VicenzaPiù Viva n. 302, 12 ottobre 2025

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70 anni de basi Baci, amore e fantasia

Il libraio Bertoliano
Alberto Galla

Il Veneto verso il voto per il dopo Zaia di Salvatore Borghese

Cosa resterà dei 15 anni di luca Zaia?

di Renzo Mazzaro

SPECIALE REDAZIONE ELEZIONI REGIONALI

Francesco Rucco

SPECIALE REDAZIONE ELEZIONI REGIONALI

Chiara Luisetto

SPECIALE REDAZIONE ELEZIONI REGIONALI

Roberto Ciambetti

Gabriele Tasso

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Alberto Galla, le vie della lettura sono (in)finite? di Federica Zanini

Non “Dio perché?”, ma “grazie per avermelo donato” di padre Gino Alberto Faccioli

Viviana Casarotto: “il dolore di un lutto va attraversato, magari con l’aiuto di un gruppo accogliente e comprensivo” di Marta Cardini

L’Unione europea di fronte al genocidio in Palestina, l’inazione che rende complici di Eleonora Boin

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Cirella (TCVi) e Possamai: “nessun contributo pubblico all’Italia-America Friendship Festival!”. di Serena Balbo

In un manifesto del Collettivo i bAsi che denunciano 70 anni di sudditanza di Giovanni Coviello

Mappa geopolitica del movimento antimilitarista di Vicenza di Ettore Pignatta

Il “prezzo” della pace: quanto costa ricostruire l’Ucraina? di Salvatore Borghese

VicenzaPiù Viva Fondato il 25 febbraio 2006 come supplemento di La Cronaca di Vicenza

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Teatro San Marco Vicenza: accomodati nella storia, ma connessi al futuro di Federica Zanini

Andrea e Giovanni Gabrieli: da Vicenza a San Marco, la musica che fece scuola in Europa di Marco Ferrero

Massimo Parolin, lo scrittore dell’amicizia di Giulia Matteazzi

Praga in noir, oltre Dan Brown a ritroso nel tempo di Federica Zanini 65

Massimo Parolin come Dan Brown? O viceversa? di Giulia Matteazzi

Il volley vicentino contribuisce alla storica accoppiata azzurra di Claudio Raimondi

Riso bollito, qualche verdura, le irrinunciabili proteine ed ecco l’anti-sushi di Federica Zanini

Le IGT dal Veneto alla Sicilia: vini bianchi particolari per abbinamenti speciali di Michele Lucivero

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Impaginazione chiusa il 12 ottobre 2025 Associato n. 5967

Ottobre è il mese in cui le piazze si riempiono di castagne, di voci, di incontri. VicenzaPiù Viva torna con un numero che raccoglie tutto questo: la vita della città, le sue tensioni, le sue passioni, ma anche le storie, le persone e le idee che da Vicenza guardano oltre i confini locali per leggere un Veneto, un Paese e un mondo che cambiano.

Vertici cittadini, pacifisti ma anche no

Questo mese il nostro giornale si presenta con nuove rubriche e nuove collaborazioni. La prima novità è la rassegna “Il meglio di ViPiu.it”, una finestra mensile che riporta sulla carta i temi più discussi, letti o riflettuti della nostra testata online. Un modo per ritrovare, con lo sguardo più lento e meditato della carta stampata, le notizie e gli approfondimenti che hanno segnato il dibattito pubblico: un ponte tra la rapidità del web e la profondità del mensile, che continua a credere nella lettura come forma di cittadinanza attiva.

L’apertura quasi obbligata del numero è lo speciale dedicato alle elezioni regionali del Veneto: un appuntamento politico che chiude un’epoca e ne apre un’altra. I nostri collaboratori e analisti tracciano un bilancio dei quindici anni di governo di Luca Zaia, tra successi e promesse mancate, autonomie e centralismi, mentre i nuovi candidati si preparano a sfidarsi per un Veneto che dovrà ritrovare una direzione chiara tra transizione ecologica, sanità pubblica e questione demografica per parlare al cuore del Paese dal motore di una regione, che spesso non sa farsi ascoltare fuori dal cortile.

Il servizio di copertina è un gioco di parole e di significati: il vicentino“Basi e basi” diventa l’italiano“basi e baci”. Un titolo che racconta Vicenza come città doppia, quella delle basi militari statunitensi, simbolo di una presenza ingombrante e di una storica e ipocrita sudditanza dei vertici cittadini, e quella dell’antimilitarismo attivo vicentino, spesso criminalizzato per il solo fatto di alzare la voce invece di far discutere e far riflettere.

Dalle piazze alle persone: il mensile dedica poi ampio spazio al tema delle sofferenze e della resilienza L’articolo sull’elaborazione del lutto ci porta anche dentro i gruppi AMA della Caritas Diocesana, dove chi affronta la perdita trova ascolto e sostegno da volontari e da chi ha già percorso quella strada. Un tema delicato, ma necessario, che richiama il bisogno di comunità e di empatia in una società che tende a rimuovere il dolore ma che, proprio per questo, non lo sa superare.

Uncartellodegliantifestivaldell'amiciziaItaliaUsa

Il protagonista del mese è Alberto Galla, libraio e presidente della Biblioteca Bertoliana, simbolo di una Vicenza che si rinnova attraverso la cultura. La sua storia è quella di un uomo che, tra scaffali e libri, ha saputo mantenere viva l’idea del sapere come bene comune, adattandola ai tempi della tecnologia e della rete. Una conversazione che è anche una riflessione sul futuro delle librerie, sulla sfida della lettura e sulla cultura come infrastruttura civile.

Il numero si chiude, al solito, con il supplemento “L’Altra Vicenza”, finestra “leggera” sulla città e oltre i suoi confini. Da leggere l’articolo che mette in dialogo lo scrittore-comandante Massimo Parolin con lo scrittore Dan Brown, in un divertente gioco di rimandi tra fede, mistero e narrativa gotica, ma anche altri contributi che mescolano satira e curiosità, piccoli ritratti e grandi domande, ad esempio, quella sul grande volley femminile che manca da troppo.

Arrivederci, allora, al prossimo mese per raccontarvi, con calma, un altro pezzo di questa Vicenza e di questo Veneto che cambiano e che restano vivi e possono, e devono, tornare protagonisti.

Il meglio del web di settembre .it

Maltempo aprile nel Vicentino: possibile sospensione dei mutui

Nei comuni di Arzignano, Brogliano, Cornedo Vicentino, Recoaro Terme, Trissino e Valdagno, i residenti colpiti dal maltempo del 17 e 18 aprile 2025 potranno richiedere la sospensione dei loro mutui.

L'Associazione Bancaria Italiana (ABI) ha inviato una circolare alle banche, comunicando che è stata emessa l'Ordinanza del Dipartimento della Protezione Civile che recepisce l'accordo per assicurare interventi tempestivi a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali. Le banche potranno dunque applicare la sospensione dei pagamenti delle rate per i mutui.

Omicidio Fioretto-Begnozzi: ergastolo in I° grado a Pietrolungo

Dopo 30 anni, il duplice omicidio di Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi ha trovato un colpevole. Il Tribunale di Vicenza ha condannato all’ergastolo Umberto Pietrolungo, 58 anni, originario di Cetraro (Cs) e ritenuto legato al clan di ’ndrangheta Muto. L'uomo è stato riconosciuto colpevole in primo grado del delitto avvenuto il 25 febbraio 1991 nei pressi dell'abitazione dei coniugi a Vicenza.

La svolta è arrivata nel 2023, quando una traccia di DNA, isolata dalla polizia scientifica già nel 2012, è stata com-

Ex Baronio occupato: ora nuova casa del Bocciodromo

Il 9 settembre, l’ex istituto Baronio di viale Trento è stato occupato da un gruppo di attivisti dei centri sociali Bocciodromo, Intifada Studentesca e

parata con i database genetici nazionali, indicando una corrispondenza con un profilo emerso dopo una sparatoria avvenuta in Calabria nel 2022.

La super indagine, coordinata dal pubblico ministero Hans Roderich Blattner e dalla Squadra Mobile, ha consentito di riaprire il caso. La condanna all’ergastolo chiude provvisoriamente una vicenda lunga 34 anni, ma l’incognita del movente non è stata chiarita. Il procuratore capo Lino Giorgio Bruno ha espresso soddisfazione per la sentenza, sottolineando il ruolo delle scienze forensi. Restano tuttavia ancora senza nome il secondo esecutore materiale e, soprattutto, il mandante. La difesa ha già annunciato ricorso in appello.

Caracol Olol Jackson. L’azione, è stata collegata alla missione umanitaria verso Gaza della Global Sumud Flotilla ed è stato organizzato e svolto un meeting intitolato “No more bases, no more wars”. Una decina di giorni dopo, è stato comunicato dagli attivisti che l'ex Baronio avrebbe ospitato la nuova sede del centro sociale occupato Bocciodromo di Vicenza, dopo lo sgombero dallo stabile dei Ferrovieri, destinato all'abbattimento per fare spazio ai cantieri della Tav. Nei giorni successivi, il consigliere comunale di FdI ed ex sindaco di Vicenza Francesco Rucco ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Vicenza riguardo all’occupazione dell’ex Baronio da parte degli attivisti.

Vicenza dice No a basi, guerre e... Amicizia Usa: in 2000 sfilano in città

Sabato 13 settembre 2025, si è svolta a Vicenza una partecipatissima Marcia pacifista e antimilitarista: per le strade di Vicenza, con punto di arrivo la base

Vicenza, encomio Forze dell’Ordine per caso di Danilo Rihai

Il Consiglio comunale di Vicenza ha approvato la proposta del consigliere Nicolò Naclerio (FdI) per un encomio da conferire alle Forze dell’Ordine che, il 9 agosto, avevano arrestato Danilo Rihai, 17enne tunisino poi suicidatosi durante la detenzione a Treviso. Il giovane aveva compiuto 4 rapine in centro a Vicenza per poi barricarsi in un'abitazione, circondata dalle forze dell'ordine. Era stato poi arrestato e portato in carcere a Treviso. Qui, il giovane si era tolto la vita. La mozione – ha precisato Naclerio – era stata presentata prima del suicidio.

Tangenziale, Comitato Albera: "Ponte Alto al buio?

Torri non a norma"

Le due torri faro in corrispondenza di località Ponte Alto sulla tangenziale di Vicenza non hanno mai funzionato perché sin da quando sono state installate, nel 2021, non sono a norma. È quanto ha fatto sapere il Comitato dell'Albera dopo aver ottenuto riscontro a un accesso agli atti avanzato al Comune di Vicenza. Inoltre, è stata espressa perplessità per il fatto che – ha appreso il Comitato – della soluzione della questione dovrà occuparsi Iricav 2, general contractor dell'attraversamento di Vicenza dell'Alta Velocità, ipotizzando tempi molto lunghi.

Usa Del Din, hanno sfilato oltre 2000 persone. Nel mirino dei manifestanti il genocidio di Gaza e l’Italia-America Friendship Festival, organizzato per celebrare la presenza Usa in città e del quale a lungo ci siamo interessati, soprattutto in merito alla scarsa chiarezza sui finanziamenti all'evento. I manifestanti hanno inoltre voluto sostenere la Global Sumud Flotilla e la sua missione umanitaria a Gaza. Tra organizzatori e partecipanti della marcia associazioni e sigle politiche, tra cui Anpi, Arci, Cgil, Legambiente, oltre agli attivisti del Bocciodromo. Iconico resterà lo slogan principale della marcia: “No more bases, No more Wars”, di semplice traduzione.

Caso GPS: Municipia disponibile a subentrare

La società “Municipia” ha manifestato la disponibilità al subentro nel contratto di gestione della sosta a Vicenza, dopo la risoluzione in danno con GPS decisa dal Comune per inadempienze. Municipia si era classificata seconda nella gara di assegnazione. L'amministrazione ha dunque avviato le procedure per concretizzare il subentro. “Nei prossimi giorni – ha dichiarato l’assessore alla Mobilità Cristiano Spiller – lavoreremo per perfezionare e accelerare le operazioni del cambio di gestione”. Un ennesimo capitolo della vicenda che Vicenza Più Viva e ViPiù. it hanno seguito sin dal primo momento, sollevando perplessità poi rivelatesi fondate.

Pablito illumina Palazzo Trissino: installazione dedicata al campione

L'affetto di Vicenza per Paolo Rossi, l'indimenticato "Pablito", si manifesta con una nuova opera a Palazzo Trissino, sede del Comune. Dopo il murale e la statua al Menti, la sede del municipio ospita ora l'installazione luminosa "Pablito", realizzata dall’artista Marco Lodola.

L'opera ritrae Rossi esultante in maglia azzurra e con il numero 20 del Mondiale '82. L'installazione, che celebra quello che sarebbe stato il 69° compleanno del campione, resterà esposta fino al 10 ottobre. Essendo luminosa, è ammirabile anche di sera attraverso il cancello di Contrà Cavour.

Lavoratori italiani alla base Del Din: Cgil impugna 32 licenziamenti

La Cgil ha avviato una vertenza contro Sky Bridge Tactical Italy Srl, ditta operativa alle caserme Ederle e Del Din, che ha annunciato il licenziamento di 32 dipendenti della logistica e manutenzione per l'esercito USA.

Dopo il mancato accordo locale, la trattativa si è spostata in Regione. Il sindacato sospetta un cambio d'appalto in violazione della clausola sociale. La capofila americana Mantech International ha infatti affidato il servizio a DAV Force. La Filt Cgil ha ottenuto la "messa a disposizione" con retribuzione per i lavoratori esclusi.

Tav a Vicenza: prime demolizioni degli edifici

A Vicenza sono iniziate venerdì 5 settembre 2025 le prime demolizioni degli edifici che faranno spazio ai cantieri per la Tav.

Gli interventi, che sono stati affidati al general contractor Iricav Due (Gruppo Webuild e Hitachi Rail STS), hanno interessato l'area ovest della città, vicino alla linea ferroviaria Venezia-Milano. Sono state adottate misure di contenimento come getti d'acqua nebulizzata per abbattere le polveri e un grande telone per proteggere i binari. L'avvio delle demolizioni è coinciso con una manifestazione in città contro l'Alta Velocità.

Un eroe senza ricordo: Rolando chiede targa per Savoini

Un eroe senza ricordo: così si potrebbe sintetizzare la vicenda di Giulio Savoini, calciatore e poi allenatore la cui carriera è legata al Lanerossi Vicenza, di cui è stato bandiera tra gli Anni '50 e '60. Si attende che venga apposta allo Stadio Romeno Menti una targa in suo onore, come deciso nel 2020 dal Consiglio comunale, quando si decise anche per la cittadinanza onoraria a Paolo Rossi, grande amico di Savoini.

L'iniziativa era dell'allora consigliere Giovanni Rolando che oggi, rilancia la vicenda: “Vicenza deve mantenere l’impegno preso, perché mai nessuno come Savoini è stato rappresentativo dei colori biancorossi”.

Il Veneto verso il voto per il dopo Zaia

Giovanni Manildo per il centrosinistra alle prese con Alberto Stefani e col presidente uscente come vero convitato di pietra della campagna

elettorale in cui il centrodestra è unito ma con malumori

Come sta il Veneto alla vigilia del voto?

La domanda non è banale, perché quando si parla della regione guidata negli ultimi quindici anni da Luca Zaia non si parla solo di un territorio. Si parla, allo stesso tempo, di un laboratorio politico, di un “fortino” elettorale e di un pezzo di Nord che ha fatto da cartina tornasole per il centrodestra italiano. Le prossime elezioni regionali, fissate per il 23 e 24 novembre (insieme a quelle di Campania

e Puglia), rappresentano dunque molto più di una semplice consultazione locale. Soprattutto dopo la tornata “spezzatino” che tra settembre e ottobre ha riguardato, nell’ordine, Marche, Calabria e Toscana, il voto di fine novembre appare come l’appuntamento clou di questo anno politico-elettorale in Italia.

Vale la pena ricordare fin da subito che, da quando esiste l’elezione diretta dei presidenti di Regione, e in generale da quando il sistema politico italiano si è imperniato attorno a un bipolarismo di

coalizione tra centrodestra e centrosinistra (cioè da circa 30 anni) in Veneto hanno sempre vinto candidati e coalizioni di centrodestra: prima Giancarlo Galan, dal 1995 al 2010, poi Luca Zaia, dal 2010 a oggi. Un dominio ininterrotto che ha reso questa regione un terreno “proibito” per il centrosinistra, il quale al massimo è riuscito a insidiare la coalizione avversaria in qualche comune, ma mai a livello regionale. Ma anche una predominanza, quella del centrodestra, che si è puntualmente confermata in ogni occasione elettorale nazionale.

Alberto Stefani tra Luca Zaia e Matteo Salvini

GiovanniManildoincontracandidatialleregionali e militanti del Pd di Vicenza

L’ombra lunga di Zaia

Lo scenario, a dire il vero, è andato definendosi solo negli ultimissimi giorni, praticamente in extremis. Il centrosinistra, infatti, aveva da tempo sciolto le riserve puntando sull’ex sindaco di Treviso Giovanni Manildo, che sarà sostenuto da una coalizione ampia, dal PD al M5S passando per AVS, Italia Viva e Azione. Nel centrodestra, invece, la partita è stata parecchio più intricata: per mesi, Lega e Fratelli d’Italia hanno rivendicato il diritto di esprimere il candidato presidente. Al raduno di Pontida Matteo Salvini aveva lanciato ufficialmente il deputato Alberto Stefani come “il candidato della

Lega”, una fuga in avanti che infine ha dato i suoi frutti. A inizio ottobre, dopo l’ennesimo vertice di coalizione, è arrivata infatti l’ufficialità: sarà il 32enne Stefani il candidato del centrodestra per la presidenza della Regione Veneto. Il vero convitato di pietra della campagna elettorale resta comunque Luca Zaia. Presidente dal 2010, non ha mai fatto mistero di voler tentare un quarto mandato, ambizione spenta sul nascere dalla Corte costituzionale con una sentenza che lo scorso aprile ha bocciato la legge regionale della Campania che consentiva un terzo mandato consecutivo, in contrasto con le disposizioni previste

Ilpotenzialeelettoralediun’ipotetica listaZaia(fonte:sondaggioDemos, settembre2025)

dalle norme quadro nazionali. Risultato: come De Luca, neanche Zaia potrà correre di nuovo, ma non per questo è sparito dalla scena. Anzi. Dopo settimane di ipotesi su una sua lista personale capace – secondo alcuni sondaggi – di raccogliere oltre il 40% dei voti, il governatore uscente ha deciso di candidarsi come capolista per la Lega in tutte le circoscrizioni, inserendo persino il suo nome nel simbolo del partito. Una scelta che evita lo scenario peggiore per Salvini, ma che conferma quanto il peso politico di Zaia sia ancora centrale. Del resto, è oggettivamente complicato “mettere da parte” un presidente uscente che gode di un gradimento superiore al 70%, come certificato dall’ultimo Osservatorio dell’istituto Demos.

Veneto roccaforte, a meno che…

Il Veneto, come si diceva, è da sempre una delle roccaforti del centrodestra. Non solo alle regionali (anche senza contare le ultime del 2020, che furono particolarmente “plebiscitarie” a favore di Zaia anche grazie alla gestione del Covid), ma anche alle politiche del 2022 e alle europee del 2024. In entrambe le occasioni il centrosinistra, o se si preferisce il “campo largo”, si è fermato ben sotto il 40% dei voti, mentre la coalizione di centrodestra ha superato abbondantemente il 50%. Numeri che parlano da

Veneto,igiudizisullagiuntauscenteesulle opposizioni(fonte:sondaggioDemos, settembre2025)

IpronosticideglielettorisulleelezioniregionaliinVeneto

(fonte:sondaggioYoutrend,settembre2025)

soli. Certo, ogni elezione fa storia a sé, ma qui i rapporti di forza sembrano davvero consolidati.

L’unica vera incognita capace di rendere la partita davvero contendibile sarebbe stata una rottura clamorosa nel centrodestra. Immaginiamo lo scenario: Lega e Fratelli d’Italia divise, ciascuna con un proprio candidato. A quel punto sarebbe bastato poco per trasformare la sfida in un remake del “caso Verona”, quando nel 2022 il centrosinistra riuscì a conquistare il Comune proprio approfittando delle divisioni del campo avverso. Ma qui il copione sarebbe stato ancora più semplice, visto che il sistema elettorale regionale prevede il turno unico: con tre candidati forti in campo, si sarebbe potuto vincere anche con il 35% dei voti, una soglia ampiamente raggiungibile per

una coalizione di centrosinistra minimamente ampia e coesa. La legge elettorale regionale, peraltro, prevede un premio di maggioranza ‘variabile’: al vincitore spettano il 55% dei seggi se resta sotto il 40% dei voti, il 60% se si colloca tra il 40 e il 60%, e una distribuzione proporzionale se supera il 60%. È quanto accadde nel 2020, quando la lista Zaia, sommata al resto della coalizione, sfondò addirittura quota 70%, rendendo inutile qualsiasi premio e consegnando un Consiglio regionale quasi monocolore.

Cosa

dicono i sondaggi

I dati più recenti non fanno che confermare questo quadro. Come l’analisi del voto passato, infatti, anche le rilevazioni effettuate dagli istituti di sondaggio – per quanto finora ne siano state pubblicate

poche – non lasciano molti dubbi sull’esito. A giugno Tecnè ha pubblicato un sondaggio che metteva a confronto un generico candidato di centrodestra con un altrettanto generico candidato di centrosinistra: risultato, 60-64% contro 36-40%, uno scarto pienamente in linea con le tendenze storiche. Ancora più esplicito un sondaggio di Youtrend di inizio settembre: il 54% degli intervistati pronosticava la vittoria del centrodestra, mentre solo il 12% credeva in un successo di Manildo (un terzo abbondante si rifugiava prudentemente nel “non so”).

Zaia e Salvini, un equilibrio delicato

La vicenda del candidato mancato ha avuto anche un risvolto interno alla Lega. Zaia, con il suo consenso trasversale e la sua immagine di governatore pragmatico e moderato, era da tempo considerato un potenziale sfidante della leadership di Salvini. Non pochi, anche dentro il Carroccio, lo vedevano come l’uomo giusto per riportare il partito a un profilo più “territoriale” e meno nazionalista. Salvini, al contrario, negli ultimi anni ha virato verso posizioni identitarie, accentuando l’alleanza con i nazionalisti europei e legandosi sempre più a un’agenda “romana”. Il congresso-lampo che lo ha riconfermato segretario, insieme alla passerella di Pontida, hanno sancito una sorta di blindatura della sua leadership. Risolvere la questione Zaia è stato un passo ulteriore in questa direzione: tenerlo dentro, senza dargli l’occasione di diventare un polo alternativo, nemmeno nel “suo” Veneto. Ma non tutto è filato liscio: le tensioni restano. Molti amministratori veneti non hanno ben digerito l’imposizione a Zaia di non presentare una propria lista, sia pure nella coalizione di centrodestra, e i malumori verso la linea “nazionale” del partito non sono certo spariti (anzi, si sono se possibile inaspriti dopo lo spazio regalato da Salvini al generale Vannacci). Il rapporto tra le due anime della Lega – quella identitaria e quella pragmatica – continua a essere fragile, e il voto di novembre potrebbe anche dirci qualcosa di questo equilibrio.

La vera anomalia

In tutto questo, la vera anomalia riguarda Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni è da tre anni il primo nelle urne e nei sondaggi, a livello nazionale come in Veneto; la premier gode di un livello di fiducia che nessun altro leader politico raggiunge (fatta eccezione per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella). Il risultato delle elezioni regionali delle Marche, alla cui guida è stato riconfermato Francesco Acquaroli (esponente proprio di FDI) è stato l’elemento decisivo per far desistere le mire dei meloniani su un proprio candidato presidente in Veneto. Ma il punto politico resterà intatto: quello che ad oggi è il primo partito del Paese non è mai riuscito a conquistare una grande regione

del Nord. Non è un dettaglio da poco, se si pensa che la legittimazione territoriale resta un tassello fondamentale per qualsiasi forza politica che aspiri a radicarsi stabilmente. Come contropartita per il via libera a Stefano in Veneto, quindi, FDI si è “prenotata” per esprimere il candidato presidente alle regionali in Lombardia (previste per il 2028).

Cosa resterà dunque di questo voto? Probabilmente una conferma del centrodestra, con la Lega che proverà a intestarsi il risultato e Fratelli d’Italia che dovrà accontentarsi di un ruolo da comprimaria, cercando di confermarsi primo partito (nonostante la presenza ingombrante di Zaia nelle liste leghiste). Ma la storia insegna che nulla è scritto in anticipo. Sarà interessante

vedere se il centrosinistra riuscirà almeno a rendere la sfida meno scontata, e se l’ombra lunga di Zaia genererà tensioni nello schieramento dato per favorito. Alla fine, probabilmente, l’incognita a cui dare risposta sarà non tanto quella sul nome del nuovo presidente di regione, quanto su chi potrà davvero intestarsi la vittoria: Salvini per averlo tenuto, Meloni per i voti di lista di FDI, o Zaia per la sua popolarità personale? Una corsa a tre, ma (salvo clamorose sorprese) tutta interna al centrodestra.

Fonti:

Sondaggio Youtrend

Sondaggio Tecnè

Sondaggio Demos

RobertoCiambetti,presidentedelconsiglioregionale delVeneto,inunodeisuoiinterventi
Alberto Stefani con Luca Zaia

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Cosa resterà dei 15 anni di Luca Zaia?

Il fascino del grande comunicatore capace di ergersi a portavoce dei veneti costruito con un controllo feroce sull'informazione.

Fine di un'epoca senza un vero bilancio

LucaZaiainunadellesueconferenzestampa

I quindici anni di governo del Veneto di Luca Zaia meriterebbero un bilancio accurato che invece nessuno si sta arrischiando a fare. Quindici anni sono un’era geologica in politica, la loro fine segna un capolinea: interrogarsi su quello che è avvenuto è fondamentale per prepararsi a quello che avverrà, tanto più per chi vuole impostare un’azione amministrativa e si candida a farlo. Notiamo invece che la campagna elettorale sta viaggiando sul-

la continuità del quindicennio di Zaia, tanto da parte della maggioranza che la rivendica, quanto dell’opposizione che continua a subirla. Ci mancherà qualche diottria ma non vediamo tentativi di passare al setaccio il quindicennio che ci lasciamo alle spalle, valutandolo senza paura, per separare le cose positive dalla zavorra delle mancate realizzazioni. Stranissimo che nessuno ci provi, ma anche comprensibile. Il consenso bulgaro che il presidente Luca Zaia ha ottenuto, mai raggiunto da nessuno, è un

riconoscimento della sua capacità di creare motivazioni, di orientare l’opinione pubblica, di ergersi a portavoce dei veneti accomunandoli in un comune sentire, oceanico anche se privo spesso di approdi concreti.

Sfidare il consenso di cui gode, avventurandosi in un bilancio che forzatamente deve toccare anche aspetti negativi (che bilancio sarebbe altrimenti?), espone a grossi rischi. Dietro la facciata rassicurante e i comportamenti a presa universale, il presidente del Veneto nasconde

un controllo ferreo della comunicazione. Non gradisce il contraddittorio e meno ancora il dissenso. Ha la querela facile e non esita ad usarla come sistema per reprimere le critiche che lo toccano direttamente. Querele spesso temerarie le sue, che sono finite archiviate, ma hanno obbligato i destinatari a trovarsi un avvocato con tutto quel che ha significato, cominciando dal portafoglio.

Possiamo documentarlo con prove circostanziate e dirette, ma non siamo gli unici. Ai tempi del Covid, Pietro Gonella, ex dirigente della sanità veneta, osservava che le quotidiane conferenze stampa del presidente Zaia avevano «trasformato televisioni e giornali in ossequiosi paggetti del governatore sovrano: viviamo in un’epoca in cui trionfa una pericolosa massificazione mediatica con un governatore che controlla tutta la comunicazione, nessuno può ardire di contraddirlo altrimenti viene colpito da un’abiura». La critica non è mai stata un mestiere facile, ma un conto è avere cittadinanza e un altro essere demonizzati, in qualche modo additati al pubblico ludibrio per aver offeso il presunto onore del manovratore.

Questo è il motivo per il quale anche il nostro artigianale tentativo di bilancio del quindicennio zaiano non contiene riscontri con nomi e cognomi. Gli interlocutori parlano liberamente solo se non vengono citati. Questa è l’aria che tira.

Dov’è finita l’autonomia differenziata

Parlare con i destinatari dell’azione di governo della Regione è l’unico modo

per misurarne concretamente il successo o l’insuccesso. Per la verità ce ne sarebbe un altro: partire dal programma elettorale con cui Luca Zaia si è presentato alle ultime elezioni regionali, quelle del 2020, ottenendo il 76,79% del consenso e verificare quanto è stato realizzato. Purtroppo, questa operazione risulta impossibile. Il programma è un testo di 168 pagine con dichiarazioni di intenti, illustrazione di aspettative, collage di riferimenti, discorsi da massimi sistemi. Finisce addirittura con una bibliografia in cui viene citato anche l’Onu. Insomma, è tutto meno che un programma di governo, se per programma di governo intendiamo un ruolino di marcia che fissi gli obiettivi e indichi percorsi e scadenze per raggiungerli. A dispetto della fiera rivendicazione di Luca Zaia in premessa, che «il Veneto è terra del fare più che quella del parlare». Questo presunto programma offre comunque una traccia che proviamo a seguire. Il Veneto è diviso in 7 capitoli:

Veneto autonomo, Veneto vincente, Veneto eccellente, Veneto attraente, Veneto sostenibile, Veneto connesso, Veneto in salute.

Non occorre dire che in cima agli obiettivi dell’amministrazione Zaia c’era il raggiungimento dell’autonomia differenziata per il Veneto. Il presidente ne ha fatto la motivazione dell’intero quindicennio, ha portato i veneti a votarla il 22 ottobre 2017, avrebbe voluto anche il quarto mandato (non il terzo!) per continuare ad agitare la bandiera. Purtroppo, se ne va senza averla piantata in cima all’obiettivo che resta ancora molto lontano, nonostante le assicurazioni del contrario profuse a man bassa nell’ultimo quinquennio. La delusione è tale che, fateci caso, non ne parla più. Anche Luigi Bacialli, direttore di Rete Veneta e suo grande sostenitore, ha spento il contatore dei giorni che mancavano al fatidico evento e campeggiavano in alto a sinistra dello schermo dell’emittente.

Se parliamo con il costituzionalista Mario Bertolissi, che lo scorso gennaio ha patrocinato la Regione Veneto davanti alla Corte Costituzionale nel confronto con i referendari abrogazionisti, registriamo la stessa delusione. Bertolissi cita tutti i tentativi di riforma costituzionale falliti, da Berlusconi a Renzi, a fronte invece di Roma Capitale che si avvia a diventare la ventunesima regione d’Italia senza che ci sia stato nessun referendum popolare a chiederla. «Cosa vuoi fare se hai tutto il Paese contro?», è la sua amara conclusione.

Ma è una delusione relativa, come professionista Bertolissi si trova dalla parte che ha vinto: la Corte costituzionale gli ha dato ragione respingendo la richiesta di referendum, anche se ha confermato che per arrivare all’autonomia differenziata il percorso dovrà essere molto più laborioso di quello previsto dal ministro Calderoli. E di quello sognato da Palazzo Balbi con la richiesta massimalista e sbrigativa di un passaggio di consegne per tutte le 23 materie delegabili.

La delusione del presidente del Veneto è senz’altro più cocente: di fronte non ha la Corte costituzionale che lo ha frenato ma un governo amico dove siede il capo del suo partito che appare molto più im-

pegnato sul Ponte di Messina che sull’autonomia differenziata. Ma anche questo è un finale scontato: Luca Zaia non ha mai portato all’incasso nel confronto interno con Matteo Salvini il suo 76,77% di consenso, come avrebbe potuto e forse dovuto fare. Non l’ha fatto pesare sulla scena nazionale. Un tesoretto sprecato, oggi non serve più a niente.

Grande uomo di marketing

Al secondo posto del programma di governo Luca Zaia aveva inserito i campionati mondiali di sci a Cortina del 2021, le Olimpiadi invernali del 2026 e le colline del prosecco nominate dall’Unesco patrimonio mondiale

dell’umanità, come fattori di crescita per tutto il Veneto. Gli obiettivi sono stati raggiunti (veramente l’Unesco si era già pronunciata nel 2019) e il traino per l’economia veneta c’è stato e ci sarà, stando alle stime dell’Università di Ca’ Foscari: le Olimpiadi del 2026 porteranno una crescita di 839 milioni del Pil, 13.800 nuovi posti di lavoro, 226 milioni di maggior gettito fiscale. Cifre già anticipate dal programma del 2020, al netto della verifica e delle polemiche che hanno poi accompagnato alcuni interventi particolarmente impattanti sul territorio. Polemiche sempre strumentali, secondo Zaia. In ogni caso gli va riconosciuto di essere stato un grande uomo di marketing.

E un campione assoluto del racconto: dove non ci sono cifre abbondano le descrizioni e trovare riscontri è un bel grattacapo. Nel capitolo “Veneto eccellente” Zaia auspicava «un nuovo grande Rinascimento con il rilancio della formazione a misura di piccoli imprenditori per continuare ad emergere nel mercato globale». Peccato che del Politecnico del Veneto di cui si parla da anni, nulla si sappia.

Il programma è continuamente infiorettato di autocompiacimenti: «La resilienza, lo spirito di sacrificio, la voglia di intraprendere fanno parte del DNA dei veneti, conosciuti in tutto il mondo come esempio di laboriosità e competenza… Dobbiamo fare del Veneto una regione ambìta in cui vivere e lavorare». Che dire?

«Contro la burocrazia è di fondamentale importanza la costituzione di un Osservatorio sugli adempimenti burocratici»: l’hanno fatto? Non se ne ha notizia, come di altri Osservatori citati dal programma.

«Botteghe di vicinato, stiamo assistendo ad un cambio radicale della struttura

4IlpresidenteLucaZaiael'assessoreManuelaLanzarin

IlministroperleautonomiaRobertoCalderoliconLucaZaia

commerciale»: stiamo assistendo da decenni ormai.

«Politiche per promuovere le attività commerciali attraverso la promozione delle aggregazioni di imprese»: è accaduto qualcosa o tutto è stato lasciato all’iniziativa privata?

«Si inserisce in questo ambito il manager di distretto, una figura chiave a disposizione di botteghe e negozi per attrarre investimenti e finanziare attività corali in grado di rivitalizzare i centri urbani»: qualcuno ha visto questo manager? La domanda vale anche per i mini-bond e i basket bond regionali, promessi come forma di finanziamento alle piccole imprese.

Per il sistema fieristico presentato come una potente risorsa vengono citati il Vinitaly e la Fiera Cavalli ma intanto alla Fiera di Padova stanno vendendo i capannoni e la fiera di Vicenza da tempo è diventata riminese.

Le aziende municipalizzate del Veneto che potevano generare risorse finanziarie se si fossero messe assieme, sono andate da tempo con la Lombardia o

con l’Emilia Romagna. La diaspora era cominciata già con Giancarlo Galan ma da allora il ruolo della Regione nel governo dei processi è fortemente scaduto. Qualcuno prima o dopo confronterà i due quindicenni di governo regionale e ne trarrà qualche conclusione.

Luca Zaia può vantare la realizzazione della Pedemontana, ereditata peraltro dal suo predecessore e portata a termine tra mille difficoltà, con un lascito debitorio milionario che lascia esposto il Veneto per qualche decennio. L’alta velocità invece l’ha lasciata alla gestione dei sindaci delle città capoluogo.

Una proposta per la sanità

La sanità veneta, orgoglio di tutti i presidenti del Veneto, era al primo posto in Italia nel 2018, ricordava Luca Zaia nel suo programma. Non poteva dire del 2019 perché da quell’anno il Veneto ha cominciato a perdere posizioni. I confronti sono difficili perché i criteri di valutazione non sono sempre omogenei

tra le regioni, ma i numeri assoluti non lasciano scampo: nel Veneto mancano 1.300 medici e 5.000 tra infermieri e tecnici. Non perché ci sia stata una errata programmazione dei corsi di laurea, come si narra. I medici ci sono: l’ha detto Giampietro Avruscio, direttore di angiologia al Policlinico di Padova, presidente dei primari del capoluogo e responsabile per Forza Italia della sanità veneta, ad un convegno a Milano: «I medici si trovano, ma sono nelle case di cura private o all’estero. Quanti medici italiani sono in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra? Ma io non trovo nei nostri ospedali medici inglesi, francesi, tedeschi. Perché? Per la scarsa valorizzazione che hanno i nostri operatori sanitari all’interno dei nostri ospedali. Ci sono medici ospedalieri che si licenziano per andare a fare i medici del territorio e non succede viceversa. Eppure, tutti noi medici quando usciamo dall’università abbiamo la stessa laurea. Però quando si va a lavorare, cosa succede? Il territorio è in mano ai liberi professionisti, medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali, pediatri, guardia medica, tutti convenzionati con il sistema sanitario nazionale. Gli unici dipendenti pubblici sono gli ospedalieri. Bisogna avere il coraggio di arrivare ad un contratto unico, sia per il medico privato convenzionato che per il dipendente. Un contratto unico metterebbe al centro della sanità il paziente e non l’organizzazione, com’è oggi. Su tutti i documenti, comunali, regionali, statali, troviamo scritto che il bene del paziente è al centro del sistema sanitario nazionale. Ma è la verità? No, al centro c’è l’organizzazione, il paziente si trova ai margini, ci gira attorno, deve telefonare per prenotare, non trova la linea, quando ha la prestazione deve tornare dal medico per prenotare altri esami e avanti così. Dovrebbe essere la struttura a prendersi in carico il paziente e dargli tutti gli appuntamenti, non il paziente a girare intorno all’organizzazione. È questa la vera centralità, la presa in carico il paziente da parte di tutti quelli che collaborano con il sistema sanitario nazionale, non solo dell’ospedale. Il contratto unico farebbe questo». Il difetto come al solito sta nel manico, ma stavolta il manico non è a Venezia ma a Roma.

Francesco Rucco

Una nuova stagione per il Veneto, dalla sanità alla sicurezza sociale

L’ex sindaco di Vicenza rilancia la sua candidatura alle regionali con un programma centrato sulle riforme strutturali

Francesco Rucco, già sindaco di Vicenza e presidente della Provincia, oggi consigliere comunale per Fratelli d’Italia, si prepara a una nuova sfida: la corsa al Consiglio regionale del Veneto. Una candidatura che porta con sé l’esperienza amministrativa e la convinzione che la prossima legislatura sarà decisiva per affrontare i nodi irrisolti di sanità, sociale e governo del territorio.

Sanità: dalle liste d’attesa alla sicurezza negli ospedali Rucco individua nel sistema sanitario la priorità assoluta. “Non possiamo più permetterci ospedali insicuri per pazienti e operatori. Serve un piano straordinario per la sicurezza, con investimenti in strutture, personale e tecnologie”. Accanto a questo, l’urgenza di ridurre le liste d’attesa, che costringono migliaia di veneti a rivolgersi fuori regione o al privato a pagamento. Tra le proposte: digitalizzazione dei servizi, maggiore integrazione con il privato accreditato e potenziamento della sanità territoriale.

Sociale e case di riposo: una riforma non più rinviabile

Se la sanità è la prima emergenza, non meno importante è la questione sociale, a partire dalle IPAB. “È necessaria una grande riforma delle case di riposo – sottolinea – che unisca sostenibilità economica, qualità del servizio e dignità degli ospiti”. Il Veneto invecchia più della media nazionale e la crisi delle strutture residenziali è ormai insostenibile. Rucco chiede un fondo regionale stabile, con risorse certe e non affidate a bandi episodici.

Territorio e sicurezza: manutenzione e prevenzione

La candidatura di Rucco guarda anche al governo del territorio. Propone un fondo per la manutenzione dei fiumi e dei corsi d’acqua, “da ripulire e rendere persino balneabili”, come simbolo di una nuova attenzione all’ambiente e alla qualità della vita. In parallelo, più risorse per la protezione civile e un impegno concreto contro il dissesto idrogeologico, che ogni anno espone a

rischi crescenti intere comunità.

Sul fronte della sicurezza urbana, Rucco lancia l’idea delle bodycam per gli agenti di polizia locale: “Uno strumento che tutela cittadini e operatori, rafforzando trasparenza e fiducia reciproca”.

Un Veneto da ricostruire insieme

L’ex sindaco di Vicenza chiude con un messaggio di mobilitazione: “Il Veneto ha bisogno di riforme coraggiose e di una classe dirigente pronta a prendersi responsabilità. È il momento di costruire una nuova stagione, con serietà e visione”.

Un richiamo che si inserisce nel percorso di Fratelli d’Italia, che Rucco definisce il baricentro del centrodestra veneto. La sfida sarà convincere gli elettori che il suo progetto può davvero rispondere ai bisogni concreti dei cittadini, riportando sanità, sociale e sicurezza al centro dell’agenda politica.

“ Chiara Luisetto

Sanità pubblica, lavoro dignitoso e comunità più forti.
Così riparte il Vicentino
La consigliera regionale del PD rilancia la sua candidatura: “Mi ricandido per dare voce a chi non ne ha e riportare la politica vicino alle persone”

Chiara Luisetto, consigliera regionale uscente del Veneto, già sindaca di Nove e prima donna a guidare il suo Comune, è oggi una delle figure di riferimento del centrosinistra vicentino. La sua storia politica nasce nella comunità e nel sociale: si è occupata di servizi per disabilità, anziani e famiglie fragili, ha contribuito alla rete bibliotecaria provinciale e guidato il PD vicentino. Ora rilancia la sua candidatura, con un programma che mette al centro sanità, scuola, lavoro, ambiente e mobilità.

Consigliera Luisetto, perché questa nuova sfida?

«Perché in questi anni ho visto quanto le scelte regionali incidono nella vita quotidiana: dal medico di base, ai tempi d’attesa per una visita, passando dalla possibilità di trovare posto in un asilo nido o in una casa di riposo. Mi ricandido per portare competenza ed esperienza concreta, maturata come amministratrice e come professionista nel sociale. Voglio continuare a dare voce a chi non ne ha e costruire un Veneto più giusto.»

La sanità è il tema che lei mette al primo posto. Perché?

«Perché oggi troppe famiglie si sentono sole. In provincia di Vicenza oltre 13.000 perso-

ne non hanno il medico di base, i consultori sono stati impoveriti, i centri per la salute mentale hanno orari ridotti. Accade che, per un’operazione agli occhi, ci siano liste d’attesa di anni e che molte famiglie debbano pagare di tasca propria cure che dovrebbero essere un diritto. Bisogna ricostruire la prossimità: più risorse ai distretti, consultori rafforzati, assunzioni di personale. Ho presentato anche una legge per i caregiver familiari, quell’esercito silenzioso di persone – spesso donne – che rinunciano al lavoro per prendersi cura di un parente fragile. È una battaglia di dignità che voglio portare fino in fondo.»

E l’ambiente?

«Il Vicentino è terra di eccellenze ma anche di ferite aperte: penso all’inquinamento da PFAS, al consumo di suolo, ai rischi idrogeologici. Serve una politica di rigenerazione, non di sfruttamento. Dobbiamo bonificare le aree contaminate, tutelare l’acqua e investire in un modello sostenibile che tenga insieme salute e sviluppo. Il territorio vicentino ha grandi potenzialità nel turismo, nell’agroalimentare, nel cicloturismo: se li valorizziamo con scelte coraggiose, possiamo crescere senza distruggere il nostro paesaggio.»

Le famiglie lamentano costi alti e servizi

insufficienti. Che cosa propone?

«Nidi gratuiti e accessibili, borse di studio per tutti gli idonei, più edilizia pubblica e affitti calmierati. In Veneto sempre più persone lavorano senza riuscire a vivere dignitosamente: salari bassi, precarietà, affitti insostenibili. Io credo che casa e lavoro siano diritti da garantire. Servono politiche attive vere, non bonus spot.»

Capitolo trasporti: la Regione investe molto sulle strade, lei non è d’accordo?

«Negli ultimi anni si sono spesi miliardi in nuove strade dimenticando studenti e pendolari. È tempo di investire in trasporto pubblico: elettrificare le linee ferroviarie vecchie, integrare i collegamenti con un biglietto unico, potenziare i bus per chi studia e lavora. Servono più treni e meno cemento. Un Veneto moderno deve muoversi in modo sostenibile.»

Un messaggio ai vicentini che la leggono oggi su ViPiù?

«La politica deve tornare a prendersi cura delle persone. Io ci sono, con empatia e competenza, per costruire comunità più solidali e un Veneto che dia pari opportunità a chi ci vive. Ogni segnalazione dei vicentini può diventare proposta in Consiglio: ascoltare e agire è il mio modo di fare politica.»

Roberto Ciambetti

Dal Veneto all’Europa per costruire comunità più forti e inclusive

Economia circolare, sicurezza, tutela del territorio e inclusione sociale:

le priorità che il

presidente

del Consiglio regionale rilancia per il futuro della regione con la sua candidatura

Roberto Ciambetti, come Consigliere regionale e Presidente del Consiglio, in questi anni si è concentrato su diverse tematiche. Una prima menzione va all’economia circolare, intesa nel senso più ampio possibile e nelle sue infinite applicazioni pratiche. Ciambetti ha depositato una dettagliata proposta di legge regionale, ma se ne è occupato anche nell’ambito del Comitato Europeo delle Regioni di Bruxelles, dove partecipa come capo delegazione alla Commissione Ambiente ed è primo vicepresidente della Commissione Risorse naturali, salute, agricoltura, pesca, protezione civile, protezione dei consumatori e turismo. Il politico originario di Sandrigo, Ambasciatore italiano del Patto dei Sindaci per l’energia e l’ambiente, si è occupato, in qualità di relatore, di pareri dati alla Commissione Europea in merito alla gestione delle catastrofi naturali, delle emergenze sanitarie, delle locazioni brevi, della dispersione delle microplastiche e del sostegno al settore vitivinicolo, dalla produzione, al commercio e all’enoturismo. Ciambetti ha sostenuto il settore dell’apicoltura, della produzione alimentare e della difesa della specificità dei pro-

dotti veneti, cercando di far crescere e conoscere il territorio, valorizzando il lavoro degli agricoltori e promuovendo un diverso modello di turismo, basato su fruizione lenta, rispetto dei luoghi e desiderio di esperienze immersive e non superficiali o di massa, con una relazione profonda tra l’uomo, l’ambiente ed il territorio, legati alla cultura ed alle tradizioni. Ciambetti si è fatto portavoce dei problemi emergenti, come la presenza del lupo, lavorando per attuare iniziative di contenimento e protezione che tutelino tanto le persone ed i centri abitati quanto il mondo delle malghe e della produzione di formaggi unici, come quelli dell’Altopiano di Asiago. Ciambetti si occupa costantemente della ricerca storica sul Popolo Veneto e sugli eventi che hanno riguardato i nostri territori, dagli albori della civiltà e passando per gli eventi drammatici del secolo scorso. Con l’Associazione culturale “Via Querinissima” sta promuovendo a livello internazionale l’itinerario percorso da Piero Querini, nel 1431, da Venezia fino alle Isole Lofoten. In Consiglio regionale e da suo presidente ha seguito ed accompagnato la crescita dei progetti relativi

al contrasto della violenza di genere, del bullismo e cyberbullismo e per la sicurezza delle nostre comunità ha redatto una proposta di Legge per dare più poteri alla Polizia Locale, equiparandola alle altre forze di Polizia dello Stato. Se da alpino ha promosso e difeso le attività ed i valori del Corpo d’Armata e dell’ANA, in ambito sportivo Ciambetti è vicepresidente vicario della Lega Ciclismo professionistico e segue l’organizzazione di gare ed eventi. Infine, ma non ultimo, con la partecipazione alla Rete Europea delle Istituzioni Locali e dell'Azione Sociale e con la Carta di Venezia, Roberto Ciambetti si sta occupando, attraverso la condivisione di buone pratiche, dello sviluppo di città e comunità che siano sempre più inclusive per le famiglie e persone fragili, a partire da anziani e disabili. Assieme alla continua lotta per la sburocratizzazione degli uffici pubblici a tutti i livelli, della ricerca di un sistema fiscale più equo e sostenibile, della necessaria difesa delle nostre realtà venete, per Ciambetti la sfida più importante dei prossimi anni sarà prima di tutto garantire a tutti di guardare al proprio futuro con maggiore serenità.

Il

Gabriele Tasso

La sicurezza del territorio vicentino e veneto nasce dalla prevenzione “

sindaco di San Pietro Mussolino corre in Regione con Forza Italia per mettere a disposizione la sua esperienza a tutto campo: amministrativa, professionale e di volontariato

Nato nel 1988, una laurea in giurisprudenza con tesi in “Le funzioni del Sindaco in materia di protezione civile”, Gabriele Tasso viene eletto sindaco del comune di San Pietro Mussolino nella tornata di maggio 2014. Volontario di protezione civile con specializzazione di taglio alberi, rischio idrogeologico e antincendio boschivo, da sempre si interessa di volontariato nelle comunità. Dopo aver partecipato a svariati interventi (tra i più importanti quelli per la tempesta Vaia, partecipando a ben due campi nel giugno e nel luglio del 2019, e gli incendi sul monte Marana); pratica vari sport come il pugilato e la corsa. Attivo nel volontariato anche nel corpo Militare Volontario della Croce Rossa con abilitazioni in termini di medicina tattica e primo soccorso, lo spirito di partecipazione e di altruismo è parte integrante della quotidianità del sindaco di San Pietro Mussolino. Nella vita non poteva che fare l’assicuratore, andando a specializzarsi nella copertura di famiglie e aziende dalle calamità naturali, lavorando come specialista nel settore in una delle più importanti realtà assicurative del vicentino, quale il gruppo A&G di Arzignano. Papà felice di Vittoria e Ettore, Gabriele Tasso, nel corso del suo terzo mandato da Sindaco, ha scelto di mettersi in

gioco per le elezioni regionali candidandosi alla carica di Consigliere regionale per Forza Italia: portare la sua esperienza, umana, professionale ed amministrativa, nel consiglio regionale veneto è il suo primo obiettivo. Il programma di Tasso, grazie alla sua esperienza complessiva, è ovviamente ricco, dalla sanità al sociale, dai giovani allo sport. Ma la sua candidatura nasce proprio dalla volontà di intervenire in maniera strutturale per proteggere famiglie e imprese dalle calamità naturali che sempre più le colpiscono. La regione del Veneto ha importantissime funzioni in materia di prevenzione: attraverso i consorzi di bonifica, il genio civile ed il servizio forestale regionale si può intervenire in maniera strutturale per manutenere corsi d’acqua, montagne, strade silvo-pastorali e bacini di laminazione in generale. Il territorio, che va dalle montagne al lago, dalle colline al mare, ha bisogno di investimenti importanti e concreti che non possono più aspettare. Come cita il d.lgs. 1/2018, meglio noto come “codice di protezione civile”, prima di qualsiasi tipo di intervento di protezione civile per gestire le emergenze, la cosa più importante è la prevenzione e su questo Tasso si vuole concentrare. Non esiste famiglia, azienda, pubblica ammi-

nistrazione che possa lavorare bene senza avere messo al sicuro persone e cose dagli eventi avversi perché con questo tipo di interventi si possono prevenire la perdita di vite umane e le conseguenze catastrofiche sempre più frequenti. Inoltre, grazie all’esperienza maturata in materia di volontariato, il candidato di Forza Italia nella provincia di Vicenza crede che un coinvolgimento sempre maggiore delle associazioni di pubblico soccorso nella vita quotidiana con una sorta di formazione diffusa, può garantire una maggiore sicurezza per tutti i cittadini e contribuire a costruire il cittadino del futuro, consapevole, partecipe e protagonista della vita sociale. Se scuole, università, aziende, pubbliche amministrazioni e associazioni devono essere unite da una volontà e una conseguente azione di condivisione sussidiaria per rendere migliore la vita di tutti, è necessario uno spirito liberale quando si parla di iniziativa, ma sociale quando si parla di opportunità. Per questi motivi Gabriele Tasso si identifica nella linea di Forza Italia e punta, con la sua candidatura, non a un Veneto nuovo ma semplicemente a far sì che i vicentini e i veneti del futuro siano in continuità ma allo stesso tempo in evoluzione rispetto al passato.

“ Simone Contro

Dopo quindici anni di governo Zaia, il Veneto è stanco e diseguale. Serve una rivoluzione civile: sanità per tutti, economia sostenibile

e

futuro

per le

famiglie

Il Veneto che serve ai Veneti, l’impegno del candidato Simone Contro a nome del Movimento 5 Stelle

“La fine dell’era Zaia lascia un Veneto stanco, diseguale e impoverito. Quella che era la locomotiva d’Italia oggi arranca”, denuncia Simone Contro, coordinatore regionale del Movimento 5 Stelle. Il M5S si presenta alle regionali con un obiettivo chiaro: ricostruire un Veneto che metta al centro le persone, le famiglie e il territorio. Un Veneto che torni a garantire diritti, opportunità e futuro, partendo da sanità, imprese, ambiente e sostegno concreto a chi mette al mondo figli.

Sanità: da diritto negato a diritto garantito

Il sistema sanitario veneto vive una crisi profonda. Tra il 2020 e il 2024 sono spariti 349 medici di base, con 728 zone scoperte e oltre 3.500 medici mancanti negli ospedali. Gli assistiti per medico superano quota 1.500: un disastro annunciato. Scelte politiche sbagliate hanno spinto i professionisti verso il privato, indebolendo un servizio pubblico un tempo d’eccellenza.

Il M5S intende restituire qualità e ac-

cessibilità alla sanità pubblica: assunzioni stabili, medici di base dipendenti, medicina territoriale rafforzata, Case di Comunità operative e stop alle privatizzazioni. Una sanità vicina alle famiglie, che protegga i più fragili e garantisca cure senza liste d’attesa infinite.

PMI e famiglie: il motore va riacceso

Le piccole e medie imprese, cuore produttivo del Veneto, sono in piena emergenza: −7,4% di accesso al credito e tassi d’interesse fino all’8,9%. A questa stretta si aggiunge una burocrazia che pesa oltre 10 miliardi l’anno. In quattro anni il Veneto ha perso più di 6.000 imprese. Il M5S propone un piano di rilancio integrato: microcredito agevolato, drastica semplificazione amministrativa, reti territoriali per l’innovazione e una spinta all’economia circolare che unisca piccole e grandi realtà.

Ma non c’è economia forte senza famiglie solide. Per questo il Movimento pone tra le priorità incentivi per chi ha figli e per le giovani coppie che vogliono costruire in Veneto il proprio futuro: agevolazioni per la prima casa, contributi per la natalità e servizi educativi

accessibili. La Regione deve tornare ad accompagnare la vita delle persone, non ostacolarla.

Ambiente: dalla devastazione alla rigenerazione

Sei capoluoghi veneti figurano tra i dieci più inquinati d’Italia, con oltre 350.000 cittadini esposti ai PFAS e un consumo di suolo che sfiora il 12%.

Serve un cambio di passo radicale. Basta deroghe e speculazioni. Il M5S propone un piano vero di rigenerazione ambientale: stop definitivo al consumo di suolo, bonifiche e depurazioni massicce, transizione ecologica del sistema produttivo e incentivi a chi investe in sostenibilità.

Un ambiente sano è la prima garanzia di salute, benessere e futuro per i nostri figli.

“Il Veneto ha bisogno di un nuovo patto sociale che rimetta al centro la persona, la famiglia e l’interesse collettivo. Il M5S offre una visione moderna, basata su diritti, sostegno alle imprese virtuose e protezione ambientale. Solo scelte coraggiose oggi potranno consegnare ai nostri figli un Veneto giusto, competitivo e sostenibile”, conclude Contro.

Cirella (TCVi) e Possamai: “nessun contributo pubblico all’Italia-America Friendship Festival!”.

Ma sono stati pagati i 31.000 euro

delle prestigiose e costose location comunali utilizzate?

NoaItalia-AmericaFriendshipFestival,lasalaconvistaparzialedeipresenti all'assembleaorganizzativadel21agosto2025

Da luglio abbiamo seguito passo passo, su ViPiu.it e su questo mensile, le vicende che hanno portato alla realizzazione dell’Italia-America Friendship Festival, il quale, nonostante le contrarietà da parte di molti cittadini, si è svolto regolarmente dal 12 al 14 settembre 2025 proponendosi di celebrare il settantesimo anniversario della prima base USA e, con l’occasione, a dir poco opinabile e molto contestata, i legami storici e culturali tra Italia e Ame-

rica. Più di trenta appuntamenti tra il programma e gli eventi preparatori avrebbero, quindi, dovuto animare Vicenza per “rinnovare” e/o promuovere l’amicizia tra italiani, segnatamente i vicentini, e gli americani, presenti a Vicenza per un totale di circa 15.000 persone tra militari e familiari in due basi, con l’ultima, la Del Din ex Dal Molin, contestatissima. Ad essersi animato, invece, già a luglio, è stato, quindi, il dibattito pubblico, tra richieste da parte di gruppi e partiti dell’annullamento della celebrazione e del

ritiro del patrocinio comunale, e, dopo lo svolgimento, comunque, dell’evento, l’invito al sindaco Possamai a “licenziare” il direttore e ideatore del festival, Jacopo Bulgarini d’Elci. L’ondata di critiche è sfociata, infatti, il 13 settembre in una grande e pacifica marcia di circa 2.500 cittadini grazie a una vasta rete di associazioni pacifiste, culturali e ambientaliste, che hanno accusato gli organizzatori di voler riscrivere la storia vicentina ignorando il conflitto e le ferite non rimarginate per la costruzione della base militare Del Din, la resistenza civile contro l’imposizione della presenza USA (lunga 70 anni) e l’anima antimilitarista della città. Contrari si sono dichiarati anche alcuni partiti di maggioranza non consultati dal sindaco Possamai prima di promuovere e patrocinare il festival.

Oltre che degli aspetti ideali e storici con contributi popolari e anche dello storico vicentino, Emilio Franzina, che per l’occasione ha presentato un suo libro (“America sorella? Italiani e italo discendenti tra USA, Brasile e altre Americhe”), ci siamo occupati dell’aspetto amministrativo, riscontrando una sostanziale mancanza di trasparenza su entrate e uscite previste, di certo rilevanti se si considerano i rimborsi spesa e/o i gettoni per gli ospiti, gli ingaggi, le spese organizzative, i costi per le location pubbliche e private, le attività di comunicazione, i compensi per i lavorato-

ri, tra cui il direttore del festival, etc. “Un ringraziamento particolare – aveva detto Bulgarini d’Elci – va ai partner e agli sponsor. Il loro generoso contributo ha coperto tutte le spese del Festival e consente di offrire la quasi totalità degli eventi a ingresso gratuito”. (Ricordiamo che i main partner del progetto, oltre alla preminente NIAF, ad altre istituzioni e ad alcuni sponsor tecnici, sono stati: Enel, MTI – Medical Tourism Italy, Confindustria Vicenza, Gruppo Save, Polo Marconi, Gruppo ICM, FITT, Azimut e Zamperla).

Ad oggi non sono mai state rese note né, prima, le entità di questi contributi e le previsioni e destinazioni di spesa, né, ora, le cifre dei consuntivi.

Alla ricerca delle dovute informazioni ne avevamo, infatti, già fatto richiesta il 29 luglio a Pier Giacomo Cirella, segretario generale della Fondazione del Teatro Comunale di Vicenza, organizzatrice del Festival, ideato e diretto da Bulgarini e patrocinato dal Comune, il quale, alla fine di uno scambio di comunicazioni pubblicate nel numero di settembre di questo mensile oltre che su ViPiu.it, ci aveva dichiarato, il 31 luglio: “il progetto, come saprà si poggia solo su finanziamenti privati o tanto meno comunali, né diretti o indiretti (aziende partecipate). La Fondazione Teatro, cura solo la parte organizzativa a fronte di un corrispettivo per i costi del personale impiegato… Caro direttore, come le ho già scritto, il Festival Ita/Usa ad oggi non è finanziato da contributi pubblici italiani e credo questo possa rispondere alla maggior parte delle sue domande… Il pubblico interesse di cui lei parla avrebbe senso in caso di eventi sostenuti da enti pubblici e organizzati da enti pubblici, ma oltre a non essere questo il caso, come ente organizzatore non abbiamo l’obbligo di pubblicizzare importi di accordi privati tanto più con una testata giornalistica…”

E allora, preso atto anche della criminalizzazione di una testata giornalistica che fa il suo lavoro per i lettori-cittadini, e dato che il Comune di Vicenza “non ha dato contributi”, abbiamo provato a stabilire quanti spazi sono stati concessi al Festival (gratuitamente?) dall’Amministrazione e qual è l’importo economico che avrebbe dovuto essere versato se i locali fossero stati dati in affitto a pagamento come di norma se a chiederli fossero stati cittadini non coinvolti, a vari livelli nell’organizzazione e promozione dell’Italia-America

Friendship Festival. Nella fase del pre-festival ed escludendo da questo computo le location non comunali, di cui, pure sarebbe opportuno conoscere i costi sostenuti, sono stati due gli eventi programmati a Palazzo Chiericati, il 25 giugno e il 4 luglio. Calcolando la mezza giornata di affitto (gli eventi si sono tenuti in serata, ma va tenuto conto dei tempi preparatori e organizzativi), un privato o un’azienda avrebbe pagato €500,00 per ciascuna serata [Fonte: comune.vicenza.it].

Il luogo comunale più sfruttato e il più costoso in assoluto, però, è stato il Salone della Basilica Palladiana, utilizzato venerdì 12 settembre, sabato 13 settembre e domenica 14 settembre.

Per i 17 eventi nelle tre giornate in Basilica Palladiana il salone d’onore sarebbe costato 10mila euro (+ Iva) per ciascun giorno [Fonte: comune.vicenza.it] a comuni mortali o normali società o enti per un totale di 30.000 euro più Iva, non sappiamo se comprensivi o meno dei costi accessori.

A voler essere pignoli, come dovrebbe essere e di sicuro è l’ente organizzatore, la Fondazione del TCVi a cui capo c’è il “dr. Cirella, che, “riservato” com’è, non gradisce i quesiti della stampa, vanno aggiunti i 1.000 euro da noi calcolati per la fruizione di palazzo Chiericati per l’importo dovuto al Comune di Vicenza assommerebbe a 31.000 euro, a parte eventuali annessi e connessi…

Questa cifra è stata incassata oppure no? “A che titolo e con quale procedura?” chiederebbe, a questo punto, un qualunque cittadino, tra cui tutti quelli che hanno manifestato il loro malessere, direttamente e per conto di gran parte della città.

Le domande del direttore a Cirella, Bulgarini e Possamai Giovanni Coviello

Dopo il puntuale lavoro e la domanda finale che ipotizza Serena Balbo chiediamo anche da queste pagine a Bulgarini, ideatore e direttore del festival, che non ha risposto alla “proposta” da noi fattagli il 29 settembre (per mail, messaggi e con una chiamata senza esito) della concessione, ovviamente gratuita e, questa sì, come ulteriore… “contributo privato”, di due pagine su questo numero di VicenzaPiù Viva

per illustrare la sua libera versione, e al segretario generale Cirella, che ha ricevuto la Pec di cui all’articolo della collaboratrice il 18 settembre, se i nostri calcoli sono esatti e/o se e come andrebbero e corretti. E se la concessione eventualmente gratuita di spazi altrimenti a pagamento, che si tradurrebbe in mancati incassi per il Comune e, quindi, in costi per i cittadini “comuni”, non sia equiparabile ai “contributi pubblici” espressamente negati per iscritto (magari nel rispetto di norme che, nel caso specifico, non prevedono quello dei cittadini) dal segretario generale della Fondazione, che, piccolo dettaglio… formale, fa capo a enti pubblici (Comune e Regione) e risponde all'Assemblea degli associati della Fondazione, alla cui presidenza si trova il sindaco di Vicenza, che a sua volta è il presidente dell'Assemblea stessa. In tutto questo ci piacerebbe sapere come si pone, anche di fronte ai partiti di maggioranza da lui scavalcati e, poi, rassicurati che non ci sarebbero stati, comunque, contributi e, quindi, costi pubblici, l’anche lui silente Giacomo Possamai, come sindaco di Vicenza e come presidente della Fondazione che ha organizzato, sotto la direzione di Bulgarini e col patrocino del Comune, il primo Italia-America Friendship Festival a cui hanno preso parte, da nota ufficiale, circa 2.000 cittadini a fronte dei 2.500 che, grazie al passa parola di semplici volontari, si sono raccolti il 13 settembre per marciare pacificamente per solo 2 ore e non nei ben tre giorni dei 30 avvenimenti festivalieri totali, fortemente e costosamente pubblicizzati.

Loro, i cittadini “normali” e “paganti” le spese comunali, tra cui quelle per Palazzo Chiericati e la Basilica Palladiana, in nome anche dei quali, senza consultare i partiti che li rappresentano in Consiglio Comunale, il sindaco potrebbe aver concesso gratuitamente costosi spazi pubblici, hanno marciato contro festival e ipocrisia, ricordando le battaglie di cui si fece forte per la sua elezione nel 2008 anche Achille Variati, padre storico anche di questa Amministrazione.

E lo hanno fatto radunandosi senza il supporto e, bisogna dirlo, col sostanziale atteggiamento ostile dei media classici, che nelle poche righe dedicate alla manifestazione annunciata l’avevano attribuita, per scoraggiarne la partecipazione?, a Bocciodromo e antagonisti.

I cattivi di turno…

In un manifesto del Collettivo I bAsi che denunciano 70 anni di sudditanza

L’intervista: l’intelligenza collettiva, che utilizza anche quella artificiale, genera l’attacchinaggio a sorpresa durante la manifestazione a Vicenza contro l’“Italia-America Friendship Festival” e anticipa anche l'affettuosa stretta di mano tra Possamai e il Colonnello Vaughn D. Strong Jr all'inaugurazione del Parco della Pace

Il 13 settembre a Vicenza c’è stata una manifestazione contro l’“Italia-America Friendship Festival”, organizzato per celebrare i 70 anni della presenza militare statunitense in città. Una marcia di ben 2.500 persone, che ha risposto all’appello di un manipolo di organizzatori volontari, è stato il momento clou della protesta cittadina, che, in un solo “momento” durato le due ore del percorso da Piazza Castello a Viale Diaz in prossimità della Del Din ex

Dal Molin, ha superato per numeri anche quello dei 2.000 partecipanti ai 30 eventi del festival di Bulgarini & c., sponsorizzati, quindi fortemente pubblicizzati sui media e distribuiti in 3 giorni.

Abbiamo, quindi, incontrato il collettivo che ha risvegliato le coscienze in parte sopite dei vicentini grazie proprio, bisogna dirlo visto che molti di loro lo hanno sottolineato, alla scossa

provocatoria del festival e che ha sintetizzato in un’immagine, quella dei “70 anni di BASI”, il significato della marcia. Ecco, quindi, quello che abbiamo chiesto e quello che i suoi componenti, alternandosi come è normale in un vero collettivo, ci hanno risposto.

Potete raccontarci cosa significava questo festival e perché avete deciso di manifestare?

Collettivo –

L’“Italia-America Friendship Festival” è stato organizzato da Jacopo Bulgarini d’Elci, delegato ai rapporti con gli statunitensi, per celebrare i 70 anni della presenza delle basi militari USA a Vicenza. Per noi era molto chiaro: si trattava di un tentativo di esercitare soft power, una forma di propaganda per normalizzare la presenza militare in città, oltre a voler silenziare l’opposizione storica del movimento No Dal Molin.

Questa manifestazione aveva l’obiettivo di trasformare la presenza delle basi in una sorta di “festa”, una celebrazione culturale che distraesse dal fatto che da decenni Vicenza è una città militarizzata, con tutte le contraddizioni che questo comporta.

Così, il 13 settembre, circa 2500 perso -

di Giovanni Coviello
70 anni di "basi"

ne — famiglie, attivisti, realtà trasversali — si sono messe in corteo, portando pratiche diverse di movimento e performance, per dire no a questa narrazione imposta e per ribadire che la città non è un territorio neutro, ma un luogo di conflitto e resistenza.

Durante la manifestazione avete attaccato un manifesto molto forte: un bacio tra il sindaco Possamai e Donald Trump, ispirato al celebre murale sul Muro di Berlino. Da dove nasce questa immagine?

Collettivo –

Il manifesto è nato all’interno di un gruppo di persone che condividono pratiche di lotta e una visione politica comune. Non è il frutto di una strategia comunicativa studiata a tavolino, ma dell’intelligenza collettiva che nasce nell’azione e nella complicità tra chi si riconosce nello stesso modo di stare nel conflitto.

Ci serviva un gesto che rompesse la narrazione istituzionale del festival, un’immagine che potesse scavalcare i comunicati, saltare i filtri, arrivare dritta alla pancia e al cervello. Il bacio tra Breznev e Honecker è stato un riferimento immediato: volevamo risignificare quel simbolo per denunciare una nuova forma di sudditanza.

Così al posto dei due leader sovietici abbiamo messo Trump, volto arrogante dell’impero USA, e il sindaco Possamai, che con la sua adesione al festival è apparso, almeno ai nostri occhi, come una

figura complice nella normalizzazione della presenza militare in città.

L’azione ha avuto l’effetto che speravamo: la gente si fermava, rideva, faceva foto, lo condivideva. È diventato virale prima ancora che entrasse, timidamente, nei canali comunicativi ufficiali e che potesse venire interpretato o detonato.

Abbiamo giocato con il significato di "basi" che in dialetto significa “baci” un gioco semplice, forse già visto ma che

rendeva benissimo il concetto. Da settant’anni ci raccontano che le basi americane sono una garanzia di sicurezza, una risorsa. Ma alla fine, più che basi, sembrano baci imposti — a forza — dal potere militare a una città che non ha mai veramente potuto scegliere.

Avete definito il vostro gesto un esempio di "guerriglia comunicativa". Cosa significa per voi? E cosa rende efficace un’azione come questa?

Collettivo –

La guerriglia comunicativa è una forma di intervento che usa il linguaggio dei media per ribaltarli dall’interno, scardinare le narrazioni dominanti e creare cortocircuiti simbolici. Non si tratta solo di fare ironia o satira: è una lotta per il senso, che si combatte nei luoghi in cui l'immaginario viene prodotto e riprodotto.

A differenza di un volantino o di uno striscione, un’azione di guerriglia non chiede permesso, non si presenta come “opinione”, ma esplode nello spazio pubblico, rompe il ritmo abituale, crea sorpresa. E nella sorpresa, apre uno spazio critico.

Amici,amici,amici...undazio

Nel nostro caso, il manifesto ha funzionato perché ha colto il cuore della contraddizione: mentre il festival cercava di presentare la presenza U SA come una festa, un ponte culturale, quasi una favola d’amicizia, noi abbiamo smascherato il legame di sudditanza su cui tutto questo si fonda.

Ha funzionato anche perché è stato divertente. E non c’è nulla di banale in questo: ridere insieme è un atto collettivo, liberatorio, che crea legami e costruisce complicità. La gente rideva, sì, ma rideva di qualcosa: dell’ipocrisia istituzionale, della finta neutralità culturale, del potere travestito da festa.

E poi c’è il fatto che tutti hanno visto quel manifesto. È entrato nella conversazione pubblica, ha aperto dibattiti, anche critiche, e va benissimo così: non volevamo consenso, volevamo conflitto culturale. Per noi, il punto non è “essere d’accordo”: è obbligare a prendere posizione. E quando accade questo, la guerriglia comunicativa ha già vinto.

Avete usato l’intelligenza artificiale per realizzare il manifesto? Come vi rapportate a questi strumenti? Collettivo –

L’intelligenza artificiale non ha avuto un ruolo nell’ideazione del manifesto. L’idea è nata tra corpi, voci, pratiche comuni. L’IA può forse aiutare in alcune fasi tecniche — impaginazione, grafica, stampa — ma senza l’intelligenza collettiva, che c’era dietro, non avrebbe prodotto nulla. Anzi, usata male, rischia di appiattire, imitare, uccidere la tensione creativa.

Per noi la creatività è politica, è conflitto, nasce dallo scontro tra vissuti, letture, memorie. L’IA può “mescolare” immagini esistenti, ma non può prevedere un gesto che rompe la norma. Non può cogliere la carica simbolica di un bacio, in un contesto come Vicenza, né restituire la complessità ironica di un’azione collettiva.

Usiamo l’IA solo in casi eccezionali e sempre in modo consapevole. Ci interessa capire questi strumenti, non subirli. Ma non ci

facciamo illusioni: nessun algoritmo potrà mai sostituire la forza creativa di chi lotta insieme, sul territorio, con il corpo e la testa.

Per questo diciamo che la nostra non è “intelligenza artificiale” ma intelligenza affettiva e politica. Quella che cresce nei gruppi di affinità, che sa leggere le contraddizioni, che sa ridere nel momento giusto, ma anche colpire dove serve.

Due settimane dopo il vostro manifesto, durante l’inaugurazione del Parco della Pace — un luogo simbolico atteso da dodici anni — il sindaco Possamai stringe la mano al colonnello Vaughn

La testa del corteo

L'attacchinaggiodelmanifesto

D. Strong Jr., quasi superando la vostra provocazione. Come avete vissuto questo episodio?

Collettivo –

È stata una sorta di colpo di scena che ha superato la satira. Il parco era un segno importante, una conquista del movimento No Dal Molin, da molti vista come compensa-

zione per la militarizzazione della nostra città. Ma in ogni caso l’immagine del sindaco che stringe la mano al colonnello USA durante l’inaugurazione ha dato una nuova dimensione di realtà al nostro manifesto e lo ha validato.

Abbiamo pensato: “Forse abbiamo solo sbagliato il personaggio da far baciare al sindaco”. Se invece di Trump fosse stato il colonnello Vaughn D. Strong, forse il messaggio sarebbe stato ancora più chiaro e forte. Forse Possamai avrebbe evitato di invitarlo all’inaugurazione e si sarebbe risparmiato un’ulteriore polemica. Non ci avevamo pensato e forse lo avremmo scartato ugualmente considerando che il Colonello è appena arrivato a Vicenza e non è di sicuro volto noto ai vicentini.

In ogni caso questa situazione ci ha confermato quanto la guerriglia comunicativa sia potente, ma anche fragile, perché la realtà politica può superare qualsiasi parodia. E allora capiamo che non si tratta solo di immagini, ma di movimenti, di pratiche, di

saper cogliere il tempo storico in cui si agisce.

In fondo, il manifesto aveva anticipato lo shock comunicativo che poi si è concretizzato, addirittura superando la nostra immaginazione. Alla fine, la realtà è stata più scioccante della nostra azione. Nessuno si sarebbe immaginato che davvero, all’inaugurazione del Parco della Pace, ci sarebbe stata quella stretta di mano, vera e simbolicamente potente tra chi governa la città e chi la occupa militarmente.

Siamo contenti, infine, che il dibattito continui e che nella città emerga sempre più consapevolezza critica.

Che dire alla fine di questo incontro? Che ci ha fatto riprovare l’emozione di una partecipazione sentita e non recitata, tipica, invece, di gran parte delle interviste “politiche”, e che ci ha ricordato che, forse, certe “situazioni” non serve inventarle. Il collettivo le ha sapute vedere al loro interno e, in più, è riuscito a rappresentarle con la forza rivoluzionaria di un’immagine.

Donnevittimedellaguerraecittàinsicurapergliinsediamentimilitari

Mappa geopolitica del movimento antimilitarista di Vicenza

Sono fortemente attivi il Bocciodromo, Caracolo Olol Jackson e Porto

Burci con le associazioni ospitate ma anche la Casa di Cultura Popolare, Fornaci Rosse, la Rete degli Studenti Medi, Mediterranea e non solo

Un evento a Porto Burci

di Ettore Pignatta

In queste settimane, a causa delle polemiche causate dall’Italia-America Friendship Festival, si è sentito parlare tanto di associazioni del territorio accomunate da principi antimilitaristi. Per un occhio disattento, è facile fare di tutta l'erba un fascio, e magari un fascio di erba “urticante”, ma in realtà le associazioni e le realtà che fanno parte del movimento antimilitarista

sono diverse per storia e per attività proposte all'interno della città. Vicenza ha una tradizione importante legata al movimento: sin dalla concessione dell'ex aeroporto Dal Molin per la creazione di una base militare americana, poi rinominata Del Din, si sono susseguite lotte, presidi e manifestazioni in cui la cittadinanza tutta esprimeva il proprio dissenso contro

la costruzione di una nuova base. L'apice venne toccato a febbraio del 2007, quando oltre 150.000 persone, arrivate anche da tutta Italia, si riversarono nelle strade della città per manifestare contro la costruzione della nuova base. La protesta non riuscì a smuovere le forze politiche dalla costruzione della base, ma il movimento non si è mai sopito e oggi trova spa-

zio in quattro istituzioni principali, da cui partono le lotte e le campagne contro il riarmo nel territorio vicentino. Ecco una breve mappa dei più importanti gruppi organizzati. Recentemente spostatosi in viale Trento, nello stabile già sede dell'Istituto Baronio, il Centro Sociale

Bocciodromo da sempre promuove l'antimilitarismo e la demilitarizzazione del territorio berico. Le sue incarnazioni, nel corso dei decenni, sono state diverse: dal centro sociale Ya Basta!, che aveva sede in viale Mazzini, al Capannone Sociale, in via Vecchia Ferriera. Successivamente, gli attivisti

del centro sociale furono tra i principali promotori del comitato “No Dal Molin”, con il presidio nei pressi dell'ex aeroporto, a Rettorgole, prima che (tramite bando comunale) gli venisse affidata l'area dell'ex Bocciodromo, nel quartiere dei Ferrovieri. Ora, con l'occupazione di viale Trento, il centro sociale ha diviso in tre le “sedi” delle sue battaglie: oltre all'ex scuola, gli attivisti sono presenti anche al Bosco di Ca' Alte, dove persiste un'occupazione permanente per evitare la cancellazione del parchetto, e sempre al Bocciodromo, ora ribattezzato “Boscodromo”, dove prosegue l'occupazione e si lavora per il mantenimento e la salvaguardia del Bosco Lanerossi intorno all’albero secolare.

Dalla stessa matrice, ma con una storia più recente, è nato il Caracol Olol Jackson, così nominato in memoria di uno degli storici attivisti del centro sociale. Proprio da un'eredità lasciata da Olol Jackson, è nata l'incarnazione del Caracol, nome derivante dallo spagnolo "caracol" (lumaca), che simboleggia la lentezza, ma anche il percorso tortuoso e "resiliente" delle idee e delle persone che cercano un luogo di appartenenza e supporto, come una chiocciola con la sua con-

OlolJackson
L'ex sede del Centro sociale Bocciodromo

Tra le varie realtà partecipanti anche alla manifestazione del 13 settembre c'è poi Porto Burci: nella sede ottenuta tramite bando comunale da una A.T.S. all'interno dell'ex scuola materna (sita in centro storico, in contrà dei Burci), trovano spazio tante associazioni. Arci Servizio Civile, il circolo Arci Cosmos, Legambiente, Non Dalla Guerra, ANPI organizzano stabilmente i loro eventi e le loro riunioni all'interno del Porto. Concerti, ExIstitutoBaroniooccupatocontroleguerre

chiglia. La sua sede in viale Crispi, nel quartiere San Lazzaro, ha una doppia destinazione: al piano di sopra, ci sono gli ambulatori sociali, con reparti di psicoterapia, odontoiatria, ginecologia (solo per citarne alcuni); di sotto, invece, una volta a settimana c'è il mercato biologico e nel weekend si alternano concerti, djset, talk e performance d'artista.

workshop, presentazioni di libri, giornate dedicate al riciclo e al riutilizzo sono i cardini del centro culturale. Da notare che queste sono solo le sedi delle principali associazioni del movimento antimilitarista Vicenza, ma ci sono tanti gruppi formali e non che hanno aderito alle recenti manifestazioni. ra queste, non va dimenticata la Casa per la Pace, istituita nel 1994 luogo fisico e simbolico di riferimento per gruppi e persone impegnate o interessate a promuovere la pace, la giustizia sociale, i diritti umani, la nonviolenza e la solidarietà internazionale. E poi ancora: la Casa di Cultura Popolare, hub rigenerativo e culturale per la città di Vicenza, con sede in corso Palladio, a Fornaci Rosse, il festival di politica che ogni agosto anima parco Fornaci; dalla Rete degli Studenti Medi, il sindacato degli

studenti, a Mediterranea, associazione per lo sviluppo locale, e chi più ne ha più ne metta.

Quindi, non pensate che la lotta antimilitarista a Vicenza sia nata solo con le recenti polemiche e manifestazioni. Il movimento era ancora vigile e pronto a riattivarsi alla prima avvisaglia di promozione del riarmo e di una cultura dell'aggressione. Come è stato. Grazie, paradossalmente, al contestato festival di metà settembre.

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Il “prezzo” della pace: quanto costa ricostruire l’Ucraina?

Per ricostruire il Paese devastato dalla guerra voluta da Putin ci vorranno oltre 500 miliardi di dollari. L’Unione europea

ha già disegnano i primi strumenti, ma per trovare tutte le risorse servirà coinvolgere anche i privati (con l’incognita degli asset russi “congelati”).

AlcunipalazzidevastatiaBorodyanka

di Salvatore Borghese

Quando si parla di Ucraina, l’attenzione mediatica è monopolizzata da due aspetti: da un lato la diplomazia, con il protagonismo del presidente statunitense Donald Trump e i suoi tentativi (finora inconcludenti) di spingere verso negoziati risolutivi; dall’altro quello militare, dove a dominare sono le cronache delle offensive, delle forniture di armi occidentali e delle difficoltà di Kyiv nel resistere a un’aggressione che dura ormai da più di tre anni e mezzo.

C’è però un’altra dimensione, meno visibile ma destinata a diventare centrale non appena le armi taceranno: la ricostruzione, materiale e non solo, dell’Ucraina. Non si tratta di un dettaglio accessorio, ma della prospettiva di un’impresa economica titanica, che richiederà risorse e strategie paragonabili – se non superiori – a quelle messe in campo sul fronte bellico. E già oggi, con la guerra ancora in corso, si moltiplicano i calcoli, i piani e le iniziative per capire come affrontarla.

Il conto della ricostruzione

A fine febbraio 2025, governo ucraino, Banca Mondiale, Commissione europea e Nazioni Unite hanno diffuso la stima più aggiornata dei danni e dei fabbisogni: 524 miliardi di dollari in dieci anni, pari a circa 480 miliardi di euro. Una cifra enorme, che fotografa la somma necessaria non solo per “riparare” ciò che è stato distrutto, ma anche per trasformare l’Ucraina in un paese moderno, integrato negli standard europei.

I danni diretti ammontano a 176 miliardi di dollari: il 13% del patrimonio abitativo è stato danneggiato, coinvolgendo oltre 2,5 milioni di famiglie. Ma i bisogni di ricostruzione vanno oltre: a oggi, servirebbero già a circa 230 miliardi (di cui 84 miliardi per le case, 78 per il sistema dei trasporti, 68 per l’energia).

Dietro questi numeri si nasconde una questione di metodo: ricostruire non significa solo rimettere in piedi ciò che c’era, ma ridisegnare reti energetiche più resilienti, infrastrutture in grado di resistere a nuove minacce, città e villaggi (ri)costruiti secondo criteri di efficienza e sostenibilità. In altre parole, non si tratta di restaurare il passato, ma di costruire il futuro europeo dell’Ucraina.

(Fonte:elaborazionedalRDNA–RapidDamageand NeedsAssessment,IVedizione,2025)

Il canale europeo: lo “Ukraine Facility”

La risposta più organica finora è arrivata dall’Unione europea, che nel marzo 2024 ha varato lo Ukraine Facility, uno strumento finanziario da 50 miliardi di euro valido fino al 2027. Una sorta di “Recovery Fund” su misura per Kyiv, composto da sovvenzioni e prestiti, che ha il compito di assicurare liquidità immediata e, al tempo stesso, guidare la ricostruzione.

Il cuore del meccanismo è lo Ukraine Plan, approvato dal Consiglio dell’UE nel maggio 2024: un documento che definisce priorità, riforme e investimenti e che vincola i pagamenti al raggiungimento di precisi traguardi. Non basta cioè presentare progetti: occorre anche dimostrare progressi in settori chiave come lo stato di diritto, la lotta alla corruzione, la modernizzazione della pubblica amministrazione.

Come per il PNRR italiano, anche questo strumento quindi funziona con il si-

stema dei “milestone”: una volta verificato il rispetto degli impegni, Bruxelles autorizza nuove tranche di pagamenti. Tra il 2024 e l’inizio del 2025, Kyiv ha già ricevuto quasi 20 miliardi di euro, inclusi 1,9 miliardi di prefinanziamento. È una logica “condizionata”: da un lato garantisce sostegno, dall’altro mantiene alta la pressione riformatrice, in vista dell’adesione all’Unione. Un equilibrio non semplice, ma cruciale per trasformare l’assistenza e la solidarietà in un investimento politico vero e proprio.

La conferenza di Roma a luglio

Il 10 e 11 luglio scorso, infine, Roma ha ospitato la Ukraine Recovery Conference, un appuntamento che ha segnato un passo avanti nella costruzione di strumenti finanziari più sofisticati. In quell’occasione, la Commissione europea ha presentato l’European Flagship Fund for the Reconstruction, un fondo di investimento con capitale iniziale di 220 milioni di euro e l’obiettivo di raggiungere i 500 milioni entro il 2026. Parallelamente, sono stati firmati accordi per circa 2,3 miliardi di euro in garanzie e sovvenzioni, destinati a mobilitare fino a 10 miliardi di euro di investimenti privati.

Il messaggio politico è stato chiaro: la ricostruzione non potrà basarsi solo su soldi pubblici (cioè degli stati), ma dovrà attrarre anche capitali privati. Per farlo, servono garanzie contro il rischio di guerra, strumenti assicurativi e pro-

Ucrainaprimaedopoibombardamenti,ladistruzionedellecittàattraversoleimmaginisatellitari

AreadellacentralenuclearediZaporizhzhia

cedure trasparenti. Durante l’incontro di Roma si è provato a dare il via a questo sistema, pur nella consapevolezza (a dire il vero, poco rassicurante) che la fiducia degli investitori dipenderà anche dalla fine delle ostilità.

Il ruolo dell’Italia

L’Italia ha rivendicato un ruolo di primo piano, sotto il profilo sia politico sia economico. Già nel 2022 il Governo aveva donato 110 milioni di euro e stanziato una linea di credito per altri 200 milioni. Negli anni successivi, il nostro esecutivo ha contribuito ai canali europei e multilaterali, aggiungendo interventi mirati come i 10 milioni versati alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo per sostenere il settore energetico.

Nel 2025, accanto al vertice romano, il Governo italiano ha lanciato la Misura “Ucraina” da 300 milioni di euro attraverso SIMEST (società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti), per sostenere le

imprese italiane interessate a partecipare alla ricostruzione. La scommessa è che, con i giusti meccanismi di accompagnamento, molte filiere produttive italiane possano giocare un ruolo importante.

A livello politico, l’Italia ha assunto il “patronato” sulla regione di Odessa, coordinando progetti e intese ministeriali su vari fronti. È una scelta che riflette sia ragioni storiche (i legami del porto di Odessa con l’Adriatico), sia ambizioni industriali. In prospettiva, il contributo italiano sarà misurato non solo in termini di fondi, ma anche di capacità di convogliare know-how e imprese in un processo di ricostruzione che si preannuncia lungo e complesso, ma non per questo privo di opportunità.

Chi paga il conto?

La domanda cruciale è semplice: chi pagherà il conto da oltre 500 miliardi di dollari? La risposta è composita. Una parte arriverà dal bilancio ucraino e dai partner pubblici internazionali (UE,

G7, istituzioni finanziarie globali). Ma da sola non basterà. Per questo si punta a mobilitare il capitale privato, creando condizioni di investimento più sicure. Un nodo delicatissimo riguarda i beni russi congelati: circa 300 miliardi di dollari di asset detenuti all’estero. C’è chi propone di confiscarli e destinarli direttamente alla ricostruzione; altri, più prudenti, parlano di utilizzare solo i ricavi generati da questi fondi. La questione legale è complessa e il rischio di ritorsioni elevato: per questo, l’ipotesi di una confisca totale è apparsa per molto tempo poco percorribile. Finché, di recente, Ursula von der Leyen ha rilanciato questa proposta, probabilmente anche in seguito al venir meno delle resistenze provenienti da alcuni governi europei (in primis quello tedesco).

In definitiva, il costo della ricostruzione sarà frutto di un mosaico di risorse: denaro pubblico, prestiti agevolati, investimenti privati e – forse – i proventi degli asset russi. Nessuna bacchetta ma-

gica, ma un puzzle che richiederà coordinamento e trasparenza.

Ricostruire per una

“pace giusta”

Parlare di ricostruzione mentre la guerra è ancora in corso può sembrare prematuro. In realtà, è indispensabile. Perché la fine del conflitto non coinciderà con la fine delle attività militari: allora inizierà un’altra battaglia, quella per ridare vita a un Paese devastato.

Una “pace giusta” non significa soltanto sicurezza militare, ma anche la possibilità per milioni di ucraini di tornare ad avere case, scuole, ospedali e strade funzionanti. Significa integrare Kyiv nello spazio europeo, con istituzioni solide e infrastrutture moderne. E significa anche – nelle intenzioni dei promotori – dare un segnale chiaro a Mosca: le distruzioni inflitte non lasceranno un Paese piegato, ma uno Stato più forte e radicato nell’Unione.

Il percorso sarà lungo e costoso. Ma sarà anche un banco di prova della capacità europea e occidentale di difendere non solo un confine geografico, ma un’idea di civiltà basata su diritti, libertà e sviluppo condiviso.

Fonti:

Banca Mondiale, Ukraine Rapid Damage and Needs Assessment 2025: https:// www.worldbank.org/en/news/press-release/2025/02/25/ukraine-reconstruction-needs-2025

Consiglio dell’Unione Europea, Ukraine Facility: https://www.consilium.europa. eu/it/press/press-releases/2024/05/14/ ukraine-plan-council-greenlights-regular-payments-under-the-ukraine-facility/

Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Italia, L’Italia a sostegno dell’Ucraina: https://www. esteri.it/it/politica-estera-e-cooperazione-allo-sviluppo/aree_geografiche/europa/litalia-a-sostegno-dellucraina/

Camera dei Deputati, dossier Misure a favore della ricostruzione dell’Ucraina: https://temi.camera.it/leg19/post/misure-a-favore-della-ricostruzionedell-ucraina.html

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Alberto Galla

Alberto Galla, le vie della lettura sono (in)finite?

La passione e la professionalità possono bastare per restare al timone della nave “nonostante l’e-book”? Le burrasche degli schermi hanno mandato molti editori e librai alla deriva ma, da capitano a marinaio, Alberto Galla continua a essere ottimista e ci svela il perché

AlbertoGalla,l'intervista

di Federica Zanini

Si dice, e non sempre è un complimento, “parla come un libro stampato”. E invece no.

Lui che è cresciuto a pane e libri, che dei libri ha fatto la propria vita, che i libri li vende e li salva, è uno che parla semplice, con uno stile coinvolgente, come si confà alla divulgazione, della quale è appassionato promotore.

Lui è Alberto Galla, figlio di quello stimato Maria-

no (assessore del Comune di Vicenza, dal 1980 al 1981 alla Cultura e dal 1981 al 1985 alle Finanze, sindaco di Arcugnano, presidente dell’Ente Fiera, presidente della banca Centro Veneto – Credito Cooperativo e presidente della storica attività libraria ed editoriale di famiglia Galla 1880), a cui la città si è stretta intorno il 7 ottobre del 2024 per festeggiarne i 100 anni e poi, l’8 giugno 2025, intorno alla famiglia per l’addio a quello che è stato un grande uomo e un vicentino d’eccellenza.

Una vita e una carriera intensa, quella di papà Mariano, fitta di ruoli prestigiosi e incarichi impegnati. Un’eredità che potrebbe intimidire chiunque, ma non Alberto. Che del padre parla con affetto e serenità, come se fosse ancora accanto a lui. Come è sempre stato, nella libreria storica di famiglia, fino all’epoca del Covid. Solo una pandemia poteva imporre la prudenza, e avere l’impudenza, di costringere un Galla lontano dal suo regno…

Ma siamo qui per parlare di Alberto. Lo dobbiamo stanare un po’, anzi accetta solo perché i nostri ritratti si discostano dalla solita intervista.

Che cosa vuole raccontarmi di sé?

Mah, la mia è una biografia piuttosto monotona, ma quello che tengo a sottolineare è che sono sì erede di una dinastia di librai, ma non mi sono rassegnato o adeguato a un percorso già scritto per me, come si potrebbe pensare. Quando ho iniziato, a 22 anni, l’ho fatto per una scelta libera e convinta.

Come ci è arrivato? L’eredità Galla non è da rintracciarsi solo in linea diretta… Vero. La libreria risale al 1880 per opera del mio antenato, il veronese Giovanni Galla che, trasferitosi giovanissimo a Vicenza nel 1859, prima dell’Unità d’Italia, lavorò alla libreria reale cittadina di Emanuele Caprotti, in via Corso 2174,

ma, appunto, nel 1880 si licenziò e l’insegna Galla campeggiò da quell’anno sulla cartoleria Rodati di contra’ Muscheria per poi, dopo la morte del suo ex datore di lavoro Caprotti, “marcare” anche la libreria reale frequentata dai più illustri scrittori di Vicenza, da Zanella a Fogazzaro, da Lioy a Jacopo Cabianca e Casimiro Varese. Distrutto dal bombardamento degli Alleati nel 1944, l’edificio che la ospitava nel dopoguerra fu acquistato e ricostruito dalla Banca commerciale italiana e i Galla trovarono nuovi locali in corso Palladio, all’angolo con contra’ San Marcello. Nel dopoguerra la libreria aveva trentadue soci, tutti imparentati, non era gestita da papà, ma da nostri cugini. Mio padre aveva la quota di maggioranza semplicemente perché il suo fu l’investimento più cospicuo ma, nei primi anni ’80, vendette l’immobile di corso Palladio, liquidò i 32 soci e la nuova società a metà degli anni ’80 aprì l’attuale libreria in piazza Castello. Io ne ero fuori. Mi ero iscritto a legge, ma poi mollai e il caso mi portò in libreria dalla porta laterale, per così dire da “ragazzo di bottega”. Mia zia Enrica Galla - sorella più grande di Nello, uno de I Piccoli Maestri ritratti da Luigi Meneghello - gestiva dal 1966 la cartoleria con libreria di piazzetta Palladio, negli anni 70 distintasi per la specializzazione (allora avveniristica) in letteratura educativa, libri e giochi didattici per bambini e ragazzi.

A metà degli anni ’90, la cartoleria-libreria si spostò nel luogo ove tutt’ora opera come cartoleria, in corso Palladio, all’angolo con contra’ Porti.

A un certo punto zia dovette assentarsi per un periodo e io accettai di sostituirla. Fu la mia prima palestra, tuttora… attiva, tra gli scaffali e lei la mia prima tutor, che quando tornò mi impartì la più grande lezione di vita: siamo tutti utili e nessuno indispensabile.

Nel 1996 partì «Galla 2000» in viale Roma, prima libreria con internet per i clienti, e nel 2001 la libreria «Girapagina» in contra’ Cavour, poi trasferitasi in viale Verdi. Il resto è noto ai più con l’ingresso in società nel 2013 di Libraccio, la catena di librerie indipendenti più grande d’Italia, che ne ha acquisito la pressoché totale proprietà nel 2019.

In lei non c’è solo un bravo venditore di ciò che ormai si fatica a vendere - almeno nel modo tradizionale - né può bastare la passione per la carta stampata… Ci sveli l’imprenditore dietro il mito.

Beh, la mia vera università - anche se non nascondo un po’ di rammarico per non essermi mai laureato davvero - è stata la Scuola per Librai di Umberto ed Elisabetta Mauri. L’idea, geniale, era quella di radunare presso la Fondazione Cini di Venezia 30 librai selezionati, per una settimana di full immersion con corsi di formazione, dibattiti e sperimentazioni. Selezionato tra i partecipanti, stabilii subito un legame fortissimo e sono sempre tornato alla Scuola, prima come testimonial, poi come docente. Da studente, tor-

LibreriaGalladicorsoPalladioangoloviaCesareBattisti

nai a casa pronto a dare il mio contributo in libreria. Avevamo chiuso il punto vendita di corso Palladio e destinato quello in piazzetta alla sola cartoleria e la nuova insegna in piazza Castello andava inaugurata con una svolta, anche e soprattutto a livello organizzativo. Io ero pronto ad applicare tutti i più moderni criteri, come la catalogazione in ordine alfabetico e la divisione per temi. Ma soprattutto la gestione informatizzata, che io ebbi l’opportunità di apprendere dal grande editore Libero Casagrande a casa sua, a Bellinzona. In Galla fummo i primi in Italia.

L’innovazione non fu però solo logistica e tecnica. Che cosa cambiò nel concetto di libreria?

Cominciai a trasformare la semplice bottega in uno spazio culturale vero e proprio. Dove la cultura non si sfoglia soltanto, ma si vive, con una serie di eventi come letture, dibattiti ma anche concerti e performance teatrali. Siamo un luogo di incontro per la vasta e variegata comunità della conoscenza. Le librerie devono essere spazi aperti a tutti, senza nessuna preclusione di ceto, età, formazione ecc.

Tutta questa sua esperienza manageriale e non solo non poteva che finire… nero su bianco.

In effetti, qualche anno fa ho scritto - a quattro mani con Giovanni Peresson - il libro “Aprire una libreria”, giunto con discreto successo alla terza edizione, e che oggi porta inevitabilmente il sottotitolo “nonostante l’e-book”.

In effetti, il mondo (e il mercato) dei libri è totalmente cambiato, per non dire stravolto. Come la vede lei: condanna o sfida?

Internet ci ha messo con le spalle al muro, ma ci ha anche costretti ad adeguarci a un mondo e un pubblico che cambiano. È cambiata la domanda, ma l’offerta è addirittura esplosa: quando ho cominciato si contavano meno di 20 mila novità editoriali l’anno, ora viaggiamo sulle 80 mila. Il problema è che il mercato oggi è concentrato nelle mani di pochi potenti, mentre i piccoli soccombono. Io però sono ottimista e tifo per quei piccoli, anche micro, editori eroici che tengono duro. Quanto al Vene-

to, poi, la situazione è migliore che altrove: abbiamo ancora diverse importanti realtà indipendenti.

Detto che ne facciamo parte anche noi con il rafforzamento di L’altra stampa, erede di Editoriale Elas, di cui Galla ospita le sempre più numerose pubblicazioni, lei è stato anche presidente dell’Associazione Librai Italiani…

Sì, dal 2012 al 2017, poi vicepresidente fino al 2021. Cariche a parte, l’associazione di categoria è un riferimento nella mia vita. Ha soprattutto il pregio di aver fondato una scuola di formazione per nuovi librai, un master di “librariologia”, come mi piace chiamarlo.

Della Biblioteca Bertoliana invece è presidente. Si sente diviso in due o sono semplicemente modi diversi di amare i libri?

Innanzitutto, ho già avuto esperienze di biblioteca come presidente de La Vigna, altra vera istituzione culturale vicentina, tra il 1996 e il 2002. Sono, quindi, onorato dell’incarico che il sindaco mi ha affidato. Da mio padre ho ereditato soprattutto la passione civile. Mi ha dato l’imprinting del civil servant e ho sempre praticato la politica nel senso che aveva un tempo, cioè occuparsi della polis. Anche questa è una “malattia” di famiglia: Tito

MarianoGalla,circondatodaisuoifamiliarieconilsindacoPossamai

IllibraiovicentinodocenteallaUEM,scuolaper libraiUmbertoeElisabettaMauri(FotoYumaMartellanz)

Galla, uno dei figli dei fondatori della libreria, fu uno dei primi senatori del Regno. Per fortuna, ho sempre portato il mio contribuito di consensi ma io sono sempre stato il primo dei non eletti. Questo mi ha permesso di agire per l’obiettivo, senza perdermi dietro immagine e burocrazia. Il mio, anche per la Bertoliana, è un impegno civico al di là dei partiti. A stimolarmi è proprio il grande progetto della Nuova Bertoliana, che sta muovendo piccoli ma determinanti passi e per il quale è giusto ringraziare chi mi ha preceduto: l’evoluzione della biblioteca in fucina di attività culturali è evidente da un po’. Con il sostegno della giunta si potrà fare sempre di più. Verso il futuro e futuribile, ma anche verso il recupero delle biblioteche di quartiere, il cui ruolo, anche in fatto di inclusività e accessibilità (intesa non solo fisicamente), è importantissimo.

Lei oggi è dipendente della sua azienda, per via della cessione del 2021. Cosa è cambiato?

È vero. Ed è anche bellissimo: ufficialmente sarei in pensione, invece la mia vita è piena. Gestisco gli eventi, tengo i rapporti con la politica e la città, mi divido tra libreria e biblioteca e ho molti progetti. Senza tacere che, quando nel 2015 entrai in società con il Libraccio, lo feci sempre in un’ottica sociale: il nuovo assetto societario era necessario, ma non mi dispiaceva l’idea di democratizzare la libreria, con un servizio come la vendita del libro usato.

Abbiamo parlato tanto del babbo, e il resto dei suoi affetti?

Anche qui sono un po’ monotono. Mia moglie è anche lei libraia, prima l’ho assunta e poi l’ho sposata. Ora ha aperto con un’amica una libreria a Thiene. Delle mie due figlie, la maggiore - che per un lungo periodo non aveva dimostrato grande passione né per il mestiere né per la lettura in genere - oggi è libraia a Modena. L’incontro con la lettura avviene nei modi più strani, in quest’epoca degli schermi non disperi chi ha figli che non leggono. In ogni caso, io sono il lettore più morbido di casa…

Appunto. Libreria e biblioteca sono faticose, totalizzanti. Quando trova il tempo di leggere?

Di notte. Faccio le ore piccole, anche se

ho un risveglio lento, che mette a rischio quello che considero il primo lusso: leggermi tutti i giornali prima di buttarmi nei tanti impegni della giornata. Altro lusso? Il cineforum con mia moglie. Naturalmente all’Odeon, che è un’istituzione.

Un altro suo grande amore è Vicenza, giusto?

Sì. La amo visceralmente. La mia famiglia ha scritto in parte la storia della città e io mi sento dentro la storia di Vicenza. Sono ingiuste le critiche che le arrivano da più parti: è una città di Provincia, è vero, ma si evolve, come tutto il mondo.

Alberto Galla alla Bertoliana (FotoYumaMartellanz)

La buona vicentinità

Federico Faggin

Rivista fondata e diretta da Pino Dato

Non “Dio perché?”, ma “grazie per avermelo donato”

Nel dolore del distacco impariamo a dire grazie: il dono di chi ci ha lasciato resta nel cuore e ci riporta il sorriso

di padre Gino Alberto Faccioli

«Credo… la risurrezione della carne, la vita eterna», queste parole concludono la più antica professione di fede, il Credo Apostolico o battesimale, queste parole ci ricordano come la risurrezione e la vita eterna siano un unicum che caratterizza il cristianesimo. Tuttavia, quando ci viene a mancare una persona a noi cara, soprattutto se questi è un familiare, sembra che ci dimentichiamo di questa realtà di fede e iniziamo a porci tanti perché, ai quali cerchiamo di dare delle risposte, ma in verità ogni risposta non serve a niente se non a far emergere maggiormente il vuoto che stiamo vivendo.

Tutto questo ha un’unica risposta: difficoltà ad accettare la morte, ritenendola

in un certo qual modo la fine di tutto, perché con la persona cara che ci ha lasciati sembra essersi spezzato un legame. Occorre in certo qual modo imparare ad elaborare il nostro lutto, solo così sapremo superare questo difficile momento, e in questo cammino ci è d’aiuto la fede. Questa, infatti, ci ricorda che noi, come afferma Pietro nella sua Prima Lettera (cf. 1Pt 1.7 e 2.11), siamo un popolo in pellegrinaggio su questa terra e, questo è un dono sempre nuovo dell’amore di Dio per noi, «e un pegno della vita immortale, poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dalla morte, e viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo re-

gno» (Prefazio VI Domenica del Tempo Ordinario).

La fede, dunque, ci ricorda che questa esperienza di dolore che viviamo in realtà è un passaggio, perché in virtù della morte in croce di Cristo, la morte è stata sconfitta, non è l’ultima parola: «Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba.

Essa, infatti, suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario, infatti, che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1Cor 15,51-58). Paolo ci ricorda che l’evento morte è una sorta di completamento dell’uomo pensato ad «immagine e somiglianza di Dio» (cf. Gen 1,26), un uomo che ha lasciato la sua “crisalide” per vivere in pienezza la sua nuova vita in Dio.

L’esperienza del “distacco” partendo da questa prospettiva di fede ci fa comprendere una cosa importante, oserei

L'originedeibanchettifunebri(necropolietruscadiMonterozzi,Tarquinia, affrescopresentenellaTombadeiLeopardi)

dire fondamentale, la vita “non ci è dovuta” ma è un dono e come tale va o andrebbe vissuta in ogni momento. Avere questa consapevolezza aiuterebbe e non poco ad instaurare un mondo nuovo, un mondo nel quale l’uomo non è stato posto affinché lo dominasse, ma lo facesse crescere per poterlo portare anch’esso verso il compimento. Certo tutto questo può sembrare utopia, ma può essere un aiuto a comprendere come la persona cara che ci ha lasciato sia stato per noi un dono, e allora come credenti, nonostante il dolore del distacco, non chiederemo più a Dio perché, ma lo

ringrazieremo per il dono che ci ha fatto, un dono che resterà per sempre nei nostri cuori, e probabilmente tornerà il sorriso.

«Se mi ami non piangere! / Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo / dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento / in questi orizzonti senza fine / e in questa luce che tutto investe e penetra, / tu non piangeresti se mi ami. Qui si é ormai assorbiti / dall'incanto di Dio e dai riflessi / della sua sconfinata bellezza.

Le cose di un tempo, / quanto piccole e fuggevoli, al confronto!

Mi é rimasto / un profondo affetto per te; / una tenerezza che non ho mai conosciuto. Ora l'amore che mi stringe / profondamente a te, / é gioia pura e senza tramonto. Mentre io vivo / nella serena ed esaltante attesa, / tu pensami così!

Nelle tue battaglie, / nei tuoi momenti / di sconforto e di stanchezza, /pensa a questa meravigliosa casa, / dove non esiste la morte, / dove ci disseteremo insieme / nel trasporto più intenso, / alla fonte inesauribile / dell'amore e della felicità. Non piangere più / se veramente mi ami!» (Giacomo Perico).

Viviana Casarotto: “il dolore di un lutto va attraversato, magari con l’aiuto di un gruppo accogliente e comprensivo”

Con i gruppi AMA (Auto-Mutuo-Aiuto, la Caritas Diocesana di Vicenza aiuta chi vive un lutto a ritrovare ascolto e conforto insieme a volontari e persone che condividono la stessa esperienza

Per chi sta vivendo la perdita di un familiare, il periodo del lutto può rivelarsi molto difficile da attraversare. Le emozioni diventano ingestibili e spesso si ha bisogno di aiuto. Esiste una realtà, all’interno della Caritas Diocesana di Vicenza, che copre il territorio di Vicenza e gran parte della Provincia, che si compone di gruppi AMA

(Auto-Mutuo-Aiuto), in cui si può essere aiutati ad attraversare questo periodo così difficile da volontari chiamati “facilitatori”, che sono “addestrati all’ascolto e alla comprensione” e da altre persone che stanno vivendo la stessa esperienza. Si tratta di un servizio gratuito della Caritas diocesana vicentina ed è unico in Italia. Non esiste qualcosa di simile nelle altre Caritas a livello nazionale.

“In gruppo ci si trova e ci si mette in cerchio perché tutti siamo uguali, alla pari –ci spiega la psicologa e psicoterapeuta Viviana Casarotto, che, dopo aver fatto per 14 anni l’operatrice addetta all’assistenza in RSA, è responsabile e coordinatrice del servizio di Caritas Vicenza “Lutto Solitudine ed Esperienza del Limite” in tutto il territorio di Vicenza e provincia -. Si tratta di uno spazio di condivisione dove ogni persona è libera di esprimere quello che sente vivendo un clima di non giudizio e riservatezza. Le persone in genere arrivano un po’ diffidenti e poi si aprono perché si sentono accolte, rispettate, riconosciute nel proprio vissuto emotivo. Quello che si prova viene legittimato. Non c’è nessuno che vuole convincere che si deve stare bene per forza, viene riconosciuta la sofferenza della persona in lutto”.

In totale fra Vicenza e provincia sono 38 i facilitatori, 17 i gruppi attivi e distribuiti a livello diocesano a Vicenza città, periferie, Arzignano, Bassano del Grappa, Cologna Veneta, Cornedo Vicentino, Nove, Noventa Vicentina, Sandrigo, Schio, Villaganzerla, Lonigo, Povolaro di Dueville.

Quando sono nati i primi gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto (AMA)?

“A Vicenza il primo gruppo AMA è nato fuori

dalla Caritas nel 1997 all’interno dell’IPAB Salvi e Trento, una struttura per persone anziane. Per volontà dei due religiosi che erano presenti lì è stato promosso il gruppo di supporto ai familiari che avevano un caro che moriva in casa di riposo. Poi si è visto che arrivavano persone anche dalla provincia e da fuori della struttura e si è deciso di aprire a tutti. Nel 2007 sono stata invece chiamata dal Direttore della Caritas Diocesana vicentina don Giovanni Sandonà, che era molto sensibile a queste tematiche e mi aveva chiesto se si potesse fare qualcosa a livello diocesano per le persone che vivevano l’esperienza del lutto. Quindi è nato un primo gruppo di lavoro, abbiamo aperto uno sportello di ascolto ed è partito il primo gruppo di auto mutuo aiuto dedicato ai superstiti al suicidio. Nel 2010 i gruppi sono diventati 3: un gruppo per genitori che avevano perso figli, uno per persone rimaste vedove in età giovanile e un altro per superstiti al suicidio. Via via negli anni sono cresciuti i facilitatori e i gruppi. Abbiamo raggiunto l’apice con 22 gruppi e attualmente i gruppi sono 17, distribuiti sul territorio diocesano”.

Quali caratteristiche devono avere i facilitatori? Quale formazione hanno? Qual è il loro ruolo?

“È importante che siano del posto, radicati nel territorio e nella propria comunità parrocchiale, che conoscano le situazioni delle famiglie che potrebbero beneficiare del servizio. Come Caritas sarebbe bello che ci fosse un gruppo AMA per ogni vicariato. I facilitatori AMA vivono lo stesso problema e si ritrovano insieme per condividere

l’esperienza. La figura del facilitatore è stata introdotta come figura che ha il compito di ascoltare mettendo a disposizione le proprie risorse, la propria esperienza alle persone che stanno vivendo un lutto. Il facilitatore non è un professionista, ma ha il compito di accogliere, ascoltare, moderare la comunicazione. Non dà consigli. Ognuno deve trovare dentro di sé la propria soluzione.

Per quanto riguarda la formazione, esistono formazioni che preparano su che cos’è un gruppo, in che cosa consiste la facilitazione. In Caritas diocesana vicentina abbiamo fatto qualcosa di più approfondito, di più esteso perché partiamo dal presupposto che una persona, prima di aiutare gli altri, deve avere un minimo di conoscenza di se stesso. Il percorso formativo è di 25 ore articolato in 10 incontri, che toccano autoconoscenza, bisogni, valori, mondo delle emozioni, elementi base della comunicazione nella relazione di aiuto, aspetti di elaborazione del lutto e psicosociali. È un percorso di tipo esperienziale, non è solo teoria, ma gli argomenti che vengono trattati vengono anche ‘esperiti’. Esperiti significa fare esperienza a partire dal proprio vissuto. Ci sono modi diversi di vivere e affrontare la stessa situazione perché ognuno ha bisogni diversi. Anche all’interno della stessa famiglia, i familiari vivono il lutto in modo diverso. Non esiste un metro per misurare il dolore. Ognuno soffre in maniera soggettiva”.

Quella dei gruppi AMA per persone in lutto è una realtà poco conosciuta?

“Direi di no. C’è un coordinamento nazionale che organizza ogni anno convegni itine-

ranti, un coordinamento regionale Veneto. È una realtà abbastanza diffusa. Naturalmente dipende sempre da come viene promossa sul territorio”.

Quali sono le fasi emotive e psicologiche che attraversa una persona in lutto?

“Ci sono varie teorie di riferimento. Una delle prime teorie è stata quella di Elisabeth Kübler Ross, psichiatra svizzera-statunitense, che si è occupata del processo di elaborazione del lutto. La Kübler Ross diceva che inizialmente c’è una fase di shock, di stordimento. Nelle teorie attuali, in base al tipo di legame c’è un livello diverso di sofferenza, dei momenti in cui si è più orientati verso la sofferenza, la mancanza, il vuoto e dei momenti in cui si oscilla verso la riorganizzazione. Naturalmente è importante la fase del poter esprimere quello che si prova, dare voce alle emozioni per poi arrivare a una riorganizzazione o reinvestimento della propria vita. Mentre nella fase iniziale ‘si sopravvive’, si va avanti per inerzia, poi si riesce a cambiare il modo di far fronte alla vita”.

Il dolore di un lutto va quindi attraversato, è soggettivo, non è misurabile né quantificabile. E non è possibile sapere quanto può durare e in quali forme. L’importante è cercare di non isolarsi. Si tratta di un’esperienza che prima o poi tutti dobbiamo passare nella vita. Se si trova un gruppo accogliente e comprensivo, è possibile essere accompagnati meglio in questo dolore, riuscire a riorganizzare la propria vita, ritrovare la serenità e imparare a rinascere.

Viviana Casarotto
Caritas diocesana di Vicenza

L’Unione europea di fronte al genocidio in Palestina, l’inazione che rende complici

ImmaginidaGaza(fonte-IlManifesto)

di Eleonora Boin

Dal 7 ottobre 2023 sono passati ormai 2 anni, durante i quali Israele ha continuamente perpetrato crimini contro l’umanità, violando innumerevoli volte il diritto internazionale. Il governo sionista di Netanyahu ha assassinato giornalisti, bombardato ospedali, attentato alla vita degli operatori umanitari e ucciso civili, tra cui donne e bambini, con le bombe, i cecchini e in ultimo l’inedia. Da oltre 200 giorni a Gaza non arrivano sufficienti aiuti umanitari fondamentali come la farina, le medicine o il carburante. E l’Unione europea, davanti

a questa tragedia umanitaria che si sta consumando in diretta sui nostri cellulari non fa niente.

L’Unione europea ama presentarsi come l’attore globale per eccellenza interessato a difendere i diritti umani, la pace e il multilateralismo. Nei documenti ufficiali, Bruxelles parla spesso di “potenza normativa” e di “impegno per il diritto internazionale”. Ma di fronte al genocidio del popolo palestinese in corso a Gaza, l’azione dell’Ue è rimasta incastrata tra dichiarazioni contraddittorie, aiuti umanitari insufficienti e una paralisi politica che è, di fatto, complicità.

Parole parole parole, soltanto parole

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, la reazione delle istituzioni europee è stata immediata e univoca: condanna del terrorismo e riaffermazione del diritto di Israele a difendersi. Tanto il Consiglio quanto la Commissione hanno adottato toni duri verso Hamas, ma molto più cauti rispetto alle violazioni commesse fin dall’inizio dall’esercito israeliano. Nei mesi successivi, tra ottobre 2023 e il 2025, il Consiglio europeo ha approvato conclusioni che chiedevano pause umanitarie e corridoi per gli aiuti, senza

mai mettere in discussione Israele come partner strategico. Tra le più alte cariche dell’Unione, solo l’ex alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell ha chiesto esplicitamente e con forza un cessate il fuoco immediato, mentre la catastrofe umanitaria era già sotto gli occhi di tutti. Il Parlamento europeo si è mostrato più netto. Diversi eurodeputati hanno promosso risoluzioni che condannavano le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, chiedendo sanzioni mirate contro i coloni estremisti e il congelamento di accordi bilaterali. Ma il Parlamento, com’è noto, non ha poteri vincolanti in politica estera e così le prese di posizione di alcuni dei suoi membri sono rimaste lettera morta. L’Italia, allineata alle posizioni europee, ha ribadito la condanna del terrorismo di Hamas e sostenuto il diritto israeliano alla difesa, con qualche cautela sulle vittime civili. Roma ha promosso iniziative simboliche come il programma “Food for Gaza”, ma si è guardata bene dall’assumere posizioni più radicali, ad esempio sul riconoscimento immediato dello Stato palestinese, a differenza delle vicine Spagna e Francia.

Le poche azioni concrete: gli inutili aiuti miliardari

Sul piano pratico, l’Ue è rimasta fedele al suo ruolo tradizionale di donatore al popolo palestinese. Dal 7 ottobre 2023 al 2025, Bruxelles ha mobilitato circa 550 milioni di euro per Gaza in aiuti umanitari, canalizzati attraverso l’UNRWA, il Programma Alimentare Mondiale e ONG locali. A questo si è aggiunto un ponte aereo con decine di voli umanitari e un corridoio marittimo da Cipro, che hanno permesso di inviare migliaia di tonnellate di cibo e medicinali. Eppure, anche questi sforzi (che va ribadito, rimangono insufficienti senza una condanna netta all’operato israeliano) hanno avuto un impatto minimo. Gran parte degli aiuti è rimasta bloccata ai valichi per decisione israeliana, mentre a Gaza la carestia si diffondeva. Le immagini di bambini morti di fame e famiglie costrette a bere acqua contaminata hanno mostrato quanto le risorse europee fossero

incapaci di scalfire la realtà del blocco. A conti fatti, l’Ue ha distribuito fondi senza esercitare alcuna pressione politica efficace per garantire che gli aiuti raggiungessero davvero la popolazione. Sul fronte diplomatico, la Commissione ha parlato di revisione dell’accordo di associazione con Israele, che prevede clausole vincolanti sul rispetto dei diritti umani. In teoria, tali clausole darebbero all'Ue la possibilità di sospendere gli scambi commerciali privilegiati. In pratica, però, nessuna misura sostanziale è stata adottata: né l’embargo di armi, né la sospensione degli accordi, né alcuna sanzione generale contro lo Stato di Israele. Solo alcuni Stati membri, come ad esempio la Spagna, hanno provveduto in maniera individuale a bloccare l’export di armi. L’Unione nel suo insieme, e l’Italia in particolare, preferiscono non rompere con Tel Aviv, mantenendo inalterati i propri rapporti con uno stato genocida e un governo composto da criminali internazionali.

ImmaginidalloscioperoperGazadel22settembre (fonte-IlGazzettino)

JosepBorrelldavantiagliaiutiumanitaribloccati inegittonel2024

Forse è il caso di parlare di complicità nel genocidio

Se le istituzioni europee hanno mantenuto un equilibrio prudente, ONG e osservatori indipendenti non hanno usato mezzi termini. Medici Senza Frontiere ha accusato apertamente i leader europei di essere “complici del genocidio in corso”, denunciando che le loro parole non hanno impedito la fame e i bombardamenti. Oxfam, Save the Children e Amnesty International hanno chiesto invano di sospendere gli accordi commerciali con Israele e imporre sanzioni mirate. È evidente la posizione dell’Europa che, così pronta a difendere i diritti umani in Ucraina, ha scelto di chiudere gli occhi davanti ai crimini contro l’umanità di Israele. Anche il mondo accademico ha sollevato il problema, con giuristi e associazioni di diritto internazionale che hanno ricordato che la Corte Internazionale di Giustizia ha riconosciuto un “rischio plausibile di genocidio” a Gaza: in base a questo, gli Stati terzi hanno l’obbligo

legale di agire per impedirlo. L’Unione Europea, invece, si è limitata a “prendere nota” delle sentenze senza trarne conseguenze operative. Nell’agosto 2025, 209 ex-ambasciatori e alti funzionari europei scrivono che di fronte al genocidio, il silenzio e la neutralità costituiscono complicità, chiedendo a Bruxelles di sospendere gli accordi e di usare la leva economica contro Israele. Una voce isolata, che però testimonia quanto anche all’interno delle élite diplomatiche cresca l’insofferenza verso l’immobilismo europeo.

Il doppio standard europeo

Il nodo politico è evidente: l’Ue ha adottato un approccio completamente diverso rispetto a quello seguito per l’Ucraina. Quando Mosca ha invaso Kiev, Bruxelles ha reagito con sanzioni dure, embargo energetico, forniture militari e un impegno finanziario senza precedenti. Nel caso di Gaza, dove il diritto internazionale è violato in modo sistematico, la risposta è stata ridotta a qualche dichiarazione e a pacchi di cibo. Il doppio standard

non è passato inosservato. In molte parti del Sud globale l’Europa viene accusata di ipocrisia: difende la “rule of law” solo quando è in gioco la sicurezza dei propri confini, rimanendo stretta in una contraddizione insanabile. Gli inutili proclami su quanto sia bella la democrazia e su quanto siano importanti i diritti umani e la soluzione a due Stati, sono esattamente solo questo: parole.

Ma c’è una nota positiva

Davanti all’immobilismo, alla complicità e all'inefficacia delle istituzioni che ci rappresentano, esiste una fetta della nostra società che non accetta di guardare impotente il massacro di civili innocenti. Ed è da questa coscienza collettiva che nascono due dei migliori esempi di mobilitazione dal basso degli ultimi anni. Il primo arriva proprio dall’Italia, ed è lo sciopero generale che il 22 settembre ha bloccato moltissimi comparti lavorativi, tra cui tangenziali, autostrade e stazioni dei treni, facendo emergere una coscienza collettiva che richiede con forza al nostro

governo delle azioni precise. Moltissimi sono stati gli attacchi subiti da questa mobilitazione dal governo, che ha cercato di dipingere lo sciopero come un manipolo di violenti e devastatori. La realtà rimane però diversa: le manifestazioni che hanno attraversato le piazze di più di 76 città italiane sono state per lo più non violente e hanno visto la partecipazione di tutte le fasce d’età, dagli anziani ai bambini. I pochi momenti di scontro, brutalmente strumentalizzati dal governo e da alcuni giornali, non sono stati caratterizzanti della giornata, ma semmai la riprova che il tema è sentito, urgente e richiede una risposta forte e immediata.

E poi lei, la Global Sumud Flotilla (GSF), l’ultima, clamorosa iniziativa della società civile internazionale per sfidare il blocco israeliano su Gaza. Partita a fine agosto

2025, la flottiglia non è solo un convoglio umanitario, ma un gesto politico: una forma di disobbedienza globale che punta a mostrare l’impotenza delle istituzioni e la complicità silenziosa dei governi occidentali. La GSF è composta da circa 50 imbarcazioni provenienti da diversi Paesi - tra cui Spagna, Italia, Grecia e Tunisia - con a bordo circa 600 persone tra attivisti, giornalisti e politici (tra cui alcuni parlamentari europei). Trasporta un carico di centinaia di tonnellate di aiuti: alimenti, medicinali e beni di prima necessità destinati a una popolazione stremata da mesi di assedio. La missione ha incontrato un sostegno insolitamente esplicito da parte di alcuni Stati membri,

LaGlobalsumudflottillia(fonteInternazionale)

tra cui l’Italia, che ha inviato proprie navi di supporto, formalmente con funzioni di protezione umanitaria e non militare, dopo gli attacchi con i droni subiti dalla flottiglia a fine settembre. Ma, al di là dei comunicati, resta la domanda cruciale: perché a sfidare il blocco devono essere attivisti civili su piccole barche e non l’Unione europea con tutto il suo peso politico e diplomatico? La flottiglia dimostra che laddove i governi si fermano, la società civile si muove. È un atto di sumud - “resistenza” in arabo - che mette a nudo l’inerzia di Bruxelles: incapace di aprire veri corridoi umanitari, l’Ue si limita ad applaudire da lontano chi rischia la vita per portare sacchi di farina a Gaza.

Un anno fa eravamo “la squadra che non c’era”.

Oggi il Wheelchair Basket Vicenza è iscritto al campionato di Serie A 2025/2026.

Qui le opportunità di reciproca promozione

Non è stata una favola, ma una battaglia di sacrifici, allenamenti, viaggi e poche certezze. I sogni si realizzano quando diventano più forti delle scuse. Abbiamo creato il Super Power Team, che ha dato a bambini con disabilità la possibilità di indossare una maglia e vivere lo sport come diritto.

Con i ragazzi della Serie B abbiamo vinto i playoff conquistando la promozione nella massima serie.

Oggi non siamo più una promessa, ma una realtà.

Lo sport non è solo un tabellone segnapunti: è un ponte che abbatte barriere e restituisce dignità. Al nostro fianco c’è Banca delle Terre Venete, main sponsor che ha scelto di investire in un progetto radicato e serio. Un segnale forte, ma non basta: servono aziende e persone che credano davvero in noi. Non si tratta solo di sport, ma di responsabilità sociale d’impresa

Sostenere il Wheelchair Basket Vicenza significa dare a bambini e atleti la possibilità di inseguire i propri sogni e portare prestigio e visibilità a chi ci accompagna. La disabilità non è un limite: siamo atleti che si allenano, lottano e vincono con il doppio della fatica, perché in campo non portiamo solo la carrozzina, ma la responsabilità di dimostrare che lo sport è di tutti

Con Palestra senza Muri vogliamo portare lo sport inclusivo nelle scuole e nelle piazze. Con il Super Power Team crescono nuove generazioni di campioni. Con le partite di Serie A ed europee vogliamo raccontare che Vicenza ha una squadra da seguire e sostenere.

Il campionato inizierà il 1° novembre nella palestra dei Ferrovieri, in via Baracca 51 a Vicenza, sede anche degli allenamenti del settore giovanile. Ogni sabato dalle 14 alle 16 i bambini si allenano lì, e siamo pronti a portare testimonianze su inclusione anche nelle scuole e nelle aziende.

Il diritto allo sport non può essere un privilegio di pochi. Questa Serie A è di chi sceglierà di spingere con noi. Il futuro è adesso: non siate solo spettatori, diventate partner, sponsor e sostenitori, seguendo l’esempio di Banca delle Terre Venete, main sponsor, di altre realtà vicentine quali, GOLF CLUB COLLI BERICI, CASA BELFIORE, I CASAROTTO PARRUCCHIERI, SVT SERRATURE VICENTINE, GIESSE INFORTUNISTICA, TIEPOLO HOTEL, DE BONA MOTORS, PRIX, nonché dei nostri partner editoriali L’altra Stampa, VicenzaPiù e ViPiù.

Manuel Bendoni, il direttore artistico

Teatro San Marco Vicenza
TEATRANDO DI CITTÀ IN BORGO

Teatro San Marco Vicenza: accomodati nella storia, ma connessi al futuro

di Federica Zanini

La caccia al tesoro implica di uscire dalla comfort zone per esplorare mappe e luoghi estranei. Eppure a volte il vero gioiello lo abbiamo in casa, nascosto o dimenticato. Il Teatro San Marco di Vicenza è in effetti nascosto in un cortile di contra’ San Francesco, ma negli ultimi anni è tutto fuorché dimenticato. Almeno da chi apprezza la sua essenza sospesa tra passato e futuro e soprattutto la sua programmazione, vivace e variegata. Sicuramente però c’è chi non ne ha mai varcato la soglia. Una soglia che è già stupore. Ad acco-

gliermi, un foyer elegante nel suo stile originale di inizio ‘900 ma non pomposo e la giovialità del direttore artistico, Manuel Bendoni. L’incontro mi regala il lusso di esplorare anche angoli, forse i più intensi, del teatro più “privati”. Come l’avvolgente sala riservata agli artisti e i camerini, mantenuti nello stile originario, tra specchi dorati, seggioline antiche e poster liberty. Le compagnie apprezzano molto quest’aria un po’ retrò ma ancora vibrante e si sentono a casa. Che alla fine è l’intento del Teatro San Marco. Uno spazio parrocchiale che ha sempre voluto essere un riferimento per le famiglie e per chi ama la cultura e la

condivisione.

Non per niente, quando, nei primi anni Trenta, il parroco, intenzionato a creare uno spazio per l’incontro e le feste, puntò agli ex orti, lì dietro la canonica, e ne acquistò dei lotti grazie al sostegno economico del Marchese Roi, finì col chiamarla Casa della dottrina cristiana. Era il 1934 e lo scorso anno sono stati festeggiati 90 anni di questa bolla di storia vicentina.

Oggi il TSM è ancora della parrocchia -cui la società Keylink, che lo gestisce, paga l’affitto- ma senza una particolare connotazione religiosa e soprattutto senza nessuna ingerenza. Per quanto riguarda la programmazione, fatta di teatro ma anche danza e concerti (l’acustica è ottima), Manuel Bendoni è lasciato totalmente libero di applicare il suo non-metodo. Sì, perché nelle scelte, oltre a professionalità, esperienza e sensibilità, per lui gioca molto anche la curiosità. Qualcosa di visto o sentito in giro e parte il pungolo… improvviso.

Come quello che lo ha portato, senza preavviso, a dirigere il San Marco. Dopo una carriera da ballerino prima e da responsabile dell’animazione nei grandi villaggi turistici poi, Manuel -di origini

toscane, ma approdato a Vicenza a soli 30 giorni di vita- lo vedeva dalla finestra di casa. Una presenza quasi scontata nel suo panorama, poi la lampadina: perché non vedere se posso dare il mio contributo? E da circa due anni sta facendo molto di più, firmando il nuovo corso di un teatro delizioso, dal grande potenziale nonostante le vicende alterne.

Un anno dopo l’inaugurazione della sala, nel 1935, il San Marco diventa infatti cinema, fino agli anni 2000. La cabina di proiezione è intatta, con i due proiettori ancora lì, in attesa dei visitatori dei tour

su richiesta. L’attività teatrale vive i suoi anni migliori tra i 60 e i 70, con grandi nomi in locandina. Segue un periodo meno brillante, in cui lo spazio si limita ad accogliere compagnie amatoriali e scuole. Dopo l’era Covid, con Venturini (presidente di Keylink) e Bendoni ecco la rinascita dell’araba fenice. Dalle fertili ceneri, un “nuovo” San Marco, custode della propria storia, ma pronto a scrivere un futuro di spettacoli scelti tra performance sperimentali, concerti cult, spunti di riflessione, occasioni di svago e omaggi alla propria terra. Il San Marco è oggi un teatro territoriale per il territorio, ma dalle visioni senza confini e dal forte impegno sociale. Appena svelata non con la solita conferenza stampa ma con una serata “in famiglia” a teatro, la stagione 2025-2026 promette ancora una volta emozioni per tutti i gusti e le età. Tra gli spettacoli più attesi, diversi concerti -Vicenza suona Buena Vista Social Club del 18 ottobre e Caro Lucio (Dalla) del 14 novembre stanno galoppando verso il sold out- , cabaret nostrano (Marco e Pippo, 7 e 8 novembre) e non (Paolino Boffi, 27 ottobre), stand up comedy (Pota Boyz e Antonio Ornano, rispettivamente il 24 e 30 gennaio), teatro impegnato -con grandi interpreti come Giorgia Trasselli e Giorgio Marchesi- e commedie brillanti, performance di danza introspettiva e omaggi al mondo delle fiabe, ma anche ai Queen, a Giorgio Gaber, a Micheal Jordan e tanti altri. Insomma, il consiglio è di riavvolgere la mappa di tesori lontani e aprire lo scrigno che avete sotto casa: www.tsmvicenza.it.

Andrea e Giovanni Gabrieli:

da

Vicenza a San Marco, la musica che fece scuola in Europa

Prima ancora di Giuseppe Apolloni, nato a Vicenza nel 1822, una figura musicale di spicco del XIX secolo, di cui abbiamo scritto sul numero di febbraio, nel cuore del Rinascimento musicale italiano, tra le botteghe di organari e le navate delle chiese, si dipana la storia di due musicisti vicentini d’adozione che fecero risuonare il nome della Serenissima in tutta Europa: Andrea Gabrieli e suo nipote Giovanni. Due generazioni, un’unica visione sonora: trasformare la musica sacra in un'esperienza immersiva,

quasi teatrale, ben prima dell’invenzione dell’opera.

Andrea Gabrieli: le origini vicentine e il suono della modernità

Andrea Gabrieli nacque intorno al 1533, probabilmente a Venezia, ma le sue radici affondano a Vicenza, città con cui la sua famiglia mantenne legami importanti. Nella Vicenza dell’epoca si respirava già aria di rinnovamento, tra architettura palladiana e fermento culturale: è in questo contesto che si formano o vengono richiamati molti musicisti, e Andrea non fa eccezione.

Cominciò i suoi studi con Adriano Willaert, uno dei padri fondatori della scuola veneziana, che fu per lui un mentore fondamentale. Ma Gabrieli non si limitò a ripeterne lo stile: lo superò, portando nella musica sacra elementi teatrali, contrappunti audaci e un uso pionieristico dello “spazio sonoro”. Le sue composizioni per cori separati – a più cori collocati in diversi punti della chiesa – erano pensate per sfruttare l'acustica di San Marco come una cassa di risonanza viva. Un'idea che avrebbe ispirato generazioni di compositori fino a Bach.

Giovanni Gabrieli: l’eredità del maestro, con lo sguardo al futuro Nato attorno al 1557, Giovanni era nipote di Andrea e suo allievo prediletto. Orfano di padre in giovane età, trovò proprio nello zio una figura paterna e una guida musicale. Quando Andrea morì nel 1585, Giovanni ne raccolse il testimone come organista della Basilica di San Marco, posizione di enorme prestigio.

Ma il giovane Gabrieli non si limitò a custodire l’eredità dello zio: la sviluppò. Fu tra i primi a indicare dinamiche e tempi nelle partiture, segnando un passo decisivo verso la musica moderna. Le sue “Sonate per strumenti” sono considerate antenate della musica orchestrale barocca. E non è un caso che tra i suoi allievi ci fosse anche Heinrich Schütz, che porterà lo stile veneziano fino alla Germania luterana.

Due vite tra cattedrali e salotti, con qualche aneddoto d’epoca

Tra le storie che circolano su Andrea, si racconta che fosse tanto severo nella

di Marco Ferrero
Andrea Gabrieli

Giovanni Gabrieli musica sacra elementi teatrali, contrappunti audaci e un uso pionieri “spazio sonoro”. Le sue com per cori separati – a più cori diversi punti della chiesa –pensate per sfruttare l’acustica di come una cassa di risonanza Un’idea che avrebbe ispirato gene compositori fino a Bach.

Gabrieli: l’eredità del maelo sguardo al futuro attorno al 1557, Giovanni era niAndrea e suo allievo prediletto. padre in giovane età, trovò nello zio una figura paterna e musicale. Quando Andrea 1585, Giovanni ne raccolse il come organista della Basilica Marco, posizione di enorme pre-

allievi ci fosse anche Heinrich Schütz, che porterà lo stile veneziano fino alla

Due vite tra cattedrali e salotti, con

Tra le storie che circolano su Andrea, si racconta che fosse tanto severo nella vita quanto esplosivo nella musica. Pare che, durante una prova nella basilica di San Marco, abbia zittito un cantante che non seguiva il tempo con un secco “La musica si comanda, non si subisce”.

vita quanto esplosivo nella musica. Pare che, durante una prova nella basilica di San Marco, abbia zittito un cantante che non seguiva il tempo con un secco “La musica si comanda, non si subisce”. L’aneddoto non è documentato, ma è credibile, conoscendo la sua determinazione nel far suonare ogni voce al posto giusto.

L’aneddoto non è documentato, ma è credibile, conoscendo la sua determinazione nel far suonare ogni voce al posto giusto.

Giovanni, invece, aveva fama di spirito più mite e riflessivo. Si racconta che una volta rifiutò una corte principesca tedesca che lo voleva a tutti i costi come compositore residente, preferendo restare a Venezia. “Qui ho il mare, il suono e San Marco”, avrebbe detto. Difficile dargli torto.

giovane Gabrieli non si limitò a l’eredità dello zio: la sviluppò. primi a indicare dinamiche e partiture, segnando un pasverso la musica moderna. Le “Sonate per strumenti” sono consiantenate della musica orchestrale non è un caso che tra i suoi

Un'eredità che parte anche da Vicenza

Anche se la loro fama è legata a Venezia, non va dimenticato che la famiglia Gabrieli aveva origini vicentine, e non è raro trovare manoscritti, lettere e dediche che testimoniano i rapporti con la città del Palladio. In un’epoca in cui le distanze si misuravano a piedi o a cavallo, mantenere un legame tra due città così culturalmente vive era segno di appartenenza e orgoglio.

VICENZAPIÙ VIVA

Giovanni, invece, aveva fama di spirito più mite e riflessivo. Si racconta che una volta rifiutò una corte principesca tedesca che lo voleva a tutti i costi come compositore residente, preferendo restare a Venezia. “Qui ho il mare, il suono e San Marco”, avrebbe detto. Difficile dargli torto.

Un’eredità che parte anche da Vicenza

Anche se la loro fama è legata a Vene-

Oggi, i Gabrieli restano tra i padri nobili della musica occidentale, studiati nei conservatori e ascoltati nelle chiese e nei festival di tutto il mondo. E Vicenza può fregiarsi, almeno un po’, di averli visti nascere e crescere nel suono.

lo, mantenere un legame tra due città così culturalmente vive era segno di appartenenza e orgoglio.

Oggi, i Gabrieli restano tra i padri nobili della musica occidentale, studiati nei conservatori e ascoltati nelle chiese e nei festival di tutto il mondo. E Vicenza può fregiarsi, almeno un po’, di averli visti nascere e crescere nel suono.

Andrea Gabrieli (ca. 1532/33 – 1585)

Andrea Gabrieli, originario di Venezia ma con legami familiari a Vicenza, fu un compositore prolifico e innovativo. Le sue opere spaziano dalla musica sacra a quella profana, includendo anche composizioni per tastiera e strumenti.

Opere principali:

• Sacrae Cantiones (1565): una raccolta di mottetti a cinque voci.

• Il Primo Libro di Madrigali a cinque voci (1566): una delle sue prime raccolte di madrigali.

• Il Secondo Libro di Madrigali a cinque voci (1570): include anche composizioni a sei voci e un dialogo a otto voci.

• Greghesche et Iustiniane (1571): composizioni in dialetto veneziano

• Primus Liber Missarum (1572): messe a sei voci.

• Ecclesiasticarum Cantionum quatuor vocum (1576): canzoni ecclesiastiche a quattro voci.

• Psalmi Davidici (1583): sette salmi penitenziali a sei voci.

• Chori in musica composti sopra li chori della tragedia di Edippo Tiranno (1588): musica composta per la rappresentazione dell’Edipo Re di Sofocle, recitata a Vicenza nel 1585.

• Concerti di Andrea et di Gio. Gabrieli (1587): raccolta postuma curata dal nipote Giovanni, contenente musica sacra e profana.

Composizioni strumentali:

• Toccate e Ricercari: opere per organo e tastiera.

• Canzoni ecclesiastiche (1576): composizioni per organo.

• Gloria in excelsis Deo a 16 voci: esempio del suo stile policorale.

L’ALTRA VICENZA V

Giovanni Gabrieli

Giovanni Gabrieli (ca. 1557 – 1612)

Giovanni Gabrieli, nipote di Andrea, fu un compositore e organista di spicco, noto per il suo ruolo nella transizione dalla musica rinascimentale a quella barocca. Le sue opere sono celebri per l’uso innovativo delle dinamiche e dell’orchestrazione.

Opere principali:

• Concerti di Andrea et di Gio. Gabrieli (1587): raccolta condivisa con lo zio Andrea, contenente musica sacra e profana.

• Sacrae Symphoniae (1597): raccolta di mottetti e canzoni per voci e strumenti, tra cui la celebre “Sonata pian e forte”, una delle prime composizioni a indicare dinamiche.

• Canzoni per sonare (1608): raccolta di canzoni strumentali per diversi ensemble.

• Sacrae Symphoniae II (1615, postuma): ulteriore raccolta di composizioni sacre, ampliando le tecniche policorali.

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• Canzoni et Sonate (1615, postuma): raccolta di canzoni e sonate per vari ensemble strumentali.

Composizioni notevoli:

• Sonata pian e forte: prima composizione a indicare esplicitamente dinamiche e strumentazione.

• In ecclesiis: mottetto che esemplifica l’uso del coro spezzato e delle dinamiche contrastanti.

• Plaudite, psallite, jubilate Deo: composizione festiva per voci e strumenti.

Andrea Gabrieli Giovanni Gabrieli

Scriptorium

Editoria

Impaginazione professionale

Consulenza editoriale

Via Valeggio sul Mincio, 30 36100 Vicenza scriptoriumeditoria@gmail.com

Editing Stampa Pratica ISBN Il libro dall’idea ... alla confezione

LacoverdelCDDiAndreaGabrieli, Weser Renaissance
La tomba di Giovanni Gabrieli a S. Stefano

Massimo Parolin, lo scrittore dell’amicizia

Dopo i suoi primi due libri arriva il terzo a chiudere la trilogia tra Vicenza, Torino e Praga e i loro e suoi demoni

È sempre un piacere incontrare Massimo Parolin, comandante della Polizia Locale di Vicenza ma, in questo caso, scrittore per passione che ha già dato alle stampe due romanzi brevi, Quella strada per il lago e Demoni a Vicenza, parte di una trilogia che parla di avventura, mistero ma soprattutto di amicizia.

Ma andiamo per ordine. Scrittore appassionato, dallo stile svelto e coinvolgente, abituato per la sua professione a parlare con gli altri, quanto si tratta di raccontare di sé mostra una sorta di divertito imbarazzo che non impedisce una conversazione vivace e ricca di spunti di riflessione.

La prima domanda, d’obbligo, è da dove nasce la passione per la scrittura.

«Scrivere per me è uno sfogo, un rifugio per allontanarmi dalla realtà quotidiana. Un momento solo

per me dopo le giornate di lavoro. Non facendo attività sportiva (sorride), cercavo qualcosa che mi facesse evadere dalla quotidianità dandomi nello stesso tempo un impegno continuo e una gratificazione personale, e l’ho trovato nella scrittura. Quando scrivo mi rendo conto che sto già immaginando e vedendo quello che racconto, in un certo senso non devo “pensare”, è già tutto nei polpastrelli...».

Nel senso che scrivi direttamente al computer?

Non usi la penna?

«No, uso la penna se mi viene un’idea e voglio appuntarmela, ma per scrivere uso il computer. È decisamente più comodo.»

E c’è sempre stata anche l’idea di pubblicare?

«In realtà ho cominciato a scrivere per regalare qualcosa a me stesso, per regalare qualcosa agli amici di sempre e per rendere omaggio ad un grande amore adolescenziale, un amore vero. Io che sono un romantico, legato più al passato che al futuro, ho voluto fare qualcosa per ricordare a me stesso e per rivivere quel

InsalaStucchigliamicioraboomerdelbociaMassimoParolin, comandante della Polizia locale e scrittore
di Giulia Matteazzi

AlbertoGallaintroducelapresentazionedi“DemoniaVicenza.Amicizia oltreiltempo”conStefanoFerriochedialogaconMassimoParolin

sentimento, per tornare all’effervescenza –perché passione forse è un termine troppo forte – degli anni giovanili.»

Un amore vero, dunque, non frutto della fantasia? Che però nel libro finisce in modo drammatico… «Sì, un amore vero, che ho anche ritrovato in età matura. Ma per rispondere alla tua domanda, nel libro doveva andare così perché nella storia deve aleggiare l’ideale romantico dell’amore, quello dell’adolescenza, che è totale, non ha mezze misure e che per di più in questo caso viene idealizzato proprio perché assente.»

A proposito di realtà che si sovrappone alla fantasia, anche gli amici di cui parli nei tuoi libri sono persone vere. Come hanno reagito nel vedersi protagonisti del tuo libro, pensando poi che soprattutto in Demoni a Vicenza si tratta di avventure belle toste?

«In realtà sono rimasti piacevolmente colpiti, tanto che ogni volta che c’è una presentazione sono sempre presenti. Si sono riconosciuti nelle connotazioni che ho dato a ciascuno di loro e sono contenti

di essere personaggi attivi delle storie. E poi io ribadisco sempre il concetto dell’amicizia nel senso greco della φιλία, che è il sentimento più forte di tutti: l’amore può finire, l’amicizia invece è per sempre.» Pure l’amico al quale succede di tutto l’ha presa bene?

«In effetti quando ha letto il libro mi ha chiesto “perché proprio a me?”, poi però ha compreso che la storia richiedeva il tipo di personaggio incarnato da lui. E comunque la storia ancora non è finita…»

A proposito, sappiamo che dopo i Demoni a Vicenza arriverà l’ultimo capitolo della trilogia. Dopo Torino e Praga, ci sarà ancora una città magica al centro dell’azione?

«No, stavolta torna ad esserci Vicenza al centro dell’attenzione, come punto di partenza per un ulteriore viaggio all’origine del male. Non voglio anticipare troppo, ma sarà una bella avventura. Del resto, il viaggio con gli amici, che torna in tutti e tre i miei libri, è un tema che mi intriga. Il mio autore di riferimento è sempre Stephen King. Nessun paragone, intendiamoci, lui è immenso, non mi sogno nem-

meno di accostarmici. Però in quasi tutte le sue storie il cuore pulsante è l’amicizia e ricorre il tema del viaggio.»

Tornando ai tuoi libri, ho notato che, soprattutto nel secondo, si oltrepassa quasi subito il confine tra realtà e mistero e parli apertamente di viaggi nel tempo e figure maligne. Da dove arriva questa passione per horror e sci-fi? «Sono sempre stato un amante del genere gotico e horror, sia come lettura sia al cinema. Negli anni Ottanta poi c’era un’ampia scelta letteraria e cinematografica del genere, non so se ricordi i vari Nightmare. Film in un certo senso semplici ma coinvolgenti, dove la storia conta più degli effetti speciali. Non è sempre necessaria la quantità, anche in letteratura. Penso a Poe, che con racconti brevissimi riusciva a creare brivido e suspense incredibili. O a quella serie tv di fine anni Cinquanta, The Twilight zone, in italiano Ai confini della realtà, episodi brevi che mettevano i brividi addosso. Ancora una volta la storia predominava sull’effetto speciale. Nel mio piccolo è quello che cerco di fare io quando scrivo.»

Parliamo di Praga, dov’è ambientata parte del secondo libro. Una città che conosci?

«Certo. Un’altra cosa che mi accomuna a King (ride) è ambientare le storie in luoghi che conosco. Praga ho avuto modo di visitarla più volte. Una città moderna e vivace, che pullula di umanità, ma che sa davvero regalare un’atmosfera particolare, oserei dire angosciante. Se si va a Palazzo Reale e si osserva la città dall’alto, si notano le guglie annerite dal tempo o dall’inquinamento o da entrambi, e una certa inquietudine la trasmette, ancora di più se pioviggina. Se poi si ha modo di documentarsi sulle leggende intorno alla città, al Ponte Carlo e alla Moldava, fiume citato persino da Dante nell’inferno, il senso del mistero si percepisce realmente.»

A proposito di Praga, la città è improvvisamente al centro dell’attenzione generale grazie anche al nuovo libro di Dan Brown “L’ultimo segreto”, la cui trama oltretutto ha anche qualche punto di contatto con i suoi Demoni…

«Non lo sapevo, me l’hanno fatto notare e la cosa mi incuriosisce. Il libro non l’ho ancora letto, perché in Italia è appena uscito, ma sono interessato e sicuramente lo leggerò. Ovviamente è una coincidenza, anzi, è “colpa” di Praga,

una città che si presta ad essere teatro di storie in bilico tra scienza e mistero. Come l’ho avvertita io, anche Dan Brown deve aver colto l’atmosfera speciale della città. Ma le somiglianze finiscono qui, non sono certo uno scrittore dello spessore di Dan Brown».

Spessore anche in senso concreto: i libri di Dan Brown viaggiano sempre sulle 7-800 pagine, i tuoi stanno intorno alle 150… «È una scelta, per raggiungere più facilmente il lettore. Credo sia più facile leggere un libro se hai la prospettiva di riuscire a finirlo in un paio di giorni. In un certo senso la mia trilogia poteva essere un unico libro da 600 pagine. Ma se il lettore dopo venti pagine non era convinto e lo metteva giù? Scomponendolo in tre parti, l’ho reso più leggibile. Almeno spero.»

Il primo libro ha un’appendice di racconti sui cosiddetti boomer, sulla Vicenza che era e che forse per certi versi è ancora ma in modo diverso. In realtà è la stessa Vicenza che fa da sfondo alle vicende dei romanzi, ma in chiave semplicemente amarcord. È un tipo di tematica che potrebbe tornare in opere successive?

«Non lo so, sicuramente non lo escludo. Quei racconti sono omaggi alla memoria, agli amici, alla città. Magari potrebbero essere lo spunto per altre storie ambientate negli anni Ottanta, piccole storie di amicizia. O forse d’amore… Ma intanto devo chiudere la trilogia dei demoni e preferisco concentrarmi su quella.”

Per quando sarà pronto il terzo libro?

“Penso per primavera 2026. E prometto che sarà l’ultimo, intendo chiudere la storia.”

Sempre sincero il “comandante-scrittore”. Ma lo sarà anche questa volta visto che la penna o la tastiera è il suo demone.

Praga in noir, oltre Dan Brown a ritroso nel tempo

Nonperilsolosushièfattoilriso

di Federica Zanini

Non ci voleva esattamente Dan Brown (ma ben venga!) con il suo ennesimo successo letterario “L’ultimo segreto” per scoprire che Praga è magica, nel senso lato della parola -così piena di scorci romantici e suggestivi- ma anche in senso letterale.

Da sempre la capitale ceca è avvolta da un’aura di mistero, che un viaggio con le brume d’autunno può solo enfatizzare. E non si tratta solo di suggestioni… La storia ufficiale la elegge a vertice, insieme a Torino e Lione, del famoso triangolo europeo di magia bianca. È una storia che affonda le ra -

dici nel lontano ‘500, ai tempi di Rodolfo II, stravagante sovrano con una nota passione per alchimia e magia. Proprio i suoi atteggiamenti eccentrici e l’incontenibile passione per l’occulto e per l’astrologia, gli valsero la fama di mente disturbata. In realtà, il “re folle” fu anche aperto, illuminato e un grande mecenate, che si circondò -oltre che di alchimisti, matematici, scienziati, fisici e maghi- di artisti e letterati, facendo grande e vivace Praga, che con lui divenne capitale del Sacro Romano Impero. Alla sua corte, anche bizzarri personaggi, uomini un po’ di scienza un po’ di magia, non di rado al limite della ciarlataneria. Si dice

che neanche da morto Rodolfo abbia pace e che per respirarne l’anima inquieta basti rintracciare le architetture esoteriche della capitale, percorrere il Vicolo dell’Oro –là dove in minuscole casupole, oggi sede di botteghe artigiane, alloggiavano alchimisti, scienziati, esoteristi e ricercatori di corte-, attraversare il Ponte Carlo, vagare per il quartiere Mala Strana, addentrarsi nel ghetto ebraico, all’epoca governato da quel rabbino Loew cui si deve il mito del Golem. Insomma, visitare la Praga più bella e intensa, tra storia e leggenda, cronaca e invenzione, luce e buio (da non perdere la visita ai sotterranei medievali della capitale, L’ALTRA VICENZA X

con cunicoli, stanze nascoste e cantine), scienza e racconto.

E proprio le pagine, fresche di stampa, firmate dal bestseller internazionale Dan Brown, noto al mondo intero per “Il Codice Da Vinci”, “Angeli e demoni” e altri romanzi tradotti in tutte le lingue, hanno risvegliato l’attrazione per il fascino noir e caliginoso della città. Tanto che Prague City Tourism ha messo a punto un itinerario ad hoc sulle orme dell’autore e del suo personaggio, Robert Langdon. A Praga con la compagna per un viaggio di piacere, l’ormai noto simbologo di Harvard viene ben presto coinvolto in un enigma aggrovigliato e in una conseguente corsa contro il tempo tra i vicoli oscuri della città. Lo speciale tour guidato, attualmente disponibile solo in inglese, costa 40 euro a persona e, ispirandosi

alle 800 intense pagine del libro, conduce in numerosi luoghi-simbolo della capitale, ma anche in angoli meno conosciuti, impregnati della sua anima mistica, misteriosa e mitologica: il Castello e Ponte Carlo, la cattedrale di San Vito, i Giardini Wallenstein con il muro di stalattiti, la sinagoga Vecchio-Nuova, il celebre cimitero ebraico, il Clementinum con la sua biblioteca, la torre dell’osservatorio astronomico, il bunker Folimanka, il centro d’arte contemporanea Dox, musei, parchi, la collina Petrin, villa Petschek e il mercato Havelska. Ma, ripeto, la penna brillante di Dan Brown non ha inventato nulla… almeno per quanto riguarda le ambientazioni. E già che ci siamo, visto che il periodo tra fine ottobre e inizio novembre, tra le celebrazioni pagane di Halloween e

L’ALTRA VICENZA XI

le feste cattoliche di Ognissanti e dei Defunti, perché non concedersi anche una visita, tra sacro e profano, ad altri luoghi della Praga tinta di grigio e di noir? In Italia ci siamo poco abituati, se non nel caso di esempi monumentali, ma all’estero i cimiteri non sono considerati lugubri, bensì luoghi di pace, eterna per chi vi riposa e interiore per chi li visita. Che la spinta venga dunque da un’esigenza emotiva o dal bisogno di emozioni forti, la ricerca di tranquillità o invece di brividi, alcuni campisanti della capitale sono da visitare. Tra questi, quello di Vysehrad, che ospita, tra le altre, spoglie illustri

di personaggi famosi non solo cechi. Quello di Bohnice, è noto proprio per le leggende paurose che lo avvolgono. Costruito all'inizio del XX secolo per accogliere le spoglie dei pazienti del locale sanatorio, fu poi utilizzato anche per seppellire numerosi assassini e criminali. Ugualmente misterioso, il cimitero di Velhartice, a Sud-Ovest di Praga. Storia o scherzetto? Perché non entrambi? E allora vada per un soggiorno a Praga, spirituale e spiritoso al tempo stesso.

Per informazioni e altri spunti: www.visitczechia.com.

Massimo Parolin come Dan Brown? O viceversa?

Riflessione semiseria su una strana coincidenza letteraria: è demoniaca?

Ma come, ci copiano? Il pensiero, spontaneo, è nato guardando la copertina dell’ultima pubblicazione di Dan Brown. Mi spiego. Dan Brown ha pubblicato un nuovo libro, si intitola “L’ultimo segreto” ed è destinato ad essere un successo come tutti i libri pubblicati dall’autore del Codice da Vinci. E se a spingere al successo il Codice, nell’ormai lontano 2003, fu la “scandalosa” ipotesi – che tanto fece arrabbiare i religiosi – secondo cui Gesù era sposato con la Maddalena e avrebbe lasciato una discendenza arrivata fino ai giorni nostri, per i libri successivi il ripetersi delle grandi vendite è dato da una scrittura vivace, sempre in equilibrio tra

presupposti storico-scientifici e teorie fantastiche, dalla scelta di ambientazioni artisticamente interessanti descritte con accuratezza, da intrecci sorprendenti e naturalmente dalla scelta dei personaggi: c’è un buono sicuramente buono, una bella che per un po’ non si capisce da che parte stia (di solito quella del buono), un cattivo sicuramente cattivo, uno che sembra cattivo ma in realtà è buono e uno che sembra buono ma in realtà non è il caso di fidarsi neanche un po’. Poi cambia la trama, ma il gioco rimane quello. Al successo letterario si è aggiunta anche la parallela produzione cinematografica, in particolare dei libri con protagonista il professor Langdon. Personalmente, di Dan Brown apprezzo il fatto che in Italia esca tendenzialmente in autunno,

così mi risolve il problema del regalo di Natale agli amici uomini. E no, non vuol dire che sia una lettura solo al maschile, ma ad una donna ci sono mille altre cose che si possono regalare.

A me, da lettrice, Dan Brown piace. Trovo geniali certe sue idee, apprezzo il suo modo di entrare subito in medias res, gli riconosco la capacità di sorprendere. Sono un po’ meno entusiasta delle descrizioni delle città dove ambienta i suoi romanzi: secondo me sono un po’ ridondanti. Cioè, forse ho scoperto che esiste il corridoio Vasariano grazie a Inferno prima ancora che grazie ad Alberto Angela, ma in realtà non è che sia necessario sapere com’è fatto ogni singolo metro della struttura per apprezzarlo come via di fuga… Comunque, di sicuro ogni descrizione fa un buon servizio anche turistico (oddio, non che Firenze, Roma, Venezia e Istanbul ne abbiano proprio bisogno) e più di tanto non interferisce con la scorrevolezza del

racconto. Ma non mi avventuro oltre a parlare di Dan Brown, anche perché non ho proprio la stoffa della critica letteraria, dei libri mi piace mettere in luce gli aspetti positivi, ma le stroncature non sono nelle mie corde e nemmeno i consigli di lettura.

Torno invece alla famosa frase che mi è uscita spontanea vedendo la copertina dell’Ultimo segreto. Come detto, ho pensato “ma come, ci copiano?”. Il ci è riferito al nostro editore, per il quale impagino diversi libri, che lo scorso aprile ha dato alle stampe il romanzo “Demoni a Vicenza” di Massimo Parolin, sèguito di “Quella strada per il lago”. Le copertine dei due volumi si somigliano parecchio: foto a tutta pagina del Ponte Carlo, inquadratura identica, taglio quasi, elaborazione grafica fatta con l’AI che da una parte ha aggiunto una specie di lampo, dall’altra una figura femminile in nero. In realtà c’è poco da stupirsi, se l’ambientazione è Praga, il Ponte Carlo è una scelta logica, sa -

rebbe come stupirsi se due libri ambientati a Pisa avessero in copertina la Torre pendente.

Ma ho anche dato un’occhiata veloce alla trama dell’Ultimo segreto, trovata su Wikipedia ma riportata da tutte le testate che hanno annunciato la pubblicazione: “Mentre si trova a Praga con Katherine Solomon, Robert Langdon si ritrova a vivere all'improvviso in un incubo, perché Katherine è sparita dalla sua camera d'albergo senza lasciare traccia. E non si tratta di un banale rapimento: forze occulte, attive dall'alba della storia, sono responsabili della scomparsa. Tra antichi castelli, grandi cattedrali, un energumeno mascherato da Golem e labirinti sotterranei, Langdon si trova a esplorare il lato oscuro della città… Una lotta per salvare non solo la propria vita e quella di Katherine, ma il destino dell'umanità intera.”.

E qual è la trama di Demoni a Vicenza? Un gruppo di amici vicentini, uno

L’ALTRA VICENZA XIV
Dan Brown

di loro che scompare misteriosamente, una casa vuota con segni inquietanti che non fanno presagire nulla di buono riguardo la sorte di chi ci viveva, una missione di salvataggio che comporta un viaggio a Praga, un esperimento scientifico, addirittura un salto nel tempo e la dura lotta contro un demone.

Anche qui dunque ci sono forze occulte, sparizioni e il lato oscuro di Praga, città misteriosa, considerata una capitale della magia. E l’avventura dei protagonisti di Demoni a Vicenza – anche loro parte di una saga, come il Robert Langdon di Dan Brown – si snoda tra leggende, patti col demonio e situazioni da incubo. Insomma, i nostri non avranno “il destino dell’umanità intera” sulle spalle, ma la vita di un loro amico sì, e non si tratta di cosa meno importante. Ovviamente la somiglianza dei due libri è una

coincidenza, di quelle di cui è pieno il mondo della letteratura, oltretutto i due libri sono sostanzialmente e “sostanziosamente” diversi, considerando che L’ultimo segreto si snoda lungo ben 800 pagine mentre Demoni a Vicenza si ferma a 140. Però ugualmente mi diverte immaginare Dan Brown che ha il libro quasi pronto ma non sa dove collocare l’avventura, perché Washington-Parigi-Londra sono sempre quelle, il Medio Oriente è meglio lasciarlo stare, in Italia c’è già stato, in Spagna e in Francia pure…

E per puro caso legge il nostro Parolin, chiede a Google translate il significato di “La gheto finia te si ti che te si sordo” oppure “Casso xe vero cossa gonti indosso?”, poi commenta con “amusing”, “very interesting”, “charming” e conclude “Thanks Parolini, I finally figured out where I can set Robert's next adventure”…

Massimo Parolin

Il volley contribuiscevicentino alla storica accoppiata azzurra mondiale al femminile e al maschile con Moky De Gennaro e Mattia Bottolo

Se il Bassano di Fiorenzo Signor continua il suo cammino “regolare” al maschile e al femminile, i tifosi del capoluogo sognano da troppo tempo che si torni a respirare l’aria della serie A in rosa della Minetti

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C'è un pezzo di Vicenza nel doppio trionfo pallavolistico italiano, che nello scorso mese ha visto conquistare il titolo mondiale sia la nazionale femminile di Julio Velasco (secondo sigillo iridato dopo quello del 2002) che quella maschile, al suo secondo titolo consecutivo dopo il trionfo nel 2022 e quinto complessivo dopo il tris consecutivo della "generazione di fenomeni" nel 1990, 1994 e 1998, con i primi due mon-

diali conquistati col "divino" Julio. A livello maschile è stato decisivo, soprattutto nella finale, il contributo del 24enne schiacciatore Mattia Bottolo, nato a Bassano del Grappa e residente a Romano d'Ezzelino, mentre nel femminile è stata semplicemente immensa, all'età di 38 anni, il libero Moky De Gennaro, cresciuta e lanciata ad alti livelli dalla Minetti Vicenza e che ora, lasciata la nazionale, continuerà a giocare con il Conegliano. Vicenza c’è in cima al mondo anche se le

squadre beriche sono lontane dai vertici nazionali: il team maschile più titolato è il Bassano in serie B (secondo torneo di fila in cadetteria dopo la promozione nell'estate 2024), mentre tra le donne militano in B1 la Volksbank Vicenza Volley (con l'ambizione di puntare alla A2, magari nel giro di qualche anno) e la neopromossa Gps Group Schio.

Tempi lontanissimi per la grande pallavolo a Vicenza, soprattutto a livello femminile, se si pensa che la Minetti Vicenza da fine anni ’90 all'inizio degli anni duemila giocò da protagonista nell'élite pallavolistica, disputando diverse edizioni dei play-off scudetto, 4 Final four europee ma soprattutto conquistando nel 2001 la Coppa Cev, competizione seconda solo alla Coppa dei Campioni, e la Supercoppa Italiana (in finale sempre contro Bergamo) oltre a 3 scudetti e 4 Coppe Italia di Beach Volley di serie A e a diversi titoli giovanili, tra cui 3 scudetti e 3 Girl League.

Tornando all'attualità, impresa straordinaria quella dell'accoppiata mondiale delle nostre nazionali nel “settembre azzurro”, che hanno interrotto un digiuno che nel mondo durava da ben 65 anni: nella storia a vincere il mondiale di pallavolo maschile

di Claudio Raimondi

e femminile nello stesso anno, ci era riuscita solamente, pensate un po’, l'Unione Sovietica nel 1952 e nel 1960, quindi ben 65 anni fa. La seconda delle due imprese dell'Italvolley è avvenuta con il trionfo nelle Filippine della formazione maschile allenata da "Fefè" De Giorgi - la cui presenza in panchina è stata decisiva così come quella di Julio Velasco con le donne - e in cui è stato determinante Mattia Bottolo, da tre anni in forza alla Lube Civitanova, squadra dove è diventato presto una pedina insostituibile, così come in nazionale.

L'oro mondiale lo ripaga dalla delusione di poco più di un anno fa, quando l'atleta vicentino, assieme ai compagni, ha visto sfumare il podio olimpico di Parigi 2024, con l'Italia che ha chiuso con un amaro quarto posto, sconfitta nella finale per il bronzo dagli Usa per 3-0, dopo aver perso in semifinale contro la Francia, poi vincitrice del titolo.

Mattia Bottolo, nato il 3 gennaio 2000, è uno schiacciatore di 196 centimetri, cresciuto nelle giovanili del Bassano, dove nel 2015 gioca in Prima Divisione. Nella stagione 2016-17 viene ingaggiato dal Padova, militando nella squadra che disputa la Serie C, mentre nell'annata successiva è in Serie B per essere, poi, promosso in prima squadra in Superlega di A a partire dalla stagione 2019-20. Dopo sei stagioni a Padova, nel 2022 approda a Macerata, diventando presto un punto di forza del top team marchigiano con cui vince la Coppa Italia 2024-25. Brillante anche il suo curriculum in azzurro, con il debutto a 18 anni nell'Under 20 e l'esordio nel 2021 in nazionale A (quando giocava ancora in Veneto) con la quale ha conquistato due mondiali, un oro e un argento europeo (rispettivamente nel 2021 e 2023) e l'argento l'estate scorsa in Nations League. Ma un bel pezzo di Vicenza c'è anche a livello femminile, visto che Monica De Gennaro, classe 1987, premiata come miglior libero agli ultimi mondiali, dopo esserlo stata anche alle trionfali Olimpiadi, e decisiva per il doppio trionfo rosa in… azzurro, fu scoperta e lanciata da Giovanni Coviello, "deus ex machina" della Minetti di A1, prima Biasia in A2, e uno dei più bravi dirigenti della pallavolo femminile, che guidò a Vicenza dal 1994 al 2009.

A dirlo sono i risultati ricordati ultimamente anche da due articoli su TuttoSport proprio in occasione del trionfo della "sua" Moky, che portò a Vicenza a soli

14 anni da Piano di Sorrento: una mossa da grande talent-scout come poi confermato da altre campionesse scoperte e valorizzate, straniere come Poljak, Glinka, Pachale e Skowronska, e italiane, come anche Elisa Togut e Paola Paggi che, con l'altra biancorossa Darina Mifkova, già però al vertice del volley a Bergamo ma convinta a giocare con la Minetti, vinsero poi l'oro a Berlino nel 2002, un mondiale ancora più vicentino di quello delle settimane scorse. Nella carriera di dirigente Coviello, che riuscì a portare a Vicenza da Tokyo anche la stella mondiale Miyuki “Shin” Takahashi, si confermò grande esperto nella scelta dei tecnici - quasi sempre giovani e poi diventati "grandi" - come Giovanni Guidetti, ma anche Daniele Santarelli (che, mentre giocava da libero in B1 maschile, nella stagione 2007-2008 esordiva da tecnico sulla panchina delle giovanili di Vicenza), marito della De Gennaro, conosciuta proprio al palasport di via Goldoni. Santarelli, dopo una sfilza di trofei nazionali ed europei conquistati con l'Imoco Conegliano, dove gioca anche Monica, e anche un europeo e un mondiale con la Serbia nel 2022, è il tecnico della Turchia, sconfitta dall'Italia nella finale mondiale per 3-2, in un tie-break che ha rappresentato uno dei momenti più emozionanti e avvincenti nella storia dello sport italiano.

A spiegarci l’assenza da tempo del volley femminile che conta nel capoluogo della provincia c'è proprio il presidente storico di Bottolo e del Bassano, Fiorenzo Signor, un altro dirigente ancora attivo di grande spessore e notevole conoscenza della pallavolo, non solo maschile, in cui ha sfiorato anche l’A1, ma anche femminile visto che nel suo club c’è da tempo anche una squadra di B2 femminile: «Fare pallavolo ad alto livello non è facile, anche vista la forte concorrenza a tutti i livelli. Bisogna essere strutturati in maniera notevole. Tra gli anni novanta e il primo decennio del duemila ci è riuscita con ottimi risultati la Minetti Vicenza, ma solamente per la presenza di un grande e bravo dirigente come Giovanni Coviello perché in molti casi, la storia lo insegna, anche avere le disponibilità economiche non è sufficiente per raggiungere certi livelli».

Insomma, la Vicenza del volley ancora c'è a livello mondiale con alcuni suoi "germogli" ma speriamo che torni anche in città ai livelli che i tifosi sognano da troppo tempo.

MokyDeGennaroconla mitica Shin Takahashi
MattiaBottolo,lasuacrescita nel Bassano

Nonperilsolosushièfattoilriso

roll, sashimi, nigiri, onigiri, maki, uramaki e temaki che con una certa ricorrenza mettono la mia famiglia intorno a un tavolo con il grande pregio di soddisfare tutti, giovani e meno giovani, non posso (e non voglio) smettere, ma a casa, ai miei fornelli, la tradizione la tradisco a modo mio, senza voltarle le spalle in favore di cucine etniche, ma semplicemente reinventando i nostri invidiabili e inimitabili sapori. Ed evitando al contempo lo spreco.

Cavolocappuccio,riso,piselli.especk...

Ilmaxi-rollèprontoperilfrigo

Epoizucchinegrigliate,pomodorini e basilico fresco

Unasalsinaspecialeperuncuoremorbido Edeccoloqual'anti-sushi

Ed eccola lì quella ciotola di riso bianco avanzato. Eccola lì l’occasione di fartela vedere, caro il mio sushi. Eccola lì, frugando ancora nel frigo, l’ispirazione dell’anti-sushi, il sushi de noartri. Per prima cosa, fate bollire di nuovo il riso bollito fino a scuocerlo, così che raggiunga una consistenza tale da incollarsi un po’ e riuscire a mantenere la forma senza “sbriciolarsi”. Lasciatelo quindi raffreddare bene.

Nel mentre, scottate appena in acqua bollente e salata le foglie di cavolo cappuccio (ma andranno bene anche di verza o coste), scolatele e fatele asciugare bene su un canovaccio, quindi asportate con un’incisione a triangolo la parte dura centrale. Su un doppio foglio di carta forno, disponete le foglie una accanto all’altra, leggermente sovrapposte, così da formare una base rettangolare, sui cui disporre -con l’aiuto di una spatola- il riso ormai freddo. Pressate bene, salate e passate allo strato successivo. Nel mio caso, piselli saltati in padella, ma andrà bene qualsiasi tipo di verdura cotta. A questo punto un po’ di proteine, che non devono mai mancare, come direbbero i miei figli ben poco veg. Ho optato per delle fette di speck, ma anche qui potete valutare qualsiasi altro affettato, dal prosciutto cotto al tacchino, dalla mortadella alla bresaola ecc.

Per dare un cuore morbido al maxi-roll che nascerà da questa variegata e variopinta stratificazione, ho mescolato del formaggio spalmabile con grana grattugiato e paprika dolce e ho spalmato il mix ottenuto sullo speck. Ancora un po’ di verde con uno strato di zucchine grigliate e qualche pomodorino tagliato a metà. Badate bene a lasciarli distanziati, perché abbiano agio di muoversi quando, dopo averli cosparsi di foglioline di basilico e averli salati, andrete a chiudere il roll.

Questa è infatti l’operazione finale. È un po’ delicata, è vero, ma con l’aiuto della carta forno, movimenti lenti e presa sicura, vi riuscirà perfettamente. Abbiate cura di arrotolare il più stretto possibile. All’ultimo giro, pressate bene per sigillare il rotolo, quindi avvolgetelo bello stretto con la pellicola trasparente. Stringete ancora un po’ con le mani il vostro polpettone per compattare bene i vari strati e riponetelo in frigo per un paio d’ore almeno.

Poco prima di portarlo in tavola tagliate delle fette spesse e, volendo, accompagnatele con una salsa a piacere. Magari a base di yogurt greco ed erbe aromatiche.

Con buona pace di sushi, soia e wasabi. Sayonara, fusion restaurant. Almeno per ora.

Le IGT dal Veneto alla Sicilia: vini bianchi particolari per abbinamenti speciali

Prima di lanciarci nella descrizione di questi due vini, accomunati dal fatto di essere IGT, forse sarebbe il caso di spiegare, brevemente, il significato di questi acronimi che ruotano intorno al mondo dei cibi, quindi non solo dei vini. Nell’immaginario collettivo è noto che, in generale, con DOC/ DOCG si indicano vini di qualità alta/molto alta, anche se poi ciò non significa che tutti gli altri siano necessariamente vini pessimi. Le Denominazioni di Origine Controllata (DOC) e Garantita (DOCG) identificano, nell’ambito di una regolamentazione esclusivamente italiana, giacché nel contesto europeo entrambe vengono associate alla DOP, vini che seguono un disciplinare molto rigoroso, ad esempio nella composizione dell’uvaggio di produzione. Nella scala di questa sorta di rigorosa produzione dei vini, sotto le DOCG/DOC troviamo le IGT, Indicazione Geografica Tipica, che caratterizzano i prodotti di una qualità specifica, legata al territorio di produzione, oltre le quali poi, nel caso dei vini, troviamo i vini da tavola. Un vino IGT deve rispettare, ad esempio, il parametro secondo il quale almeno l’85% delle uve utilizzate deve provenire da quella specifica area geografica, oltre al rispetto delle altre norme del disciplinare.

SauvignonGrisPiWiResistente,IGTVeneto 2023,Soligo,12%

Per quanto riguarda il Veneto, abbiamo selezionato un vino molto particolare, al quale i produttori dei Colli di Soligo non hanno attribuito un nome specifico. Ciò che, tuttavia, lo distingue in maniera peculiare è il vitigno utilizzato. Si tratta, infatti, di un 100% Sauvignier Gris, da non confondere con il somigliante Sauvignon, di cui si riteneva un incrocio insieme al Cabernet. Recentemente si è scoperto che il Sauvignier Gris, invece, è un incrocio tra altri due vitigni, Seyval e Zähringer, messo a punto solo nel 1983 in Germania. La caratteristica interessante di questo vitigno è che risulta resistente ai funghi, per cui consente ai produttori di non eccedere con trattamenti che devastano l’ambiente. Per queste sue specificità, questo vino viene inserito in una categoria dedicata, detta PiWi (Pilzwiederstandfähig, resistente alle crittogame), in cui concorre insieme ad altri analoghi e ottenendo anche ottimi piazzamenti ogni anno. Alla vista il vino appare di un colore giallo dorato carico, brillante e trasparente, mentre al naso si diffonde nel calice un sentore fruttato di agrumi, fiori gialli e anche vaniglia, al punto da sembrare un bianco strutturato con passaggi in legni, che invece non fa. All’assaggio si mostra secco, leggermente sapido, ma con una discreta acidità, riuscendo a confermare in bocca, con lunga persistenza, tutti i sentori olfattivi.

Abbinamenti

Considerate la caratteristiche del Soligo, noi lo avremmo abbinato sicuramente a formaggi veneti stagionati e soppresse grasse, ma è curioso il suggerimento dei produttori, che invitano a provarlo con un

Taif,IGTTerresiciliane2020, CantineFina,13,5%

Dalla passione e dedizione del signor Bruno e dei suoi figli le Cantine Fina di Marsala riescono a lavorare vitigni autoctoni e internazionali per ottenere vini di “carattere”, così come si presenta questo Taif, un IGT Terre siciliane dal nome arabeggiante, ricavato da uve 100% Zibibbo, una varietà aromatica di Moscato d’Alessandria proveniente dall’Egitto e che in arabo significa proprio “uva passita” (zabib). Alla vista si presenta dorato senza riflesso, trasparente, mentre all’olfatto inebria profondamente il frutto della passione, la pesca, l’ananas. Tra i sentori floreali ci sono il gelsomino, la ginestra, ma anche un sentore vegetale di erba fresca tagliata. Tra le spezie si sente leggermente il pepe e poi tostature di vaniglia leggera, note che ci consentono di apprezzare questo ampio bouquet olfattivo. Al primo sorso il vino appare secco, l’alcool percepito è caldo, avvolgente nelle morbidezze e fresco nella sua acidità. Si presenta con una distinta eleganza, sapidità e persistenza.

alimento esotico, proveniente addirittura del Messico, cioè il guacamole, come salsa di accompagnamento sul salmone o su un crostino di pane tostato. Anche per il Taif abbiamo pensato ad un abbinamento tradizionale e territoriale, come un arancino al ragù oppure ad una bistecca di tonno o pesce spada cucinato alla siciliana con capperi e aromi, ma anche ad un abbinamento esotico, come il cous cous, che a Trapani, in realtà, è abbastanza di casa!

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VicenzaPiù Viva n. 302, 12 ottobre 2025 by Giovanni Coviello - Issuu