraggio– Ma forse è ancora peggiore l’indifferenza che ci hanno riservato le istituzioni. Siamo completamente soli, nessuno si ricorda di noi e dei nostri cari». Un giallo quello del naufragio della “Tito Campanella”, della compagnia armatrice Alframar e iscritta al Compartimento Marittimo di Savona, che non è mai arrivato a un punto. Persino il carico rimane tutt’oggi avvolto nel mistero. Si arrivò persino ad ipotizzare che la nave potesse trasportare da armi sovietiche a rifiuti tossici. Conclusosi il processo, il caso finì nel dimenticatoio, come le famiglie delle 24 vittime che a trent’anni dal quel tragico evento ancora non conoscono la terribile fine che hanno subito i propri cari. «Non è credibile che ancora oggi nessuno sappia cosa sia accaduto. Gli interrogativi rimasti in piedi sono troppi, e tanti gli elementi che portano a pensare che la verità non la si voglia dire. Noi non ci stancheremo di chiedere. Noi non possiamo dimenticare». E nel giorno della ricorrenza della morte di suo padre, le ultime parole di Anna vanno alle vittime della Concordia: «Mi sento particolarmente vicina ai parenti. In quei momenti ho rivissuto la morte di mio papà. Ho pregato perché venissero ritrovati i corpi. Almeno ora hanno una tomba su cui piangere».

COSÌ LO RICORDIAMO

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iovanni Verzello, ex-allievo del Nautico Leon Pancaldo di Savona, Direttore di Macchina, socio e consigliere sia dell’Associazione A.LP. di Savona che del compartimento di Genova del Collegio Nazionale Capitani L.C. e M. ha navigato per 28 anni con varie compagnie sia italiane che estere, alternando periodi a bordo di petroliere e di navi passeggeri; sempre sensibile alle condizioni lavorative della gente di mare ed alla loro sicurezza a bordo. Dopo una vita trascorsa in mare è entrato a far parte d e l l ’ A . L P. r i t r o v a n d o v e c c h i compagni di scuola che aveva perso di vista a causa del suo lavoro. Per il primo martedì di ogni mese aveva attivato incontri conviviali con amici ed ex-compagni del Nautico, noi dell’A.LP. manteniamo il tradizionale incontro anche per onorare il ricordo della sua grande generosità.

Silvia Simoncelli Estratto da “Il Secolo XIX” del 15/01/2014

Sabato 12 Aprile ore 16.00 Assemblea ordinaria e Rinfresco Pasquale

Gianluca Piovano, lo ricorda tutta l’A.LP., in particolare Vintera come suo insegnante


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ISTRUZIONE NAUTICA IN TURCHIA La generazione del dopoguerra tra nuova cultura e bisogno di lavorare

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l Propeller Club Porto of Genoa ha promosso il 13 febbraio, a palazzo San Giorgio, una conferenza del prof. Turco Reza Ziarati , Vice rettore PIRI REIS University Maritime di Istambul-Costantinopoli. Piri Reis era un famoso Ammiraglio ottomano a cui si deve l’elaborazione di una delle prime cartografie marittime mondiali, circa 500 anni orsono, che considerano data di inizio Accademia. Trattasi di un complesso di più edifici con nave scuola, che fanno formazione professionale per marittimi, ma anche studi nautici in generale (sito www.marifuture.org). In particolare formazione su STCW, Automazione, Inglese marittimo, Situazioni d’emergenza, E learning, Sicurezza in generale, SOS, G M D S S , e c c . L’ e p o c a d e l l a fondazione Sec. XVI coincide col grande impero del Califfo Solimano il Magnifico che si estendeva dal’attuale Iraq, alla penisola anatolica e balcanica, ed all’Africa settentrionale,

impero che aveva attività commerciali con l’occidente, ma non si poteva dire amico proteggendo i corsari turchi nel mediterraneo.

Curiosità, la preferita del Califfo era una ex schiava pisana Rosellana (sepolta nella gran tomba di Solimano), madre di Selim, Ammiraglio turco sconfitto a Lepanto, 1571 dall’Armata navale cristiana comandata da Don Giovanni

d’Austria. Lepanto e la battaglia di Vienna, vinta dal Re di Polonia Giovanni Sobieski, 1683, posero fine all’espansione turca in Europa. Ora la Turchia moderna, ridotta ad Istambul ed alla penisola Anatolica, chiede l’ingresso in Europa, e fa parte della Nato. Nel 5 nov. 2012, a bordo della La Superga venne firmato dai sottosegretari italiano e turco un protocollo d’intesa sulla formazione nautica. Col passare dei secoli i nemici diventano amici! I Nautici italiani purtroppo, a causa di riforme fatte nell’ottica del risparmio, si trovano in difficoltà, e la Unione Europea ha aperto al riguardo procedura d’infrazione. Sulle navi italiane pare si preferiscano marittimi dell’Est, filippini, indiani, ecc. Ci facciamo passare avanti anche dai Turchi? Ing. Giorgio Paolo Prefumo

COSTA CONCORDIA Galleggiamento e Demolizione

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ichael Thamme (nuovo Amministratore Delegato Costa Crociere) ed ing. Franco Percellacchia hanno illustrato le ultime fasi lavori. La rimozione scafo verrà fatta nel giugno 1914, il costo lavori in tutto sarà di 600 milioni di dollari, il 5% dei quali per la rottamazioni. Dodici Ditte hanno dimostrato interesse alla rottamazione, preferibili i porti italiani maggiori Verrà utilizzata la Vangurd con un costo con un contratto di $ 30 milioni. Tale maxi nave può portare però può sollevare fino a fino poco oltre 100.000 t, la Concordia piena ancora d’acqua pesa 250.000 t, e bisognerà

svuotarla riempiendo una apposita nave cisterna in quanto trattasi di acque inquinate (l’IMO prescrive attualmente depurazione anche acque di zavorra), ovviamente dovranno per

il galleggiamento collegare alla fiancata che era immersa i cassoni necessari, il pescaggio del complesso risulterà di 18,5 m, quindi nessun porto italiano al momento potrà riceverla, lo spostamento senza la Vanguard è ritenuto pericoloso. Si ritiene che il recupero sul Pil per tutti tali lavori sia di 540 milioni, il rottame sarà utilizzato come materiale ferroso di recupero, gli arredamenti interni e macchine non sono recuperabili in grande parte. In figura si vede che è circondata da “panne” anti sversamenti. Ing. Giorgio Paolo Prefumo


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IL RITORNO DEL BELEM A VENEZIA Torna in Italia il veliero Belem, ex-nave scuola della Fondazione Giorgio Cini.

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estimone del prestigioso patrimonio marittimo francese, il Belem è il più antico tre alberi tutt’ora navigante in Europa e tra più prestigiosi velieri al mondo. Costruito nei cantieri di Dubigeon in Chantenay-surLoire nel 1896, il Belem era in origine una nave mercantile che viaggiava sulle rotte atlantiche soprattutto per il commercio del cacao con il Brasile. Nel 1952 divenne proprietà della Fondazione Cini che la riarmò a nave goletta e la ribattezzò Giorgio Cini utilizzandola per la prima volta come nave scuola per gli allievi dell’istituto Nautico Scilla sull’isola di San Giorgio a Venezia. Fu poi disarmata nel 1968 e dopo qualche anno riacquistata dalla Francia. Un grande ritorno a casa per questo veliero che per dieci giorni sosterà in Riva San Biagio (di fronte il Museo Navale), a due passi da Piazza San

Marco, e che verrà aperto al pubblico per visite e manifestazioni secondo il calendario di prossima pubblicazione. È notizia di grande interesse la conferma della presenza di quello che fu il “Giorgio Cini” oggi “Belem” rinato con i Francesi, a Venezia dal 18 al 24 Aprile, periodo Pasquale. Considerando che alcuni di noi associati all’A.LP siamo stati a fare lo stage sull’allora Nave scuola degli Istituti Nautici, è con questo reperto

veramente di lusso, che ricordiamo i Velieri di Lungo Corso, quelli di Capo Horn. È davvero impossibile pensare che quei tempi siano potuti davvero esistere e che ci siano stati uomini assoggettati a rischi, come era d’abitudine allora per i naviganti, dal cibo (non c’erano i frigoriferi) alle malattie, il salire e scendere su vele e pennoni con mare in burrasca, vento, pioggia, ecc. Eppure, non è passato molto tempo da quando i Quaranta Ruggenti o anche i Cinquanta Urlanti, con venti nevi ed anche ghiaccio, erano routine. Soltanto Joseph Conrad, con la sua magica penna è riuscito a darci quasi una foto di quello che erano quei tempi. Fino alla Prima Guerra Mondiale, un secolo fa, i luoghi più sperduti del globo venivano toccati ancora grazie alle navi a vela, dato che con il vapore non si poteva affrontare per ragioni di economia e mancanza di punti di rifornimento per il carbone nell’allora terzo e quarto mondo. Il Belem, rimane in assoluto l’ultimo testimone di quei tempi e di quella storica navigazione che venne a finire anche con lo sviluppo del mondo moderno e l’affermarsi dei Canali di Suez e di Panama. Cap. Riccardo Roemer


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LE “INDUSTRIALI” DI PIAZZA BRENNERO La generazione del dopoguerra tra nuova cultura e bisogno di lavorare

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illapiana è sempre stato un quartiere popolare con elevata percentuale giovanile. Al centro, un tempo, c’era la Scarpa & Magnano, fabbrica che prima del passaggio alla Montedison contava oltre 1200 dipendenti. In quel periodo, buona parte delle maestranze (già presente nel pre-bellico) era composta da militanti antifascisti. Otto anni dopo la fine della guerra, i numerosi ex combattenti reduci dalla lotta di Liberazione ed il sindacato, erano ancora costretti a difendersi dalle discriminazioni politiche del nuovo padronato. I bambini del quartiere, inconsapevoli, crescevano respirando quell’aria particolare. Aria che influenzava, inevitabilmente, l’intera città. Il ricordo dell’olio bruciato, gli echi delle macchine che producevano interruttori a bassa, media ed alta tensione, i messaggi scritti a caratteri cubitali, le immagini dei vari personaggi politici del momento, entravano a far parte della loro cultura. Una fabbrica modello Sul piano professionale, era riconosciuta da tutti come una fabbrica molto qualificata e quindi tenuta in alta considerazione. I titolari ne andavano fieri. Di Giovanni Scarpa si racconta che nutrisse un particolare interesse per le giovani generazioni. Attingeva tra i migliori alunni dell’Itis

di piazza Brennero, per inserirli nel ciclo produttivo. Intanto le conseguenze della guerra, ancora vive nella memoria della gente, condizionavano economicamente le famiglie. La possibilità per i genitori di mantenere i figli nel difficile percorso di studi pesava e imponeva limiti al loro tenore di vita. Situazione constatabile dal loro comportamento e dagli umili costumi. Anche la mentalità risultava proporzionale ai sacrifici, alle privazioni. A distanza di tanti anni e in condizioni ben diverse si possono, affettuosamente, ricordare quei tempi, parlarne con simpatia e rispetto, e perché no, anche con un po’ di ilarità.

molte di loro, la meta di un diploma per il proprio figlio, rappresentava la massima aspirazione. D’altra parte, a quei tempi, non era ancora consentito l’accesso all’Università, come non vi era la scuola dell’obbligo, per cui, i più sfortunati dovevano fermarsi all’avviamento. Ma urgeva trarne profitto, il più presto possibile, per entrare nel mondo del lavoro. Molti ragazzi provenivano anche dalla provincia, persino dal basso Piemonte, una marea che al mattino colmava le strade di Villapiana. Tre anni di avviamento e cinque di indirizzo professionale. Per molti, purtroppo, i primi tre potevano significare la conclusione degli studi.

Itis scuola di vita Nel 1934 viene inaugurata, in piazza Brennero, la Regia Scuola Tecnica Industriale “Paolo Boselli”, su un progetto del 1930. Il 4 luglio 1941, con D.R., prende il nome di Regio Istituto Industriale, successivamente intitolato ad Alessandro Mussolini. Appena terminata la guerra, il 14 maggio 1945, viene intitolato a Galileo Ferraris, scienziato, ingegnere e fisico. Nel 1947, anch’io, come tanti altri ragazzi, entro a far parte della grande famiglia dell’Itis. La maggior parte degli studenti proviene da famiglie povere, prevalentemente operaie. Per

Come eravamo Vestivamo come potevamo. Ora possiamo anche sorriderne, allora una condivisa solidarietà mascherava la comune condizione. La miseria, celata da un dignitoso pudore, ne limitava l’importanza. Generalmente, nonostante la varietà dei colori e delle taglie che non corrispondevano mai, vestivamo in modo sobrio preoccupati più di non patire il freddo che di sfigurare. Il più delle volte si trattava di abbigliamento dismesso dal padre o da un fratello maggiore. Calzoni con cuciture seminascoste e inevitabile toppa posteriore. Spesso corti sotto al ginocchio, nella migliore delle ipotesi


Anno XIV n°72 - Marzo 2014 alla zuava, raccolti sopra al polpaccio tramite asola e bottone oppure con elastico. Alcuni potevano averli lunghi (i più grandi), ma sempre usati, destinati a finire regolarmente sotto il tacco delle scarpe. C a l z e o calzettoni di lana, fatti dalla nonna, che si arrotolavano sopra alle caviglie. Scarpe, un tempo lucide, portate dal padre nel giorno del suo matrimonio, diventate opache con qualche crepa marginale e con probabile orifizio sotto la suola. Ricordo che, per uno dei tanti compagni di percorso, quel problema era un dramma. Ultimo di quattro fratelli, il padre cameriere dalle scarse possibilità, venne a trovarsi con le scarpe ridotte a tal punto da doverle gettare nell’immondizia. La madre, disperata, che fa? Ne prende un paio delle sue, e con un colpo ne trancia il tacco a spillo. Il ragazzo si recherà a scuola con andatura ballerina ma almeno non a piedi nudi. Che look, come si dice oggi, in quegli anni. Maglioni di lana grezza, sempre lunghi, che coprivano le mani. Giacche facilmente accessoriate da una protezione di velluto nero sui gomiti, per attenuarne l’usura. Le cartelle erano normalmente di cartone pressato, dopo un po’ bisognava cinturarle per assicurarne la chiusura. Al loro interno si alternavano libri di seconda, a volte di terza mano, rivestiti con fogli di giornale per una più lunga conservazione. Compagni indimenticabili C’è un altro compagno di classe che ricordo con piacere. Corporatura tarchiata, capelli ispidi a mo’ di riccio, aria apparentemente afflitta, tratteggiata, ogni tanto, da un timido sorriso. Per lui, ero l’amico con il quale sfogarsi, il suo modo di fare celava un grande cuore. Nei nostri

incontri si parlava di un po’ di tutto, dai mali del mondo alle marachelle, diciamo così, che ci avevano visto protagonisti ai tempi dell’Itis. Purtroppo, proprio in questi giorni, ho saputo della sua scomparsa. Il mistero del panino Ad uno di quelli che venivano da fuori provincia, è legato il mistero, mai svelato, dei panini tranciati. Veniva ogni giorno da Spigno, viaggiava sulle carrozze di terza classe color marrone scuro, ad ogni fila di posti una porta di accesso. Su ognuna, le FF.SS., avevano pensato bene di fissare un grosso numero 3, forse per distinguerle dalle altre due classi, anche se erano inconfondibili. La prima classe, sedili in velluto, aveva addirittura i poggiatesta con le foderine in lino bianco. Un lusso vietato ai più, anche se qualcuno provava a sostarci prima di essere cacciato dallo spietato controllore. Quel compagno di scuola, portava sulle spalle una cartella gigante piena di libri ma dalla quale spuntavano le estremità di un enorme filone di pane rigorosamente farcito con frittata o salame. Era il suo pranzo. Lo mangiava, con sana avidità, nel tempo libero prima delle lezioni pomeridiane. Lo divorava anche un pomeriggio, durante la proiezione di un film western al mitico “pigugin”, come era

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definito il cinema Moderno di via Boselli. Una vera topaia. Fatto è che, fattosi largo in mezzo alla folla di spettatori per arrivare ai secondi posti, cioè quelli più economici, al suo filone mancavano sempre le punte emergenti dalla cartella. Trascorso oltre mezzo secolo il caso è rimasto insoluto. Un morettino dai capelli ricci, che piaceva tanto a mia mamma, oggi è un sacerdote apprezzato per la sua propensione ai problemi della povera gente. Avevamo concezioni diverse della vita che non hanno impedito una solida amicizia. Tenute sempre sul binario del dialogo hanno trovato sempre convergenze condivisibili. Ho citato solo alcuni ricordi personali, paragonabili a tanti altri, per dire che quella Scuola straordinaria ha formato molti giovani della nostra generazione. Quell’Istituto, severo e umano nello stesso tempo, l’ha dotata di carattere, senso del dovere, professionalità, seppur armata solo di speranze. I tempi, da allora sono molto cambiati. Le condizioni, la mentalità, la società non sono più le stesse. Altri ricordi si ripetono per i nuovi studenti, ma credo che la Scuola del dopoguerra, proprio per le condizioni nelle quali ha svolto le sue funzioni meriti un’attenzione particolare. A conferma che talvolta il passato contiene più futuro di quanto non ne contenga il presente. Cap. Claudio Tagliavini


Pannello in ceramica realizzato da Renato Geido per uno dei Muretti degli Artisti di Villa Cambiaso


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