Villa Cambiaso n° 57

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA www.villacambiaso.it

VillaCambiaso Villa Cambiaso Aut. Trib. di Savona N° 544/03 - Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue

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Anno XI - N° 57 - Aprile 2010 - Direttore: Pio Vintera - Stampa e Dir. Resp: M. Sabatelli - Coord. Edit: Prof. A. M. Pero Redazione: Via Torino, 10 - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Impag. e Grafica: M. Vintera - Foto: Veronica - Copie riservate ai soci C/C Bancario N° 2293480 Cassa di Risparmio Savona - IBAN: IT74-W063-1010-6000-0000-2293-480 - Intestato a: Museo Cambiaso - Via Torino 10 - 17100 Savona

ELOGIO DI EDMONDO DE AMICIS di Ugo Piacentini

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Ingresso di Villa Cambiaso

ACCADEMIA

di Musica Arti Lettere Storia Filosofia

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l 9 aprile ha esordito, sotto gli auspici del Circolo ScientificoCulturale Agape della prof.ssa Stefania Spotorno, l’Accademia di Musica, Arti, Lettere, Storia e Filosofia che, sotto la direzione del Prof. Aldo Maria Pero, si propone di offrire un articolato programma d’intrattenimenti culturali e di piacevole iniziative. I primi Cicli di conversazioni previsti riguardano: - Storia d’Italia dall’Unità alla Prima guerra mondiale; - Storia d’Italia. Nascita e morte del Fascismo; - Storia d’Italia. La prima Repubblica; - Storia dei Partiti politici italiani; - Storia politica, sociale, economica ed artistica di Savona - Storia del Medioriente dalla Prima guerra mondiale ai giorni nostri; - Storia delle dottrine politiche; - L’universo della poesia;

- Poeti e narratori locali, quando possibile con l’intervento degli autori; - Storia della pittura europea dal Secolo XIII ai movimenti attuali con numerosi video a documentazione visiva; - Gli artisti locali, ove possibile con la partecipazione degli stessi, chiamati ad illustrare alcune delle loro opere; - Storia del Teatro d’opera e del Balletto dal Seicento ai nostri giorni con la proiezione integrale dei grandi capolavori di ogni tempo; - La presentazione di tutte le opere in cartellone al Teatro Carlo Felice di Genova. Esse saranno commentate e offerte in visione integrale; - La nascita della riflessione filosofica; - Storia del Teatro di tutti i tempi; - Storia del Romanzo. A partire dal prossimo mese di Segue ultima pagina

empo fa era sfuggito a studenti imperiesi che Edmondo De Amicis era di Oneglia, proprio come loro. Non solo ad essi val forse la pena di ricordare alcuni giudizi su questo scrittore. Karl Vossler, il professore di Romanistica i cui libri non possono mancare in alcuna Facoltà di Lettere non solo tedesca, definì De Amicis un «maestro di prosa» e un «intelligente continuatore del Manzoni». Il filologo Giorgio Pasquali trovò in alcune sue pagine «un sentimento estetico puro». La sorella di Lenin, Anna Ulianova Elizarova, curò del Cuore la terza edizione in russo. In Cina e nell’America Latina lo stesso libro va letteralmente a ruba e getta verso il nostro Paese quel ponte che nessun architetto e nessuna agenzia di viaggi potrebbe mai costruire. Il critico letterario Francesco Flora scrisse con indimenticabili accenti che «quando il mondo prese forma nella nostra mente Cuore formò il profilo di tante idee e di tanti affetti che ognuno di noi potrebbe considerarlo come un’infantile autobiografia. Le sue pagine si composero nel pensiero dei fanciulli, fra le labili forme della vita sempre nuova, l’immagine meno caduca, quella elementare costruzione delle cose e dei loro rapporti, quella prima “sintassi” che resiste in tutte le visioni e proporzioni della nostra vita».

Edmondo de Amicis ritratto da Gabriele Mucchi


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Anno XI n°57 - Aprile 2010

ARTE IN MOSTRA A cura Aldo Maria Pero IL TEATRINO DELLA POLITICA VILLA CAMBIASO SAVONA

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uesta la cronaca; quanto ai contenuti della rassegna alla quale hanno aderito decine di artisti, essa ha offerto spunti interessanti per merito dei partecipanti provenienti dall’intera penisola e degli artisti locali. Alcuni di loro si sono forse fatti eccessivamente trascinare dalla polemica politica mentre altri hanno ignorato il tema proposto, ma il risultato complessivo ha premiato lo sforzo degli organizzatori. Il numero rilevante di opere esposte rende, per quanto a malincuore, impossibile citarle tutte. Resta il vivo ricordo di lavori graffianti come quelli di Roberta Camilloni, in particolare la tela rievocante la Legge Merlin sulle case chiuse, che ha rievocato un mondo nel quale le prostitute del sesso avevano il pudore di non mostrarsi mentre quelle della politica operano oggi en plein air. Un secondo quadro della Camilloni, Redenzione, era una sorta di riproposta della tendenza iconoclasta di Bacon e metteva in luce notevole vibrazione di stile. Fermi nella denuncia erano Bustarelle e Politica potere e corruzione di Sonia Mazzetta, lavori icastici e sdegnati, messi forse un po’ in ombra da molte altre e maggiori prove della pittrice di Fiorenzuola d’Arda; o ancòra L’idolo di stoppa di Mara Peloso, oppure l’altrettanto forte Cortigiana di Giusy Brescianini, che reca l’immagine di Berlusconi tra uno stuolo di donne fra le quali spiccava la fiammeggiante capigliatura della Brambilla. Su di un piano simbolico di rattenuta commozione si ponevano Prigionia e Ritratto di donne di Erica Forneris, il primo dei quali si fondava su di un segno lineare che faceva emergere alcuni fiori avvinti da filo spinato, a ricordo di tutti coloro che hanno sofferto e tuttora patiscono il rigore del carcere politico e dei campi di concentramento, un’idea inglese attuata durante la guerra contro i Boeri in Sudafrica, imitata dall’Italia in Libia e poi, su scala continentale, dal Terzo Reich tedesco, dall’Unione Sovietica e dalla Cina. Anch’essi attratti dal “teatrino della politica” sono apparsi il Claudio Comandini di Puttanieri d’Italia, una violenta bicromia rossa e nera che

aveva il sapore di certe opere di Arp; rievocante una delle polemiche più vivaci dell’attualità, il rapporto con gli immigrati; e La centralità della moschea di Livio Cinella, mentre Emy Venier con il suo Linguaggio bizantino alludeva al “politichese”, pretenzioso gergo di frasi fatte, non di rado prive di significato, che di solito smarrisce Il filo del discorso, come sembravano suggerire i lavori di Raffaele Pisano da Caserta, mentre sarebbe bello ritornare alle salde radici del genio greco e della concretezza romana seguendo il suggerimento de Le radici grecoromane di Luca Battiston. Per giungere a tali risultati sarebbe necessario che i popoli fossero più consapevoli dei proprî diritti e più disposti ad accettare dei doveri, una prospettiva negata però da Romano Buratti nel suo La folla, un quadro di grandi dimensioni, spoglio e innervato da una dominante linearità che da lunge rievocava il collettivismo di molti murales messicani ed emergente nelle tragedie individuali dipinte da Otto Dix. Roberto Garofano, uno dei pochi che hanno congiunto il desiderio di una pittura d’idee comune a tutti gli artisti in mostra ad un senso di evasione dalla realtà, ha dato un bel saggio di neosurrealismo alla Magritte con Boutique, a proposito del quale si potrebbe citare anche Hopper. Di grande impatto il quadro Senza titolo, anche perché sarebbe stato pleonastico, dipinto da Paolo Giacomo Rossi e raffigurante un grande occhio piangente e un naso dal quale cola sangue sulla folla sottostante. Gianfranco Cerruti ha ricordato la coprofilia dominante in certi ambienti televisivi piazzando un escremento al centro di una lussuosa cornice. Oppure voleva soltanto esprimere il concetto che il nostro è un mondo di belle apparenze al fondo del quale si trova soltanto la realtà della quotidiana defecazione? Maurizio Valente ha presentato un trittico dedicato alla Maddalena, mentre con sobria eloquenza Ines Ponzone ha dipinto in vertiginoso accostamento di bianco e di nero, Il buco nero. Un’altra opera di qualità era Stupro di Marco Pensavecchia, che alludeva forse all’abuso quotidiano subìto dalle

donne. Degna di elogio la resa pittorica, che rimandava alla mano dei grandi del Cinquecento, come ad esempio Giulio Romano. Un altro bel ritorno al passato è stato offerto dalla Natura morta di Renato Geido, di netta impronta secentesca. L’aretino Simone Arrigoni ha riportato i visitatori al genio di Mozart, mentre Mariella Relini ha esaltato l’icasticità del suo gesto pittorico in Corruzione e nel trittico dedicato al pollaio televisivo, due tele in cui da un lato una mano rapace simboleggiava con aperta metafora i molti italici scandali mentre dall’altro era rappresentato il diuturno e consueto pollaio che affligge gli spettatori dagli schermi delle emittenti pubbliche e private. Rosa Nasti ha scelto per tema un tragico passato evocandone le miserie per mezzo di un gruppo di suore smarrite dai fulmini dell’Inquisizione. Assai allusivo il suo titolo, I wont to live forever. Massimo Tarsio ha voluto rendere l’idea del viaggio ricorrendo ad un oggetto, una stuoia; mentre Enrico Coppola ha preferito dipingere La bandiera e Rosanna Ferro ha esposto un sarcastico Vota Antonio con aperta allusione al tribuno Di Pietro, il Cola di Rienzo dei tempi nostri. Sempre in termini politici parlava molto il Senza titolo di Lorenzo Briccarello, ironica allusione agli uomini di partito, abituati a sollecitare voti da elettori il cui capo sia molto encomiabilmente sepolto nella sabbia. Un disegno molto graffiante era quello offerto da Mario Aonzo in Mutazione organica. Damiano Ciferi ha invece scelto il tema di Lutero, forse a dire che sarebbe necessario un contestatore della sua grandezza per cambiare il mondo così come fece la Riforma, capeggiata dall’ex-agostiniano. Enrico Coppola ha voluto illustrare una caratteristica peculiare dell’Europa odierna, la multi etnicità. Lo ha fatto con Aquiloni in volo. Per scelta di temi, di materiali e di tecnica ha riportato indietro nel tempo la cuneese Romina Dogliani con due dipinti su supporto da lei stessa prodotto con metodo millenario e intitolati Bestiario celtico e Celtica. A tempi biblici ha condotto la Eva di Rocco Pellegrini: un volto di donna ed un serpente. Forse voleva suggerire che lo spirito di Eva continua ad


VillaCambiaso esistere, soprattutto nell’inquinato mondo della politica. Dalla pittura della New York Anni ’70 ha tratto le mosse Maria Teresa Eleuteri per i tre pezzi di Berlusconi icona pop, mentre una spietata Sonia Leinbacher ha deciso di presentare in versione arlecchinesca una tribuna politica. Cristina Mantisi, proseguendo nella sua intensa attività grafica, ha esposto una foto di Berlusconi con repliche alla Andy Wharol (Meno male che Silvio c’è) e una pesante satira contro Di Pietro, raffigurato a mo’ di giovenco, Vota Antonio. Anna Cerisola con le sue installazioni, in particolare con Libertà, ha alluso alla ricerca della felicità, simboleggiata dall’arancione, il colore dell’ottimismo buddhista, mentre Francesco Brescianini con Velate ha fatto allusione alle onnipresenti veline. Fuori porta è andato Michele D’Onofrio per fornire un’immagine fastosa de Il capitalismo cinese in difficile equilibrio fra passato e presente. Di grande maestria figurativa le due opere di Yuri Di Giampietro, che ha posto notevoli doti di realismo al servizio di una volontà blandamente quanto fermamente polemica. Maurizio Boscheri ha sfoderato un piglio di alta contestazione in Ringbull. Rita Pierangelo in una tela ricca di motivi ha gettato uno sguardo sulla prima e non rimpianta Repubblica con Grisaglie dorotee, una tela dalla quale traspaiono accenni alle quote rosa e al fascino dell’apparenza senza sostanza cui alludono simbolicamente la bella e lo scheletro. Di apprezzabile forza espressiva il gruppo di opere esposte da Davide De Agostini, capace di dominare l’assunto iconologico coniugando contenuto e forma, l’idea con la sua versione grafica. Era facile constatarlo in Utopia, Stanza 501, L’innocenza. Uno sprezzante sarcasmo informava Le anime belle e, sempre sullo stesso tema, L’anima bella per eccellenza, il Fabio Fazio televisivo, di Michele Cammarota. Altre opere interessanti erano quella di Caterina Massa (Le trottole) in polemica con i voltagabbana ed il trasformismo politico, tanto abituale da non scandalizzare più nessuno; e di Maurizio Boscheri, autore di un autentico Bidé di pacchiana quanto irridente ricchezza decorativa. Ultimo elemento d’interesse è stato quello che potremmo definire il “Teatrino dei sotterranei” nel senso

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Anno XI n°57 - Aprile 2010 che Daniela Olivieri, Irene Bottero e Gianni Bacino hanno proposto tre interessanti performances nelle cantine di Villa Cambiaso. Bacino ha inventato un aggiornamento della metempsicosi, applicandola alle anime di riserva per Batman. Irene Bottero ha presentato un’allegoria della politica ricorrendo ad una installazione e ad un monologo, che ci riserviamo di pubblicare. Una via di mezzo fra l’installazione, la performance e il tableau vivant è stato l’intervento della Olivieri, cui un caso di “appropriazionismo” (Ancora vestiti nuovi per l’Imperatore) ha permesso di «mostrare quanto il significato delle immagini dipenda dai contesti di fruizione ed esposizione». ispirato Nella fattispecie si trattava della statua di Canova Napoleone Bonaparte ritratto come Marte Pacificatore, rifiutata dal destinatario. Anche in questo caso l’autrice ha commentato il proprio lavoro con uno scritto che pubblicheremo.

Installazioni nelle cantine

Panoramiche delle sale mostre a Villa Cambiaso

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Arte GIOVANNA CRESCINI VILLA GROPPALLO VADO LIGURE

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abato 10 aprile Giovanna Crescini ha inaugurato una mostra dal titolo suggestivo, Concerto di primavera, nella sala esposizioni di Villa Gropallo a Vado Ligure. Con garbo e sagacia Maria Teresa Castellana ha rievocato la lunga milizia dell’artista, sottolineandone la capacità di rinnovarsi e di tessere il proprio rapporto con la tela in un dialogo serrato che evolve di tempo in tempo dando vita a sempre nuove stagioni creative. Costretta dall’esiguo spazio disponibile, l’artista ha selezionato con estrema cura le diciotto tele esposte, tutte nelle consuete dimensioni di 80x80. Autentica novità, un vaso in ceramica smaltata, primo frutto ufficiale di un impegno inedito che da poco è entrato a far parte dei suoi interessi. La disposizione delle tele, tutte alla stessa altezza, crea l’illusione di una sequenza di storie di sapore medievale, ma in luogo delle storie affrescate sulle pareti o dipinte in predella per narrare una vicenda vetero e neotestamentaria queste costituiscono il personale iter di un’anima schiva e pensosa. C’è, nel modo di far pittura della Crescini, una contraddizione di fondo, quella rappresentata dalla dialettica fra una personalità schiva e discreta e l’impulso irrefrenabile a rivelarsi, per quanto essa cerchi di dissimulare la dimensione intima che la mano va invece tratteggiando in una esperienza artistica piena di simboli, di assonanze interne, di motivi insistiti e di presenze costanti. Nel proprio personale ordine d’idee sull’universo Giovanna Crescini ha finito per delineare una realtà divisa in due parti, quella dove domina una natura arborea lussureggiante ed un mondo animale pervaso da incondito vitalismo e quella in cui si muove l’uomo, portatore di problemi, di dubbi e di tormenti esistenziali determinati dall’impossibilità di comunicare. Lo prova il fatto che i suoi lavori sono quasi sempre ispirati da una poetica bitematica: da un lato l’inconsapevole ma gioiosa energia dei suoi pesci, liberi di muoversi nella immensità dei mari, ma troppo spesso raffigurati immobili nella morte, segno che anche la libertà reca con sé il male. Abbiamo poi la vigoria delle

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Anno XI n°57 - Aprile 2010 felci, di infinite e delicate foglioline lanceolate e dei fiori di fantasia; frutto di una botanica alla Borges. Di contro si staglia la greve e luttuosa presenza di uomini, donne e bambini condannati dalla capacità di pensare al dubbio eterno che si nega a qualsivoglia soluzione. L’assenza di soluzioni determina l’inazione e questa precipita nella disperazione. Muti, estatici, pensosi, fissi in un immemoriale silenzio, che crea spazio ed eco al nulla. Qualche volta lo sgomento dei personaggi, spesso ridotti a puri simboli esistenziali per l’assenza di volto, sembra a malapena temperato da un gesto d’affetto che costituisce in realtà la semplice presa d’atto che l’altro esiste ma che con lui non si può però comunicare. Si tratta di una situazione disperata e priva di confortante speranza in un futuro diverso e migliore. Vien da pensare che si tratti di un aggiornamento del pensiero di Leibniz: questo in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili, ma soltanto per qualche rara e vertiginosa ronda di pesci che girano tuttavia in tondo senza meta e più ancòra, anzi soprattutto, per la delicata ed eterea, sublime bellezza delle piccole felci, dei rami, degli alberi, della jungla che, redolente di colori e di profumi, fiorisce per il solo privilegio di non essere chiamata a pensare. Le monadi di Leibniz pensano, è vero, ma ognuna per sé. A metterle in comunicazione tra loro provvede Dio, quella divinità attesa e sperata dai brani d’umanità che fanno gruppo e non comunità nelle tele di Giovanna Crescini. In quel deserto della speranza, in quelle genti che paiono superstiti di un recente diluvio universale ci sono anche dei gesti che le sottraggono alla inane fissità del pensiero: si tratta di pescatori dal gesto lento e distratto (Una grande pesca) oppure dei quattro avventori di una trattoria seduti ad una Tavola rossa sotto il pergolato. Uno di loro parla concitatamente, come forse faceva l’anarchico Malatesta nelle osterie di Firenze, mentre gli altri tre ascoltano distrattamente, persi in altri pensieri. Questa poetica fondata sulla non dichiarata confessione annulla nella tela la terza dimensione ed accentua la crescente angoscia del riguardante per lo spaesamento che nasce dal quadrato perfetto delle tele. Una vera ossessione. Eppure, se manca il senso della prospettiva quale sapienza geometrica risolta in termini lineari,

essa manifesta una sua oscura forza poderosa, che nasce dalla confluenza degli stilemi di una falsa naïve, dal ricorso al colore in funzione di massa secondo la lezione dei maestri del Cinquecento e dalla fissità ieratica, ma non sacramentale, di figure che si stagliano in sequenza come nei mosaici bizantini. In questo Paese delle meraviglie (otto figure colte di schiena e sovrastate da uno straordinario scorcio floreale), dove sembra, grottescamente, possibile un Ascolto di primavera (ma quale primavera? quella di alberi stecchiti e di vecchi cadenti?) e godere di un Tempo dell’amore, simboleggiato da un neonato al collo di una madre smarrita, è più realistico pensare ad Un’altra primavera (una donna raffigurata di fronte mentre un uomo in atteggiamento abbandonato, colto di profilo, si copre il volto con la mano) piuttosto che a Dolci melodie. Del resto, il Concerto di primavera si risolve nella metafisica meditazione di cinque personaggi. La verità è che occorre indossare la maschera del clown (I clowns) per nascondere la propria invincibile desolazione o celarsi dietro una maschera per entrare a far parte della consorteria de Le maschere che non ridono. E le stelle stanno ancora a guardare. _______________________ MEDIAEVA DI GIANNI BACINO CIRCOLO DEGLI ARTISTI ALBISSOLA MARINA

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l 5 aprile si è conclusa un bella mostra di Gianni Bacino, organizzata dal Circolo degli Artisti presso l’ormai storico Pozzo Garitta ad Albissola Marina. Si tratta di una sede espositiva assai interessante perché la sua angustia costringe gli artisti ad uno straordinario sforzo di selezione che garantisce ai visitatori il meglio di chi espone; ma anche perché varcarne la soglia vuol dire compiere un passo nella storia, qui vivente nel suo antichissimo pozzo e nelle possenti e spoglie mura che serrano il riguardante e le opere offerte alla sua attenzione in un abbraccio carico di seduzione. Qui si perde il senso del tempo e delle sue urgenze e in tale naufragio della certezza del luogo e dell’ora l’animo si dispone allo studio delle opere come in nessun altro àmbito. La figura artistica ed umana di Gianni


VillaCambiaso Bacino è talmente nota che ci esime dalla necessità di presentarlo. La sua mostra è stata molto interessante e anch’essa, a suo modo, storica. Infatti una serie di opere, quelle dedicate alle donne, era un congedo da un tema che aveva focalizzato il suo interesse per circa dieci anni, mentre la seconda ha rappresentato l’esordio di una nuova tecnica posta al servizio di una inedita sensibilità verso il colore. La serie di dieci collages è intitolata Burqa, l’abito islamico che nasconde il corpo ed il volto delle donne, eccetto gli occhi. Se è vero che la seduzione di uno sguardo può risultare assai più intensa dell’attrattiva esercitata da un bel corpo, è altrettanto vero che il burqa costituisce per il modo di pensare occidentale uno strumento di forte umiliazione per chi sia costretto ad indossarlo essendo esso un segno di sudditanza per noi inconcepibile. Ma il pensiero di Bacino va oltre tale dato, banale nella sua quotidianità e per essere al centro di un’annosa diatriba fra islamici ed occidentali, ed attinge un livello più radicale e più alto. D’accordo su quanto di criticabile c’è in tale pratica -egli dice-, ma siamo certi che anche alle donne occidentali non siano riservate, sia pure sotto altre forme, uguali offese alla loro personalità? Molte donne hanno raggiunto posizioni importanti nella politica e nell’industria, altre si sono affermate in televisione e nelle professioni liberali, persino nella direzione d’orchestra, un mondo sino a pochi anni orsono loro precluso, e in genere dovunque esista una civiltà dei modi le donne sono rispettate. Ciò non toglie che la pubblicità spesso impieghi la bellezza femminile come strumento di vendita, che con uguale frequenza le donne siano oggetto di censurabili interessi nei luoghi di lavoro e che in altri casi ancòra esse siano costrette a subire indebiti condizionamenti dovuti al loro sesso. Lo spirito di “Cavaliere bianco” che si cela nell’animo di Bacino da anni insorge contro questo stato di cose e gli ha ispirato la serie di collages giunti con la mostra appena conclusa alla loro ultima celebrazione pubblica. Rispetto ad altre precedenti occasioni le opere presentare a Pozzo Garitta

Anno XI n°57 - Aprile 2010 offrono la novità, almeno in alcuni pezzi, di una maggior attenzione al decoro e soprattutto di aver sovrapposto ai ritagli di giornale misteriose presenze fotografiche di un volto di donna velato capace si accrescerne l’interesse ed insieme di renderne più evidente il suo valore simbolico. La denuncia che, con discrezione, emerge da questi collages richiede una lettura attenta degli articoli ritagliati da quotidiani di tutto il mondo per sottolineare che il problema di cui sono testimoni è universale. Non sono belli perché l’autore tali non li ha voluti preferendo evitare tanto la categoria estetica che quella del sentimento per rivolgersi alla ragione dei visitatori. Si deve convenire che ogni cedimento al bello e al patetico

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generis, aperto a tutte le risorse della tecnica per realizzare lavori di carattere figurativo rinunciando ai colori e ai pennelli. Gli undici quadri esposti nella mostra albisolese sono stati infatti ottenuti partendo da fotografie che una complessa tecnica ha trasformato in opere pittoriche. Per quanto tale processo si sia avvalso di mezzi sofisticati e benché l’artista sia stato in grado di ottenere ciò che voleva fare, esse recano anche il fascino di un certo grado di imprevedibilità, pari a quello esistente quando si sottopone all’alea del fuoco gli smalti della ceramica. Il procedimento per ottenere i pezzi della nuova frontiera aperta da Bacino consiste nell’applicazione di una sottile pellicola di nylon usato su una

Dalla mostra artistica collettiva “Il Teatrino della Politica”

avrebbe potuto compromettere il loro valore di testimoni del tempo e di un grave disagio della società attuale. Con i Burqa abbiamo rinnovato la conoscenza di un pittore, termine che come si vedrà non definisce con sufficiente esattezza l’opera di Bacino; mentre con le ideoimmagini la mostra “Mediaeva”, un plurale usato nel desiderio di avvertire che il medioevo al femminile non è un’esclusiva islamica, ha presentato una inedita dimensione dell’artista che, nella sua avida, incoercibile, sete di novità e di sperimentalismo ha voluto affiancare alle prestazioni e alle installazioni che lo hanno reso famoso nuovi orizzonti altrettanto interessanti ma meno effimeri. Le ideoimmagini sono infatti destinate a durare nel tempo e a rappresentare un lascito per il futuro. In fondo l’oraziano desiderio di creare opere «più durature del bronzo» alberga nel cuore di tutti gli artisti. Bacino lo ha affrontato alla sua maniera, quella di un pittore sui

foto a colori per poi sottoporla all’azione di un polarizzatore fisso e disposto in posizione perpendicolare alla fonte di luce mentre l’operatore procede alla trasformazione del soggetto originale per mezzo di un filtro polarizzato rotante. Con il variare dei tempi di esposizione il pittore-fotografo ottiene risultati che avrebbero fatto la felicità di un alchimista. Bacino ha esordito con due serie di lavori, operando su un unico soggetto costituito da un volto femminile. Si tratta naturalmente di pezzi unici perché il minimo grado di casualità di cui si è parlato elimina la possibilità di replica. La prima sottoserie è quella che, per una minor esposizione all’effetto polarizzante, consente di ravvisare senza difficoltà i tratti del volto fotografato iscrivendoli in un’aureola che sfuma la loro corporeità in una meravigliosa vaghezza di opacità policromatica; la seconda procede verso le mete del surreale e soprattutto dell’astratto eliminando ogni


Informazioni

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memoria curvilinea in favore di violente segmentazioni che impongono una dialettica di linee rette ad andamento ora parallelo ora bisecante che agiscono con forte impatto sul riguardante, il quale è richiesto di penetrare in un mondo di effetti assai particolari per trovare il filo d’Arianna che gli permetta di comprendere di volta in volta fino a che punto si è spinto l’artista nel celare

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Anno XI n°57 - Aprile 2010 il tratto naturalistico sotto una costruzione a carattere astratto. Ma non basta perché chi si sofferma di fronte a questi quadri dovrà vincere lo straordinario gioco di un innaturale arcobaleno dovuto a tinte che valgono non solo per la loro cromia dominante ma per il fatto di contenere nella loro densa materialità anche le tracce e le possibilità d’infiniti altri colori. L’effetto luce si traduce insomma in

colori densi ed opachi, che valgono non solo per quel che immediatamente appaiono ma anche per tutte le implicite possibilità cromatiche in essi potenzialmente presenti. Con questi lavori, un semplice quanto importante prologo a ciò che verrà, Bacino ha dimostrato di essere un artista la cui fantasia precede la mano e che sta a proprio agio nella pittura senza usare pennelli.

VILLA CAMBIASO: INFORMAZIONI Pubblichiamo notizie, interventi, relazioni, inviati alla redazione INTERVENTO DI FAUSTO BENVENUTO SULLA “MOSTRA ARTISTICA NAZIONALE DI PITTURA SCULTURA E GRAFICA” TENUTA A VILLA CAMBIASO

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a chiuso i battenti a Villa Cambiaso la mostra istruita dal direttore del “Cenacolo Degli Artisti” Fausto Benvenuto sul rapporto tra arte e politica, con la presenza della simpatica madrina Antonella Elia e con il prestigioso intervento del celebre critico d’arte Prof. Vittorio Sgarbi, vulcanico come al solito. Una mostra che ancora una volta ha messo in discussione la tautologia che predica l’assurda proposizione “L’arte per l’arte”, come se l’uomo e quindi anche l’artista che agisce per riproduzione naturale come animale sociale potesse agire in regime di separatezza rispetto alla polis, alla civitas, dedicandosi esclusivamente all’arte. L’uomo è una nullità, o meglio, è un involucro vuoto fuori dal contesto sociale e naturale che gli compete. Di conseguenza la sua arte sarebbe destinata ad estinguersi. L’uomo cioè non ha capienza e possibilità di sopravvivenza senza un gruppo sociale con il quale interagire. L’esemplare eremita è un’isola sola come tutti gli uomini, ma a differenza degli altri uomini, è un’isola arida e deserta. Solo gli stolti possono consapevolmente usare una proposizione dove il soggetto Arte coincida con il predicato stesso, identico di Arte. È una proposizione vacua, senza rigore e senza significato. Estrema come un’arte dettata o troppo politicizzata. Come diceva Aristotele l’uomo è naturalmente un animale politico, ogni artista è un politico e ogni scelta,

anche la più anarchica e intima, è eminentemente politica. L’uomo, l’artista è combattuto dalla sua stessa passione, dal suo stesso fuoco, per questo anche la categoria filosofica dell’artista è la guerra interiore, disvelata dall’estetica della Bellezza.

Foto tratte dalla mostra “Il Teatrino della Politica”

INTERVENTO “LE INTOLLERANZE ALIMENTARI” TENUTO IN UNA CONFERENZA A VILLA CAMBIASO DAL DOTTOR CLAUDIO SANTI, PSICOTERAPEUTA E CONSULENTE TECNICO DEL TRIBUNALE DI SAVONA

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e ne sente parlare sempre di più, ma la maggior parte delle persone (e forse anche dei medici) non sembra averne un’idea chiara e soprattutto non sa come evitarne gli inconvenienti. Le intolleranze sono allergie di tipo ritardato, mentre altre si manifestano con effetto immediato. I due tipi si differenziano in funzione del tempo di latenza e degli organi interessati. Le allergie di tipo immediato si manifestano abbastanza rapidamente dopo il contatto con la sostanza o l’alimento sensibilizzante, mentre i sintomi provocati dalle allergie di tipo ritardato compaiono anche dopo diversi giorni rendendo così difficile identificarne la causa scatenante. Le prime si manifestano in primo luogo attraverso la cute (ad esempio orticaria o un semplice prurito) e l’apparato respiratorio (riniti, asma, tosse), mentre le altre, intolleranze comprese, oltre a questi colpiscono molti altri distretti corporei, quali ad esempio le mucose in genere (orale, intestinale, vaginale, vescicale), le cellule ematiche (globuli rossi e bianchi), vasi sanguigni, apparato osteoarticolare, sistema nervoso oltre al possibile coinvolgimento del sistema metabolico. Un’altra peculiarità delle allergie di tipo ritardato è il ruolo permissivo e facilitante nei confronti di infezioni virali quali ad esempio l’herpes o l’infezione da funghi come la candida. A conti fatti, le intolleranze alimentari provocano da sole almeno il 50% dei disturbi più comuni che inducono la gente a consultare il medico curante.


VillaCambiaso Per quanto siano tanto diffuse non è facile diagnosticarle con esattezza e curarle con efficacia. Il medico che pratica la medicina convenzionale può infatti ricorrere ad un certo numero di tests, come ad esempio i cutireattivi, o ad esami si laboratorio (come PRIST, RAST, dosaggio dei granulociti eosinofili) per diagnosticare un’allergia, ma il suo còmpito è semplice e certo solo quando si tratta di allergie di tipo immediato, mentre il più lungo tempo di latenza delle allergie di tipo ritardato rende difficile o addirittura impossibile identificarle ricorrendo a tali strategie diagnostiche. Esistono tuttavia altri esami atti ad identificarle. Si tratta di metodi impiegati dalla medicina non convenzionale, quella che un tempo era definita medicina alternativa: questi tests hanno consentito di accumulare molta esperienza in materia, anche se in genere vengono rifiutati dalla medicina ufficiale. Ad onta di tale ostacolo, il cumulo di risultati positivi conseguiti in molti anni di lavoro hanno indotto un crescente numero di pazienti a tentare questa strada per risolvere i loro problemi. Si tratta quindi di un tema assai interessante e che merita attenzione sia per la crescente diffusione di questi disturbi che per il rilevante numero di persone affrancate da tali malesseri per merito di metodi innovativi. _______________________ INTERVENTO A COMMENTO DI MARIA TERESA CASTELLANA SULLA MOSTRA DI GIOVANNA CRESCINI “CONCERTO DI PRIMAVERA”

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e gli strumenti sono persone e la musica è silenzio e il golfo mistico dell’orchestra è una stagione, ci troviamo al Concerto di Primavera di Giovanna Crescini. Il Concerto è una mostra di quadri perché la Crescini è una pittrice. Ma noi, pubblico, siamo qui invitati non solo a guardare. È l’ascolto che l’artista ci chiede. Uomini e donne disposti sulle grandi tele esprimono atteggiamenti di riflessione, di intesa modulata sul dialogo degli sguardi. I toni squillanti, i timbri stanno nei colori accesi che vestono le figure riunite a coppie e a gruppi, eppure la corrente forte che passa da un personaggio all’altro, esce dalla tela e ci coinvolge, è una sfumatura impalpabile. Dove la materia pulsa di cromatismi acuti,

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Anno XI n°57 - Aprile 2010 l’aura che permea ogni composizione si dilata in sonorità puramente interiori. Ma quanta energia emana la levità del pensiero che trae linfa vitale da una stagione nuova! La Primavera di Giovanna Crescini esprime coerenza, lavoro, volontà, vigore, ossia tutti i significati delle tante stagioni del suo lungo percorso artistico riproposti con l’entusiasmo del ri/fiorire di note emozionali. La piena maturità della pittrice diventa un primo vere del pensiero, ossia serena consapevolezza di valori essenziali. In un mondo assordante di finzioni ciò che Giovanna Crescini ci porge è uno spartito di vita raro per gli occhi della mente. _______________________ C’È QUALCOSA DI NUOVO, ANZI D’ANTICO, NELLA BIBLIOTECA CIVICA DI PIETRA LIGURE

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l nuovo consiste nell’offerta al pubblico di un inedito servizio, quello di una discoteca, mentre l’antico è rappresentato dalla musica, una scelta di autori e composizioni che inizia dal canto gregoriano e giunge agli autori contemporanei. Un primo lotto di CD copre con opportune scelte l’arco di tempo che inizia dall’età barocca e si conclude per ora con il secondo Ottocento. Gli interessati potranno dapprima prendere atto del valore dell’iniziativa, una delle tante che negli anni la Direttrice della Biblioteca, la dottoressa Rita Di Somma, ha avviato con passione e successo, attraverso una serie d’incontri che saranno tenuti da Flavio Menardi Noguera e da Aldo Maria Pero allo scopo di presentare questa notevole “offerta musicale”, che così definiamo prendendo a prestito il titolo di una delle più importanti creazioni di Johann Sebastian Bach. Gli interessati potranno poi ricorrere al prestito dei dischi in modo da ascoltare e far apprezzare a loro agio le musiche preferite. Per il momento sono disponibili non solo i massimi capolavori orchestrali e sinfonico-corali, ma anche molte altre opere di grande interesse e presto si aggiungerà una vasta selezione di opere liriche. Si inizia con Johann Sebastian Bach (1685-1750), capostipite di una folta schiera di musicisti, che s’impegnò in tutti i generi allora praticati con la sola eccezione dell’opera. Nel suo vasto catalogo spiccano il gruppo imponente delle oltre 200 Cantate

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sacre e profane, la Messa in si minore; le tre Passioni dedicate a Giovanni, Matteo e Marco, i tre Oratori per la Pasqua, il Natale e l’Ascensione; le quattro Suites orchestrali, le Sonate per diversi strumenti, i molti Concerti per violino o clavicembalo ed orchestra, l’Offerta musicale, le Variazioni Goldberg, i sei Concerti brandeburghesi, l’Arte della Fuga e il Clavicembalo ben temperato, un’opera grandiosa ed enigmatica, oltre ad un folto repertorio di pezzi per organo. Nato nello stesso anno di Bach e morto a Londra nel 1759, Georg Friedrich Händel ha legato alla posterità una produzione per quantità e qualità paragonabile a quella del suo contemporaneo, a differenza del quale riservò grande interesse al teatro sino a diventare, per quanto con risultati fallimentari, impresario. Compose infatti quaranta opere nelle quali portò a suprema sintesi le diverse anime dell’opera italiana, con particolare riferimento ad Alessandro Scarlatti. Händel fu inoltre un autentico maestro dell’Oratorio creando la tradizione inglese di questo importante genere, che raggiunse la propria vetta con il possente Messiah. Altrettanto importanti sono le oltre cento Cantate, le Passioni e gli Anthems celebrativi. Di grande rilievo sono anche i Concerti per organo, i Concerti grossi e la vasta produzione di musica strumentale da camera e i lavori per clavicembalo. Il famoso Concerto per i Reali fuochi d’artificio e la Water Music fanno parte della nuova discoteca insieme ad opere di Vivaldi, Telemann, Mozart, Haydn, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Mendelssohn, Brahms, Cajkovskij, Dvorak e di molti altri compositori in modo da offrire una prima informazione, tenuto conto che è disponibile anche un’ottima Storia della Musica. Col tempo il fondo musicale sarà in grado di corrispondere ad esigenze che superino la soglia della informazione di base e consentano esplorazioni sempre più sofisticate. _______________________ VETRINE D’ARTISTA CASSA DI RISPARMIO DI SAVONA

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a padovana Paola Failla si è diplomata presso l’Istituto d’Arte “P. Selvatico” della sua città ed ha successivamente frequentato un corso di pittura tenuto da Emilio Vedova


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all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna nell’Istituto che l’aveva vista studentessa e si dedica anche all’attività creativa. Negli ultimi anni ha indagato soprattutto sulle possibilità espressive delle tecniche pittoriche e della calligrafia quali mezzi di comunicazione. Ha iniziato ad esporre nel 1984 partecipando a numerose collettive. Le sono state inoltre dedicate personali in Italia e all’estero, tanto è vero che attualmente si divide tra Padova e Parigi, la cui Mairie le ha offerto nel 2008 una personale. Di sé l’artista dice: «Sorprende anche me stessa la capacità che ho di isolarmi dal mondo circostante anche solo per qualche attimo o per lunghi momenti in cui creo una barriera tra me e il caos della vita, in cui annullo ogni rumore, ogni suono. Creo un silenzio assoluto e mi pongo in ascolto……. gli oggetti parlano ora un linguaggio nuovo, si deformano, perdono il significato materiale e concreto, evocano paesaggi surreali, raccontano di luoghi inesplorati, di terre lontane, di scritture mai decifrate». La calligrafia, ossia la scrittura usata come strumento di comunicazione

Anno XI n°57 - Aprile 2010 non soggettiva e più ancòra oggettiva le consente di recuperare un proprio ubi consistam in un mondo sempre più ampio e senza confini. Nelle sue tele colori accesi e caldi fanno da scenografico sfondo al mondo sensibile, ciò che le permette di coinvolgere l’osservatore sia per la profondità del messaggio proposto che per la spontanea bellezza dei lavori. La Failla ha deciso di aderire all’Associazione “Aiolfi” di Savona dopo aver compreso la finalità che essa persegue, ovvero di ricorrere all’arte e alla cultura quali fattori di comunione spirituale esercitati nella più completa libertà personale, tenendo conto delle radici che ognuno di noi ha nei confronti della terra in cui è nato o in cui vive. Con vivo apprezzamento presentiamo quindi per la prima volta a Savona alcuni lavori di Paola Failla, una voce contemporanea limpida, originale e, per certi aspetti, emozionante. _______________________ VETRINA D’ARTISTA CASSA DI RISPARMIO DI SAVONA DEDICATA A LUIGI PRETIN

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n occasione di una personale del 2007 tenuta a Villa Cambiaso si

VillaCambiaso parlava di Pretin come di un artista l a c u i ispirazione attinge una sorta di “realismo fantastico” mentre le sue opere affondano, come ha osservato Marco Pennone, estensore della nota che accompagnava il dépliant di presentazione, le loro radici «nella tradizione figurativa del Settecento veneto» del quale l’artista, affermato ormai anche fuor d’Italia, «recepisce la rappresentazione del reale nei termini di un linguaggio accurato e raffinato». Il segno predominante di Pretin è dato dai suoi cieli, che costituiscono l’ultimo orizzonte di una pittura giocata sulla illusione, in primo luogo quella di conferire l’impressione d’infinito alla ristretta misura dei suoi lavori, che si slargano con moto incontenibile verso l’alto costringendo il primo piano ad ardui giochi prospettici per acquisire una loro dimensione. Ma ancòra più significativa è la spiritualità che si cela nel drammatico dialogo fra cielo e terra «a miracol mostrare».

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Circolo Scientifico-Culturale - Amici di Lorenzo Spotorno - Sede operativa: Villa Cambiaso

l Circolo Agape è nato nel 2008 da un’idea di Stefania Spotorno desiderosa d’inserirsi nel contesto culturale savonese con proposte interessanti e per quanto possibile inedite. Essere del tutto originali è quasi impossibile in una città nella quale le associazioni culturali pullulano in ogni dove ma, tenuto conto del fatto che il concetto discriminante resta pur sempre quello della qualità, proprio su questo fattore ha puntato la fondatrice. Dimostrarlo è facile: basta riandare alle iniziative realizzate in poco tempo ad onta dei gravi problemi famigliari che hanno frenato la sua attività. Si può iniziare dall’anno di fondazione, quando il Circolo, che aveva allora sede in Via Paleocapa, esordì con un ciclo di proiezioni che affrontava un tema di scottante interesse, Il cinema e la prima Repubblica. Fu in quell’occasione offerto ad un

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cientifico - Cul

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pubblico attento e a s s a i partecipe l’occasio ne non solo di assistere a dieci film che hanno caratteriz zato il volto artistico e politico del nostro Paese, ma di consentire dibattiti in altre occasioni impossibili. Ricordiamo i titoli delle pellicole per far comprendere il valore dell’iniziativa ed un suo pregio non secondario come quello della massima equanimità non solo nella scelta ma ancor più nella presentazione dei vari spettacoli, proposti senza alcuna sottolineatura politica ma solo in quanto documenti di un recente passato. Dal 6 ottobre al 15 dicembre 2008 si susseguirono infatti Roma città aperta di Rossellini (1945, che la promotrice chiosò come documento «Dal fascismo all’antifascismo»), Una giornata particolare di Scola (1977 «Il regime»), Roma di Fellini (1972, «La storia più intima del nostro Cir col

COME È NATA AGAPE

Paese prima, dopo e durante la seconda guerra mondiale»), Le mani sulla città di Rosi (1963, «Le leggi truffa»), Uccellacci e uccellini di Pasolini (1966, «Le verità scomode»), Zabriskie Point di Antonioni (1976, «La contestazione del ’68»), Padre padrone dei fratelli Taviani (1972, «L’autoritarismo»), C’eravamo tanto amati di Scola (1974, «La storia incrociata di tre ex-partigiani»), L’albero degli zoccoli di Olmi (1978, «Un proletariato senza classe»), Il caso Moro di Ferrara (1986, «Dal pragmatismo di Stato alla prassi armata»). Sempre negli stessi mesi, e qui siamo costretti a scegliere, il Circolo presentò Un pomeriggio in noir, una conferenza su questa particolare letteratura d’evasione spesso non priva di notevole acume nella costruzione delle storie narrate; i romanzi Il Logo di Adriana Masieri e Soluzione finale di Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini.


VillaCambiaso Due esperti, Roberto Oddone e Massimo Vigone furono poi invitati ad illustrare in tre conferenze I guerrieri di terracotta della tomba di Quin Shihuong. Il primo anno di attività si concluse con un’iniziativa che risultò forse il momento più importante dell’intera stagione: il corso su La psicanalisi nella comunicazione, tenuto da Maria Piera Lepori con l’obiettivo di approfondire le chiavi del comportamento umano al fine di migliorare il nostro equilibrio interiore. In dieci appuntamenti con cadenza settimanale furono presi in esame e discussi con il folto pubblico presente argomenti quali il linguaggio inconscio, il funzionamento del cervello, la mente e le programmazioni inconsce, la comunicazione non verbale, le frequenze vibrazionali, i nuclei profondi del sé, così come l’intensificazione del sé e la creazione di una sua qualità, e infine la comunicazione con i bambini e i ragazzi secondo il metodo elaborato da Thomas Gordon. Durante gran parte del 2009 gravi problemi di famiglia hanno, come si è detto, impedito a Stefania Spotorno di prodigarsi come in precedenza, ma nel novembre è iniziata una vigorosa ripresa dell’attività, caratterizzata da alcuni ambiziosi programmi che sono proseguiti nel 2010 mentre alcuni sono ancòra in corso. In collegamento con le lezioni della Dott.ssa Lepori venne organizzata, tra fine gennaio e gli ultimi giorni di aprile, la proiezione di tredici pellicole sotto il titolo complessivo di Alfred Hitchcok e la psicanalisi, da Rebecca la prima moglie a Topaz. In realtà il ciclo ebbe inizio con un film del 1938, La signora scompare, mentre Rebecca è del 1940. Non sono mancati nella rassegna titoli famosi come Il sospetto, Il caso Paradine, Il ladro, Intrigo internazionale e Gli uccelli. Altrettanto impegnativo è risultato il non ancòra concluso Seminario Esistere come donna, che ha preso le mosse nel dicembre 2009 e che proseguirà nel 2010 con un programma di grande interesse.. Ecco il titolo di alcuni incontri: - L’esistenza mutilata (l’impiccagione delle streghe, la cintura di castità, ecc.) - La pastorella d’Arcadia si ribella: il Settecento femminista italiano - Aspetti della condizione femminile nell’Inghilterra dell’età industriale - Le donne francesi prendono la parola - Oltre le pareti dell’esclusione: i

Anno XI n°57 - Aprile 2010 salotti politico-letterari - La sottomissione legalizzata: la donna e i codici - Tessitrici dell’unità d’Italia escluse dalla storia ufficiale del Risorgimento - La voce della donna in Francia prima di Marx - Le donne e la Comune di Parigi - La contadina italiana dall’Unità alla Prima guerra mondiale - Se otto ore vi sembrano poche… - Il femminismo cristiano - La nascita della stampa al femminile tra Otto e Novecento - Le protagoniste del femminismo europeo - Mogli e madri per la patria - L’epopea delle suffragette - Guerra alla guerra - La Resistenza sulle spalle - 1945-64. Le donne in cammino verso un nuovo progetto di società. L’accordo di collaborazione avvenuto di recente fra il Circolo Agape e la Accademia di Musica, Arti, Lettere, Storia e Filosofia fondata presso Villa Cambiaso consentirà di estendere l’impegno culturale continuando a coltivare le rispettive vocazioni ma trovando anche molte occasioni di convergenza. Accanto, per esempio, ad una Storia del cinema italiano sta per essere avviata una serie d’incontri dedicati a Cinema e storia e Cinema e musica. per meglio qualificare l’offerta culturale accanto ad alcune interessanti forme di divertimento, come ad esempio visitare mostre e musei o assistere a rappresentazioni teatrali.. _______________________ RECENSIONI A CURA DI ALDO MARIA PERO GAMBE CHIE VOLEVANO CORRERE DI STEFANIA SPOTORNO

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uesto libro non è una biografia di Lorenzo Spotorno, il grande chirurgo recentemente scomparso, e neppure un semplice ricordo condotto sul filo del sentimento da parte della sorella. Si tratta della sintesi fra tali esigenze, una sintesi umorale, talora commossa e talaltra polemica, come ha suggerito la vita contrastata del personaggio e il carattere focoso di Stefania, la sorella che rievoca, unica sopravvissuta, le vicende di un nucleo famigliare segnato dalla grandezza e dalla tragedia. Tratteggiato sullo sfondo il ricordo del padre e del nonno, Stefania dedica Gambe che volevano correre, un titolo molto suggestivo, alle migliaia di

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pazienti afflitti da gravi problemi locomotorî che il fratello “mago” mise in condizioni non solo di camminare ma di correre, alla madre, una sorta di Niobe savonese, a Giacomino, lo sfortunato fratello minore, e a Renzo, avido di velocità e di primato, amato dalle donne e detestato da molti uomini, schivo e quasi scostante, di poche parole e di molti fatti, baciato dal successo e dalla ricchezza e da una fama che aveva il mondo per confine, tutte cose che non lasciano indifferenti i mediocri. Ma delle conseguenze del suo eccezionale talento Renzo, come lo chiamavano i pochi amici, parve non rendersi mai conto e proseguì per la sua strada decidendo di dedicarsi alla politica proprio nel momento in cui i più ne fuggivano e ad illudersi di poter conferire razionalità ad un mondo per intima natura basato sul sogno, sui giochi di prestigio e sulla menzogna. Ne uscì piagato e sconfitto, una delle prime vittime dell’uso distorto della giustizia, confortato solo dall’affetto dei suoi e dall’altissima stima che il mondo intero continuava a tributare al suo genio di chirurgo d’avanguardia. Il libro alterna capitoli che narrano episodicamente momenti della vita “ufficiale” del fratello ad altri che contengono testimonianze sulla sua opera e sulle vicende giudiziarie che aduggiarono per lunghi anni la sua vita, tanto che Stefania arriva ad ipotizzare che il male oscuro capace di piegare la sua prorompente energia vitale sia stato originato dalla tremenda tensione accumulata durante quel periodo. Apre il volume, elegante e ben illustrato, un’affettuosa e commossa Lettera a Renzo, che costituisce anche una dichiarazione d’intenti: Mi limiterò a far da raccordo a testimonianze, interviste, articoli di giornale, rivelando alcuni momenti della tua vita, chiusi a doppia mandata dentro di me, momenti che appartengono solo a noi due. Lorenzo Spotorno fu uno dei tanti savonesi che si avviarono sulle strade del mondo avendo fisso nel cuore l’insegnamento dei Padri Scolopi. Nel 1965 il primo segno del destino, la laurea in medicina e chirurgia, cui seguì nel 1969 la specializzazione in ortopedia e traumatologia e prima ancòra l’esordio della vita di corsia dapprima nell’Ospedale di Ceva e poi al Santa Corona di Pietra Ligure, dove si svolse parte rilevante della sua carriera, dal febbraio 1967 al maggio


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Il Casone di Pontinvrea della famiglia Spotorno 1969 in qualità di assistente incaricato di Ortopedia; dal giugno 1969 al maggio 1975 come assistente di ruolo; da quella data al giugno 1980 quale aiuto di ruolo. Nel 1981 divenne primario della Divisione di chirurgia protesica all’anca; sei anni dopo, nel 1987, Capo Dipartimento di Ortopedia e all’inizio del 2001 Coordinatore scientifico del Dipartimento di chirurgia e traumatologia. Dal gennaio 2001 al 2009 diresse la Divisione protesica dell’Istituto Humanitas di Rozzano (MI). Da anni aveva inoltre iniziato ad operare in altre città italiane ed in molte parti del mondo, mentre i suoi interventi si erano per così dire internazionalizzati in séguito alla costante presenza dei numerosi medici, anche illustri, che venivano in Italia ad apprendere le sue tecniche e a conoscere le sue protesi, con diuturna fatica incessantemente perfezionate per consentire ai suoi pazienti di “correre” senza soffrire. Il desiderio di ridurre al minimo la sofferenza dei malati in anni in cui tale preoccupazione non sfiorava che pochi clinici rappresenta forse l’aspetto più nobile del suo modo d’intendere il proprio lavoro. Come ha scritto il Dott. Stefano Quaini, Consigliere dell’Ordine dei medici savonesi, in memoriam di Lorenzo Spotorno, questi era un professionista che, grazie alla sua grande intelligenza, ha saputo trovare nuove strade per l’ortopedia italiana, ma la genialità dell’opera sua ha avuto una grande considerazione

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fuori dai confini italiani, consentendogli ben presto di diventare un punto di riferimento internazionale per gli ortopedici ed un opinion leader indiscusso in ogni assise congressuale in cui intervenisse. È possibile che proprio la fama universale di cui godeva ed il denaro, che ne costituiva il logico corollario, abbiano ispirato l’accusa che Spotorno speculasse sulla lunga lista d’attesa degli operandi per indurre molti di loro a rinunciare all’assistenza pubblica in favore di cliniche private, summa iniuria da perseguire con ogni folgore di legge. Uno dei più grandi ortopedici del mondo fu così gettato in carcere per colpe di cui gli stessi giudici che avevano firmato il mandato di cattura dovettero ammettere, dopo una meditazione tanto meticolosa da durare sei anni, l’insussistenza, come si legge nel testo della sentenza di piena assoluzione. Intanto, però, un destino era stato brutalmente modificato. Quella sofferenza che Spotorno si era sempre prefisso di evitare ai suoi pazienti gli fu inflitta, dentro e fuori dal tribunale, senza risparmio e senza scuse riparatrici. Per evitare tutto ciò sarebbe bastato che i giudici avessero fatto il ragionamento di Luciano Locci, il quale su “Trucioli savonesi”, il 22 febbraio 2009, ha scritto che si sarebbe dovuto considerare come all’epoca dello scandalo Spotorno aveva «tante richieste di interventi a Milano, in Svizzera e in altre parti del

mondo» da non aver affatto «bisogno di gonfiare le liste d’attesa per tornaconto personale», operazione che comportava il rischio di ricorrere a complicità che avrebbero potuto dar luogo a ricatti e a delazioni. Così com’era iniziato, il libro si conclude con parole d’amore: Anche tu, Renzo [come il fratello Giacomino], sei mancato in una tiepida giornata di quasi primavera. Da tre giorni il tuo rene superstite [dopo che in giovane età gli era stato asportato l’altro in séguito ad una diagnosi errata, ironia del destino per un grande medico] aveva cessato la sua normale funzione ed eri perfettamente cosciente di ciò che sarebbe accaduto…Hai resistito come un leone sino all’ultimo, affrontando la morte come avevi affrontato le difficoltà della vita. Lacrime lente dai tuoi occhi sbarrati a cercare la luce. Ti sei fermato come in attesa, un fremito lungo e tutto è finito. Arrivederci Renzo, presto ci incontreremo, tu, io, Giacomino, per rinchiuderci nel nostro bozzolo e forse diventeremo farfalle. Stefania Spotorno, “Gambe che volevano correre”, Cosseria (SV), Grafiche F.lli Spirito 2009, ppp.144, 12 foto in b/n e 23 a colori, Euro 17,00 _______________________ RIFLESSIONI LETTERARIE UN DON RODRIGO IN CASA MANZONI A cura di Giovanni Galliano Albertini, Università di Milano

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el 1990 Gian Luigi Daccò, direttore dei Musei civici di Lecco, pubblicò un articolo che non ebbe la dovuta attenzione benché delineasse una nuova prospettiva circa l’esistenza o meno di elementi “manzoniani” nella redazione de I promessi sposi. La ricerca di Daccò permise di appurare che il grande scrittore aveva messo mano all’archivio di famiglia e che nelle carte secentesche consultate aveva trovato spunti utilizzati in qualche scena e per delineare i tratti di alcuni personaggi del romanzo. Occorre premettere che i Manzoni furono per molto tempo la più ricca e


VillaCambiaso potente famiglia del territorio di Lecco e che tale preminenza si era tradotta in non pochi casi di prepotenza. Tra i diretti ascendenti di Alessandro va ricordato soprattutto Giacomo Maria, vissuto fra il 1576 e il 1642, il quale, come altri nobili lecchesi si era dedicato all’estrazione e alla successiva lavorazione del ferro in una situazione di monopolio nel Ducato di Milano. Allora nelle aziende del Milanese si producevano molte armi esportate in vari paesi europei. Quasi tutto il minerale proveniva dalla Valsassina per essere lavorato in centinaia di altiforni ed officine poste lungo il corso dei torrenti Pioverna e Gerenzone, dai quali veniva attinta l’acqua necessaria alle lavorazioni. La vocazione siderurgica di Milano divenne particolarmente importante durante il periodo della dominazione spagnola, allorché le richieste di canne d’archibugio e di proiettili divenne tale da essere soddisfatta con crescenti difficoltà. In quel periodo emerse la figura di Giacomo Maria Manzoni, capo del suo casato proprio negli anni in cui si finge avvenuta la storia narrata nei Promessi Sposi. Era un signorotto potente che preferì essere temuto piuttosto che rispettato e che impose un ferreo controllo sul territorio per mezzo di un folto manipolo di “bravi”, solerti operai al servizio di veri e propri imprenditori del delitto. Fu, la sua, una vita violenta, che lo portò anche di fronte alla Corte di Giustizia. Negli atti processuali che rievocano le sue male imprese condotte in collaborazione col minor fratello Angelo Maria che, forse essendosi fatto carico di colpe non sue, venne «capitalmente bandito» dal Ducato, si affollano molti particolari e figure che è facile individuare nelle pagine del romanzo, come ad esempio la peste del 1630 con il suo tristo corteggio di untori e monatti, gli avvocati, i piccoli signori locali la cui albagia era di gran lunga superiore alla loro importanza, i bravi, i rapimenti, i contrasti per le donne, gli omicidi, le questioni di precedenza, la violenza esercitata dalle truppe d’invasione. Insomma, gran parte del filo narrativo di Alessandro. Nei documenti d’archivio milanesi1 si

Anno XI n°57 - Aprile 2010 trova il racconto di alcuni episodî della vita di Giacomo Maria. Nel 1630, durante la peste, alcuni monatti della Valsassina accusati di essere untori (cioè diffusori del contagio) sotto tortura confessarono i loro presunti crimini. Furono quindi condannati a morte, suppliziati e scannati. Il deputato alla Sanità Giovanni Arrigoni, che aveva diretto le indagini, accusò il “Don Rodrigo” di casa Manzoni di essere stato il mandante delle loro imprese e di aver prodotto con l’aiuto di alcuni parenti il «pestifero untume». I difensori riuscirono però a dimostrare che le accuse erano infondate in quanto strappate ad un ragazzo e ad una ragazza del posto, costretti a giurare il falso sotto tortura e con effimere promesse. L’eccellente collegio di difesa insinuò che il nobile Arrigoni avesse addirittura promesso alla giovane contadinella di portarla all’altare se avesse deposto contro il Manzoni. Il deputato alla Sanità, così smascherato, fuggì dal Ducato mentre Giacomo Maria poté riprendere in tutta tranquillità a dominare la scena politica del Lecchese. Segno dei tempi, nessuno dei contemporanei che ebbero un ruolo nella vicenda mise mai in dubbio che i monatti messi a morte fossero dei veri untori e non vittime delle calunnie di Arrigoni, desideroso di rovinare i Manzoni, concorrenti nella lavorazione del ferro e da sempre nemici della sua casata. Pochi anni dopo, nel 1636, durante la Guerra di Valtellina, famosa per i suoi “Sacri macelli” avvenuti per ragioni religiose, reparti di milizie straniere rasero al suolo case e fabbriche di Giacomo Maria, ripetendo quanto avevano fatto anni prima gruppi di Lanzichenecchi che stavano ritirandosi in Svizzera. Nel 1640, Giacomo Maria da vittima si fece attore di un crimine avendo commissionato, secondo l’accusa, un omicidio per questioni di donne. Anche in quella occasione i suoi

1. Cfr. Archivio di Stato di Milano, Fondo “Materie”, cartella 249; la parte antica del Fondo “Commercio”, cartella 216; la parte antica del Fondo “Sanità”, cartella 278; Fondo “Confische”, cartelle 1800 e 2604. 2. Cfr. A. Manzoni, Fermo e Lucia, cap. I. 3. Tali notizie si possono leggere nel mediocre saggio di G. Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe, Lecco 1840, pp. 288 sgg.

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legali sostennero la sua estraneità al fatto e accusarono gli autori della denuncia di mendacio, dovuto ad un contrasto d’interessi circa la proprietà di alcuni altiforni. I difensori avevano poche carte a favore, ma la misteriosa scomparsa dei sicari privò l’accusa di testimoni, sicché il processo si concluse con un’assoluzione per mancanza di prove. La figura morale dell’imputato era però compromessa non tanto dal delitto in sé ma per aver troppo presunto della propria forza, tanto da lasciarne traccia; e ciò indusse Giacomo Maria ad uscire di scena. Al suo posto si avvicendarono il figlio Alessandro ed il nipote Pietro, primi esponenti della nobiltà locale. Essi si insediarono nel palazzo del Caleotto di Lecco, nel quale nacque anche Pietro, il padre dello scrittore. Lo stesso Alessandro trascorse nel Caleotto «...gran parte dell’infanzia e della puerizia e le vacanze autunnali della prima giovinezza»2. Come scrive Daccò, in quegli anni le vicende della sua famiglia paterna e del terribile Giacomo Maria erano ancora ben note nel Lecchese e da queste erano nati proverbi e leggende, ancora diffusi oltre un secolo dopo. Anche i documenti dei processi che avevano coinvolto Giacomo Maria erano allora conservati negli archivi locali, ai quali attinse un Giuseppe Arrigoni, discendente di Giovanni, per pubblicarne un estratto insieme ad altri provenienti dal suo archivio di famiglia3. Per concludere, tenuto conto che i fatti ricordati erano ben noti nel territorio di Lecco durante gli anni in cui il romanziere era uso trascorrervi periodi di vacanza; che la famiglia


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rivale degli Arrigoni conservava molte carte del Seicento e che più ancòra ce n’erano nell’Archivio locale; che Alessandro, infine, per sua stessa ammissione, consultò molti vecchi documenti, come non pensare che almeno in parte l’ispirazione dei Promessi Sposi sia stata “ereditata” dal suo antenato? _______________________ FAMIGLIE REGNANTI D’ITALIA E D’EUROPA DINASTIE ITALIANE I: LE FAMIGLIE DEL REGNUM ITALIE A cura di Edmond de la Morcellière, Università di Lione 01. L’Italia e le invasioni barbariche

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comparsi gli ultimi resti della potenza romana in Occidente, nella penisola, prima che si formasse il Regnum Italiae, il suo territorio fu diviso tra alcuni regni romanobarbarici, insediati nel centro-nord, ed i Bizantini, presenti nel sud e nelle isole. Fattore all’inizio non dominante ma destinato nei secoli a rivestire un ruolo di primo piano fu la Chiesa di Roma, i cui vescovi, venuta meno la struttura imperiale, avevano finito per imporsi quali fondamentali punti di riferimento per le genti locali che difesero anche, per quanto in loro potere, dalla prepotenza barbarica. La Chiesa si fece inoltre carico della guida spirituale del cristianesimo occidentale, soprattutto dopo la conversione degli invasori. Nello stesso periodo i suoi possessi, definiti Patrimonium Sancti Petri, diedero man mano vita ad una entità statuale di grande importanza futura. Tale suddivisione del territorio pose sin dal V secolo le premesse per la rottura dell’unità culturale del paese e per incidere in modo profondo sulle vicende storiche italiane. Accanto alla residua nobiltà romana si affermarono in posizione preminente Goti e Longobardi. Per quanto gli Amali, i re goti, fondassero il loro diritto alla regalità sul concetto tedesco della nobiltà di sangue, essi derivarono simboli ed attributi del potere dalla tradizione romana cui congiunsero elementi germanici. I Longobardi regnarono tra il VI e l’VIII secolo e non espressero mai una durevole dinastia, tanto che per un certo periodo di tempo la Langobardia venne retta da sovrani espressi dal ceppo tedesco degli Agilolfingi, mentre i duchi che avevano suddivito

Anno XI n°57 - Aprile 2010 le terre conquistate in una trentina di staterelli autonomi risultarono sempre riottosi ad accettare un concetto dinastico di reggenza, tanto è vero che i loro sovrani venivano designati dai duchi con cui intrattenevano rapporti molto complessi, derivanti dal fatto che appartenevano tutti al ristretto novero di quelle famiglie che erano stimate nobili di sangue e che avevano preso parte alla conquista dell’Italia. Un’altra significativa caratteristica dei monarchi longobardi era costituita dagli stretti rapporti che si instaurarono fra loro e la Chiesa, in primo luogo perché essi si mostrarono quasi sempre inclini a favorire l’arianesimo anche a costo di entrare in conflitto con la Chiesa, e in secondo luogo perché si posero in diretta contrapposizione con il vescovo di Roma per ragioni legate sia alla natura che ai limiti dei poteri amministrativi esercitati sul Patrimonium Sancti Petri che sulla sua consistenza territoriale. I contrasti con il papato resero dapprima impossibile la nascita di un regno longobardo forte e compatto ed in séguito ne segnarono la fine. 02. Le famiglie del Regnum Italiae

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l crollo del regno longobardo avvenne quando il papato, minacciato, si rivolse ai Franchi per ottenerne protezione. Quella gente di origine germanica non soltanto aveva impedito all’Islam di diffondersi oltre i confini della Spagna, ma aveva compreso i vantaggi che, sia pur con qualche eccesso d’invadenza, potevano derivare dai buoni rapporti con Roma dopo che Clodoveo aveva coattamente convertito il suo popolo. Adesso, sull’ultimo scorcio del secolo VIII, essi scesero in Italia a difendere il vescovo di Roma contro le pretese longobarde. In realtà andarono contro le dichiarazioni ufficiali e una volta conquistata la porzione centrosettentrionale della penisola vi costituirono il Regnum Italiae, fra i cui regnanti ed il risorto Impero romano d’occidente si creò un legame del tutto particolare, dovuto al fatto che alcuni di essi furono titolari della doppia corona. Il titolo di re fu comunque sempre propedeutico al conseguimento di quello imperiale. I re dell’Italia franca intrattennero inoltre rapporti particolarmente stretti con il vescovo di Roma, ormai divenuto sovrano dello Stato della Chiesa, per motivi d’ordine territoriale. Quando il

VillaCambiaso titolare del regno era anche imperatore il rapporto con il titolare della Santa Sede diventava una delle sue p r i n c i p a l i o c c u p a z i o n i . Ta l e complesso e spesso difficile rapporto con il capo della Chiesa Universale divenne, come del resto nell’Europa intera, un contrasto non solo sui limiti dell’esercizio del potere e del primato in seno alla Cristianità ma assunse anche il carattere di conflitto temporale dovuto alla necessità di stabilire con esattezza la sfera territoriale di reciproca competenza. Nel corso della sua breve esistenza il Regnum Italiae fu governato da alcune famiglie a diverso titolo legate ai Carolingi. I re discendenti da Lotario appartenevano ad un ramo della famiglia imperiale, mentre gli Unruoch ed i Bosoni erano imparentate per via di matrimoni. Infatti, gli Unruoch, di origine alamanna, si erano legati ai Carolingi in séguito all’unione del marchese Everardo del Friuli con Gisella, una delle figlie di Ludovico il Pio; mentre il legame con i Bosoni, una famiglia appartenente all’aristocrazia franca, derivava dalle duplici nozze di Teutberga, figlia di Bosone il Vecchio, con Lotario II e di Teobaldo, figlio di Uberto e nipote di Bosone il Vecchio, con Berta, figlia di Lotario II. Tanto i Bosoni che gli Unruoch si erano stabiliti in Italia dove erano riusciti a consolidare il loro potere e a creare le premesse per l’incoronazione dei Carolingi e la loro successione al trono italico. Le altre due dinastie, quella dei Guidoni e degli Anscarii non potevano vantare rapporti diretti con la dinastia franca. Entrambe provenivano dalla Borgogna ed erano profondamente permeate dalla cultura comune alle famiglie dominanti dei principati franchi di recente costituzione nel sistema feudale dell’Impero. Anche Guidoni ed Ascarii avevano fatto fortuna in Italia pur conservando i loro notevoli interessi d’oltralpe. Di origini borgognone ed ultima tra la famiglie che regnarono sul Regnum Italiae, gli Ascarii giunsero al trono in séguito ad un fortunato matrimonio, che diede origine ad una lunga vicenda di rapporti dinastici. Il centro dei loro iniziali interessi era compreso nel territorio fra Digione e Langres, dove si era affermato il loro capostipite, un certo Amedeo, figlio di Amedeo, vissuto nella prima metà del secolo IX. La storia degli Ascarii sarà oggetto della prossima puntata.


ASSOCIAZIONE NAUTICO LEON PANCALDO

LA VOCE DELL’

ESTRATTO AUTONOMO DELLA RIVISTA VILLACAMBIASO

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N° 9 - Aprile 2010 - Redazione: A.LP. - Via Torino, 10 - 17100 Savona - Tel: 349/6863819 - E-mail: info@alpleonpancaldo.org

RICORDI ED ESPERIENZE DI MARE del Capt. M. Pellati

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n giorno chiacchierando con mio figlio, anche lui diplomato CLC, e conversando di navigazione e movimento carico, mi chiese di scrivere qualcosa in modo da lasciare traccia delle esperienze e conoscenze per poterne poi usufruire in futuro. La mia carriera, finito il Nautico, l’Accademia e il militare, è iniziata come giovanotto diplomato su una vecchia petroliera della Esso finendo poi a 61 anni al comando di una petroliera di una società italiana. Gli imbarchi furono molti e vari, a parte qualche carboniera alla fine carriera, sono state tutte petroliere o affini. I viaggi nei primi anni, sono stati un poco faticosi e frustranti, ma sempre pieni di nuove esperienze e conoscenze. I primi viaggi su a Nord di Terranova per portare kerosene e gasolio alle basi aeree americane, rotte dove nei primi mesi estivi era facile incontrare icebergh e balene in amore. Poi, nei Caraibi, viaggi di poche ore dal Venezuela ad Aruba per rifornire la raffineria di grezzo, per diversi anni questi furono i più massacranti ma pieni di colore, dalle ragazze Colombiane dei bar di Aruba agli ormeggiatori dei pontili di Maracaibo che non volevano muoversi per incappellare il cavo di ormeggio alle bitte di terra “mucho calor mucho trabaco poco dinero, che quire mi vida” questa era la risposta alle nostre esortazioni. Una volta al mese un viaggio a New York per fare provviste, in questi viaggi ho notato il carattere altamente conservatore di alcuni comandanti, specialmente di quelli che venivano dalla vecchia marineria italiana. A New York la Esso inviava una bettolina carica di ogni ben di Dio, il personale imbarcava il tutto, ma contemporaneamente sbarcava le provviste non consumate per essere distrutte, e quelle sbarcate erano molte. Il personale era tenuto a stecchetto, i vizi non si potevano permettere, latte, frutta etc non era cosa per la bassa forza e anche per gli

Ufficiali. Questa mia esperienza mi è stata molto utile quando sono poi passato al comando. In uno di questi viaggi Aruba – NewYork ho avuto l’amara esperienza di partecipare alla ricerca dei naufraghi della nave Bonitas dell’armatore Ravano naufragata al largo di Capo Hatteras, area ben nota per tempeste di inaudita violenza, su quella nave è anche scomparso PICASSO un caro compagno di scuola, un anno più vecchio di me. Nella mia esperienza di mare ho avuto ancora una volta la triste esperienza di ricercare altri naufraghi, fra questi anche il mio carissimo amico e compagno di classe Gianni Ferro, scomparso nella manica al largo di Dover. Poi la carriera è iniziata, terzo ufficiale, secondo e tante navi e diversi comandanti dai quali ho imparato e assimilato tecniche di comando e adattamento alle varie situazioni critiche e non. Il comandante camoglino che mi diceva: ricordati sempre una mano per te e una per la nave. Quello viareggino, mio grande maestro, che si raccomandava sempre: ricordati che la nave ha tanti padroni: l’armatore, il noleggiatore, il caricatore, il ricevitore, gli operatori portuali perfino la sanità e la dogana e che al termine della spedizione tutti devono essere contenti del tuo operato. Poi l’Agenzia, che raccoglie tutte le osservazioni dei vari operatori, è il tratto di unione più importante fra il Comandante e l’Armatore. Anche gli ispettori o i capi gruppo della società sono le persone con le quali si deve conversare per apprendere e far tesoro di come funziona la società in modo particolare nelle parti economiche. Sicuramente nella lunga permanenza in mare ho fatto carriera, ho studiato e mi sono dedicato al personale al mio comando. Come ogni buon ufficiale sa, che per fare funzionare bene la nave deve dedicarsi al personale, insegnando e sostenendolo, non esiste nessun bene se non il lavoratore capace, dedicato ed educato: il motto

primario della mia compagnia era ed è “The best assessment of a company is the value of personnel”. Per le mie capacità di insegnante e il mio carattere semplice e dedicato al prossimo, la Società mi scelse per costruire un programma di insegnamento (up-grading) per tutti gli ufficiali filippini, ciò fu dovuto alla politica antidiscriminatoria in seno alla Esso. In quei tempi esistevano navi con equipaggio misto (ital/filip e spag/filip). Ho navigato per circa 3 anni sia da ispettore che da comandante con equipaggio solo Philippino, per vedere se era possibile dare via al progetto di sostituzione dei quattro ufficiali superiori. Alla fine dopo un attento esame e valutazione è stato dato il via al progetto ed è cominciata la mia avventura a Manila, per cinque anni e poi nel Connecticut per altri quattro. E’ stato un incarico che mi ha intrigato parecchio, non tanto nell’insegnare tecniche di lavoro, quanto nel costruire in loro una mente pensante, ragionante e responsabile, in termini semplici fare di loro uomini di mare di cui la compagnia si potesse fidare. La prima cosa a cui ho pensato è stato al metodo usato dal caro professore Sorrentino mio insegnante del nautico, del suo sistema semplice ed incisivo nel raccontarci le cose e le regole. Mi viene in mente che diceva: In caso naufragio slacciatevi i lacci delle mutande di lana e poi non gridate mamma, madonna o San Gennaro ma solamente aiuto. Poi ho avuto l’opportunità di frequentare alcune loro scuole e università dove mi sono reso conto dei loro sistemi di

Pranzo del cinquantenario dei diplomati capitani dell’Istituto Nautico Leon Panacaldo di Savona per Venerdì 18 Giugno ore 12.00 presso la trattoria “Madonna del Monte” (Via N. S. del Monte, 70 - 17100, Savona)


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insegnamento. Sistemi dedicati più alla memorizzazione che al ragionamento. Perciò uscivano ragazzi che apparentemente erano buoni conoscenti della materia ma in effetti poco credibili e affidabili. Per cinque anni ho seguito ed istruito circa seicento ufficiali, selezionandone un centinaio che diventarono poi il fulcro della flotta della Exxon navi piccole. Il risultato dei miei insegnamenti è stato comprovato quando durante un’incontro degli ufficiali delle varie nazionalità della flotta Exxon è stato sottoposto un problema di cinematica e gli unici a risolverlo in tempo utile sono stati gli unici tre ufficiali filippini. Il fatto ha fatto molto impressione nello staff dirigenziale della società e per questo mi hanno chiesto di chiedere alla scuola radar di Genova di cambiare sistema e usare il nostro staff nell’insegnamento. Il rifiuto fu secco e anche poco diplomatico, forse anche il mio modo di porre la proposta non fu molto gentile, fatto sta che ritornai in ufficio e il mio diretto superiore mi fece parlare con il presidente il quale seduta stante cancellò con Genova tutti gli impegni, relazioni e contributi, Il tutto è stato poi deviato alla scuola Radar di Manila istituita dopo circa un anno. _______________________ STORIE DI UOMINI, DI NAVI E DI OCEANI LE COLONNE D’ERCOLE A cura di John Maxwell Taylor (Caporedattore della rivista marittima Jane’s) 01. I viaggiatori cartaginesi

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utto quel mare che i Greci navigano e quello oltre le colonne d’Ercole, chiamato Atlantide, ed il Mar Rosso sono un unico mare. In questi termini si era espresse lo storico Erodoto nel primo Libro delle sue Storie 450 anni prima di Cristo: per lui e per i suoi contemporanei esisteva un mare che costeggiava l’Africa sino a diventare Mar Rosso. Quattro secoli più tardi, Tito Lucrezio Caro affermò che sui lidi di Atlante davanti alle tristi marine nessuno, né romano né barbaro era mai approdato. Tanto lo storico greco che il poeta latino erano evidentemente convinti che oltre le Colonne d’Ercole si estendesse uno spazio vastissimo, inospitale, popolato di mostri orribili e circondato da spiagge deserte. Tali

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curiosità, le pelli di tre sventurate negre catturate dai suoi marinai. Quelle di Imilcone e di Annone, i quali erano forse fratelli, furono le ultime grandi spedizioni fenicie di cui sia giunta notizia. Resta però certo che molte altre navi mercantili puniche batterono le stesse rotte sino al tramonto della gloria di Cartagine. 02. Ai confini del mondo conosciuto

I L’alunno Luca Barberis ricordato come un proprio figlio dal suo insegnante Pio Vintera. convinzioni sarebbero cambiate solo molto più tardi, dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, avvenuta nel 1492. Quando incominciarono a spingersi oltre le fatali colonne, sulle coste atlantiche della Spagna meridionale, i Fenici, che ormai erano chiamati Cartaginesi, continuarono a mantenere il saldo controllo delle vie d’accesso al Mediterraneo. Nel VI secolo Cartagine tentò di monopolizzare il commercio dello stagno proveniente dalla Spagna per via carovaniera ed ammassato nei porti meridionali della penisola iberica, in particolare a Gades, l’odierna Cadiz, e a Tartesso, sull’Atlantico. Per meglio controllare quel traffico, occuparono le due città ed andarono ad estrarre il prezioso minerale necessario per produrre il bronzo in lega con il rame nei luoghi di produzione, ossia nelle Cassideri, nome che designava le isolo britanniche. Un certo Imilcone, verso la fine del VI secolo si avventurò per la prima volta lungo le coste oceaniche della Francia, raggiunse l’Inghilterra e l’Irlanda ed aprì alla grande potenza africana la via dello stagno. Dopo aver constatato che nel corso delle prime navigazioni non erano stati avvistati pericolosi mostri, i Cartaginesi decisero di continuare ad avanzare lungo i confini occidentali del mondo. Imilcone fu così imitato da Annone, che partì con una flotta di sessanta navi ed andò a fondare diverse città sulle coste occidentali dell’Africa sub-sahariana. Salparono insieme a lui alcune migliaia di uomini e donne che distribuì lungo i litorali scendendo fino al Golfo di Guinea. Ritornò quindi in patria recando con sé, tra molte altre

l mito della inviolabilità delle Colonne d’Ercole era frutto della filosofia greca, che ripugnava di fronte all’indefinito e all’esageratamente grande e rifiutava l’idea di rompere un equilibrio o turbare una simmetria. Infatti, nella leggenda degli Argonauti, l’elemento più evidente dal punto di vista geografico fu il tentativo di tracciare un confine a nord del mondo conosciuto seguendo una linea che lungo il Mar Rosso, il Danubio, il Po e il Rodano chiudesse armonicamente l’area della civiltà mediterranea. I Fenici, più mercanti che filosofi, non si lasciarono impressionare dalle minacce degli dèi ed aprirono la via alle esplorazioni oceaniche. Ciò spiega la ragione per cui quando alla fine del IV secolo Pitea partì dalla colonia greca di Marsiglia e, costeggiando Francia e Spagna, superò la Manica e raggiunse la Cornovaglia, i suoi compatrioti non gli credettero, lo giudicarono un millantatore e in pochi anni dimenticarono il suo straordinario racconto di viaggio, il primo diario di bordo di una navigazione atlantica. Pare infatti che Pitea avesse scritto una minuziosa relazione intitolata Intorno all’Oceano nella quale aveva descritto le miniere della Cornovaglia, le grandi maree del Mare del Nord, i giacimenti d’ambra delle isole Frisone. Aveva inoltre dato notizia dell’isola di Tule a nord della Scozia, perennemente avvolta dalla nebbia, con notti brevissime d’estate e lunghissime durante l’inverno e che era molto probabilmente la Scandinavia piuttosto che l’Islanda, come alcuni storici vorrebbero. Eppure era stato un altro greco, Platone, a formulare l’ipotesi di una catastrofe immane che aveva fatto scomparire un continente posto al di là delle Colonne d’Ercole. Attingendo probabilmente alle rivelazioni fatte da alcuni sacerdoti egizi al legislatore ateniese Solone intorno al 570 a.C., nei dialoghi Timeo e Crizia egli


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scrisse: Oltre quelle che ancor oggi si chiamano Colonne d’Ercole si estendeva un grande continente detto Poseidonis o Atlantis, che misurava tremila stadi in lunghezza e duemila in larghezza, più grande dell’Asia e della Libia prese assieme, e da questo di potevano raggiungere altre isole, e di qui tornare di nuovo alla terraferma che circonda il mare così chiamato. Dopo l’impresa di Pitea passarono molti secoli prima che le genti stanziate sulle rive del Mediterraneo ardissero compiere il grande balzo verso Occidente. I Romani, impegnati da Cartagine in tre guerre combattute in meno di cent’anni, dopo averne annientata la potenza si limitarono ad installarsi sullo stretto di Gibilterra con la conquista della Spagna per poi dedicare ogni attenzione alla frontiera orientare dell’impero assoggettando la Grecia e l’Egitto. Oltre il Mediterraneo Roma limitò le proprie iniziative alle numerose traversate della Manica per sottomettere parte della Britannia, ciò che, dopo il preludio di Caio Giulio Cesare, avvenne dal 77 d.C., quando Gneo Giulio Agricola giunse in Caledonia (ossia la Scozia), al 142, allorché Antonino Pio fece costruire le fortificazioni che spingevano ancòra a settentrione il confine già delineato dal famoso vallo di Adriano nel 127. Dopo un altro secolo i Normanni (o Vichinghi come essi si chiamavano, o Ros, come li avevano definiti i Fenici) incominciarono a navigare dal Mare del Nord e dal Baltico verso le coste atlantiche e le rive del Mediterraneo occidentale. Non sappiamo se gli scopritori delle isole Faer Øer e dell’Islanda siano stati, tra il VII e l’VIII secolo, monaci irlandesi o predatori normanni. È però certo che già nel VII secolo i Normanni avevano regolari rapporti commerciali con le Faer Øer e che sulla fine del IX si insediarono in un’isola che chiamarono Islanda, terra del ghiaccio.

apparve una costa rocciosa, coperta di licheni che le conferivano una tinta di tenuo verde. La battezzò infatti Terra Verde, cioè Groenlandia, che non possedeva attrattive di sorta; ma i Normanni sapevano adattarsi con una certa facilità a condizioni di vita estreme ed Erik si stabilì nella nuova terra fondandovi una colonia alla quale si aggiunsero negli anni quelle sulle coste del Labrador, chiamate Vinland, la Terra del Vino perché la vite attecchiva rigogliosamente. Avevano scoperto l’America, ma quegli sparuti gruppi di Vichinghi accampati nel Nuovo Mondo presto scomparvero, assimilati dagli Eschimesi che già vi abitavano. Stupisce quindi che alcune saghe irlandesi del Trecento narrino, e con molti particolari, che la colonizzazione dell’America settentrionale ad opera dei Normanni abbia avuto un’estensione tale da raggiungere la Carolina, con la quale va probabilmente identificato il Vinland, e che abbia introdotto in quelle terre il cristianesimo sotto la guida di un vescovo e di numerosi sacerdoti. L’impresa dei Vichinghi in America è rimasta ai margini della storia delle conquiste geografiche perché fu presto dimenticata. Quasi nello stesso periodo in cui i Vichinghi solcavano le acque dell’Atlantico settentrionale, gli Arabi, impegnati nella conquista della Spagna, navigarono nella porzione meridionale di quell’Oceano e raggiunsero l’Iberia non solo dal Mediterraneo ma anche dall’Atlantico, osando risalire la costa africana fino alle Colonne d’Ercole cui cambiarono il nome in Gibilterra, cioè Monte di Tarik, dal nome di ElTarik, il conquistatore che nel 711 partì dal Marocco, superò lo stretto e mise piede sul promontorio roccioso che domina il passaggio dal Mediterraneo all’oceano.

03. Erik il Rosso raggiunge l’America

PIÙ FACILE USARE IL CELLULARE

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a loro esplorazione non si limitò a questi risultati. Sapevano per sentito dire dell’esistenza di terre ancor più occidue raggiunte per caso da alcuni navigatori trascinati dai venti e dalle correnti. Alla fine del X secolo il mitico Erik il Rosso riuscì a raggiungerle. Tra le dense brume di quel mare settentrionale un giorno gli

[Traduzione a cura della Redazione] _______________________

IN NAVIGAZIONE

Ing. Giorgio Prefumo

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a Commissione Europea ha adottato nuove norme per facilitare l’uso dei telefoni cellulari da parte dei passeggeri e degli equipaggi delle navi che operano nelle acque territoriali dell’UE, quando si trovano al di fuori della portata delle reti telefoniche mobili terrestri. Le nuove

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regole si pongono come obiettivo di armonizzare le condizioni tecnicogiuridiche relative i servizi di comunicazione mobile sulle navi e in un prossimo futuro facilitare le applicazioni più innovative, quali il controllo a distanza dei container a bordo. Fino ad oggi sono 27 le differenti legislazioni nazionali in materia di copertura dei telefoni cellulari su navi da crociera, mercantili e traghetti che operano in acque territoriali europee. La Commissaria dell’UE responsabile per l’agenda digitale, Neelie Kroes, ha dichiarato: “Grazie alle nuove norme adottate dalla Commissione, dieci milioni di persone che viaggiano o lavorano a bordo delle navi saranno in grado di usare il telefono cellulare senza problemi di interferenze”. I servizi di comunicazione mobile sulle navi (servizi MCV) fino ad oggi erano disponibili in Europa solo in misura limitata e, di solito, al di fuori delle acque territoriali degli Stati membri (in acque internazionali). Da un punto di vista tecnico i telefoni dei viaggiatori sono collegati a stazioni di base cellulari montate a bordo delle navi che utilizzano le bande di frequenza 900 MHz e 1800 MHz (spesso indicate come “frequenze GSM”) a loro volta collegate via satellite a reti di base terrestri, consentendo di comunicare mediante un normale telefono cellulare con gli utenti di tutte le reti di comunicazione. Da un punto di vista commerciale, i sistemi MCV garantiranno la stessa gamma di servizi normalmente assicurati dalle reti terrestri mobili (chiamate vocali, SMS) ma a costi più elevati (dovuti all’uso del satellite) e con capacità inferiore per servizi avanzati quali trasmissione dati. Uno degli aspetti che più preoccupava i fornitori di sistemi e servizi MCV era la diversità dei regimi regolamentari in vigore negli Stati membri della UE, sia in termini di condizioni tecnicooperative per l’utilizzo dello spettro radio che di tipologia delle autorizzazioni, soprattutto per quanto riguardava la fornitura di servizi MCV nelle rispettive acque territoriali.

La sede operativa dell’A.LP. a Villa Cambiaso è aperta il 1° martedì di ogni mese dalle 17.00 alle 18.00. Luglio e Agosto esclusi.


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maggio, con la collaborazione della libreria G. B. Moneta di Via Venezia e Via Paolo Boselli - Savona, verranno presentati libri con la presenza degli autori. Un secondo settore di attività sarà dedicato agli artisti, ai quali saranno dedicati Seminari sulle arti figurative del Novecento. Essi avranno inoltre la possibilità di allestire mostre a Villa Cambiaso e in molte altre sedi, di avere video commentati del loro lavoro, la presentazione a galleristi in tutta Italia, la produzione di cataloghi cartacei o in DVD. È in programma il Primo Premio Villa Cambiaso di pittura estemporanea; i v i n c i t o r i avranno diritto ad un catalogo della loro produzione in v e r s i o n e cartacea e su DVD. Inoltre sarà loro offerta la possibilità di allestire una mostra nell’anno 2011 in data da concordare. In favore di poeti e narratori sono in fase di allestimento molte iniziative di sicuro interesse. In particolare verrà indetto per settembre il Primo Premio Villa Cambiaso di Poesia sul tema “Realtà e Memoria” in modo che esso sia presentato insieme a quello artistico dallo stesso titolo per

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garantire sinergie fra le arti del pennello, dello scalpello e della parola. In sede di premiazione le poesie saranno interpretate da un attore professionista. Il vincitore avrà diritto alla stampa di 50 poesie in una silloge corredata da una introduzione a cura della nostra Redazione o del critico da lui scelto.

al termine di giugno; - L’universo della poesia – Tutti i venerdì, ore 17, dal 30 aprile in poi; - Storia del Medioriente – Tutti i mercoledì, ore 15, dal 28 aprile in poi; - Storia delle dottrine politiche – Tutti i mercoledì, 0re 17, dal 28 aprile in poi; - Storia dell’opera e del balletto – Da destinare. I programmi sono disponibili a richiesta degli interessati. A partire da Ultima piastrella dei Muretti di Villa Cambiaso settembre, oltre del pittore Stefano Solimani a d a l t r e iniziative, è allo studio l’avvio un corso di: - Chitarra classica per ragazzi dagli 8 ai 15 anni: e una scuola di - Ceramica artistica per spiriti giovani di ogni età. A tutti coloro che parteciperanno alle nostre attività sarà inviata a titolo gratuito la Rivista “Villa Cambiaso”. La sede dei Corsi è V i l l a Cambiaso, Via Torino 10. Il Regolamento potrà essere richiesto a partire dalla prima settimana di Direttore: Aldo Maria Pero maggio. Cellulare: 348 510 37 72 Gli incontri, che hanno preso avvio il 9 E-mail aldo.pero@alice.it aprile, sempre in collaborazione con il Circolo Scientifico-Culturale Agape, Segretaria: Licinia Visconti. proseguiranno con il seguente Cellulare 340 352 37 17, da lunedì a calendario: venerdì, ore 10-12 - Dall’Unità d’Italia alla Prima guerra E-mail licinia.visconti@alice.it mondiale – Tutti i venerdì, ore 15, sino

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