VicenzaPiù Viva n. 301, 6 settembre 2025

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Quando il troppo stroppia anche nelle celebrazioni: se ogni giorno è una giornata internazionale di Eleonora Boin

Vicenza militare e americana: il “bignamino” contraltare all’Italia-America Friendship Festival di Emilio Franzina

Da Osoppo a Gladio, un filo segreto nell’intitolazione a Del Din della base Usa a Vicenza di Emilio Franzina 17 ??? di ???

America Sorella? di Emilio Franzina

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Vicenza: il caso parcheggi partito dalle nostre testate e il contenzioso annunciato con GPS di Andrea Polizzo

Bilancio della sanità veneta nei 15 anni di Luca Zaia di Renzo Mazzaro

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Forza e coraggio con Formaggio di M.M.

Vendere la domenica e i giorni festivi è un po’ vendere parte di noi di Giulia Matteazzi

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Nei e melanoma, il prof. Pellacani (Sidemast) chiarisce dopo il caso Veneto sui Lea di ???

La Blockchain va oltre oltre le criptovalute e la finanza e sta trasformando le piattaforme digitali di Edoardo Pepe

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L’EDITORIALINO

Sembrava ieri, comincerebbe a scrivere un qualunque editore, fondatore e poi anche direttore di una testata senza lacci e tantomeno lacciuoli. Ma arrivati al n. 300 di VicenzaPiù e a quasi 20 anni di esistenza (resilienza?) è bello pensare che siamo ancora qui, a farci leggere da voi, che ci raggiungete in edicola, sui taxi locali o da abbonati digitali. Sulla testata web consorella, Vipiu.it, vi proponiamo quella cronaca un po’ ragionata che interessa la comunità per risvolti più ampi e illuminati del tipico “dagli allo straniero!”, “se le cose vanno male è colpa di chi governava prima”, “vorrei ma non posso… aiutare i più deboli”…. Di sicuro è una piccola parte del noioso quotidiano: aggettivo sostantivato che sta per “ripetitivo vivere giornaliero” non, per carità, per il quotidiano locale per antonomasia

Trecento numeri di resilienza aspettando il 301°

Ma quella parte di cronaca quotidiana, che ci tiene in contatto h24 ogni giorno e già più portata a far riflettere la massa dei nostri lettori/utenti (siamo la testata web con la più alta Domain Authority tra quelle indipendenti in Veneto), è quella che alimenta il nostro e vostro mensile cartaceo, VicenzaPiù

Viva, anche il n. 300 nelle vostre adorate mani, dandogli spunti o continuandone lo sviluppo per gli approfondimenti e le riflessioni di una Vicenza, che prova a guardare di nuovo verso il mondo. Più…

Viva, appunto, nonostante venti anni di barbarie, sì di barbarie, che hanno segnato la città e il suo territorio a causa di una fetta, grossa ma per fortuna non totale, di (im)prenditori, politici, dirigenti pubblici ed anche ecclesiastici, spesso inconsapevoli, giurano, ma non per questo meno responsabili, di quello che avveniva intorno a loro (dobbiamo ricordare l’immagine delle tre scimmie?).

Ecco da quasi venti anni e, ora che siamo nelle vostre mani, da 300 numeri proviamo, con le nostre forze e risorse limitate, a scrivere liberamente. Nonostante le censure pubblicitarie: non investono su di noi quelli che contano, appena sotto al primo livello, che ci leggono e, forse, ci rispettano ma obbediscono alla “cupola dei poteri”, più di quanto questa, forse, vorrebbe sempre più ridotta com’è, da se stessa, a un soffitto di paglia, anche se ancora tenuta nascosta fra due sottili strati di cemento per perpetuare il controllo secolare dei vicentini storicamente fin troppo ossequiosi. E nonostante le mille “tensioni” giudiziarie subite: mai per i fatti da noi riportati ma perché pare che li raccontiamo, un appiglio leguleo, con un linguaggio crudo e non “cremoso”. Ecco perché in copertina abbiamo parlato di resilienza e perché

abbiamo citato la frase con cui la Corte Suprema Usa decretò la libertà della stampa (quella che oggi, non a caso Trump attacca di nuovo come fece Nixon all’epoca) e del Washington Post e del New York Times, in particolare, rei di aver pubblicato le verità ignominiose della guerra in Vietnam: “La stampa è alservizio di chi è governato, non di chi governa”. Abbiamo anche ricordato, giocando col 300 (come facciamo all’interno per alcune coincidenze con questo numero), che siamo resilienti subendo le “restrizioni” economiche e gli attacchi legali (a Sapri “Eran 300, eran giovani e forti e sono morti”) ma lottando anche come i 300 Spartani di Leonida contro i Persiani. I 300 persero la battaglia ma posero le basi per la vittoria a Salamina. Per noi di VicenzaPiù Viva e di ViPiu.it, resilienti “per Vicenza” la vittoria è darvi l’arrivederci al n. 301 e poi al 302 e al... Grazie, lettori. Siete voi, i “governati”, e la vostra fiducia la nostra forza da utilizzare, informandovi senza se e ma, per farci governare, sì, ma meglio.

Così vorrebbero anche le vittime, ben più di noi, dei conflitti attuali, scatenati da interessi contro cui anche il Papa ha urlato. A loro anche diamo ampio spazio in queste pagine di lotta e di speranza.

Giovanni Coviello

Quando il troppo stroppia anche nelle celebrazioni: se ogni giorno è una giornata internazionale

Dalla giornata contro la violenza sulle donne al World Emoji Day: il calendario infinito delle 140 giornate internazionali per non parlare di quelle meno griffate

di Eleonora Boin

Un calendario che non finisce mai

Se ogni giorno vi svegliate pensando che ci sia “qualcosa da celebrare” non state andando troppo lontano dalla realtà: non è solo un’impressione, è statistica. Infatti, solo le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente circa

140 giornate internazionali. A queste si aggiungono quelle istituite da singoli Paesi, organizzazioni non governative, associazioni, brand in cerca di visibilità e community digitali, che fanno salire il conteggio a oltre 200 ricorrenze ogni anno. In pratica, quasi una al giorno.

C’è stato un tempo in cui il calendario civile era punteggiato solo da poche

date solenni: la memoria di eventi tragici, i diritti universali, la lotta a malattie che minacciano milioni di persone o la celebrazione di specifiche categorie di persone. Oggi invece la lista è diventata un catalogo infinito, dove alla Festa della Donna si affianca la Giornata mondiale delle emoji, e alla lotta alla fame nel mondo la Giornata internazionale del pirata.

Come nascono queste giornate

In origine, le giornate internazionali avevano degli scopi precisi, come ad esempio fissare particolari eventi nella memoria collettiva o sensibilizzare governi e cittadini su questioni di rilevanza mondiale. Per citarne alcune, il 27 gennaio ricorda la liberazione di Auschwitz, il 5 giugno richiama l’urgenza di proteggere l’ambiente e l’8 marzo rivendica i diritti delle donne.

Con il tempo però, il meccanismo si è esteso. Le ONG hanno iniziato a creare le proprie giornate per dare visibilità alle cause, le aziende hanno fiutato l’occasione di marketing (d’altronde se esiste la giornata mondiale della pizza, perché non dovrebbe esistere quella delle ciambelle?) e i social hanno amplificato tutto con hashtag virali.

Dall’Olocausto alle emoji

Il problema non è tanto la singola ricorrenza, quanto la loro convivenza forzata nello stesso calendario. Da una parte ci sono date dal peso simbolico enorme: il 27 gennaio (Giornata della Memoria), la Giornata mondiale della conservazione della natura (28 luglio),

il 20 giugno (giornata internazionale del migrante e del rifugiato), il 25 novembre (per l’eliminazione della violenza contro le donne) sono solo alcune delle tante.

Dall’altra parte troviamo giornate che sembrano nate da una serata tra amici in taverna, veri e propri scherzi, per altro anche divertenti. Tra queste troviamo il World Emoji Day (17 luglio), che celebra le faccine delle chat sui social media, il Talk Like a Pirate Day (19 settembre), che invita tutti a parlare come corsari, il World Backup Day (31 marzo), per ricordare che salvare i file non è noioso ma “eroico” e la Giornata mondiale degli UFO (celebrata da alcuni il 24 giugno, da altri il 2 luglio: nemmeno i nerd si mettono d’accordo).

L’inflazione simbolica

La moltiplicazione compulsiva di ricorrenze genera un effetto paradossale: più giornate ci sono, meno valore hanno, in una sorta di inflazione del simbolismo. Ad esempio, nel solo mese di marzo troviamo la giornata mondiale della fauna selvatica (3 marzo), la giornata internazionale della donna (8 marzo),

la giornata internazionale di azione per i fiumi (14 marzo), la giornata internazionale dei diritti dei consumatori (15 marzo), la giornata mondiale del passero (20 marzo), la giornata mondiale del legno, quella della semina, quella delle foreste e quella dell’acqua (tutte celebrate il 21 marzo). Tutte nobili cause e grande solidarietà ai passeri, ma quante persone sanno effettivamente della loro esistenza? Forse, se tutto diventa speciale, alla fine nulla lo è più.

Marketing travestito da sensibilizzazione

Molte giornate non sono nate nelle sale dell’ONU, ma negli uffici marketing. Alcune aziende hanno lanciato la propria ricorrenza per promuovere prodotti o settori. In America esistono giornate dedicate al gelato, alle ciambelle o ai toast con burro d’arachidi e marmellata. Per l’Italia abbiamo la giornata della grappa (5 marzo) e quella della pizza (17 gennaio).

Altre giornate internazionali, al di là del marketing e dell’impegno civico, rasentano la parodia. C’è la giornata internazionale del colore (di tutti i colori), la giornata mondiale dello

Giornata internazionale delle donne

Ma come funziona l’approvazione dell’ONU?

smalto per unghie, il World Pumpkin Day dedicato alle zucche o la giornata internazionale del cane in ufficio (26 giugno). Provate a prendere Google e scrivere “giornata internazionale” seguito dalla cosa più strana che vi viene in mente: scoprirete che se non esiste la giornata internazionale dell’autobus, c’è comunque quella del trasporto sostenibile.

C’è anche un aspetto pratico che spesso sfugge: ogni giornata ONU comporta un impegno formale, poiché sono le stesse Nazioni Unite che sostengono e coordinano la promozione dell’evento con le loro infrastrutture. Dietro le quinte del grande circo delle ricorrenze c’è un processo tutt’altro che improvvisato: è l’Assemblea Generale dell’ONU a stabilire ufficialmente le giornate in-

ternazionali. Non basta che qualcuno si svegli una mattina e decida che il 14 marzo è il giorno del Pi greco: serve una proposta di uno Stato membro, una discussione e infine il consenso. Ogni data viene giustificata con una risoluzione che richiama i grandi pilastri dell’ONU: pace, diritti umani, sviluppo sostenibile e diritto internazionale. L’ONU si occupa anche di monitorare

Giornatadellosmaltoperunghie

l’impegno di queste iniziative. In particolare, sul suo sito è riportato come esempio l’importanza della Giornata internazionale per porre fine alla fistola ostetrica, poiché “nonostante circa due milioni di donne nei Paesi in via di sviluppo convivano con questa malattia e ogni anno si verifichino tra i 50.000 e i 100.000 nuovi casi, molte persone probabilmente non ne hanno mai sentito parlare. Questo è un ottimo esempio dell’importantissima funzione del lavoro di sensibilizzazione che svolgono le giornate internazionali”.

È tutto da buttare?

Alla fine, se da un lato è vero che ci sono delle giornate internazionali assurde, è anche vero che queste non sono quelle

riconosciute dalle Nazioni Unite, ma solo quelle istituite da gruppi privati. E poi, nel mare magnum di date bizzarre e campagne più o meno creative, resta una verità: le giornate internazionali, quando ben usate, funzionano. Non a caso le pagine più visitate del sito delle Nazioni Unite sono proprio quelle dedicate alle osser vanze internazionali. Non solo: queste giornate diventano anche termometri dell’interesse globale. A seconda di quanto e come vengono celebrate in diverse regioni del mondo, mostrano dove un problema è sentito e dove invece resta invisibile. Sempre secondo il sito dell’ONU, ad esempio, la Giornata dei Diritti Umani del 10 dicembre incide davvero nel mondo: in Sudan del Sud milita-

ri e poliziotti scambiano pistole con scarpe da ginnastica, in Russia è stata organizzata una competizione per studenti mentre in Brasile una mostra. Forse allora la soluzione non è eliminare le giornate internazionali, ma saperle distinguere. Ridere della Giornata dello smalto per unghie è legittimo, ma dimenticare quella sulla pace sarebbe imperdonabile. Il calendario, insomma, non va buttato: va riletto con occhio critico, per separare le cause fondamentali dalle trovate di colore. Perché in fondo, anche in mezzo all’inflazione di ricorrenze, quelle che contano davvero continuano a parlarci con forza. E poi diciamocelo, chi non vorrebbe portare il proprio cane in ufficio?

3maggio,GiornatainternazionaleperlaLibertàdiStampa

Vicenza militare e americana: il “bignamino” contraltare all’Italia-America Friendship Festival

Scritto 10 anni fa ma sembra ieri per lettori più giovani o poco informati sulla natura assai poco culturale e amichevole a Vicenza degli USA, lo Stato non il popolo, e sull’operazione strumentale a sponsor italoamericani che operano comunque al servizio degli USA e a interessi fin troppo locali.

GruppoNoDalMolin

di Emilio Franzina

Città d’arte per l’Unesco e città del Palladio nel senso comune, Vicenza è anche una città “americana” e fortemente militarizzata per le basi di guerra che si trova ad ospitare dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando le truppe della V Armata USA, il 28 aprile del 1945, vi fecero ingresso da liberatrici accolte dall’entusiasmo della popolazione

che pure aveva subito gli effetti disastrosi di molti bombardamenti (QR CODE) terroristici responsabili della morte di oltre 2000 persone. Nel novembre del 1944, infatti, ma anche prima e dopo questa data, sino alla immediata vigilia della Liberazione, bersagli delle incursioni alleate erano stati l’area dell’aeroporto Dal Molin e lo stesso centro storico dov’era addirittura andata a fuoco, il 18 marzo del 1945, la

celebre Basilica palladiana.

Dieci anni più tardi, in seguito alla “neutralizzazione” dell’Austria, un robusto contingente di soldati americani, destinato man mano a ingigantirsi, fece ritorno a Vicenza in nuova veste e si stabilì nella caserma Ederle (poi Camp Ederle) alla prima periferia della città come forza alleata (Setaf) in seno alla Nato e in virtù di un accordo bilaterale (BIA) siglato l’anno prima fra Italia e USA, i cui contenuti sono a tutt’oggi segreti e sconosciuti persino al Parlamento nazionale. Iniziava così un lungo periodo di permanenza nel Vicentino degli americani in armi che dura ininterrottamente da allora e che venne inaugurato la sera del 25 ottobre 1955 da un concerto jazz della Banda militare USA, offerto per l’occasione alla cittadinanza e coronato dall’esecuzione di una marcia patriottica statunitense dal titolo senz’altro indicato e al tempo stesso premonitore: Star and stripes forever.

Gli anni di presenza americana nel Vicentino superano infatti ormai largamente i 53 totalizzati dagli austriaci fra il 1813 e il 1866 anche se all’inizio di questa parabola furono avallati dalle autorità locali e centrali di un paese vinto e impoverito per le opportunità di lavoro e per

BombardamentosullastazionediVicenza(Giuseppe

Versolato Ali su Vicenza e Bombardamenti aerei degliAlleatinelVicentino1943-1945)

i vantaggi che avrebbero dovuto portare ai vicentini secondo una idea di Mariano Rumor, il quale ne fu tra i principali sostenitori.

I primi contatti con i vicentini non furono tutti negativi e sino alle soglie degli anni sessanta diedero anzi luogo anche a (pochi) matrimoni misti e ad alcuni reciproci annusamenti di cui, però, vennero ben presto a mancare gli auspicati sviluppi. Non ci fu nessun tipo d’integrazione e l’unico segno di novità venne offerto dall’incremento delle risse fra militari e dai loro piccoli e meno piccoli reati contro i quali, nel solco di una nota tradizione, la nostra magistratura si scoprì

pressoché impotente a intervenire. Prevalsero, insomma, una sostanziale estraneità e la sensazione diffusa di un incontro artefatto e forzoso con degli alieni mezzo palombari e mezzo elicotteristi colta alla perfezione da Goffredo Parise il quale proprio così ne scrisse in un suo aureo racconto – Gli americani a Vicenza – (QR CODE) pubblicato su l’”Illustrazione Italiana” nel 1958 e poi in forma di opuscolo presso Scheiwiller nel 1966.

La situazione si protrasse invariata per quasi mezzo secolo sino all’alba del nuovo millennio quando, cambiata la città come del resto il mondo, una combina-

zione politico diplomatica favorevolissima agli interessi di Washington ma del tutto al di fuori dell’ambito Nato portò fra il 2003 e il 2005 alla stipula di un nuovo accordo, mantenuto stavolta, se possibile, ancora più riservato del precedente, fra il governo Berlusconi, gli USA e, del tutto all’insaputa della città, il sindaco di Vicenza allora in carica Enrico Hüllweck, un ex missino ed ex parlamentare della Lega transitato in Forza Italia e assecondato dal suo assessore tecnocratico Claudio Cicero.

Tale accordo prevedeva la cessione agli americani di una vasta porzione del territorio comunale perché vi potessero costruire senza il disturbo degli intralci costituiti dalla Valutazione d’Impatto Ambientale di legge (VIA) – e proprio nel luogo ch’era ancora sede dell’aeroporto Dal Molin con le sue strutture al 90% poi demolite – una nuova base di 800 mila metri cubi capace di dare alloggio a molte migliaia di soldati e di civili. Fu allora che la questione degli “americani a Vicenza” acquistò rilevanza e visibilità nazionali. Ne seguì infatti una serie ininterrotta di polemiche e di fortissime opposizioni popolari contro quello che pudicamente veniva presentato come un ampliamento (quando invece la erigenda caserma distava da Camp Ederle più di 6 chilometri e peraltro anche meno di 2 chilometri in linea d’aria dalla Piazza dei Signori).

Le opposizioni furono corroborate da vistose manifestazioni di piazza soprattutto di donne munite di “pignatte” e comin-

Enrico Hüllweck con Silvio Berlusconi

ciarono il 26 ottobre del 2006, giorno in cui la maggioranza di centro destra che governava allora il Comune avallò con due soli voti di scarto, e come non sarebbe stato in sua facoltà di fare, l’impianto del nuovo insediamento prevedendo una serie di compensi e di risarcimenti tutti poi venuti regolarmente a mancare.

Il corposo movimento di protesta appena nato ben presto si consolidò ottenendo di lì in avanti la solidarietà d’un gran numero di cittadini e di simpatizzanti che vennero da ogni parte d’Italia a Vicenza per dar vita il successivo 17 febbraio, in più di centomila, a una impressionante manifestazione di dissenso destinata a consacrare il ruolo anche mediatico del cosiddetto Presidio No Dal Molin, futuro protagonista, negli anni successivi, d’iniziative politiche non prive di conseguenze rilevanti sugli equilibri elettorali del capoluogo berico dove a Hüllweck subentrò, forte dell’appoggio del Presidio e alla guida di una giunta di centro sinistra, l’ex sindaco democristiano Achille Variati

Abbandonati dal governo nazionale, a sua volta mutato, ossia da Romano Prodi che lo presiedeva e che il 16 gennaio del 2007 aveva dichiarato da Bucarest, con un “editto” subito definito “rumeno”, la fattibilità della nuova base, i vicentini furono abbandonati al loro destino di abitanti d’una città suddita, a curare i cui interessi veniva poi delegato da Prodi l’ex sindaco di Venezia ed europarlamentare Paolo Costa.

Questi, fin che durò in carica e cioè sino alla vigilia dell’apertura della base, agì in realtà da difensore dei soli interessi americani, si negò sistematicamente a ogni confronto con i rappresentanti delle istituzioni cittadine e provinciali e si dimostrò semmai fedele esecutore delle direttive USA e in specie, come rivelarono più tardi le intercettazioni di WikiLeaks, dell’ambasciatore Ronald Spogli invitando le autorità, così letteralmente disse, a “estirpare alla radice il dissenso locale“

Ben pochi vicentini si schierarono a favore dell’immenso complesso costruito in spregio a ogni regola e norma italiana a cominciare dalla Costituzione (in violazione del suo articolo 11 che afferma che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo per risolvere controversie internazionali) e alle ignorate prescrizioni della Valutazione d’Incidenza Ambientale (VIA), con effetti negativi sulla viabilità e soprattutto sulla tenuta in punti oltremodo sensibili dell’intero sistema idrico vicentino posto al centro d’una zona cruciale di vaste risorgive (a causa della impermeabilizza-

zione della base in corso d’opera ne dipesero in buona parte già nel 2010 e nel 2011 una paio di rovinosi allagamenti per straripamento dei fiumi).

Solo un paio di gruppi minoritari e assai sparuti di sostenitori dell’impresa per motivi ideologici o anche, come nel caso dei dipendenti italiani degli USA o come la Cisl – unico sindacato ammesso dagli americani – di tornaconto particolare. Di benefici pari quelli favoleggiati d’un incremento dei posti di lavoro per gli italiani e di vendite per i commercianti in realtà non vi fu traccia e in extremis venne frustrato anche il tentativo di dar vita a un referendum consultivo, peraltro ammesso dal Tar, che a quattro giorni dal suo svolgimento su indicazione di un nuovo governo (retto da Berlusconi) venne bloccato d’imperio dal Consiglio di Stato nell’ottobre del 2008 (il referendum si tenne poi ugualmente ma in forma “autonoma” e portò alle urne più di un terzo dell’elettorato cittadino con quasi 25 mila votanti di cui 24 mila all’incirca contrari alla base).

Il movimento No Dal Molin sempre più radicalizzato e in sintonia con le rivendicazioni somiglianti di altri soggetti (dai No Tav ai centri sociali), entrò con propri rappresentanti in Consiglio comunale proseguendo, poi, per la sua strada di costante opposizione mentre anche in altri consessi non mancarono le voci dissenzienti rispetto alla cupidigia di servilismo nei confronti d’una iniziativa del tutto estranea alla Nato e promossa, come Africom, sotto esclusiva egida USA in concomitanza con l’inasprirsi delle guerre in Afghanistan e in Iraq, per motivi forse nemmeno di strategia bensì di pura logistica militare secondaria ovvero per la godibilità della “location” vicentina considerata apertis verbis preferibile ad altre per paesaggi, servizi

Enrico Hüllweck con Achille Variati
Alluvione a Vicenza nel 2010

UnoscorciodelParcodellaPace,sullosfondolaCasermaDelDin

e facile sfruttamento turistico a ristoro periodico dei reduci sconvolti dal Medio Oriente in preda a sindromi di ovvia gravità e meglio curabili, si ritenne, a Vicenza.

Qui, sia come sia, ma perdurando sorda e neanche tanto sottotraccia l’avversione dei cittadini a tanta intrusione, vennero fatti affluire i reparti USA provenienti da Bamberga e da altri punti della Germania nella primavera del 2013. Alle viste dell’inaugurazione della gigantesca base americana (una delle più grandi in Europa ma anche l’unica costruita non alle porte bensì dentro una città) un governo sempre meno interessato alla tutela della sovranità nazionale pensò di dover addirittura intitolare simbolicamente il nuovo manufatto bellico non più all’aviatore vicentino Dal Molin, ma a un partigiano cadorino/friulano delle Brigate Osoppo, Renato Del Din (medaglia d’oro al valor militare morto in combattimento nel 1944 ma anche figlio d’un generale del nostro esercito, Prospero, ai vertici dopo la guerra, secondo varie ricostruzioni, di Gladio e della connessa Operazione Stay Behind)

L’apertura in sordina ma non troppo (ubriaco fradicio il comandante della Base venne alle mani con i Carabinieri e con la stessa Military Police finendo destituito due giorni dopo) si verificò fra nuove proteste il 2 luglio del 2013 quando già il numero degli americani tra civili e in divisa, si stabilizzava intorno alle 15 mila unità, pari a più del triplo dell’insieme dei maggiori gruppi immi-

gratori stranieri a Vicenza (serbi, rumeni e moldavi) così da sfiorare il 7% della popolazione.

Se a ciò si aggiungono l’arrivo presso la Caserma Chinotto, dove ha sede dal 2006 il loro Quartier Generale, di un migliaio di addetti (poliziotti, guardie civili, carabinieri ecc.) della cosiddetta Gendarmeria Europea (Europe Eurogendfor o EGF) e il fatto non secondario che assieme a Camp Ederle e alla nuova base

ribattezzata Del Din sopravvivono nella cerchia suburbana e collinare a San Rocco Santa Tecla e al Tormeno-Fontega altri insediamenti americani di estremo rilievo attorno a Longare (come la base sotterranea USA Site Pluto dove sino ai primi anni novanta non meno che a Ghedi e ad Aviano venivano conservate numerose testate atomiche e quintali di plutonio) si capisce perché non sia né arbitrario né esagerato definire Vicenza città militare e, in questo senso, americana

Da Osoppo a Gladio, un filo segretonell’intitolazione a Del Din della base Usa a Vicenza: la scelta parla più a Washington che alla Resistenza

Inaugurazionenel2013dellasecondabaseUsaaVicenzaintitolataaRenatoDelDin

Dietro l’omaggio al partigiano anticomunista Renato Del Din, morto nel 1944, si cela la lunga ombra del padre Prospero, militare, cospiratore e regista delle prime strutture Stay Behind

– Gladio. La denominazione della base

Del Din è collegata ai desiderata degli Usa più che dell’Italia, così come l’edificazione della loro seconda installazione militare in una città che oggi con

l’Italia-America Friendship Festival non si sa se celebri l’amicizia (?) dei due Stati o nasconda interessi locali di qualcuno grazie alle amnesie politiche del sindaco.

RenatoDelDinelapidecommemorativaaTolmezzo

Sulla figura di militare e di “cospiratore” di Prospero Del Din padre di Renato Del Din (il partigiano della Osoppo a cui è intitolata la caserma sorta a Vicenza al posto del Dal Molin, perito in combattimento a Tolmezzo il 25 aprile 1944, medaglia d’oro della Resistenza come poi sua sorella Paola, nome di battaglia Renata, anche lei al pari del fratello anticomunista convinta, prima donna paracadutista e tuttora vivente: (ha 102 anni), c’è una già folta bibliografia che lo ritrae, dopo il ‘45, molto impegnato a costituire e a orientare la prima versione di Gladio. Ne riassumo qualche passo Prospero Del Din, combattente e medaglia d’argento al valore nel primo conflitto mondiale, poi ufficiale nella guerra d’Etiopia per la conquista dell’Impero, colonnello e comandante del Battaglione Alpini “Val Natisone” nella seconda guerra mondiale quando viene fatto prigioniero prima di essere rilasciato dagli alleati, successivamente promosso generale e infine sostenitore e pure candidato del Partito Nazionale Monarchico per la circoscrizione di Belluno, Gorizia e Udine città in cui nel 1958 è consigliere comunale e fiero anticomuni-

sta, nella storiografia più recente spicca tra i protagonisti, fra gli anni ‘50 e 60 del ‘900, della mobilitazione sfociata nell’organizzazione Stay Behind e quindi Gladio.

Così dettagliatamente ne parla ad esempio Giacomo Pacini in un suo libro su La lotta segreta anticomunista in Italia (Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia, 19431991, Einaudi, 2014), che illustra il ruolo da lui svolto nel dopoguerra in qualità di fondatore del Movimento Tricolore, cofondatore dell’Organizzazione Fratelli d’Italia e della ‘nuova Osoppo’ creata nel febbraio del 1946 con il placet statunitense in un clima di guerra fredda e poi denominata 3 Cvl (terzo Corpo Volontari della Libertà ) nonché trasformatasi in Organizzazione ‘O’ e infine sciolta il 4 ottobre 1956. È dalle ceneri di tale struttura che nasce nel 1958 l’organizzazione Stay Behind ‘Gladio’, su cui molto ha scritto pure Ferdinando Imposimato (nel suo volume su La repubblica delle stragi impunite, Newton Compton ed.), relativamente al ruolo svolto in Italia nel secondo dopoguerra dalla cosiddetta strategia della tensione, tra servizi segreti no-

strani, europei e americani, prima che nel 1977 i nostri ser vizi segreti venissero riformati lasciando il posto al Sisde e al Sismi. Il terzo Corpo Volontari della Libertà (3 Cvl), che inizialmente contava circa 4.000 aderenti, venne creato, oltre che da Prospero Del Din, dal colonnello Luigi Olivieri, con la collaborazione del colonnello Aldo Specogna e avrebbe dovuto essere inserito nell’esercito regolare, secondo gli intendimenti dei fondatori, per arginare possibili avanzate da est dei comunisti russi. Si ipotizza, comunque, che diffondesse pure notizie false e tendenziose, come quella di un ammassarsi di tr uppe partigiane jugoslave ai confini italiani nell’aprile 1948, in prossimità delle elezioni politiche. Inoltre, la ‘nuova Osoppo’ si diede da fare per schedare centinaia di cittadini friulani sospettati di simpatie ‘titine’ svolgendo anche compiti di supplenza dei servizi segreti. Infine, dopo qualche variazione nel nome, il 3 Cvl divenne l’Organizzazione ‘O’, un organismo dove già nel 1957 si pensava che fossero inseriti elementi neofascisti e reduci della X Mas. L’obiettivo dichiarato era quello di opporsi ad una possibile prevalenza comunista

ProsperoDelDinindivisadaufficialealpinoafiancodellafigliaPaolaPaola, in uniforme britannica -1945

in Italia, nel clima internazionale di forte contrapposizione fra Nato da una parte e Urss (poi dal 1955, anche stati del patto di Varsavia) dall’altra. Vale la pena di notare che Imposimato si dice convinto «dell’assoluta buona fede e del coraggio, oltre che della lealtà istituzionale di molti cosiddetti gladiatori […] usati a loro insaputa per operazioni illecite». Non da ultimo, si sente talvolta parlare, dai pochi che ancora ne parlano, della Formazione Osoppo in armi nel secondo dopoguerra per combattere una ventilata invasione da parte slava, ipotizzata nel contesto di allora, alle dipendenze di servizi americani e italiani, ma non tutti gli “osovani” aderirono ad organizzazioni segrete post-belliche. E nondimeno sulla scorta di quanto riportato nei due volumi sopra citati di Imposimato e

Pacini, si può dire che ‘Gladio’ fu «un soggetto occulto […] evocato spesso a sproposito, e ancor più frequentemente ignorato nei dibattiti degli storici» che ha inciso sulla democrazia italiana al fine, pure, di «introdurre una Repubblica presidenziale, con il rischio […] di aprire le porte a regimi tirannici» senza più alternanza nei governi, e che ‘Gladio’ non possa quindi essere elogiato, come invece fece Paola Del Din il 25 aprile del 2005, in un inter vento pubblico asserendo fra l’altro – non si capisce su che base – che ‘Gladio’ fosse stata una «struttura legittima del governo italiano» e precisando che lei stessa ne aveva fatto parte come membro onorario per affinità (Paola Del Din: quello che ho fatto era per la libertà della mia Patria, in Messaggero Veneto, 1 maggio 2005).

Che Paola fosse stata influenzata, nelle proprie scelte, dal padre generale e cospiratore, è più che probabile tanto quanto appare certo che per nulla casuale sia dunque stata nel 2013 (assieme all’assonanza Del Din – Dal Molin) la scelta di intitolare una base americana, la seconda di Vicenza, al nome di suo fratello partigiano anticomunista morto in battaglia nel ‘44. Sia come sia è un fatto che Prospero Del Din agì come organizzatore nel dopoguerra di gruppi armati anticomunisti tanto più che molte voci in circolo ancora negli anni ’70, lo davano come colui che soprintendeva alla consegna delle armi da par te dei partigiani, in sintesi al loro disarmo, sin dall’indomani della Liberazione, pretendendo che tale compito venisse eseguito rigorosamente.

Italia-America Frienship Festival, i conti non tornano perché non arrivano

Pier Giacomo Cirella della organizzatrice Fondazione TCVi sostiene che sono segreti e va in ferie: come Jacopo Bulgarini d’Elci. NIAF prepara il prossimo gala pro missili

PierGiacomoCirella,segretariogeneraleFondazioneTeatroComunalediVicenza, organizzatricedelFestival

di Giovanni Coviello

Il dibattito attorno all’“Italia-America Friendship Festival” non può prescindere da un chiarimento: i legami storici fra Vicenza e le comunità di origine italiana negli Stati Uniti e nelle Americhe hanno radici reali, frutto di imponenti migrazioni fra Ottocento e Novecento. Tuttavia, richiamarsi a quelle vicende per

legittimare i 70 anni di presenza militare statunitense in città è una forzatura che maschera finalità ben diverse da quelle culturali.

Al centro delle contestazioni vi è soprattutto il ruolo della NIAF (National Italian American Foundation), principale, sembrerebbe, finanziatore del festival con il Comune che, da patrocinatore/ promotore/facilitatore con sponsor “vici-

ni”, incoraggia gli altri finanziatori. Con sede a Washington, la NIAF si presenta come portavoce dei circa 20 milioni di cittadini italoamericani, rivendicando la difesa di una doppia identità culturale e il contributo dato dagli emigrati italiani allo sviluppo degli USA. Nella pratica, l’organizzazione coltiva stretti rapporti con la Casa Bianca e il Congresso e celebra ogni anno con un sontuoso gala a Washington le eccellenze italoamericane. Un evento in cui NIAF, nella sua attività parallela chiaramente lobbistica, non ha mai disdegnato di premiare figure legate all’industria bellica: emblematico il riconoscimento assegnato già nel 2014 a un senior vice presidente di MBDA Italia, la sussidiara italiana del più grande consorzio europeo di produzione missilista, terza azienda mondiale del settore, che sviluppa e produce anche i V-Shorad, gli stessi schierati a Vicenza in concomitanza con l’annuncio del festival.

Non è un caso, quindi, che l’Italia-America Friendship Festival di Vicenza (attenti, si legge in più note che è il I° di una seriue) sia stato programmato a Washington l’11 e 12 luglio 2024 nell’ambito dello stesso vertice militare della NATO nel quale veniva deciso l’invio nella città berica proprio di un bel po’ di nuovi missili americani V-Shorad, preludio, magari, a prossime onorificenze NIAF al Sindaco Giacomo Possamai e al suo “consigliere esterno”, senza gettoni, assicurò il sindaco, Jacopo Bulgarini d’El-

ci, ideatore e direttore del festival, per il quale, ops, riceverà il giusto compenso senza neanche porsi, la coppia, il problema di un qualche conflitto di interessi o, almeno, di una evidente mancanza di opportunità: “non ricevo compensi per i rapporti con la comunità americana, ma, alla bisogna, mi organizzo un festival…, magari il primo e poi si vede”.

Una coincidenza definita “rivelatrice”, che alimenta i sospetti di chi vede nella kermesse più un’operazione di consenso geopolitico-militare che un reale scambio culturale. Non a caso, osservatori e una miriade di associazioni e comitati locali parlano di un progetto in cui “arte, gastronomia e relazioni sociali” appaiono come elementi di facciata, mentre restano volutamente in ombra i nodi più scomodi: la sudditanza politica e il peso della presenza militare americana sul territorio e l’occupazione di vaste aree cittadine da parte delle basi, tra cui la Del Din, imposta da Berlusconi e Prodi ma osteggiata dalla gran parte dei vicentini, Achille Variati in primis, che ci vinse le elezioni, ma che ci piacerebbe sapere ora cosa ne pensa della “ideazione” dei suoi due figliocci politici Giacomo e Jacopo. Della genesi e di alcune, non poche contraddizioni dell’amicizia tra l’Italia, intesa come Istituzione non come popolo, e l’America del Nord, gli Usa, sempre l’Istituzione e non i suoi cittadini, oltre che del diverso legame con l’America del sud,

si occupa lo storico Emilio Franzina nelle pagine precedenti di questo numero di VicenzaPiù Viva (e negli scritti su ViPiu. it) e nel suo libro “America sorella? Italiani e italo discendenti in Brasile e nelle altre Americhe”, di cui vi proponiamo a seguire l’introduzione.

Qui ci occupiamo sinteticamente dell’aspetto veniale e, forse anche, procedurale/amministrativo dell’evento che non brilla di certo per trasparenza sulle entrate e uscite previste, di certo rilevanti se si considerano i gettoni per gli ospiti, gli ingaggi, le spese organizzative e di comunicazione, i compensi per i “direttori” e quant’altro.

Di sicuro c’è un piano delle entrate e uno delle uscite, ci siamo detti, e allora, seguendo la trafila di quella che sembrerebbe la struttura organizzativa (Fondazione Teatro Comunale, l’organizzatore, e quindi ente che emette fatture e ricevute e paga i compensi, Bulgarini ideatore e direttore e Comune di Vicenza come patrocinatore e facilitatore), ci siamo rivolti per tempo al segretario generale della Fondazione per chiedere lumi ufficiali. Per non dare adito a interpretazione, nostre e di chi legge, pubblichiamo lo scambio di mail col Dr. Pier Giacomo Cirella segretario generale (e col responsabile trasparenza non indicato nel sito) della Fondazione Teatro comunale di Vicenza. Leggete e fatevi un’idea su trasparenza e segreti (militari?).

ViPiu.it – VicenzaPiù Viva – 29 luglio 2025 …con la presente, in qualità di giornalista e direttore responsabile di testate registrate presso il Tribunale di Vicenza, tra cui ViPiu.it e VicenzaPiù Viva, Le chiedo cortesemente un incontro conoscitivo, propedeutico ad ogni eventuale altro ulteriore passo, se necessario, relativo ai contributi pubblici e privati, nonché alla documentazione economica, contrattuale e gestionale, connessi all’organizzazione dell’Italia–America Friendship Festival – Edizione 2025, evento patrocinato e promosso dal Comune di Vicenza e affidato alla gestione della Fondazione Teatro Comunale.

La richiesta è motivata da finalità di trasparenza e rilevanza pubblica di un evento che sta suscitando un notevole interesse mediatico e civico.

Nel ringraziarla per la sua attenzione, La saluto cordialmente.

Dr. Pier Giacomo Cirella – 30 luglio 2025… Gentile Ing. Coviello, la ringrazio per l’attenzione che rivolge alle nostre attività organizzative. Al momento e in relazione a quanto chiede il progetto, come saprà si poggia solo su finanziamenti privati o tanto meno comunali, né diretti o indiretti (aziende partecipate). La Fondazione Teatro, cura solo la parte organizzativa a fronte di un corrispettivo per i costi del personale impiegato

Semmai il Comune, che patrocina e promuove il progetto, ci dovesse chiedere informazioni maggiori sarà nostra cura informarlo sullo stato di fatto a consuntivo.

Un cordiale saluto.

ViPiu.it – VicenzaPiù Viva– 30 luglio 2025… Gentile dr. Cirella, nel ringraziarla per il cortese riscontro Le preciso che la nostra non è attenzione alla vostre attività organizzative classiche, che seguiamo sempre con nostri specifici collaboratori, ma che la mia specifica richiesta di informazioni per l’Italia-America Friendship Festival, che lei ci conferma che è curato organizzativamente dalla Fondazione TCVi, è motivata da finalità giornalistiche di trasparenza e rilevanza pubblica

Ciò premesso in relazione alla Vostra risposta, siamo a chiederVi:

New Message
JacopoBulgarinid’ElciePossamai

1) da chi proviene il corrispettivo a voi riconosciuto per la gestione della parte organizzativa in relazione ai costi del personale impiegato e a quanto ammonta tale corrispettivo?

2) La Fondazione riceve direttamente i finanziamenti privati? In quest’ultimo caso quali e di quali importi? Chi altro, se esiste, riceve finanziamenti per le attività organizzative da voi espletate e, in questo caso, come è regolato il flusso economico?

3) i costi organizzativi dell’evento (direzione progettuale, location, collaboratori esterni, ospiti, installazioni, logistica, sicurezza, servizi vari…) vengono tutti sostenuti direttamente dalla Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, o vi sono altri soggetti, pubblici o privati, che gestiscono direttamente le relative risorse e spese? In questo secondo caso chi sono questi soggetti e a quali aspetti sono deputati?...

Dr. Pier Giacomo Cirella – 31 luglio 2025… Gentile Ing. Coviello, ci sarà tempo per parlarne al mio ritorno a settembre dalle vacanze. La ringrazio sempre per l’attenzione e le invio i migliori saluti.

Le auguro buone vacanze.

ViPiu.it – VicenzaPiù Viva– 31 luglio 2025… Gent.mo direttore, forse non sono stato chiaro: è un argomento non di mia curiosità ma di interesse pubblico di cui ViPiu.it sta per scrivere e che non può attendere le sue, e mie, vacanze, tanto più che l’evento è programmato per il 12-14 settembre.

In caso di sua assenza di risposte dovrò prenderne atto pubblicamente.

Le sottolineo che l’ho contattata in maniera cortese.

Decida lei se dare visibilità o meno al mondo intorno al festival.

Io trascuro le mie ferie per il pubblico interesse e, nel caso, lei non voglia o non possa rispondere, neanche via mail, alle nostre domande, non credo non esista nella sua struttura chi mi possa rispondere con la stessa autorevolezza e rappresentatività.

Io sono qui, in attesa.

Dr. Pier Giacomo Cirella – 31 luglio 2025… Caro direttore, come le ho già scritto, il Festival Ita/Usa ad oggi non è finanziato da contributi pubblici italiani e credo questo possa rispondere alla mag-

gior parte delle sue domande. I finanziatori e promotori del progetto li trova facilmente pubblicizzati su sito e canali social del festival oltre che sulla sua stessa testata dato che ne ha promosso i contenuti fino a pochi giorni fa.Il pubblico interesse di cui lei parla avrebbe senso in caso di eventi sostenuti da enti pubblici e organizzati da enti pubblici, ma oltre a non essere questo il caso, come ente organizzatore non abbiamo l’obbligo di pubblicizzare importi di accordi privati tanto più con una testata giornalistica Spero di essere stato sufficientemente esaustivo…

ViPiu.it – VicenzaPiù Viva– 31 luglio 2025… Carissimo direttore, lei non ha, forse, l’obbligo di comunicare (poteva darci le varie cifre in ballo fra elargitori e beneficiari non indicandone i nomi) ma ci stupisce la sua frase “tanto più con una testata giornalistica”, che fa il suo mestiere.

Per sua conoscenza, ma la sua vice, che è sempre in copia lo sa, io ho imposto alla nostra concessionaria di rescindere l’accordo non pubblicitario ma di pubblicazione di redazionali (firmati come tali) appena ho avuto sentore del grigio intorno al Festival che lei non dissipa ma fa aumentare. La Fondazione, pubblica, non fa chiarezza, ne prendiamo atto Pubblicheremo e vedremo se altri faranno come lei sul vortice di denaro. Distinti saluti e, mi raccomando, buone ferie.

Insomma, la Fondazione del Teatro

Comunale di Vicenza alla fine non trova nulla di meglio che trincerarsi dietro i finanziamenti non pubblici (gent. mo dr. Cirella, per esempio, le sale e i luoghi pubblici oltre ad altri servizi e facilities concessi dall’amministrazione comunale di Vicenza al festival, che cittadini e aziende pagherebbero, sono pagati o se ne accolla le spese (mancato incasso) il Comune di Vicenza? Non è una forma di finanziamento pubblico?

Ma, poi, perché non ci ha voluto rispondere con chiarezza sugli aspetti economici, neanche sui totali degli introiti e dei costi previsti: se l’evento andasse in perdita paga, ad esempio, la Fondazione, se guadagna a chi va l’utile?

E su quelli fiscali. Non è chiara, infatti, la struttura con il Comune a fare da cappello a un evento e a un ideatore direttore, consigliere esterno senza gettoni, di cui lei, responsabile della Fondazione TCVi, non comunica compensi personali ed, eventualmente, di sue str utture societarie, compensi che non ci dice chi li abbia fissati: la Fondazione come organizzatore o un’entità ad oggi astratta? Lei organizza ma non decide nulla? Chi lo fa?

Potrei andare avanti con le domande ma lei è dovuto andare in ferie. Una, però una mi fa veramente preoccupare e gliela faccio, oltre alle altre, pubblicamente: questo sistema organizzativo

PierGiacomoCirellalancialastagione2025-2026delTcvi

in cui tutti fanno ma nessune decide e comunica, non è un po’ un marchingegno per evitare altre procedure di assegnazione dell’organizzazione?

Ovviamente, dopo un suo messaggio, successivo alle mail al dr. Cirella, Jacopo Bulgarini ha declinato il mio invito a parlare di numeri e fatti nell’intervisata, sempre per vacanze, che mi proponeva sui “massimi sistemi”.

Abbiamo scritto anche a NIAF (Office of Communications / Sponsorships) il 22 agosto questa mail (estratto)

According to public sources, the National Italian American Foundation (NIAF) is listed among the sponsors of the event.

“…In order to provide accurate and transparent information to our readers, I would kindly like to ask:

What are the specific activities and initiatives that NIAF will support during the Festival?

What is the total financial contribution or sponsorship amount provided by NIAF

for this edition of the Festival?

Your clarification will be highly valuable for our reporting and for offering the public a clear understanding of NIAF’s role and commitment in this cultural initiative….”

Beh, se lei, dr. Cirella, per lo meno era giustificato per l’evasività nelle risposte dalle indispensabili ferie, NIAF neanche ci ha risposto, mentre andiamo in stampa.

Forse la lobby (dei V-Shorad?) è impegnata a scegliere qualche residente a Vicenza per i prossimi premi nel loro gala 2026. Noi ci permettiamo di aggiungere ai nomi del nostro sindaco e del nostro “gettonato” consigliere esterno, senza gettoni, ai rapporti con la comunità americana, il suo nome: lei dirige un teatro e ha recitato molto bene la sua parte con la nostra “testata giornalistica”.

P.s. Leggete l’articolo e capite, se condividerete almeno le nostre domande, perché VicenzaPiù Viva e ViPiu.it sono poco graditi agli investitori pubblicitari tra cui quelli del Festival, cioè oltre al Teatro Comunale, Enel, Medical Tourism Italy, Save Aeroporti, Polo Marconi, Confindustria Vicenza, Fitt, Zamperla, Azimut e Gruppo ICM.

ViPiu.it

America Sorella? Italiani e italo discendenti tra Usa, Brasile e altre Americhe

Trenta giorni di nave a vapore fino in Merica ghe semo arivati, fino in Merica ghe semo arivati, no abbiam trovato né paglia né fieno abbiam dormito sul nudo terreno come le bestie che va a riposà… come le bestie che va a riposà…

America allegra e bella tutti ti chiamano l’America sorella!

Tutti ti chiamano l'America sorella tralallallero lallallero lallallà

Andremo coi carri dei zingari andremo coi carri dei zingari andremo coi carri dei zingari in America io voglio andar

E la Merica e l’è lunga e l'è larga, e circondata di fiumi e montagne. E con l’aiuto dei nostri italiani abbiamo formato paesi e città… abbiamo formato paesi e città…

America allegra e bella tutti ti chiamano l’America sorella!

Tutti ti chiamano l'America sorella tralallallero lallallero lallallà.

America allegra e bella tutti ti chiamano l’America sorella! È questo il ritornello, raccolto in Piemonte da Roberto Leydi nel 1963, di uno dei canti popolari più noti dell’emigrazione veneta in Brasile ed è stato scelto non a caso come titolo di un libriccino che a modo suo intende documentare e ricordare la diversa natura (o i differenti esiti e destini) dei movimenti migratori di massa i quali in determinate circostanze, fra ‘8 e 900, concorsero a creare, al di là dell’Atlantico (e quindi oltre che in Canada e in USA, soprattutto in centro e sud America) varie e composite comunità di “americani d’origine italiana”. Si tratta di un dato che occorre aver presente nel momento in cui a Vicenza si è pensato, con scelta sciagurata, di poter collegare l’identità cittadina con una perdurante presenza qui di truppe americane in due arbitrari insediamenti bellici adducendo a giustificazione il pretesto ridicolo di una sedicente iniziativa ”culturale” fatta per festeggiare (!) i primi 70 anni di occupazione militare straniera d’una parte preziosa della città e per giunta di giustificarla, senza vergognarsi nemmeno un po’, con la scusa ridicola di un omaggio dovuto e cioè reso all’arte, alla musica e alla cultura di matrici appunto nordamericane nonché, dulcis in fundo, in nome di relazioni rese plausibili dai vincoli di cuginanza etnica fra i vicentini e alcuni discendenti di gente “nostra” emigrata in USA alla fine dell’Ottocento. Non a caso l’ente chiave in qualità di finanziatore del progetto accanto al Comune guidato, per ironia del destino, da un giovane sindaco del PD risulta essere la Niaf, ovvero la National Italian American Foundation, un sodalizio sorto nel 1975 ed emulo tardivo dell’Order Sons of Italy in America, la maggiore e più antica (anno di nascita il 1905) delle grandi associazioni italo americane nel nord del nuovo continente.

La Niaf ad ogni modo è un’organizzazione con sede a Washington, DC, che si vanta di essere portavoce dei circa 20 milioni di cittadini italonordamericani membri di famiglie per lo più meridionali residenti oggi negli Stati Uniti. Gli scopi dichiarati della Niaf sono quelli

di incoraggiare questi italonordamericani a perseverare nella difesa della propria identità “mista” mantenendo viva una particolare eredità culturale e valorizzando il contributo fornito dagli immigrati (nel caso di specie giunti soprattutto dal Sud Italia) alla storia e al progresso dell’America (sempre sottinteso del Nord). A tale scopo la NIAF si vanta di collaborare con il Congresso e con la Casa Bianca su tutte le principali questioni che interessano a suo giudizio gli italonordamericani. Per celebrare la presunta eredità che li unirebbe e gli obiettivi da essi sin qui raggiunti, senza disdegnare evidentemente quelli di carattere politico militare perseguiti dal proprio paese di adozione, essa organizza ogni ottobre a Washington il suo Anniversary Gala, a cui partecipano di norma sia il Presidente degli Stati Uniti che molte figure di spicco dell’arena politica, finanziaria e culturale assieme ai più illustri esponenti del mondo italonordamericano oltre a un migliaio di invitati dagli Stati Uniti e dall’Italia. Nell’occasione, la NIAF assegna onorificenze e riconoscimenti a personalità italiane e italonordamericane che si siano specialmente distinte o segnalate nel loro ambito professionale come potrebbe succedere nel prossimo futuro al Sindaco Giacomo Possamai e al suo “consigliere esterno” Jacopo Bulgarini d’Elci, l’infausto ideatore dell’osceno Italia-America Friendship Festival di Vicenza “capitale dell’incontro tra cultura italiana e statunitense” programmato a Washington l’11 e 12 luglio 2024 nell’ambito dello stesso vertice militare della NATO nel quale

FOCUS FESTIVAL ITALIA-AMERICA

veniva deciso l’invio nella città berica di un bel po’ di nuovi missili americani V-Shorad. Se ci fosse ancora qualche dubbio sul tipo di amicizia culturale e festivaliera a stelle e strisce made in Vicenza sabato 25 ottobre 2014 in occasione del gala NIAF veniva già consegnato l’Italy-America Friendship Award a Fabrizio Francesco Vinaccia, vicepresidente senior per gli affari istituzionali di MBDA Italia SpA, le divisione tricolore di MBDA , il principale consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa per i settori dell’aeronautica, della marina militare e delle forze armate terrestri, partecipato da Leonardo per il 25% e terzo produttore mondiale del settore dietro le statunitensi Lockheed Martin e Raytheon. E cosa fa il consorzio e la sua sussidiara italiana? Sviluppano e producono, anche per le forze armate italiane, proprio i missili V-Shorad… Data della decisione sul lancio del festival e premio all’industria missilistica sono, insieme, una concomitanza rivelatrice e significativa per ciò che concerne le intenzioni del giovane tirapiedi del Pd impegnatosi, novello Vigdun Quisling, a far svolgere anche nella nostra città “un evento multidisciplinare e internazionale” finalizzato, secondo lui, a “esplorare, celebrare e rafforzare legami storici, artistici, enogastronomici, sportivi, sociali ed economici” tutti in realtà secondari o addirittura inesistenti fra Italia e USA tacendo prudentemente gli aspetti sgradevoli (e prevalenti) di un rapporto invece di vergognosa sudditanza sancito non a caso dalle armi, dalle caserme e dall’espropriazione da parte degli Stati Uniti di cospicue parti del territorio cittadino. Gli italonordamericani e i caratteri del loro associazionismo in USA non costituiscono, comunque, l’argomento principale (e nemmeno secondario) di un opuscolo sull’emigrazione italiana e sui suoi esiti in alcune “altre Americhe” imbastito con il supporto di saggi e di studi comparsi nell’arco di trent’anni (1992-2022) ma scelti, come appresso si vedrà, privilegiando non a caso appena alcuni aspetti di fenomeni epocali che nel festival

Il lancio di un missile V-Shorad

farlocco di Possamai&Bulgarini d’Elci saranno richiamati simbolicamente da un unico episodio marginale e poco conosciuto dell’emigrazione italiana in USA fra Otto e Novecento: poco conosciuto, s’intende, dai pubblicisti dilettanti, ma niente affatto trascurato dagli storici di professione o per passione come Milani, Vecoli, Whayne, Martellini o da ultimi, in Veneto e per così dire in tandem, Trivelli&Caleffi, i quali ne hanno parlato (modestia a parte me compreso fra i primi) in ponderosi saggi e in libri ahimè per soli specialisti. Quello delle famiglie di Recoaro e di Valli del Pasubio finite assieme ad

altri contingenti di emigranti non solo veneti ma pure marchigiani e lombardi nella vasta regione del Mississipi Delta (e quindi da Sunny Side a Tontitown nell’Arkansas e a Knobiew-Rosati in Missouri nonché da Grenville al territorio a nord di Vicksburg fino ai confini col Tennessee, nello stato del Missisipi), benché gli siano stati dedicati di recente persino docufilm inevitabilmente suggestivi come Cries from the Cotton Field per la regia di Larry Foley, costituisce appena una goccia nel mare dell’immensa emigrazione italiana negli Stati Uniti e cioè quella dei lavoratori di estrazione rurale destinati a tro-

vare impiego anche lontano dalle città nel sud del paese come braccianti di cui si prese cura una tantum il clero scalabriniano (qui il forlivese padre Bandini) assecondando una “missione” svolta del resto da molti sacerdoti italiani più o meno nello stesso giro di anni, ma più in grande stile, assieme ai salesiani e ad altri ordini religiosi, nel Brasile e in Argentina fra Otto e Novecento. Sia come sia, questa esperienza in Arkansas rappresentò comunque una frazione infinitesimale dell’enorme flusso di persone rovesciatosi nelle Americhe provenendo in prevalenza dal Mezzogiorno d’Italia e destinate a insediarsi nel nostro immaginario in veste di protagoniste ed eredi soprattutto delle gesta, non di rado malavitose (ossia alla Scarface alias Al Capone) degli italonordamericani nelle Little Italies di New York, di Philadelphia, di Chicago ecc. tanto fra le due guerre quanto in periodi successivi come ben ricorderanno gli spettatori di film e di serie televisive in auge anche da noi dopo il successo planetario arriso al Padrino (The Godfather) di Francis Ford Coppola. Centinaia di migliaia furono del resto, sino quasi alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso, gli immigranti per lo più proletari e di norma politicizzati, come gli operai socialisti dell’Alto Vicentino seguaci dei wobblies alla Sacco e Vanzetti, i quali si fissarono (e si “riprodussero”) in gran numero nell’America urbana e industriale inclusa, sulla sponda del Pacifico, la California dove a Los Angeles e a San Francisco molti di loro sfruttarono a scapito di cinesi ed asiatici la prerogativa di essere percepiti dai nativi wasp (White Anglo-Saxon Protestant) come ultimi campioni, sia pur di serie B, d’una stessa razza “sulla frontiera dell’uomo bianco” ben analizzata e illustrata da un recente e originale libro di Tommaso Caiazza. Se le loro storie individuali e di gruppo contribuirono a plasmare molte forme della presenza italiana in USA, infinitamente più incisivo e pervasivo c’è da dire che fu l’influsso esercitato nel centro sud del nuovo continente dagli italiani i quali vi si erano portati “innestandosi” nel suo seno in quantità largamente superiore come questo mio lavoretto di raccolta si sforzerà nuovamente di spie-

gare a fin di bene. Esso, infatti, si prefigge perlomeno l’obiettivo di far riflettere anche solo sui dislivelli e sulle diversità dei fenomeni generati da un secolo e mezzo di mobilità umana quando, come in questo 2025, si celebra ad esempio in Brasile senza bisogno di festeggiarlo da noi con discutibili fescennini a sfondo politico militare il centocinquantesimo anniversario dell’arrivo nell’ex colonia portoghese dei primi folti contingenti di italiani, inclusi molti veneti e vicentini, avanguardia già cospicua in partenza di quelli destinati a generare via via una panoplia di discendenze che fanno ammontare oggi, contro i circa 20 stimati per gli Stati Uniti, a più di 30 milioni gli individui di origine italiana in larga parte concentrati nel centro sud del paese e cioè soprattutto a San Paolo, a Minas e nel Rio Grande do Sul. A confronto di tale massa imponente di italo discendenti - per lo più veneti e settentrionali - che vivono attualmente in Sud America (ossia oltreché in Brasile soprattutto, com’è risaputo, in Argentina dove il loro numero se possibile oltre-

passa addirittura i 32 milioni), sfigurano alquanto, senza che ci si debba per ciò disinteressare di loro, gli assai meno numerosi eredi dell’emigrazione meridionale italiana in USA. Anche questo qualcosa vorrà dire sebbene la rilevanza quantitativa o se si preferisce la netta preponderanza degli italo brasiliani e degli italo argentini (tre volte più numerosi, se messi assieme, degli italo statunitensi) meriti senz’altro qualche riflessione supplettiva per il rispetto dovuto ai protagonisti di fenomeni non tutti destinati a sfociare, ai giorni nostri, in imbarazzanti complicazionichiamiamole così – d’ordine nient’affatto “culturale” sul tipo della occupazione manu militari di territori e di risorse altrui: Brasile e Argentina, pur avendo in comune con la cultura e con l’arte italiana moltissime cose oltre a una grande immigrazione non hanno, che si sappia, basi militari e soldati loro in Italia (e men che meno a Vicenza), mentre il secondo paese latinoamericano, su basi migratorie, ci ha fatto dono semmai di un grande pontefice che oggi in tanti già rimpiangono come il

piemontese platense Jorge Mario Bergoglio. L’America “sorella”, insomma, è quella rappresentata da loro e non certo dagli Stati Uniti siano o meno trumpiani. Di un dettaglio del genere non si sono curati e si sono anzi apposta disinteressati sia Giacomo Possamai che, occorre rilevarlo, il Pd locale ossia il partito al quale egli appartiene e a cui, quando sarà il momento, c’è da scommettere che verranno a mancare, a Vicenza, parecchi voti preziosi nonostante due anni di buon governo cittadino (sin qui soprattutto dichiarato) e di fin troppi cantieri, tra pleonastici ed effettivi, come quelli discutibili e anzi orrendi della TAV TAC destinata a sfregiare irrimediabilmente la città. Per stile e per comportamenti riconoscibilissimo in realtà come virgulto sempreverde di antica scuola democristiana, Possamai si adatta e risente non poco dell’esempio offertogli da Achille Variati "suo mentore vicario anche grazie alla mediazione di un consulente ad acta nefanda" messosi per primo a disposizione dei potenti padroni d’oltreoceano (ora guidati da Donald Trump) come l’ineffabile Bulgarini d’Elci. Ma lui stesso, a ben guardare, non è poi da meno. Intervistato dal direttore del

ImmigrationpointdiEllisIsland

“Giornale di Vicenza” Marino Smiderle, un altro bel tomo giornalistico e perfetto prototipo di Yes Man costantemente al servizio degli interessi USA nel Veneto e in Italia, Possamai a meno di un mese dall’inaugurazione del nefasto festival da lui affidato in gestione a enti e istituti soggetti rigorosamente a controllo municipale (teatri, biblioteche, archivi, musei et similia, ma anche associazioni un tempo accasate presso una defunta Camera di Commercio come i “Vicentini nel mondo”) si è detto sicuro "nel bel mezzo della calura ferragostana" che non ci saranno né per la tenuta della sua Giunta né per l’ignobile appuntamento settembrino da essa avallato sorprese ovvero “contraccolpi” di sorta. Dando l’impressione di aver preso un colpo di sole l’uomo si è anzi spinto a dichiarare che lui, bontà sua, capisce “chi contesta e vive con disagio l’idea che in questo momento ci sia questo festival”, ma non, come ci tiene subito a precisare, a causa di ciò che sta dicendo e facendo “anche nei confronti dell’Europa” quel personaggio imbarazzante e sconvolgente di Trump, bensì perché si è prossimi all’inaugurazione (dopo 10 anni di attesa e di alluvioni!) del Parco della Pace “in una città – ipse dixit – che ha vissuto le sue manifestazioni di piazza più importanti proprio in occasione della realizzazione della seconda base militare al Dal Molin”, manifestazioni a cui – ci tiene molto a sottolineare - all’epoca anch’egli ha partecipato. A parte il dettaglio delle manifestazioni “in occasione della”, che sarebbe stato di gran lunga più corretto definire “contro la” realizzazione, della base non è forse commovente la rimembranza del giovinetto sceso in piazza sedicenne assieme a decine di migliaia di vicentini per contestare l’impianto nella sua città di un secondo manufatto di guerra americano prima di avviare il tirocinio politico che a un certo punto lo avrebbe anche portato per due mesi in USA a fare campagna elettorale per i democratici assieme al coetaneo Giovanni Diamanti, divenuto poi il suo spin doctor e da lui insediato alla guida del-

la Fondazione del Monte di Pietà vicentino, ovvero a fare l’agit prop nella campagna per il voto d’oltreoceano a sostegno della riconferma di Barack Obama alla Casa Bianca? Ignaro di una simile deriva ero stato profetico e avevo forse ragione io il 16 febbraio del 2007 alla vigilia della gigantesca manifestazione che si sarebbe svolta all’indomani contro l’erigenda base in una delle mie conferenze spettacolo storico musicali (Semo tuti americani) fatta al Teatro Astra e chiusa in bellezza da Dario Fo e da Franca Rame, a inserire fra le usuali provocazioni scherzose da palcoscenico quella tesa a rivendicare per tutti i sudditi, vecchi e nuovi, degli Stati Uniti la concessione del diritto di cittadinanza (e soprattutto di voto) a imitazione di quella elargita da Caracalla nel 212 d.C., con un suo famoso editto, a quasi tutti gli abitanti dell’Impero romano. Ma il giovane Possamai di allora l’a-

vrebbe trovata ingegnosa e plausibile o l’avrebbe percepita come sembra fare oggi alla stregua di una provocazione infondata e strumentale di quelle escogitate da chi critica a torto o senza ragione una kermesse “culturale” apologetica dell’intrusione militare statunitense a casa nostra? Niente paura e nessuna contraddizione, tuttavia, perché secondo Possamai oggi si tratterebbe di tutt’altra cosa. Quello in programma a settembre, ci tiene infatti a sottolineare, “non è un festival di geopolitica: nasceva, oltre un anno fa, facendo riferimento a punti in comune legati alla cultura e all’architettura. Nasceva dalle associazioni degli italoamericani, legate agli emigranti. Ripeto, io non credo che possa creare contraccolpi. Ma penso anche che sia giusto che chi non lo condivide possa manifestare la sua opinione.” Come e dove (ma anche perché) sia nata ,’inconsulta iniziativa l’abbiamo ben capito ed anche già detto qui sopra, sebbene dovremo forse essere tranquillizzati più che dalla vistosa reticenza sulla genesi reale, nel luglio del 2024, del progetto sedicente culturale, dalla dichiarazione conclusiva di Possamai che appare obiettivamente curiosa e oltremodo impegnativa: e in effetti ci vuole del coraggio a formularla, diversamente dal passato, di questi tempi (orribili) che vedono in azione autocrati intolleranti come Donald Trump capace di dialogare magari col suo omologo Putin, ma divenuto soprattutto un campione e un modello di prevaricazioni senza limiti per gli uomini (e per le donne) di governo inquietanti che ab-

Ilnaufragiodelpiroscafo“Sirio”-Lacopertinadella“DomenicadelCorriere” del19agosto1906,disegnatadaAchilleBeltrame

biamo anche in Italia a non voler parlare di altre parti del mondo (dai paesi in balia di feroci dittature militari al mostruoso Stato canaglia d’Israele finito in mano all’accolita nazisionista guidata da Benjamin Netanyhau, un assassino seriale emulo se non addirittura peggiore del vecchio e caro Adolfo d’antan). Che cosa c’entri tutto ciò con le proposte di lettura che sto introducendo qui potrebbe sulle prime sfuggire, ma molte sono le cose che si tengono quando si riescano poi a vederle tutte insieme ovvero ben collegate fra loro quantunque all’apparenza in maniera arbitraria. Ho scelto comunque, avendo in materia qualche competenza, di occuparmi in particolare

della componente “emigratoria” dell’evento sedicente culturale d’inizio settembre e lo farò quindi in sintesi per onorare il titolo ammiccante attraverso un percorso espositivo finalizzato a far emergere laddove più forti furono e dove tutt’ora sopravvivono (con le inevitabili limitazioni note agli storici e ai demografi) le effettive eredità e le relazioni “italiane” sopravviventi tanto negli Stati Uniti quanto, soprattutto, nelle “altre Americhe” - e particolarmente in Brasile la vera “America sorella” della canzone - attraverso il recupero di biografie, di testimonianze e di vicende che avrebbero meritato esse sì di essere ricordate a Vicenza con un festival appropriato. Dal 1973

sino al 2001 mi capitò spesso studiando l’emigrazione veneta e italiana, di analizzare i rapporti fra il nostro paese e quelli d’oltreoceano, compresi quindi gli Stati Uniti dedicandovi ampio spazio in libri impegnativi come Gli italiani al nuovo mondo (Mondadori 1995). A far data dal 2001, tuttavia, venni in parte meno a tale impegno e smisi di privilegiare l’esperienza nordamericana dopo la deriva ultra imperialista e bellicista della politica estera di Washington seguita all’attentato alle Twin Towers del World trade Center e mai più modificata poi nemmeno dai Democratici di Obama. In accordo con chi dal 2003 in avanti aveva preso a scendere in piazza contro le guerre di Bush jr. per le centinaia di migliaia di vittime provocate in Medio Oriente a cominciare da un paese, l’Iraq, accusato falsamente di detenere - e di essere pronto a usare - delle armi di distruzione di massa, misi cioè in atto una forma privata di protesta “culturale” smettendo di prestare troppa attenzione agli USA incoraggiato del resto dal fatto che mi pareva degna cosa studiare, anche qui nel bene e nel male, gli esiti della nostra grande emigrazione al Cono Sud e soprattutto in Brasile. Dal mio originario interessamento alla storia dei paesi transatlantici di maggiore accoglienza per gli italiani ovvero il Brasile e l’Argentina, ribadisco la vera “America sorella”, derivano articoli e saggi come quelli che pubblico in questa sede allo scopo di far emergere le peculiarità e le “prevalenze” di fenomeni talvolta distanti sia per dimensione che per esiti da quelli italo statunitensi facendoli però precedere (ma in un caso anche seguire) da un lavoro1 che marcò un tornante di notevole importanza, nel 1998, della mia carriera di studioso dell’emigrazione italiana nelle Americhe e poi da alcuni interventi “di soglia”, per dirla alla Genette, su esperienze di vita e di scrittura altrui ossia da prefazioni vecchie e nuove riguardanti alcuni protagonisti minori di una grande storia che merita sempre di essere ricordata.

Vicenza: il caso parcheggi partito dalle nostre testate e il contenzioso annunciato con GPS

La cronologia della vicenda: dall'affidamento del servizio fino

alla risoluzione del contratto e al recupero crediti ad oggi

senza conclusioni note

L'imprenditore(principe)FilippoLodettiAlliata,amministratoreGPS(fotodaIlMioGiornale)

“Il direttore del settore Mobilità, Trasporti ed Infrastrutture ha firmato oggi la deter mina per la risoluzione in danno nei confronti di GPS Global Parking Solutions SpA del contratto di concessione di servizi per la sosta tariffata del Comune di Vicenza per la durata di 9 anni e per la contestuale escussione della

polizza fidejussoria del valore di 2 milioni di euro”.

Iniziava così la comunicazione ufficiale con la quale, il 7 agosto 2025, da Palazzo Trissino l’amministrazione comunale rendeva nota la determinazione nei confronti di GPS, inadempiente nei confronti dell’ente, attesa da diverso tempo. Il caso del contestato appalto per la

gestione della sosta a Vicenza era stato sollevato per primi da noi, su ViPiu. it fin da maggio 2023 e su VicenzaPiù Viva dal primo numero del suo ritorno in edicola ad agosto 2023 in cui il caso “guadagnava” la copertina, con un’inchiesta approfondita e numerosi articoli, sia online che su questo cartaceo, con report, oltre che delle lamentele dell’utenza sui numerosi malfunzionamenti dei parcheggi gestiti dalla società del gr uppo palermitano Final spa dei principi Lodetti Alliata, anche e soprattutto su nostre indagini su inadempienze contrattuali, ad esempio e ab originis per il numero contrattualmente insufficiente di accertatori della sosta, dopo le segnalazioni al RUP del Comune di Vicenza, da parte della allora Stazione Unica Appaltante (SUA) della provincia, di anomalie nell’assegnazione dell’appalto comunque andata a buon fine per GPS e ora con una pessima… fine per il Comune, le sue casse e i servizi all’utenza. Avevamo inoltre riportato, recentemente, anche le preoccupazioni espresse in consiglio comunale riguardo alla “notifica dell’avvio di un procedimento di interdittiva antimafia nei confronti di Piacenza Parcheggi”, società dello stesso gruppo e controllata da Global Parking Solutions. Ma, prima di giungere alla risoluzione del contratto, che segnerà l’inizio di

IlsindacoPossamaiel’ing.PaoloGabbi

una ulteriore fase del contenzioso, la vicenda si è srotolata nel tempo e qui ne ripercorriamo con i lettori i passaggi chiave.

Si parte dal 2021, ad ottobre, quando il Servizio Mobilità, Trasporti e Lavori pubblici del Comune di Vicenza, con propria determina e al termine di un lungo iter concorsuale, aggiudica la concessione di servizi per la sosta tariffata del Comune di Vicenza per la durata di nove anni a GPS Global Parking Solutions Spa, con sede a Piacenza. Al Comune di Vicenza – stabilisce l’accordo – dovranno andare in cambio una quota fissa da circa 4 milioni 100 mila euro l’anno e un canone variabile pari all’80% del valore della produzione annuale (sostanzialmente i ricavi) che l’azienda ottiene dalla gestione dei parcheggi, inclusi quelli della pubblicità.

La determina indica la data in cui la concessione entrerà in vigore: il 1° gennaio 2022. Fino al subentro del nuovo aggiudicatario così deciso, viene prorogato l’affidamento della gestione dei servizi alla società di settore di AIM Spa.

Ovvero, proprio la multiservizi pub-

blica di Vicenza, poi confluita in AGSM AIM, che aveva in gestione la sosta fino al nuovo bando. AIM Mobilità, ora AGSM AIM Smart Solutions, partecipò, infatti, alla gara, ma non riuscì ad aggiudicarsi il contratto, che all’epoca, con i sindacati, reputava fondamentale, oltre che storicamente suo, risultando ultima in graduatoria con una offerta che è stata giudicata negativamente sia dal punto di vista

economico che tecnico. Global Parking Solutions si è poi – come abbiamo visto – aggiudicata la concessione, superando la concorrenza anche di un altro operatore economico di caratura nazionale, un consorzio di grandi dimensioni, classificatosi al secondo posto, la Municipia Gestopark di Trento.

2023: dopo i primi mesi di gestione caratterizzati da processi di “ambientamento” del nuovo gestore e conseguenti modifiche al servizio, con piani e progetti di miglioramenti infrastrutturali previsti dal capitolato, suonano i primi campanelli d’allarme.

In particolare, dalle pagine di ViPiu. it, oltre a rilanciare le segnalazioni dei primi problemi nel servizio, vengono riproposte notizie da fonti di stampa circa i “guai giudiziari” che interessano il gruppo Final-Alliata, Filippo Lodetti Alliata, principe palermitano patron della Final, e le società controllate tra le quali figura anche GPS. Da Expo Milano (dalla stampa nazionale “Lodetti Alliata è stato assolto con formula piena dall’inchiesta della Procura di Milano sugli appalti, ndr), ad altri capoluoghi italiani come Catania, Foggia e Piacenza sembra che il colosso della sosta si trovi sempre invischiato in inchieste e disservizi.

Nell’estate del 2023, e anche nei mesi precedenti, la vicenda assume anche connotazioni politiche. All’e-

poca il governo di Vicenza è passato da poco nelle mani del centrosinistra capeggiato dal nuovo sindaco Giacomo Possamai. In uno dei primi consigli comunali si registrano attacchi alla precedente gestione sul tema parcheggi che il neo sindaco, in campagna elettorale, si era impegnato ad affrontare.

Ovvero, alla giunta di centrodestra con sindaco Francesco Rucco, auto-dichiaratosi all’epoca “civico”. Referente per la questione era il vicesindaco leghista Matteo Celebron che aveva evidenziato un certo nervosismo. Esemplare è stata la polemica con la nostra testata (segnatamente con il direttore Coviello e il collega Milioni, ndr) a seguito degli articoli sulle questioni giudiziarie del nuovo gestore, incentrata non tanto sulle questioni sollevate (disservizi e legami tra GPS e gruppo Final-Alliata) quanto su un dettaglio irrilevante: la didascalia di una foto Il nuovo governo cittadino dà dunque avvio a una serie di verifiche e spesso interviene per richiamare GPS al rispetto degli accordi previsti dall’appalto circa, ad esempio, gli investimenti per l’implementazione tecnologica e l’attivazione di nuovi servizi ma non dà, a parere della testata, sufficiente importanza ai rilevi qui mossi che for-

se potevano portare ad un’accelerazione di una soluzione, magari concordata, che non fosse quella odierna ad oggi gravosa per l’ente pubblico.

Bisogna, quindi, attendere il 2025 perché la vicenda sulle inadempienze del gestore subisca una forte accelerazione.

A febbraio, dopo infiniti scontri e tavoli tecnici che non avevano portato a nessun accordo, il Comune respinge le osservazioni e le richieste di GPS in merito ad un preteso disequilibrio contrattuale, in parte concordemente sanato, che avrebbe portato il contratto di gestione ad essere troppo oneroso per la società concessionaria. Aprile 2025: la situazione economica si aggrava. A inizio mese il Comune di Vicenza convoca una conferenza stampa per annunciare di aver notificato a GPS la richiesta di versare circa 5 milioni di euro di canoni arretrati. La società ricorre al TAR del Veneto per bloccare il pagamento (l’udienza si sarebbe tenuta il 16 aprile, ndr).

In un clima di “silenzio politico”, si registra l’interrogazione di Raffaele Colombara, consigliere comunale di

Per una grande Vicenza, nella quale si inizia a parlare apertamente della possibilità che il Comune, guidato dal sindaco Giacomo Possamai, proceda alla risoluzione del contratto in caso di mancato versamento. Nei giorni successivi all’udienza del Tar Veneto, che si riserva di decidere entro la fine del mese, anche la maggioranza inizia a parlare di “rescissione”.

Luglio 2025: Il TAR del Veneto non giunge a una sentenza definitiva, ma rigetta la richiesta di sospensiva avanzata da GPS per bloccare il pagamento. L’assessore alla Mobilità del Comune di Vicenza, Cristiano Spiller, esprime soddisfazione per la decisione. A questa data, il debito di GPS nei confronti del Comune ammonta a circa 7 milioni di euro.

Nei giorni immediatamente successivi le nostre testate, attraverso un ar ticolo dell’avvocato Marco Ellero, sottolineano perplessità circa la fideiussione contrattuale a parziale copertura dei canoni inevasi dal momento che in una analoga vicenda a Piacenza che riguarda la società locale controllata da GPS questa garanzia ha trovato non poche difficoltà, tanto che i media locali (con i quali ViPiù collabora, ndr) documentarono la falsità della stessa.

Infine, arriviamo al punto dal quale eravamo partiti. Agosto 2025: La vicenda arriva a un punto di svolta. Il Comune di Vicenza decide di risolvere il contratto con GPS per grave inadempienza. Il consigliere Raffaele Colombara, che fa parte della maggioranza, spesso con un ruolo di suo “stimolatore”, richiede che gli atti vengano trasmessi alla Corte dei Conti per verificare eventuali responsabilità erariali nella gestione del bando e del contratto. Nel frattempo, il sindaco Possamai dichiara che, includendo anche l’IVA, il debito non versato da GPS ha raggiunto i 9 milioni di euro

Nello specifico, nel momento in cui scriviamo è in procinto di maturare (al 31 agosto 2025, ndr) un’ulteriore rata semestrale che Gps dovrebbe versare

all’ente di Palazzo Trissino, “con una situazione che andrà quindi ad assommare a € 6.906.534,92 oltre all’IVA di legge il debito di GPS Spa che risponde per circa 1,2 milioni mediante investimenti non ancora ammortizzati e per ulteriori 2 milioni mediante polizza fidejussoria – spiegava il Comune –. La restante quota di circa 3,7 milioni di euro sarà oggetto di richiesta di recupero da parte dell’avvocatura comunale con attivazione di tutte le procedure a tutela degli interessi dell’amministrazione, compresa l’eventuale istanza di liquidazione giudiziale della società concessionaria”.

Si attende quindi di capire come evolverà la vicenda nelle aule dei tribunali, senza escludere ulteriori ricorsi da par-

te del privato presumibilmente volti in senso contrario alla decisione del Comune di risolvere il contratto e battere cassa. Intanto è il caso di ricordare – per completezza della ricostruzione – che il Comune di Vicenza ha annunciato che procederà con “l’individuazione di un nuovo soggetto gestore della sosta tariffata mediante scorrimento della graduatoria dell’originale procedura di gara, con subentro alle medesime condizioni dell’uscente”.

Una cosa resta certa: la vicenda merita attenzione, aggiornamenti continui e obbiettività, trattandosi in fin dei conti di soldi pubblici. Un modus che da sempre contraddistingue il nostro gruppo editoriale, che, nel frattempo, mentre regna di nuovo il silenzio sul-

le attività conseguenti alla rescissione del contratto con recupero crediti, ha inviato a chi di competenza del Comune di Vicenza questa richiesta, ad oggi, mentre andiamo in stampa, inevasa.

“In merito al caso GPS e al recupero crediti in corso siamo a chiedere se:

1 - la fideiussione sia stata verificata stanti esempi negativi per il caso analogo a Piacenza

2 - quale fosse l’emittente della garanzia

3 - cosa e quanto coprisse

4 - se sia stata escussa e con quale esito

5 - quali passi sono in via di attuazione nel caso di esiti negativi dei punti 1 e 2

6 - come si intende recuperare il credito complessivo”.

1°agosto202

autore dell’articolo Paolo Marino

Bilancio della sanità veneta nei 15 anni di Luca Zaia

Dietro i 15 anni di slogan pronto soccorso più cari d’Italia, cittadini costretti a indebitarsi per curarsi e un sistema pubblico svuotato a vantaggio dei privati.

I quindici anni di governo del Veneto di Luca Zaia se ne stanno andando senza un bilancio serio. Intendiamo un bilancio tecnico sulle cose fatte, misurate sulla distanza dalle promesse. Sui cieli del Veneto campeggia solo il 75% del consenso con cui il presidente è stato eletto nel 2020. Una percentuale scritta a caratteri cubitali, mai raggiunta da nessuno e sfoderata ultimamente in tutti i discorsi dall’interessato, preoccupato di vendere cara la pelle con la promessa-minaccia di una sua lista da barattare con un posto nell’empireo della politica. Altro non si vede.

A colmare la lacuna arriva una analisi sulla sanità del Veneto negli ultimi 15 anni da parte di due tecnici. Uno è Franco Toniolo, già direttore generale della sanità ai tempi di Giancarlo Galan presidente e Flavio Tosi assessore alla sanità, l’altro è Ubaldo Scardellato, anche lui ex dirigente in diverse Usl. L’analisi è contenuta in un libro che si tiene alla larga da valutazioni politiche. Misura le cose usando il duro linguaggio degli atti ufficiali e delle normative con cui la Regione ha impartito le linee di governo della sanità veneta con il piano socio sanitario 2012-16 e con il successivo 2019-23.

Per cominciare i due fanno giustizia della nomea con la quale di volta in volta il Veneto viene collocato in cima alla graduatoria delle regioni italiane per la capacità di governo della sanità. La situazione è molto ondivaga, ma la verità è che il Veneto dal 2019 perde posizioni. Il mo-

Sanità e sociale in Veneto di Toniolo e Scardellato

nitoraggio dei Lea (livelli essenziali di assistenza) vedeva nel 2020 in testa la Provincia di Bolzano, seguita dalla Provincia di Trento e al terzo posto la Regione Emilia Romagna. Nel 2021 la graduatoria era Emilia Romagna, Toscana e Provincia di Trento. Nel 2022 il Veneto era al quinto posto. Nel 2023 tornava secondo, dietro l’Emilia Romagna.

Stando ad una ricerca Unipol-Ambrosetti il Veneto è secondo in Italia per l’offerta sanitaria, quarto per la salute della popolazione e per la spesa over 65, nono per gli asili nido, diciottesimo per le politiche del lavoro.

Insomma, un saliscendi. Ma queste graduatorie orchestrate con criteri non omogenei «stridono con la percezione e la reale esperienza dei cittadini», scrivono i due autori, «soprattutto quanto a liste d’attesa e spese per visite specialistiche». Percezione che non risulta campata in aria: i veneti sono costretti a integrare la spesa sanitaria pubblica con soldi che escono direttamente dalle loro tasche. Nell’out of pocket (dirlo in inglese sembra perfino bello) occupiamo le posizioni più alte in Italia.

Unica preoccupazione contenere le spese

La prima osservazione che si impone nell’esame del piano sociosanitario 201216 è la sterzata che la Regione imprime rispetto all’organizzazione precedente, cominciando a staccare l’intervento per la sanità da quello per i servizi sociosanitari.

Con pesanti ricadute sul territorio, come vedremo. Ma il fatto più importante è la riforma delle Usl, trasformate nel 2016 in Aziende e portate da 21 a 9. Una per provincia era stata l’impostazione: poteva essere anche un criterio, peccato che le province venete siano 7, le due Aziende in sovrannumero (Veneto Orientale e Bassano) obbediscono a esigenze d’altro genere, evidentemente clientelari. L’operazione provoca un allungamento a dismisura della catena di comando. Scompaiono strutture ospedaliere bipolari, come Dolo-Mirano, Castelfranco-Montebelluna, Cittadella-Camposampiero, che facevano da filtro agli ospedali superiori. Questo nella convinzione che l’ospedale del capoluogo possa far fronte a tutte le funzioni. E in vigenza di un piano che prevedeva dimensioni tra 200.000 e 300.000 abitanti per ogni Usl si arriva a dimensioni di 900.000 abitanti

per Azienda sanitaria.

A governare il sistema viene inventata l’Azienda Zero, che accentra tutte le funzioni (personale, acquisti, formazione, spesa, perfino l’attività istruttoria sulla programmazione…) svuotando di potere i 9 direttori generali, ma anche lo stesso Consiglio regionale. «Niente del genere esiste in Italia», commenta un altro grande ex dell’amministrazione sanitaria regionale, Pietro Gonella, citato nell’appendice del libro. «Una struttura mastodontica, trofeo personale del direttore generale Domenico Mantoan, figlia di un decennio di guida militaresca della sanità veneta, annientatrice di qualsiasi spazio di dialogo e confronto».

Nell’esaminare quello che il piano prevedeva e quello che è stato fatto, Toniolo e Scardellato registrano che non si trova traccia della riduzione dei posti letto annunciata.

Si volevano governare le liste d’attesa con aperture serali e festive delle strutture pubbliche, offrendo prestazioni sanitarie in orari alternativi. I numeri dicono che è stato un fallimento: per le visite specialistiche risultano 136.203 accessi su oltre 4 milioni di prestazioni effettuate.

La copertura assicurativa rimane un grosso problema: polizze e compagnie inadeguate costringono le Aziende sanitarie ad autoassicurarsi e spingono i medici a praticare una medicina difensiva (mi salvo dalla mancanza di copertura assicurativa evitando di correre rischi, a danno del paziente).

La valutazione conclusiva è tranchant: tutta l’attenzione dell’amministrazione regionale è concentrata sul contenimento della spesa, che viene conseguito con tagli lineari. Chiamando i pazienti a contribuire alla spesa, soprattutto farmaceutica e

AziendaZeroraddoppiaconlasedediCasaRossaaPadova
AziendaZero,LucaZaiainauguralasedediCasaRossa

specialistica, che dovrebbe essere invece coperta dalla sanità pubblica, nel 2012 il Veneto registra il più alto indice in Italia di compartecipazione alla spesa (out of pocket) con 64,5 euro per abitante. Cifra che diventerà molto più alta, una tassa sulla salute, alla faccia dell’abbassamento delle tasse tanto sventolato.

L’altra leva per risparmiare è la forte riduzione del tournover del personale sanitario, tutti aspetti che andranno incontro ad un inasprimento negli anni successivi.

Il pronto soccorso più caro d’Italia

Il piano socio sanitario 2019-23 registra una innegabile apertura alla sanità privata: i posti letto accordati sono cresciuti del 7,62% nel quindicennio di Luca Zaia. Il presidente sostiene pubblicamente che i privati incidono solo per il 6% della spesa, ma bisognerà dirgli che si sbaglia. Il conto economico lo smentisce: i soldi pagati dalla Regione alla sanità privata sono il 16,6% del bilancio del settore; i ricoveri nelle strutture private accreditate sono il 16,4% del totale ma raggiungono il 69% nella riabilitazione; le prestazioni specialistiche offerte dai privati sono il 13,7% del totale.

L’organizzazione della struttura pubblica ospedaliera presenta anomalie: per esempio i posti letto occupati nell’area medica sono complessivamente il 93% ma sono solo il 61% nell’area materno infantile, che risulta di conseguenza sovrastimata. La vera emergenza è il pronto soccorso: il Veneto registra i tempi di attesa più lunghi d’Italia per i casi meno gravi, i codici bianchi, che sono il 55% delle intere prestazioni del servizio di pronto soccorso. Da notare che il codice bianco prevede il pagamento del ticket, out of pocket, dalla tasca del paziente. Il 55% di codici bianchi a pagamento pone il Veneto in cima alla graduatoria nera delle regioni italiane: a grande distanza arriva la Val D’Aosta col 23%, poi l’Emilia Romagna col 12% e la Lombardia con l’8%.

E, quando le tasche sono vuote, non resta che ricorrere ai prestiti bancari. Secondo un’indagine di Facile.it la richiesta di prestiti personali per spese mediche nel Veneto è al 5,11% del totale degli accessi bancari, contro il 4,70% della media nazionale.

Nel quindicennio di governo Zaia c’è in particolare l’abbandono dei servizi so-

ciosanitari, scaricati sui Comuni già alle prese con bilanci che piangono, attraverso deleghe difformi tra le varie Aziende sanitarie che creano grandi differenze tra Comuni capoluogo e Comuni minori. Il 17% degli ospiti delle Rsa (case di riposo) pesano sulle famiglie per 120 milioni di euro, che, guarda caso, è la stessa cifra che Palazzo Balbi ha tolto dalle tasse regionali (tasse di scopo) sui redditi medio-alti.

Risultano mancare 1.300 medici per un costo complessivo di 130 milioni e 5.000 tra infermieri e tecnici per un costo pari a 280 milioni di euro. Sarebbero 410 milioni da registrare in rosso e invece consentono al manovratore l’agognato pareggio di bilancio.

Ne consegue che il sistema si regge sull’abnegazione degli operatori, finché dura, e sulle famiglie che pagano. La spesa privata out of pocket per sfuggire alle liste d’attesa è in costante aumento: nel 2021 ha toccato i 756 euro pro capite nel Veneto, circa 100 euro in più della media nazionale. Per prestazioni in parte rientranti nei Lea, livelli essenziali di assistenza: in tal caso si tratta di un diritto negato. Qui il Veneto registra una delle peggiori performance nazionali, collocandosi al terzo posto dopo Lombardia e Lazio.

Un’indagine della Fondazione Corazzin a fine 2023 segnalava che 7 veneti su 10 ritenevano peggiorato il servizio sanitario rispetto ai due anni precedenti.

Situazione che trovava conferma perfino in un’intervista di Luca Zaia al Corriere del Veneto (22 febbraio 2022): «Faremo una rivoluzione territoriale nella sanità, ci vogliono più posti letto, bisogna investire nei professionisti, nelle assunzioni e negli stipendi».

Non sono seguiti fatti concreti e il tempo è scaduto.

Sanità e sociale in Veneto

Storia critica 2008-24, con fondamentali riferimenti normativi nazionali

Franco Toniolo e Ubaldo Scardellato (Ronzani Editore)

Domenico Mantoan e Luca Zaia

Forza e coraggio con Formaggio

In Veneto sono una cosa

seria le elezioni: fanno rima con golosoni

Sulla scia dello start della campagna elettorale dell’ex sindaco di Albettone, che gioca sul suo nome, ci siamo chiesti cosa potrebbe accadere se anche altri candidati alle prossime elezioni regionali lo facessero: sarebbe una campagna tutta da gustare. E da (sor)ridere.

di M.M.

Che la politica, ormai “ogni altro giorno” ma specialmente sotto elezioni, sia diventata una faccenda di slogan lo sapevamo. Ma che si potesse trasformare anche in una specie di menù da trattoria veneta... be', questo ci potrebbe sorprendere. Siamo quasi al conto alla rovescia per le elezioni regionali in Veneto, e anche a Vicenza l’aria si fa frizzante, iniziano a spuntare manifesti, il record per tempistica è di Rucco, e, dulcis in fundo, gli slogan cominciano a far capolino (e a far sorridere). Ma stavolta non parliamo di promesse roboanti o di proclami sul PIL veneto: no, la vera novità elettorale è... la rima. Sarà per colpa – o merito – di Joe Formaggio, il colorito candidato di Fratelli d’Italia, che ha deciso di aprire la sua campagna con uno slogan che lascia il segno (e anche un po’ di fame): “Forza e coraggio con Formaggio”. Un jingle, un mantra, una chiamata alle urne degna di un menu da osteria patriottica. E allora ci siamo chiesti: ma se tutti gli altri candidati seguissero questa linea “alimentare” e “a rima baciata”? Noi, da buoni osservatori e amanti della satira (e

della cucina), abbiamo provato a immaginare cosa potrebbe succedere. Abbiamo fatto qualche esperimento immaginando – per par condicio – slogan per alcuni nomi già noti, da destra a sinistra, senza fare sconti a nessuno o, lo confessino i candidati scelti e ci scusino gli altri, regalando alla Crozza agli aspiranti Consiglieri regionali un po’ di pubblicità aggiuntiva e gratuita. Ecco che cosa ne uscirebbe se ogni nome si promuovesse con un ingrediente o una pietanza per golosoni, rimestando nel pentolone della politica vicentina. D’altronde la pasta per noi italiani è buona ma un po’ di formaggio la insaporisce ancora di più. Per lo meno per alcuni.

Centrodestra: piatti forti e porzioni abbondanti

Partiamo da Roberto Ciambetti, attuale presidente del consiglio regionale e fedelissimo della Lega. Dalla sobrietà istituzionale alla padella è un attimo. Con uno slogan così, ci immaginiamo subito il buon Ciambetti a distribuire pietanze nelle sagre di quartiere: l’uomo giusto per servire le istituzioni. "Tanti manicaretti con Ciambetti."

Un inno alla cucina sostanziosa, come la politica di un tempo. Altro che tagli ai costi: qui si serve primo, secondo e contorno. Del resto, con un cognome così, è il minimo sindacale.

Segue l’assessora Manuela Lanzarin, an-

che lei leghista, che potrebbe puntare su uno stile più rustico, genuino, da vera osteria del Nordest. “Pan e vin con Lanzarin” è un invito alla semplicità: niente fronzoli, solo territorio, tradizione e –volendo – anche un filò post cena. Altro che riforma sanitaria, qui si punta dritti al cuore (e allo stomaco) dei veneti.

Se la salute vien mangiando, lei ha già fatto la campagna. Semplice, diretto, magari da ser vire con sopressa e tagliere.

E infine lui, l'ex sindaco di Vicenza Francesco Rucco, ora nella squadra del centrodestra con la casacca di Fratelli d’Italia, un po’ “fuori dal coro”. Il suo slogan ideale? “Non c'è trucco con Rucco”. Semplice, diretto, rassicurante. E anche un po’ ma-

gico: come dire, non vi vendo fumo, lui che “con animo vicentino”, e un po’ leccese, punta “manifestamente” a un “futuro Veneto”.

Centrosinistra: sapori popolari e gesti affettuosi

Ma attenzione, la sinistra non sta a guardare. Ecco spuntare il sindaco di Val Liona e Maestro d'orchestra Maurizio Fipponi, in quota PD. Il suo slogan potrebbe essere universale e condiviso: “Risotti e tortelloni con Fipponi”. Il risotto, si sa, può avere mille ingredienti che possono piacere a tutti: destra, sinistra, centro e pure agli astensionisti. Basta che non li faccia pagare il Comune. I tortelloni poi si abbinano facilmente con tante ricette (elettorali). La sua proposta è semplice, inclusiva e democraticamente digeribile: qui nessuno resta a digiuno.

Infine, cioè alla fine del nostro gioco ma

continuatelo voi, dal fronte progressista arriverebbe, di sicuro, un tocco di tenerezza da Chiara Luisetto, capofila dei dem per le Regionali, che potrebbe scegliere un approccio più sentimentale, in puro dialetto affettuoso: “Na careseta e un basetto con Luisetto”. Non sappiamo se porti voti, ma almeno scalda l’anima. E magari ci scappa pure un voto per simpatia, perché alla fine in cabina elettorale il cuore ha sempre le sue ragioni. Un messaggio che suona quasi come una promessa di vicinanza (e magari di qualche bonus famiglia): più che uno slogan, una coccola da urna. Altro che bonus bebè: qui si torna all’affetto genuino. Chi resiste?

Rime, slogan e un menù che non finisce qui

Ci fermiamo qui, ma potremmo continuare ancora a lungo. Solo nel vicentino, tra liste, listarelle, civiche e sigle improbabili,

ci troveremo di fronte a decine e decine di candidati. Chissà quanti altri slogan a tema culinario o in rima ci aspettano. Noi, nel frattempo, prendiamo atto che l’epoca degli slogan banali, facili e possibilmente in rima non è finita. Anzi, pare appena cominciata. D’altronde, in tempi di crisi della partecipazione e delle idee, una rima giusta potrebbe essere l’unica cosa che ci resta per far digerire la politica.

Nota di servizio (e di buonsenso):

Se qualcuno si sentirà offeso o preso in giro, ci scusiamo fin da ora. Non era nostra intenzione ferire, ma solo giocare con un po’ di satira politica, che come il buon vino… va presa con moderazione ma con abbondante sorriso. Se, invece, si sentiranno trascurati le candidate e candidati non “rimati”, ci aiutino loro, magari insieme a lettori ed elettori, a ricordarli, rigorosamente in rima enogastronomica.

Vendere la domenica e i giorni festivi è un po’ vendere parte di noi

C’erano una volta serrande abbassate che raccontavano silenzi pieni: di famiglie riunite, di torte inventate con quel che c’era, di tempo vissuto senza fretta. Oggi si apre sempre, ma si è perso qualcosa. Restituire la domenica e i giorni festivi, ma non per tutti, al loro significato più umano e ai lavoratori “forzati”, non è nostalgia, è buon senso

Ma è davvero necessario tenere i negozi e i supermercati aperti la domenica? Io, vicentina media amante delle festività, credo di no. Credo che un giorno fisso di chiusura renderebbe molto più semplice gestire i turni, faciliterebbe la vita fami-

liare di commessi e commesse e insegnerebbe alle persone a programmare meglio gli acquisti. Non è questione di ritorno al passato, anche perché non è che stiamo parlando della preistoria: la legge che ha liberalizzato le aperture è del 2011. Non è proprio nel mio stile dire “ai miei tempi succedeva così”, però confermo:

quando ero bambina i negozi di domenica erano sempre chiusi. Anche sotto Natale. Non ne sono del tutto sicura perché la memoria è un po’ vaga, ma credo che perfino alla Vigilia, se cadeva di domenica, i negozi fossero chiusi, tranne alimentari e panettieri per mezza giornata. In quegli anni c’era una sola situazione in cui per me era normale trovare i negozi aperti di domenica: durante la villeggiatura a Jesolo. E questo è abbastanza logico: nei luoghi turistici in alta stagione i negozi sono sempre aperti perché sono il periodo di vacche grasse, in cui bisogna lavorare anche per il periodo delle vacche magre. Non sono certo queste le situazioni che mi vedono contraria all’apertura domenicale. Così come non sono contraria a qualche domenica di apertura verso Natale, ma dall’8 dicembre in poi e massimo fino all’Epifania, non occorre aprire a Ognissanti e non chiudere più fino alla Candelora. Se poi parliamo dei soli negozi del centro, credo ugualmente sia una buona idea aprire in concomitanza con eventi particolari che portano nelle varie città visitatori e, si spera, relativi incassi. Poi bisogna guardare alla vocazione turistica. Vicenza è certamente una città d’arte, tra Palladio, ville, palazzi, chiese, Monte Berico e l’Unesco, ma non è pro-

priamente una città turistica. E comunque se si può capire l’apertura domenicale di qualche bottega del centro storico, in particolare quelle legate alla tradizione e alla vicentinità, ha molto meno senso l’apertura di domenica dei supermercati. Naturalmente chi vuole negozi e supermercati aperti tutti i giorni ha una serie di obiezioni. La prima è che “una volta le donne non lavoravano; quindi, potevano andare a fare la spesa tutti i giorni, oggi non è più così, ci sono solo il sabato e la domenica”. Ebbene, negli anni Set-

tanta, che le donne lavorassero o no – e molte lavoravano anche allora -, la dinamica degli acquisti era diversa e nessuno si sognava di comprare pane, affettati e formaggi al supermercato una volta alla settimana. Si faceva la spesa tutti i giorni e se la mamma lavorava, lasciava la nota ai figli o telefonava al negoziante. I supermercati c’erano, ma non erano dei “tuttomercati” come quelli di oggi. Ci si andava soprattutto per i detersivi e i prodotti confezionati, e il giorno preferito era il sabato perché la macchina a disposizione era una e nel resto della settimana serviva per andare a lavorare… Quindi le cose non erano più facili, anche perché negozi e supermercati non facevano orario continuato e chiudevano alle 19.30, non alle 21 come oggi. Bisognava sapersi organizzare.

Altro cavallo di battaglia dei “sempre aperto” riguarda il diritto per il personale dei negozi di poter trascorrere la domenica in famiglia. Qui i “sempre aperto” partono con il confronto: “ma allora, i medici, i poliziotti, i ristoratori, i giornalai? Loro non hanno diritto a stare in famiglia?”

Non vale nemmeno la pena rispondere a chi nomina personale sanitario, addetti alla sicurezza, forze dell’ordine e vigili del fuoco, perché il paragone non ha senso. Sono servizi essenziali che non possono andare in vacanza. Infatti, sono lavori che richiedono anche grande abnegazione e spirito di servizio. Poi che non sempre la remunerazione sia proporzionata al loro impegno è altrettanto vero, ma questo non c’entra col tema in discussione. Quanto a bar e ristoranti, è vero, potrebbero chiudere di domenica, perché non sono servizi essenziali. Però credo che, per chi investe nel settore, valga lo stesso principio per cui i negozi dei luoghi di vacanza sono aperti nei giorni festivi: sono le giornate in cui si guadagna di più. E tenere aperto non è un dogma: ci sono diversi bar, anche in centro storico a Vicenza, che la domenica chiudono, perché magari lavorano soprattutto con gli uffici. E comunque bar e ristoranti –con poche eccezioni - hanno sempre un turno di chiusura settimanale. Forse la situazione più pesante è quella di chi ha un’edicola, dato che i giornali

Un centro commerciale di Vicenza affollato pergliacquistineigiornifestivi (immagined’archivio)

escono quasi tutti i giorni; quindi, – anche se non c’è l’obbligo di tenere aperto la domenica – chi vuole fare un buon servizio ai clienti almeno la mattina deve aprire sempre. Ma anche il quotidiano, almeno finché non verrà del tutto soppiantato da Internet, fa parte delle necessità, del diritto all’informazione. Pure la spesa è una necessità, certo, ma ci sono sei giorni alla settimana con tante ore di apertura in cui si può fare. Viviamo nell’era del tutto programmato, credo che dovremmo essere in grado di inserire anche la spesa tra gli appuntamenti settimanali senza dover pretendere la domenica. E male che vada, se per un giorno ti mancano le uova e il latte pazienza. Volevi fare una torta? La farai domani, oppure ti ingegni a inventare una ricetta diversa. Si deve anche imparare ad arrangiarsi, non adagiarsi sul solito “ben ben, se manca qualcosa la vado a comprare”. Come ho già raccontato in questa rubrica (numero di febbraio 2025), mia madre una domenica è riuscita a fare le frittelle avendo in casa solo l’uvetta: non sto a ripetere come ha fatto, ma resterà un episodio scolpito nella mia memoria. Con un supermercato aperto a cento metri da casa non avrei mai vissuto l’epopea della frittella miracolosa. Per non parlare di quello che ci consiglia Federica Zanini nella sua rubrica “Gastronomia del riciclo”.

E poi, a proposito del diritto al riposo domenicale, in molti settori non si lavora nemmeno di sabato, in alcuni casi si punta addirittura alla settimana di quattro giorni, e nessuno ha da obiettare. Perché solo i commessi devono essere sempre a disposizione?

Che poi, si pretende il negozio aperto, per poi magari entrare, dare un’occhiata, informarsi, non comprare nulla e fare l’acquisto online… Altra mania per me incomprensibile, ma di questo parlerò un’altra volta.

Teatro Modernissimo a Noventa Vicentina: la storia al passo coi tempi

Inaugurato sul finire del 1876, dopo la Grande Guerra, ne fu “madrina” speciale Emma Zamperla, figlia del proprietario del famoso Spettacolo viaggiante Zamperla, e oggi è fucina di giovani talenti e sede di rassegne di livello nazionale

Teatro Modernissimo a Noventa Vicentina
TEATRANDO DI CITTÀ IN BORGO

Non c’è da farsi ingannare dal nome: il Modernissimo di Noventa Vicentina è in realtà un teatro dalla lunga e intensa storia, che tra fasi alterne, luci e ombre ha saputo nutrire fino a oggi la fame di cultura del proprio territorio. Fu inaugurato sul finire del 1876 con un deciso stile Liberty e il nome di Teatro Concordia. A volerlo fu infatti l’omonima Società, un circolo culturale e ricreativo locale che si ispirava al motto Concordia parvae res crescunt (ovvero Con la concordia le piccole cose crescono) - che nel Bellum Iugurthinum di Sallustio prosegue con discordia maximae dilabuntur, ovvero con la discordia anche le più grandi vanno in rovina - e che organizzava feste e spettacoli. Parve perfetto per realizzare una sala ad hoc, semplice ma efficiente, un fabbricato di via Broli, di proprietà dei soci, che da allora ogni anno ospitò soprattutto opere filodrammatiche, il cui incasso andava devoluto per lo più in beneficienza. In seguito, il Concordia fu ribattezzato Teatro Sociale e gettò da subito le basi della lunga tradizione teatrale che ancor oggi anima il Comune del Basso Vicentino. Dopo una prima ricostruzione che ne fece una struttura più solida e funzionale e le regalò tra l’altro una bottega del caffè e i camerini per gli attori, la sala fu riaperta nel dicembre 1910. Di lì a poco, però, come quasi tutti i teatri, dovette

scontrarsi con la ghigliottina della Prima Guerra Mondiale e tra il 1915 e il 1918 ogni attività di spettacolo fu interrotta. La fine del conflitto però portò al teatro di Noventa non solo tempi migliori, ma anche una “madrina” speciale: Emma Zamperla. Figlia del proprietario del famoso Spettacolo viaggiante Zamperla, sposò il farmacista, dottor Lorenzo Baricolo. Dopo le nozze fu per oltre quarant'anni l'animatrice del teatro noventano, in qualità di regista e di autrice. Nel 1919 la sala fu riadattata per poter ospitare anche proiezioni cinematografiche e prese l’attuale nome, a sottolineare una svolta, uno slancio verso la modernità appunto. Di proprietà del Comune, a partire dal 1936, fu oggetto di ulteriori, importanti lavori di restauro tra l’82 e l’85, che gli restituirono l’aspetto originale, sia negli esterni che negli interni, e permisero l’ennesima rinascita, sotto la gestione -anche questa quarantennale- di Galante Arborio. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Modernissimo conobbe ancora anni d’oro, e in seguito, a sconfiggerlo, consegnandolo a un inesorabile declino che culminò nella chiusura della sala alla fine degli Anni Settanta, fu piuttosto l’avvento della televisione.

La voglia di svago e di teatro però a Noventa e nei dintorni era tanta, anche perché il Modernissimo era l’unica sala re-

staurata nel Basso Vicentino e nel Basso Padovano. La compagnia Amici del Teatro, nata in città nel 1969, ne fece la propria sede (fino al 1986 era stata nella sala Famiglia, sempre a Noventa), e immediatamente dopo il restauro conclusosi nel 1985, portò un vento nuovo sul palco del Modernissimo, facendone una fucina di giovani talenti. Nacque presto la collaborazione con Arteven e di anno in anno le rassegne, a cura dell’Assessorato alla Cultura, si sono fatte sempre più di livello e oggi accolgono sempre più spesso nomi di fama nazionale. Nelle ultime stagioni, tanto per citarne alcuni, Emanuela Aureli, Maria Amelia Monti, Marina Massironi, Sergio Sgrilli, Corrado Tedeschi e Giulio Scarpati, spesso affiancati dai più applauditi e noti protagonisti del teatro vicentino, come Theama, Stivalaccio ecc. Oggi il Modernissimo è un importante riferimento culturale per la città e non solo, con un cartellone che spazia dalla prosa agli spettacoli per bambini, passando per danza, balletto e concerti, ma anche dibattiti, incontri e convegni.

Info: Teatro Modernissimo, via Broli, 6 Noventa Vicentina - Tel. 0444861234, www.comune.noventa-vicentina.vi.it/

di Federica Zanini
TeatroModernissimoa NoventaVicentina, in scena StivalaccioTeatro

rubrica

Freschezza e leggerezza per l’estate italiana: vini rosé dal Veneto e dalla Puglia

Nella degustazione di un vino è sempre estremamente importante prestare attenzione alla stagionalità, alla temperatura, alla territorialità, alla specifica circostanza, che può essere più o meno conviviale, oltre che, naturalmente, all’abbinamento con i cibi. Questo perché il consumo di un vino, soprattutto se si decide di assaggiarne diversi per diletto, non deve essere inteso come un mero accompagnamento, ma deve lasciare che lo stesso vino diventi il protagonista e tutto il resto intorno un piacevole corredo di un’esperienza indimenticabile.

Si chiama sinestesia questa esperienza sensoriale totale attraverso la quale la percezione olfattiva prende vita

mediante allusioni uditive, visive, cromatiche, che si fissano nella memoria cognitiva molto più facilmente se sono ben connesse con momenti esistenziali intensi. Tutto questo per dire che siamo in estate e in estate la temperatura sale, le occasioni per stare in piacevole compagnia aumentano e i vini, se scelti bene, diventano facilmente catalizzatori di emozioni. E con la temperatura che sale, quindi, occorre ricercare un po’ di refrigerio, per cui il Lago di Garda si candida a luogo ideale per una bevuta in compagnia davanti ad un piatto sicuramente poco impegnativo per non eccedere in carboidrati e grassi. Abbiamo selezionato a questo giro un Chiaretto di Bardolino DOC Stile naturale di Cottini, un vino rosé biologico giovane, del 2024, prodotto da uve

ChiarettodiBardolinoDOC,Rosé2024 Cottini,alcol13%vol.

Corvina, Rondinella e Molinara, varietà autoctone della sponda veneta del Lago di Garda. Per ottenere il tipico colore, definito appunto chiaretto, l’uva viene raccolta a fine settembre e poi, dopo la pigiatura, viene macerata a freddo con le bucce per alcune ore. Il risultato è un vino dalle nuance rosa brillante che evoca i colori dei romantici tramonti sul Lago di Garda con profumi eleganti di rosa e viola (s’intende i fiori, ma se i colori vi richiamano alla mente i profumi, allora avete compreso il senso della sinestesia!). All’assaggio, che deve essere necessariamente ad una temperatura di 8-10° C, si avverte la freschezza di un vino giovane, mentre sul palato si conferma tutta la palette olfattiva che va dal fruttato al floreale fino alle erbe aromatiche e alle spezie.

Per una bevuta altrettanto godibile e briosa, ma decisamente mediterranea, abbiamo pensato ad un Cryfus rosé della Cantina Crifo di Ruvo di Puglia, una

CryfusCasteldelMonteDOC,Rosé Millesimato,11,5%vol.

cantina cooperativa che negli ultimi anni si è rivelata in grado di imporsi sul mercato con prodotti di estrema qualità. Quello che proponiamo è un rosé spumantizzato con metodo Charmat prodotto da Bombino nero del Castel del Monte. Le uve, una volta raccolte ai primi di settembre, rimangono a contatto con le bucce per 4/6 ore al fine di consentire l’estrazione del colore, solo successivamente vengono sottoposte a pressatura. Il mosto ottenuto viene portato ad una temperatura di zero gradi centigradi, per poi passare in autoclave per essere sottoposto ad una sola fermentazione. Se ne ricava un godibilissimo vino spumante rosato, carico nel colore, con una bollicina persistente e fine che al naso sprigiona sentori di lampone, fragola di bosco, more e melograno, ma anche di rosa e fiori di pesco. Al sorso si avverte il suo residuo zuccherino, tipico di un extra dry, ma la bollicina e l’acidità regolano e mettono in equilibrio il vino in bocca in modo da rendere assolutamente piacevole la bevuta.

Abbinamenti

Per l’abbinamento di questi due vini rosé, uno fermo e l’altro frizzante, non disdegniamo piatti ricercati, come il sashimi, il sushi e altre pietanze dalla complessa esecuzione, tuttavia se ci troviamo a degustare il Chiaretto di Bardolino in un locale alla moda nell’omonima località del veronese, sulla sponda del Lago di Garda, allora anche un tagliere di formaggi semistagionati e piccoli stuzzichini sarebbe l’ideale, mentre se ci troviamo in Puglia, magari a Trani in un ristorante vista mare sul porto, allora un accompagnamento del Crifus rosé con polpi e seppie crude chiuderebbe il cerchio di una territorialità esperita alla perfezione. Ultima nota non trascurabile: se arriva l’imbrunire e sale il languorino, allora una pizza semplice e gustosa in abbinamento a questi due vini rosé sarebbe un giusto compromesso gustativo per chiudere una serata in ottima compagnia.

Cous-cous di pollo arrosto. Senza Trump, ops patatine fritte…

Fuori la politica dalla mia cucina (mi è indigesta)

Il clima (e non solo quello meteorologico) negli ultimi anni, inutile negarlo, è molto cambiato. Sarebbe meglio dire che lo abbiamo cambiato noi, con atteggiamenti irresponsabili più o meno consapevoli, verso il pianeta e anche verso chi lo abita. Non è mia intenzione fare la morale a nessuno, per carità, volevo solo arrivare a un punto, a una certezza nell’incertezza: mentre scrivo non so nemmeno vagamente che temperature ci saranno quando mi leggerete. Né posso azzardare previsioni nella stagione -fine estate/preludio d’autunno- che più di tutte, in tempi nemmeno troppo recenti, ha preso a sorprenderci, se non spiazzarci. Ecco perché vado, ostinatamente, a proporre ancora una ricetta a freddo. Così non sbaglio: se proprio proprio non dovesse fare più così caldo (ma non possiamo escludere l’ennesimo colpo di coda), la mia proposta del mese asseconderà almeno la poca voglia di accendere i fornelli che ancora ci trasciniamo dalle settimane di afa opprimente conosciute quest’estate. E comunque nessuno vi impedisce di intiepidire il piatto prima di portarlo in tavola…

Andiamo allora di cous-cous, una specialità apprezzata a livello internazionale, che in tempi di scontri ovunque e per la qualunque ha il pregio di unire in un unico orgoglio gastronomico la

di Federica Zanini

Ilpollodisossatoesminuzzato

Cous-cous,acqua,olioe...riposo

sponda Nord e quella Sud del Mediterraneo, l’Europa (la Sicilia e l’Italia in par ticolare) e l’Africa.

Un cous-cous diverso dai soliti, uno di quelli inventati all’ultimo minuto chiamando a raccolta gli avanzi sparsi nel frigo. Largo alla fantasia allora, ma senza esagerare: potete ovviamente non utilizzare i miei stessi ingredienti, ma mantenete sempre armonia e coerenza nei sapori. Evitiamo per intenderci l’effetto insalata svuotafrigo

della mamma di Enrico Brignano (regalatevi la gioia di andarvelo a vedere o rivedere: il web e i social custodiscono e rilanciano uno degli sketch più brillanti del comico romano).

Tornando al mio di frigo, questa volta ne estraggo un abbondante avanzo di pollo arrosto e patatine fritte. Vi dico subito che le patatine non me la sono sentita proprio di riciclarle (niente paura: da cuoca antispreco convinta quale sono non le ho comunque butta-

te!). Io non so se sia un problema solo mio (guardate anche voi la prima foto e fate le vostre considerazioni), ma di ‘sti tempi vedo Trump dappertutto. Un’ossessione. Eh no, caro il mio Spetenà (come lo chiama l’assessore Ciano Contin del noto duo -che però è un trio- comico veneto Marco e Pippo): per te, almeno la mia cucina è off-limits, se mi capisci. Clear and concise, come dicono in America. Chiaro e conciso.

infineaggiungerecoloriesaporiapiacimento

Dunque, dicevo, niente patatine e via di italianissimo pollo, bello croccante. Lo disosso e lo faccio a pezzetti. A ripensarci, la stessa operazione con le patatine-Trump avrebbe avuto un suo perché e, sia ben chiaro, non ne faccio una questione politica, ma di stupidità umana.

Senza tergiversare oltre, in una ciotola piuttosto capiente verso il cous-cous (che personalmente preferisco a grana non troppo sottile) e la proporzione di acqua calda indicata sulla confezione, nonché un paio di cucchiai di olio extravergine d’oliva. Copro quindi con un piatto e lascio riposare per almeno dieci minuti. Quando i granelli hanno assorbito tutto il liquido e raddoppiato il proprio volume, li sgrano mescolando con una forchetta per separarli bene tra loro. A questo punto aggiungo il pollo e anche due manciate di mandorle con la buccia, tritate grossolanamente.

Regolo di sale, pepe e aglio in polvere. Se serve, aggiungo olio. Se piace, si può conferire una nota acidula con qualche goccia di limone o lime (o, al gusto, di aceto agrodolce).

Siccome io amo il colore e tutto quel “beigiume” mi metteva tristezza, ho chiamato a rapporto anche un avanzo di patata dolce bella arancione, già cotta: sminuzzata e saltata un attimo nella padella rovente, ha dato la pennellata vivace, di colore ma anche di sapore, che mancava al piatto.

Come ogni cous cous che si rispetti, ovviamente qualsiasi variante è possibile e golosa. Si possono aggiungere verdure a piacere, della cipolla cruda, delle erbe aromatiche fresche, spezie colorate come la curcuma o la paprika e, se sono gradite al palato dei commensali, anche delle scaglie di formaggio stagionato e saporito.

L’importante è non dire ancora addio all’estate e lasciare in vacanza un altro po’ almeno i fornelli…

Adda venì la stagione di spiedi, brasati, arrosti e polenta… Che fretta c’è?

Prendere una manciata di mandorle...
tritarlegrossolanamente

I consigli della psicologa per evitare o minimizzare lo stress da rientro. Prima regola: non strafare

Il mese di agosto, quello che abbiamo aspettato per tutto l’anno, è terminato, e ogni vicentino dopo Ferragosto si ritrova di nuovo immerso nella solita routine, con una brusca virata da una mente vuota e rilassata ad una mente carica di impegni, orari e doveri.

Ti svegli al suono della sveglia, la tua casella di posta è stracolma di e-mail e le responsabilità quotidiane bussano alla porta, e hai la percezione di ritrovarti nel bel mezzo di un tornado.

Lo stress da rientro alla quotidianità, o “sindrome da rientro” è molto comune

(secondo l’Istat, ne soffre circa il 35% degli italiani) e ha un nome specifico anche in inglese: post-vacation blues. Come si manifesta la sindrome da rientro?

Si presenta come malessere fisico e psicologico, che subentra al rientro al lavoro dopo le ferie, e spesso qualche giorno prima. Possono presentarsi: apatia, malinconia, tono dell’umore basso e pensieri tristi; ansia, inquietudine; difficoltà a dormire; spossatezza e stanchezza; irritabilità e nervosismo, difficoltà di concentrazione; ansia anticipatoria, legata alla preoccu-

pazione per le sfide e gli obblighi che ti aspettano dopo le ferie.

Il primo pensiero è: si stava meglio in vacanza! Questo è certo, ma in qualche modo devi pur farci i conti e… Non aspettarti di essere immediatamente al 100% delle tue prestazioni.

Fortunatamente, si tratta di sintomi che generalmente sono transitori, ma vediamo insieme alcuni consigli per affrontare il rientro al lavoro.

Pianifica la giornata

Affronta il ritorno gradualmente, evitando di sovraccaricarti fin da subito. Dedica la prima giornata a organizzare la posta elettronica, aggiornare l’agenda e fare un bilancio delle attività da svolgere. Stabilisci delle priorità, concediti il tempo necessario per riadattarti, evitando di cercare di fare tutto subito.

Il potere della scrittura

Scrivi su un foglio le priorità e le attività da svolgere, può esserti utile organizzare i compiti arretrati o complessi in ordine di priorità e suddividerli in piccoli obiettivi realizzabili… pensa in grande ma agisci in piccolo! In questo modo sarà più facile affrontare il lavoro e sentirti motivato nel completarlo. Non solo, l’azione dello scrivere permette alla tua mente di essere più leggera, di non intrappolarsi nel rimuginio e consente ai sintomi ansiosi di rientrare in parametri accettabili, al fine di evitare un accumulo di stress.

Spazio e tempo specifico per la posta elettronica

Per evitare di sentirti sopraffatto dedica

di Sabrina Germi
Lo scarabocchio di Comicomix

del tempo specifico alla gestione della posta elettronica: imposta dei blocchi temporali durante la giornata per rispondere alle email più urgenti, eliminando quelle non essenziali o delegando eventuali compiti ad altre persone, in modo da non farti schiacciare. Questo può essere utile per le mail, per i colleghi che chiedono la tua consulenza, ecc. Il vero segreto per gestire il tempo è imparare a gestire le tue energie mentali, fisiche ed emotive.

Anche la tecnologia, con le numerose app, può essere un alleato prezioso nell’organizzazione di compiti, promemoria e scadenze.

Prendersi delle pause

Ricordati di prenderti dei momenti di pausa durante

la giornata, per evitare di sentirti sopraffatto e stanco mentalmente. Fai una breve passeggiata all’aria aperta o dedicati ad attività rilassanti, come lo sport, la meditazione o un hobby che ti piace, questo ti aiuterà a ricaricare le energie e mantenere un buon equilibrio tra lavoro e benessere evitando l’overload di lavoro.

Quanto dura la depressione post vacanza? I sintomi dovrebbero rientrare nel giro di un paio di settimane al massimo e senza bisogno di assumere farmaci, se al contrario noti che tristezza, depressione, irritabilità e ansia si protraggono più a lungo poterebbe essere utile valutare la possibilità di chiedere un aiuto specialistico.

Nei e melanoma, il prof. Pellacani (Sidemast) chiarisce dopo il caso Veneto sui Lea

di ???

Dopo le polemiche in Veneto sulla presunta riduzione delle prestazioni di “mappatura dei nei”, l’Area Sanità regionale ha chiarito che la visita dermatologica resta garantita dal SSN su richiesta del medico. Ma cosa significa davvero parlare di prevenzione dei tumori cutanei e chi deve sottoporsi a controlli? Lo spiega il professor Giovanni Pellacani, presidente della Società italiana di dermatologia medica chirurgica estetica e di malattie sessualmente trasmesse (Sidemast), intervistato, anche per noi, da Adnkronos Salute.

Professore, in estate molti pensano di dover controllare i nei dopo l’abbronzatura. È corretto?

Non conta quando, ma chi deve farlo. Il controllo dei nevi – guai a chiamarla “mappatura” – non ha una stagionalità. Se una persona ha preso molto sole in luglio e agosto, a settembre non riceverà certo la diagnosi di melanoma. Il punto è che esistono categorie a rischio che vanno seguite e monitorate periodicamente, e rappresentano circa il 2-3% della popolazione italiana.

Quali sono queste categorie a rischio? Persone sopra i 50 anni con marcato dan-

no solare, chi presenta più di 50 nei di oltre 5 millimetri di diametro e almeno 4 nevi atipici. E ancora: chi ha una forte familiarità con neoplasie cutanee e chi ha avuto un melanoma in giovane età. Per questi pazienti il controllo deve essere periodico e programmato.

Per l’autocontrollo, quali segnali devono allarmare?

Vale sempre la regola ABCDE: A come asimmetria della lesione, B come bordi irregolari, C come colore variabile, D come diametro superiore a 5-6 millimetri, E come evoluzione, cioè modificazioni visibili in poche settimane o mesi.

Torniamo alla polemica: la “mappatura dei nei”

è davvero stata tolta dai Lea?

No. In realtà, la “mappatura dei nevi” non è mai esistita nei Lea come voce autonoma. È sempre stata parte integrante della visita dermatologica, durante la quale lo specialista può utilizzare strumenti di primo livello, come la dermatoscopia manuale. Tecniche più sofisticate, come la videodermatoscopia digitale o la mappatura fotografica seriale, sono indagini di secondo livello da usare solo quando ritenute appropriate. Non c’è alcun arretramento: c’è stato un chiarimento organizzativo.

In pratica, cosa garantisce oggi il SSN?

La valutazione del rischio di melanoma resta pienamente garantita attraverso la visita dermatologica.

L’aggiornamento dei Lea non riduce le tutele, ma chiarisce meglio i percorsi.

Qual è la proposta di Sidemast per migliorare l’accesso alle cure?

Distinguere due tipi di visite dermatologiche: 1.Visita dermatologica oncologica, esigibile con priorità in caso di lesioni sospette, con tempi di attesa brevi (entro 10 giorni per sospetto melanoma o tumori cutanei in rapida crescita);

2. Visita dermatologica generale, per le altre patologie cutanee non oncologiche, come infezioni, dermatiti, allergie.

Questa distinzione permetterebbe di garantire urgenza e rapidità ai casi più delicati e di programmare in modo ordinato gli screening per i pazienti a rischio, evitando diseguaglianze e allarmismi.

Dopo questi chiarimenti che ci ha fornito il prof. Pellacani, chi, in Veneto o altrove, ha, quindi, dubbi su un neo o nota cambiamenti sospetti deve rivolgersi al proprio medico di base, che potrà prescrivere la visita dermatologica all’interno del Servizio sanitario nazionale visto che la cosiddetta “mappatura dei nei” non è mai stata eliminata ma rientra, meglio definita, nella visita specialistica, che resta garantita e gratuita per i casi a rischio.

Prof. Giovanni Pellacani

La Blockchain va oltre oltre le criptovalute e la finanza e sta trasformando le piattaforme digitali

di Edoardo Pepe

La blockchain è un registro digitale condiviso, decentralizzato e immutabile che registra le transazioni in modo sicuro e trasparente. È come un libro mastro digitale, ma con diverse caratteristiche che lo rendono unico: è condiviso tra molti par tecipanti, le informazioni sono organizzate in blocchi concatenati tra loro tramite crittografia, e una volta che un blocco viene aggiunto alla catena, non può essere modificato o eliminato

La tecnologia blockchain ha superato le sue origini nelle criptovalute e nella

finanza. Negli ultimi anni, ha iniziato silenziosamente a influenzare una vasta gamma di piattaforme digitali, cambiando il modo in cui fiducia, trasparenza e controllo vengono gestiti online. Questi cambiamenti potrebbero non essere appariscenti, ma il loro impatto sta diventando chiaro in aree che dipendono da transazioni sicure e tracciabili e da una gestione decentralizzata dei dati.

Nelle catene di approvvigionamento, ad esempio, la blockchain viene utilizzata per tracciare il percorso delle merci. Registrando ogni fase che un

prodotto attraversa, dalla fonte allo scaffale, le aziende possono risalire a ogni fase di produzione e consegna. Questo approccio è particolarmente importante in settori come l'alimentare e la moda, dove i consumatori desiderano sempre più sapere da dove provengono gli articoli e come vengono realizzati. Sebbene la blockchain non garantisca un approvvigionamento etico, contribuisce a creare sistemi in cui le informazioni sono più trasparenti e più difficili da falsificare.

Consideriamo le piattaforme di casinò online come un altro esempio. Sebbene facciano parte del mondo dell'intratteni-

mento, rappresentano un cambiamento più ampio verso servizi in cui gli utenti si aspettano un'interazione diretta peer-to-peer, transazioni più rapide e una maggiore privacy. Queste piattaforme spesso operano al di fuori dei sistemi bancari tradizionali, il che attrae coloro che cercano un maggiore controllo sui propri fondi. Spesso pubblicano anche i risultati dei giochi su registri pubblici, dando ai giocatori la possibilità di verificare autonomamente i risultati. Questo livello di trasparenza evidenzia uno degli usi più intriganti della blockchain.

Oltre l'intrattenimento, la blockchain viene adottata in settori in cui la trasparenza e la fiducia contano profondamente. Nel mondo dell'arte, ad esempio, la proprietà digitale tramite NFT (Non-Fungible Token, token non fungibili, non sostituibili con un altro uguale, in buona sostanza certificati di proprietà digitale per beni, sia reali che virtuali, e garantiscono l'autenticità e l'unicità di tali beni) ha sfidato i modi convenzionali di collezionare e vendere. I registri pubblici contengono i registri di proprietà, eliminando la necessità di

un'autorità centrale per confermare l'autenticità. Questo cambiamento non solo offre ad artisti e collezionisti un maggiore controllo, ma apre anche nuove opportunità per i creatori di connettersi direttamente con il proprio pubblico.

La condivisione di contenuti digitali e media è un altro campo silenziosamente trasformato dalla blockchain. Nuove piattaforme offrono ai creatori più voce in capitolo su come il loro lavoro viene condiviso e monetizzato. Anziché dipendere da piattaforme importanti che applicano commissioni elevate e controllano ciò che gli utenti vedono, alcuni creatori si stanno rivolgendo a sistemi basati su blockchain. Questi consentono il pagamento in criptovaluta diretto e tengono traccia di come il contenuto viene utilizzato, il che si rivela utile per licenze e royalty.

Anche le piattaforme social stanno iniziando a sperimentare la blockchain, costruendo reti non di proprietà di una singola azienda. In queste configurazioni, gli utenti possono votare sulle decisioni e possono guadagnare criptovaluta per i loro contributi. Sebbene molte di queste reti siano ancora piccole, suggeriscono come potrebbe essere l'interazione digitale in futuro, soprattutto man mano che crescono le preoccupazioni sulla privacy dei dati e sul controllo centrale.

L'influenza della blockchain sulle piattaforme digitali potrebbe non essere immediatamente ovvia, ma continua ad espandersi. Ciò che è iniziato come uno strumento per la valuta digitale ora trova il suo posto nell'arte, nella logistica, nei media e oltre. Ogni nuova applicazione sposta lentamente il modo in cui i sistemi digitali operano e chi detiene il potere al loro interno.

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