Villa Cambiaso n° 82

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PROVINCIA

Anno XVIII - N° 82 - Aprile 2018 - Direttore: Pio Vintera - Aut. Trib. di Savona N° 544/03

Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue

Redazione: Via Torino, 22R - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Grafica e Fotografia: Mattia e Veronica Vintera Edicole SV: P.zza Diaz - P.zza Sisto IV - P.zza Saffi - Via Paleocapa - GE: P.zza della Nunziata - P.zza De Ferrari

“Ecce Homo” riproduzione della Cassa di Giovanni Andrea Torre andata perduta


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Anno XVIII n° 82 - Aprile 2018

Villa

PASSEGGIATA NEL PARCO di Maria Scarfì Cirone

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’aria appare immota sotto un cielo madreperlaceo sfumato di tenerezza. Entriamo nel parco di Villa Cambiaso e subito ci sentiamo avvolti da un’atmosfera incantata, interrotta appena dal frullio d’ala di un piccolo volatile nascosto fra i rami di un albero non ancora sfogliato dall’incipiente autunno. Le mura di cinta, all’esterno decorate con firme celebri poste su ceramiche d’arte, proteggono l’ambiente dall’inquinamento, soprattutto acustico, che affligge la città di Savona. Perché, questo tesoro, è nel cuore dell’ambiente urbano. Si percorrono i vialetti camminando sul morbido tappeto formato dagli strobili ormai disarticolati, caduti dagli otto cedri del Libano che giganteggiano nel parco. Sostiamo con Pio Vintera, il proprietario di tante meraviglie, mentre tornano alla mente i tempi antichissimi del re Salomone, quando il terzo re di Israele volle in legno di cedri del Libano sia le strutture del Tempio di Gerusalemme sia quelle del suo stesso palazzo. E i Fenici che abbattevano questi alberi secolari per la costruzione delle loro navi. Sono qui, dominano sopra di noi, gli otto superbi cedri del Libano, motivo di giusto orgoglio per l’eclettico Pio Vintera che calcola ad occhio, in trenta metri di altezza, i suoi magnifici alberi. Precisa, Pio, un’altra peculiarità di queste colonne viventi, consistente nel fittone, radice principale a forma di cono che si introduce nel terreno con una im-

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postazione verticale e non invadente. Ciuffi di plumbago colorano di azzurro le aiuole, con pennellate in perfetta sintonia con l’aria che ci circonda. Sei palme mostrano la loro età senza falsi pudori, attraverso gli anelli formati dalle annuali potature e assaggiamo i loro frutti, piccoli e biondi datteri non ancora maturi, minute ambre nel cavo della mano. Viali e vialetti si intersecano con geometrica armonia ed ecco una rigogliosa buganvillea dai rami spinosi e i fiori amaranto, in competizione con le ultime rose ottobrine. È ampio il gazebo ottagonale, pronto ad accogliere un quartetto d’archi o a sigillare una storia d’amore su musica di Bach. Diventa piacevole giocare con la fantasia e rievocare, anche solo attraverso alcuni nomi, i personaggi che alcuni secoli fa si addentrarono nel

Parco. Immaginiamo la bella e altera Eugenia Spinola Pallavicini, cupa per lo scempio fatto nelle sue proprietà dalla soldataglia francese nel 1796 e Napoleone che, nella notte fra il 10 e l’11 di quell’aprile, forse respirò l’aria profumata del parco nelle prime ore della sera, prima di ritirarsi nella camera da letto che gli era stata predisposta nella Villa. L’indomani lo attendevano la battaglia di Cairo Montenotte e la sua famosa vittoria. Il dialogo è piacevole. Ci avviciniamo al frutteto con alberi di ciliegie, prugne, sonnacchiosi fichi ed un noce garbato che permette di cogliere alcuni frutti per estrarre i gherigli ancora prigionieri del guscio e del mallo. L’uva fragola appaga la golosità di chi ha il privilegio di staccare dai tralci i grappoli violetti e di gustarne il particolare sapore. Suggestivo è l’an-

golo del bananeto e torna alla mente un severo professore di scienze che ci spiegava, nei lontani anni del liceo, la difficile classificazione di queste piante d’origine asiatica, mentre è più vicino nel tempo un fantastico dessert con frittelline di banane che conquistò un pomeriggio, le amiche venute per il tradizionale thè pomeridiano. Agavi imponenti e immote si atteggiano a sculture. Di grande autore, s’intende, com’è giusto che sia nell’opera del creato. Non mancano i bambù a Villa Cambiaso, e piacerebbe a questi fusti alti e cilindrici, estendersi, conquistare, allargarsi sul terreno, impadronirsene. Ma Pio Vintera tiene a freno la loro esuberanza. Me ne parla mentre ci avviciniamo al laghetto con i pesciolini rossi guizzanti, piacevoli, simpatici come sono da sempre, per grandi e piccini, queste creature che intrecciano le loro geometrie subacquee sotto le radici delle ninfee. Indossano, tutti, livree “rosso Valentino”. A loro volta, candide e magnifiche, le ninfee si specchiano sulla trasparenza dell’acqua. Anfore e vasi antichi ovunque. Da un lato, una imponente scalinata, ci ricorda le sfilate di moda che spesso hanno quale scenario il parco di Villa Cambiaso. Guardo l’amico Vintera. I suoi occhi brillano di entusiasmo e parla con la fluidità di parola che lo distingue. È consapevole di possedere, insieme alla storica Villa, un perimetro verde incantato da lui seguito, curato, amato. È il suo frammento di Eden.

MATRIMONI A VILLA CAMBIASO

l Comune di Savona potrà celebrare i riti civili in Villa Cambiaso, all’interno della Dimora Storica o nel parco degli otto centenari cedri del Libano. Si possono prenotare contattando l’ufficio Anagrafe del Comune di Savona e la Proprietà telefonando al num. 349 6863819


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Cultura

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LA FAMIGLIA “NATURALE” NON ESISTE

La famiglia “innaturale” come sfida per un nuovo modello educativo

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n questo scritto riassumo in breve, con l’intenzione di esprimere anche il mio pensiero in merito, parte del primo capitolo del libro di Vittorino Andreoli “L’educazione (Im)-possibile - Orientarsi in una società senza padri”. Ed. Mondadori 2014. Tale mia esigenza nasce dalla volontà di dare un contributo a chi si trova, come me, ad affrontare il tema dell’educazione dei figli, non volendo però ripercorrere lo schema dei propri genitori. É un libro che mi ha dato serenità e una qualche certezza. Cap.1 L’educazione mancata L’educazione imperativa: quando educare significa sottomettere.

Questo capitolo prende in considerazione il significato della parola educare e la storia dell’educazione. Che è, in definitiva, la storia del potere: di chi e come lo esercita, e/o lo ha esercitato, anche all’interno della “famiglia”. Se partiamo dal presupposto, incontestabile, che noi facciamo parte del regno animale, quindi della Natura, dobbiamo accettare, di contro, che il termine “ famiglia naturale”, utilizzato per indicare la triade padre, madre e figlio, sia inesatta, altrimenti dovremmo ritenere innaturale anche l’organizzazione sociale degli orsi, degli elefanti ed anche di numerosi insetti. (che vivono in gruppo) Il termine genitore è molto più antico

rispetto a quello di padre e madre. Si comprende bene il concetto: il genitore, dal latino genitor, è colui che da’ la vita. Mentre i termini padre e madre, nascono da una necessità patrimoniale: pater = patrimonio / mater = dovere di essere legata. Circa diecimila anni fa si affermò il ruolo educativo del padre, a seguito di un grande cambiamento: all’agricoltura e alla caccia si aggiunse la pastorizia. Fu dall’osservazione della vita animale che l’uomo comprese l’importanza del suo ruolo nella riproduzione umana e che non poteva essere uno spirito divino, o della natura, a “possedere” la donna e a far nascere una nuova vita. Se prima di questa scoperta i figli erano del villaggio, in quanto la fecondazione era un mistero della natura, dopo ha cercato in tutti i modi di avere la “supremazia”. E ci è riuscito. Finito il “gruppo”, finita la condivisione, inizia l’era dell’egoismo e della guerra per ottenere territori e ricchezze da tramandare ai figli. Quindi il cambiamento terminologico è strettamente collegato alla necessità di avere certezze sulla discendenza, per motivi ereditari. Dato che la famiglia “naturale” comunemente intesa, non esiste, poiché è stata un’invenzione di natura economica, ne consegue che non si può legare il processo educativo all’economia e al potere. É ovvio che non si può. Per millenni la donna, responsabile

della nascita e crescita dei figli, fu venerata come Dea Genetrix, poiché ritenuta indispensabile per l’esistenza della società. Che era pacifica e nomade. La cultura religiosa femminile a cui noi ci riferiamo, deriva da quella ebraica che estromette la donna dal ruolo educativo spirituale, in quanto “impura” (mestruo) lasciandole il solo compito di accudire i bisogni fisici dei figli. Il padre diventa unico educatore mediante l’imposizione di regole (Tavole della Legge) e l’irrogazione di sanzioni, nel caso venissero trasgredite. La rivoluzione arriva dalla figura di Gesù il quale si contrappone a tutte le teorie vigenti all’epoca, con la forza rivoluzionaria di un giovane adolescente, i cui effetti li vediamo anche nel nostro ordinamento giuridico. Abbiamo dentro ancora il germe dell’antico testamento, della paura del padre e della punizione divina. Dobbiamo guardare avanti, anche seguendo le indicazioni di Gesù, Fi-

losofo e uomo, il quale ha indicato la via della felicità. Anzi, secondo me, non è stato tanto lui, quanto la Madre, che poi è simbolo universale di pace e tolleranza. Quella reminiscenza della dea rivista e corretta. Ma la sua forza c’è e si vede. La forza creatrice non parla a pochi dall’alto della montagna o apparendo in segreto. AGISCE. Cinzia Rossi

DA SAVONA A MANCHESTER CON… POESIA

Franca Maria Ferraris ha tradotto la raccolta di poesie di Christina Rossetti

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endiamo noto che lo scorso 18 gennaio 2018, su invito della Presidente dell’Associazione Internazionale Dante Alighieri di Manchester, Professoressa Manuela Costanzo, è stato presentato nella suddetta città, presso la Biblioteca “Il Portico”, il libro Tutto il cielo è splendente, Bastogilibri 2016, poesie di Christina Rossetti, poetessa dell’Ottocento inglese, tradotte in lingua italiana, con testo a fronte, da Franca Maria Ferraris, copertina e illustrazioni di Maria Teresa Di Tanna. Il libro, già presentato con successo in più occasioni sia in Liguria che in Abruzzo presso il Castello D’Alessandro in Pescolanciano, e a Vasto, patria del padre della poetessa inglese, presso il Centro Europeo di Studi Rossettiani (CESR), ha trovato assensi e partecipazione anche a Manchester, da parte del pubblico inglese, che ha accolto con attenzio-

ne e interesse questa nuova antologia di traduzione –e perciò di diffusione anche in Italia– delle opere di una poetessa da loro non solo apprezzata, ma pure molto amata. Durante la presentazione sono state lette, in italiano e in inglese, alcune tra le più belle e significative poesie della Rossetti, fra cui Advent, Looking Back, Winter: My Secret, quindi la traduttrice e l’illustratrice sono state intervistate dalla professoressa Anna Maria Forti Sheikh sulla genesi del libro e sull’importanza della traduzione. Nel corso dell’intervista si è fatto riferimento al commento del Professore Giuseppe Marino del CESR a questa nuova raccolta di poesie della Rossetti, traendone alcuni spunti qui testualmente riportati: […] La nuova antologia di poesie di C. Rossetti Tutto il cielo è splendente, è connotata da una forte componente naturalistica percepibile

già dalla copertina: una betulla, albero esile e teso verso un cielo giallo intenso a richiamare il colore della luce, in senso fisico e soprattutto metafisico, verso cui instancabilmente tende ogni verso della poesia di Christina Rossetti. Fondamentale il compito della traduzione svolto dalla Ferraris […] che ha parlato di come sia nato il suo amore per la poetessa londinese e del lavoro di affinamento della sensibilità che ogni traduttore deve effettuare affinché l’opera di uno scrittore possa arrivare al pubblico nella maniera più piacevole possibile, senza sconvolgere il senso e la musicalità di un verso, che resta comunque intraducibile nelle sue sfumature più sottili. […] La nuova traduzione della Ferraris è quindi un importante lavoro, che contribuisce alla rinascita di una poetessa ancora poco conosciuta in Italia, e che getta

nuove basi per una Opera Omnia della Rossetti. La presentazione è stata impreziosita da alcuni interludi musicali eseguiti da Kate Fuggle al flauto, accompagnata dall’oboe e dal violino di due musicisti del suo Ensamble.


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Arte

LA PROCESSIONE DELLE “CASSETTE” di Giuseppe Milazzo

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più giovani, sicuramente, non sapranno neppure di cosa stiamo parlando. Eppure, quella delle “cassette” fu una delle tradizioni più famose per la nostra città, attesa, un tempo, come si poteva aspettare la Fiera di Santa Lucia, con emozione ed entusiasmo. Non sappiamo quando questa consuetudine ebbe inizio. Con tutta probabilità, però, possiamo ipotizzare che sia nata nella prima metà dell’Ottocento, dopo la fine del periodo napoleonico, e si sia affermata con grande successo nei decenni successivi. Ma ecco come si svolgeva: la sera del Giovedì Santo, durante la Settimana Santa, i bambini appartenenti alle famiglie più facoltose e nobili di Savona scendevano in strada e, percorrendo lo stesso identico percorso che sarebbe stato seguito la sera successiva per le vie della città, portavano “in processione” le copie e i modellini in legno lavorato delle casse del Venerdì Santo, autentiche riproduzioni ridotte, in miniatura, dei gruppi artistici più grandi e famosi. Come la processione “maggiore”, anche quella delle “cassette” si svolgeva con grande solennità. Le casse venivano portate tra le mani dai primogeniti di quelle famiglie che si potevano permettere il lusso di pagare un artista, capace di realizzare quei piccoli, ma splendidi capolavori, realizzati in terracotta, in legno e in cartapesta. Come i membri delle confraternite, anche i bambini indossavano le “cappe” e percorrevano incolonnati le strade della città reggendo dei ceri, delle torce, cantando e salmodiando in un tripudio di incenso e di fiori. Giuseppe Cava, il famoso poeta savonese –che non poteva dirsi certo un uomo pio e devoto, convinto com’era dell’esistenza del gran nulla dopo la

morte– era comunque profondamente affezionato a questa tradizione e ne volle parlare in un suo famoso articolo apparso sulla pagina savonese del giornale “Il Lavoro” il 6 aprile del 1939: «Il giovedì sera si snodava per la città la processione delle “cassette”, portate da bambini sui dieci, dodici anni. Una riproduzione in piccolo dei gruppi artistici di quella del Venerdì Santo. Una parodia scomparsa, nella quale figuravano molti doppioni dello stesso gruppo e parecchi di squisita fattura, che in molte case ancor si conservano e che starebbero bene

riuniti in una sala del Museo o della “Campanassa”. Non mancavano né le torce, né i tamburi e nemmeno la schiera dei chierichetti, coi fumiganti turiboli, attorno alla «cassa della Santa Croce», posseduta da un certo “Rattìn”, notissimo usuraio. Organizzatore della processione delle cassette, fu per moltissimi anni un fabbricante di ceri, certo signor Ferretti detto “il Dritto” per distinguerlo da altro suo fratello pure fabbricante di cere e soprannominato “lo Storto”. Ferretti “il Dritto” era un buon uomo e capeggiava tutte le processioni, ma quella dei piccoli del Giovedì San-

to era la sua passione, malgrado che organizzarla gli costasse un vero ammattimento. Figuratevi qual cumulo di pazienza occorreva per mantenere in ordine tutti quei ragazzi e farli filar diritti, per quanto vi si prestasse di buzzo buono! Non ci voleva che lui e infatti dopo la sua morte non si trovò più alcuno che volesse sobbarcarsi all’ardua fatica. E, dal punto di vista della serietà, fu un bene. Coadiutore del buon Ferretti, era il ben noto “Checco o nason”, il più bel naso rubizzo di tutta Savona, portatore di stendardo in tutte le processioni


Anno XVIII n° 82 - Aprile 2018 e in tutti mortorii, alto e corpulento, che disimpegnava le funzioni di gendarme dell’ordine, tenendo a freno i più riottosi e impedendo che posassero in mezzo alla strada le “cassette” e s’azzuffassero come mastini. La processione delle “cassette” rappresentava una attrattiva del mondo piccino, sia per coloro che vi prendevano parte, sia per gli altri che si schieravano lungo il percorso. La città era piccola e la gente si conosceva fra loro. Tanto più i ragazzi, che vedendo passare i compagni serii e tronfi li chiamavano per nome e li berteggiavano, ricevendo strattoni e schiaffi dalle mamme, scandalizzate

dalla loro impudenza. Devo, però, aggiungere che anche i grandi vi si divertivano, considerandole come un saggio della grandiosa e solenne processione dell’indomani». Come confermava anche Giuseppe “Pippo” Callandrone, il Direttore della pagina savonese de “Il Lavoro” negli anni Trenta, che della processione delle “cassette” trattò in un altro articolo sul suo giornale, quella consuetudine divenne, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un modo, per molte famiglie savonesi, per “mettere in piazza” ed esporre i propri “titoli di nobiltà”, acquisiti in realtà solo per censo e ric-

chezze spesso da poco accumulate. A poco a poco, quella che doveva essere una manifestazione di devozione religiosa divenne un’occasione di divertimento un po’ sguaiato e chiassoso. E i ragazzini di famiglie diverse che si ritrovavano a portare tra le braccia dei modellini riproducenti lo stesso soggetto finivano spesso e volentieri per affermarsi l’un l’altro, anche con espressioni colorite, la rispettiva superiorità della propria “cassetta”, per bellezza, colori e fattura. Callandrone ricordava di aver assistito, da ragazzo, ad una di queste discussioni sorte nel corso della processione tra due illustri rampolli di famiglie della buona

Arte - Cultura

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società savonese: una discussione che era finita per sfociare in una micidiale scazzottata in mezzo alla strada, tra i lazzi e gli urli di incitamento dei loro coetanei. Così, quando morì il buon Ferretti e, nello stesso periodo, scoppiò la Prima Guerra Mondiale, la tradizione della processione delle “cassette” finì per interrompersi bruscamente e per sempre. E, come convenivano sia Callandrone che Cava, «dal punto di vista della serietà, fu un bene». Le “cassette”, così, sopravvivono oggi soltanto nei solai di qualche vecchio palazzo cittadino o nei depositi di qualche facoltoso antiquario savonese.

IL MODERNISMO NELLA CULTURA DEL NUOVO MILLENNIO di Roberto Garbarino

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a crisi economica come tutte le divaricazioni esistenziali del vivere odierno implica accurate riflessioni per porre in evidenza possibili rimedi per le nuove crisi globali e concettuali. La disoccupazione per le popolazioni future sembra una cosa scontata come la precarietà. Tutto sembra scontato e viene da chiedersi oggettivamente parlando, a cosa servano la cultura, l’arte, la poesia in genere come tutte le arti visive e filosofie che hanno reso famoso il corso della storia e l’ultimo secolo del novecento. Ci si chiede spesso con poca non curanza del rimedio per le persone spesso in preda a comportamentismi dettati dal marketing sfrenato, gioco d’azzardo. Il lavoro appare una cosa astratta. I laureati di oggi e di domani non hanno pertanto sicurezze professionali e l’incertezza appare una doverosa e logica reale.

Dove è finito l’intelletto? E gli intellettuali e gli artisti in genere che ruolo avranno? Tutto indica una nuova possibile green economy ma è difficile cambiare in maniera drastica e solerte abitudini di decenni consolidate da una esistenza dettata da regole omologate. L’uomo di oggi riflette? È disposto a variare in maniera decisa il proprio comodo la propria voglia di consumare e votarsi al risparmio del consumo? Si spera spesso in una nuova forma di homo cogitante, si amplifica il desiderio di una nuova società, nuovi rimedi e teorie economiche. La Filosofia come la cultura di oggi semplificano l’evidenza del limite reale dell’inconosciuto. Mentre in passato l’importanza di Hegel fu quella di creare le premesse di varie filosofie organiche materialiste e spirituali al contempo, creò vastezza del cogito, la comprensione della decadenza, la possibilità suprema del

rinnovarsi. Mentre per quanto riguarda Brentano non si avrebbe la psicologia di oggi come la stessa Filosofia. Russel evidenzia la Filosofia, il continuo studio, una accurata comprensione verso il reale. Ma viene da chiedersi: che cosa è il reale per l’uomo di oggi? E che cosa è il concetto stesso di felicità? Il suo limite stesso di comprendere ciò che non conosce. Sovente si comprende il nefasto comodo per non vedere il resto, la diversità delle cose distanti come delle popolazioni che vivono in modo precario rispetto al mondo evoluto. Il mondo si evolve nella sua stessa esigenza di evolversi, una scelta obbligata tra cultura e denaro. Si dissolve il concetto di sicurezza economica, il nomos dei posteri; i posteri saranno senza una cultura identitaria. Gli artisti contemporanei sentono

pertanto la relazione stessa tra il precario e la ricerca di rimediare l’ontologia pressante di un nulla difficile da comprendere amplificato da scorie di nichilismo retaggio di esistenze novecentesche, cercando con l’arte di rappresentare un mondo supportato tra il reale e la creatività, un valico colorato creato dall’artista per le persone. Si è, si cogita quando si pensa, si è artisti quando si dipinge creando il nuovo possibile per il prossimo quando le cose sono ontologicamente fruibili e vanno verso la Bellezza. Quale è lo scopo della stessa esistenza se non la frequenza del conoscere di dare al prossimo il senso di sé stessi? La Filosofia come l’arte non hanno certezze supreme, mobilitano e si nobilitano al tempo stesso e sono fattori espressamente esperienziali di conoscere il rinnovarsi di una possibile certezza che migliori le cose, la società in cui si vive, una ragione di speranza del domani.


N° 31 - Aprile 2018 - Redazione A.LP. - Via Torino, 22 R - 17100 Savona - Tel: 349 6863819 - E-mail: vintera@villacambiaso.it

SACRIFICATO IL NAUTICO NELLA RIFORMA GELMINI

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bordo della “Diadema” gioiello della costa crociere, sia di nome che di fatto, è stato festeggiato il decimo compleanno dell’Associazione Leon Pancaldo (A.LP.). Un evento al quale erano presenti ex docenti ed allievi del glorioso Istituto Nautico, fiore all’occhiello della città di Savona. Una città di mare ed un Istituto che parla di mare, ottimo connubio per la preparazione di giovani che hanno deciso oggi di fare della disciplina nautica la propria professione futura. Nel salone della nave dove si è svolta la festa, tra i presenti, aleggiava uno spirito allegro misto ad un profondo rammarico quello di essere testimoni di un declassamento della scuola essendo questa stata accorpata all’Istituto Tecnico ITIS comportando il cambiamento del titolo del diplomando da allievo capitano a quello più anonimo di perito conduttore di mezzi. Un domani, quindi, a bordo delle navi chi farà le veci del padrone di casa, chi comanderà non sarà piu il capitano (titolo affascinante che incuteva rispetto e faceva sognare) bensi il perito conduttore, titolo indegno ed inadeguato che ha il sapore dell’impiegato comunale (con rispetto parlando)! Ma pensate anche a livello poetico e musicale Antonello Venditti nella celeberrima canzone “ciao uomo” il cui testo iniziava: ” signor capitano, qual

è la rotta. Qual è il destino del nostro viaggio” avrebbe dovuto scrivere “signor perito…” ridicolo! Ma a tutto questo si aggiunge un problema logistico come ha denunciato il presidente dell’Associazione Pio Vintera:” non siamo riusciti a fare ripristinare le vecchie aule del vecchio Istituto a causa dell’indifferenza della classe politica e delle amministrazioni, subendo inoltre il decentramento dalla sede storica a quella periferica!” –ha continuato Vintera– “per non parlare dell’eliminazione della geografia, materia fondamentale per chi dovrà navigare!” volere e potere, dicevano gli antichi, in questo caso non si è potuto ciò che non si è voluto! Leon Pancaldo il nome di un navigante italiano che partecipò al primo viaggio di circumnavigazione intorno al mondo al quale a Savona sono stati dedicati la torretta (emblema del porto savonese) e l’Istituto Nautico scuola per diventare naviganti, non poteva finire così! I due modelli culturali scolastici: dell’ITIS e quello del nau-

UN AFFETTUOSO RICORDO

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trascorso un anno dalla dipartita di Sergio Barbagianni, Capitano superiore di Lungo Corso e astrofilo, Renzo Perrone ricorda il suo compagno di banco del glorioso Nautico Leon Pancaldo di Savona. I ricordi affiorano pensando a lui, rammento la serata a Varazze presso l’Astigiana del Cap. Agostino Bribò. Uscendo dal locale e, guardando il cielo, vidi una stella particolarmente brillante e chiesi a Sergio se ricordava il suo nome: lui prontamente mi disse che non si trattava di una stella, ma del pianeta ‘Giove’ aggiungendo: “domani sera ricordiamoci di osservarlo con i binocoli e se scorgeremo i due pianetini che lo affiancano, ne saremo certi”. Sergio lo sento e lo ricordo, ogni volta che guardo il cielo stellato. Renzo Perrone

tico non dovevano essere mescolati non avendo attinenze tra loro, trattando materie assai diverse, rilasciando due titoli di studio diversi: quello dell’ITIS nazionale mentre quello del nautico internazionale; spersonalizzare non è stato valorizzare. Una scuola, risalente al 1823, che vanta come docenti personaggi della cultura savonese (si ricordi presidi storici come lo scomparso Ideale Capasso) che con spirito di abnegazione hanno dato lustro all’Istituto formando allievi che si sono distinti in giro per il mondo, non doveva finire così. Una scuola, inoltre, dotata di una mostra permanente delle scienze nautiche creata, valorizzata, custodita con

amore ed entusiasmo da Francesco Ottonello, ex docente, con l’intento di mettere a disposizione di tutti materiale nautico vario collezionato nel tempo, un progetto di conservazione per la divulgazione. Un vero patrimonio da lasciare ai posteri; ma anche qui occorre che l’amministarzione locale pensi al passaggio di consegne tra il mentore di questo progetto Francesco Ottonello ed un degno erede! Una scuola così meritava e merita molto di più. Dario Volomini

In distribuzione l’ultima ristampa del libro “Il Nautico dal 1823 ad oggi”

La sede operativa A.LP. a Villa Cambiaso

(Via Torino 22r - Savona)

è aperta il 1° e il 3° martedì di ogni mese dalle 16.30 alle 18.00


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A.LP.

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POVERO IL MIO NAUTICO

del Cap. Riccardo Roemer de Rabenstein

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on riesco a capacitarmi ed avere risposte adeguate, ogni volta che mi confronto con il diploma rilasciato a chi frequenta questo nuovo Istituto Nautico, che vorrebbe essere una scuola moderna e attuale. Nessuno si è reso conto che così strutturata non serve a nulla per imbarcarsi. Nel lontano 1923, quando furono organizzati gli Istituti Nautici, i corsi vennero divisi in Capitani, Macchinisti e Costruttori, fino alla riforma Gelmini che ha rovinato tutto con la creazione del Perito del Trasporto Marittimo. Perché non torniamo a dare un titolo comune che sia ben chiaro e non di molteplici interpretazioni senza far ben capire cosa faccia il diplomato? Mai titolo fu più generico e impreciso di questo. Il Capitano era ben chiaro cosa fosse, conseguentemente il Cap. D.M. Nessuno spiega chiaramente che, attualmente, dopo il diploma, senza iscriversi a un Centro di Formazione per l’Addestramento Marittimo come l’Accademia della Marina Mercantile

e che non tutti potranno frequentare, non esiste sbocco alcuno. È veramente uno scandalo non capire che il settore del Mare, con tutto ciò che ruota intorno, potrebbe risolvere una bella fetta di disoccupazione giovanile. Questa scuola va rifatta totalmente. Per 50 anni mi sono occupato di logistica nel campo delle spedizioni e dei trasporti internazionali, oltre che di ferrovie per il trasporto di automobili e, quando ero a lavorare in Svizzera, facevo le scorte alle spedizioni che andavano con il treno all’imbarco in nord Europa. Sono andato a curiosare nei programmi di queste nuove scuole, fatte dopo che hanno sacrificato il Nautico e mi sorge il dubbio che, chi li ha formulati, non abbia le idee chiare circa la logistica. Mi sono messo le mani nei capelli e vi esorto a guardare di cosa si parla e le favole che raccontano ai poveri ragazzi, fiduciosi di trovare un’occupazione a portata di un titolo totalmente inadeguato e fasullo.

UN PARCO EOLICO DAVANTI ALLO YORKSHIRE

Il Cap. Guido Schiappacasse è il comandante del colosso Saipem 7000

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aipem 7000 è una delle navi più grandi al mondo. Il comandante è un genovese, Guido Schiappacasse. «Ho 65 anni –racconta– sono nato a Camogli dove ho frequentato l’istituto Nautico, mi sono diplomato nel 1971. In quegli anni, durante l’estate imbarcavo con la qualifica di “mozzo” (la più bassa di tutto l’equipaggio) per iniziare ad acquisire le prime esperienze». Il destino è legato al luogo natale: «Sono marinaio per nascita, tutta la mia famiglia è formata da naviganti, lo erano mio padre, mio zio e mio nonno, come buona parte delle persone di Camogli». Nel 1980 la svolta: «Ho cominciato a sentir parlare di questi strani mezzi navali e sono entrato nella Saipem, dopo un periodo di doverosa “gavetta” su una chiatta non propulsa: senza motori, a traino!». Nel 1999 nasce suo figlio e contemporaneamente assume il comando della Saipem 7000. E il mezzo navale più grande al mondo, 200 metri di lunghezza. Un gigante marino dotato di 12 propulsori, 12 motori capaci di generare energia sufficiente per illuminare una cittadina come Camogli, due gru capaci di sollevare 14 mila tonnellate, un sistema per posare condotte sottomarine oltre i 2000 metri di profondità. La velocità? «Otto nodi. Di più non è

possibile. Parliamo di un mezzo che è un’officina in mezzo al mare, tanto che c’è una parte di personale marittimo, poi tecnici e di operai. Può ospitare 725 persone, normalmente ce ne sono tra le 350-400. Le missioni sono lunghe, 4 settimane a bordo e qualche settimana a casa, periodo in cui dobbiamo frequentare corsi di aggiornamento e sicurezza a Londra, Parigi e Milano per partecipare all’ organizzazione dei prossimi lavori». Un mese fa Saipem 7000 si trovava al largo dell’Egitto per operare sulle piattaforme del giacimento di gas di Zohr. «Siamo entrati nel campo dell’eolico –spiega Schiappacasse– l’anno passato, installando 4 grosse turbine su strutture galleggianti dentro un fiordo in Norvegia, è stato il nostro debutto nelle rinnovabili». Momenti di paura, di difficoltà in questi anni? «Ci

sono stati casi di condizioni estreme nel Mare del Nord, d’inverno con onde 18-20 metri. Siamo stati in affanno nel rientrare nel fiordo, ma non è successo niente perché la nave è così grande che tiene il mare anche in quelle condizioni. Non ci sono stati danni e nessuno si è fatto male».Se un giovane si sentisse, a sua volta, attirato da un lavoro così, su una nave così grande e particolare? «A un giovane

consiglio di iniziare subito sulle navi tradizionali e poi tentare di fare il salto con umiltà, impegno e passione. Negli ultimi anni ho visto tanti ragazzi che conseguono risultati importanti: quando si vedono giovani che hanno volta di lavorare, imparare e sacrificarsi, provo una grandissima soddisfazione». Marco Menduni


Fondazione Culturale Carlo Rambaldi L’Associazione Museo Artepozzo in collaborazione con la Fondazione Rambaldi e Museo Ugo Guidi organizzano

tra Genio e Arte

Villa Cambiaso - Via Torino, 10 - Savona

Inaugurazione 9 Giugno ore 16.00 Mostra dal 9 al 24 Giugno 2018 orario: 17.00-19.00

Sarà presentata la cinematografia di Carlo Rambaldi (ET, King Kong, Alien) con pannelli illustrativi sulla creazione meccanica e artistica dei personaggi. In esclusiva sarà presente la statua in grandezza naturale di ET. L’obiettivo è di sensibilizzare il pubblico e gli studenti alla conoscenza del genio ingegneristico e creativo del maestro. Saranno presenti Daniela e Victor Rambaldi, Giuseppe Lombardi (direttore della Fondazione), Marcello Baretta (esperto delle meccaniche utilizzate dal maestro Rambaldi), oltre ad un noto critico internazionale e giornalisti di fama nazionale.

Nei giorni 9 e 10 Giugno saranno esposti i tre Oscar in originale corrisposti a Carlo Rambaldi. Nella circostanza saranno presentate opere di Artisti contemporanei attentamente selezionati. Saranno serviti i vini della casa vinicola “Casetta” di Vezza d’Alba (CN)


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