VicenzaPiù Viva Ovest e Alto Vicentino n. 297, aprile 2025

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V icen za P iù Viva

Indice

• L’editorialino (Giovanni Coviello)

• Da tributo a strumento di guerra commerciale: i dazi dall’antichità al caos globale (Eleonora Boin)

• Dazi (troppo) amari (Salvatore Borghese)

• Sui dazi timori e divisioni tra gli italiani (Salvatore Borghese)

• Dazi doganali, tra Trump e piattaforme cinesi: l’Unione europea alla prova del commercio globale (E. B.)

• Lo “scambio” nella teologia cristiana è quello del dono della pace (p Gino Alberto Faccioli)

• La par ola agli imprenditori: «Dopo il pugno della guerra, ora gli schiaffi dei dazi Siamo molto preoccupati perché sarà una reazione a catena» (Martino Montagna) .

• Parola d’ordine di Confartigianato Vicenza: diversificare i mercati facendo di necessità virtù (Gianluca Cavion) p

• I dazi di Trump: per USB Veneto la risposta non può limitarsi a strategie di “diversificazione dei mercati” (MassimoD'Angelo) . .

p

19

• Il Veneto stritolato tra Usa, Europa e Italia, ma anche no: due visoni in Regione (Eleonora Boin) p 20

• Il generale vicentino in pensione Maurizio Boni si discosta dal pensiero mainstream (Martino Montagna) p 24

• E se tor nasse la guerra fredda? (Martino Montagna)

• Montecc hio Maggiore Ex caserma di Ghisa: il Comune la trasformerà con destinazioni direzionali, turistiche e in parte produttive (Marta Cardini)

• Risc hi bombe inesplose lungo la Linea Tav Tac in costruzione all’interno della città di Vicenza: sono stati valutati? È prudente continuare? (Giovanni Coviello ! Eleonora Boin)

• La mafia per de i beni, il Veneto perde l’occasione (Renzo Mazzaro)

• Sicur ezza, si comincia dagli addetti ai servizi di controllo: competenze e regolamentazione secondo il DM 6 ottobre 2009 (Giovanni Coviello)

• Guar die Giurate e Vigilanza Privata: ruoli, responsabilità e sfide della sicurezza moderna (Jacopo Bernardini) .

• Polizia Locale: competenze chiave, ruolo e impatto sul territorio (Jacopo Bernardini) .

p 51

• Pr efettura: competenze, funzioni e coordinamento nella sicurezza e legalità territoriale (Marco Ferrero) p 54

• Cosa fanno i Carabinieri? Le competenze e il ruolo chiave nella sicurezza nazionale (Clarissa Mingardi) .

• Polizia di Stato e Questura: presidio di sicurezza nazionale e nei trasporti (Clarissa Mingardi) p 61

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L’editorialino

Siate affamati, siate folli! Come Donald… Duck

Steve Jobs, mio grande ispiratore e maestro di vita, anzi delle mie vite (per i miei successi, non per i miei insuccessi da overdose di idealismo), tenne all’Università di Stanford il 12 giugno 2005 un celebre discorso circa un anno dopo la diagnosi di un tumore al pancreas che l’avrebbe portato a morire il 5 ottobre 2011 a soli 56 anni, gran parte dei quali hanno segnato la rivoluzione tecnologica e comportamentale del mondo influenzando le vite di miliardi di persone.

In quel discorso, oltre a tanti altri passaggi scultorei, pronunciò davanti ai laureandi una frase che è stato il suo testamento e il suo lascito a quella e alle future generazioni: “Stay hungry, stay foolish”, “siate affamati, siate folli”.

Ebbene oggi di fame e follia è pieno il mondo, ma non certo quello che immaginava e verso cui spingeva uno dei più grandi geni dell’epoca a cavallo dei due millenni.

Il mondo è, a livello globale, affamato dalle decine di guerre che si stanno combattendo con molti più morti, feriti e sradicati dalle loro case di quelli che causò la Seconda guerra mondiale e, a

VicenzaPiù Viva

Fondato il 25 febbraio 2006 come supplemento di La Cronaca di Vicenza

Autorizzazione: Tribunale di Vicenza n. 1183 del 29 agosto 2008

Direttore Responsabile: Giovanni Coviello - direttore@vicenzapiu.com

Ideazione grafica e impaginazione Scriptorium, Vicenza

Redazione tel. 0444 1497863 redazione@vicenzapiu.com

livello locale, paga le paure private che, direttamente o indirettamente, sono collegate alle guerre reali, alle migrazioni dalle terre fisiche di origine e dalle aree sociali di provenienza.

Di follia, in versione distruttiva non creativa come quella di Jobs, il mondo è altrettanto saturo (anche se dire che è saturo darebbe la speranza, non proprio certa, che peggio di così non si può) anche per le guerre commerciali e finanziare, una su tutte quella dei dazi o tariffe che dir si voglia, per le quali, come dice all’interno padre Gino Alberto, “può cambiare l’aggettivo ma il sostantivo rimane, si tratta di guerre”.

E queste affamano, impoveriscono e intimoriscono il mondo, globale e personale, perché, oggi spesso lo si dimentica, il mondo è fatto di persone reali e non solo virtuali.

Ecco perché questo numero di VicenzaPiù Viva, sempre più aperta al mondo di cui quello nostro fa parte e da cui dipende, affronta questi temi (i dazi, le bombe che esplodono e quelle inesplose sotto la linea Tav che squarcerà e impoverirà la Vicenza della “gente” per un decennio, chi e come ci difende dalle le paure per la nostra sicurezza…) partendo dalla follia mutevole (mutante?) di Donald, una volta l’esilarante zio Paperi-

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no alias Donald Duck made in USA, ora con Donald Trump la versione horror di Paperon de Paperoni, non a caso Scrooge.

Ma forse hanno capito che questo mondo in subbuglio non potrà che distruggere anche loro, senza una pacificazione stabile anche i geni, un po’ perversi, alla Elon Musk e, soprattutto, i poteri finanziari dei mega fondi finanziari come BlackRock (solo questo con un patrimonio totale valutato in 10.000 miliardi di dollari).

Il dietro front di Trump (momentaneo per scelta o duraturo per baciare i “culi” dei più potenti per la ben nota legge del contrappasso?) non ci illuda che tutti siano buoni ora, ma, anche leggendo quello che abbiamo scritto, ognuno si faccia un’idea più precisa di quello che ci può ancora capitare, in alto e in basso, se non ricominceremo a sviluppare una coscienza critica personale.

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Da tributo a strumento di guerra commerciale: i dazi dall’antichità al caos globale

Dai Sumeri alla globalizzazione, i dazi hanno sempre avuto un ruolo chiave: non

solo tasse sul commercio, ma strumenti di potere, protezione e confronto tra Stati

Eleonora Boin

Idazi sono uno degli strumenti economici più antichi e da sempre svolgono un doppio ruolo, il primo di controllo economico del commercio e della competizione tra Stati, il secondo di fonte di reddito degli stessi. Fin dai tempi antichi, tassare il commercio è uno dei modi per regolare i flussi di merci e proteggere l’economia interna. Il termine "dazio" deriva dal latino datio, che significa “atto del dare”, un’origine che suggerisce un tributo obbligato, un contributo forzato richiesto a chi desiderava far transitare le proprie merci oltre i confini di un territorio. Interessante è anche la parola dogana, che deriva dal latino medievale siciliano dova-

na, a sua volta derivante dal verbo arabo dīwān, un’etimologia affine anche ad altre lingue europee,

come il francese douane e lo spagnolo aduana. Una dimostrazione di quanto il controllo commerciale e la tassazione delle merci abbiano delle radici condivise nel mondo.

Le origini e l’antichità

In antichità, già 4.000 anni fa, furono i Sumeri ad applicare i primi tributi sul commercio, mentre in Egitto si sviluppano e diventavano parte fondamentale dell’economia le imposte su merci pregiate – come spezie e metalli. Tuttavia, come spesso accade, è l’Italia con l’Impero Romano che garantisce la nascita di un vero e proprio sistema organizzato di dogane, che vengono istituite lungo le principali vie commerciali e permettono così un controllo rigoroso sulle merci e un’entrata costante all’Impero. Un

 Furono i Sumeri ad applicare i primi tributi sul commercio
 L'Impero romano nel 117 d.C.

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modello che ha influenzato da allora il modo di gestire il commercio tra Stati.

Dal Medioevo all’età delle città-stato Durante il Medioevo, in Europa ci fu un ulteriore sviluppo del sistema dei dazi, poiché le città stato e i piccoli feudi si dotarono di sistemi doganali interni, imponendo tassazione ai prodotti commerciali in transito, sia su prodotti più semplici come la lana e il grano, sia su prodotti più ricercati come le spezie. In particolare, furono le repubbliche marinare, come Venezia e Genova, a diventare potenti e ricche proprio grazie al controllo che esercitavano sul commercio via mare, con l’applicazione di tariffe ben definite su qualunque tipo di merce attraversasse i loro porti.

L’epoca moderna: protezionismo e libero scambio

In seguito, con l’affermarsi degli stati-nazione, i dazi assunsero il

ruolo di uno strumento di politica economica favorendo politiche protezionistiche. Ad esempio, fu

l’Inghilterra che nel XVII secolo adottò politiche protezionistiche che favorirono la propria industria e la propria marina. Ci furono poi degli economisti, come Adam Smith e David Ricardo, che teorizzarono e suggerirono che eliminare le barriere commerciali avrebbe favorito una maggiore efficienza economica a livello globale. Questo fu il momento in cui si sviluppò la teoria del neo-liberismo, e anche il momento in cui nacque l’acceso dibattito tra chi difendeva il protezionismo per proteggere le industrie nazionali (pratica adottata da paesi come gli Stati Uniti e, in parte, dalla Germania) e chi, dall’altro, promuoveva il libero scambio. Un esempio emblematico fu rappresentato dal Tariff Act del 1930 negli Stati Uniti, noto come "Smoot-Hawley Tariff", che, aumentando drasticamente le tariffe, contribuì ad aggravare la crisi economica mondiale durante la Grande Depressione. Durante la Seconda guerra mondiale poi, ci fu un inevitabile ritorno al protezionismo, dato anche dai progetti di autarchia portati avanti dai regimi del 900 e la difficoltà a commerciare tra Stati in guerra. Tuttavia, dopo la caduta del nazifascismo e la divisione del mondo in blocchi, questa teoria fu quasi del tutto eliminata (almeno nella zona di influenza americana), a favore del mondo globalizzato e più o meno libero in cui abbiamo vissuto finora e che ora è decisamente in crisi.

 I commerci della Repubblica marinara di Venezia
 L'autarchia durantre il fascismo

Dazi (troppo) amari

I nuovi dazi decisi dagli USA di Trump costituiscono un elemento di forte rottura rispetto alle tendenze dell’ultimo secolo . I rischi e le incognite per l’economia sono dietro l’angolo…

Salvatore Borghese

Lo scorso 5 aprile, mentre il giornale che state sfogliando era in preparazione, sono entrati in vigore i nuovi dazi decisi dalla nuova amministrazione degli Stati Uniti, guidata dal Presidente Donald Trump. Al momento della loro presentazione, i dazi hanno suscitato una forte impressione presso gli osservatori, per diverse ragioni. La prima è che, fino all’ultimo momento, molti pensavano che Trump sarebbe tornato sui propri passi, limitandosi a utilizzare la minaccia dei dazi come leva negoziale per strappare accordi favorevoli; una tecnica, del resto, che Trump ha già adoperato in diverse occasioni in questi primi mesi del suo ritorno alla Casa Bianca (non a caso, altri potenziali “bersagli” come Canada, Messico e Russia sono rimasti fuori da questa prima “infornata” di dazi, perché con questi paesi sono in corso altre trattative su altri dossier, alquanto spinosi). La seconda ragione è che l’entità di questi dazi, nonché il metodo utilizzato per calcolarli, sono a dir poco abnormi ed eterodossi rispetto a quanto si è visto per molti decenni in tema di politica commerciale.

Il commercio nella storia Per capire come mai questi “dazi di aprile” abbiano destato tanto

scalpore – e destino altrettanta preoccupazione tra gli esperti –bisogna fare qualche passo indietro per inquadrare al meglio di cosa stiamo parlando. Il commercio tra le varie comunità umane è una costante nella storia della nostra specie fin dai suoi albori: le testimonianze dei commerci in essere tra le civiltà più antiche, da quelle mesopotamiche a quelle dell’antico Egitto, passando per i primi popoli che si affacciavano sul Mediterraneo, sono abbondanti, ma vi sono reperti che dimostrano che l’uso di scambiarsi beni (che fossero di prima necessità o di “lusso”) risale indietro di molti millenni. Nel corso dei secoli, il commercio è stato il motore che ha spinto gli esploratori più intraprendenti a viaggiare, scoprendo nuove terre e nuovi popoli. Talvolta, in nome dell’apertura di nuove rotte commerciali sono

 Livello dei dazi sulle merci importate dagli USA, 1900-2025 (Fonte: elaborazione The Economist su dati Evercore ISI & The Budget Lab at Yale)

state dichiarate guerre e altri atti di sopraffazione, di cui è un esempio il colonialismo europeo in età moderna nelle Americhe, in Asia e in Africa. In età contemporanea, poi, il commercio internazionale ha dato impulso a quella che oggi chiamiamo globalizzazione, ossia un intreccio inestricabile di relazioni tra paesi costruito allo scopo di regolare gli scambi di merci. Queste relazioni hanno sempre previsto, in forme e quantità variabili, il pagamento di una tassa (il dazio, appunto) nel momento in cui dei mercanti entravano in un altro paese con le loro merci.

Il commercio globale moderno

La grande novità dell’ultimo secolo è stata la tendenza alla liberalizzazione del commercio internazionale, attraverso la rimozione progressiva delle barriere sia tariffarie (cioè dei dazi) sia di altro tipo, ad esempio uniformando gli standard per le merci. Una tendenza iniziata nella seconda metà dell’Ottocento, interrotta bruscamente nei primi decenni del Novecento (segnati da una crisi economica devastante e ben due guerre mondiali) e poi ripresa con maggior vigore con l’istituzionalizzazione dell’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT) del 1944, nato nell’ambito dei celebri accordi di Bretton Woods. In questo quadro, a partire dal secondo dopoguerra, il commercio internazionale ha messo le ali, ricevendo ulteriore impulso dai processi di de-colonizzazione e contribuendo in maniera determinante all’impressionante sviluppo economico e demografico (in una misura mai vista prima nella storia umana), ma anche della creazione di una vera e propria comunità internazionale, con enti e istituzioni. Dopo la caduta del muro di Berlino, lo spirito del GATT ha ispirato la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) di cui qualche anno dopo è entrata a far parte anche la Cina – cosa che ha avuto conseguenze non proprio in linea con gli auspici dei più ottimisti. Secondo molti studiosi, la liberalizzazione dei commerci è stata decisiva non solo per assicurare il benessere dei paesi industrializzati, ma anche nell’eliminare la povertà in molti paesi in via di sviluppo. Inoltre, in molti casi, il consolidamento di rapporti commerciali ha reso sempre meno “conveniente” l’opzione militare come strumento di risoluzione delle controversie. Così come il mercato comune europeo è stato determinante nell’as-

 L’impatto di dazi (e contro-dazi) sulla crescita (Fonte: elaborazione ISPI su dati Kiel Institute)

sicurare una pace duratura in un continente (l’Europa) in cui per secoli i paesi si erano fatti la guerra, così il commercio globalizzato ha fatto sì che le guerre divenissero non più la regola nei rapporti internazionali, bensì un’eccezione –per quanto drammatica e ad oggi tutt’altro che infrequente, come abbiamo visto nel numero di Vicenza Più dello scorso novembre.

Il contesto attuale

Fin qui il contesto storico. Ma qual è la situazione ad oggi? Qual è il contesto in cui i nuovi dazi decisi di Trump si vanno a innestare in modo così dirompente? Innanzitutto, dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti sono il singolo paese con l’economia più grande del mondo, che è anche – dato il loro elevatissimo reddito pro capite – un’economia estremamente basata sulle importazioni di merci. Come molti hanno fatto notare, la bilancia commerciale degli USA nei confronti dell’Unione Europea è negativa (cioè gli americani importano dall’UE più di

quanto esportino verso di essa) ma solo in termini di beni (prodotti), mentre dal lato dei servizi vale il contrario: è l’Europa ad importarne di più dall’America di quanti ne esporti verso gli States. Ma Trump ha scelto di concentrare le sue azioni (e la sua comunicazione) solo sui beni, motivando la scelta con la necessità di favorire le aziende produttrici americane. Una scelta che, dal punto di vista degli USA, riporta le lancette indietro di quasi un secolo, come mostra una tabella del settimanale The Economist: era dagli anni ’30 del Novecento che il livello dei dazi negli Stati Uniti non era così alto.

I dazi di Trump: rischi e incognite Ma, oltre al fatto di essere una misura molto “di rottura” rispetto al passato, c’è un altro motivo per cui osservatori e analisti sono molto preoccupati da questa nuova ondata di dazi. E il motivo è che quando vengono introdotti o aumentati, i dazi sui beni importati hanno un impatto molto pesante sull’economia

 La crescita del PIL nell’UE nel 2024 (Fonte: Youtrend su dati Eurostat)

dei consumi (leggi: sulle tasche dei cittadini), un impatto simile a quello che si avrebbe con un forte aumento

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delle tasse. In altre parole, ad essere indeboliti da queste misure di Trump saranno non solo le aziende

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esportatrici dei paesi presi di mira (tra cui quelli dell’Unione Europea) ma anche gli stessi cittadini statunitensi. Tutto questo, inevitabilmente, provocherà un rallentamento dell’economia, e probabilmente anche un aumento dell’inflazione. Secondo alcune stime, questo impatto si tradurrà, nel breve periodo (cioè fin da subito) in una minore crescita economica di alcuni decimali, sia negli USA che – ancor più – in Europa. Pochi decimali possono apparire poca cosa: ma in una fase in cui il tasso di crescita delle economie europee è stagnante (se non addirittura in recessione, come è il caso della Germania e di altri paesi) questo dei dazi potrebbe rappresentare un boccone troppo amaro da digerire. Per di più, la mossa di Trump mette l’Europa di fronte a un bivio: quali contromisure prendere? Reagire ai dazi americani adottando dei contro-dazi sulle importazioni americane? Colpire le grandi big tech made in USA attraverso un inasprimento della tassazione o delle regolamentazioni? La risposta non è semplice. Peraltro, le stesse analisi che prevedono un rallentamento dell’economia in seguito ai dazi di Trump, prevedono una situazione ancora peggiore in caso di contro-dazi speculari da parte dell’Europa. Un bel dilemma, di non facile soluzione.

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Sui dazi timori e divisioni tra gli italiani

Sul fatto che i dazi rappresentino un rischio per la nostra economia c’è una consapevolezza diffusa e trasversale tra gli italiani . Ma sulle contro-mosse da adottare emergono divisioni

Salvatore Borghese

Idazi entrati in vigore il 5 aprile 2025, decisi dall'amministrazione Trump, avranno verosimilmente gravi ripercussioni sull'economia globale, inclusa quella dell'Unione Europea e – ovviamente – dell'Italia. Ma questi dazi non influiranno solo sull'economia: anche sull'opinione pubblica vi saranno delle conseguenze. In Italia, il tema è visto con preoccupazione, tanto che i sondaggi mostrano che il 52% degli italiani considera i dazi una delle misure più temibili adottate da Trump, preoccupati per le possibili ripercussioni economiche.

Le fragilità italiane

Inoltre, l'export italiano rischia di subire danni, in particolare nei settori automobilistico, dell’acciaio e del vino, che potrebbero vedere aumentare i costi a causa delle tariffe. Le aziende italiane che esportano negli Stati Uniti potrebbero trovarsi in difficoltà, riducendo la loro competitività e le assunzioni, riducendo quindi l’occupazione. Un rischio di cui gli italiani sembrano consapevoli: un sondaggio condotto da SWG ha evidenziato che il 60% degli elettori ritiene che le politiche di Trump possano indebolire ulteriormente l'economia europea, accrescendo la preoccupazione per un rallentamento economico su larga scala. Quando si tratta di rispondere a queste sfide, tuttavia, i nostri concittadini non sembrano avere un'opinione univoca. Sempre secondo SWG, il 49% degli italiani preferirebbe che l'Unione Europea adottasse misure di ritorsione, come dei

contro-dazi, mentre il 51% sarebbe favorevole a un accordo di compromesso per limitare i danni.

Le ripercussioni sulla politica

Se le politiche di Trump dovessero danneggiare l’economia italiana, il Governo italiano potrebbe subire una perdita di consenso. Non solo perché l'incertezza economica, l'aumento della disoccupazione e i danni alle imprese potrebbero minare la fiducia dei cittadini nell'attuale esecutivo (specialmente se percepito come incapace di proteggere gli interessi nazionali), ma anche per la forte vicinanza politica manifestata – per non dire ostentata – da importanti esponenti della coalizione di governo nei confronti di Donald Trump.

Una conseguenza di ciò è che i giudizi degli italiani su Trump variano a seconda dell'appartenenza politica: gli elettori di centrodestra tendono ad avere un atteggiamento più favorevole verso l’inquilino della Casa Bianca, e ritengono che mantenere buoni rapporti con gli USA sia cruciale per l'Italia; al contrario, gli elettori di centrosinistra e le forze di opposizione sono decisamente più critici, vedendo nelle azioni di Trump

una minaccia per la stabilità economica e per i valori democratici.

Cosa dovrebbe fare il governo?

A questo proposito, un recente sondaggio di Youtrend per SkyTG24 ha chiesto espressamente agli italiani come dovrebbe comportarsi il nostro governo: il 48% ha indicato che l'Europa dovrebbe rafforzare la propria autonomia economica e militare, mentre il 37% ha preferito cercare un compromesso con gli Stati Uniti. Come prevedibile, anche in questo caso è emerso come gli elettori di centrodestra, per la maggior parte, sostengano la ricerca di un compromesso, mentre tra i sostenitori di centrosinistra prevale la linea del rafforzamento dell'autonomia europea. Al netto delle divisioni di parte, il dato di fondo è che le nuove politiche di Trump non solo mettono a rischio l'economia italiana, ma pongono interrogativi sul futuro delle relazioni transatlantiche. L'Italia si trova a un bivio: da un lato, cercare un compromesso con gli USA per minimizzare i danni; dall’altro, reagire con un’iniziativa comune europea per rilanciare il destino comune (economico e strategico) del nostro continente.

 Dazi: quali contromosse? (Fonte: sondaggio Youtrend per SkyTG24)

Dazi doganali, tra Trump e piattaforme cinesi: l’Unione europea alla prova del commercio globale

La guerra commerciale lanciata da Trump e l’invasione dei pacchi low-cost dalla Cina mettono sotto pressione il sistema doganale europeo . Ma chi decide i dazi? E come funzionano? Un viaggio tra regole, cifre e sfide geopolitiche, in un’Europa chiamata a difendere industria, ambiente e concorrenza

Il 2 aprile 2025, il “Liberation Day”, Donald Trump ha annunciato dazi reciproci nei confronti di tantissimi Paesi, compresa l’Unione europea, ennesimo atto della guerra commerciale che ha dichiarato ormai contro tutto il mondo. In particolare, le merci provenienti dall’Unione europea saranno sottoposte a dazi del 20%, mentre tutte le auto di produzione estera che vengono vendute in USA avranno un dazio del 25%. Questa decisione di Trump, millantata come risposta ai dazi elevati degli altri Paesi verso gli Usa, secondo gli analisti comporterà una recessione gravissima e la perdita di innumerevoli posti di lavoro. Conseguenze disastrose, insomma, per tutti gli attori coinvolti, tra cui gli Stati Uniti, perché in un mondo globalizzato in cui le catene di approvvigionamento industriale sono disseminate in varie parti del mondo, è impensabile che l’applicazione dei dazi non metta a repentaglio la stessa economia statunitense. Non per niente, fino a qualche anno fa, i dazi venivano ritenuti dagli economisti uno strumento economico superato e non più efficace.

Ad ogni modo, Trump non è l’unica sfida al commercio internazionale, su cui grava ormai da anni il connubio micidiale tra globalizzazione e piattaforme di e-commerce. Uno tra tanti, il caso dell’importazione di massa - perché altri aggettivi sono riduttivi dato che si parla di circa 4,6 miliardi di pacchi di basso valore prevalentemente provenienti dalla Cina nel solo 2023 - da piattaforme esterne come Shein e Temu, che ha spinto la Commissione europea a rivedere le regole esistenti in materia di dogane. Infatti, è notizia proprio di questo febbraio la volontà da parte del Berlaymont di eliminare l’esenzione dei dazi per i pacchi di

valore inferiore a 150 euro, per garantire una maggiore sicurezza sui prodotti importati, una maggiore tutela dell’ambiente e una concorrenza più equa nel mercato interno. La Cina, comunque, mette in difficoltà il mercato europeo anche oltre ai suoi grandissimi marketplace, ponendo seri rischi anche al mercato automobilistico. Anche in questo caso, l’Ue ha imposto dazi più elevati sui veicoli elettrici importati dalla Cina, con aliquote variabili a seconda del produttore, in risposta ai sussidi ingenti provenienti dallo stato cinese, che rendono i prezzi dei produttori cinesi estremamente competitivi rispetto a quelli Ue.

Le parole di von der Leyen confermano l'Ue verso l'imposizione di dazi nei confronti dei siti di e-commerce cinesi. Concorrenza sleale

Ma in sostanza, come funzionano questi dazi e chi li decide?

Innanzitutto, il sistema di dazi è competenza esclusiva dell’Unione europea, ciò significa che solo l’Ue può legiferare sulla materia. Il motivo di questa scelta è presto detto: l’Unione europea alla sua fondazione era soprattutto un progetto comune di pace, una pace data e garantita però, non da parole e speranza ma grazie all’integrazione economica e commerciale voluta dai Paesi fondatori inizialmente per carbone e acciaio. Per garantire questa integrazione economica, alla base di questo grande progetto che è l’Unione, uno dei molteplici strumenti di cui essa si è dotata è proprio l’Unione Doganale, ovvero, da una parte l’eliminazione delle dogane interne tra i Paesi membri, dall’altra la regolamentazione comune delle merci importate dai Paesi terzi. Il sistema di unione doganale, istituito nel 1968, garantisce la concorrenza leale tra l’Ue e gli altri Paesi - dotati magari di manodopera più economica e più materie prime - proteggendo l’industria europea e assicurando, allo stesso tempo, gettito fiscale. Il sistema di Unione doganale si basa sull’applicazione della Tariffa Doganale Comune (TDC), che viene applicata a tutte le merci provenienti

da Paesi non appartenenti all’Unione. In poche parole, sebbene non ci siano dazi alle frontiere interne tra gli Stati membri, viene applicata una tariffa uniforme, basata su criteri specifici (che verranno illustrati più avanti) per le importazioni da Paesi esterni. La TDC, in questo modo, ha semplificato e uniformato le procedure di importazione, facilitando così la libera circolazione delle merci all’interno del mercato unico.

Ma come funziona il calcolo della Tariffa Doganale Comune? Si basa su tre fattori: classificazione, valore e origine. Per quanto riguarda il primo, la classificazione delle merci, ad ogni prodotto viene assegnato un codice di 8 cifre specifico, grazie alla Nomenclatura Combinata (NC), uno stru-

mento fondamentale usato dall’Ue per classificare i beni. Questo codice è essenziale per identificare l’aliquota applicabile in base alla natura del bene. La Nomenclatura Combinata è un'evoluzione del sistema di classificazione del Sistema Armonizzato (HS), sviluppato dall'Organizzazione Mondiale delle Dogane, che permette però di adattare le esigenze tariffarie europee al suo mercato.

Il secondo elemento è il valore delle merci, i cui principi sono stabiliti nelle regole dell’Accordo sul Valore in Dogana dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il valore in dogana, solitamente basato sul prezzo di transazione, include anche costi accessori come trasporto e assicurazione, elementi fondamentali per un calcolo equo dei dazi.

Infine, l’origine delle merci gioca un ruolo cruciale, poiché l’Ue prevede aliquote diverse in base al Paese di provenienza, un aspetto particolarmente importante data la presenza di accordi commerciali che possono ridurre o anche direttamente eliminare i dazi.

Ogni azienda o produttore che vuole importare il proprio prodotto nei Paesi dell’Unione europea è tenuto a seguire delle precise procedure doganali. Il primo adempimento previsto è fornire alle autorità competenti una dichiarazione doganale. Essa contiene tutte le in-

 Polizia di Frontiera al varco doganale di Ventimiglia
 Container

formazioni riguardanti le merci che dovrebbero entrare nel territorio Ue, compreso anche il numero identificativo degli operatori economici - l’EORI, Economic Operators Registration and Identification. A questo punto, una volta completata e valutata la documentazione, le autorità procedono allo svincolo doganale, ovvero il processo che permette alle merci di circolare liberamente. È proprio in questo momento che vengono applicati - e quindi pagati - tutti i dazi imponibili, comprese le accise specifiche, previste per prodotti come tabacco e alcol, e l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA).

Ci sono poi situazioni che richiedono una certa flessibilità, che l’Ue riconosce e alle quali garantisce regimi speciali che prevedono riduzioni o esenzioni dai dazi. Un esempio è il regime di uso specifico, che comprende due fattispecie differenti: l’uso finale e l’ammissione temporanea. Nel primo caso, viene consentita in Ue l’introduzione per un tempo limitato di alcune merci con un’esenzione parziale o addirittura totale dai dazi. Questa opzione può essere usata, ad esempio, in caso di merci con fini espositivi nelle fiere commerciali o per favorire altri tipi di eventi, anche musicali. Nel secondo caso, per uso finale si intende la procedura doganale che consente l’immissione in territorio Ue di

merci a dazi ridotti o nulli in base al loro uso specifico. Questa procedura permette alle imprese stabilite nel territorio doganale dell'Unione di evitare spese di importazione per merci destinate a usi particolari, “come la costruzione di navi, la produzione di aeromobili per l'aviazione civile e la realizzazione di piattaforme di perforazione”, secondo quanto riportato dal sito della Commissione europea.

Ci sono poi prodotti di difficile reperimento in Ue, che per questo possono essere oggetto di sospensioni e contingenti tariffari. In questo senso, una quantità determinata

di queste merci può essere importata in Ue a dazio ridotto o nullo. Queste misure comunque vanno da considerarsi ad aiuto dell'industria locale, poiché garantiscono l'approvvigionamento di beni altrimenti difficili da recuperare.

Va specificato che i dazi doganali rappresentano una fonte importantissima del bilancio comune Ue, contribuendo circa del 14% alle cosiddette “risorse proprie tradizionali”, ovvero le principali fonti di entrate attuali per il bilancio dell'Ue dal 2021 al 2027. Insieme ai dazi, il resto di queste risorse è rappresentato dall’Iva, dai contributi diretti dei paesi dell'Ue, noti anche come contributi basati sul reddito nazionale lordo (RNL) e, dal 2021, anche da un’imposta calcolata sulla base dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati.

Il contesto attuale mette il sistema dei dazi doganali dell’Ue sotto crescenti sfide - come del resto mette sotto pressione ogni altro ambito della vita comunitaria e dei singoli Stati membri. Davanti ad alleanze sempre meno sicure e a un disegno geopolitico sempre più ingarbugliato è la cooperazione tra Stati membri che risulta essenziale per garantire l’efficacia dei progetti comunitari.

 Trump e la sua famosa tabella sui dazi
 La 'tabella pazza' di Trump

Lo “scambio” nella teologia cristiana è quello del dono della pace

Partendo da questo “modo di fare scambio” si può arrivare ad una ricchezza equa eliminando o riducendo le fasce di povertà

Se andassimo a leggere la voce scambio, nella versione online del Dizionario della Treccani, scopriremo come lo scambio sia un gesto che ha grande influenza nella nostra vita. Questa forma del cedere qualcosa in cambio di un’altra ha dato origine al baratto, azione con la quale lo scambio di oggetti veniva fatta sostanzialmente alla pari, senza il bisogno di definire un’unità di misura di valore monetario.

Alcuni economisti, tra i quali Adam Smith, lo ritengono la prima forma di commercializzazione. Successivamente questa forma di scambio “alla pari” ha cambiato modalità ed è diventata una cessione di un bene in cambio di moneta, aprendo così la strada ad una profonda trasformazione dello scambio che diventa così fonte di guadagno.

La generazione di ricchezza, che nasce da questa forma di commercializzazione che è diventato lo scambio, ha di fatto innescato una spirale dove ciò che conta è guadagnare il più possibile l’uno a scapito dell’altro, arrivando a generare anche forme di povertà e perdendo così il senso originario dello scambio.

Gli avvenimenti di questi giorni con l’introduzione o, meglio, con l’esasperazione dello strumento dei dazi, hanno iniziato a far riflettere molte persone, perché sostanzialmente queste “tariffe” hanno di fatto scatenato una guerra commerciale: può cambiare l’aggettivo ma il sostantivo rimane, si tratta di guerra.

In questo contesto la celebrazione dell’Eucaristia può aiutarci a ritornare alle origini dello scambio, del suo senso iniziale. Infatti, dopo la recita della preghiera del Padre Nostro, il sacerdote, dopo aver detto che la pace del Signore è con l’assemblea, continua con un invito: «Scambiatevi il dono della pace». Ecco la novità, lo scambio come dono, e il dono esprime la gratuità, non è un dare per ricevere o sperare di ricevere qualcosa in cambio. È un “dare” senza chiedere niente in cambio. Dare o donare per noi è la stessa cosa, ma ciò che li distingue o li diversifica è la fonte che è l’amore; infatti, alla base del dare c’è l’amore egoista che dà per avere qualcosa in cambio, magari maggiore di quanto dato. Mentre alla base del dono c’è l’amore oblativo che dà, meglio dona gratuitamente senza chiedere o sperare niente in cambio. Questa modalità ha la sua origine in Dio, il quale come ci ricorda Gesù «ha tanto amato il mondo da donare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3.16). La pace che siamo chiamati a donare è il dono che il Risorto fa alla sua Chiesa e non un prodotto delle relazioni umane, che ricevono luce nuova scambiandosi questo dono con un gesto che lo esprima e lo renda con-

creto. Il gesto indica qualcosa di molto più alto e non è l’oggetto proprio di ciò che viene reciprocamente offerto, non è la nostra pace che comunichiamo, né i buoni sentimenti e i pii desideri, ma la pace che sgorga dalla Pasqua di Cristo, è il suo dono di Risorto: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi"» (Gv 20,19-21). È da questo dono che il mondo deve ripartire, se vuole veramente iniziare un’epoca di pace, dove non prevalga più la legge del più forte alimentata dal cercare sempre più ricchezza a scapito degli altri. È partendo da questo “modo di fare scambio” che si può arrivare ad una ricchezza equa eliminando o riducendo le fasce di povertà.

Capisco che tutto questo è utopia, ma l’utopia rimanda alla speranza e senza speranza l’uomo smette di sognare e muore, anche se apparentemente è vivo, perché ciò che muore è il suo “io” interiore, e questo provoca scelte sbagliate.

La parola agli imprenditori: «Dopo il pugno della guerra, ora gli schiaffi dei dazi . Siamo molto preoccupati perché sarà una reazione

a catena»

Parla Mauro Ferrazza, imprenditore vicentino che esporta impianti di automazione industriale in tutto il mondo

Imprenditore di seconda generazione Mauro Ferrazza, originario di Valdagno ma titolare di un’azienda a Cereda, frazione di Cornedo Vicentino, è davvero molto preoccupato. Probabilmente più della situazione in generale che non di quella della propria azienda, non fosse altro che i conti deve ancora farli con precisione per capire bene quanto anche la sua attività potrà risentire dei dazi americani.

“In questo momento – afferma Mauro Ferrazza – siamo sicuramente in forte apprensione per i dazi statunitensi anche perché, fatalità, proprio in questi giorni siamo in fase di trattativa per chiudere un contratto per una fornitura di impianti ad un’azienda americana e ancora non sappiamo che cosa ci aspetta in questo preciso momento. Praticamente è come aver fatto una doccia fredda.

Se da una parte – prosegue Ferrazza – sappiamo che ad essere colpiti maggiormente sono i beni di consumo legati al commercio, dall’altra viviamo nella più totale incertezza perché non abbiamo contezza del danno economico che potrà colpire i prodotti come i nostri che sono destinati alle industrie”.

D’altronde la Ferrazza, azienda fondata nei primi Anni ’80 e che può vantare la presenza di ben duemila suoi impianti in quaranta pesi del mondo, lavora per com-

parti che la mazzata dei dazi USA la sentiranno eccome, vedi l’automotive, l’agroalimentare, il packaging ed il meccanico.

Se anche i dazi non dovessero colpire direttamente il nostro settore – analizza attentamente Ferrazza che nel 2016 è stato premiato come imprenditore d’eccellenza da Confartigianato Imprese Vicenza – bisogna considerare che potrebbe esserci comunque una reazione a catena. Prendiamo ad esempio un’azienda che produce vino e che vede calare drasticamente o addirittura azzerare il suo business negli Stati Uniti. Allo stesso tempo aveva progettato di rinnovare il suo impianto di produ-

zione; secondo voi quell’investimento lo farà ugualmente o sarà indotta a fermarsi?

Il nostro attuale volume d’affari con l’America non è elevatissimo ma il partner con cui collaboriamo ha un giro economico con l’Italia consistente importando beni per un milione e mezzo”.

Per capirci, la sua ditta produce non solo sistemi di automazione industriale ma anche quadri elettrici, installa impianti elettrici, fornisce revamping, software applicativi, ingegnerizzazione e sviluppo. Lui stesso investe costantemente nella formazione e nell’aggiornamento suo e del proprio personale come punto

 Mauro Ferrazza (Ferrazza Srl) con clienti russi

di forza nelle tecnologie avanzate. Anche per questo riesce ad avere un pensiero lucido e pragmatico sulla situazione attuale.

“Noi in Europa ci troviamo in una situazione davvero difficile perché dopo la grande fregatura della guerra adesso prendiamo schiaffi dall’al-

tra parte dell’Oceano. Il conflitto provocato dall’invasione della Russia in Ucraina ha provocato effetti devastanti anche sul nostro export, perché avevamo impiegato più o meno vent’anni per costruire saldi rapporti economici, ma nel giro di un mese è stato cancellato tutto. Lo stesso vale

per i dazi, pensare di perdere il mercato americano è davvero una follia e non ce lo possiamo permettere per cui mi auguro che possano esserci delle trattative tra l’UE e gli Stati Uniti. Anche perché non è da escludere che possano portarsi a casa le tecnologie necessarie per costruirsi da sé tutti gli impianti di cui necessitano.

Dobbiamo cercare di reagire molto velocemente e crearci delle alternative con investimenti su altri mercati come stiamo facendo anche noi in Ferrazza; tra questi il Medio Oriente, il Sudamerica ed ora anche l’Australia. Sono mercati in espansione che possono dare molte soddisfazioni, al di là di alcune difficoltà dovute alla distanza e al fuso orario, ad esempio. Nel 2020, con il primo governo Trump, gli Stati Uniti avevano spinto molto nel riportare a casa certe produzioni rafforzando gli investimenti su alcune fabbriche ma gli investimenti esteri erano comunque proseguiti. Adesso con i dazi si rimette tutto in discussione”.

 L'azienda Ferrazza, esterno (in alto) e interno

Parola d’ordine di Confartigianato Vicenza: diversificare i mercati facendo di necessità virtù

L’intervento del presidente Gianluca Cavion, vice presidente della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Vicenza

Itanto temuti dazi americani sono diventati una realtà e ciò avrà delle inevitabili ripercussioni anche per le imprese vicentine di molti settori, dall’agroalimentare al fashion, dall’orafo al meccanico, solo per citarne alcuni.

Le nostre stime prevedono che nel 2025 l’export della nostra provincia subirà un calo del 17% circa per cui dobbiamo cercare delle alternative. Chi è maggiormente esposto sul mercato americano dovrà fare ragionamenti importanti e guardare a mercati alternativi seguendo anche ciò che stiamo facendo. Come Confartigianato Imprese Vicenza abbiamo iniziato, in tempi non sospetti, a lavorare intensamente per diversificare i mercati andando oltre a quelli di Germania e Stati Uniti, rispettivamente il primo ed il secondo per volume d’affari.

Quando si lavora a breve distanza o con partners abituali non si cerca altro ma se improvvisamente capita un terremoto allora si comincia a guardare anche più lontano e a nuovi orizzonti. È quanto sta accadendo, ed accadrà, agli imprenditori berici che dovranno fare di necessità virtù.

Recentemente abbiamo organizzato degli incontri dedicati a nuovi mercati in forte sviluppo per permettere alle nostre aziende di investire in modo alternativo; ab-

biamo aperto dei desk con le Camere di Commercio in Russia, Cina, India, Brasile e Guatemala. L’ultimo meeting è stato dedicato al Sudafrica, un mercato ancora poco sfruttato anche se comunque Vicenza è la seconda provincia per l’export dopo Milano. La distanza è notevole ma con la tecnologia attuale, le piattaforme digitali dedicate e una base ben consolidata sul posto che può fare da tramite, anche il paese africano può rappresentare uno sbocco importante. Non ci dobbiamo scoraggiare ma impegnarci a trovare delle soluzioni perché da questa vicenda rischiamo di uscirne tutti penalizzati, in particolare il ceto medio che vedrà una possibile instabilità nel mondo del lavoro e

la crescita dell’inflazione con l’aumento dei costi.

Chi avrà più problemi saranno le piccole e medie imprese che esportano prodotti di largo consumo perché i grossi brand non risentiranno troppo dei dazi. Un ricco americano che aveva intenzione di comprarsi una Ferrari non cambierà certo idea mentre un operaio o un insegnante il problema se lo pone. E a proposito del settore Automotive, un altro dove Vicenza ha un ruolo importante, i dazi americani incideranno molto su questo comparto che era già andato in crisi con le politiche europee del Green Deal, forse ancor più devastanti della decisione presa dal presidente americano Trump.

Gianluca Cavion
 Il presidente di Confartigianato Vicenza Gianluca Cavion, vice presidente della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Vicenza

 La guerra dei dazi

I dazi di Trump: per USB Veneto la risposta non può limitarsi a strategie di “diversificazione dei mercati”
Massimo D’Angelo, rappresentante legale Usb Lavoro Privato Veneto: « basta basare la nostra economia solo sull’export e sulla compressione salariale!”

L’introduzione dei dazi sulle merci europee da parte dell’amministrazione Trump rappresenta un attacco diretto ai lavoratori e alle lavoratrici del nostro Paese. Ancora una volta, le logiche della competizione globale e degli interessi economici dei grandi gruppi industriali rischiano di scaricare i costi sulle spalle di chi produce, crea valore e tiene in piedi il sistema produttivo. Le conseguenze di questi provvedimenti sono già tangibili: migliaia di posti di lavoro sono in bilico, soprattutto nei settori più esposti all’export verso gli Stati Uniti — dall’agroalimentare alla moda, dall’oreficeria al meccanico, fino all’automotive. Il rischio concreto è che siano proprio i lavoratori a pagare il conto di queste scelte. Le stime, per la sola provincia di Vicenza, parlano di un calo dell’export del 17% nel 2025. Ma la risposta non può limitarsi a strategie di “diversificazione dei mercati”. Se da un lato è importante guardare a nuove destinazioni commerciali, dall’altro è urgente un cambio di paradigma: basta basare la nostra economia solo sull’export e sulla compressione salariale! Siamo di fronte a

una crisi strutturale del modello economico neoliberista, che in nome della competitività internazionale chiede allo Stato di mettere risorse pubbliche al servizio dei grandi gruppi industriali, mentre ignora i bisogni del mercato interno, dei salari, del welfare. Le stesse politiche europee, con il Green Deal applicato in chiave punitiva per le industrie e i lavoratori, si inseriscono in questa logica: vincolare, reprimere, ridurre il costo del lavoro, privatizzare tutto ciò che è ancora pubblico. In questo scenario, la risposta del governo italiano è emblematica: non si interviene per tutelare l’occupazione, non si aumenta il potere d’acquisto delle famiglie, non si investe nei ser-

vizi pubblici. Si accelera, invece, l’approvazione del DDL Sicurezza, trasformandolo in decreto, per dotarsi di strumenti repressivi utili a contrastare un dissenso sociale che inevitabilmente crescerà. Una scelta grave, che rivela la vera natura delle priorità di chi ci governa. Di fronte a questa escalation, il movimento sindacale non può restare a guardare. Non possiamo accettare che la crisi venga pagata da chi lavora, da chi produce, da chi è già colpito dall’inflazione e dalla precarietà. Serve una risposta forte, collettiva, determinata: su i salari, giù le armi contro le guerre economiche e militari, per un futuro di giustizia sociale e lavoro dignitoso.

 Massimo D’Angelo, rappresentante legale Usb Lavoro Privato Veneto

VicenzaPiùViva

Il Veneto stritolato tra Usa, Europa e Italia, ma anche no: due visoni in Regione

Nell’ambito di questo longform di approfondimento sui dazi, e nell’ottica di ricollegare le faccende internazionali al nostro territorio abbiamo contattato due rappresentanti della Regione Veneto per discutere di dazi, alla luce delle nuove imposizioni americane: l’assessore trevigiano Federico Caner (Lega Salvini Premier), che a palazzo Balbi ha la delega a Commercio

Dazi Usa e Veneto

.

Federico

estero, Agricoltura, Turismo e Fondi UE, e la consigliera regionale vicentina Chiara Luisetto (Pd), componente della prima commissione in materia di politiche istituzionali, politiche dell'Unione europea e relazioni internazionali, politiche di bilancio e di programmazione

Quando ci leggerete magari alcune questioni avranno avuto e staranno avendo delle evoluzioni ma le opinioni dei due politici saranno utili in ogni caso per capirle e inquadrarle nella loro visone politica.

Caner: “Serve accordo con la Commissione, il mercato con gli Usa va tutelato”

Il Veneto è una regione a forte vocazione commerciale e una delle prime per export negli USA, i dazi annunciati da Trump potrebbero creare grossi problemi alla nostra economia. Qual è la posizione della Regione e come si può contrastare questa guerra commerciale?

La nostra posizione è di preoccupazione, in linea con le richieste dei nostri esportatori che operano in varie materie e categorie merceologiche. Noi stiamo cercando di agire, non direttamente come Regione Veneto presso gli Stati Uniti – perché non abbiamo competenza diretta – ma interfacciandoci con i vari ministeri e l'Istituto del Commercio Estero, grazie anche al Dottor Zoppas. L’obiettivo è contenere l’impatto dei dazi che, se confermati (alcuni settori potrebbero addirittura vedere incrementi del 200%),

metterebbero in seria discussione le nostre esportazioni. Nel caso in cui l’incremento sia inferiore (intorno al 20%), i prodotti ad alto valore aggiunto potrebbero assorbire meglio il dazio. Ad ogni modo, abbiamo già comunicato al Ministero la necessità di lavorare con la Commissione europea per trovare un accordo con l’amministrazione americana. È fondamentale evitare che i dazi vengano applicati in maniera disomogenea: ad esempio, il settore vitivinicolo, quello della meccanica o delle forniture mediche – compresa l’occhialeria, di cui il Veneto è un importante esportatore – potrebbero essere colpiti in maniera particolarmente dannosa. Il governo sta cercando un dialogo diretto con gli Stati Uniti per evitare che sui prodotti in cui l’Italia è maggiormente esportatrice vengano applicati dazi che potrebbero penalizzarci.

 Federico Caner, assessore Regione Veneto

Avete già una stima del danno? Ho letto che la Valpolicella ha già fermato le esportazioni di vino;

qual è la stima per l’economia veneta?

Non possiamo prevedere con certezza l’impatto economico poiché non conosciamo ancora l’entità del dazio (ndr quest'intervista si è svolta precedentemente all’annuncio di Trump). Tuttavia, posso dirle che attualmente il Veneto conta esportazioni per 7,3 miliardi di euro negli Stati Uniti. Di questi, una parte rilevante – oltre il milione e mezzo – proviene dalla meccanica, un miliardo e due dell'occhialeria e circa un miliardo dal settore agroalimentare. Dal 2019 al 2024 le esportazioni verso gli USA sono cresciute del 30%, tanto che l’amministrazione americana ha evidenziato uno squilibrio nella bilancia commerciale. Aspettiamo l’uscita ufficiale, ma spero in un accordo tra Commissione Europea e Stati Uniti perché un mercato del genere nei confronti di un solo Paese va tutelato.

In generale, come viene approcciato in Regione il tema del commercio estero e delle relazioni internazionali? Si pensa anche a mercati alternativi, tipo quello cinese, nel caso il mercato americano si restringa?

Assolutamente sì. Stiamo spingendo su vari settori, compreso quello agro-

alimentare, e puntiamo attivamente sul mercato cinese, oltre a quelli del Sud-Est asiatico e dell’Est asiatico. Inoltre, in altri settori come turismo e agricoltura, stiamo esplorando nuovi mercati, inclusi quelli europei. Ritengo che, una volta superata la crisi legata alla guerra in Ucraina o alle tensioni con la Russia, il mercato russo – dove da sempre siamo fornitori importanti – ripartirà e anche il mercato indiano sta mostrando ottime performance. A sostegno di questa strategia, la nostra legge regionale per la promozione economica e l’internazionalizzazione ha quasi raddoppiato il numero di imprese coinvolte, passando da 282 nel 2022 a 450 nel 2024, grazie anche a accordi e partecipazioni a manifestazioni internazionali. Il nostro programma di interventi, disciplinato dalla legge regionale 48 del 2017, copre tutto il mondo. Con l’accordo con l’Union Camera raccogliamo le richieste delle imprese e finanziamo interventi cofinanziati dalle Camere di commercio. In queste missioni economiche, promuoviamo i nostri prodotti e, in parallelo, solleviamo tematiche normative, come l’applicazione dei dazi sui prodotti. Tuttavia, è l’Unione Europea che impone i dazi e

deve negoziare con altri stati. Noi facciamo pressione sul Ministero, che a sua volta dialoga con la Commissione Europea e con la Presidente Meloni, per tutelare le produzioni italiane.

In generale, cosa pensa del fatto che l’Unione Europea abbia competenza esclusiva sul commercio estero? È un fattore positivo o porta a svantaggi per i singoli Stati o territori?

Ci sono pro e contro. Il vantaggio è avere un grande mercato unico europeo, con un potere negoziale superiore a quello dei singoli Stati. Tuttavia, lo svantaggio sta nel peso specifico dell’Italia: se l’Ue decide di applicare i dazi su determinati prodotti, potremmo essere colpiti in modo sproporzionato. Ad esempio, se i dazi incidessero sul vino – in cui l’Italia è leader –saremo maggiormente penalizzati rispetto ad altri paesi come Germania o Francia, che hanno altre produzioni più rilevanti. È quindi fondamentale che l’Europa adotti una posizione equilibrata e tuteli tutte le produzioni degli Stati membri, evitando scelte che penalizzano specifici settori.

 Sinergia per mercato nordamericano fra Trentino, Veneto e Lombardia, progetto “Garda Unico”; nella foto Roberto Failoni, Barbara Mazzali e Federico Caner
 Federico Caner, assessore Regione Veneto a Commercio estero, Agricoltura, Turismo e Fondi UE
Dazi USA e Veneto . Chiara Luisetto (Pd), “Il governo tentenna, bisogna decidere se smarcarsi da Trump e fare l’interesse nazionale o continuare a esitare”

Trump ha annunciato i famigerati dazi reciproci e il Veneto è una delle regioni italiane che esporta di più in America, qual è il piano in Regione per attutire questo colpo?

Partiamo dal fatto che siamo a pochi giorni dall'apertura del Vinitaly e che il comparto del vino veneto, tra i principali mercati di esportazione come gli Stati Uniti, vale circa 3 miliardi di euro ed è cresciuto dal 2023 al 2024 del 7,3%. L'impatto dei dazi non riguarda solo il settore vinicolo, ma anche l'agroalimentare, la farmaceutica, l'automotive e tutta la tipica capacità produttiva veneta. Insomma, si tratta di una crisi peggiore di quella del 2008, della pandemia e della guerra in Ucraina, una bomba innescata in maniera unilaterale e pesante. Tuttavia, non vedo che la Regione stia mettendo in campo alcuna azione strategica. Il presidente Zaia, nelle sue dichiarazioni, si è limitato a commentare la situazione senza attuare vere contromisure. Ovviamente servirebbero misure statali, ma anche a livello nazionale non si intravede una strategia chiara. Ho letto le dichiarazioni del governo spagnolo: Madrid sta attuando un piano sinergico tra sindacati e imprese per affrontare l'impatto dei dazi. In Italia, invece, il governo sembra balbettare e non difendere realmente gli interessi del Paese, anche perché ha sostenuto e continua a sostenere un presidente degli Stati Uniti che è direttamente responsabile di questa situazione. Bisogna decidere se smarcarsi da Trump e fare l’interesse nazionale

o continuare a esitare. Ad oggi, né a livello regionale né a livello nazionale vedo una linea chiara di difesa delle imprese venete e italiane.

Quanto costeranno effettivamente questi dazi al Veneto? Ci sono dati preliminari o studi regionali che possono fornire una stima dell'impatto economico? Ecco due dati significativi: agroalimentare, farmaceutica, bevande, auto e trasporti subiranno, secondo le proiezioni, una riduzione media dell’export del 16,4% su base nazionale, e il Veneto non farà eccezione: questo significa, a spanne, una perdita di circa 50.000 posti di lavoro. Prendiamo il caso del vino: solo nel 2024, il Veneto ha esportato circa 180 milioni di bottiglie di Prosecco, con un aumento rispetto al 2023. Ora stiamo dicendo che ci sarà una riduzione media del 16,4%, ma in alcuni settori sarà ancora

peggiore. Quando il presidente Mattarella afferma che i dazi sono un errore profondo e che serve una risposta compatta dell’Unione Europea, lo dice perché è chiaro che le nostre realtà produttive rischiano moltissimo. Inoltre, il settore manifatturiero veneto rappresenta il 50% dell’economia regionale e ha un peso fondamentale. Dai dati forniti da Confartigianato Veneto, il 56,7% delle imprese manifatturiere venete – parliamo di 50.846 aziende – sono artigiane. Se gli Stati Uniti impongono dazi pesanti, queste aziende subiranno un impatto devastante, con ripercussioni su famiglie e posti di lavoro nel mediolungo periodo, soprattutto per quanto riguarda il lavoro femminile.

Il governo dice che aprirà un tavolo di trattativa. Questa può essere una soluzione?

No, perché la trattativa con chi ha dichiarato una guerra

 Chiara Luisetto (PD) in Consiglio regionale

VicenzaPiùViva

commerciale è una posizione di estrema debolezza. Il governo italiano non sta prendendo una posizione chiara per difendere gli interessi nazionali. Per anni ci hanno detto "Prima i Veneti", "Prima l’Italia", e ora, quando ci mettono dazi al 20% e ci dicono che dobbiamo quasi ringraziare perché "abbiamo derubato gli Stati Uniti" il governo del “prima noi” non sta dicendo una parola per difenderci e tentenna al posto di prendere una posizione chiara. Pensare di andare a trovare Trump a Mara-lago e chiedere uno sconto del dazio non è la soluzione, perchè passare dal 20% al 18% non cambia la sostanza: le imprese venete e italiane continueranno a soffrire. Anche in Regione il presidente Zaia si sta limitando a fare la radiocronaca suggerendo solamente un dialogo. Il governo dovrebbe seguire l’esempio del presidente Mattarella e assumere una posizione chiara e compatta contro queste misure punitive.

In generale, come viene gestita in Regione la questione del commercio estero e delle relazioni internazionali?

La Regione ha poteri limitati, ma dovrebbe comunque sviluppare una strategia chiara. Vi faccio due esempi concreti. Il primo riguarda un provvedimento per l’attrattività degli investimenti esteri, approvato di recente con 40 milioni di euro di fondi europei (ancora una volta la Regione non ha messo un euro di suo), che non ha una direzione strategica e non ha definito un piano per attrarre investimenti mirati. Al contrario, l’Emilia-Romagna, ad esempio, ha adottato strategie precise, come lo sviluppo dei big data e delle energie rinnovabili. Il Veneto, invece, va avanti senza un piano chiaro, adottando misure a pioggia senza una vera programmazione dello sviluppo economico. Un ulteriore esempio riguarda la gestione delle relazioni internazionali: alcuni mesi fa, in commissione bilancio,

La guerra dei dazi

 La Consigliera regionale Chiara Luisetto (Pd)

è emersa la proposta – portata da una dirigente della Regione – che il Veneto uscisse dalla Fondazione Italia-Cina, una realtà con un board composto da fondazioni bancarie, rappresentanti di altre Regioni e altre realtà imprenditoriali di rilievo. Questa fondazione ha il compito di mantenere i rapporti tra Italia e Cina ed è stata proposta come strumento di collegamento strategico con un costo annuo di circa 10.000 euro, una cifra trascurabile se paragonata al bilancio della regione (18,5 miliardi di euro). Informandomi sul caso ho scoperto che la Fondazione non riusciva a contattare nessuno in Regione da due anni e mezzo, mentre con altre Regioni ha sviluppato piani strategici utili; ad esempio una collaborazione in Emilia Romagna che favorisce il turismo durante la stagione invernale di giovani ragazzi cinesi in riviera. Alla fine, l’assessore al bilancio ha ritirato il provvedimento, spiegando però che era stato proposto perché il Veneto, una piccola Regione, gestisce le relazioni con la Cina, un Paese colosso, in autonomia, che è allucinante e da la misura della superficialità con cui si trattano le cose in questa regione.

Pausa vignetta
Il generale vicentino in pensione Maurizio Boni si discosta dal pensiero mainstream
«Non avremo ulteriori invasioni territoriali della Russia in Europa .
Ma la guerra fredda si evolverà nelle componenti strategiche, cyber e spaziali» .

Se lo ricorda bene quel giorno di dicembre del 1992, quindi tre anni dopo la caduta del muro di Berlino, e si ricorda anche il nome del capo della delegazione militare ungherese, il generale Jànos Kovàcs.

L’Ungheria aveva ormai lasciato il Patto di Varsavia e si accingeva ad entrare nella NATO per cui non aveva più nulla da nascondere, nemmeno i piani di invasione dell’Italia studiati dall’Unione Sovietica, spiegati nei dettagli. «E le difese aeree che avevamo all’epoca nel nostro Paese, probabilmente, sarebbero risultate inutili». Ce l’ha confidato a margine di una nostra intervista Maurizio Boni, vicentino di 65 anni, generale in pensione, grande esperto e conoscitore degli scenari militari internazionali con esperienze in Inghilterra e Portogallo. Ora scrive e divulga temi su politiche in tema di sicurezza e difesa.

Insomma, i russi non scherzavano, allora come adesso. Nella guerra fredda degli Anni ’90 e nella guerra di invasione dell’Ucraina negli ultimi tre anni. È un pensiero che non segue il “mainstream” principale il suo, anzi va un po’ controcorrente, tanto che ha voluto premetterlo prima di iniziare il nostro dialogo.

 Il tavolo bilaterale Russia-Ucraina avvenuto in Bielorussia poco dopo l'invasione ma che non trovò accordi per la pace

«Il confronto strategico tra NATO e Russia si è sviluppato nel tempo – afferma Maurizio Boni – basta analizzare tutto quello che è stato il periodo dopo la guerra fredda. C’è stata una visione dei neoconservatori americani che ha drogato il rapporto con la Russia, se pensiamo che negli Anni ’90 per molti la Russia doveva far parte del sistema di sicurezza occidentale. Poi sono state fatte altre scelte e siamo andati alla deriva da questa visione. Sono stati fatti cinque sostanziali errori da parte dell’occidente, in particolare da coloro che dettano le linee strategiche (Stati Uniti e Gran Bretagna) e dai paesi che storicamente hanno avuto problemi con la Russia, vedi la

Polonia, gli stati baltici ma anche la Germania».

Secondo Boni i 5 errori “capitali” sono stati:

1. Pensare che la Russia sarebbe rimasta un partner strategico.

2. Credere che l’allargamento della NATO e dell’UE sarebbero stati compatibili con gli interessi russi.

3. Immaginare che la NATO avrebbe avuto mesi di preavviso in caso di attacchi convenzionali nei propri territori, facendosi trarre in inganno dal calo degli investimenti militari russi.

4. Illudersi che le crisi all’interno e all’esterno del continente europeo sarebbero state di modesta

VicenzaPiùViva

entità, lente nel loro sviluppo e scevre dalle manipolazioni delle grandi potenze.

5. Ipotizzare che il ruolo principale della NATO sarebbe stato quello della gestione delle crisi e non quello della difesa collettiva (articolo 5).

Per Maurizio Boni questi sono stati i capisaldi del pensiero americano, ampiamente sposato da tutta l’Alleanza Atlantica fino al 2014, anno dello shock strategico della conquista della Crimea da parte dei russi, che ha fatto capire chiaramente che i presupporti erano sbagliati.

Il suo ragionamento arriva fino al 2008 quando viene offerta a Georgia e Ucraina la membership con la NATO: dal quel momento i russi capiscono che è stato marcato il punto di non ritorno e che non c’è nessuna volontà di fermarsi da parte dell’Occidente.

«Georgia e Ucraina sono la cintura di sicurezza russa, la loro zona cuscinetto – analizza il generale Boni –perchè fanno parte dei territori delle ex Repubbliche Sovietiche sulle quali intende esercitare la sua influenza strategica, per cui non accetterà mai che l’Ucraina entri nella NATO. Per loro è un fatto esistenziale»

In effetti anche una recentissima inchiesta del New York Times ha evidenziato la responsabilità americana nella condotta della guerra, un test per tentare di far cadere il governo russo, sconfiggendoli militarmente in Ucraina e metterli fuori gioco nei rapporti di potere con i cinesi.

MAURIZIO BONI, Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito (ris.), è nato a Vicenza nel 1960. È stato il Vicecomandante del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO a guida inglese di Innsworth (Regno Unito), Capo di stato maggiore del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO a guida italiana di Solbiate Olona (Varese), nonché Capo Reparto Pianificazione e Politica Militare dell’Allied Joint Force Command di Lisbona. Ha comandato la Brigata Pozzuolo del Friuli a Gorizia, l’Italian Joint Force Headquarters a Roma e il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito a Civitavecchia. È stato Capo Ufficio Dottrina e Addestramento dello Stato Maggiore dell’Esercito e Vice-Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è opinionista di “Analisi Difesa” Web Magazine ed è divulgatore di temi concernenti la politica militare e di difesa. È autore dei libri “La Dimensione Politico Militare della OSCE” (2009), “Il Comprehensive Approach della NATO – L’approccio omnicomprensivo alla gestione delle crisi” (2019) e “L’Esercito russo che non abbiamo studiato – Le operazioni militari terrestri dell’Esercito della Federazione Russa in Ucraina” (2023). Il profilo completo è disponibile su https://www.linkedin.com/in/mboni/

Dopo il successo del suo primo libro sulla Guerra russo-ucraina, “L’esercito russo che non abbiamo studiato”, l’autore prosegue il percorso di analisi del conflitto proponendo un’analisi aggiornata della sua evoluzione alla luce degli sviluppi più recenti. Con un approccio approfondito e non riservato ai soli esperti, il nuovo testo offre una prospettiva critica dello strumento operativo russo, inteso come espressione della politica estera di Mosca, alla luce delle sue dottrine d’impiego e del suo potenziale industriale militare. Inoltre, oltre a fornire elementi di valutazione riguardanti le capacità operative delle forze armate di Kiev, il libro esamina il complesso panorama informativo della comunicazione strategica occidentale che coinvolge la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati. Una risorsa indispensabile per chiunque desideri comprendere, in maniera approfondita e accessibile, una guerra che ha ridefinito gli equilibri geopolitici globali.

«Anche il trattato di Istambul –prosegue Boni – che stava per essere firmato nel 2022 pochi mesi dopo l’offensiva russa e che prevedeva un piano di pace, è stato ostacolato da Stai Uniti e Gran Bretagna che hanno fisicamente impedito a Zelensky di sottoscriverlo; avrebbe impedito distruzione e morte.

€ 28,00

Dal canto suo Putin riprende la dottrina di Primakov, ex ministro degli esteri russo, che mira a far ri-

prendere alla Russia quell’influenza forte sui territori della Federazione, che aveva prima di Eltsin e Gorbaciov. Per fare ciò ha dato a Gerasimov, capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe, l’incarico di ristrutturarle avviando un processo di trasformazione con grandi investimenti tecnologici a discapito, ad esempio, del reclutamento di nuovi soldati, visti anche i problemi demografici che colpiscono pure la Russia. Ora si punta su operazioni di destabilizzazione dei governi e l’esempio arriva proprio da quanto accaduto nel 2008 in Georgia dove in cinque giorni la Russia ha sconfitto i ribelli con una forza militare ridotta e una massiccia azione di disinformazione e comunicazione strategica che riesce a manipolare, in qualche modo, l’opinione pubblica portata dalla parte dei russi. L’azione in Crimea nel 2014 è il modello georgiano ampliato e migliorato con infiltrazioni di elementi filorussi che in 48 ore occupano tutti gli edifici giocando molto sull’elemento sorpresa. Stessa cosa stava per accadere in Ucraina con l’infiltrazione di elementi filorussi nelle sedi istituzionali ma la cosa non è andata in porto solo perché gli inglesi hanno capito cosa stava accadendo e hanno avvisto Zelensky.

I decisori europei non hanno mai studiato e capito quello che è accaduto nel recente passato ed ora siamo in grave difficoltà, anche perché

chi ha preso quelle decisioni non vuole ammettere di aver sbagliato. Stiamo subendo l’iniziativa di una piccola parte di Unione Europea che intende sconfiggere militarmente la Russia, basta vedere la posizione più volte affermata ufficialmente dall’estone Kaja Kallas, vicepresidente della Commissione europea. Personalmente ne ho scritto anche nel mio ultimo libro La guerra Russo-Ucraina, strategie e percezioni di un conflitto intra-europeo

La Russia fino a che punto avanzerà in Ucraina?

«Secondo me l’idea che i russi vogliano proseguire, in caso vincano in Ucraina, il loro sforzo bellico non è un’ipotesi sostenibile. Ottenuto ciò che volevano a est, non hanno alcun interesse a proseguire a ovest di Dnipro dove troverebbe gli ucraini storicamente più ostili ai russi. Bisogna ricordare che nella seconda guerra

I Saggi di Domus Europa

LA GUERRA

RUSSO-UCRAINA

Strategie e percezioni di un conflitto intraeuropeo

Maurizio Boni

mondiale i nazisti ucraini legati al distretto della Galizia del Reichskommissariat Ukraine hanno combattuto contro l’Armata russa. Se ora Putin si spingesse in questi territori troverebbe scenari di guerriglia urbana modello Afghanistan e Iraq. Quelli che sta conquistando ora sono invece tereni filo russi dove due milioni e 852 mila cittadini ucraini sono fuggiti in Russia, perché là vogliono stare”.

È da escludere la volontà di aggredire altri paesi europei?

Proseguire l’offensiva oltre l’Ucraina non porterebbe ad alcun vantaggio per la Russia, primo perché farebbe scattare l’applicazione dell’articolo 5 della NATO, ovvero l’avvio di una difesa collettiva e poi perché agli occhi dei nuovi partners come Cina, India e alcuni paesi africani sarebbe una cosa inaccettabile e ne perderebbe in credibilità. La Russia ha mezzi militari importanti con missili balistici e nucleari e una componente strategica non convenzionale notevole, sia cyber che spaziale. L’Europa, che ora intende riarmarsi, probabilmente non riuscirà comunque a pareggiare il potenziale russo. Quindi non aspettiamoci che i carri armati entrino a Varsavia o a Berlino, ma che la guerra fredda prosegue sfruttando tutte cose non convenzionali, quello sì”.

Vicenza potrebbe rischiare qualcosa o adesso che non ci sono più siti può sentirsi tranquilla?

È vero che nel nostro territorio sono stati smantellati tutti i siti militari esistente durante la guerra fredda, ma ricordiamoci che abbiamo sempre due basi militari americane e, potenzialmente, sono obiettivi possibili?

Strategicamente, in Europa, quelli più “appaganti” sono in Germania

perché in Italia abbiamo solo Aviano come punto rilevante. Ma pensare ad un attacco russo ce ne vuole.

È pensabile una riattivazione di alcuni siti strategici e cosa potrebbe comportare per il territorio?

Intanto ripristinare un sito dismesso necessita del consenso da parte del Governo, con tutto ciò che comporta, per cui la ritengo una cosa praticamente impossibile. La contrapposizione tra est ed ovest faceva parte di uno scenario operativo che oggi non esiste più e non è più ripetibile perché non dobbiamo più condurre una battaglia difensiva sul territorio italiano. Oltretutto servirebbe un investimento miliardario che non saremmo in grado di sostenere. E dobbiamo essere consapevoli che l’Italia, nello scacchiere terrestre globale, non copre una posizione così rilevante. Lo siamo di più nell’area allargata del Mediterraneo”.

Insomma, il generale Kovacs di turno, stavolta avrebbe meno da raccontare e da mostrare.

Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vicecomandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto

operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.

 Kaja Kallas al vertice della diplomazia UE e Ursula von der Leyen
Chi è Maurizio Boni

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E se tornasse la guerra fredda?

Vicenza, al centro della guerra nei Balcani negli Anni ’90, ha visto smantellare tutti i siti, anche quelli con armamento nucleare . Una mappa dei siti che erano presenti nel vicentino . Ecco una mappa di dove si trovavano nel vicentino

Siamo stati il punto di riferimento delle operazioni militari via aria durante la guerra dei Balcani a metà degli Anni ’90. Avevamo depositi di armi anche con testate militari nucleari gestite dall’esercito americano. C’erano basi missilistiche sparse sui nostri monti.

Abbiamo ancora due basi militari Usa. Ed è tutto quello che è rimasto del grandissimo arsenale che Vicenza ha sempre avuto storicamente nel suo territorio. Il resto è stato tutto smantellato, qualcosa già a partire dalla fine degli Anni ’70, molto alla fine degli Anni ’90 dopo la caduta del muro di Berlino, che di fatto ha sancito la fine della guerra fredda almeno com’era intesa all’epoca.

Interi siti militari sono stati evacuati, smantellati o distrutti e al loro posto è sorto un po’ di tutto: a parte molte aree dove vige ancora l’abbandono ed il degrado più assoluto, in alcuni casi sono nati musei dedicati, sedi di protezione civile, impianti fotovoltaici e perfino centri per anziani.

Si custodivano polveriere, si facevano esercitazioni e si sparavano missili contraerei nel nostro bel territorio vicentino, il tutto ovviamente per essere pronti a difendere il fronte occidentale e la nostra patria, rispondendo ad eventuali attacchi dell’Unione Sovietica.

 La locandina di uno dei tanti incontri pubblici tenuti da Leonardo Malatesta
 Una veduta aerea della base missilistica operativa sul monte Grappa

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 Foto aerea della base sul monte Calvarina negli Anni ‘80 a confine tra Vicenza e Verona

Ipotesi confermata da progetti e documenti diventati pubblici con lo scioglimento del Patto di Varsavia.

Per cercare di fare una sorta di mappa dei siti militari esistiti nel territorio berico abbiamo chiesto il supporto di uno dei massimi esperti del settore, il vicentino di Zugliano Leonardo Malatesta, ricercatore, storico e scrittore con alle spalle 82 libri e 100 saggi dedicati alla guerra fredda in generale e basi, siti e bunker militari in particolare.

In effetti nel vicentino c’era davvero tanta roba e per molti anni non l’abbiamo saputo, o forse sì, ma senza sapere bene che cosa ci fosse veramente, complice una fortissima segretezza militare che non ha fatto altro che alimentare leggende metropolitane. Tra queste la presenza di tunnel sotterranei che avrebbero collegato una base con l’altra o la presenza di soldati americani nelle basi missilistiche di monte Toraro e monte Grappa, cosa non vera. In realtà i soldati USA erano presenti solo dove c’erano armi nucleari, nel distaccamento della 559^ brigata.

Ma iniziamo l’analisi. Dove ora c’è la seconda base militare statunitense, la tanto contestata Del Din, operava la 5^ ATAF all’aeroporto

Dal Molin come centro strategico delle forze alleate durante la guerra nei Balcani con il coordinamento, la gestione ed il controllo di tutte le operazioni aeree. Nata come TAF, ha rappresentato la difesa aerea di tutto il Nordest dal 1951 al 1999, quando ha finito di esistere.

Chi è Leonardo Malatesta

Leonardo Malatesta, nato a Malo nel 1978, risiede a Zugliano. È uno storico militare, scrittore e ricercatore, ha scritto finora 82 libri e 100 saggi ed è considerato uno dei massimi esperti della storia mili-

Senza andare troppo lontano dal centro storico di Vicenza, precisamente a Longare, all’interno dei bunker sotterranei del sito “PLUTO” esisteva un deposito di armi nucleari, esclusivamente gestito dall’esercito americano e al quale i militari italiani non avevano accesso. Anche vicino al lago di Fimon esisteva un deposito di questo tipo, pure questo smantellato alla fine degli Anni ’90.

Una della parti più attive nel vicentino era rappresentata dalla base missilistica (gestita questa sì con gli americani) di Monte Calvarina a cavallo con la provincia di Verona, nei comuni di Arzignano, Montecchia di Crosara e Roncà. Dopo lo smantellamento, a parte alcune aree ancora nel più totale abbandono, nella zona destinata ai lanci missilistici sorge ora un parco di pannelli fotovoltaici. Ci sarebbe anche un’idea, da parte di una fondazione, di creare un’area destinata a corsi per giornalisti inviati nei fronti di guerra, ma è tutto in divenire.

tare del periodo contemporaneo in Italia e altre parti del mondo. Fin dalla giovane età si è appassionato alla storia e dopo la laurea a Venezia nel 2001, ha proseguito l’attività di ricerca storica.

L’area della logistica in comune di Roncà è invece stata trasformata in un centro per anziani per persone con disabilità.

Sul monte Toraro a Tonezza c’era un’altra base dell’Aeronautica Militare che gestiva la zona riservata al lancio dei missili situata a Passo Coe nel comune trentino di Folgaria, così come sul monte Grappa a Crespano e in zona Fornelletto, dove avvenivano i lanci.

Ora al posto dell’area lancio di Passo Coe, è stato creato il museo Base Tuono mentre in quella sul monte Grappa è sorta un’area dedicata alla protezione civile alpina dell’A.N.A.

Sopra Ponte di Nanto c’era invece il sito “E” dedicato alle trasmissioni mentre il sito “F” era a Lagusella sul massiccio del Grappa prima di campo Solagna. Senza contare che nelle vicine province di Verona e Padova erano dislocate rispettivamente la base operativa West Star ad Affi e quella sul monte Venda a Vò Euganeo e a Cinto Euganeo, con ingresso a Teolo, con siti bunkerizzati. Servivano per la difesa aerea da parte di bombardieri e per le trasmissioni dei dati tra i vari Comandi.

Leonardo Malatesta si è laureato in storia alla Cà Foscari di Venezia e non ha mai smesso di

interessarsi, in particolare, a quella militare in tempi recenti. Oltre ai libri è costantemente invitato ad incontri pubblici da parte di enti pubblici ed associazioni, non solo d’arma.

«La guerra fredda fino al 2022 era considerata un periodo storico –afferma lo storico – ma ho il timore che ora sia tornata a tutti gli effetti; non c’è più l’URSS ma la Russia è tornata a minacciare l’uso delle armi nucleari, che sono ancora in suo possesso. Attualmente l’Italia è impreparata perché ha smantellato praticamente tutto e solo ora sta correndo ai ripari con l’Aeronautica Militare che sta potenziando la

componente missilistica a Rivolto in provincia di Udine, base delle Frecce Tricolori, con l’utilizzo del nuovo sistema missilistico “SAMP/T che ha una portata terrestre media»

Sull’ipotesi di eventuali ripristini dei siti militari dismessi nel vicentino, Malatesta è molto perplesso. «Bisognerebbe ripartire da zero perché adesso non c’è più niente e le aree dovrebbero tornare al Demanio militare mentre ora è tutto nelle mani di quello civile. Inoltre adesso i sistemi missilistici sono molto più mobili rispetto a prima, quando erano ben piantati a terra. Ora si possono spostare in un quarto d’ora».

Una guida inesauribile lo studioso Malatesta, di quelle che pur di mostrare tutto il possibile al turista distratto, completerebbe il tour anche da solo, tanto è grande la sua passione. E di visitare i siti esistenti e dismessi non ha nessuna intenzione di smettere, tanto da averli visti tutti, tranne quello di Ponte di Nanto. E non vorrebbe smettere di credere nemmeno in un progetto che sta cercando di portare avanti da qualche anno: creare un museo nella parte logistica della base di Tonezza, chiusa e abbandonata. Al momento però sta ancora aspettando risposte dall’amministrazione comunale.

 Un’area dismessa della base sul Calvarina
 Il lancio di un missile Honest John negli Anni ‘60

Montecchio Maggiore . Ex caserma di Ghisa: il Comune la trasformerà con destinazioni direzionali, turistiche e in parte produttive

Si passa davanti all’ex Caserma di Ghisa a Montecchio Maggiore e subito si rimane colpiti dallo stato di degrado in cui versa. La struttura è abbandonata da circa 17 anni. E la vegetazione ne ricopre i muri. Noi di Vicenza Più, nel 2011, ben 13 anni fa, ci eravamo occupati della situazione dell’edificio. Avevamo intervistato il colonnello Giampietro Massignani, ultimo comandante della caserma.

All’epoca il colonnello Massignani ci aveva detto che nessuno aveva la competenza di fare manutenzione, perché la struttura era di proprietà dell’Agenzia del Demanio. Prima ancora era del Ministero della Difesa, poi è passata al Genio Militare e poi al Demanio.

Nel frattempo le cose sono cambiate: l’ex Caserma di Ghisa è ufficialmente di proprietà del Comune di Montecchio Maggiore dal febbraio 2015, dopo essere stata ceduta dal Demanio. Entro il 2025 il Comune di Montecchio pubblicherà un bando per la riqualificazione dell’area, che si vuole destinare a negozi e aziende. La buona notizia è di gennaio di quest’anno, quando l’ex Sindaco Gianfranco Trapula aveva dichiarato di avere intenzione di fare un cambio di destinazione urbanistica in area produttiva e commerciale. Il Comune intende quindi recuperare e non demolire l’edificio oppure demolirne solo una parte, mantenendo il corpo centrale. Il Comune di

Montecchio dovrà prima far valutare la compatibilità idraulica e sismica, per poi procedere con il bando.

L’attuale Sindaco Silvio Parise e l’assessore all’urbanistica Andrea Palma oggi dichiarano: «Abbiamo avviato un confronto con la Regione Veneto per assicurarci che tutte le valutazioni di compatibilità idraulica, sismica e del piano traffico siano completate nel più breve tempo possibile. Se non ci saranno ritardi nell’iter amministrativo contiamo di poter pubblicare il bando di gara, finalizzato all’alienazione della ex Caserma Ghisa nel 2025. Con la variante al piano degli interventi, approvata la scorsa primavera dalla precedente amministrazione, è stata tracciata una direzione chiara verso le destinazioni d’uso future e le modalità di

recupero del complesso. L’obiettivo è di restituire alla città un luogo che per troppo tempo è rimasto ai margini e in stato di abbandono. La nostra visione è quella di far rinascere questi spazi, anche aprendoli alla comunità»

La struttura era stata edificata nel 1963 ed era un’officina specializzata per la revisione dei mezzi meccanizzati dell’Esercito, in cui sono stati realizzati prototipi su cingolati ed è stata compiuta la manutenzione dei mezzi anfibi dei Lagunari. Negli anni ’80 vi lavoravano 150 dipendenti civili e militari, dal 1997 in poi c’erano 20 dipendenti.

La variante al Piano degli interventi per la valorizzazione dell’area Ghisa approvata dal precedente Consiglio Comunale la scorsa primavera prevede la futura trasfor-

 Il cancello della caserma di Ghisa (Foto: m.c.)

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mazione delle ex officine militari, donata al Comune dal Demanio nel 2015, per una superficie totale pari a 122.700 metri quadri, di cui 67 mila di edifici e 55mila di verde. Per gli immobili esistenti si prevede la ristrutturazione con una leggera diminuzione della cubatura, che passerà da 104mila metri cubi a quasi 97mila. Il 75% dei volumi si potrà recuperare, il 5% sarà da abbattere e un altro 15% andrà demolito e riposizionato nello stesso contesto, con il vincolo di mantenere la struttura originaria a forma di “H” e le altezze, che dovranno restare uguali in tutto il plesso. Anche la cisterna dell’acqua figura tra le strutture da conservare per il suo valore simbolico.

Le destinazioni ammesse sono di tipo direzionale (con esclusione delle sale da gioco e attività connesse al socio-sanitario), il turistico ricettivo, il commerciale con strutture di vendita tra i 250 3 i 1000 metri quadrati, quindi con l’esclusione dei grandi centri commerciali e outlet. Anche il produttivo è ammesso tranne attività di logistica, magazzini e depositi, conciarie, chimiche, di trasforma-

zione metalli e in generale tutte quelle a rischio rilevante. Altra destinazione ammessa è il manifatturiero artigianale o industriale con un basso impatto ambientale. I futuri proprietari potranno procedere alla ristrutturazione per stralci funzionali e, oltre agli standard previsti per legge, si impegneranno a realizzare una sala convegni di almeno 250 posti, fruibile dal Comune, oltre a spazi per la didattica e la formazione, una scuola materna con asilo nido. Inoltre, in previsione dello svolgimento di attività formative, dovranno essere creati spazi adibiti a foresteria per il soggiorno degli studenti.  La guerra al degrado

 Un muro della caserma di Ghisa infestato dalla vegetazione
 La caserima vista tra una sbarra e l'altra del cancello

 La “guerra” sotto la Tav

Rischi bombe inesplose lungo la Linea Tav Tac in costruzione all’interno della città di Vicenza: sono

stati valutati? È prudente continuare?

Sono state sganciate circa 2598 bombe su Vicenza, di cui circa 238 inesplose al momento dell'impatto . Bonifica incerta . Non è opportuna riconsiderazione generale dell'attraversamento rischioso della città?

Ai lettori, cittadini o autorità o manager o imprenditori che siano, chiediamo di riflettere i dati disponibili e da noi raccolti sulle bombe inesplose, e quindi presumibilmente ancora minacciose, lungo il tragitto della linea Tav Tac, che attraverserà la città di Vicenza per anni: 10 da progetto, 7 per il ministro Salvini, sempre “euforico” quando c’è da “costruire”, quanti non si sa per le tempistiche italiche e per quello che leggerete.

L’analisi dei dati, sufficientemente affidabili ma che lasciamo

Bombe inesplose

verificare a chi ha più fonti ufficiali di noi, e le considerazioni che vi proponiamo (primo lancio su ViPiu.it il 19 marzo scorso* con altri

articoli successivi e futuri dal 25 marzo in poi**) nascono da notizie recenti. Queste, insieme alle sollecitazioni di alcuni cittadini, non certo ideologizzati ma spesso fonti vere nostre più delle veline di comodo che partono da tutti i cosiddetti piani alti, ci hanno fatto accendere un warning, segnale di pericolo, sui rischi, anche per la sicurezza dei lavoratori, connessi col ritrovamento di ordigni non esplosi che l’opera del Tav Tac può comportare, se, ma non ci vogliamo credere, non fossero stati valutati responsabilmente e certosinamente in sede di scelta del percorso della linea ferroviaria (non esterna ma interna all’abitato), di sua progettazione e di valutazione di tempi e costi.

 Bomba residuo bellico ad Altavilla, operazioni di disinnesco

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Ad esempio, il 9 marzo 2025, a Montebello Vicentino, è stato effettuato il disinnesco di un ordigno bellico risalente alla Seconda Guerra Mondiale, rinvenuto durante i lavori per la linea ferroviaria ad alta velocità. L’operazione ha richiesto l’evacuazione di 94 residenti e la chiusura temporanea dell’autostrada A4 tra i caselli di Montecchio Maggiore e Montebello Vicentino. Il problema si è poi ripetuto. In precedenza, il 15 dicembre 2024, un’altra bomba era stata disinnescata nella stessa area, coinvolgendo oltre 80 volontari della Protezione Civile coordinati dalla Provincia di Vicenza. Insomma, ad ogni ritrovamento sono servite tante risorse, umane, temporali e, quindi, economiche, per porre rimedio… all’imprevisto.

Ci siamo, quindi, chiesti se ritrovamenti di bombe inesplose in aree lontane dalla città e, quindi,

colpite presumibilmente per errore in quanto non obiettivo diretto dei bombardamenti degli Alleati non preludessero, e, se si, quanto, a future scoperte impreviste, ma prevedibili con le moderne tecnologie di analisi del suolo oggi disponibi-

li, di queste minacce all’interno di Vicenza, che, con l’area dell’allora aeroporto e della tuttora stazione e linea ferroviaria, era l’obiettivo vero di micidiali e intense incursioni aeree.

Il bombardamento “per errore” della Basilica Palladiana e del centro

Ci siamo, tra l’altro, imbattuti il 18 marzo in un interessante articolo sul più noto quotidiano locale, di fatto l’unico, appena terminato il nostro lavoro di ricerca dei dati (tra cui quelli sui libri di Giuseppe Versolato Ali su Vicenza e Bombardamenti aerei degli Alleati nel Vicentino 1943-1945) e prima di tradurlo in un articolo con uno scopo preciso: informare i cittadini e sensibilizzare le autorità, le Istituzioni e le aziende preposte con i loro professionisti nel caso, deprecabile ma non… credibile, che non siano state sensibili al rischi degli ordigni “dormienti” nelle fasi precedenti all’approvazione e alla partenza dell’opera.

Un’opera che, tra l’altro, continuiamo a pensare sia un grande danno non per la città degli interessi, concentrati, ma per quella “diffusa”, della gente, che non ne avrà benefici anzi. Qui non si fermeranno, infatti, treni realmente ad Alta

 Bomba residuo bellico ad Altavilla, operazioni di disinnesco
 I Bomba Day di domenica 15 novembre a Montebello Vicentino (foto da www.comune. montebello.vi.it/it)

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 Bombardamento sulla stazione di Vicenza (Giuseppe Versolato, Ali su Vicenza e Bombardamenti aerei degli Alleati nel Vicentino 1943-1945)

velocità per destinazioni lontane da raggiungere velocemente, gli unici che, se correlati alle esigenze produttive e turistiche locali, avrebbero dato un minimo di senso allo sconquasso in arrivo.

Distrazione generale: mancanza di analisi critica, di visione o di coraggio?

La conferma della necessità del nostro lavoro ci arriva, quindi, da un box, accanto al testo del 18 marzo scorso del collega (La Basilica crollata e l’inferno in centro. Ottant’anni fa l’ultimo bombardamento ***)

commemorativo del 18 marzo 1945: l’autore Nicola Negrin scrive nel riquadro che «la Basilica del Palladio, la torre civica, altri insigni monumenti, palazzi e case», come si legge nei giornali dell’epoca «vennero distrutti dal fuoco e squarciati dalle bomb”».

Quel box col titolo “Errori di mira strategici L’obiettivo era la stazione” assume un significato particolare e preoccupante (approfondito da chi?) mentre stanno per iniziare i lavori per la linea Tav Tac che, dopo 80 anni da quel 18 marzo 1945, non solo attraverserà ma

squarcerà la città, non con le bombe ma con le ruspe.

Il collega, infatti, precisa: «Anche Giuseppe Versolato nei suoi libri narra di quel giorno, evidenziando gli errori: “Il 18 marzo del 1945 Vicenza subì l’ultimo grave bombardamento della Seconda Guerra Mondiale con il danneggiamento del più insigne dei monumenti cittadini, la Basilica Palladiana. Gli obiettivi erano la stazione e l’importante nodo ferroviario ma tragicamente, come in gran parte dei raid precedenti, la città ne riportò gravi danni e vittime”. La stazione fu colpita “solo da una parte delle bombe incendiarie mentre la maggior parte di esse finirono sul centro cittadino”».

Rischi bombe inesplose lungo la Linea Tav Tac in costruzione all’interno della città di Vicenza: sono stati valutati, chi li comunica alla città?

Con le premesse di cui sopra valutiamo, quindi e infine, le possibili conseguenze di quest’ultima frase con la certezza di ricevere, da chi, molti, di dovere, un’unica risposta: «sapevamo, ovviamente, cari “provocatori” della stampa liberamente incosciente (dei rischi che corre, ndr), abbiamo verificato e preventivato tutto e nessun danno, nessun costo, nessun ritardo ne conseguirà, per quanto verificabile e verificato». Meglio, cari lettori, da noi… provocati, essere fattualmente smentiti e tranquillizzati, con DATI, ora e apparire delle Cassandre oggi, come ai tempi, dal 2010, delle nostre denunce sul crac annunciato della Banca Popolare di Vicenza; meglio questo, per il bene comune, che essere ringraziati dopo da lettori allora distratti che, una volta in rovina per essersi fidati di dati falsi e di acquiescenze generalizzate, ci correvano incontro per dirci: “se vi avessimo letto…”.

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I (nostri) dati: in attesa di smentite e di tranquillizzazioni

La città di Vicenza, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu oggetto di numerosi bombardamenti alleati, principalmente mirati a infrastrutture strategiche come l’aeroporto ‘Dal Molin’ e la rete ferroviaria.

Principali Incursioni aeree su Vicenza

Questi attacchi causarono ingenti danni materiali, un elevato numero di vittime civili e ci hanno lasciato in eredità.

In totale, si ritiene che siano state sganciate circa 2598 bombe su Vicenza, di cui circa 238 sono rimaste inesplose al momento dell’im-

DataIncursoreObiettivoVelivoli impiegati

25-12-1943 15th Air Force Aeroporto Dal Molin (non venne colpito) gli ordigni caddero in zona S. Francesco, S. Bortolo, Via Medici, Viale M. Grappa e Via D’Alviano

B-24 e P38 di scorta

28-12-1943 15th Air Force FerroviaB-24 alleati e Bf109 tedeschi

Esito

patto. Ciò corrisponde a una percentuale media, statisticamente riconosciuta per l’efficienza degli ordigni dell’epoca, del 9.16% di ordigni inesplosi, che ha reso necessarie continue e non certo completate operazioni di bonifica dal dopoguerra fino ai giorni nostri.

Bombe sganciate (stima)

Circa 30 vittime e una decina di feriti. Molti danni a edifici civili. Abbattuto almeno un caccia di scorta americano P38. 200

26-03-1944205° Bomber Group Ferrovia 73 Wellington – B-24 e 6 liberator.

Danni alla ferrovia, colpite anche abitazioni vicine

Colpito quartiere Borgo Berga, campagna e Valletta del Silenzio. Circa 41 morti e 53 feriti. Gli americani perdono 10 aerei. I tedeschi perdono 3 caccia.

Danni alle infrastrutture ferroviarie e diversi edifici civili. Vero e proprio bombardamento a tappeto.

128

02-04-1944205° Bomber Group Ferrovia 49 Wellington – B-24 e 6 Liberator.

14-05-1944 15th Air Force Obiettivo ufficiale la ferrovia ma venne attaccato anche l’aeroporto, la zona

Più di 200 B-24 (stima)

Colpiti i binari e le strutture ferroviarie, 45 edifici distrutti e 60 danneggiati. 26 morti e una ventina di feriti.

Massiccio bombardamento, danni estesi alla città. Crollati due teatri, chiese e la Cattedrale. Crollato un ponte sulla tratta verso Padova-.

52 (2 bombe da 1814 kg “spiana-isolati”. Circa 50 bombe da 226 kg e 2600 bombe incendiarie. Quindi 52 bombe escludendo le incendiarie).

82 (2 bombe da 1814 kg e 80 da 226kg + spezzoni incendiari. Quindi 82 bombe escludendo le incendiarie).

257

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02-04-1944205° Bomber Group Ferrovia 49 Wellington – B-24 e 6 Liberator.

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14-05-1944 15th Air Force Obiettivo ufficiale la ferrovia ma venne attaccato anche l’aeroporto, la zona industriale e tutta la città.

Più di 200 B-24 (stima)

Colpiti i binari e le strutture ferroviarie, 45 edifici distrutti e 60 danneggiati. 26 morti e una ventina di feriti.

17-11-1944205° Bomber Group Aeroporto 22 Wellington – B-24 – 2 Halifax e 11 Liberator

82 (2 bombe da 1814 kg e 80 da 226kg + spezzoni incendiari. Quindi 82 bombe escludendo le incendiarie).

Massiccio bombardamento, danni estesi alla città. Crollati due teatri, chiese e la Cattedrale. Crollato un ponte sulla tratta verso Padova-. 257

Danni significativi alla pista e agli hangar nella zona militare.

18-11-1944 15th Air Force Aeroporto147 Liberator B-24 Aeroporto parzialmente distrutto. 8 aeroplani distrutti. 317 morti e 200 feriti.

04-01-1945 15th Air Force FerroviaB-24Ferrovia danneggiata gravemente. 2 vittime e decine di feriti. Colpito il palazzo del vescovado, case in mure Pallamaio, edifici in Contrà Corpus Domini, il cinema Palladio e il Campo Marzo.

28-02-1945 12th Air Force Ferrovia e aeroporto

B-24 – B-17 –A-20

18-03-1945205° Bomber Group Ferrovia73 Liberator B-24

Entrambi i bersagli colpiti duramente. Contrà Riale, Corso Fogazzaro e Via Vescovado. 5 morti e decine di feriti.

Danni ingenti alla ferrovia e al centro della città, distrutta la Basilica Palladiana

Data Zona Numero ordigni inesplosi

25-12-1943

28-12-1943

Centro città, Aeroporto Dal Molin Circa 20

Stazione ferroviariaAlmeno 15

26-03-1944 Scali merci 10

02-04-1944

14-05-1944

Linea ferroviaria Vicenza-Padova 5

Centro storico, ferroviaOltre 30

312 bombe (4 bombe da 1814kg, 4 bombe da 907 kg, 92 bombe da 454 kg, 161 bombe da 226 kg, 51 bombe da 113kg e 30000 nickel, ordigni a frammentazione. Per un totale di 95 tonnellate e 312 bombe).

718 bombe da 226 kg (oltre a 3.121 bombe a frammentazione per un totale di circa 305 tonnellate).

111

214

94

Interventi di bonifica

Rimozione parziale negli anni ’50, altri ritrovamenti recenti

Disinnesco immediato per alcuni, altri recuperati negli anni ’60

Ritrovamenti sporadici fino agli anni ’80

Alcune bombe rimosse solo negli anni 2000

Massiccia operazione di bonifica  La “guerra” sotto la Tav

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28-02-1945

18-03-1945205° Bomber Group Ferrovia73 Liberator B-24

12th Air Force Ferrovia e aeroporto

Bombe inesplose e operazioni di bonifica a Vicenza

B-24 – B-17 –A-20

Data Zona

18-03-1945205° Bomber Group Ferrovia73 Liberator B-24

25-12-1943

28-12-1943

Centro città, Aeroporto

Dal Molin Circa 20

Stazione ferroviariaAlmeno 15

Data Zona

26-03-1944

25-12-1943

02-04-1944

28-12-1943

14-05-1944

26-03-1944

17-11-1944

02-04-1944

18-11-1944

14-05-1944

04-01-1945

17-11-1944

18-11-1944

edifici in Contrà Corpus Domini, il cinema Palladio e il Campo Marzo.

Riale, Corso Fogazzaro e Via Vescovado. 5 morti e decine di feriti.

Danni ingenti alla ferrovia e al centro della città, distrutta la Basilica Palladiana 94

Entrambi i bersagli colpiti duramente. Contrà Riale, Corso Fogazzaro e Via Vescovado. 5 morti e decine di feriti. 214

Numero ordigni inesplosi

Danni ingenti alla ferrovia e al centro della città, distrutta la Basilica Palladiana 94

Interventi di bonifica

Rimozione parziale negli anni ’50, altri ritrovamenti recenti

Scali merci 10

Numero ordigni inesplosi

Centro città, Aeroporto

Dal Molin Circa 20

Linea ferroviaria

Stazione ferroviariaAlmeno 15

Vicenza-Padova 5

Centro storico, ferroviaOltre 30

Scali merci 10

Aeroporto Dal Molin8

Linea ferroviaria

Vicenza-Padova 5

Zona industriale6

Centro storico, ferroviaOltre 30

Scalo ferroviario, aeroporto 12

Aeroporto Dal Molin8

Zona industriale6

Stima totale delle bombe lanciate e inesplose a Vicenza, suddivise per area

04-01-1945

Disinnesco immediato per alcuni, altri recuperati negli anni ’60

Interventi di bonifica

Ritrovamenti sporadici fino agli anni ’80

Rimozione parziale negli anni ’50, altri ritrovamenti recenti

Alcune bombe rimosse solo negli anni 2000

Disinnesco immediato per alcuni, altri recuperati negli anni ’60

Massiccia operazione di bonifica postbellica, ritrovamenti fino al 2020

Ritrovamenti sporadici fino agli anni ’80

Difficoltà di accesso, rimozione completata negli anni ’70

Alcune bombe rimosse solo negli anni 2000

Recuperi negli anni ’50 e successivi nei ’90

Massiccia operazione di bonifica postbellica, ritrovamenti fino al 2020

Ultime bombe rimosse nel 2018 Data Località

Difficoltà di accesso, rimozione completata negli anni ’70

Recuperi negli anni ’50 e successivi nei ’90

Dopo un’analisi più approfondita dei documenti storici, è stato possibile stabilire che il numero totale di bombe sganciate su Vicenza durante la Seconda Guerra Mondiale è di 2598. Questa cifra riflette i dati riportati nei documenti ufficiali analizzati.

Scalo ferroviario, aeroporto 12

Data Località colpite

Ultime bombe rimosse nel 2018

personali, sanitari da inquinamento, psicologici da stress ed economici, una riconsiderazione generale dell’attraversamento rischioso della città, dura da fare, ma indispensabile se costi, danni e tempi accresciuti dell’opera la rendessero insostenibile anche a livello legale e amministrativo, oltre che politico.

Qualcosa si è mosso dopo la prima nostra pubblicazione dei dati su ViPiu.it?

A livello pubblico è noto un incontro convocato dal prefetto e questo è stato il nostro titolo: “Bombe inesplose nei cantieri Tav a Vicenza e dintorni: il prefetto convoca i sindaci che sbattono i pugni… ma quello del capoluogo “latita”…” .

Domande, forse non finali

Le operazioni di disinnesco degli ordigni inesplosi sono proseguite, come scritto, anche negli ultimi anni, a testimonianza della persistenza di questo problema.

Questi eventi sottolineano l’importanza delle operazioni di bonifica delle bombe inesplose e la necessità di una costante vigilanza per garantire la sicurezza della po-

polazione, considerando che, a distanza di oltre ottant’anni dalla fine del conflitto, gli ordigni inesplosi rappresentano ancora una minaccia concreta.

Ora non ci rimane che avere rassicurazioni convincenti oppure, nel caso peggiore, ma forse non per i cittadini, che dovranno, nel migliore dei casi, convivere per anni con una situazione di disagi,

Bombe inesplose nei cantieri TAV

 Bombardamento per errore della Basilica Palladiana il 18 marzo 1945 (Giuseppe Versolato, Ali su Vicenza e Bombardamenti aerei degli Alleati nel Vicentino 1943-1945)
Rischi bombe inesplose
Sviluppi successivi e futuri
La basilica crollata

Fin dalla fondazione, il 7 aprile 1880, in 144 anni sono state realizzate grandi opere e importanti infrastrutture, portando l’eccellenza italiana nel mondo e affrontando sfide audaci con progetti che hanno spesso superato i confini nazionali. Dai primi decenni sono stati costruiti ponti, strade, ferrovie, dighe, porti, gallerie, metropolitane, con impegno costante verso la qualità e l’innovazione. Un patrimonio di esperienza e competenza che proietta Condotte 1880 verso nuove sfide.

In foto: Spostamento dei Templi di Philae, Egitto

VicenzaPiùViva

La mafia perde i beni, il Veneto perde l’occasione

Nel Veneto centinaia di beni confiscati restano inutilizzati . Vicenza è la provincia con il maggior numero di beni in procedura amministrativa (102), seguita da Venezia (44) e da Verona (32) . La Regione aveva previsto un fondo per sostenerne il riuso, ma non è mai stato attivato . Ora una nuova proposta di legge prova a riaccendere l’attenzione

Il riuso pubblico dei beni confiscati alla criminalità organizzata o per vicende di corruzione dovrebbe essere “assistito” da un fondo di rotazione regionale, previsto dalla legge 48 (“Misure di contrasto al crimine e per la diffusione della legalità”) approvata all’unanimità dal Consiglio regionale nel 2012 (vedi VicenzaPiù Viva n. 296). Gli enti assegnatari che hanno difficoltà a farsi carico di questi beni dovrebbero poter attingere al fondo, almeno per i primi tempi della gestione, restituendo successivamente quanto hanno prelevato. Peccato che questo fondo non esista. Qui ci interroghiamo come mai. Nel Veneto i beni confiscati e lasciati nell’abbandono sono centinaia. Per prenderne visione basta entrare nel sito dell’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata: c’è una cartina dell’Italia divisa per regioni*, cliccando su ogni regione si può scendere di livello fino al singolo Comune e per ognuno scoprire quali beni risultano confiscati, con provvedimento di chi, in quale data, quali sono già pronti al riutilizzo e quali ancora in fase di procedura amministrativa.

Ne parliamo con Bruno Pigozzo, coordinatore dell’“Osservatorio regionale per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza”. L’Osservatorio è stato istituito dalla legge 48, è composto da cinque persone nominate dal Consiglio regionale all’inizio di ogni legislatura, o anche un po’ in ritardo come il direttivo attuale, nominato un anno dopo l’insediamento, nel 2021. Il servizio è volontario, non prevede gettoni di presenza o altre indennità, solo un rimborso spese viaggio. La durata dell’incarico è legata alla legislatura, scade allo scadere di quest’ultima.

 Una riunione con Andrea Zanoni in regione Veneto dell'Osservatorio regionale per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza

ma anche di verifica e adeguamento delle procedure amministrative. Noi abbiamo fatto numerose audizioni e avanzato diverse proposte. Non tutte, purtroppo, sono state accolte. Su quanto realizzato stiamo predisponendo una relazione di fine mandato che consegneremo al Consiglio regionale».

«I compiti dell’Osservatorio sono quelli dettati dalla legge 48», spiega Pigozzo. «In particolare raccogliere elementi concreti sulla presenza e l’attività della criminalità organizzata e in base a questi proporre al Consiglio regionale, e per suo mezzo alla giunta, azioni di contrasto e di tutela della legalità,

Tutti i beni confiscati nel Veneto Stando ai dati 2024 dell’Osservatorio, risultano beni confiscati in 5 province su 7 e in 46 Comuni su 563 del Veneto. Ma solo 33 di questi Comuni, secondo un rapporto dell’associazione Libera, ne pubblicano l’elenco. Il Codice Antimafia stabilisce invece che i dati relativi ai beni confiscati devono essere accessibili e trasparenti, ne deve essere indicata la consistenza, la destinazione, l’utilizzazione e tutte le informazio-

VicenzaPiùViva

ni che consentano di identificare gli assegnatari. Fatto che impegna sia i Comuni che l’Agenzia.

I beni immobili definitivamente confiscati nella nostra regione sono 191. Per la maggior parte si tratta di unità ad uso abitativo. Di questi 152 sono già stati destinati, cioè hanno ricevuto un provvedimento definitivo e potrebbero essere assegnati immediatamente ad enti pubblici o ad associazioni con finalità sociali

Altri 211 immobili sono invece in fase di procedura amministrativa, cioè non sono ancora destinati. In attesa della decisione vengono affidati ad un amministratore giudiziario nominato dal tribunale, che ha il compito di conservarli e mantenerne il valore fino alla confisca definitiva. Vicenza è la provincia con il maggior numero di beni in procedura amministrativa (102), seguita da Venezia (44) e da Verona (32).

«Poi ci sono anche 20 società o aziende confiscate e in fase di procedura amministrativa», aggiunge Pigozzo, «mentre altre 15 sono già destinate. Certo, se facciamo il confronto con la Calabria o la Sicilia, i numeri sono bassi, ciò non toglie che a disposizione del Veneto ci sia una quantità discreta di beni che

 Bruno Pigozzo, coordinatore dell’ “Osservatorio regionale per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza”

potrebbero far comodo agli enti locali».

La procedura per diventare assegnatari

Il primo problema che hanno i Comuni è individuare la procedura corretta da seguire per ottenere l’assegnazione. Per affrontarlo c’è a disposizione un Vademecum preparato dalla Commissione parlamentare antimafia, che spiega passo dopo passo come individuare il bene, come formulare la manifestazione d’interesse dopo averne

 Piattaforma unica delle destinazioni dell’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

preso visione, come predisporre un progetto di valorizzazione indicando la sostenibilità economica e sociale, a seconda che la gestione sia del Comune stesso o affidata a terzi in concessione.

Volendo, si può usufruire della consulenza di Erik Umberto Pretto, deputato di Schio che fa parte della Commissione parlamentare antimafia e dirige la struttura interna della Commissione che ha fisicamente predisposto il Vademecum. Pretto ha seguito per esempio il Comune vicentino di Pojana Maggiore in un’assegnazione immobiliare piuttosto complessa: nel centro del paese erano stati confiscati un ampio negozio, 8 appartamenti da 50 a 80 metri quadrati, 9 garage e 6 piccoli magazzini. Tutti immobili acquistati con denaro proveniente da traffico internazionale di droga. Dettaglio: il sindaco di Pojana Maggiore aveva appreso della confisca leggendo i giornali! Era il 2015, nel 2017 la confisca è diventata definitiva e il Comune ha potuto avviare l’iter burocratico per entrarne in possesso. L’iter si è concluso solo nel 2023 a riprova che l’assegnazione non è una passeggiata.

Ci sono controlli, riscontri, verifiche, tutte cose necessarie, resta il fatto che lo Stato fa molto prima

VicenzaPiùViva

a confiscare i beni che a convertirli ad un uso pubblico. Due anni per la confisca e cinque per l’assegnazione: se i tempi standard sono quelli di Pojana Maggiore, c’è qualcosa da aggiustare nel meccanismo.

Nel 2022 il Giornale di Vicenza riferiva che su 97 beni immobili confiscati in 12 Comuni vicentini, solo 8 risultavano assegnati: 4 a Valdagno e uno ciascuno nei Comuni di Bassano del Grappa, Cassola, Gallio e Montebello. Tutti i Comuni assegnatari avevano subito destinato gli immobili a scopi sociali, meno Gallio che ha girato un appartamento alle forze dell’ordine. Se ne deduce che la domanda di utilizzo c’è, è l’offerta che appare stentata, non vorremmo anche reticente.

Veneto fanalino di coda Insomma, i Comuni sono lasciati a loro stessi. «È vero», ammette Bruno Pigozzo, riferendosi al fondo di rotazione previsto dalla legge 48 e non ancora costituito. «Come Regione Veneto siamo in una situazione poco attiva sicuramente, anche

se le disponibilità ci sarebbero. Un piccolo Comune che si trovi assegnato un alloggio, un fabbricato, un immobile qualsiasi, per poterlo utilizzare ha bisogno di fondi che non trova nel suo bilancio. Gli basterebbe magari una cifra iniziale per avviare l’attivazione. Il rischio con i beni confiscati è che ad accedere a questi immobili siano gli stessi che se li sono visti confiscare, così se li

riprendono. È un rischio reale che si è già verificato in altre parti d’Italia. Un aspetto critico che ha bisogno di risposte, siamo perfettamente consapevoli».

Cosa ne pensano in giunta regionale? «La difficoltà è solo di carattere finanziario», si difende come può l’assessore Cristiano Corazzari, che ha la delega alla legalità. «Non siamo ancora riusciti a reperire le risorse per dotare questo fondo delle dimensioni cospicue di cui avrebbe bisogno. È un impegno comunque che porteremo avanti, anche se bisognerà farlo quadrare con le altre esigenze del bilancio».

«L’assessore Corazzari è sempre presente agli incontri, porta i saluti della Regione», commenta Bruno Pigozzo, «ma al momento di discutere il bilancio il copione è sempre il solito: il capitolo destinato alla legge 48 ogni anno viene decurtato, le opposizioni insorgono, lui e la maggioranza aggiungono qualcosa, ma sono sempre risorse molto limitate».

Per dare un’idea, nel 2021 la legge 48 aveva una dotazione di 140.000 euro che la maggioranza nel bilancio 2022 stava retrocedendo a quota 65.000. Le proteste dell’opposizione l’hanno un po’

 Erik Pretto e Vicenza da Monte Berico
 Pojana Maggiore, sequestrati e affidati al Comune 24 beni immobili in una palazzina condominiale

rimpinguata portando la quota a 105.000 euro.

«Questi stanziamenti annuali dovrebbero coprire tutte le esigenze della legge», precisa Pigozzo, «dai rapporti con le scuole alla formazione della polizia locale. Per fare un confronto, l’Emilia Romagna per le stesse cose stanzia oltre un milione».

E per continuare nei confronti, aggiungiamo noi, la Liguria a marzo 2024 ha approvato un bando con 600.000 euro di contributi per gli enti locali che valorizzano beni immobili confiscati a organizzazioni criminali. Bando che era al rinnovo. Questi contributi in Liguria hanno una cadenza periodica. In passato hanno consentito l’affidamento alla Caritas e all’associazione Libera di una villa di Bordighera, uno dei beni di maggior valore confiscati alla criminalità ligure.

Corazzari cerca di parare il colpo: «È importante che dal territorio veneto arrivino delle collaborazioni, delle partecipazioni che permettano di sostenere il fondo regionale. Ogni Comune deve valutare quali possono essere le risorse disponibili». L’assessore parla di «aziende private», forse allude a forme di mecenatismo un po’ difficili da immaginare. «Risorse dirette per sostenere un fondo di questo tipo noi come Regione non ne abbiamo», ripete, «mentre abbiamo sempre svolto tutta l’attività di coordinamento e supporto tec-

nico per i Comuni. Ciò non toglie che continueremo a cercarle».

L’assessore aggiunge un altro dato: «C’è anche il registro dei beni mobili confiscati alla criminalità organizzata. È una linea meno onerosa rispetto agli immobili, quindi di più facile accesso. Il registro è su base nazionale, so che alcuni Comuni vi hanno attinto per ottenere automezzi poi dati in uso alla polizia locale. Su questo versante stiamo lavorando con il ministero per dare ai Comuni una piattaforma di facile accesso con tutti i dati disponibili, in modo da orientare nella scelta di automezzi da riutilizzare per esempio nei compiti di sicurezza».

Una nuova proposta di legge Il controllo sulla legge 48 è affidato alla IV Commissione, presieduta obbligatoriamente da un esponente della minoranza, Andrea Zanoni. Il quale condivide tutte le perplessità sulla gestione dei beni confiscati, al punto che si è fatto promotore di un progetto di legge che prende di mira solo questo aspetto. La proposta, firmata anche dalla vicepresidente del Consiglio Francesca Zottis e dai consiglieri del gruppo Pd, impegna il governo veneto a prendere le seguenti decisioni: 1) adottare un piano strategico triennale per il riutilizzo dei beni confiscati, articolato su

programmi annuali da approvare entro il mese di marzo;

2) organizzare una conferenza pubblica annuale, quale momento di confronto e dibattito sui beni passati ad uso sociale;

3) indirizzare su quattro aree il fondo beni confiscati, destinando le somme rispettivamente per la ristrutturazione degli immobili, per le cooperative e le associazioni, per il riutilizzo a scopo sociale, per il rilancio economico nel caso di aziende confiscate;

4) trovare forme di cooperazione continuativa e di pianificazione con l’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati, attraverso la firma di un protocollo d’intesa;

5) organizzare corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il personale amministrativo regionale e degli enti locali con competenze specifiche sui beni, soprattutto aziendali, confiscati alle mafie; 6) accordarsi con gli enti locali per l’apertura di uno sportello antimafia nei Comuni.

La proposta di legge, presentata lo scorso novembre, stanzia 100.000 euro e prevede una clausola d’urgenza per l’entrata in vigore. Ma c’è un neo: rispetto al 2012, quando la legge 48 venne presentata e poi approvata all’unanimità, stavolta l’iniziativa è solo della minoranza. Non c’è una convergenza di altri gruppi, almeno in questa fase. Ci auguriamo che la maggioranza ne condivida l’urgenza e che il presidente Zaia adoperi la sua autorevolezza per una rapida approvazione. Come ha fatto nel 2012.

Piattaforma unica delle destinazioni

 L'assessore Cristiano Corazzari, che ha la delega alla legalità

Longoform sicurezza

Parte prima

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Sicurezza, si comincia dagli addetti

ai servizi

di controllo: competenze e regolamentazione secondo il DM 6 ottobre 2009

Il contributo informativo e formativo sulla vigilanza non armata dell’Istituto di Vigilanza

Pantere Security, fondato a Vicenza nel

2001 da Michele Somma col padre Stanislao

C’è spesso confusione tra i cittadini sugli operatori, pubblici e privati, dei vari ambiti che riguardano la loro sicurezza. I nostri collaboratori hanno “costruito” un primo speciale sulla sicurezza e su chi e con quali compiti se ne occupa con la collaborazione dell’Istituto di Vigilanza Pantere Security, un’azienda storica di Vicenza e del Vicentino operante nel settore della vigilanza privata non armata, specializzata nel fornire, oltre ad altri servizi, anche gli operatori "Addetti ai servizi di controllo” per le attività di intrattenimento e di spettacolo aperti al pubblico o in pubblici esercizi (dm. 06.10.2009), e di altri interlocutori.

L’evoluzione aziendale ha poi portato la Pantere Servizi Vicenza Srl a sviluppare la propria scuola di formazione col l’Istituto Formazione Pantere Srl, organismo di formazione accreditato in Regione del Veneto (cod. 7163) per l’erogazione di tutti i corsi e aggiornamenti di formazione continua per aziende e privati sulla sicurezza, tra i quali, proprio quello sulla for-

mazione della figura dell’addetto ai servizi di controllo per il conseguimento del titolo specifico che è uno dei requisiti necessari per l’iscrizione del candidato nel registro prefettizio per gli ASC (dm. 06.10.2009).

Per iniziare abbiamo proprio chiesto a Michele Somma, titolare di licenza e legale rappresentan-

te dell’azienda che ha fondato nel 2001 assieme al padre Stanislao, di illustrarci chi sono e quali sono i compiti degli addetti ai servizi di controllo (ASC), che hanno sostituito la figura del vecchio “buttafuori”.

Ecco, quindi, cosa ci ha detto l’amministratore della Pantere Servizi Vicenza.

Giovanni Coviello
 Longform Sicurezza
 Stanislao Somma all'opera

Le competenze degli addetti ai servizi di controllo

Gli ASC hanno visto la loro figura professionalizzarsi grazie al Decreto del Ministero dell’Interno del 6 ottobre 2009, che ne ha stabilito competenze, requisiti e ambiti di intervento.

Il decreto ministeriale ha definito il ruolo degli ASC, limitando la loro attività a compiti di sicurezza e controllo, senza attribuire loro poteri di pubblica sicurezza, che rimangono di esclusiva competenza delle forze dell’ordine. In particolare, gli addetti ai servizi di controllo devono:

1. Controllare l’accesso e la permanenza del pubblico nei locali pubblici, discoteche, concerti, manifestazioni o eventi soggetti ad autorizzazione di pubblico spettacolo. Devono verificare il possesso di eventuali titoli di ingresso e impedire l’accesso a chi è in evidente stato di alterazione psico-fisica o rappresenta un pericolo per la sicurezza.

2. Effettuare controlli preliminari per prevenire situazioni di rischio, come l’introduzione di armi, oggetti pericolosi o sostanze vietate, nel rispetto delle normative vigenti. Tutta-

via, non possono eseguire perquisizioni personali, che sono di competenza delle forze di polizia.

3. Intervenire per garantire il rispetto delle regole dei locali e segnalare tempestivamente alle autorità eventuali situazioni critiche o illeciti.

4. Fornire assistenza in caso di emergenza, collaborando con i responsabili della sicurezza e le forze dell’ordine in caso di evacuazione o situazioni di pericolo.

Requisiti per l’abilitazione

Per svolgere il ruolo di addetto ai servizi di controllo è necessario:

• Essere maggiorenni e possedere un diploma di scuola secondaria di primo grado (licenza media).

• Non avere precedenti penali o condanne che possano compromettere l’idoneità al ruolo.

• Superare un corso di formazione riconosciuto dalla regione di riferimento, che prevede moduli su sicurezza, normativa, primo soccorso e gestione delle emergenze.

• Iscriversi in un apposito elenco tenuto dalla Prefettura competente per territorio. La figura dell’addetto ai servizi di controllo ha, quindi, subito un’importante evoluzione normativa con il DM del 6 ottobre 2009, passando dal ruolo informale del “buttafuori” a quello di operatore specializzato nella gestione della sicurezza privata. Il loro compito non è solo garantire l’ordine all’interno di locali e manifestazioni, ma anche collaborare con le fore dell’ordine nel rispetto della legalità e della tutela del pubblico.

 Una parte della flotta auto dell'Istituto di Vigilanza Pantere Security di Vicenza
 Longform Sicurezza
 Un addetto ai servizi di controllo (ASC) dell'Istituto di Vigilanza Pantere Security

Guardie Giurate e Vigilanza Privata: ruoli, responsabilità e sfide della sicurezza moderna

Le Guardie Giurate, insieme alle Società di Vigilanza, rappresentano una componente fondamentale della sicurezza in Italia. Operando in parallelo e in collaborazione con le Forze dell’Ordine, offrono infatti una protezione mirata per strutture pubbliche e private, garantendo la sicurezza di ambienti sensibili come banche, centri commerciali e istituti pubblici.

Con l’avanzamento delle tecnologie e l’aumento delle richieste di sicurezza, il loro ruolo è diventato essenziale per rispondere ai bisogni di protezione e monitoraggio del territorio.

Chi sono le Guardie Giurate? Identità e missione

Le Guardie Giurate sono professionisti della sicurezza privata, addestrati per garantire la protezione di beni e persone in contesti sia pubblici che privati.

A differenza delle Forze dell’Ordine, non hanno funzioni di polizia giudiziaria o poteri di indagine, ma si concentrano su compiti di sicurezza e prevenzione, intervenendo solo in caso di necessità e segnalando eventuali emergenze alle autorità competenti.

I settori in cui operano spaziano dalla vigilanza nei centri commerciali e istituti bancari, al pattugliamento notturno di aree industriali o residenziali, fino al controllo di infrastrutture critiche come porti e aeroporti.

La loro missione principale è garantire la sicurezza e prevenire

situazioni di rischio, sempre nel rispetto delle normative che regolano il settore privato. Il senso di responsabilità e l’impegno etico sono due valori fondamentali per le Guardie Giurate, poiché il loro operato è strettamente legato alla protezione della comunità.

Funzioni operative e tipologie di servizio

Le Guardie Giurate svolgono numerosi compiti operativi, adeguati alle esigenze specifiche delle strutture o degli ambienti da proteggere. Tra le funzioni principali vi è la sicurezza di strutture pubbliche e private: proteggono luoghi sensibili come centri commerciali, banche, ospedali e altre aree dove la loro presenza scoraggia atti criminali e fornisce un senso di sicurezza a dipendenti e clienti.

I servizi di pattugliamento possono essere fissi, dove la Guardia Giurata resta all’interno di una struttura per monitorare ogni attività sospetta, o dinamici, con perlustrazioni che coprono vaste aree attraverso percorsi prestabiliti.

Un’altra funzione essenziale è il trasporto valori, dove le Guardie Giurate sono incaricate di spostare in sicurezza denaro e oggetti preziosi. Questo tipo di servizio, che utilizza mezzi blindati e protocolli specifici, richiede competenze avanzate e un altissimo livello di attenzione. In aggiunta, molte Guardie Giurate sono impegnate nel monitoraggio di sistemi di videosorveglianza e nell'intervento su allarmi. Grazie alla supervisione costante tramite telecamere, sono in grado di rileva-

re tempestivamente minacce o movimenti sospetti, allertando le forze dell’ordine se necessario.

Struttura e regolamentazione delle Società di Vigilanza

Le Società di Vigilanza operano secondo rigide regole per garantire standard elevati di sicurezza e affidabilità. Sono organizzate in modo tale da gestire al meglio i servizi richiesti, con un sistema gerarchico che assegna compiti specifici a ogni ruolo. Al vertice di ogni realtà si trova di solito un direttore operativo, il quale coordina le attività delle squadre e gestisce i rapporti con i clienti.

Ogni Società di Vigilanza, chiaramente, deve rispondere a normative specifiche, come la legge n. 340 del 2000 e il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, che ne disciplinano l'operato e impongono il rispetto di standard di qualità.

È necessario, inoltre, che le Società di Vigilanza si sottopongano a ispezioni periodiche per garantire che tutte le procedure di sicurezza e i protocolli siano rispettati. Il rispetto di queste regole è essenziale per poter operare sul mercato, e ogni mancanza può comportare gravi sanzioni, fino alla revoca della licenza.

Formazione e competenze delle Guardie Giurate

Per diventare Guardia Giurata, è necessario seguire un percorso formativo specifico, che comprende un iter di selezione, formazione teorica e pratica, e il conseguimento di autorizzazioni come il porto d’armi.

VicenzaPiùViva

Il corso di formazione è mirato a fornire conoscenze in ambito legale e tecnico, tra cui l’uso delle armi, la gestione delle emergenze e le modalità di intervento. Vengono inoltre impartite nozioni di psicologia per permettere alla Guardia di affrontare situazioni di stress in modo professionale e razionale.

Le competenze pratiche includono l’utilizzo dei sistemi di sorveglianza e degli strumenti di comunicazione, per garantire un monitoraggio costante e la possibilità di agire prontamente. Poiché il settore della Vigilanza è in continua evoluzione, sono previsti anche aggiornamenti periodici per permettere agli operatori di restare al passo con le nuove tecnologie e le normative.

Tecnologie e strumentazioni a supporto della Vigilanza Le tecnologie hanno un ruolo centrale nell’operato delle Guardie Giurate e delle Società di Vigilanza. Tra gli strumenti di sicurezza utilizzati vi sono telecamere di sorveglianza avanzate, sistemi di allarme e dispositivi per il controllo degli accessi, che aiutano i professionisti a monitorare e prevenire eventuali situazioni di pericolo.

di rispondere più efficacemente alle emergenze.

Le sfide del settore della Vigilanza Privata

Nei contesti più sensibili, come banche e aeroporti, le Società di Vigilanza adottano sistemi di controllo digitale che registrano ogni ingresso e uscita e gestiscono in modo centralizzato le informazioni.

Oggi, in più, le Società di Vigilanza stanno integrando anche tecnologie emergenti come la biometria e l’intelligenza artificiale, che consentono di migliorare la precisione nella rilevazione di movimenti sospetti e

Il settore della Vigilanza Privata si trova di fronte a una serie di sfide complesse. La prima difficoltà è legata alle condizioni operative: le Guardie Giurate sono spesso esposte a situazioni di pericolo e devono essere pronte a reagire con tempestività ed efficacia.

Inoltre, la crescente domanda di sicurezza richiede al settore della Vigilanza un costante adeguamento sia delle risorse umane che tecnologiche.

Altra sfida importante è rappresentata dalle nuove normative e dagli standard di sicurezza che devono essere rispettati. Le leggi in materia di Vigilanza Privata sono in continua

 Longform sicurezza

evoluzione, richiedendo agli operatori di aggiornarsi costantemente.

Anche l’immagine professionale delle Guardie Giurate e il rapporto con la comunità sono aspetti cruciali: un agente che opera in modo etico e responsabile migliora la percezione della sicurezza nel territorio e costruisce fiducia con i cittadini.

L'importanza strategica delle Guardie Giurate nella sicurezza quotidiana Com’è facile comprendere, il ruolo delle Guardie Giurate è essenziale nella protezione di strutture, beni e persone, poiché rappresentano un primo livello di risposta e deterrenza in molti contesti. La loro presenza quotidiana e costante contribuisce a mantenere un ambiente più sicuro per chi vive e lavora nelle aree sorvegliate.

Le Guardie Giurate operano in stretta sinergia con le Forze dell’Ordine, segnalando prontamente situazioni critiche e supportando il mantenimento dell’ordine pubblico in contesti specifici. Tale livello di collaborazione è particolarmente prezioso in occasione di eventi pubblici, operazioni di controllo stradale e pattugliamenti nei luoghi più sensibili, contribuendo a un servizio di sicurezza più completo ed efficace.

Infine, l’impiego di tecnologie avanzate – come sistemi di sorveglianza integrati, dispositivi di controllo accessi e strumenti di monitoraggio digitale – consente alle Guardie Giurate di reagire tempestivamente alle emergenze, rendendo il loro operato un elemento strategico e fondamentale per la sicurezza complessiva del territorio.

 Polizia Locale in servizio a Vicenza

VicenzaPiùViva

Polizia Locale: competenze chiave, ruolo e impatto sul territorio

La Polizia Locale rappresenta uno dei principali corpi di sicurezza a livello comunale, sull’intero territorio nazionale. Svolge, infatti, un ruolo cruciale nel garantire l'ordine pubblico e la protezione nei centri abitati.

Grazie a una presenza costante e radicata, la Polizia Locale costituisce un autentico punto di riferimento per i cittadini su tematiche che spaziano dalla sicurezza stradale alla tutela dell’ambiente.

La sua azione diretta e mirata si svolge a stretto contatto con la popolazione, al fine di rispondere alle esigenze della comunità, in collaborazione con altre forze di sicurezza.

Storia e inquadramento normativo della Polizia Locale

Le origini della Polizia Locale risalgono a diverse forme di vigilanza municipale e di regolamentazione delle attività cittadine presenti già in epoche antiche. Con il passare dei secoli, le competenze si sono evolute, passando da funzioni prettamente legate all’ordine pubblico a compiti che includono il controllo delle attività economiche, ambientali e del decoro urbano.

L'attuale quadro normativo della Polizia Locale è regolato dalla legge n. 65 del 7 marzo 1986, che definisce le linee guida generali per l’organizzazione, i compiti e le modalità operative dei corpi di polizia comunali.

La legge assegna a ogni Comune la responsabilità della Polizia Locale, con competenze specifiche legate all'ambito territoriale di riferimento. Nel tempo, la struttura gerarchica si è stabilizzata, permettendo una suddivisione delle competenze tra diverse figure professionali, dal comandante ai singoli agenti, ciascuno con un ruolo ben definito nella gestione delle attività.

Competenze e funzioni principali della Polizia Locale

La Polizia Locale svolge numerosi compiti fondamentali per il buon funzionamento della vita cittadina. Tra questi, la gestione dell’ordine pubblico è una delle attività principali, attraverso il monitoraggio e l’intervento rapido su situazioni critiche che si verificano in ambito comunale.

La Polizia Locale è spesso la prima forza a intervenire in caso di disordini o emergenze, anche se, su ampia scala, tali situazioni

vengono affidate alla Questura o ai Carabinieri.

Un altro ambito di intervento significativo riguarda il controllo e la sicurezza stradale. Il Corpo è responsabile della gestione del traffico, della segnalazione di infrazioni e dell’intervento su incidenti stradali, con un occhio attento alla protezione dei cittadini. Attraverso posti di blocco, pattugliamenti e campagne di sensibilizzazione, si impegna quotidianamente per garantire un traffico più sicuro e disciplinato.

Jacopo Bernardini
 Agenti della Polizia Locale in Centro Storico

VicenzaPiùViva

La Polizia Locale si occupa anche della verifica delle attività commerciali e urbanistiche, monitorando il rispetto delle normative per tutte le realtà economiche e edilizie presenti sul territorio comunale. Gli agenti effettuano controlli su licenze, permessi e conformità alle leggi locali, intervenendo in caso di irregolarità.

In aggiunta, il Corpo è coinvolto nella tutela ambientale e nel

mantenimento del decoro urbano. Questo aspetto comprende operazioni di contrasto al degrado e alla gestione dei rifiuti, nonché interventi nelle aree verdi e nei parchi. Grazie a queste attività, la Polizia Locale contribuisce a preservare l’integrità e la bellezza degli spazi pubblici, promuovendo al contempo comportamenti civici responsabili.

Collaborazioni e coordinamento con altri enti

La Polizia Locale opera spesso in collaborazione con le altre Forze dell'Ordine, come la Polizia di Stato e i Carabinieri, per interventi che richiedono un'azione congiunta. In casi particolari, dove è necessaria un’organizzazione complessa, il coordinamento con altre forze permette di garantire un controllo efficace e di affrontare situazioni di emergenza.

La Prefettura svolge un ruolo centrale in questo contesto, fungendo da ponte tra la Polizia Locale e gli altri enti statali, e coordinando le azioni di sicurezza a livello provinciale. In caso di emergenze, manifestazioni o eventi di grande afflusso, la Prefettura dirige le operazioni, assegnando compiti specifici a ciascun corpo per garantire il massimo della sicurezza pubblica.

La Protezione Civile è un ulteriore interlocutore con cui la Polizia Locale si interfaccia, soprattutto durante situazioni straordinarie, come disastri naturali o calamità. In questi casi, la Polizia Locale collabora per garantire il supporto logistico e operativo necessario, intervenendo anche per garantire l’evacuazione e la sicurezza delle persone.

Iniziative di prossimità e prevenzione

La vigilanza di quartiere è una delle attività che permettono alla Polizia Locale di avvicinarsi alla comunità. Gli agenti, attraverso una presenza continua e riconoscibile, instaurano un dialogo diretto con i cittadini, contribuendo a creare un ambiente più sicuro e partecipato. I punti di ascolto, le stazioni mobili e le pattuglie sono strumenti preziosi che migliorano il rapporto di fiducia tra la cittadinanza e il Corpo.

La Polizia Locale, poi, organizza frequentemente campagne educative e di sensibilizzazione su temi che spaziano dalla sicurezza

 Agenti della Polizia Locale in Centro Storico

stradale al rispetto per l’ambiente. Questi progetti, rivolti in particolare a scuole e giovani, sono fondamentali per formare una cultura della legalità e del rispetto delle norme sin dalla giovane età. Attraverso lezioni, incontri e materiale informativo, la Polizia Locale insegna ai cittadini a rispettare le regole per una convivenza più sicura.

Sono inoltre numerosi i progetti specifici per la sicurezza urbana realizzati per rispondere a problematiche territoriali o fenomeni specifici come vandalismo e microcriminalità. Iniziative di controllo notturno o il monitoraggio di aree sensibili contribuiscono a migliorare la percezione della sicurezza e a ridurre comportamenti dannosi.

La Polizia Locale e la tecnologia: innovazioni per una sicurezza efficace Negli ultimi anni, la Polizia Locale ha potuto avvalersi di sistemi di videosorveglianza avanzati per monitorare il territorio e identificare situazioni sospette o pericolose.

La gestione del traffico, ad esempio, è migliorata grazie a dispositivi che permettono il controllo automatico della velocità e il rilevamento delle infrazioni. Le telecamere nei punti strategici delle città sono un supporto fondamentale, soprattutto in caso di necessità di prove video per situazioni di contenzioso.

In molti Comuni, gli agenti di Polizia Locale dispongono di tablet e altri dispositivi digitali per il controllo immediato delle informazioni, facilitando così i tempi di intervento e la raccolta dati. L’utilizzo di droni per il monitoraggio di vaste aree rappresenta un’ulteriore frontiera innovativa, che permette una visuale dall’alto in occasione di eventi di massa o in aree difficili da raggiungere.

Il corpo della Polizia Locale si avvale inoltre delle app di segnalazione cittadina, che permettono ai cittadini di inviare in tempo reale segnalazioni su problemati-

che come traffico, rifiuti o pericoli. Questa interazione facilita un’azione tempestiva, migliorando la qualità della vita e la percezione di sicurezza.

Sfide e prospettive future

La Polizia Locale si trova quotidianamente ad affrontare sfide impegnative. Tra queste, la carenza di personale e la crescente richiesta di competenze sempre più specifiche sono problematiche rilevanti.

Le necessità di intervento, infatti, sono in costante aumento, e la pressione sugli agenti cresce di conseguenza, richiedendo un continuo aggiornamento professionale e un supporto tecnologico adeguato.

Guardando al futuro, le potenzialità di crescita della Polizia Locale sono molteplici. La formazione degli agenti e l’ammodernamento delle attrezzature rappresentano autentiche priorità per migliorare l’efficienza operativa. L’integrazione e la collaborazione con altre Forze dell’Ordine, attraverso protocolli chiari e condivisi, sono essenziali per rispondere in modo efficace alle richieste del territorio.

Il coinvolgimento della cittadinanza resta una risorsa preziosa, poiché il lavoro della Polizia Locale si basa anche sulla cooperazione dei cittadini. Una corretta informazione, la trasparenza e una comunicazione efficace con la comunità, infine, sono fondamentali per ottenere risultati e creare un ambiente più sicuro per tutti.

Le foto di questo articolo sono state realizzate da Corrado Marangoni - Image Creator - per VicenzaPiù Viva.

 Agenti della Polizia Locale in Centro Storico  Longform Sicurezza

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Prefettura: competenze, funzioni e coordinamento nella sicurezza e legalità territoriale

La Prefettura svolge un ruolo essenziale nel mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico a livello provinciale. In qualità di rappresentanza locale del Governo, si occupa di coordinare le politiche di sicurezza, di mediare tra le esigenze della comunità e le istituzioni nazionali e di amministrare servizi fondamentali per i cittadini.

Con una forte impronta territoriale, la Prefettura è il punto di riferimento in caso di crisi o emergenze, operando in sinergia con i Comuni, le Regioni e le diverse Forze dell’Ordine.

Storia e inquadramento istituzionale della Prefettura

Le origini della Prefettura in Italia risalgono all’Ottocento, con la costituzione di uffici amministrativi locali volti a rappresentare il Governo nelle diverse province. Questa struttura si è evoluta con il tempo, arrivando a svolgere un ruolo chiave nel controllo dell’ordine pubblico e nella gestione dei rapporti tra istituzioni centrali e locali.

Al vertice della Prefettura si trova il Prefetto, nominato dal Ministero dell'Interno e incaricato di rappresentare il Governo a livello provinciale. Si tratta di una figura di alto profilo istituzionale, dotata di poteri specifici per garantire la sicurezza e il rispetto delle leggi, e svolge funzioni di coordinamen-

to delle Forze dell’Ordine, gestione delle emergenze e amministrazione dei servizi.

La Prefettura, sotto la guida del Prefetto, è suddivisa poi in diversi uffici, ognuno dedicato a un ambito specifico: sicurezza, ordine pubblico, immigrazione e amministrazione, solo per citarne alcuni.

Competenze e funzioni principali della Prefettura

La Prefettura ha un ampio ventaglio di competenze, che spaziano dal mantenimento dell’ordine pubblico alla gestione di servizi amministrativi per i cittadini.

Una delle sue principali funzioni è il coordinamento della sicurezza pubblica. Infatti, si occupa di pianificare e dirigere le attività delle Forze dell’Ordine, garantendo un approccio integrato alla sicurezza e una

distribuzione ottimale delle risorse in tutto il territorio provinciale. Nelle situazioni di crisi o durante eventi rilevanti, come manifestazioni e grandi eventi, la Prefettura ha il compito di gestire l’ordine pubblico e intervenire, se necessario, con misure straordinarie per garantire la sicurezza collettiva. Il Prefetto può convocare tavoli di coordinamento con le forze di polizia, stabilendo protocolli di intervento e piani di emergenza specifici per mantenere il controllo della situazione.

In caso di disastri naturali o incidenti di particolare gravità, la Prefettura coordina anche la Protezione Civile, assumendo un ruolo chiave nella gestione delle emergenze, nell’organizzazione dei soccorsi e nella predisposizione delle strutture di accoglienza.

VicenzaPiùViva

Senza scordare, in aggiunta, che la Prefettura svolge funzioni amministrative di rilievo, tra cui la gestione di permessi di soggiorno, cittadinanza e pratiche legate alla sicurezza, agevolando i cittadini e offrendo supporto per le pratiche burocratiche.

Collaborazione e coordinamento con enti locali e nazionali

La Prefettura opera in stretta collaborazione con i Comuni, le Regioni e altri enti locali per garantire che le politiche governative siano attuate in modo efficace a livello territoriale.

Tale sinergia è fondamentale per affrontare problematiche specifiche nelle diverse aree provinciali, dove la Prefettura fornisce supporto amministrativo e, in caso di necessità, risorse aggiuntive per fronteggiare situazioni particolarmente delicate.

Un aspetto centrale del lavoro dell’Ente è la cooperazione con le Forze dell’Ordine, come Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Polizia Locale, per garantire una risposta coordinata alle esigenze di sicurezza. Il Prefetto, infatti, presiede il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dove si definiscono le linee guida per le operazioni interforze e si pianificano interventi preventivi e operativi.

Oltre alla collaborazione locale, la Prefettura mantiene stretti rapporti con i ministeri e gli enti centrali, fungendo da canale di comunicazione tra il livello nazionale e quello provinciale. Si tratta di un collegamento essenziale per recepire direttive governative e attuare politiche di sicurezza e controllo che riflettano le priorità nazionali, adattandole al contesto territoriale.

Ruolo della Prefettura nella mediazione e nella risoluzione dei conflitti

Un altro aspetto fondamentale del lavoro della Prefettura è il ruolo di mediazione che svolge in situazioni

di conflitto sociale o economico. In qualità di rappresentante del Governo, si occupa di facilitare il dialogo tra diverse parti sociali, come lavoratori e imprese, soprattutto in contesti di crisi aziendale o di difficoltà occupazionale. Attraverso i tavoli di confronto, cerca di trovare soluzioni che possano soddisfare le esigenze delle diverse parti coinvolte.

Inoltre, la Prefettura assume una funzione di rappresentanza governativa nelle controversie pubbliche, intervenendo per mantenere l’ordine e la tranquillità sociale. Questo può includere la risoluzione di situazioni di protesta, il dialogo con gruppi civici e l’organizzazione di incontri con le autorità locali per garantire che le esigenze dei cittadini siano ascoltate e valutate.

Invece, nelle controversie che coinvolgono i cittadini e le istituzioni, la Prefettura agisce come mediatore, favorendo soluzioni che rispettino sia le normative sia i diritti dei singoli, contribuendo a un clima di coesione e collaborazione tra la popolazione e le autorità locali.

La Prefettura e la gestione dell’immigrazione

La Prefettura ha una funzione centrale anche nella gestione dei flussi migratori e nell’organizzazione dei servizi di accoglienza per i migranti. In particolare, si occupa della distribuzione dei migranti nelle strutture di accoglienza locali e gestisce il rilascio di permessi di soggiorno e documenti necessari per l’integrazione sul territorio.

Il processo di rilascio di documenti come permessi di soggiorno e richieste di cittadinanza è regolato da norme stringenti e comporta una valutazione attenta dei requisiti di ciascun richiedente.

In questa funzione, la Prefettura collabora con altri enti locali e associazioni di volontariato per garantire un percorso di accoglienza efficace e rispettoso dei diritti delle perso-

ne. Agisce quindi a stretto contatto con organizzazioni non governative ed enti di supporto per offrire ai migranti risorse adeguate e agevolare il loro inserimento nelle comunità locali.

Protocolli e piani di sicurezza territoriale

Per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico, la Prefettura sviluppa piani di emergenza e protocolli specifici, che definiscono le modalità di intervento in caso di crisi e coordinano le azioni delle forze dell’ordine e degli enti locali. Possono includere misure per la protezione di infrastrutture critiche, la gestione del traffico durante eventi di massa o la risposta a disastri naturali.

Le misure preventive attuate dalla Prefettura, come l’intensificazione dei controlli in aree a rischio o l’organizzazione di servizi di pattugliamento in collaborazione con le Forze dell’Ordine, sono fondamentali per prevenire episodi di criminalità e mantenere la sicurezza pubblica.

Attraverso un costante monitoraggio del rischio e la valutazione delle minacce, la Prefettura è in grado di adattare le proprie strategie e rispondere tempestivamente ai cambiamenti delle condizioni di sicurezza.

Prefettura: un pilastro di sicurezza e cooperazione per il territorio

La Prefettura, dunque, rappresenta un pilastro fondamentale per la sicurezza e la legalità sul territorio nazionale, grazie alla sua capacità di coordinamento e al suo impegno nella gestione dell’ordine pubblico.

Come punto di riferimento per i cittadini e le istituzioni locali, la Prefettura agisce in qualità di ponte tra le esigenze della comunità e le politiche governative, contribuendo a un ambiente più sicuro e a una convivenza civile improntata alla cooperazione.

 Carabinieri in servizio in contrà Cavour a Vicenza

Cosa fanno i Carabinieri? Le competenze e il ruolo chiave nella sicurezza nazionale

Il Corpo dei Carabinieri rappresenta una delle Forze dell'Ordine più antiche e rispettate d'Italia, con radici che risalgono al 1814. Fondato durante il Regno di Sardegna, è nato con l’intento di garantire l'ordine e la sicurezza pubblica, un ruolo che ha mantenuto e ampliato attraverso i secoli.

Oggi, i Carabinieri non solo rappresentano una forza di polizia militare con competenze estese sul territorio nazionale, ma sono anche attivamente coinvolti in operazioni su scala globale e missioni di pace.

La loro presenza capillare in tutto il Paese fa sì che possano intervenire prontamente su molteplici fronti: dalla gestione dell’ordine pubblico alla lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo, fino alla tutela ambientale e del patrimonio culturale. Conoscere le competenze e i compiti specifici dei Carabinieri è essenziale per comprendere il loro ruolo unico nel sistema della sicurezza nazionale italiana.

Com’è strutturato il Corpo?

I cardini dell’Organizzazione

Il Corpo dei Carabinieri è strutturato secondo una gerarchia complessa, organizzata per garantire la massima efficienza e rapidità d’intervento.

A livello territoriale, i Carabinieri sono presenti in ogni angolo d’Italia grazie a una distribuzione capillare di caserme e stazioni, che permettono un contatto diretto e continuo con le comunità locali. Al vertice, il Comando Generale supervisiona le operazioni e coordina le attività delle varie divisioni specialistiche, mentre ogni provincia dispone di un comando autonomo che gestisce i presidi locali.

Le unità operative sono divise in diverse categorie, tra cui quelle territoriali, addette alla sicurezza generale, e i reparti specializzati, come il ROS, NAS, NOE e TPC, dedicati a settori specifici come la lotta al crimine organizzato, la protezione ambientale e la tutela della salute pubblica.

Tale livello di organizzazione permette al Corpo dei Carabinieri di operare in modo versatile, rispondendo rapidamente e con efficacia a una vasta gamma di esigenze e minacce alla sicurezza nazionale.

Le funzioni chiave dei Carabinieri

I Carabinieri svolgono un'ampia gamma di funzioni essenziali per la sicurezza e la legalità in Italia. Una delle loro competenze principali è il controllo del territorio, attraverso un costante monitoraggio delle comunità locali per prevenire e contrastare il crimine comune.

Ogni giorno, le pattuglie operano per garantire l’ordine pubblico, intervenendo in caso di incidenti, situazioni di emergenza o disordini. Oltre a questo, i Carabinieri ricoprono un ruolo fondamentale nella gestione della sicurezza durante eventi pubblici e manifestazioni, facendo in modo che tali occasioni si svolgano in un contesto sicuro per i partecipanti.

Un’ulteriore competenza chiave è la funzione di polizia giudiziaria. I Carabinieri cooperano strettamente con la magistratura nelle indagini penali, raccogliendo prove, eseguendo arresti e contribuendo al processo investigativo.

Si tratta dunque di una collaborazione vitale per affrontare fenomeni anche complessi, inclusi crimine organizzato, traffico di droga e altri reati di particolare gravità. La presenza costante dei Carabinieri sul territorio e la loro preparazione rendono possibile un intervento

 Pattuglia di Carabinieri motociclisti

immediato ed efficace nelle situazioni di emergenza.

I reparti specializzati

Oltre alle funzioni di base, i Carabinieri si distinguono per i numerosi reparti specializzati, ciascuno con competenze uniche in settori specifici.

Tra questi, il ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) si occupa delle indagini su criminalità organizzata e terrorismo, adottando metodologie investigative avanzate. Il NAS (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) svolge attività di controllo nel settore sanitario e della sicurezza alimentare, prevenendo frodi e proteggendo la salute pubblica. Il NOE (Nucleo Operativo Ecologico) è impegnato nella protezione ambientale, affrontando crimini legati allo smaltimento illecito dei rifiuti e all’inquinamento.

Un altro reparto di grande importanza è il TPC (Tutela Patrimonio

Culturale), dedicato alla salvaguardia dell’eredità artistica e culturale italiana. Inoltre, i Carabinieri Forestali si occupano della tutela ambientale, con particolare attenzione alla biodiversità e alla protezione delle aree naturali, contribuendo alla difesa del territorio e del patrimonio ecologico nazionale.

Il ruolo nella protezione civile e nelle emergenze nazionali I Carabinieri svolgono un ruolo fondamentale anche nel contesto della protezione civile e nella gestione delle emergenze nazionali. In situazioni di crisi come terremoti, alluvioni o incendi, sono tra i primi a intervenire, fornendo supporto operativo e logistico.

Grazie alla loro organizzazione capillare sul territorio e alla presenza di mezzi e personale qualificato, il Corpo è in grado di rispondere prontamente alle emergenze, colla-

borando con la Protezione Civile e altre forze di soccorso per mettere in sicurezza la popolazione e garantire il ripristino dell’ordine.

Durante le emergenze, i Carabinieri si occupano di varie attività, tra cui l'evacuazione delle persone dalle aree a rischio, la gestione della viabilità e il supporto ai soccorritori nelle operazioni di salvataggio.

Inoltre, il Corpo si distingue per la capacità di fornire assistenza umanitaria, distribuendo beni di prima necessità e allestendo strutture temporanee per i cittadini sfollati. Questo impegno si estende anche alla prevenzione delle catastrofi, attraverso controlli di sicurezza e il monitoraggio delle aree a rischio idrogeologico.

Collaborazioni attive sul panorama internazionale

Il ruolo dei Carabinieri non si limita ai confini nazionali: il Corpo è infat-

 Pattuglie di Carabinieri in centro a Vicenza

VicenzaPiùViva

ti impegnato in diverse missioni di pace e operazioni su scala globale.

In collaborazione con le Nazioni Unite, l’Unione Europea e altre organizzazioni internazionali, i Carabinieri partecipano attivamente a missioni di mantenimento della pace e stabilizzazione in aree di conflitto. Queste operazioni mirano non solo alla sicurezza, ma anche a promuovere la ricostruzione delle istituzioni e lo sviluppo delle forze di polizia locali, contribuendo alla creazione di un sistema giuridico e civile stabile.

I Carabinieri sono inoltre impegnati in attività di formazione e supporto per le forze di polizia di altri Paesi, trasferendo competenze e best practice su sicurezza, gestione del crimine e intervento in situazioni di emergenza.

Tecnologia e innovazione nelle strategie dei Carabinieri

L'adozione di tecnologie avanzate è un pilastro delle moderne strategie operative. Nel corso degli ultimi anni, il Corpo ha integrato strumenti

tecnologici innovativi per migliorare l’efficacia delle operazioni di controllo e investigazione.

Tra questi, l’uso di droni per il monitoraggio aereo, sistemi di sorveglianza avanzati e strumenti di analisi digitale rappresentano elementi chiave per affrontare le nuove sfide del crimine, soprattutto in ambiti come la sicurezza informatica e la prevenzione dei reati ambientali.

La digitalizzazione dei processi investigativi ha permesso poi ai Carabinieri di raccogliere e analizzare informazioni in modo più rapido e preciso, accelerando così le indagini. Inoltre, investimenti significativi sono stati fatti per migliorare la comunicazione interna, dotando le unità di strumenti che consentono di coordinare operazioni anche su larga scala in tempo reale.

La continua evoluzione tecnologica e l’innovazione sono aspetti cruciali per garantire un intervento tempestivo ed efficace, consentendo ai Carabinieri di essere sempre all’avanguardia nella lotta al crimi-

ne e nella protezione della sicurezza pubblica.

Il valore negli equilibri nazionali I Carabinieri, quindi, rappresentano una forza essenziale per la sicurezza e la stabilità dell’Italia, con un ruolo che va ben oltre la tradizionale funzione di polizia. La loro capacità di operare sia in ambito territoriale che in contesti specialistici, unita a una formazione rigorosa e all'uso di tecnologie avanzate, permette di rispondere prontamente alle sfide attuali, dal crimine organizzato alla protezione ambientale.

L'impegno nelle emergenze nazionali e nelle missioni internazionali, infine, evidenzia ulteriormente il valore del Corpo, non solo come garante della sicurezza interna ma anche come promotore di stabilità globale.

Le foto di questo articolo sono state realizzate da Corrado Marangoni - Image Creator - per VicenzaPiù Viva

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 Pattuglia di Carabinieri
 Agenti della Polizia di Stato in centro

Polizia di Stato e Questura: presidio di sicurezza nazionale e nei trasporti

La Polizia di Stato è una delle principali Forze dell’Ordine attive in Italia, con una funzione di polizia civile che copre un’ampia gamma di attività di controllo e sicurezza pubblica. Istituita come Corpo di sicurezza generale, agisce con competenze differenziate, che spaziano dalla prevenzione dei crimini all’ordine pubblico e alla gestione delle emergenze.

In ogni provincia, la Questura rappresenta l’organo territoriale che coordina le operazioni di polizia, svolgendo un ruolo centrale nella protezione dei cittadini e nel contrasto ai fenomeni criminali. La Polizia di Stato, poi, lavora a stretto contatto con altre istituzioni, tra cui la magistratura, per garantire una giustizia rapida ed efficace.

Struttura e organizzazione della Polizia di Stato

La struttura della Polizia di Stato è suddivisa territorialmente, con le Questure come punti di riferimento per le attività di sicurezza in ogni provincia italiana. Ogni Questura è organizzata in sezioni operative, che includono uffici per il coordinamento delle indagini e servizi di controllo del territorio, a cui si uniscono ulteriori sezioni specialistiche per compiti specifici.

Al vertice di tali strutture troviamo il Questore, la figura che guida e coordina le attività a livello provinciale, con il supporto di personale amministrativo e operativo che lavora in sinergia per garantire sicurezza e ordine pubblico.

All'interno delle Questure, chiaramente, ci sono anche unità specializzate che si occupano di settori particolari come la lotta alla criminalità organizzata, la gestione di situazioni di emergenza e la sicurezza stradale.

La Polizia di Stato dispone inoltre di reparti mobili, unità di pronto intervento che possono essere rapidamente dispiegate in caso di eventi di grande rilevanza o disordini. La combinazione di una presenza territoriale forte e di un’organizzazione flessibile rende tale Corpo un vero e proprio punto di riferimento fondamentale per la sicurezza pubblica in Italia.

Le competenze essenziali della Polizia di Stato

Le competenze della Polizia di Stato sono ampie e coprono diversi aspetti della sicurezza pubblica e della gestione dell’ordine. La funzione principale è proprio il controllo dell’ordine pubblico, che include il monitoraggio delle aree urbane, il controllo della sicurezza durante eventi pubblici e manifestazioni, e il mantenimento della tranquillità nelle comunità locali.

Attraverso il presidio costante del territorio, interviene prontamente in situazioni di emergenza, fornendo assistenza immediata e prevenendo eventuali reati.

Un'altra funzione chiave è quella di polizia giudiziaria. In questa veste, la Polizia di Stato collabora strettamente con la magistratura nelle indagini penali, raccogliendo prove, eseguendo arresti e contri-

buendo dinamicamente alle attività investigative.

Questa funzione è fondamentale per il contrasto alla criminalità organizzata e per la gestione delle indagini su crimini complessi. Grazie alla loro formazione e alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, gli agenti sono in grado di operare con tempestività ed efficacia.

Unità specializzate nella Polizia di Stato

Oltre alle attività ordinarie, la Polizia di Stato include diverse unità specializzate. La Direzione Investigativa Antimafia (DIA), ad esempio, si occupa delle indagini sul crimine organizzato, affrontando fenomeni come la mafia, il traffico di droga e altre attività criminali strutturate.

Un’altra unità di rilievo è la Polizia Postale e delle Comunicazioni, specializzata nel contrasto alla criminalità informatica, tra cui reati come truffe online, cyberbullismo e attacchi sul web.

Altri reparti, come il Nucleo Volanti, si concentrano sugli interventi d’emergenza, pattugliando costantemente le strade cittadine per garantire un intervento immediato in caso di necessità. Questa unità svolge un ruolo essenziale nella gestione delle emergenze, rispondendo in tempi rapidi a situazioni critiche.

La Polizia Ferroviaria: un’unità specialistica essenziale

La Polizia Ferroviaria (Polfer) è una delle unità specialistiche più rilevanti della Polizia di Stato, con compiti specifici legati alla sicurezza dei trasporti ferroviari. Attiva nelle stazio-

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ni e a bordo dei treni, è incaricata di garantire la sicurezza dei passeggeri, prevenendo reati e intervenendo in caso di emergenza.

Questo reparto, in particolare, svolge attività di sorveglianza nelle principali stazioni italiane e lungo le tratte ferroviarie, assicurando che i trasporti si svolgano in un contesto sicuro e protetto.

La Polfer si occupa di prevenire crimini come furti, aggressioni e atti vandalici sui treni e nelle stazioni, lavorando in stretta collaborazione con i servizi di sicurezza delle società ferroviarie.

Inoltre, gli agenti sono formati per agire in situazioni di emergenza, come incidenti ferroviari o evacuazioni, garantendo un intervento rapido ed efficace.

Il loro contributo è essenziale per mantenere alti standard di sicurezza nel settore ferroviario, proteggendo ogni giorno migliaia di pendolari e viaggiatori.

Collaborazioni internazionali della Polizia di Stato

In collaborazione con agenzie come Europol e Interpol, la Polizia di Stato partecipa ad azioni per contrastare il crimine organizzato, il traffico di droga e la tratta di esseri umani. Queste operazioni mirano non solo a fermare le attività criminali, ma anche a sviluppare strategie preventive a livello internazionale.

Inoltre, la Polizia di Stato partecipa a missioni di sicurezza e mantenimento della pace all’estero, offrendo il proprio contributo per la stabilizzazione e la protezione di Nazioni in situazioni di crisi.

La collaborazione con le forze di polizia di altri Paesi e la partecipazione a missioni di addestramento

oltre confine rappresentano un importante strumento per condividere conoscenze e migliorare l’efficacia della sicurezza internazionale.

Formazione e specializzazione del personale

Gli agenti della Polizia di Stato seguono un percorso formativo rigoroso che prevede un addestramento completo, sia teorico che pratico.

La formazione inizia presso le scuole di polizia, dove gli aspiranti agenti affrontano lezioni su diritto, psicologia, tecniche di comunicazione e gestione delle emergenze. Questi moduli teorici sono pensati per fornire una solida base di conoscenze giuridiche e relazionali, fondamentali per gestire situazioni complesse e rapportarsi efficacemente con i cittadini.

L’addestramento fisico è una componente cruciale del percorso, con esercitazioni su difesa personale, uso delle armi e gestione delle situazioni di crisi. Per le unità specializzate, la formazione continua con

corsi avanzati in settori specifici, come le tecniche investigative, l’analisi della scena del crimine e la sicurezza informatica.

Gli agenti della Polizia Ferroviaria, ad esempio, ricevono una formazione specifica per gestire la sicurezza nelle stazioni e a bordo dei treni. Mentre i membri della DIA, specializzati nella lotta contro la criminalità organizzata, seguono percorsi di addestramento intensivo che includono strategie di infiltrazione, tecniche di intelligence e cooperazione con altre forze di sicurezza nazionali e internazionali per disarticolare reti criminali complesse.

La formazione della Polizia di Stato si completa con aggiornamenti periodici, necessari per mantenere elevati gli standard di preparazione e garantire che gli agenti siano sempre pronti ad affrontare le nuove sfide della sicurezza pubblica.

Un contributo essenziale alla sicurezza e all’ordine pubblico La Polizia di Stato e le Questure, dunque, rappresentano delle istituzioni cardine per la sicurezza pubblica in Italia, operando con una presenza capillare e rispondendo alle sfide della criminalità con competenza e determinazione.

Grazie alla struttura ben organizzata, alla presenza di unità specialistiche come la Polizia Ferroviaria, e a una costante innovazione tecnologica, la Polizia di Stato assicura protezione e legalità per milioni di cittadini.

Le foto di questo articolo sono state realizzate da Corrado Marangoni - Image Creator - per VicenzaPiù Viva.

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