V icen za P iù Viva
Nuova serie, n. 7 / Mensile - 28 Aprile 2024
Bocciodromo: tanti no ma altrettanti sì a sport, cultura e sociale
Indennizzi Popolari venete: la storia e una nuova possibilità
Adunata degli alpini: tante visioni e quella di Scotolati
Ansia da Intelligenza artificiale: come affrontarla Volley rosa, rugby e pallanuoto: sogni o progetti?
Enigmi, storie, radici, farse, drammi, personaggi: vita vecchia, nuova e futurapowered by ViPiu.it
€ 4,00 con pagine Cool Sport Tecno
ISSN 2974-9972
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Indice
• Editoriale (Giovanni Coviello) . . . .
p 5
• Meritometr o e “Mediocritometro” (Antonino Pellegrino) p 6
• Gli Alpini oggi: tra guerre in tempo di pace, funzione civile e folklore (Tommaso De Beni) . . .
• L’adunata dei giovani (Jacopo Maltauro) . .
p 10
p 12
• 95ma Adunata degli Alpini: tra critiche e opportunità (Benedetta Ghiotto) p 13
• Alpini e vicentini: storia di un legame (Carlo Valente) .
p 14
• Adunata Nazionale degli Alpini del 1991 a Vicenza: “io c’ero, ma l’ho vissuta più dalla tv che in diretta” (Giulia Matteazzi) p 16
• Alpini: il gior no è arrivato (Giovanni Bertacche) .
p 18
• L’adunata degli alpini a Vicenza illustrata e raccontata da Gabriele Scotolati (Giovanni Coviello) p 22
• Indennizzi soci BPVi, Veneto Banca e altre banche collassate (Rodolfo Bettiol) p 28
• Frodi finanziarie: TAR e Consiglio di Stato bocciano il MEF dal… 2005 e riaccendono le speranze dei risparmiatori Non solo delle Popolari in LCA (Fulvio Cavallari) p 30
• Bocciodr omo sempre vincente: e ora, “sotto con la TAV!” In difesa di un complesso, multiforme e poco noto “progetto” sociale (Giulia Guidi)
p 32
• Cold Case: Nadia, “occultata” nella neve La procura riapre il caso? (Giulia Guidi) p 36
• Al Museo della Gr appa Poli di Bassano ci si immerge nella storia della Distilleria e nell’arte dei grappaioli (Marta Cardini)
p 38
• 191: il Caf fè delle donne e degli artisti (Marco Ferrero) p 40
• Medioevo Vicentino 1 (Marco Ferrero) p 42
• Nerina Nor o (Benedetta Ghiotto)
p 44
• Boomer s Come eravamo Parte Seconda (Massimo Parolin) p 46
• Fabio Coppo e il possibile ripescaggio dei Rangers Vicenza: “Ci faremo trovare pronti, ma servono più risorse e imprenditori illuminati” (Edoardo Ferrio)
p 49
• La Pallanuoto Vicenza nelle parole di Armando Merluzzi: “è nata a casa mia 40 anni fa” (Edoardo Ferrio) p 52
• Chiar a Costagli tocca con un dito l’A1, ma sceglie la B1 a Vicenza: "ottimo ambiente e bella città: mi trovo molto bene" (Edoardo Pepe)
54
• Cr esce l'ansia da intelligenza artificiale Come affrontarla? (Sabrina Germi) p 56
• Electric dr eams: dentro la mente di Philip K Dick (Tommaso De Beni) p 58
• Social networ k: opportunità e rischi, specie per i giovani (Clarissa Mingardi) .
p 59
• L'invenzione dell'orologio (Luca Fusaro) p 61
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Vicenza Città (quasi) bellissima Tommaso De Beni Vicenza città (quasi) bellissima € 12,00 Il libro può essere acquistato nelle librerie, su Amazon e sul nostro shop www.vipiu.it/shop VicenzaPiu_2024_7.indd 4 23/04/24 18:26
Tommaso De Beni
VicenzaPiùViva
Editoriale
Vicenza riceve l’abbraccio di 500 .000 alpini: la nostra sede è già imbandierata e VicenzaPiù n . 7 scrive tanto di loro ma non solo
Di
Giovanni Coviello
Dopo che il 25 febbraio 2024 le nostre testate hanno festeggiato 18 anni, diventando le terze per longevità a Vicenza col GdV e con la Voce del Berici, Padre Gino Alberto Faccioli dei Servi di Maria, il sindaco Giacomo Possamai e l’eurodeputato Sergio Berlato hanno tagliato con chi scrive, altri esponenti politici e alla presenza di vari amici il nastro tricolore per inaugurare il 12 aprile la nuova sede fisica in contrà Vittorio Veneto 68 a Vicenza.
Fuori dalla porta sventolava già la prima bandiera tricolore di tutta la contrada ad annunciare che, dopo 33 anni, tutti gli alpini d’Italia, chi fisicamente chi col cuore, torneranno a radunarsi nella città che è l’unica in Italia che, in luogo del Gonfalone, detiene la Bandiera Nazionale decorata con ben due Medaglie d'Oro al Valore Militare.
Questo numero, quindi, non poteva
VicenzaPiù Viva Enigmi, storie, radici, farse, drammi, personaggi: vita vecchia, nuova e futura Nuova serie cartacea testata web ViPiu.it - VicenzaPiu.com
Fondato il 25 febbraio 2006 come supplemento di La Cronaca di Vicenza
Autorizzazione: Tribunale di Vicenza n. 1183 del 29 agosto 2008 Supplemento a VicenzaPiu.com
Direttore Responsabile: Giovanni Coviello
Ideazione grafica e impaginazione Scriptorium, Vicenza
non occuparsi dell’adunata, la 95ª della storia, ma lo fa a modo nostro, con ricordi di quella del 1991 e con “letture” originali dell’evento del 2024, tra cui quella “inimitabile”, questa volta per immagini e parole, di Gabriele Scotolati: gli alpini, 500.000 circa, non sfileranno per Vicenza ma ne circonderanno con un abbraccio caloroso i 5 volte meno numerosi abitanti. Ma il nostro n. 7, che segue i 281 della prima serie allargando ancora la sua diffusione (in sede oltre che in 115 edicole che servono 315.000 abitanti e online per gli abbonati) parla anche di Bocciodromo, di indennizzi ai risparmiatori traditi dalle banche venete, per i quali ipotizziamo una nuova strada, di ansia da AI, di storie e progetti di sport, di cultura, di cold case, di… Ma leggete l’indice e farete
Shop & Meeting Point VicenzaPiù ViPiu.it, inaugurazione sede col tricolore (Foto: Colorfoto Francesco Dalla Pozza)
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Viva VicenzaPiù
testata
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è
VicenzaPiùViva
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Di Antonino Pellegrino
Dottore Commerciaista
Società Meritrometro e “Mediocritometro
Meritometro e “Mediocritometro”
Il Forum della Meritocrazia (https://forumdellameritocrazia.it/
“Meritometro” definito come “È l’indicatore europeo
Elaborato dal Forum della Meritocrazia in collaborazione concrete ai policy maker, si basa su 7 pilastri:
di Antonino Pellegrino
Il Forum della Meritocrazia (https://forumdellameritocrazia. it/) pubblica annualmente dal 2015 il c.d. “Meritometro” definito come l’indicatore europeo
che misura il livello di meritocrazia di un Paese. Elaborato dal Forum della Meritocrazia in collaborazione con l’Università Cattolica per fornire proposte concrete ai policy maker, si basa su 7 pilastri (fig. 1).
(*) fonte: https://dirigentindustria.it/management/meritometro-2023-le-di<icolta-in-europa-e-lo-stallo-dell-italia-nel-rankingannuale-del-forum-della-meritocrazia.html
Sulla base dei “Meritometri” realizzati dal Forum abbiamo elaborato la seguente tabella relativa ai punteggi degli anni 2020-2023:
Figura 1
Meritometri:
2020
Sulla base dei “Meritometri” realizzati dal Forum abbiamo elaborato 2 tabelle (qui a fianco): la prima relativa ai punteggi degli anni 2020-2023, la seconda che riporta la classifica di ciascun Paese negli stessi periodi.
ed un’altra che riporta la classifica di ciascun Paese negli stessi periodi
Ranking
Paese2020202120222023
Finlandia1111
Danimarca3342
Svezia2223
Norvegia4434
PaesiBassi5555
Germania6666
GranBretagna7777
Austria8888
Francia9999
Polonia11101110
Spagna10111011
Italia12121212
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L’Italia è ultima in una classifica che evidenzia – non fornendo però spiegazioni a proposito - agli ultimi 4 posti Paesi accomunati (a prima vista) da una forte presenza della Chiesa Cattolica contrariamente a quelli, delle posizioni di vertice, del Nord Europa (Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia).
Tra democrazia e meritocrazia esiste un intimo ed indissolubile legame in assenza del quale esisterebbero insormontabili barriere alla mobilità sociale delle persone e forti limitazioni alla libertà dell’individuo di aspirare alla propria realizzazione oltreché alla libertà individuale nel suo complesso.
L’Italia è ultima in una classifica che evidenzia – non fornendo però spiegazioni a proposito - agli ultimi 4 posti Paesi accomunati (a prima vista) da una forte presenza della Chiesa Cattolica contrariamente a quelli, delle posizioni di vertice, del Nord Europa (Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia).
Tra democrazia e meritocrazia esiste un intimo ed indissolubile legame in assenza del quale esisterebbero insormontabili barriere alla mobilità sociale delle persone e forti limitazioni alla libertà dell’individuo di aspirare alla propria realizzazione oltrechè alla libertà individuale nel suo complesso.
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Meritometri:
Finlandia
Svezia
Norvegia
Danimarca
Paesi Bassi
Germania
G. Bretagna
Austria
Francia
Spagna
Polonia
Italia
Finlandia
Svezia
Norvegia
Danimarca
Paesi
Bassi
Germania
G. Bretagna
Austria
Francia
Spagna
Polonia
Italia
Finlandia
Svezia
Norvegia
Danimarca
Paesi Bassi
Germania
G. Bretagna
Austria
Francia
Spagna
Polonia
Italia
Finlandia
Svezia
Norvegia
Danimarca
Paesi
Bassi
Germania
G. Bretagna
Austria
Francia
Spagna
Polonia
Italia
Meritometri (Fonte: Forum della meritocrazia - www. forumdellameritocrazia.it/attivita/meritometro
Nel moderno stato di diritto occidentale il complesso delle regole che costituiscono l’ordinamento giuridico deve assicurare che 'il campo da giuoco' sia il medesimo per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro razza, genere, ceto o classe sociale di provenienza.
È l’efficacia con la quale il sistema delle regole è idoneo ad assicurare il rispetto della leale concorrenza economica, culturale e sociale tra gli individui che distingue una democrazia compiuta da una immatura.
Nel forum si legge:
«I risultati del Meritometro 2020 confermano – purtroppo – l’istantanea scattata oramai cinque anni fa sullo stato del merito nel paese che, come sappiamo, basa i suoi meccanismi di promozione sociale
più sulla relazione e la conoscenza che sul merito e la competenza»
«Una melassa “mediocratica” nella quale non si valorizzano i migliori (che finiscono per emigrare o per essere frustrati) e non si riescono a dare opportunità di ascesa sociale, rendendo la situazione statica, con vantaggi per i piccoli o grandi 'rentier'» Cambiando l’angolo di visuale e rovesciando la valutazione il medesimo strumento di valutazione potrebbe intendersi come misuratore della mediocrità, considerati gli indicatori certo non brillanti delle performances del nostro Paese ed in tal caso saremmo al vertice della classifica.
Questa 'melassa mediocratica' (o meglio 'mediocritocratica'), è l’anticamera del declino delle mo-
derne democrazie progressivamente in favore di regimi autocratici, oligarchici e per finire dittatoriali.
Nei contesti nei quali non si può svolgere una leale competizione meritocratica – sia in campo sociale che economico - si coagulano intorno ad un “capo” gruppi di interesse e cordate che costruiscono anche influenti centri di potere della mediocrità, spesso cardini di rilevanti interessi e fonte di benefici economici e sociali per i membri della “cordata” o del gruppo di interesse. Non si tratta di fenomeni da sottovalutare perché, a ben vedere, sono nella sostanza analoghi a quelli che – in assenza di una efficace presenza e vigilanza, anche al proprio interno, dello Stato di diritto – danno luogo alla nascita della cri-
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minalità organizzata ed alla raccolta di 'picciotti' da parte della stessa.
In tutti questi casi il gruppo di mediocri si raccoglie intorno ad un capo per il quale proprio tale qualità di chi lo circonda è garanzia di fedeltà ed obbedienza.
Infatti nessun individuo consapevole delle proprie qualità ed in grado di affermarsi da solo nella società o nell’economia accetterebbe di barattare la libertà personale per aderire ad un tale gruppo per il quale sarebbe quasi sicuramente un dissidente al momento di conformarsi alle decisioni del “capo”.
La democrazia per definirsi tale deve sempre poter offrire ai cittadini la possibilità di scegliere il merito ed il rispetto delle regole pena l’inerzia del sistema ed il suo precipitare verso i regimi.
I casi - cari al nostro Direttore Editoriale - della Banche Venete, confermano queste circostanze.
Senza un management pienamente allineato al “capo” e deciso (o costretto) ad allinearsi alle (errate) scelte gestionali, non sarebbero stati possibili crack di siffatte proporzioni ed è altrettanto plausibile come un manager non allineato non avrebbe probabilmente neanche trovato spazio in un tale Gruppo di comando.
Queste considerazioni dovrebbero far comprendere quanto sia fondamentale la valenza della “meritocrazia” che tocca il complesso dell’apparato statale, l’eco-
nomia ed il lavoro nonché la quotidiana vita sociale.
Per arginare la crescita del clientelismo e della mediocritocrazia occorrono non solo regole idonee ad assicurare teoricamente il prevalere del merito quale ascensore sociale ma anche comportamenti concreti da parte di ciascun cittadino che pongano fine al fenomeno della “promozione sociale basata più sulla relazione e la conoscenza che sul merito e la competenza”.
Questi comportamenti sono doverosi non solo da parte delle autorità e di coloro che occupano posizioni di potere nella politica, nella giustizia, nell’economia, nei rapporti di lavoro e nella società civile in genere ma è anche obbligo dei singolo cittadino contrastarli con decisione da chiunque provengano.
La denunzia della corruzione e del malcostume è il primo obbligo che incombe non solo su coloro che svolgono ruoli “istituzionali” ma anche su ciascun cittadino che intenda rimanere tale anziché abdicare a suddito per sé, i suoi figli e le future generazioni.
Del resto anche la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, sottoscritta nel lontano 1776, recita:
«Consideriamo verità evidenti per sé stesse che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono stati dotati dal loro Creatore di taluni diritti inalienabili; che, fra questi
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diritti, vi sono la vita, la libertà e il perseguimento del benessere. Che per garantire questi diritti, vengono istituiti fra gli uomini dei governi che derivano dal consenso dei governati il loro giusto potere» È palese come il diritto al perseguimento del benessere sia violato dal clientelismo/mediocritocrazia e dalle forme di associazionismo (lecite, illecite, palesi o occulte che siano) che hanno finalità in contrasto con tale diritto, cioè tendenti ad alterare il c.d. 'level playing field', impedendo che tutti giochino con le medesime regole.
Questa è la vera sfida di una guerra con battaglie quotidiane che ogni cittadino dovrebbe essere chiamato a combattere a salvaguardia della democrazia ed a tutela della libertà di ciascuno.
Nel contempo è compito dello stato di diritto quello di non lasciare indietro nessuno, assicurando ‒ con gli opportuni interventi in economia ‒ ai meno fortunati condizioni di vita e benessere comunque adeguate agli standard della civiltà europea ed occidentale e di introdurre norme che favoriscano il ricambio delle posizioni anche all'interno dei poteri dello Stato.
In tale prospettiva appare rilevante anche la soluzione che troverà il dibattito politico in corso sul c.d. 'terzo mandato' ai Presidenti delle Regioni.
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95ª adunata alpini
Gli Alpini oggi: tra guerre in tempo di pace, funzione civile e folklore .
Due sono le brigate alpine dell’esercito italiano, mentre l’ANA coinvolge gli ex alpini in varie attività a livello locale
di Tommaso De Beni
Il corpo degli Alpini nasce a Napoli nel 1872, circa una decina d’anni dopo la nascita dell’esercito italiano. Un tempo le brigate alpine erano cinque, oggi ne sono rimaste due: la Brigata Alpina Julia, facente parte della Multinational Land Force (MLF), formazione multinazionale di livello Brigata, alla quale partecipano anche Ungheria e Slovenia e la Brigata Alpina Taurinense, appartenente al Not Standing Bi-National Brigade Command (NSBNBC), formazione multifunzione italo-francese di livello Brigata.
Gli alpini hanno partecipato a sette guerre: guerra di Abissinia, ribellione dei Boxer, guerra italo-turca, Prima guerra mondiale, guerra d'Etiopia, invasione dell'Albania, Seconda guerra mondiale. A queste vanno aggiunte alcune missioni internazionali come quella della Provide Comfort nel Kurdistan iracheno nel 1991, della Kosovo Force in Albania nel 1993, l’operazione Onumoz in Mozambico nel ’93-’94, Joint Guard e Costant Guard nel ’97-’98 in Bosnia, Alba, AFOR, OSCE-KVM dal ’97 al ’99 in Kosovo e tre missioni in Afghanistan dal 2002 al 2003: Nibbio, Enduring Freedom e ISAF. Nel 2011 i parà della Folgore hanno preso il posto degli alpini, che in Afghanistan hanno perso sette uomini, tra cui il vicentino Matteo Miotto nel 2010. Dopo la fine della guerra fredda le
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brigate alpine oltre ad essere ridotte sono state leggermente trasformate, ampliando la loro connotazione come fanteria di montagna per adattarsi a vari tipi di operazioni, come appunto le missioni internazionali cosiddette “umanitarie” o “di pace”. Nel frattempo, l’opinione pubblica, nei primi anni ’90, ha protestato contro i governi per l’utilizzo dei militari di leva nelle missioni estere, e così nel 1995 è arrivata la legge che introduce la possibilità di arruolare i volontari. Gli alpini sono stati impiegati anche in alcune operazioni di ordine pubblico interno, come nel caso dell’operazione Forza Paris in Sardegna nel ’92 per il rapimento di Farouk Kassam, Vespri Siciliani in Sicilia dal ’92 al ’98, operazione decisa dopo gli attentati di mafia a Falco-
ne e Borsellino e Riace nel ’94-’95 in Calabria contro la ‘Ndrangheta. Gli alpini fanno parte inoltre dell’operazione “strade sicure”, nata nel 2008 e che consiste, anche oggi, anche a Vicenza, nell’invio dell’esercito in alcune città per tutelare l’ordine pubblico. Hanno inoltre affiancato spesse volte, assieme ai veterani dell’ANA, la Protezione civile in operazioni di soccorso in occasione di calamità naturali come alluvioni o terremoti. Per il 2024 il governo, oltre a confermare varie missioni dell’esercito italiano all’estero, dall’Africa alla Bulgaria, ha aggiunto due nuove missioni: Aspides in Mar Rosso e Levante a Gaza. L’associazione nazionale alpini (ANA) è nata invece nel 1919 con lo scopo di “tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini,
Il Caporal maggiore Matteo Miotto, morto in Afghanistan (Foto: Facebook)
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difenderne le caratteristiche, illustrarne le glorie e le gesta; rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i vincoli di fratellanza nati dall’adempimento del comune dovere verso la Patria e curarne, entro i limiti di competenza, gli interessi e l’assistenza; favorire i rapporti con i Reparti e con gli Alpini in armi; promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna e del rispetto dell’ambiente naturale, anche ai fini
della formazione spirituale e intellettuale delle nuove generazioni; promuovere e concorrere in attività di volontariato e Protezione Civile, con possibilità di impiego in Italia e all’estero, nel rispetto prioritario dell’identità associativa e della autonomia decisionale”. Gli alpini hanno anche un coro, con cui partecipano a concerti, organizzano anche dei campi scuola per ragazzi dai 16 ai 25 anni. Nel 2013 sono nate anche
BPVi e Veneto Banca. La storia dei fallimenti. La farsa degli
vita propria e dei loro genitori e congiunti. Questo libro in maniera semplice, documentata ma senza astrusi e fuorvianti tecnicismi, offre ai lettori, agli “azzerati” e ai “sepolcri imbiancati” - una visione e ricostruzione storica sintetica del fallimento delle due banche popolari venete
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le “penne rosa”, un’associazione che organizza eventi e che coinvolge sia donne nell’esercito, sia mogli, figlie, sorelle di alpini. Fuori dalle missioni internazionali, gli ex alpini nelle nostre città a volte spesso visti come una figura a metà strada tra il “nonno vigile” e la pro loco, nel senso che partecipano, organizzano o assistono a varie manifestazioni. A Vicenza organizzano per esempio la festa del baccalà e curano gli addobbi natalizi di porta San Bortolo. Questa versione local, che riguarda, diciamo, non gli alpini attivi nell’esercito, ma gli ex alpini e i simpatizzanti, è quella più folkloristica e anche simpatica, associata spesso a grandi bevute, che attirano anche persone che nulla hanno a che vedere con gli alpini. Questa simpatia è stata intaccata nel 2022, quando, nella strana location di Rimini-San Marino (che ha soffiato il posto alla più coerente, per la storia, Verona), diverse donne e ragazze hanno denunciato episodi di molestia subiti durante l’adunata da parte di alpini o simpatizzanti. Inutile dire che in ogni manifestazione che porta in piazza centinaia di migliaia di persone possano verificarsi episodi sgradevoli, anche se il rischio è di rovinare la funzione civile che può avere l’ANA, anche attecchendo in un’area di popolazione di centrosinistra e tendenzialmente antimilitarista, proprio grazie ad iniziative che non c’entrano con l’aspetto militare e bellico.
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Alpini in attività sociali (Foto: pagina Facebook dell'ANA)
indennizzi. Il Sistema intoccabile
25 giugno 2017 il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), su proposta della Banca d’Italia, mise in liquidazione coatta amministrativa
circa 200.000 soci, gran parte dei quali
del controvalore delle loro azioni, in totale circa 11,5 miliardi di euro, spesso frutto del lavoro della
per non incrociarne il racconto; - documenti delicati sottovalutati (non utilizzati?) dalle autorità competenti, tra cui anche la seconda Commissione di inchiesta sul sistema finanziario e bancario, che, come quella sulla morte di David Rossi del Monte dei Paschi di Siena, “si è estinta” grazie alla formato: 16,8 x 24 pagine: 96 illustrazioni: b/n rilegatura: brossura collana: Vicenza Papers isbn: 978-88-9455-317-8 prezzo: € 10,00
2023 Giovanni Coviell1 - Rodolfo Bettiol - Fulvio Cavallari BPVi e Veneto Banca. La storia dei fallimenti. La farsa degli indennizzi. Il Sistema intoccabile | € 10,00. Il libro può essere acquistato nelle librerie, su Amazon e sul nostro shop www.vipiu.it/shop VicenzaPiu_2024_7.indd 11 23/04/24 18:26
Giovanni Coviello1 - Rodolfo Bettiol2 - Fulvio Cavallari3
Il
la Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e Veneto Banca S.p.A., le due grandi Popolari venete arrivate nella top 10 italiana, la cui fine privò il Veneto del suo volano finanziario e
risparmiatori,
, troppo interconnesse fra di loro
Luglio
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Consigliere comunale
L’adunata dei giovani
di Jacopo Maltauro
Cari lettori, mentre scrivo mancano pochi giorni all’Adunata nazionale degli Alpini ospitata nella nostra Vicenza e il clima è già addobbato a festa. Bandiere, negozi, iniziative e volontari dell’A.N.A al lavoro nelle strade e nelle piazze. In questo clima dal sapore festoso, vorrei condividere con voi un auspicio. Anzi, due. Il primo rivolto alla città, affinché questa attesissima “invasione” di 400.000 penne nere possa costituire davvero un’occasione di grande slancio e di rilancio per tutto il tessuto cittadino, dai commercianti e alle tante associazioni. Non veniamo da mesi facili, il centro storico è in sofferenza e molte famiglie e attività commerciali sono in difficoltà.
Questa novantacinquesima adunata non dovrà essere solo un momento di identità e valori, di celebrazione dell’A.N.A e di festa cittadina, ma anche un’opportunità di intelligente promozione delle nostre bellezze architettoniche, paesaggistiche e culturali. Le Istituzioni coinvolte, a partire dal Comune della città capoluogo, dovranno dare prova di saper sfruttare al meglio questa straordinaria vetrina. Presentando una città curata, servita e vogliosa di accogliere al meglio turisti e famiglie. Il commercio cittadino e il nostro tessuto sociale possono beneficiare molto di questo momento, anche in prospettiva.
Il secondo auspicio cari concittadini, vorrei rivolgerlo ai giovani vicentini, ai miei coetanei anche a chi è un po’ più giovane di me.
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Si, spero che questa possa essere davvero anche una Adunata dei giovani. Dopo le polemiche che hanno investito le scorse adunate, vorrei che i nostri giovani potessero invece acquisire il senso profondo che lega gli Alpini al nostro paese. Senza strumentalizzazioni, ma con autentico spirito di curiosità e conoscenza. Un’Adunata vicina ai giovani non solo nei termini di una festa che coinvolga tutti ma anche nel senso più profondo, quello di un momento identitario e di crescita per le giovani generazioni oggi racchiuse troppo spesso nel deserto ideale e nella bolla mediatica dei social. Un’occasione per conoscere il volontariato e l’importanza dei valori di cui gli alpini sono portatori: rispetto, amor patrio e solidarietà. La macchina dei volontari è già in funzione e ben rodata, ma in quei giorni ogni braccio in più messo al servizio della comunità cittadina sarà cosa più che preziosa e sicuramente più che apprezzata. Perché non prevedere allora il lancio, a pochi giorni dall’Adunata,
di una sezione ad hoc dell’albo dei volontari civici in grado di accogliere giovani che vogliono contribuire alla buona riuscita di questo grande evento?
Pulizia delle vie e delle piazze, punti informativi e di orientamento, gruppi di controllo e monitoraggio. Sono tante le attività che potrebbero vedere i giovani protagonisti in questa grande Adunata nazionale. Festeggiare ma anche aiutare, capire, far tesoro dei preziosi principi intrisi nell’essere alpino che traspira da sempre nel nostro territorio.
Auspici positivi e costruttivi per un momento significativo per tutta la comunità vicentina che dopo 30 anni torna a vivere una delle manifestazioni più belle del nostro paese, della nostra cultura nazionale.
Infine, allora, il mio augurio di buona adunata a tutti i vicentini e le vicentine e il mio più sincero ringraziamento a tutti i volontari A.N.A e non solo che da mesi preparano, lavorano, organizzano investendo tempo e grandi energie. Grazie! Viva gli Alpini, viva Vicenza!
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Una "penna nera"
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Consigliere comunale
95ma Adunata degli Alpini: tra critiche e opportunità . Un buon lavoro dell’Amministrazione e il favore d’animo dei cittadini
di Benedetta Ghiotto
Cari lettori, la 95esima Adunata degli Alpini è ormai vicina. Con lei sembrano anche infittirsi le discussioni da bar riguardo alla sua possibile ricaduta – c’è chi dice positiva, c’è chi dice negativa – sulla nostra città. Senza addentrarmi in questo discorso che non solo esula dal lavoro del buon politico ma che rischierebbe di fomentare discussioni che ahimè terminano sempre per rovinare nell’ideologia, è importante mettere in risalto ciò che l’amministrazione comunale sta facendo per rendere queste giornate di grande movimento ugualmente vivibili, se non piacevoli, alla cittadinanza tutta. Il primo punto all’ordine del giorno per garantire la quotidianità ai vicentini è sicuramente la mobilità. Come garantirla? Il centro storico è stato così diviso in tre fasce (rossa, arancione e gialla) a seconda della vicinanze delle zone ai punti nevralgici della manifestazione che si terrà domenica 12 maggio subito dopo due giorni fitti di impegni. In quei giorni sarà, soprattutto per la zona rossa, impossibile muovere l’auto, ma tale divieto, questa volta per un evento più grande della solita domenica ecologica, potrebbe essere anche un’occasione per riscoprire le modalità di movimento green. A chi non ha un parcheggio e dunque è solito tenere la macchina fuori, verrà garantito un posto nei parcheggi a pagamento del centro come per esempio Park Fogazzaro (che per l’occasione diverranno temporaneamente gratuiti).
Degna di nota, nella giornata di venerdì 10 maggio, sarà l’inaugurazione della Cittadella degli Alpini. In Campo Marzo, prenderà vita una 'cittadella' con il fine di celebrare l’impegno, la tradizione e l’innovazione dell’Esercito Italiano, della Protezione Civile, dell’Associazione Nazionale Alpini e della Sanità Alpina.
Tale vetrina espositiva, per di più interattiva, costituirà un’opportunità per scoprire i moderni mezzi, gli equipaggiamenti all’avanguardia e le molteplici attività svolte dalle truppe alpine. Alla faccia delle critiche contro un’amministrazione sinistroide avversa agli Alpini!
È giusto però, in questa sede come in tutte quelle inerenti al mio impegno politico, essere quanto più tra-
sparente possibile. Quanto avvenuto a Rimini durante la 94esima Adunata è da condannare e prendere le distanze. Le molestie operate accompagnate da frasi giustificative raccapriccianti (ne ricordo una che mi colpì particolarmente “Le donne ci provocano, se si coprissero non ci sarebbero molestie”) hanno rovinato il clima di festa che, anche quest’anno come ormai quasi da un secolo, porta migliaia di persone a ritrovarsi e contagia anche i cittadini delle città ospitanti. È importante però non generalizzare confondendo il cappello pennato di un colpevole con la ragione della colpa. La volgarità, l’ignoranza e il maschilismo che son ben evidenti in questi commenti come nelle molestie in generale non è caratteristica dell’alpino, ma dell’uomo che ha bisogno di proteggere e rinfrancare la sua identità di genere.
Insomma, gli Alpini sono ormai alle porte: usiamo le giornate dal 10 al 12 maggio per festeggiare – morigeratamente – e per vivere la nostra Città sotto un’altra veste, ascrivendo a guadagno il patrimonio culturale e morale di cui gli Alpini – decisamente non quelli coinvolti nei fatti di Udine - si fanno portatori ossia solidarietà, impegno e, soprattutto, senso di appartenenza al territorio e alla comunità.
Buona Adunata a tutti voi!
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L'adunata alpina di Rimini
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95ª adunata alpini
Alpini e vicentini: storia di un legame .
Una breve storia del Corpo degli Alpini, dalla loro fondazione a… Napoli come difensori dei confini settentrionali dell’Italia alle loro missioni militari e di soccorritori moderni, uno dei migliori eserciti di montagna del mondo . Alcune curiosità spiegano il significato dei loro simboli e il loro legame con Vicenza e il suo territorio
di Carlo Valente
"Sul cappello, sul cappello che noi portiamo, c’è una lunga, una lunga penna nera”. È dal 1915 che sentiamo questa canzone tra i monti, nei boschi, nelle serie tv e spesso anche in ufficio e inevitabilmente ci fa pensare agli Alpini, tra i più amati e coraggiosi soldati della storia italiana, nonché il Corpo di Fanteria di Montagna in servizio più antico del mondo.
La loro storia inizia, per chi non lo sapesse, a… Napoli, per Regio decreto di re Vittorio Emanuele II il 15 ottobre 1872 con lo scopo di sorvegliare i confini settentrionali del Regno d’Italia.
Un fatto interessante è che la penna sul cappello (introdotta nel 1910) non è identica per tutti gli Alpini: la 'truppa' ha una penna nera di corvo, gli ufficiali hanno penne marroni di aquila mentre un alto ufficiale e un generale degli Alpini sfoggia orgoglioso una penna di oca bianca, tutti uccelli potenti capaci di coprire grandi distanze e di domare le alture.
Gli Alpini si sono distinti in diversi conflitti e operazioni di montagna, dalle Alpi contro le truppe Austro-Ungariche ai monti del lontano Afghanistan, non solo combattendo ma anche portando avanti operazioni di soccorso e di pace. Come già detto, gli Alpini furono
concepiti e costituiti come un Corpo militare addestrato e abilitato per le operazioni e i combattimenti in montagna e in territori impervi, difficilmente raggiungibili e in cui l’uso di mezzi pesanti è molto difficile. Questa loro preparazione ed esperienza li ha dotati di capacità molto utili in situazioni di emergenza o calamità, rendendo gli Alpini eroici protagonisti di operazioni di soccorso in territori di montagna e in caso di calamità naturali in tutta Italia ma anche in altri Paesi. Ecco perché gli Alpini godono di particolare affetto da parte della gente comune e perché restano sempre attivi anche in tempi di pace.
Gli Alpini hanno un legame speciale con Vicenza poiché in questa città si sono verificate diverse battaglie con nemici che avevano violato le Alpi da loro sorvegliate. il territorio vicentino custodisce dei
luoghi preziosi per il Corpo, tra cui i Sacrari Militari del Monte Grappa, gli Ossari del Pasubio e Monte Cimone, per non parlare di Asiago, tutti luoghi in cui riposano ben 85.000 caduti della Prima Guerra Mondiale.
Una delle imprese più celebri degli Alpini, di cui Vicenza fu testimone, è la resistenza sul Monte Grappa, la prima battaglia del Piave (tra il 13 e il 26 novembre 1917)
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dove il Regio Esercito Italiano e le sue truppe di montagna arrestarono l’avanzata degli eserciti imperiali tedesco e austro-ungarico, per poi partecipare alla controffensiva del generale Diaz nel 1918.
La sezione A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini) di Vicenza cominciò a scrivere la sua storia poco tempo dopo, nel 1921, quando si preparò la sua costituzione. Il 12 febbraio 1922 il dott. Bruno Agostini decise che si era preparato abbastanza e, con un indomito appello intitolato “Alpini vicentini sveglia!” pubblicato sul periodico nazionale “L’Alpino”, convocò il primo comitato dell’associazione all’albergo “Ai Due Mori”. Non è la prima volta nella storia che una nobile iniziativa viene discussa in un albergo e intorno ad un buon pasto per poi evolversi nella nascita di un Impero, nella pubblicazione di un celebre romanzo o in una resurrezione. Quella degli Alpini vicentini si concretizzò il 22 aprile quando ne venne approvata la costituzione e si dichiararono tutte le Compagnie di Vicenza socie perpetue della Sezione A.N.A. vicentina. Celebre è Maria Giaretta, comandante di un comitato di signore vicentine che realizzarono il vessillo della Sezione, inaugurato al Teatro Olimpico il 4 novembre. La Sezione fu costretta
a sospendere le attività durante la Seconda Guerra Mondiale, quando gli Alpini furono impegnati a combattere sui numerosi fronti del conflitto. Dopo la fine della Guerra la Sezione A.N.A. di Vicenza fu la prima di tutta Italia a riattivarsi, il 27 giugno 1945, ad opera del capitano Giovanni Milan, permettendo agli Alpini di consolidare ulteriormente il loro legame con la città e i suoi abitanti.
Tante altre iniziative e imprese hanno ampliato e rafforzato i rapporti tra Vicenza e il Corpo, tra cui la grande Adunata Nazionale del 1991, evento grandioso e solenne destinato a ripetersi in questo maggio 2024 nella nostra città e ad aggiungere una nuova pagina a questa lunga e ricca storia d’amore tra Vicenza e il Corpo degli Alpini le cui alte penne sui cappelli rimangono un simbolo di onore e ammirazione.
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95ª adunata alpini
Adunata Nazionale degli Alpini del 1991 a Vicenza: “io c’ero, ma l’ho vissuta più dalla tv
che in diretta”
di Giulia Matteazzi
Nel 1991, quando ci fu la 64a Adunata Nazionale degli Alpini, io c’ero. C’ero eccome, avevo 24 anni. Che ricordo ho di quell’evento? Confuso.
Non in senso negativo, non era l’adunata ad essere confusa, sono i miei ricordi. Perché esattamente negli stessi giorni in cui gli Alpini hanno festosamente invaso Vicenza, la mia famiglia era alle prese con un trasloco. E no, noi non siamo come gli americani dei film, dove ogni familiare, compresi i bambini, ha il suo scatolone, e tutto il resto sta su un furgoncino, perché i mobili nella casa nuova – di solito stregata, ma quello è un altro discorso - ci sono già. No, nella mia famiglia tre traslochi abbiamo fatto, e tutti e tre un’impresa. Come spostare Abu Simbel. Il camion dei mobili, i bauli di legno per i vestiti e per i libri, ma soprattutto scatole su scatole di ciò che mia madre definiva alternativamente “le traje” o “gli altarini”. Soprammobili, ninnoli vari, oggetti di dubbia provenienza e nessuna utilità che però nessuno aveva coraggio di abbandonare. Insomma, il decluttering non andava di moda. In tutto questo poi c’era sempre un gatto, che fortunatamente non soffriva di nostalgia dei luoghi quindi si adattava al nuovo ambiente più facilmente di noi.
Comunque, non divaghiamo, mentre noi facevamo la spola tra zona stadio e centro storico, cer-
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cando di rendere vivibile la nuova casa, intorno Vicenza viveva la sua settimana alpina con crescente fervore. Mi colpiva vedere ogni spazio verde nelle vicinanze di casa, sia la vecchia sia la nuova, occupato da una tenda alpina. Erano dovunque, persino nelle aiole spartitraffico. O forse non proprio, ma quella era la sensazione. Ignorante in materia di Adunate, avevo chiesto spiegazioni a mio padre. Il quale ne era entusiasta. Lui non ha fatto l’Alpino, il servizio militare l’ha fatto nell’Aviazione, ma aveva una grande ammirazione per gli alpini. Appassionato di storia, rispettava il valore e l’importanza degli Alpini durante i due conflitti mondiali. Poi amava le passeggiate in montagna, l’Ortigara era una delle sue mete preferite, e lo spirito di sacrificio, la concretezza, il “lavorare bisogna”
erano le sue regole di vita. Fra l’altro, dato che il primo giorno nella nuova casa il gas non funzionava, aveva scherzosamente suggerito di andare nell’accampamento alpino più vicino a chiedere di farci mangiare qualcosa di caldo… È rimasta una battuta, anche perché il gas il giorno dopo è partito, però sono sicura che gli alpini ci avrebbero tranquillamente fatto mangiare con loro.
Francamente non ricordo se anche per l’Adunata del 91 le strade siano state chiuse per tre giorni. Ho qualche dubbio perché mio padre è sempre andato a lavorare e il trasloco lo abbiamo fatto senza problemi, e casa mia oggi è in zona rossa. Altri tempi, anche altro traffico. Mio padre mi aveva raccontato che addirittura un gruppo di Vicenza era partito una settimana prima per recarsi a
Striscione e sfilanti dell'ANA di Vicenza nel 1991 (Foto: Francesco Dalla Pozza)
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Trento e poi fare “l’avvicinamento”, perché essere già sul posto non era abbastanza entusiasmante... Non so se fosse una leggenda o un fatto reale, però dava l’idea dello spirito con cui era vissuta l’Adunata.
La città era invasa, ma è stata una bella invasione. Lamentele non ne ricordo. Cioè, ci sono sicuramente state, perché il vicentino medio si lamenta di tutto, se non ci sono manifestazioni perché la città è morta, se ce ne sono perché disturbano la quiete, se sono in centro perché “tutto in centro, il resto della città non conta”, se sono in periferia “chi vuoi che ci vada”… Ma l’adunata del 91, forse perché in epoca pre-social essere al centro dell’attenzione nazionale per un giorno era ancora un evento da celebrare, non ha suscitato particolari polemiche. Certo, c’era il timore che una città relativamente piccola come la nostra non riuscisse ad assorbire bene l’impatto della presenza di un numero di alpini cinque volte superiore alla sua popolazione, e come al solito ci sarà stato qualcuno con la puzza sotto il naso a parlare di evento anacronistico. Però non ho un ricordo nitido di sentimenti negativi,
sicuramente nulla di paragonabile alle polemiche più recenti. Anche il problema dell’atteggiamento verso il gentil sesso non è stato menzionato. Forse c’era una diversa sensibilità, ma devo dire che nei giorni dell’Adunata, tutte le volte che mi imbattevo in un gruppo di alpini, e ne ho incrociati molti, non ho mai avuto un briciolo né di paura né di disagio. Al contrario, ad uscire di sera mi sentivo persino più sicura. Ci sono stati complimenti non richiesti? Bè, chiamatemi scema, ma mi sarei avvilita se non me ne avessero fatti. Una parola gentile, un apprezzamento, se restano nell’ambito della correttezza, senza fischi, cori o stupidaggini, faccio fatica a considerarli negativamente. Venendo all’adunata vera e propria, personalmente, concentrata sulle faccende di casa mia, l’ho vissuta più dalla tv che in diretta. Non ho assistito ai tanti eventi di contorno né alla sfilata della domenica. Le cronache dell’epoca parlano di una macchina organizzativa che ha funzionato benissimo, affrontando e risolvendo problemi ed imprevisti, compreso quello di sistemare al riparo tanti alpini in difficoltà per l’imperversare del maltempo, che per fortuna ha risparmiato il giorno clou della sfilata. Mi spiace non essere stata tra le migliaia di vicentini che hanno as-
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sistito a tutte le otto ore di sfilata, magari riuscendo a vedere, pur da lontano, il Presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, che ha seguito con partecipazione e compiacimento il lungo snodarsi degli Alpini in marcia dalla tribuna d’onore. Perché, al di là dell’effetto 'gita scolastica' dei giorni precedenti, il comportamento, l’educazione e lo spirito degli Alpini si sono manifestati in ogni momento solenne, tanto che la sera della domenica era più il dispiacere che il 'sollievo' per la fine dell’Adunata. E, sorpresa, ma nemmeno tanto, il lunedì mattina le vie, le piazze, gli spazi verdi della città erano puliti come, anzi più di come erano stati prima dell’arrivo dell’'orda' alpina. La città è tornata alla normalità, laboriosa di giorno e sonnacchiosa di sera, ma l’adunata ha lasciato nel cuore un bel ricordo. Magari confuso, come il mio, ma sicuramente positivo.
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Foto: Francesco Dalla Pozza
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Alpini: il giorno è arrivato
Dopo 33 anni Vicenza saprà riabbracciarli e farsi riamare
di Giovanni Bertacche
Dalla stazione dei treni escono a frotte, abbracciati, cantando Sul cappello che noi portiamo, così coprono i diversi accenti e le lingue delle regioni di provenienza. Si intendono meglio con La montanara o Era una notte che pioveva. Quanti sentimenti in quelle melodie dei tempi di guerra: sono le canzoni il codice che accomuna tutti, il nord e il sud, il graduato e il militare. Avanzano sul viale Roma in cerca della 'baita' ove stare insieme, di fronte a un bicchiere di vino. Ma per chi arriva con i pullman o anche con i veicoli privati trova punti di ristoro in piazza Castello, in piazza S. Loren-
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zo, contrà Garibaldi, contrà Catena, piazza Matteotti.
Così si ha modo di visitare la città soprattutto per coloro che, provenendo da lontano, non hanno mai avuto occasione di vedere Vicenza dal vivo. Le piazze sistemate, fondo stradale levigato, fontane in funzione, monumenti di personaggi appropriati o adeguati allo spazio in cui si trovano.
È una prova generale.
Nessun veicolo non solo in movimento ma nemmeno in sosta, lungo le vie o nei parcheggi delle piazze. La città, la nostra, proprio a misura d’uomo, del resto il centro storico è racchiuso in un perimetro agevolmente percorribile a piedi.
Tanto più che Vicenza è un teatro a cielo aperto per il suo patrimonio artistico per cui è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco per i numerosi contributi architettonici di Andrea Palladio.
Un’adunata, quella degli Alpini, che non può non arricchire culturalmente i fortunati che vi partecipano. Ma anche i vicentini ne ricevono un contraccambio, non solo mostrando una città d’autore e per questo unica al mondo, ma per l’interesse che le sue architetture suscitano in ogni continente.
A cominciare dalla Piazza Maggiore ove si concentrano le opere più invidiateci. Dalle palladiane la Basilica e la Loggia del Capitanio ma anche quel Monte di Pietà che nel-
Concerto del neonato coro Alpini di Vicenza a Monte Berico in attesa dell'adunata nazionale
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la sua compostezza, peccato per la pressoché totale sparizione dell’affresco sulla facciata, ben si accompagna alle opere di epoca successiva del Grande Maestro.
Quella piazza radunerà nel ricordo, durante l’alza bandiera, i quattro sacrari del Pasubio, di Asiago, del Cimone, del Grappa così come del Monte Ortigara.
Un momento toccante per gli Alpini e pure per la città di Vicenza al centro dei combattimenti durante la Prima guerra mondiale sulle proprie montagne.
La sfilata all’indomani dei vessilli e dei gonfaloni unirà ancora una volta le due piazze principali della città, da Porta Castello a Piazza dei Signori.
Sarà di scena anche il teatro Olimpico. La presidenza nazionale degli Alpini incontrerà, in quello straordinario complesso, le sezioni estere e le delegazioni della federazione internazionale dei soldati di montagna e i militari stranieri.
Di certo non potrà mancare, a un appuntamento così clamoroso, la villa più ammirata e riprodotta al mondo, la Rotonda, che ospiterà un “concerto risorgimentale” in una se-
rata che ricorda il 175° anniversario dello scontro eroico tra la resistenza vicentina e le truppe austriache. Una vicenda ancora molto sentita e che farà guadagnare alla città la prima delle due medaglie d’oro al valore militare affisse alla bandiera cittadina.
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Della giornata conclusiva posso intanto riferire di quella vissuta 33 anni fa, nel 1991, di cui mi è rimasto vivo il ricordo anche perché si svolse proprio negli stessi giorni di maggio. Allora vi potei assistere con tutta la famiglia, moglie e figli, dal secondo piano ove tenevo l’ufficio che dava su viale Roma.
Certo allora non c’era il monumento agli alpini di fronte alla stazione, né il caffè Moresco che fungeva da quartier generale. In compenso a pochi passi da dove mi trovavo c’era addirittura il centro operativo, alloggiato nel salone Cristallo dei Giardini Salvi, con le occasioni di poter incontrare persone note o meno note provenienti da quel mondo, che fossero locali o che arrivassero da più lontano.
Allora sul palco d’onore c’era Francesco Cossiga in veste di presidente della Repubblica con a fianco il presidente della Giunta Regionale del Veneto Gianfranco Cremonese, vicentino di nascita, e la vicepresidente Amalia Sartori della Valdastico.
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Striscione e sfilanti dell'ANA di Vicenza nel 1991
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Il monumento agli Alpini di fronte alla stazione ferroviaria di Vicenza
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La sfilata quella, la 64ª, durata la giornata intera, “la nostra è la provincia più alpina d’Italia” (copyright Possamai, attuale sindaco) e dunque un onore parteciparvi anche dai paesini più sperduti, si concluse come di rito con i padroni di casa, la sezione di Vicenza “Monte Pasubio”.
Recavano una scritta piuttosto esilarante: “meglio magnare GATTI che ingoiare ROSPI”. Il riferimento ai felini è palese per un vicentino meno invece l’alternativa, se puramente oppositiva o se significasse un qualcosa di preciso.
Comunque, gli alpini di Vicenza, finito quell’evento clou, si dovevano preparare a un altro, più che insolito, anzi storico, accadimento.
A settembre di quello stesso anno arrivò a Vicenza Papa Giovanni Paolo II. E gli alpini dedicarono tutte le loro energie alle attività logistiche e al servizio d’ordine. Tanto che a conclusione dell’annata così densa di impegni a favore della comunità, l’amministrazione comunale conferì la medaglia d’oro quale Associazione Benemerita alla sezione di Vicenza che, intanto, festeggiava il 70° compleanno dalla fondazione.
Tornati all’oggi, ecco un qualche ulteriore suggerimento ai tanti venuti da lontano per vedere qualcosa ancora di Vicenza.
A cominciare dalle Gallerie d’Italia, il primo museo nazionale della fondazione Intesa San Paolo, seguito da quelli di Milano, Torino, Napoli e che si caratterizza all’interno di
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un edificio barocco, straordinario in una città rinascimentale, per le collezioni di ceramiche attiche e magno-greche. Annualmente poi viene proposto un itinerario tematico che prevede l’esposizione di un nucleo di opere.
Una visita, almeno, al Palazzo Chiericati sia come architettura, sempre opera del nostro Palladio, sia al museo civico che espone più di 35 mila opere tra dipinti, sculture, grafica, giocattoli, arti applicate.
Non si potrà dire, così, di aver conosciuto Vicenza con i suoi immensi tesori, ma di certo l’assaggio dei tre giorni farà sorgere il desiderio di ritornarvi non un’altra volta, ma più volte, preferibilmente in compagnia di familiari, amici, conoscenti per soffermarsi su aspetti, qui nemmeno accennati, di una città tutta da scoprire. Accanto agli eventi tipici dell’adunata alpina e ai rapidi avvistamenti della città, il visitatore dovrà sentirsi un ospite ben accetto soprattutto nei momenti liberi dai previsti impegni. È un modo garbato per invitarlo a tornare, nei fine settimana o in caso di particolare distanza, almeno qualche altra volta.
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Il libro dall’idea ... alla confezione
Alpini in piazza Castello a Vicenza durante l'adunata del 1991
Via Valeggio sul Mincio, 30 36100 Vicenza
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PER L’AMBIENTE
Dal 2023, nell’ambito del festival Danza in Rete Vicenza - Schio, la Fondazione Teatro
Comunale di Vicenza con il sostegno di Viacqua ha inaugurato il progetto “Danza in rete per l’ambiente” per sensibilizzare i cittadini e gli spettatori sui temi ambientali e in particolare sull’importanza dell’acqua come bene prezioso e insostituibile, attraverso una serie di azioni artistiche e formative.
SPETTACOLI IN PROGRAMMA / 2024
DOMENICA 26 MAGGIO
ore 20
TEATRO COMUNALE DI VICENZA
Sala Maggiore
L’IO SOLUBILE.
L’ECO DELL’ACQUA
Restituzione pubblica dei partecipanti del workshop condotto da Thierry Parmentier e Anna Zago
L’Io solubile. L’eco dell’acqua è la restituzione del laboratorio teatrale, condotto dall’attrice Anna Zago e dal danzatore e coreografo Thierry Parmentier, che propone una riflessione sulla necessità dell’acqua per la vita umana e del pianeta. L’azione performativa è il risultato di tre sessioni intensive in cui i partecipanti sperimentano le caratteristiche e le forme dell’acqua e le traducono nei linguaggi della danza e del teatro.
DOMENICA 16 GIUGNO ore 17
PARCO DELLE RISORGIVE DEL BACCHIGLIONE
SABATO 22 GIUGNO ore 17
OASI DI VILLAVERLA
GLI
SPRECONTROLLORI
Spettacolo per famiglie con bambini dai 4 anni con Nicola Perin e Sara Favero
Gli sprecontrollori. Una spumeggiante commedia per bambini dai 4 anni che unisce humor, azione e un messaggio ecologico vitale. La trama è incentrata sugli sprechi quotidiani da combattere in modo divertente e coinvolgente. Un viaggio giocoso e educativo nel mondo del rispetto ambientale, pieno di situazioni comiche, dialoghi arguti e una serie di colpi di scena.
progetto realizzato con il sostegno di viacqua tutti gli appuntamenti sono ad ingresso libero con prenotazione obbligatoria sul sito tcvi.it
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L’adunata degli alpini a Vicenza illustrata e raccontata da Gabriele Scotolati
Nessun sommario perché l’intervista non può essere sintetizzata: va solo letta per scoprire immagini e pensieri dell’artista
di Giovanni Coviello
Gabriele, scusami, ti conoscono tutti, quindi è inutile fare una presentazione.
Beh, sicuramente conoscono l’apparenza.
Esatto, ma il mio tentativo sarebbe di capire qualcosa di quello che c’è dietro l’apparenza per lo meno per il tema di questa parte di intervista sulle tue due illustrazioni sull’aduna degli alpini a Vicenza.
La comunicazione è sintesi, inizia e finisce con il saluto, il primo ciao te l’hodato…Epoièapparenza.
Una cosa che mi hai detto in questi giorni in cui ci siamo conosciuti un po’ di più è che sei una bella donna visto che non ti si può chiedere l’età.. Una cosa che mi piace è scherzare, darmene di meno di anni, soprattutto ecco, l’unico neo, tutto sommato.
Oggi, 17 di aprile, quanti anni hai?
Piùdicinquant’anni,diciamo58.
Io me ne sento sempre 73 e vado verso i 74, quindi va bene. Tu sei un artista, sei un creativo, non so, anche se mettere l’etichetta è sempre sbagliato, sei un appassionato del disegno. Tu come ti definisci?
Amo più la parola che l’immagine.
L’immagine chiamiamola manovalanza generica.
Però nei tuoi disegni di parole non ce ne sono molte, no?
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Le parole ci sono quando ci devono essere.
Cos’è che ci dà più libertà? La parola o l’immagine?
Io penso alla parola
La parola sì, l’immagine dà più spazio alla fantasia però, no?
Sì, l’immagine può essere interpretata,malaparola...Dovrebbeessere più precisa però. Perché, come dire, essendolibertànonc’èlimite,quindi ounolausaperlaveritàoppureuno la usa per dire quello che vuole, in ogni caso.
Le famose fake news, di cui noi giornalisti a volte siamo responsabili…
Io non sono di Vicenza, ma è dal 92
che vivo a Vicenza, però ti conosco meno di quanto ti conoscono altri. Mi hanno detto che io certe cose che ho fatto nel giornalismo le ho fatte con prorompenza, aggressività diciamo anche, perché non essendo vicentino non ho vincoli con quelle che sono i “rapporti locali.
A me chiedono se sono vicentino perchésentonochenonparlovicentino. Allora io rispondo che sono un italiano a Vicenza, temporaneamente dalla nascita.
Tutti siamo temporaneamente, purtroppo, su questa terra, ma tu hai… 58 anni; quindi, ci sarai di più di me, perlomeno statisticamente
Gabriele Scotolati "al lavoro" nello spazio espositivo del 191 Caffè a Vicenza
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parlando, no? Tu ti chiami Gabriele realmente, ma Scotolati è un nome d’arte. Questo già l’avrei raccontato, ma raccontalo anche ai nostri lettori. Perché hai scelto questo nome, questo cognome Scotolati?
Mi è stato suggerito: mi firmavo soltanto Gabriele e quindi qualcuno mi ha fatto notare che “finché ti firmi Gabriele, com’è che ti possono individuare le persone?
Molti ti hanno suggerito di mettere accanto al nome un cognome, diciamo, tutti questi qui ti hanno suggerito questo cognome d’arte, non so come...
Scotolati nasce nel 1983. Nel 1983, quando avevi…? 40 anni di meno di adesso. E niente, non ti frego sull’età… Allora, nasci del 1983.
Nel 1983 in quanto io conoscevo una persona di nome Giuseppe Scotolati,eraunViterbese.NelLazio ilcognomeScotolatièfrequente,qui no.
Come nasci Scotolati?
Tutto è iniziato per caso perché nell’estate dell’83, come succede spesso l’estate il comune, i comuni considerando che c’è meno gente nelle strade perché sono al mare, in montagna eccetera, fanno dei lavori inpiùstradeinterrotte.Miècapitato che nel 1983 una prima strada interrotta con dei segnali stradali ricoperti temporaneamente con carta bianca era via San Pietro qui vicino (l’intervista è avvenuta nella nostra nuova sede in contrà Vittorio Veneto 68, ndr), dove abitava al numero 13, proprio il vero Giuseppe Scotolati. A me non è parso vero, vedendounsensounicoconlafreccia di senso unico ricoperta di bianco: E lì c’era l’abitazione di Scotolati. Era un suggerimento, era un segno. Ci ho scritto via G. Scotolati, mi sembrava giusto, no? (il resto della storia del passato, presente e futuro di Gabriele la pubblicheremo nel prossimo numero di VicenzaPiù
Viva,ndr)
Te lo posso chiedere il cognome? Le mie domande sono da Vicentino mezzo mezzo, no? È conosciuto il tuo cognome vero oppure no? In Comune lo sanno, Fammi questo regalo, vai!
Pochi lo conoscono, è Padoan, scritto per esteso. Ma Scotolati mi è servito successivamente perché daquestonome,Scotolati,hopotuto ricavare tanti suffissi, prefissi, che si accostano e quindi anche nel calendario del 2024, “L’orso Dino è in città”.
Parliamo ora un salto del motivo per cui ti ho chiesto di intervistarti. In questi giorni in cui ci siamo conosciuti meglio di quando già ti intervistammo per un numero della prima serie di VicenzaPiù ti avevo esposto l’idea di utilizzare le tue illustrazioni nel numero di maggio di VicenzaPiù Viva in cui molto si scrive dell’adunata nazionale a Vicenza.
Questa allora è la mia tessera non tanto di marinaio ma di, aggregato marinaio.
Per dire che non sono un alpino, ma prenderò al tessera di Aggregato alpino,seesiste,enonsononeanche un marinaio ma qualche mese fa io ho partecipato al raduno dei marinai a Pisa realizzando un manifesto per i marinai di Vicenza presenti a Pisa. Adesso, a fine maggio, parteciperò all’adunata nazionale dei Fanti a Trieste. Allora, che devo dire? Che a me piacciono queste adunate che trasformano le città, e non tanto solo le adunate. Nel 1991 a Vicenza ci furono due eventi storici, la sessantaquattresima adunata degli Alpini e l’arrivo del Papa Giovanni Paolo II.
Anche l’arrivo del Papa per me fu una cosa da vivere tanto che negli anni successivi, siccome questo papa, era un papa viaggiatore, mi sono aggregato anche a qualche viaggio papale.
Avevo anche una fidanzata che non credeva che io andassi a vedere
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il papa. Per lei sopraggiungeva la gelosia e pensava che andassi a vedere chissà quali signorine. Siccome per me queste circostanze storiche hanno un significato tante ne ho viste di adunate, ora di alpini ora di altre Armi, e ho seguito anche qualche buon viaggio papale.
Torniamo agli alpini. Tu mi hai mostrato queste due illustrazioni, che pubblichiamo sul giornale. Raccontale tu, vai, raccontale tu. Beh, sono due interpretazioni. Quella in cui c’è un gruppo di alpini e in fondo si vede la villa del Palladio, rappresentano la storia. È storia quellachefannoglialpini,sefossero imarinaisarebbelastessacosa,però non nascondo che queste adunate degli alpini sono le più imponenti, quindi, più di altre armi, danno il senso della grandezza storica, se vogliamo. Nel corso di un anno qual è l’evento storico maggiore? Per me è l’adunata degli alpini. Una volta vista quella di Vicenza del 91, poi ho seguito pressoché tutte le altre, perché amo anche poi guardarmi attorno a queste manifestazioni a cui tanta gente assiste. Io vado anche a cercare gli sguardi, i volti, eccetera, come vivono anche gli altri questo evento.
Quest’anno sono circa 500.000 gli alpini che arriveranno qui a Vicenza e sono 500.000 alpini che arrivano in una città di 100.000 abitanti. Cosa vuol dire? La città diventano gli alpini?
Beh, ma è quello che succede anche nella maggior parte delle altre, per lo meno in quelle che dal 91 in poi hovisto.Epensochenonèmimeraviglieròdiciòchevedròperchéèciò di cui vado in cerca,osonoandatoin cerca negli altri precedenti: questa confusione, questa rivoluzione.
Ma qui, magari nelle città più piccole, Treviso, Rimini, Vicenza, sono più invasive, in senso positivo, che se l’adunata si svolgesse in una grande città, no?
Ma naturalmente, difatti, se c’è stata
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una città che mi ha deluso in questo senso è stata Milano.
Milano “vince” gli alpini nel senso che è letteralmente grande, per quanti loro siano non si vedono. Infatti, a Milano mi chiedevo dove fosseroquestialpini.Lecittàpiùpiccole sono quelle che vanno bene.
A questo punto sarebbe quasi da dire che non è tanto la città che accoglie gli alpini, ma gli alpini che abbracciano la città.
Si,l’abbracciano,larivoluzionano, perché, comunque, voglio dire, per tre giorni una città che diventa un accampamento è un’altra cosa.
Torniamo all’illustrazione con gli alpini che, appunto, “circondano” la villa del Palladio.
Questa è una specie di presa della Rotonda, presa mai avvenuta, ovviamente. Ma mi sono detto dov’è che a mio avviso metto un punto di riferimento per Vicenza? La Rotonda…
Però i volti degli alpini sono sorridenti, sono festosi…
E anche con le loro musiche. Nell’illustrazione c’è di fatto una delle cose che io amo. Quando vado alle adunate, rimango ad ascoltarle anche 9 ore, ora qui, ora là, eccetera, a sentire queste bande. Mi piace questa musica, ecco, quindi anche qui c’è festosità, c’è la musica che l’accompagna.
I due volti in cima chi rappresentano?
Cesare Battisti, Fabio Filzi: se si dovesse pensare ad alpini nella storia, chi vado a pensare se non ai due martiri?Nonvadoapensareachiha inventato il corpo degli alpini, a un generale, di cui neanche so il nome, ma questi sono stati due martiri alpini nella storia.
Qui, secondo me, che sono uno di quelli che guarda, ma non sono esperto, e anche se l’immagine degli alpini è quella di un corpo in armi, in quei sorrisi si intravede anche
quella che la funzione degli alpini di supporto alla popolazione, di intervento a difesa del territorio e così via. Quindi questo stare intorno alla rotonda è una “presa” o una sua difesa?
Beh no, io lo considero come una specie di arrivo. Qui la marciasisvolge così, terreno piatto, non c’è nessun punto di riferimento. Un’ipotesi di arrivo per me poteva essere la rotonda di Monte Berico.
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Poi c’è un’altra illustrazione, che ha fatto discutere, questo alpino che ha sulle spalle gli sci, tutta la sua attrezzatura e un ombrello addirittura. Raccontala tu questa immagine, perché mi hai detto che ha creato qualche critica da parete di qualcuno, no?
Ora voglio dire, ognuno può avere le proprie impressioni davanti ad una pittura anche se per me è chiara. Qualchegiornofahotrovato un vecchietto che era in questa posizione, così come l’ho messo: un vecchietto, una barba bianca… Gli ho fatto vedere questa illustrazione e gli ho detto, vedi, sei tu E io quando ho realizzato questa immagine, dopo l’altra, è quello che io ho colto. Cioè diciamo che una è l'azione, l’altra è il riposo.
Cioè in quella della Rotonda ci sono gli alpini che stanno arrivando, in quella del 'vecio' c’è un alpino che è sotto il peso del suo equipaggiamento e quindi è seduto, accovacciato. Ed è stato interpretato, invece, da al-
cuni a cui l’hai mostrata come quella di un alpino che stava… metabolizzando diciamo. Èsuaopinione,nonlamia.
L’immagine porta a interpretazioni, la parola dovrebbe essere più precisa?
Quante volte ho fatto anche delle cose strane, per cui qualcuno dice “ma sai che io ho intravisto…”, Lui ha intravisto, non io, io non avevo questa intenzione. In questo caso la mia intenzione è più o meno di mostrare un alpino sotto il peso dell’equipaggiamento, anche eccessivo.
Su uno sfondo cosa si vede?
La città palladiana
E la firma Gabriele Scotolati, che, pure, ora non servirebbe più tanto è noto lo stile di Gabriele che se si firmasse col suo vero nome, Gabriele Padoan, tutti penserebbero a un’altra sua burla.
Gabriele Scotolati con le sue illustrazioni sull'adunata degli alpini e la sua tessera da Aggregato marinaio nella nostra sede di Contrà Vittorio Veneto 68
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Indennizzi soci BPVi, Veneto Banca e altre banche collassate . “La storia vera e la soluzione… politica”
Rodolfo Bettiol
Da “BPVi e Veneto Banca. Storia dei fallimenti. La farsa degli indennizzi. Il Sistema intoccabile”
Alle origini, tra il 2015 e il 2016 scoppia il bubbone delle banche. Quasi da subito ci sono tentativi di salvataggio con l’intervento, dopo che Unicredit e Imi Intesa si erano defilate, del fondo Atlante. Insomma, un momento in cui sembrava che si potessero salvare queste banche. Allora, d’intesa con l’associazione Ezzelino mi occupai della costituzione di parti offese nei vari procedimenti a Roma (Veneto Banca) e Vicenza. L’obbiettivo era premere sulle banche che sembrava potessero sopravvivere. Quella pressione fruttò il risultato della mini transazione di 9 euro per azione BPVi e dell’analogo 15% ad azione per Veneto Banca
Nel 2017, intervenne la messa in liquidazione delle due banche venete e, a quel punto, si pose il problema del cosa potessero ottenere gli azionisti. Dal punto di vista della legge bancaria, una volta sopraggiunta la messa in liquidazione, non era possibile esperire azioni di esecuzione contro la BPVi in Lca e la Veneto Banca in Lca. Gli attivi “buoni” della Banca erano, intanto, passati a Intesa per un euro complessivo più, tra altre cose, una ‘dotazione’ di 4.75 miliardi anticipa-
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ta dallo Stato ma a carico delle due liquidazioni, quindi, da quel lato non c’era nulla da fare.
Tuttavia, il numero delle persone danneggiate (oltre 200.000 solo tra BPVI e Veneto Banca, ndr), imponeva un’azione per ottenere qualcosa. Nacque, quindi, l’idea di un fondo per l’indennizzo dei risparmiatori, sulla scorta di quelli sorti per le vittime di usura o della mafia. Attraverso contatti politici, in modo particolare con l’on. Santini del Pd, arrivammo alla costituzione del Fondo.
L’indennizzo era giustificato dal fatto che erano stati commessi gravi fatti, tra cui quelli informativi, con rilevanza penale, ma anche da una esigenza perequativa, proprio perché, invece, una liquidazione normale, e non come quella stabilita dal decreto legge 99 del giugno 2017, forse avrebbe consentito di ottenere qualcosa per gli azionisti.
Si era così arrivati a una prima legge, la 205/2017, con stanziamento teoricamente modesto (100 milioni in 4 anni) ma che in realtà poteva essere sempre riempito senza limiti attraverso i conti dormienti, quindi senza gravare sui contribuenti e sull’erario pubblico. Siamo arrivati a questa prima legge che in realtà non prevedeva limiti agli indennizzi. Prevedeva, peraltro, una procedura di arbitrato attraverso la Consob, che era anche tranquillizzante. L’onere della prova era infatti in capo alla banca che doveva appunto dimostrare di aver fornito o meno un’informazione corretta sui rischi dell’investimento e, da verifiche fatte da me stesso, mai le banche avrebbero dato questa dimostrazione.
Si era, quindi, arrivati alla bozza del regolamento di attuazione, ma ci furono le elezioni e Baretta (sottosegretario del Mef, governo Gentiloni)
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Manifestazione a Vicenza di risparmiatori soci delle banche azzerati
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disse di non sentirsela di mandare avanti allora il regolamento, perché sarebbe subentrato un governo nuovo che avrebbe potuto essere di diversa colorazione
Allo stesso tempo, alcune associazioni dei risparmiatori, tra cui “Noi che credevamo nella BPVi” e il Coordinamento don Torta, si opposero all’accertamento, per altro formale, previsto dalla 205 per sostituirlo con un rimborso automatico. La legge entrò in funzione, ma senza regolamento, per cui, dopo varie peripezie, fu emanata invece l’attuale legge, la 145/2018, la quale prevede un indennizzo fino al 30%, con il tetto di 100.000 euro, peraltro con due corsie. Una per i cosiddetti forfettari e l’altra per gli ordinari. Quindi, in sostanza, sotto un certo livello di reddito o di patrimonio c’era una liquidazione automatica, mentre per gli altri esisteva la necessità di provare di essere vittima di violazione massiva degli obblighi di informazione e via dicendo. Cioè praticamente si distinsero i più o meno ricchi, diciamo così, e dovettero seguire due strade diverse. Il Fondo, per la verità, ha funzionato: sono state infatti ammesse 148.000 posizioni, anche se circa altre 4.800 non sono state ammesse per irregolarità nonostante varie proroghe dei termini di scadenza per la presentazione delle domande, soprattutto per la Pandemia, e note di avvertimento ai risparmiatori.
La legge, infine, prevedeva, utilizzando nel testo il termine ‘può’, che, se ci fosse stata una rimanenza, questa sarebbe stata ripartita nuovamente. Quindi c’era la prospettiva di avere un ulteriore indennizzo”. Come sappiamo, l’importo stanziato prelevato dai fondi dormienti era di 1 miliardo 575 milioni di euro. Sono stati liquidati in totale poco più di 1 miliardo di euro e, al 31 dicembre 2022, data della cessazione dell’efficacia della vecchia legge, erano ancora disponibili circa e a parte alcune vertenze in corso 545 milioni di euro.
In parallelo a questa possibilità di riparto, c’è il problema sollevato da alcune associazioni anche per i circa 4.800 risparmiatori esclusi da queste procedure per aver presentato documentazione errata o non completa. Si sono quindi innescate due discussioni che hanno allungato i termini.
In questo caso il problema era che ci sono stati diversi risparmiatori che hanno dichiarato di essere nell’ambito dei forfettari, mentre, poi, dai controlli effettuati è risultato che dovevano prendere l’altra strada e quindi si era sostenuto che doveva essere prevista la possibilità del passaggio dal forfettario all’ordinario. Questa tesi è stata accolta dal Tar per la verità, in un caso peraltro, ma poi il Consiglio di Stato ha detto no. Sono due procedure diverse e anche per il fondo sono due soggetti diversi al suo tempo, cioè c’è una questione sostanziale non solo formale di procedure. Il riparto può venire solo una volta che tutti gli aventi diritto siano stati saldati.
Restava l’interrogativo per il quale le associazioni avevano sollecitato una risposta al Governo: i fondi per gli indennizzi ci sono ancora o sono stati derubricati a residui? All’epoca c’era un’indicazione: si prorogava la commissione però il pagamento della commissione non era più con il Fondo, ma con fondi di bilancio del Ministero. Lo stesso discorso valeva per Consap che quindi non era più il fondo che erogava ma il Ministero con un altro capitolo di bilancio.
Pensavo, l’ho dichiarato in una mia intervista a ViPiù il 28 marzo 2023, che sarebbe stata necessaria una legge, perché poi era sorto anche un altro problema: siccome nella legge 145 viene usato il verbo potere per decidere il riparto questo termine veniva inteso come potere discrezionale, ma in realtà guardando il complesso della legge si capisce che è un potere per un’attività funzionale, non per una decisione. Quindi un potere che è un dovere.
Le associazioni hanno fatto ulteriori solleciti proprio per capire se il fondo ci fosse ancora o non ci fosse più magari perché mandato ai residui per una questione di legge sul bilancio.
Portando a compimento l’ordine del giorno del senatore Zanettin e, poi, quello, analogo, dell’onorevole Cappelletti, entrambi fatti propri dal governo e approvati all’unanimità a inizio 2023, e grazie a una quasi totale (ri)trovata unità delle associazioni, a parte pochissime, tra cui “Noi che credevamo in BPVi”, il 28 giugno 2023 è stata sbloccata definitivamente la situazione approvando, nell’ambito dell’approvazione del Decreto Lavoro, un emendamento che consente a chi ha correttamente beneficiato degli indennizzi di passare, praticamente in maniera automatica, salvo segnalazione di un eventuale nuovo Iban, dal 30 al 40% del danno, fermo restando il limite massimo dei 100.000 euro di indennizzo.
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Luigi Di Maio e Matteo Salvini ad aprile 2019 di fronte al premier Giuseppe Conte a cavallo di una riunione delle associazioni per gli indennizzi
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Frodi finanziarie: TAR e Consiglio di Stato bocciano il MEF dal… 2005 e riaccendono le speranze dei risparmiatori . Non solo delle Popolari in LCA .
Per i dimenticati e i “maltrattati” del FIR c’è un’altra strada non facile ma percorribile
di Fulvio Cavallari
Siamo agli sgoccioli della arcinota
Legge 145/2018, quella 'rabberciata', anche se rivoluzionaria per il principio ora stabilito che chi sottoscrive titoli, bancari e/o finanziari, non quotati in presenza di controlli carenti o assenti ha diritto a un indennizzo.
Anche se molto, troppo parziale per i risparmiatori soci delle banche popolari venete e delle banche del centro Italia messe in LCA, in questi giorni stanno arrivando gli ultimi bonifici del sospirato 10% aggiuntivo per coloro che hanno già percepito il 30% del prezzo di acquisto storico delle azioni pur se col limite dei 100.000 euro e con soglie di sbarramento all’accesso troppo basse, penalizzando chi, non speculatore, era stato indotto a rimpinguare il 'patrimonio fasullo' di quelle banche anche con i ben maggiori risparmi di una vita, liquidazioni ed eredità incluse.
Restano, comunque, ancora fuori dalla partita i circa diecimila bocciati dal FIR che non hanno visto un euro e al momento non si sa nulla della sorte di coloro che hanno fatto ricorso alle carte bollate.
Nulla avranno, ovviamente, tutti quelli che non hanno fatto domanda al fondo e sono tanti.
Vi è un ordine del giorno del senatore Pierantonio Zanettin che impegna il Governo a trovare una solu-
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zione per consentire ai respinti di far riesaminare la domanda presso l’ACF (Arbitro delle Controversie Finanziarie) ma al MEF tutto tace: un silenzio che non fa dormire sonni tranquilli a parecchia gente.
Nel frattempo non manca chi invoca una rapida chiusura dei rubinetti del FIR mentre gli articoli di una nota giornalista, Milena Gabanelli, apparsi su un quotidiano a tiratura nazionale hanno fatto sobbalzare d’indignazione sia i risparmiatori che le loro associazioni.
L’aria insomma pare stia cambiando, il vento della protesta (per stanchezza e consunzione di chi è
stato truffato, se non in base alla legge ma almeno eticamente) va calando e come spesso accade si concretizza sempre di più il rischio che anni di lotte al fianco dei risparmiatori svaniscano dai ricordi e dall’attenzione della classe politica, che sa promettere 100 e mantenere, se va bene… 30.
A tener viva l’attenzione vi sono, però, due sentenze che vi segnaliamo su ViPiu.it visto che non ne troviamo traccia sulla stampa mainstream ma solo in alcune note legali*: una del TAR del Lazio del 13.03.2023. N. 04279/2023 Reg. Prov. Coll., l’altra del Consiglio di Stato del 27.12.2023.
Palazzo Spada a Roma, sede del Consiglio di Stato
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N. 11222/2023 Reg Prov. Coll., entrambe, quindi, recentissime.
Com’è noto la vecchia legge n. 266 del 23 Dicembre 2005, istituita per le (tutte!) vittime di frodi finanziarie (qui una nota addirittura del MEF stesso, ndr), sta attendendo oramai da anni un regolamento attuativo che consenta finalmente l’accesso dei frodati ai denari del fondo che, ricordiamolo, provengono dai cosiddetti conti dormienti del sistema bancario, gli stessi a cui avrebbe attinto al 100% la politicamente bistrattata legge 205 e di cui, poi, si è insufficientemente (al 30%, poi diventato 40%) la 145.
La sentenza del Consiglio di stato citata stigmatizza l’atteggiamento del Ministero dell’Economia e Finanza, che ha rifiutato l’accesso al fondo a due risparmiatori, annullando il diniego immotivato di accesso e rincarando, per così dire, la dose: «L’oscurità della motivazione nel provvedimento, anche e a maggior ragione a fronte della mancata previa adozione di atti amministrativi aventi o meno natura regolamentare che rendano applicabile la normazione primaria, costituisce la violazione di un obbligo fondamentale da parte della pubblica amministrazione, in uno Stato di diritto, perché non consente al cittadino di comprendere nel loro significato e, se del caso, contestare con gli strumenti previsti dall’ordinamento gli atti lesivi della propria sfera giuridica».
Come a dire, caro MEF, non è che, siccome non adotti un regolamento che avresti dovuto fare in trenta giorni, puoi saltare a piè pari il tuo obbligo di motivare un atto di diniego d’accesso al fondo, anzi è proprio il contrario.
In sostanza il Consiglio di stato riafferma un principio sul quale i giudici amministrativi (TAR del Lazio) si erano già pronunciati: «Al contrario, essendo decorso più che largamente il termine ivi previsto (trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizio-
ne), il ritardo del Ministero nell’adozione e trasmissione della proposta di decreto costituisce inerzia antigiuridica, da stigmatizzare giacchè protrattasi in violazione dell’obbligo generale di concludere il procedimento, in attuazione e nel rispetto del temine direttamente fissato ex lege».
Più chiaro di così il TAR del Lazio non poteva essere, ed anzi nelle sue conclusioni si spinge anche oltre: «Per quanto precede, in conclusione, il ricorso va: – accolto, ai sensi e nei limiti esplicati in motivazione, nei riguardi del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, occorre:
1) dichiarare il persistente inadempimento del predetto Ministero nell’adottare la proposta di decreto di cui all’art.1, co.343-novies L.n.266/05 e contestuale trasmissione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini dell’adozione del conseguente DPCM; 2) ordinare al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, di adottare la suddetta proposta, trasmettendola altresì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, concludendo il procedimento entro il termine perentorio di giorni 90 (novanta) decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza o, se anteriore, dalla sua notifica;
3) nominare, per l’ipotesi in cui il Ministero non ottemperi alle statuizioni della presente sentenza nel termine sopra indicato, quale commissario ad acta, il Direttore Generale del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con facoltà di delega a un dirigente dello stesso Dicastero, affinché si insedi e provveda, su istanza di parte, nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni, ed il cui eventuale compenso, da liquidarsi con separato decreto, si pone a carico dello stesso Ministero;
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3) respinto nei riguardi della Presidenza del Consiglio dei ministri».
In sostanza, cari risparmiatori vittime di frodi finanziarie, si dice al MEF o adempi, adottando la proposta di DPCM entro 90 giorni, o lo fa un commissario ad acta.
Sappiamo, però, che i Tribunali amministrativi sono competenti anche in materia di risarcimento del danno: «Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma». (Art 7 Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104).
La tesi non è poi così peregrina perché il caso è specificatamente previsto dal decreto Legislativo 2 luglio 2010 n. 104 di riordino del processo amministrativo dove all’art. 133 si dice: «1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo»; va ricordato infatti il passaggio della citata sentenza del Tar del Lazio che testualmente richiama la: «… violazione dell’obbligo generale di concludere il procedimento, in attuazione e nel rispetto del temine direttamente fissato ex lege».
La domanda conclusiva che ne consegue è la seguente: a fronte di un’inerzia persistente del MEF, che oramai dura da più di diciotto anni, quanto ci vorrà prima che i risparmiatori perdano la pazienza e comincino ad intraprendere anche questa via?
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Bocciodromo sempre vincente:
e ora, “sotto con la TAV!” . In difesa di un complesso e multiforme “progetto” sociale .
Parla l’attivista Marta Lovato, che lì è cresciuta e lì ha creato la sua dimensione lavorativa come consulente del lavoro con il sindacato di base ADL (con sede al Caracol)
di Giulia Guidi
Da oltre 13 anni, il centro sociale di via Rossi è stato sotto l’attacco della destra cittadina, e non solo, uscendone sempre vincente. E la battaglia contro il maxi progetto è vitale
Difficile tenere il conto delle volte in cui la concessione comunale del centro sociale Bocciodromo di via Rossi è stata messa in discussione e, quindi, con l’ultima vittoria contro l’amministrazione Possamai, non si può calcolare il
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risultato di una partita che dura da oltre 13 anni: Bocciodromo X, avversari 0, comunque. L’ultimo gol risale a qualche settimana fa, quando il sindaco aveva chiesto all’avvocatura comunale se ci fossero gli estremi per la revoca della concessione a seguito di una manifestazione anti-israeliana, sfociata in scontri con le forze dell’ordine, nei pressi della Fiera dell’oro. I legali hanno detto “no”.
Il prossimo avversario, però, è davvero mostruoso: il maxi progetto della ferrovia ad alta velocità, la TAV, che, nel tratto berico, prevede importanti sconvolgimenti territoriali, incluso l’abbattimen-
Bocciodromo, attivisti e simpatizzanti davanti alla sede in via Rossi 22
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Marta Lovato arringa i cittadini lungo corso Palladio
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to di alcuni edifici, tra cui quello di via Rossi 22. In questo contesto, la metafora sportiva è fuori luogo, qui serve l’Epica. Ogni singola casa, ogni singolo appartamento che verrà cancellato ha una storia da raccontare, e, per quella del Bocciodromo, parla l’attivista Marta Lovato, che lì ci è letteralmente cresciuta e lì ha anche creato la sua dimensione lavorativa come consulente del lavoro con il sindacato di base ADL (con sede al Caracol).
Cosa ricordi dei primissimi tempi?
Dopo che le associazioni Giovani dei Ferrovieri, Weblab, Polisportiva Independiente e Pensionati per la pace, hanno vinto il bando comunale, ricordo quando siamo entrati in questo enorme spazio, abbandonato da oltre 10 anni, dove le persone andavano a giocare a bocce. Ci siamo autofinanziati e rimboccati le maniche, lavorando giorno e notte, e, alla fine, questi mille metri quadrati erano diventati un’osteria con cucina, un grande open space con palco e una palestra. Ovviamente ricordo la festa dell’inaugurazione, era il 5 marzo 2011.
Concessione scaduta e poi rinnovata, dall’amministrazione Rucco, non senza polemiche. Sì, ma il bando è comunale e il nostro progetto, che coinvolgeva, e tuttora coinvolge il quartiere ma anche l’intero territorio comunale, è risultato il migliore.
Cosa succede all’interno del Bocciodromo?
Lo spazio e i progetti che hanno preso vita sono molteplici in questi 13 anni, alcuni dei quali esistenti sin dal primo giorno, come il Bocciodromo Jazz Club, che, ogni mercoledì, dà vita a jam session di livello altissimo. Attiva dal 2011 è
anche la Polisportiva Independiente che organizza corsi di ginnastica a corpo libero, pre-pugilistica, Muay Thai; la novità di quest’anno è la capoeira angola. I prezzi sono popolari, cioè più bassi rispetto alle altre palestre: lo scopo è che lo sport sia accessibile e fruibile a tutti, al di là del genere, della provenienza e anche dei documenti.
C’è molta attenzione alla dimensione sportiva e al ruolo dello sport nel sociale Sì, esatto: vengono organizzati tornei di calcetto antirazzisti e anti sessisti, ma anche dibattiti e progetti contro la discriminazione nello sport, come, ad esempio danza e tango per persone con disabilità e promuovendo campagne a livello nazionale collaborando con la UISP e Sport alla rovescia.
Insomma, “una rivoluzione senza un ballo è una rivoluzione che non vale la pena di fare”
Proprio per questo, ormai da qualche anno, l’open space il martedì sera si trasforma in una balera, organizzata dal gruppo Balfolk Vicenza che si definiscono “un gruppo di ragazze e ragazzi che ballano le danze popolari; hanno una lunga storia secolare di tradizione e di accoglienza. Il clima di gioia e di condivisione di questa cultura
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Corso di Muay Thai della Palestra Independiente
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è quello che noi vogliamo portare avanti”. Non solo: da tempo ospitiamo la Murga Saltinbranco per le prove settimanali.
Oltre allo sport, ci sono altre attività rivolte ai migranti?
Negli anni si è sviluppato il progetto specifico Welcome refugees, che ha diverse progettualità: dapprima un progetto di “conversazioni”, cioè di scambio e sviluppo della capacità linguistica discorsiva, utilizzando l’informalità della conversazione con persone provenienti da altri Paesi, con o senza documenti, per poi svilupparsi come sostegno a chi vive per strada distribuendo cibo e vestiario, ma anche dialogando con le unità di strada del territorio e partecipando ai tavoli organizzati per la marginalità. Ad oggi Welcome refugees sta portando avanti la scuola di Italiano per persone straniere e cicli di incontri tra il Bocciodromo e il Caracol Olol Jackson che vanno dalle problematiche di arrivo, al riconoscimento dei documenti, alla difficoltà della permanenza.
Per quanto riguarda, invece, i concerti e le attività culturali?
Abbiamo pensato sin dal primo giorno che uno spazio di questo tipo non poteva limitarsi ai con-
LineaColombiaHangar BiancoAutostradaAqaba-Wady diKayseriTurchiaRealizzazione GrandHotelExcelsiorRomaTorreRive-Gauche LibertàVeneziaImpiantoIdroelettricosulTorrente aMombasaAutostradaGenova-SavonaDigadiAkosombo LineaferroviariaRoma-ViterboAutostradaMestre-Vittorio ColombiaHangarbaseelicotteriA.L.E.aLameziaTerme AutostradaAqaba-WadyalYutumGiordaniaAcquedotto KayseriTurchiaRealizzazioneCentroMedicoSpecialistico GrandHotelExcelsiorRomaTorreRive-GaucheParigi LibertàVeneziaImpiantoIdroelettricosulTorrente aMombasaAutostradaGenova-SavonaDigadi LineaferroviariaRoma-ViterboAutostradaMestre-Vittorio ColombiaHangarbaseelicotteriA.L.E.aLamezia BiancoAutostradaAqaba-WadyalYutumGiordania diKayseriTurchiaRealizzazioneCentroMedico GrandHotelExcelsiorRomaTorreRive-Gauche LibertàVeneziaImpiantoIdroelettricosulTorrente aMombasaAutostradaGenova-SavonaDiga LineaferroviariaRoma-ViterboAutostrada ColombiaHangarbaseelicotteriA.L.E.aLamezia BiancoAutostradaAqaba-WadyalYutum diKayseriTurchiaRealizzazioneCentroMedico
Attività sociale
certi dei soliti noti, ma che, invece, doveva dare spazio alla musica indipendente, alle band locali e a progetti artistici del territorio (e non solo) e, comunque, appartenenti alla cultura underground e fuori dalle logiche del mercato attuale. E poi dibattiti, cineforum, presentazioni di libri, teatro, laboratori teatrali, atelier artistico, workshop di musica elettronica e luci, battle e workshop di hip hop, tornei di biliardino e serate
di gruppi studenteschi. E ancora, giornate dedicate ai bambini e al quartiere, con le altre associazioni del quartiere Ferrovieri. Organizziamo anche swap party, per riuso e riciclo di vestiti e oggetti.
Tutto questo adesso è in pericolo, e non si tratta di una mozione comunale…
Il Bocciodromo è sviluppo, è promotore di cambiamento. Sin dal Dal Molin, ma anche prima, siamo parte attiva nelle lotte No Tav. Da qualche anno lo siamo nella nostra città, nei comitati di quartiere, sia per portare informazione e consapevolezza sul progetto, sia per richiedere una moratoria immediata di esso. Noi resistiamo e viviamo, per tutte le persone che qui, al Bocciodromo, ci sono passate, vengono e continueranno a venirci.
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Vicenza Hardcore al Bocciodromo
Bocciodromo Vicenza e Fridays For Future Vicenza, il volantino dell'assemblea popolare anti Tav a Vicenza
Pagina Facebook del Bocciodromo
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AutostradaMestre-VittorioVeneto A.L.E.aLameziaTermeTangenzialediSukkur GiordaniaAcquedottoMaghniaHammamBoughrara CentroMedicoSpecialisticoCapsidiBurungaPanamaRealizzazione IdroelettricoRive-GaucheParigiDigadiCorongiuCagliariImpiantoidroelettrico sulTorrenteOrcTorinoCanalediirrigazionenellaProvinciadiSanJuan Genova-SavonaDigadiAkosomboPontestradalesulFiumeNiloaKhartoumSudanRaffineria AutostradaMestre-VittorioVenetoAppartamentiUniversityInnaCoralGablesRestaurodella A.L.E.aLameziaTermeCatanzaroTangenzialediSukkurpontesulFiumeIndusPakistanProlungamento Aqaba-WadyalYutumGiordaniaAcquedottoMaghniaHammamBoughraraAlgeriaAcquedottodiSkikdaComplessoresidenziale RealizzazioneCentroMedicoSpecialisticoCapsidiBurungaPanamaRealizzazioneNuovoOspedaleVitoFazziLecceProgettoferroviario IdroelettricoTorreRive-GaucheParigiDigadiCorongiuCagliariImpiantoidroelettricodiCrocedelGalloTrevisoAcquedottodiCastelterminiAgrigento sulTorrenteOrcTorinoCanalediirrigazionenellaProvinciadiSanJuanArgentinaCentraleIdroelettricaaOrlandoSudAfricaImpianto Genova-SavonaDigadiAkosomboPontestradalesulFiumeNiloaKhartoumSudanRaffineriaaDar-Es-SalaamTanzaniaPortoIndustrialePetroliferodi Roma-ViterboAutostradaMestre-VittorioVenetoAppartamentiUniversityInnaCoralGablesRestaurodellaCertosadiParadignaParmaPontesulCanaleChesapeake elicotteriA.L.E.aLameziaTermeCatanzaroTangenzialediSukkurpontesulFiumeIndusPakistanProlungamentodellaMetropolitanadiWashingtonUsaOperediintegrazione Aqaba-WadyalYutumGiordaniaAcquedottoMaghniaHammamBoughraraAlgeriaAcquedottodiSkikdaComplessoresidenzialeBelfioreMantovaPalazzodiGiustizia RealizzazioneCentroMedicoSpecialisticoCapsidiBurungaPanamaRealizzazioneNuovoOspedaleVitoFazziLecceProgettoferroviario“Drill&Blast”FolloLineOsloNorvegia
DA 144 ANNI COLLEGATI AL FUTURO
Fin dalla fondazione, il 7 aprile 1880, in 144 anni sono state realizzate grandi opere e importanti infrastrutture, portando l’eccellenza italiana nel mondo e affrontando sfide audaci con progetti che hanno spesso superato i confini nazionali. Dai primi decenni sono stati costruiti ponti, strade, ferrovie, dighe, porti, gallerie, metropolitane, con impegno costante verso la qualità e l’innovazione. Un patrimonio di esperienza e competenza che proietta Condotte 1880 verso nuove sfide.
Casteltermini Agrigento Sede della Società RIV Torino Acquedotto di Oristano Ponte della Libertà Venezia Impianto Genova-Savona Diga di Akosombo Ponte stradale sul Fiume Nilo a Khartoum Sudan Raffineria Certosa di Paradigna Parma Ponte sul Canale Chesapeake e Delaware Usa Autostrada Traforo del Monte Bianco Autostrada Aqaba-Wady al Yutum Giordania Acquedotto Realizzazione Nuovo Ospedale Vito Fazzi Lecce Progetto ferroviario Torino Acquedotto di Oristano Ponte della Libertà Venezia stradale sul Fiume Nilo a Khartoum Sudan Canale Chesapeake e Delaware Usa Yutum Giordania Acquedotto Progetto ferroviarioLibertà Venezia Sudan
Rive-GauchesulTorrente Genova-SavonaDigadiAkosombo
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Cold case
Cold Case: Nadia, “occultata” nella neve . La procura riapre il caso?
La
diciassettenne Chiarello trovò la morte nel gennaio 1979
. “Investita”, dissero . Ma tra le pieghe dei verbali si scopre altro
di Giulia Guidi
Nadia Chiarello scomparve nella zona industriale di Agro, a Chiampo, il 10 gennaio del 1979. Verrà trovata morta lì vicino, in un fosso, solo 9 giorni dopo. Cosa è successo a Nadia? Non si sa. La famiglia ha recentemente cercato di riaccendere l’attenzione investigativa, ottenendo l’intervento degli iconici RIS di Parma, ma la soluzione del caso è ancora lontana e flebile, come tracce sulla neve.
Nadia era una diciassettenne di Nogarole, figlia maggiore di una famiglia come tante, che, da qualche settimana, aveva trovato impiego negli uffici della conceria Negro. Come spesso accadeva, quel giorno era d’accordo con il padre Lorenzo che l’avrebbe chiamata a mezzogiorno se fosse passato a prenderla alle 18, altrimenti sarebbe tornata a casa con un vicino, Mario Bauce, che lavorava nei pressi. Alle 19, la ragazza non era ancora arrivata a casa e la famiglia chiese informazioni a Bauce: affermò di essere passato lungo viale Europa al solito orario, ma di non aver visto Nadia e di aver quindi proseguito.
Il padre si mise subito in auto, recandosi alla conceria: non lo fecero entrare, ma ottenne dal superiore di Nadia, il ragionier Ferrari, l’indicazione che la ragazza era uscita un po’ prima del solito orario. Alle 21 e 30, la famiglia chiamò i carabinieri
per denunciarne la scomparsa, nella convinzione che non poteva trattarsi di un colpo di testa da adolescente, e il padre proseguì le ricerche nei dintorni, armato di una potente torcia da muratore. Anche lungo il fossato dove verrà trovato il corpo della figlia. Dopo mezzanotte vi passarono anche i militari per un «sommario sopralluogo dall’esito negativo», citava il verbale.
È solo la mattina dopo che viene diramato l’allarme di scomparsa alla questura e ai giornalisti. Dopo le prime indagini, venne rintracciato un 'amico speciale' della ragazza, che venne subito sospettato, anche perché aveva fornito un nome falso: in realtà, il piccolo imprenditore veronese l’aveva fatto poiché sposato e per la sera della scomparsa ha un alibi incrollabile. «Le prime ipotesi investigative - spiega Chiara Parolin, avvocata della sorella di Nadia, Barbara Chiarello - esclusero il rapimento e l’omicidio intenzionale. Si tese a pensare piuttosto a un incidente stradale oppure a una fuga della ragazza». Furono controllate diverse auto, ma senza esito, mentre non furono mai ascoltati i titolari della Negro, né i carabinieri pensarono di eseguire un sopralluogo interno» sottolinea Parolin. Nel frattempo, il padre di Nadia continuava a passare lungo quel tratto di strada che aveva inghiottito la figlia, ma senza esito.
Nel pomeriggio del 19 gennaio, quasi al tramonto, un operaio in motorino intravide qualcosa sotto la neve, proprio nel fossato che corre lungo viale Europa e proprio a pochi metri dalla Nigro. Sul posto arrivarono subito i carabinieri, il magistrato e il medico legale. «Secondo quanto riportato, il corpo era composto, supino, con le mani strette a pugno, la gonna era sollevata e il maglioncino era annodato sulle spalle. Sotto i talloni, due canalette, attribuite a spasmi post mortem. In seguito all’esame autoptico, venne riscontrata una frattura cranica ed alcune escoriazioni alle gambe. Il medico legale conclude che la ragazza sia stata colpita da un’auto e il magistrato di Arzignano, Antonio Maturo, chiude le indagini come ‘investimento mortale a carico
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Nadia Chiarello
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di ignoti’». «Una cosa curiosa - fa notare Parolin - è che nel verbale del ritrovamento i militari scrivono che il corpo è stato trovato ‘occultato’... Un lapsus?».
Ma la famiglia non ci sta: «me l’hanno ammazzata», ha continuato a ripetere papà Chiarello dal 10 gennaio ‘79 alla morte e non è d’accordo neanche l’allora parroco di Nogarole, don Luigi Setti, ora in pensione nel Bassanese. «È una delle tante ombre di questo caso», spiega Parolin. «La perpetua ha più volte affermato che il parroco subì un’aggressione per il suo respingere pubblicamente la tesi dell’investimento. Ma rifiutò di recarsi all’ospedale e da allora ha sempre negato che sia accaduto».
Inoltre, i familiari della vittima, dopo il riconoscimento, affermarono che gli abiti della ragazza (che purtroppo non sono stati conservati) puzzavano di quell’odore forte e acre delle vasche da concia. Dichiarazioni che furono ignorate dagli inquirenti, che non ritennero mai nemmeno di dover entrare nella conceria Nigro. «Altra circostanza strana sono i 70 milioni del Fondo per le vittime di omicidio stradale che vengono offerti alla famiglia direttamente dai carabinieri, senza che questa avesse avviato alcuna richiesta e procedu-
ra», aggiunge Parolin. «Alle mie fonti non risulta sia mai stato possibile un simile iter: di che soldi si parlò, quindi? Lorenzo Chiarello, ovviamente, li rifiutò con sdegno. Voleva la verità, come la vogliamo ancora oggi».
Poi ci sono le lettere anonime ricevute qualche anno dopo dalla famiglia, sempre per intimare loro il silenzio, ora passate nelle mani dei Ris, per cercare riscontri che, con le tecnologie del ‘79, non furono trovati. La famiglia ha chiesto anche l’aiuto del criminologo Edoardo Genovese, ma «solo il corpo di Nadia può raccontarci, grazie alla scienza odierna, qualcosa in più su cosa le accadde in quel maledetto 10 gennaio. Per questo stiamo (ancora) aspettando le decisioni della procura di Vicenza, che ha riaperto il caso nel 2021» spiega l’avvocata.
Alla luce di quanto emerso negli anni, e vista l’estrema superficialità delle indagini, è lecito ipotizzare che Nadia Chiarello non sia
stata investita e che le sia successo qualcosa di terribile all’interno del suo posto di lavoro. Quello che è più difficile delineare, però, è il movente: «Nadia aveva scoperto qualcosa? Era troppo presto per i traffici della Mala del Brenta nella zona, che coinvolgeranno i conciari solo più avanti. Era troppo presto soprattutto per eventuali reati ambientali, che non esistevano. Beghe di evasione?».
«Anche questo mi sembra improbabile - analizza Parolin -. Forse un’avance sessuale finita tragicamente ma, allora, perché far trovare il corpo proprio lì?».
I protagonisti della vicenda sono tutti morti, tranne don Luigi Setti. Che, però, non parla.
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La vittima, Nadia Chiarello
Barbara Chiarello con lo striscione nel luogo in cui fu ritrovato il corpo della sorella Nadia (Foto: Jet da Il Corriere del Veneto)
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Il fossato della vecchia conceria Negro (Foto: IlGiornalePopolare.it)
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Idee d’impresa
Al Museo della Grappa Poli di Bassano ci si immerge nella storia della distilleria e nell’arte dei grappaioli
Un percorso didattico racconta le attrezzature usate per distillare la grappa e la storia aziendale di famiglia
di Marta Cardini
Apochi passi e di fronte al noto Ponte degli Alpini o Ponte Vecchio a Bassano del Grappa, si trova la Distilleria Poli, con all’interno il Museo della Grappa Poli e uno shop. Già dall’esterno si rimane affascinati dalla facciata del palazzo del ‘400 e dall’ingresso con un enorme distillatore di grappa. Appena giunti sotto il portico, si rimane sorpresi dalla panchina con la statua in ferro di Giobatta Poli, fondatore delle Distillerie Poli nel 1898. Un cartello indica di toccare il cappello della statua di Giobatta perché porterebbe fortuna! E an-
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che di farsi una foto ricordo con la statua del fondatore!
Fra grandi apparecchi per distillare la grappa, si entra nel Museo della Grappa Poli. Con 150mila visitatori annui, le due sedi del Poli Museo della Grappa (l’altra sede si trova a Schiavon) sono fra i musei d'impresa più visitati d'Italia. Inaugurato nel 1993 da Jacopo e Cristina Poli, spinti dal desiderio di far conoscere il sapere ed il sapore del più rinomato distillato italiano.
Il percorso didattico
In uno spazio raccolto e suggestivo, vengono presentate la attrezzature per fare la grappa e la sua storia. Nella prima sala, grazie a
Gli erogatori del profumo delle grappe
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Il Ponte degli Alpini visto da Palazzo Sturm
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ricostruzioni di apparecchi distillatori e grazie all'esposizione di documenti a stampa si possono ripercorrere le origini e l'evoluzione dell'arte della distillazione nel tempo: dagli alchimisti intenti a scoprire l'elixir di lunga vita, ai medici rinascimentali che distillavano erbe e fiori per fini farmaceutici, agli acquavitai veneziani che nel 1600 producevano acqueviti per uso voluttuario. Nella seconda sala, per mezzo di illustrazioni, alambicchi e strumenti per la produzione della Grappa, sono descritte le sue origini, le caratteristiche della materia prima - la vinaccia, i diversi metodi di distillazione ed i motivi che rendono questo distillato italiano un prodotto unico al mondo.
Nella terza sala si può vedere un video sulla produzione della Grappa. Nella quarta sala è esposta la più ampia e completa collezione di Grappe mignon conosciute in Italia. Esposizione completata da una collezione di bottiglie di rare Grappe d'epoca risalenti alla prima metà del Novecento. Trovano inoltre spazio gli "Olfattometri", due speciali apparecchi che permettono ai visitatori di annusare venti distillati differenti e di indicarne i principali
descrittori olfattivi in una scheda da consegnare al personale del Museo.
Nella quinta sala si trova lo show room Poli. I proventi della vendita dei distillati e dei prodotti Poli sono destinati ad approfondire la ricerca storica sull'arte della distillazione e sulle origini della Grappa.
Una storia aziendale di famiglia L’azienda nasce nel 1898 grazie al fondatore Giobatta Poli, bisnonno dell’attuale proprietario Jacopo. Giobatta era un uomo che prima produceva cappelli di paglia, ma aveva una grande passione per la grappa. Costruì così una piccola distilleria montata su un carretto e andò per case a distillare vinacce.
Il figlio Giovanni (nonno di Jacopo), ricavò un impianto di distillazione, modificando la vaporiera a legna di una locomotiva. Giovanni amava circondarsi di persone colte: alla sua tavola, la domenica, c’erano sempre Don Giovanni Toniolo e il Dottor Tegon. Insieme leggevano e discutevano «Il Popolo» e «L’Unità» Fu succeduto da Toni Poli (Padre di Jacopo). Fu lui a modificare nel 1956 l’impianto di distillazione originario che viene usato ancora oggi. « Nelle sue mani la grappa si trasformava come una crisalide
diventa farfalla- afferma il figlio Jacopo-. Era un uomo di profonda umanità, troppo nobile per essere un buon affarista. Da lui ho imparato che chi vuole vincere deve soffrire.
Infine è arrivato Jacopo, l’attuale titolare che, con i suoi fratelli Giampaolo, Barbara e Andrea, porta avanti una tradizione e un obiettivo: «far capire e apprezzare la fatica- afferma Jacopo-, la tenacia, ma soprattutto l’amore racchiuso in un distillato, un amore totale per la propria arte, per il proprio mondo, un amore senza il quale nessun risultato sarà mai possibile»
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Una vecchia botte Poli
Le ampolle all'interno del Museo della Grappa
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L' interno del Museo della Grappa
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191: il Caffè delle donne e degli artisti
di Marco Ferrero
AVicenza i locali destinati al consumo di bevande e alla ristorazione non sono pochi e forse è questa una delle città in cui se ne trova il maggior numero per abitanti.
Non tutti però sono uguali e alcuni si distinguono per peculiarità degne di nota, non soltanto sotto il profilo dell'offerta, ma per la capacità di sapere abbinare a cibo e bevande di qualità un'attenzione particolare al mondo dell'arte (intesa anche come socialità), che non necessariamente deve essere di artisti riconosciuti a livello nazionale.
La prima caratteristica che balza all'occhio, entrando in momenti diversi della giornata e magari in giorni differenti, è che dietro al ban-
co ci sono soltanto donne; tre sono le titolari ‒ Barbara, Gisella e Sandra ‒ e tre sono le ragazze - Marta, Monica e Raffaella che le aiutano a rotazione.
Il 191 Caffè è nato nel 2014 e compirà 10 anni nel dicembre di quest'anno. La sua vocazione è stata, fin dall'inizio, quella di rivolgersi
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ad un pubblico adulto, che cerca sicuramente tranquillità e tradizione, ma anche innovazione.
Ecco dunque che, partendo da un'offerta basata sulle colazioni e sui pranzi, anche di lavoro, la tendenza è stata quella di cercare una continua differenziazione nella ricerca dei prodotti; così, poco per volta, si è sviluppato il settore dei vini, di cui il 191 vanta una interessante varietà e, forse ancora più importante, la ricerca di materie prime che non fossero quelle reperibili in tutti i locali cittadini.
Una scelta che poteva apparire controcorrente.
Non potendo naturalmente fare pubblicità agli ingredienti di un prodotto tipico veneto quale è lo spritz, si è abbandonata la strada tradizionale per rivolgersi a piccoli ma consolidati produttori del territorio; se la cosa inizialmente ha provocato qualche espressione di dubbio da parte di avventori abituati alla continuità, il livello superiore garantito da un'offerta a 'km. 0" e attenta alla scelta delle materie prime ha conquistato il loro palato. Questo indirizzo nel tempo è stato perse-
Il 191 Caffè in viale Trieste
Idee d’impresa
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Gisella, Sandra e Barbara, le titolari del 191
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guito nella scelta dei prodotti della ristorazione alla ricerca, di 'qualche cosa' che si allontanasse, verso l'alto, dagli stereotipi.
Il locale stesso si distingue per la sua originalità e ogni dettaglio trasmette calore e cattura l'occhio per la presenza di elementi che sono espressione del gusto delle titolari; si vedano per esempio gli originali lampadari, ognuno diverso dall'altro, che conferiscono un tocco di colore e di allegria.
Se, tuttavia, entrando poniamo attenzione alla parete più grande del locale non possiamo fare a meno di notare come ‒ e questo avviene sin dall'apertura ‒ il 191 Caffè abbia un occhio di riguardo (e di passione) per artisti di diversa provenienza e di diversa qualità; un ampio spazio per esporre le proprie opere da parte di giovani alle prime esperienze artistiche come di artisti già affermati, che non hanno avuto la presunzione di ritenersi al di sopra di tutto e di tutti, ma che hanno consapevolmente condiviso, nel pieno rispetto di quello che dovrebbe essere lo spirito dell'arte, gli spazi con i più giovani, e talvolta ambiziosi, colleghi.
Così è per esempio l'artista che nel corso del mese di aprile ha portato un tocco di vivacità, esponendo le sue brillanti caricature di oggetti, edifici e persone.
Gabriele Scotolati, in realtà uno pseudonimo, è artista eclettico e
originale, oltreché estremamente disponibile; così, oltre ad esporre i suoi lavori e le sue ironiche osservazioni ("è vietato pescare il tonno in scatola!"), un pomeriggio alla settimana ha atteso al 191 quanti desideravano una caricatura di se stessi o di una persona cara; non veri e propri ritratti, ma caricature, la cui caratteristica principale ‒ e la peculiarità dell'autore ‒, è quella di saper cogliere nel viso di una persona gli elementi che lo contraddistinguono e dunque di metterli in evidenza.
L'attenzione costante alle espressioni artistiche intese nel senso più ampio del termine e dunque anche quelle musicali, ha subito purtroppo una lunga pausa a causa del Covid, che ha costretto a ripensare e a rivedere i progetti per il futuro, ma questo non ha frenato la fantasia e la voglia di fare delle titolari e, se già si assiste ad una ripresa delle attività espositive, non mancheranno in un prossimo futuro il ritorno della musica, della presentazione di libri, di espressioni teatrali.
In definitiva, un locale per un buon aperitivo o un pranzo, ma anche uno spazio per non dimenticare che lo spirito (in tutte le sue manifestazioni!) ne può uscire appagato.
Tutti elementi questi che manifestano la propensione al sociale delle proprietarie che, attente all’inclusione dei ragazzi diversamente abili, offrono la possibilità a Diego Adinolfi, studente dell’istituto Almerico Da Schio, di svolgere attività di stage, due volte a settimana.
Grazie al sostegno di Sandra, Barbara e Gisella, Diego, affetto da una lenta evoluzione del bambino con un ritardo medio-grave in un quadro di sindrome cromosomica (Sindrome di Rubinstein Staybi) Diego è aiutato a sviluppare un protagonismo attivo e una maggior auto-consapevolezza dei propri talenti e vocazioni.
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Uno dei variopinti lampadari del 191
Al bancone del 191 Caffè ... tra Barbara e Sandra, Diego
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Un angolo per sfuggire alla frenesia quotidiana
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Arte vicentina
Medioevo Vicentino
Un patrimonio di assoluto valore tra arte e turismo, ma spesso trascurato e misconosciuto, se non abbandonato .
di Marco Ferrero
Introduzione
Il territorio vicentino, nella sua peculiare articolazione, conserva al proprio interno una rilevante quantità di momenti artistici il cui significato non è meramente estetico, ma nei suoi contenuti sfocia nelle confinanti aree dell'arte, della cultura ad ampio raggio, della religiosità, della simbologia, diventando allo stesso tempo base sulla quale costruire il futuro delle nuove generazioni.
Le radici di questo patrimonio affondano nel millennio medievale, troppo spesso denigrato e scarsamente considerato, in quanto ritenuto di minor valore rispetto alla preponderante presenza di Palladio.
Le variabili di una ricostruzione di questo tipo sono moltissime, ma nell'ottica di presentare i tasselli che compongono un mosaico artistico di elevato valore, l'inevitabile punto di partenza è quello dell'esistenza stessa di una chiesa medievale: se si vuole concentrare l'attenzione su questo periodo dobbiamo però considerare che gli attuali confini provinciali e diocesani, quelli che fanno da sfondo a questa presenza, non corrispondono
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naturalmente a quelli che videro la costruzione di quelle chiese. È necessario perciò intrecciare i due momenti e considerarne la variazione nel corso dei secoli, finendo per focalizzare l'attenzione su un territorio composito che unisce l'attuale provincia con le diocesi
moderna e antica (modificate dopo il 1818), Includendo pertanto alcuni ambiti territoriali che oggi appartengono alle province di Verona e di Padova. Questa apparente forzatura trova in realtà una propria logica laddove le chiese di quei territori si trovano ad avere molto spesso elementi di comunanza con quelli confinanti e oggi appartenenti alla provincia e alla diocesi vicentina. In tale ricostruzione tralasciamo quegli edifici che fanno parte dell'ambito prettamente cittadino, caratterizzati da elementi che valgono da soli una ricerca specifica. Veniamo ai numeri e alle caratteristiche di questo patrimonio: sono oltre 140 le chiese che, sia pure con diverse modalità e con diverse percentuali di conservazione, sono giunte fino a noi, dislocate in diverse sotto-aree del Vicentino. E non sembri questa una arbitraria suddivisione, in quanto effettivamente in questo spezzettamento territoriale possiamo osservare come gli edifici sacri abbiano tra di loro evidenti consonanze costruttive, ma anche nell'ambito della scultura e della pittura.
Vicenza Bolzano Vicentino Rotzo Valdastico Velo d’Astico Cogollo del Cengio Caltrano Lusiana Montegalda Orgiano Alonte Lonigo Sarego S. Germano dei Berici Agugliaro Albettone Barbarano Vicentino Nanto Castegnero Grancona Arcugnano Longare Grumolo delle Abb. Montecchio Maggiore Montorso Gambellara Arzignano Chiampo Caldogno Castelgomberto Costabissara Isola Vicentina Brogliano Valdagno Trissino Nogarole Monte di Malo Malo Villaverla Montecchio Precalcino Thiene Sarcedo Breganze Mason V. Zugliano Carrè Schio SanVitodiL. Santorso Salcedo Marostica Pianezze Rosà Bassano del Grappa Pove Romano d’Ezzelino Cornedo Solagna Valstagna Torri di Quartesolo Creazzo Montebello Selvazzano Dentro San Pietro in Gù Cittadella Tombolo Cervarese S. Croce Villa del Conte Arcole San Bonifacio Monteforte D’Alpone Montecchia di Crosara San Giovanni Ilarione Roncà Pressana Cologna Veneta 1. Vicenza, area urbana 9. Padovano 3. Veronese4.
5.
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2.
Bolzano Rotzo Valdastico Velo d’Astico Cogollo del Cengio Caltrano Lusiana Caldogno Castelgomberto Isola Vicentina Valdagno Monte di Malo Malo Villaverla Montecchio Precalcino Thiene Sarcedo Breganze Mason V. Zugliano Carrè Schio SanVitodiL. Santorso Salcedo Marostica Pianezze Rosà Bassano del Grappa Pove Romano d’Ezzelino Cornedo Solagna Valstagna San Pietro in Gù Cittadella Tombolo
Ovest Vicentino 6. Thienese7. Alto Vicentino
Scledense
Bassanese
Colli Berici
1. Vicenza, area urbana
9. Padovano
6.
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3. Veronese 4. Ovest Vicentino
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Colli Berici
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Nella cartina riportata nella pagina a fianco si possono vedere i confini territoriali compresi in questa nostra ricognizione e i nomi dei comuni all'interno dei quali si trovano chiese che ci riportano al periodo medievale; le aree in grigio invece sono quelle all'interno delle quali nulla si è conservato. È agevole vedere come, tuttavia, le possibilità di osservare una chiesa di antiche origini non siano poche, anche se non tutte hanno mantenuto per intera la loro struttura e sono riconoscibili soltanto per alcuni episodi al loro interno o al loro esterno: parti della costruzione originale, reperti scultorei magari inglobati nelle murature ricostruite, cicli di affreschi o lacerti che, spesso nel grigiore delle parti che hanno sostituito quelle originarie, si esprimono come un lampo di luce nel buio.
Un esempio dei cambiamenti portati dal tempo (e dai gusti): la basilica dei SS. Felice e Fortunato a Vicenza nel 1903 e oggi dopo l'eliminazione delle aggiunte successive
A partire dal prossimo numero prenderemo in considerazione, con chiari esempi, le chiese presenti nelle varie aree, limitandoci qui a fornire alcuni elementi introduttivi e riassuntivi.
La prima e più importante considerazione è senza dubbio quella che conduce a sottolineare come il cospicuo patrimonio storico-architettonico medievale del territorio versi in non certo ottimali condizioni, sia per quanto riguarda la sua conservazione e tutela sia per la valorizzazione; una visione di lungo periodo ha evidenziato impietosamente tale iter, così come ha portato all’attenzione come molti progetti avviati per restituire dignità ad alcuni tra questi edifici siano rimasti per lo più sulla carta, per cui molti di essi rivelano un degrado talvolta malinconicamente evidente e progressivo.
Tutela e valorizzazione sono le parole d’ordine obbligate, che una sensibilità moderna e matura dovrebbe saper trasformare in interventi concreti quando è in gioco la gestione di un importante lascito artistico: non solo salvando con provvidenziali restauri gli edifici più compromessi dal tempo e dall’incuria degli uomini, ma anche portando a termine opportune campagne di scavo alla ricerca di utili testimonianze da aggiungere a quanto già conosciuto attraverso l’analisi dell’alzato – seguendo tale criterio, alcuni accenni a recenti scoperte compiute grazie all’ausilio delle più moderne tecnologie renderanno chiaro il concetto di possibili futuri sviluppi nel settore – o cercando di sensibilizzare i privati proprietari incentivandone l’opera di restauro.
Arte vicentina
Le tristi vicende che hanno colpito in tempi diversi i territori della penisola – dal disastroso terremoto del Friuli nel 1976 ai più recenti eventi che hanno coinvolto Abruzzo, Marche, Umbria Emilia Romagna e Lazio , regioni sconvolte da una serie di scosse telluriche che hanno duramente colpito, in primis, la popolazione -, ci inducono a riflettere anche sullo stato del patrimonio artistico, fortemente compromesso in alcuni dei suoi esempi più eclatanti che, in alcuni episodi, sono andati completamente distrutti e perduti. Anche nei casi in cui questi edifici potessero essere ricostruiti e in parte restituiti alla fruizione pubblica, è evidente che il risultato non sarebbe quello di riconsegnare un edificio nella sua integrità, ma semplicemente il tentativo di tenerne in vita la memoria unitamente all’aspetto architettonico.
In questi casi l’unico strumento in grado di consentire la visione dell’edificio originale, per quanto manipolato nel corso dei secoli, sarebbe quello dell’esistenza di precedenti immagini fotografiche.
In quest'ottica crediamo che lo sforzo che abbiamo compiuto in tal senso, oltre a rappresentare un’analisi dettagliata del patrimonio artistico medievale del Vicentino, può costituire una sorta di serbatoio iconografico al quale attingere nel momento in cui, ci auguriamo il più lontano possibile nel tempo, eventi naturali dovessero in cancellare o compromettere seriamente l’esistenza fisica di alcuni tra questi edifici. facebook/Medioevovicentino
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Nerina Noro .
Nerina Noro è stata una pittrice e poetessa vicentina .
Uno dei tanti nomi, che pur avendo contribuito allo sviluppo
artistico-culturale della nostra città, viene ad oggi spesso lasciato nel dimenticatoio
di Benedetta Ghiotto
Nerina Noro, figlia del pittore vicentino Francesco Noro emigrato oltralpe nel 1906, nasce in Svizzera nel 1908. Solo in un secondo momento, agli inizi degli anni ’20, la famiglia Noro torna in Italia e si ristabilisce a Vicenza. Qui Nerina inizia la propria educazione artistica sotto la guida del padre pittore e, sempre seguendo le orme del genitore, decide di perfezionarsi all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Proprio a Venezia conosce Arturo Cussigh, anch’egli pittore, con cui si sposa e ha due figli. Questa storia d’amore sarà estremamente burrascosa, fino a risolversi in un divorzio. Della relazione rimane il ritratto di Nerina, eseguito da Arturo nel 1936. In realtà, quello che ora è un ritratto di lei, in origine era un doppio ritratto in cui era presente anche Arturo. Tuttavia, Nerina lo cancellò in un secondo momento per eliminare ogni traccia del suo ex marito.
L’arte pittorica
Fin da giovane Nerina partecipa a importanti mostre d'arte a livello nazionale (la Bevilacqua La Masa nel 1936, la Quadriennale di Napoli nel 1937 e la Biennale di Venezia nel 1938) e negli anni ’40 inizia
ad affermarsi come pittrice. L’occasione si crea quando si affianca al ritratto dal vero e all’autoritratto (evidente in “Donna mascherata” suo personale autoritratto del 1948) abbandonando la rappresentazione paesaggistica a cui
l’aveva educata il padre. Questo drastico cambiamento di soggetto può essere visto come l’effetto di un difficile periodo della sua vita privata dovuto alla morte del papà Francesco nel 1947, un periodo durante il quale si butta
Nerina Noro, il volto e la maschera
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Arte vicentina
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a capofitto nella sperimentazione artistica e nell'insegnamento presso la scuola media Scamozzi. Solo all’indomani degli anni ’50, Nerina inizia ad utilizzare un tratto più asciutto (ben visibile in uno dei suoi quadri più famosi “Le tre amiche”) e predilige colori poco brillanti. Dal 1965 in poi, si avvicina all'astrattismo, per arrivare infine, nei dieci anni successivi, all’apice della sua carriera pittorica con la definizione dello spazio soltanto attraverso il colore.
La sua produzione pittorica sfugge a classificazioni o riferimenti a determinate scuole e movimenti. Una definizione della sua pittura è stata data da Resy Amaglio, curatore del saggio per la mostra su questa artista svoltasi a Vicenza nel 2005. Secondo lui infatti "Nerina Noro trova il modo più idoneo per svelare ciò che la pittura non dice, attraverso il più antico linguaggio, dove domina il segno, assoluto, che si riappropria così dell'essenzialità di un codice primo della comunicazione". Un linguaggio criptico da sciogliere quindi, per arrivare alla profondità del suo significato.
L’arte letteraria
Nerina a partire dagli anni ’80 si appassiona anche all’ arte letteraria. Inizialmente come autrice di racconti, poi in quanto poetessa in lingua italiana e soprattutto dialettale. Questa è sicuramente una scelta controcorrente. Infatti pochissime donne hanno scritto e pubblicato in dialetto, a fronte del numero più elevato di coloro che hanno preferito farlo in lingua. La ragione di questo “sessismo letterario” è stata ben evidenziata da Matteo Vercesi secondo cui il vernacolo può essere percepito “come lingua della sopraffazione, della sottomissione e della rassegnazione al luogo canonico di moglie, di madre o di regina della casa. Scegliere di non scrivere in dialetto,
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Ritratto di Nerina Noro e Arturo Cussigh, poi modificato dall’artista vicentina in seguito al divorzio
pertanto, potrebbe essere valso agli occhi di una poetessa veneta del secondo Novecento, quale forma di resistenza ed opposizione ad un simile cliché”.
Tra le sue poesie più celebri è da menzionare “Tuti che parla” nella quale la pittrice-poetessa condivide il suo stato di isolamento in una piccola città di provincia come era al tempo Vicenza. Tutti parlano, o meglio, sparlano “de machine, de femene e de schei” (“di macchine, di donne e di soldi”) mentre Nerina si sente estranea a quella superficialità bigotta. Nei versi successivi della poesia evidenza come lei invece goda “a vardare 'na foia”, perché rivede in questa uno spunto per un quadro o una poesia. A differenza dei suoi concittadini, Nerina è dotata di una profondità che la eleva ma, al tempo stesso, la rende sola con la sua arte e i suoi pensieri. Tutte le sue raccolte di versi sono state riunite solo in un secondo momento nel 1994 in un unico volume intitolato “Polvare de ala”, curato da
Giorgio Faggin ed edito da Neri Pozza.
Nerina Noro, nel corso della sua carriera poliedrica, ha dialogato con i personaggi più rappresentativi della cultura artistica e letteraria vicentina, privilegiando fra tutti quelli più scomodi e singolari, come Goffredo Parise o Neri Pozza. In tutta la sua opera, Vicenza è una presenza ricorrente, sia nei personaggi dipinti sia nei versi delle poesie. La città che rappresenta non ha niente a che vedere con le immagini da cartolina, fatte di palazzi palladiani e scorci suggestivi. Nerina predilige la città dei quartieri popolari e degradati, abitati da persone semplici che percorrono i bassifondi e frequentano le osterie, cercando di fare una fotografia quanto più veritiera possibile del popolo vicentino. Il giornalista e scrittore Simone Martinello l’ha definita come un’artista incompresa dalla sua stessa città, ma forse, al giorno d’oggi più che mai, sconosciuta.
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Boomers . Come eravamo . Parte Seconda
di Massimo Parolin
«E non finisce mica qui!» diceva sardonicamente Corrado al termine di una esibizione e prima della reclame nella sua Corrida degli anni 80. Spettacolo televisivo preceduto dal medesimo format in modalità radiofonica andato in onda dal 1977 al 1979. Un talent show. Mio padre terminato il mercato del sabato a Schio, si sedeva a tavola alle 13, accendeva la radio ed iniziava ad ascoltarlo. Risate ed applausi allietavano i sabati dei vicentini all’ora di pranzo. Avrei potuto scegliere la tv, sempre alla medesima ora, con Oggi le Comiche tra Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin, Ridolini e Buster Keaton. Ma preferivo ridere con mio padre ed assaporare l’ironia del presentatore mai dimenticato.
E come il sabato a pranzo si rideva con Corrado, il lunedì sera la Città si fermava. Le strade erano deserte (non che adesso pullulino di umanità) perché alle 20.30 iniziava il film (non alle 21.45 come oggi). Tutti i lunedì sera. Un appuntamento immancabile delle famiglie vicentine. Tra kolossal e commedie americane degli anni ‘50.
Vicenza era anche questo. Ma non solo. La città berica in quegli anni d’Eldorado sociale annoverava moltissimi centri di aggregazione, punti di incontro, negozi che oggi verrebbero considerati 'di nicchia'.
Superata Contrà SS Apostoli e l’ex distretto sanitario, trovavamo un
negozio di abiti usati tra il kitch e il contemporaneo (di allora) Arsenico e Vecchi Merletti, la lavanderia Pulilampo (che ancora oggi nello stesso punto svolge la sua attività), Momprè anche questa una bottega di abiti molto ampia a due piani (dove oggi
lavora invece una agenzia viaggi), Pozzan colori e prima di Ponte San Paolo la Sartoria Meneguzzo poi denominata Papà Aldo in memoria del padre, per l’appunto sarto.
Le pasticcerie vicentine poi erano semplicemente deliziose. Al loro in-
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Oreficeria Orologi Giulio Balzarin
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terno brillavano pastine capolavoro, non solo per il gusto ma pure per l’aspetto e, come si sa, pure l’occhio, non solo il palato, voleva la sua parte. Tra loro Sorarù con il vecchio gestore Virgilio al quale è succeduto il figlio Giorgio, l’Offelleria Meneghina (da offa - focaccia di farro degli antichi romani), Rudatis, Venezia, Guerceri (in Corso Palladio posta al piano superiore di ove oggi troviamo Scout), Goriziana a Santa Chiara, Rigo (in Viale Quadri) creatore della Bignolata (ricetta tramandata ai successivi subingressi della pasticceria fino ad arrivare all’odierna Bertuzzo di Viale Trieste) farcita di uno zabaione buono come l’ἀμβροσία (ambrosia), cibo dell’immortalità di cui si nutrivano gli dei omerici. Ed il viaggio tra i negozi anni 70/80 del centro certamente non finisce qui. Indimenticabili la merceria e rivendita di materassi all’angolo tra contra Pescaria e Piazzetta Neri Pozza, l’orologeria e strumenti di pesatura Baron, la cartoleria posta tra De Bernardini Giocattoli e l’osteria al Bersagliere, all’interno della quale ci si si inebriava del profumo del legno delle matite. Salendo in Piazza delle Erbe, oltre al mercato ortofrutticolo la cui merce veniva venduta all’interno di deliziose casette, la Bortolotto polleria, la salumeria adiacente la farmacia al Redentore et dulcis in fundo Stocco Alimentari in Contrà Catena che vantava il motto 'Orzo tre Stocco' per onorare i tre figli che la famiglia aveva procreato. E sotto il Palazzo degli Uffici Comunale una galleria anch’essa ospitante molti negozi ed il Circolo dei dipendenti del Comune di Vicenza. La nostra Piazza dei Signori poi, oltre alle gioiellerie dalla notte dei tempi sempre ospitate dal capolavoro del Palladio, sotto la basilica, ospitava La Taverna, una pizzeria che ancora genera in me ricordi inquietanti. La stessa infatti era stata allestita come una grotta, degna dell’esplorazione dei migliori spele-
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Abbeveratoio a mattonella non più funzionante
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Entrata della galleria
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ologi, con tantissime finte stalattiti che pendevano dal tetto del locale. E credete a me… quando ci andavo a mangiare la pizza con gli amici di sempre, non potevano non frullarmi in testa le parole dell’iscrizione posta nell’Antinferno dantesco «Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate». E come non citare i leggendari negozi di dischi De Beni e La Casa del Disco dove i ragazzi d’allora, tra i quali il sottoscritto, amavano sputtanarsi la mancetta settimanale per comprare il più recente 45 giri in vinile a 1500 lire o quando andava meglio un bellissimo LP 33 a 6000 lire. Quanto tempo passato in quei locali, ad indossar cuffie per scegliere quel pezzo che avevamo sentito in discoteca ma non ne conoscevamo il titolo. I più audaci grazie ad un inglese maccheronico magari azzardavano direttamente l’acquisto (senza passare da un preliminare ascolto) ma per i proprietari del negozio era veramente una 'mission impossible' la comprensione di quanto veniva cianciato. Tra tutti gli esempi ecco i casi di scuola (e non sono balle! Ma fatti realmente accaduti e poi divenute leggende metropolitane vicentine): la canzone Ring my bell di Anita Ward (brano del 1979) spacciata per 'ninna bo' o peggio, al contrario, Live e chive dell’Anonima Magnagati (ossia in dialetto veneto lì e qui) inglesizzata in 'Laiv and Ciaiv'. Piazza dei Signori poi è sempre stata (molto meno oggi grazie agli offendicoli, reti ed altre misure per il contenimento attivati dalle proprietà e dal comune) una piccionaia. Centinaia dei predetti uccelli infatti albergavano in tutti i palazzi circostanti sorvolando in circolo ed ombreggiando tutta l’area quasi in modo hitchcokiano. E come non potrebbe essere stato altrimenti, considerato che tutti i genitori portavano in piazza i loro figli solo per fare rincorrere i volatili e soprattutto dargli da mangiare il mais che veniva acquistato in sacchetti da 10 lire
in un piccolo negozio sito in Contrà delle Morette oppure dai commercianti ambulanti che quotidianamente stazionavano davanti alla Torre Bissara.
Il cibo pertanto per gli stessi non mancava mai (come potevano andarsene?) ma nemmeno l’acqua in quanto proprio ai piedi della Torre vi stava (c’è ancora ma non più funzionante) un abbeveratoio a mattonella dal quale continuamente la stessa fresca sgorgava.
E il 'come eravamo' non poteva concludersi senza parlare di Sport, del Lanerossi Vicenza ossia della Nobile Provinciale e del suo mitico stadio Menti.
Code kilometriche per acquistare i biglietti nell’annata 1977/1978. Fila che iniziavano davanti a quelle fessure del muro perimetrale dello stadio dalle quali poteva spuntare fisicamente solo la mano del bigliettaio che mai avresti avuto, per tal motivo, il piacere di vedere in faccia. Chi le pensò senz’ombra di dubbio
aveva pensato alle feritoie o balestriere tipiche dei manieri medievali. Noi ragazzi ovviamente potevamo permetterci finanziariamente solo le parterre (la tribuna e i distinti rimanevano un sogno irraggiungibile: una chimera) ossia la partita vista al di sotto della quota campagna. In poche parole: in piedi, al di sotto del livello del prato, con la rete, le panchine delle squadre e i cartelloni pubblicitari davanti. E a chi andava male anche la panchina con i carabinieri e poliziotti che stavano seduti agli angoli del campo. E a meno non si saltasse ininterrottamente per tutti i 90 minuti, quando una squadra segnava, ci si guardava in faccia e ci si chiedeva: Chi ha fatto goal? Noi o loro?
Ma si sa il tifo unisce, affratella (forse). Chi stava pertanto nella mitica curva sud (rialzata come la Nord, le tribune e i distinti) avendo pietà per i parterristi tendeva loro le mani in basso e con forza li trascinava sopra. Così era!
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Salumeria adiacente la farmacia al Redentore
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Fabio Coppo e il possibile ripescaggio dei
Rangers
Vicenza:
“Ci faremo trovare pronti, ma servono più risorse e imprenditori illuminati”
Si apre lo spiraglio di una permanenza in massima serie grazie all'allargamento del campionato a dieci
di Edoardo Ferrio
Dopo una sola stagione in massima serie, al termine di un campionato avaro di soddisfazioni, i Rangers Rugby Vicenza retrocedono in Serie A dopo aver perso tutte le partite nel campionato Elite. Troppo ampio il divario con le altre compagini, soprattutto a livello di organico, anche se i biancorossi hanno dimostrato, nel corso della stagione, di potersela giocare con tutti. Tuttavia, non è ancora detta l'ultima parola: il consiglio di lega della Serie A Elite ha fatto richiesta alla federazione di ampliare a dieci (e, successivamente, a dodici) il numero delle partecipanti al campionato, uno scenario che potrebbe garantire a Vicenza il ripescaggio.
«Dovesse succedere però, dovremo farci trovare pronti», dice Fabio Coppo, direttore tecnico della squadra vicentina.
Signor Coppo, ci fa un'analisi di questa stagione?
«Si è trattata di un'esperienza molto impegnativa e, purtroppo, anche parca di risultati: non abbiamo mai ottenuto la vittoria, anche se in alcuni casi, come contro Reggio Emilia, sembrava ce l'avessimo in tasca. Ogni piccola disattenzione l'abbiamo pagata e ci deve servire da lezione. Anche se, va detto, trovarsi all'improvviso al massimo livello del
rugby italiano per noi è stata quasi una sorpresa e abbiamo avuto pochissimo tempo per preparare la stagione».
Ovvero?
«Faccio un passo indietro: la nostra è una società che da sempre cresce un passo alla volta e con lungimiranza. L'anno passato, in Serie A, anche per bravura nostra, abbiamo vinto la finale play-off contro la Lazio, ritrovandoci catapultati in Serie A Elite quasi senza aspettarcelo. Sapevamo che il livello sarebbe stato più alto, ma pensavamo il divario fosse minore. A questo bisogna aggiungere che i contratti con i giocatori, normalmente, si chiudono a maggio e noi, essendo stati promossi il 5 giugno, abbiamo
avuto pochissimo tempo per fare la campagna acquisti, dato che dovevamo iniziare la preparazione ad inizio agosto. Ci siamo ritrovati con solo cinquanta giorni a disposizione per strutturare il campionato: troppo pochi per essere all'altezza delle corazzate presenti in Elite».
Quali sono gli aspetti su cui avete sofferto maggiormente?
«In primo luogo, la preparazione atletica: siamo sempre rimasti in partita per 50-60 minuti a gara, per poi crollare nel finale e venire superati. E poi il divario tecnico: tutte le altre squadre avevano sempre almeno un giocatore di caratura superiore. Tuttavia, va detto che siamo anche soddisfatti ed orgogliosi di aver giocato contro tutte le squadre più bla-
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Fabio Coppo a una presentazione (foto Mirko Zanconato)
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sonate del rugby italiano, portando il vessillo di Vicenza città in piazze importanti nel panorama della palla ovale».
Avete avuto problemi a tenere coeso il gruppo in questa situazione di difficoltà di risultati?
«No, anzi. A fine stagione ci siamo comunque ritrovati al centro del campo a fare i complimenti a giocatori e staff. Tutte le persone coinvolte in questa stagione hanno dato il massimo. Ci è mancata la soddisfazione di una prima vittoria, ma è stato un anno bello da vivere e ne dobbiamo andarne orgogliosi. Cinquant'anni possono sembrare tanti, ma ci sono piazze che alle spalle ne hanno venti, trenta di più, con bilanci più importanti e storie societarie di altissimo livello. Tuttavia, ci siamo guadagnati il rispetto di tutta Italia e siamo sempre stati trattati come una squadra che non andava presa sottogamba. Un attestato di stima
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importante dal resto del rugby italiano».
Eppure, resta una speranza: il ripescaggio sembra essere un'ipotesi concreta. «Sì, assolutamente. La lega ha manifestato la volontà di allargare il campo delle squadre. Quest'anno ci si è resi conto che, con sole nove iscritte al massimo campionato, si gioca troppo a singhiozzo e per i giocatori è poco formante. In due occasioni abbiamo osservato delle pause di un mese: troppo, specie se si vuole mantenere un livello competitivo e attrarre tifosi. Addirittura,
si parla di portare la Serie A Elite a dodici squadre nel giro di qualche anno. Noi ovviamente siamo in prima linea a sostenere questa ipotesi e saremmo più che felici di avere un'altra chance in massima serie. Con la possibilità di partire in tempo con la preparazione e la campagna acquisti siamo sicuri di poter dimostrare il nostro valore. Non si tratta solo del risultato del campo. Tanti aspetti vanno migliorati: dalla nostra organizzazione, al settore giovanile, all'accoglienza allo stadio. A maggio partiranno comunque i lavori per coprire interamente la tribuna, tanto per fare un esempio. Il nostro settore giovanile cresce ed è importante, tanto che arriva fino all'under 6, ma possiamo fare passi in avanti, sempre tenendo in considerazione che il nostro è un territorio sovraffollato: Padova, Rovigo, Treviso, Valsugana, Verona. Insomma, c'è molta competitività e concorrenza».
Dovesse arrivare il ripescaggio, su cosa pensate di concentrarvi maggiormente?
«Noi crediamo che il nostro processo di crescita debba continuare un passo alla volta, senza tornare indietro ma senza strafare. Una volta raggiunto uno standard va mante-
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Coppo in campo con lo sponsor Luigi Battistolli e con Roman Pretz (foto Alex Zonta)
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Touche biancorossa (foto Alex Zonta)
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nuto. Bisogna comunque strutturare i quadri societari in maniera professionale, andando ad aggiungere delle figure che in questo momento ci mancano. Servirà anche investire sulla rosa e integrare i nostri ragazzi con giocatori d'esperienza che possano fare la differenza. Quest'anno ne sarebbero bastati tre-quattro di livello superiore per fare un campionato diverso e veder migliorare tutta la squadra. Avere un buon mix tra giovani e veterani fa la differenza».
Ma questi investimenti non comporterebbero una spesa ingente?
«Certo, è naturale che a fronte di questa necessità si cerchino nuovi sponsor. Da qui, prendo spunto per una riflessione: io sono padovano e ho sempre vissuto in un ambiente molto familiare col rugby. A Vicenza, dove si gioca meno con l'ovale, ci sono comunque tanti, tantissimi imprenditori illuminati: credo si possa trovare il modo di mantenere una squadra nel massimo livello del rugby italiano. Siamo comunque una realtà che va in diretta su DAZN e anche su Rai 2 un paio di volte l'anno e siamo un modello virtuoso non solo per la nostra città».
A che punto sono quindi i Rangers Rugby Vicenza, in questo processo di crescita?
«Pur con una squadra di semi-professionisti, costretti a dividersi tra sport e lavoro o studio, siamo una realtà che investe tantissimo sul territorio e i risultati e gli attestati di stima non si fanno attendere. Abbiamo circa quattrocento tesserati, facciamo dopo scuola con i bambini,
portiamo i valori del nostro sport nelle scuole e in città, cercando di dare qualcosa di bello a tutto il territorio, anche provinciale. Abbiamo fatto allenare con la nostra Under 18 un ragazzo autistico, che per due anni ha fatto parte a tutti gli effetti del gruppo squadra nel campionato regionale. Oppure, ci siamo presi in carico di firmare in tribunale per la custodia di qualche ragazzo finito agli arresti domiciliari, in modo che potesse venire al campo da rugby ad allenarsi. Ma anche ripetizioni agli studenti in difficoltà, pulmini per garantire a tutti di allenarsi e di andare alla partita. Non ci vantiamo mai di quello che facciamo, per una questione di umiltà, ma in pochi a Vicenza possono dire di aver lavorato così sodo per la propria comunità». Un augurio quindi per le prossime settimane?
«Essere ripescati e dimostrare il nostro reale valore in campo. Le possibilità di restare in Elite sono buone, ma dobbiamo comunque pensare di migliorare. L'anno scorso avevamo qualche giustificazione, nella prossima stagione avremo il tempo dalla nostra: dovremo fare meglio».
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Rangers Rugby Vicenza, un'azione dei biancorossi (foto Alex Zonta)
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Rangers Rugby Vicenza, il pubblico a un intervallo (foto Alex Zonta)
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La Pallanuoto Vicenza nelle parole di Armando Merluzzi: “è nata a causa mia 40 anni fa” .
Protagonisti di un'ottima stagione in Serie B, i Rangers stanno attraendo sempre più pubblico . Con il sogno, un giorno, di arrivare in A2
di Edoardo Ferrio
C'è un segreto rimasto ben celato, ma pronto a prendersi le luci della ribalta, nel panorama dello sport vicentino. È quello dei Rangers Vicenza di pallanuoto, che stanno disputando una stagione da protagonisti nel girone 1 di Serie B. In lotta per un posto ai play-off, la stagione dei Rangers è la dimostrazione di come, con grande oculatezza, e con la voglia di investire sul territorio, si possano ottenere grandi soddisfazioni anche in uno sport, come la pallanuoto, che tradizionalmente non ha mai attecchito in Veneto. Ne parla Armando Merluzzi, ex presidente della società, oggi componente del consiglio di amministrazione, consigliere federale e regionale della FIN.
Signor Merluzzi, da dove nasce la passione per la pallanuoto in un territorio come Vicenza, dove se ne sente sempre parlare poco?
«Il nostro sport qui, ma come in tutto il Triveneto, non ha tradizione. Siamo ben distanti dalla Sicilia, dalla Liguria e dalla Campania, che rappresentano il 70% delle squadre di A1. La squadra nacque quarant'anni fa a causa mia e, nel giro di una quindicina d'anni, arrivammo a giocare qualche buona stagione di Serie B, raggiungendo anche i play-off. Tuttavia, ci ritrovammo un po' distanti da quelli che erano i nostri obiettivi
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iniziali e decidemmo di ripartire dalla Serie C».
A cosa fu dovuta questa scelta?
«Volevamo una squadra composta interamente da ragazzi vicentini e, per fare questo, decidemmo che era meglio fare un passo indietro. Due anni fa siamo tornati in Serie B; la passata stagione è stata buona, ma con un finale drammatico: un paio di sconfitte ci hanno relegati ai playoff, dove siamo retrocessi ai rigori. Tuttavia, abbiamo fatto richiesta di ripescaggio e la federazione ha deciso di puntare su di noi quando si è liberato un posto in categoria: questo perché il nostro settore giovanile è ben impostato e in un territorio come Vicenza dove, nel bene e nel male, si vive mettendo al centro dello sport sempre il calcio, era impor-
tante dare un segnale che si può comunque crescere anche all'ombra di una società ingombrante come il Lanerossi Vicenza. La nostra attitudine ha convinto la FIN a investire su di noi, credendo nel nostro progetto». Scelta ripagata, vista la stagione che state facendo.
«Direi di sì: ce la stiamo giocando per un posto ai play-off, a discapito di qualche squadra che sembrava più attrezzata di noi. E questo, ci tengo a sottolinearlo, praticamente solo con giocatori vicentini. Le uniche eccezioni sono rappresentate da Damiano e Scotti Galletta, entrambi vicentini d'acquisizione, essendosi spostati a Vicenza per lavoro, dal portiere, Pellegrino, siciliano trasferitosi a nord anche lui per motivi di lavoro (fa il carabiniere a Mantova,
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Armando Merluzzi premiato con la Stella di Bronzo al merito a Villa Cordellina
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ndr), e ovviamente da Serediuc, il nostro straniero, un ragazzo canadese arrivato in città per motivi di studio. Gli altri sono tutti del territorio vicentino».
Quindi il vostro settore giovanile si può tranquillamente definire un'eccellenza in Italia?
«Si, assolutamente. Uno dei nostri ragazzi dell'Under 15, Lorenzo Guerzoni, ha giocato anche con la selezione nazionale e volevamo lanciarlo anche in prima squadra. Purtroppo, proprio in ritiro con gli azzurri, si è rotto la spalla, finendo la stagione. Ma lui non è l'unico anzi: la nostra rappresentativa regionale vanta tantissimi ragazzi vicentini. Nel torneo delle regioni, pur in un territorio senza molta tradizione, sono arrivati quarti, dimostrando che ci sono ampi margini di crescita anche nel territorio».
Anche in provincia?
«Assolutamente sì: ci sono realtà come Caldogno e Montecchio che stanno salendo di colpi e con cui abbiamo tanti contatti. Non andiamo a saccheggiare i vivai altrui, crediamo piuttosto nell'idea di fare rete e, da questo punto di partenza, andare a creare un movimento di pallanuoto nel Vicentino. Ecco, dovessi indicare una finalità dei Rangers Pallanuoto Vicenza, direi che è quella di valorizzare la pallanuoto vicentina».
Tornando alla stagione: i risultati vi premiano, ma pensavate di fare un campionato di questo livello?
«No, siamo partiti con l'obiettivo della salvezza e, in verità, a Vicenza non si è mai respirata l'A2. Solo una volta ci siamo andati vicini, quando perdemmo la finale play-off contro la Waterpolo Brescia. Fino al 1996 giocavamo sotto al pallone pressostatico, in Serie D e Serie C. Dal 2003 ci siamo spostati al Ferrarin, dove il progetto dell'impianto è stato ampliato ai 33 metri della pallanuoto grazie all'intervento della federazione e del CT della nazionale di allora, Rudic. Ora siamo al momento di apice, ma speriamo di far salire ancora il nostro livello, se non quest'anno nei prossimi».
Ha un sogno nel cassetto?
«Qualche anno fa, Mirco Dal Bosco, oggi nostro allenatore, giocava per noi. Aveva iniziato tardi, a quattordici anni, ma quando ne compì 19 ebbe l'opportunità di andare a giocare in Serie B e lo lasciammo andare. Prima di rientrare alla base, fece anche dell'esperienza in A2. Quando è tornato a Vicenza, nelle vesti di allenatore, ci siamo guardati in faccia dopo uno dei primi allenamenti e ci siamo detti 'Questa squadra andrà in A2'. E lo farà, aggiungo, senza andare a prendere giocatori da fuori, senza andare a sconvolgere le gerarchie interne: qui ci alleniamo tutti insieme, dai più vecchi ai più piccoli, e solo insieme riusciremo a raggiungere i nostri obiettivi. Intanto stabilizziamoci in Serie B però: non dimentichiamoci che dodici mesi fa eravamo retrocessi. Dopodiché, continuando a crescere, sono sicuro che realizzeremo questo sogno».
I vicentini stanno apprezzando i vostri sforzi?
«Altroché: ogni partita in casa ci sono 250 persone che vengono a tifare e incitare i nostri ragazzi, un pubblico che si vede a stento anche nella categoria superiore.
Piano piano, Vicenza si metterà sulla mappa della pallanuoto italiana».
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Armando Meluzzi allenatore nel 1983
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Chiara Costagli tocca con un dito l’A1, ma sceglie la B1 a Vicenza: "ottimo ambiente e bella città: mi trovo molto bene" .
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di Castelfiorentino è grata alla pallavolo anche nella vita: "lo sport mi ha aperto tanti mondi"
di Edoardo Pepe
In carriera ha giocato anche in A2 conquistando la promozione nella massima serie con Vallefoglia, oltre a disputare altre due stagioni nella seconda serie nazionale femminile con Sant'Elia. Nella scorsa estate, la scelta di scendere di un gradino e approdare a Vicenza Volley. Per lei, non un declassamento, ma una nuova sfida, iniziata al meglio come ambientamento e proseguita con una stagione ricca di soddisfazioni. La squadra allenata da Mariella Cavallaro inseguirà fino in fondo i play off di B1, ma Chiara è già entusiasta della scelta di approdare nella città del Palladio.
Nata il 17 luglio 1998 a Empoli, Chiara Costagli è originaria di Castelfiorentino (Firenze) ed è alta un metro e 88 centimetri. Nel 2016-2017 ha indossato la maglia del Cus Siena in B2, per poi approdare in B1 prima a Macerata e poi a Pordenone. Nell'annata stoppata dal Covid, la Costagli si trovava in testa con Vallefoglia, formazione marchigiana con cui nella stagione successiva ha giocato l'A2 festeggiando il grande salto nella massima serie. Infine, il biennio in A2 nel Lazio all'Assitec Sant'Elia. Nel suo percorso di crescita, anche alcuni collegiali con la nazionale azzurra
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pre-Juniores sotto la guida di Marco Mencarelli.
«La pallavolo - racconta la giocatrice toscana - mi ha sempre dato qualcosa di bello in questi anni, la vivo molto bene. Il volley è sempre riuscito a insegnarmi qualcosa, a farmi crescere anche in aspetti personali. Sono una persona tranquilla e solare, la pallavolo riesce a far emergere anche il mio lato più motivato e agonista. Oltre che di momenti belli, lo sport è fatto anche di periodi più difficili, dove ci sono sconfitte da affrontare e dove possono crollare alcune certezze. Grazie al volley sono riuscita a superare alcune mie piccole paure e insicurezze che si ripercuotono
anche nella vita quotidiana, per questo sono grata alla pallavolo. Inoltre, spostandosi tra varie città e paesi attraverso le squadre, si ha la possibilità di conoscere nuove persone, modi di fare diversi e quindi di poter crescere, perché le persone che incontri ti danno sempre qualcosa in più da prendere e farne tesoro».
Parole che fanno ben capire come Chiara sia una ragazza tutt'altro che superficiale. I suoi ringraziamenti allo sport che adora non sono ancora finiti.
«Grazie al volley sono riuscita a lavorare su alcuni aspetti che precedono il match che riguardano la psicologia e la mentalità. Ho avuto
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Nella foto di Daniele Marangoni, Chiara Costagli (Vicenza Volley) in attacco
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modo di conoscere la meditazione che prima non conoscevo e che mi piace molto, oltre ad approfondire l'alimentazione. Sono tutti aspetti di crescita che poi ho riportato nella vita di tutti i giorni» Ma com'è la quotidianità quando non ci sono bagher e schiacciate da fare?
«Studio Scienze motorie e la maggior parte del tempo fuori dalla palestra lo passo sui libri; la scelta di questa facoltà va nella direzione del non voler abbandonare del tutto in futuro l'ambito sportivo. Per il resto, mi piace leggere, nelle belle giornate vado un po' a camminare, ascolto musica e dedico del tempo a me stessa. Mi piace anche uscire con le mie compagne di squadra con cui mi trovo molto bene»
In estate Chiara ha sposato il progetto di Vicenza Volley.
«Passare dall'A2 alla B1 non l'ho visto come scendere di categoria, ma come una cosa motivante, con l'obiettivo di raggiungere i play off. Inoltre, mi permetteva di conciliare meglio gli altri impegni senza rinunciare allo sport, un ambito che mi piace moltissimo come quello dei bambini. Scienze motorie un domani potrebbe farmi abbracciare entrambi, anche se ora penso di giocare ancora per tanti anni».
E la nostra città?
«Molto bella, io vengo da un paesino di campagna come Castelfiorentino. Vicenza è una città a dimensione d'uomo, ha un centro molto bello. Ho avuto modo di conoscere tante persone, tutte gentili: è una città dove mi trovo molto bene. Ho un bel
rapporto con la mia famiglia e ogni tanto riesco a tornare in Toscana, in estate faccio la babysitter curando una bimba amica di famiglia. Questa esperienza mi trasmette molta empatia, penso molto agli altri e ad aiutarli, ne vado molto orgogliosa».
Chiara allo specchio tra pregi e difetti.
«Ogni tanto sono troppo permalosa, bisogna avere la forza di lasciare andare tante cose invece a volte rimugino molto, ma ci sto lavorando. Tra i pregi, essere solare, motivata e alla mano. Mi piace avere buoni rapporti con le persone ma sono anche molto selettiva. Mi accorgo che con chi ho meno confidenza faccio trasparire solo una piccola parte di me, che è molto diversa dalla vera Chiara che conosce chi mi è davvero vicino»
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Chiara Costagli in attesa di ricevere
La schiacciatrice toscana esulta dopo un punto
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Cresce l'ansia da intelligenza artificiale . Come affrontarla?
di Sabrina Germi
Buongiorno dottoressa, si parla molto di intelligenza artificiale, ma personalmente, guardando anche al futuro dei miei nipoti, mi trasmette molta ansia e paura... Mi chiedo può davvero sostituire il lavoro dell'uomo?
Quali implicazioni future avrà sulla nostra vita?
Grazie, Marta
Carissima Marta, la paura è un’emozione primaria che ha una funzione adattiva estremamente importante perché, ci sprona ad affrontare quel che capita con maggiore consapevolezza, quindi è una dotazione adattiva fondamentale.
La sua paura, Marta, è condivisa da oltre undicimila adulti negli Stati Uniti, secondo un sondaggio del Pew Research Center, infatti, la maggioranza degli americani afferma che l'apprensione dovuta alla presenza dell'intelligenza artificiale
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nella vita quotidiana sia maggiore dell'entusiasmo nei confronti della tecnologia.
L'intelligenza artificiale si è infiltrata in ogni aspetto della nostra vita personale e lavorativa, la psicologia non fa eccezione. Come evidenziato in un articolo condiviso su Frontiers in Psychology l’intelligenza artificiale è un grande alleato nella psicoterapia breve strategica, entrambe le aree, quella virtuale (tecnologica) e quella reale (umana), dovrebbero unire i loro benefici per migliorare la valutazione del paziente e del suo funzionamento psicologico. L’intelligenza artificiale è uno strumento a disposizione dell’uomo, dipende dall'uomo, può essere metaforicamente considerata un faro nel buio, illuminando nuove possibilità e soluzioni che prima erano impensabili, come la
sostenibilità, il benessere dell’umanità e la salvaguardia del pianeta intero.
L’arrivo dell’intelligenza artificiale ha messo, sicuramente, la creatività umana di fronte a un bivio inaspettato. Se da un lato l’intelligenza artificiale ci libera dalla temuta 'sindrome del foglio bianco', rappresenta una scorciatoia per il pensiero, inondandoci di idee in pochi secondi, dall’altro ci spinge verso una sottile ma significativa perdita di immaginazione, riflessione e meditazione. Questa dipendenza tecnologica può erodere gradualmente la nostra capacità di prendere decisioni autonome, relegandoci a un ruolo passivo nella nostra esistenza. Non siamo più gli architetti delle nostre vite, ma semplici spettatori di scelte predeterminate da algoritmi.
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Lettere alla psicologa
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Questo scenario solleva interrogativi fondamentali sulla nostra capacità di rimanere autonomi e resilienti, perciò la sua preoccupazione Marta è realistica, come dice Elon Musk, «l’intelligenza artificiale è come un’arma a doppio taglio: può portare benefici straordinari, ma anche sollevare dubbi etici profondi». Senza contare i rischi dell’abuso di tecnologia che oltre a portare a vere e proprie compulsioni date dalla dipendenza, può generare sintomi come il deficit di attenzione, intelligenza emotiva e sociale compromessa, isolamento sociale, sviluppo cerebrale compromesso e disturbi del sonno (Small et al., 2020).
Rispondendo alla sua domanda Marta, credo che i robot possano sostituire alcune mansioni, in particolare quelle che richiedono un’intelligenza di natura ripetitiva, ma non potranno mai sostituire lavori creativi, come quello dell’artigiano, per non parlare dell’artista, dello scienziato, così come l’interazione umana tra paziente e psicologo.
La paura verso l'intelligenza artificiale, dovrebbe darci la spinta per migliorare noi stessi, per una maggiore consapevolezza delle nostre capacità e potenzialità, solo se la paura viene guardata in faccia diventa coraggio, quella evitata diventa timore panico.
Questi strumenti richiedono al lavoratore del futuro un aggiornamento continuo, al passo con l'evoluzione rapidissima e intragenerazionale delle tecnologie, questo richiede una formazione life long process che parta dalla scuola e non si fermi lì. La vera sfida è questa, altro che i robot intelligenti! Imparare ad utilizzare la tecnologia e l’intelligenza artificiale, anche come base di partenza per qualcosa di più personale. Un po' come avviene per i nostri figli quando utilizzano il cellulare, i social, ecc. la soluzione non è legare i figli ad una sedia per far sì che non si facciano male, è necessario dar loro alcune direttive: ragionare con la propria testa, chiedersi perché, insegnar loro a pensare.
L’Intelligenza Artificiale deve essere quindi affiancata dall'intelligenza Biologica, Emotiva, Mentale e Spirituale. Ciascuna di queste intelligenze ha un ruolo fondamentale nel nostro benessere, secondo un sistema strettamente interconnesso e nessuna Intelligenza artificiale può sostituirla.
Concludo Marta, dicendo che oggi è impossibile prevedere quale sarà l’effettivo impatto delle intelligenze artificiali sulle nostre vite: possiamo solo ipotizzare che la loro presenza sarà sempre più pervasiva, e che dovremo quindi abituarci a una nuova forma di 'convivenza', occorre quindi, da subito, uno sforzo educativo per indirizzar-
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ne eticamente lo sviluppo, sapendo che un arricchimento reciproco fra intelligenza naturale e intelligenza artificiale è possibile se la prima guida la seconda in questo cammino. Ad esempio, per scrivere questo articolo avrei potuto usare una delle tante intelligenze artificiali presenti online. Così però non avrei dato un contributo mio e non avrei portato nulla di nuovo. Probabilmente ci ho messo più tempo, ma ho imparato io stessa qualcosa strada facendo
I miei migliori auguri e un caro saluto
Riferimenti bibliografici
P. Benanti, Human in the loop. Decisioni umane e intelligenze artificiali, Milano, Mondadori, 2022.
F. Cugurullo, R. A. Acheampong, Fear of AI: an inquiry into the adoption of autonomous cars in spite of fear, and a theoretical framework for the study of artificial intelligence technology acceptance, in «AI & SOCIETY», 2023, pp. 1-16.
G. Nardone, F. Cagnoni, Perversioni in rete: psicopatologie da Internet e il loro trattamento, Milano, Ponte alle Grazie, 2002.
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Electric dreams: dentro la mente di Philip K. Dick
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ad altrettanti racconti affrontano gli aspetti più spaventosi del rapporto tra umanità e tecnologia
Electricdreams è una serie antologica, nel senso che ogni puntata ha storie e personaggi a sé stanti, ispirata dalle opere del geniale scrittore americano Philip K. Dick, autore di Chissàsegliandroidisognanopecoreelettriche? (da noi però tradotto come Il cacciatore di androidi) che al cinema è diventato Blade Runner, film cult del sottogenere fantascientifico chiamato cyberpunk, di cui Dick è considerato uno degli ispiratori. Questo genere è figlio di quella che viene chiamata “fantascienza sociologica”, cioè che intende esplorare le conseguenze politiche, sociali e psicologiche, che si riflettono nella vita quotidiana, delle scoperte scientifiche e soprattutto tecnologiche. Lo sviluppo della tecnologia come macchina, computer, androide e intelligenza artificiale nelle storie cyberpunk assume sempre delle sfumature inquietanti e il problema principale diventa il rapporto tra l’uomo e queste nuove tecnologie. Nell’unica serie da 10 episodi vengono affrontati molti temi cari a Dick. In una puntata le persone dotate
di poteri telepatici vengono ghettizzate da un regime autoritario; in un altro episodio invece la pubblicità domina completamente la società, il Nord America è un’unica nazione che comprende USA, Canada e Messico e il candidato politico lancia messaggi subliminali volti a sterminare fisicamente gli avversari. C’è ovviamente anche il tema della realtà virtuale e del rischio di non riuscire più a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, ci sono degli automi simili a umani realizzati combinando il DNA umano con quello dei maiali e dotati di emozioni e intelligenza grazie a iniezioni di “coscienza quantica”. Spazio anche per il tema dell’inquinamento, che rende la terra invivibile e necessaria una missione su un pianeta alieno per purificare l’atmosfera con un gas speciale. Electric dreams è la quarta serie televisiva tratta dalle opere di Dick e vanta un cast d’eccezione con, tra gli altri, Bryan Cranston, Vera Farmiga, Steve Buscemi e Liam Cunningham. Ottima sia come invito alla lettura di Dick, sia come visione breve, non impegnativa, ma estremamente interessante nei temi trattati e nella realizzazione.
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Tommaso De Beni
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Isocial network si sono affermati come una componente fondamentale della vita quotidiana, in particolare tra i giovani. Tali piattaforme offrono una vasta gamma di opportunità per connettersi, imparare e crescere. Tuttavia, è essenziale riconoscere e affrontare anche i potenziali rischi che accompagnano il loro uso. Tracciamo quindi una panoramica bilanciata che aiuti i giovani utenti e i loro genitori a navigare nel mondo dei social media in modo informato e sicuro
Le opportunità dei social network
Social network: opportunità e rischi, specie per i giovani
I social hanno trasformato il modo in cui ci connettiamo con gli altri. La possibilità di comunicare istantaneamente con persone in qualsiasi parte del mondo ha aperto nuove porte per le relazioni interpersonali.
Per i giovani, questi strumenti rappresentano un mezzo inestimabile per mantenere contatti con amici e familiari, soprattutto in contesti internazionali. Inoltre, la creazione e partecipazione a gruppi online basati su interessi comuni permette la formazione di comunità virtuali dove condividere esperienze, idee e supporto reciproco.
Oltre al divertimento, i social network sono una risorsa preziosa per l'educazione e l'apprendimento. Piattaforme
come YouTube offrono accesso a tantissimi contenuti educativi, da lezioni universitarie a tutorial su competenze pratiche. Inoltre, la possibilità di condividere e discutere idee con coetanei e professionisti da tutto il mondo stimola l'apprendimento collaborativo e apre nuove strade per l'acquisizione di conoscenze.
Per i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro, poi, i social network possono essere strumenti potenti per il personal branding e il networking. Piattaforme come LinkedIn permettono di creare un profilo professionale e connettersi con potenziali datori di lavoro e colleghi di settore. Questo non solo aumenta la visibilità professionale, ma apre anche a nuove opportunità di carriera, stage e collaborazioni.
I rischi da non sottovalutare
L'uso dei social network può avere un impatto significativo sulla salute mentale dei giovani. Diversi studi hanno evidenziato come l'esposizione costante a certi ambienti possa portare a sentimenti di ansia, inadeguatezza e depressione, specialmente quando i giovani si confrontano con le rappresentazioni idealizzate e spesso irrealistiche della vita altrui.
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Clarissa Mingardi
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La pressione di mantenere una certa immagine online e la ricerca di approvazione tramite "mi piace" e commenti possono incrementare lo stress e la sensazione di essere costantemente sotto giudizio.
La sicurezza online e la protezione della privacy sono altre preoccupazioni crescenti. I giovani utenti possono essere poco consapevoli dei rischi associati alla condivisione di informazioni personali online.
Ciò include il rischio di furto d'identità, l'accesso ai dati personali da parte di terzi non autorizzati, e la possibilità di essere tracciati online. Senza contare, poi, che i social network possono essere terreno fertile per il cyberbullismo, una forma di molestia che può avere conseguenze devastanti.
L'uso eccessivo di queste piattaforme può portare a una vera e propria dipendenza, che può avere ripercussioni sulla vita reale dei giovani, influenzando negativamente le loro relazioni interpersonali, il rendimento scolastico e il tempo dedicato ad altre attività.
La costante necessità di controllare i social media può anche distrarre dai compiti e dalle responsabilità quotidiane, riducendo la concentrazione e l'efficienza nello studio o nel lavoro.
Bilanciare opportunità e rischi per un uso consapevole
Per navigare in modo sicuro nell'ambiente dei social network, è cruciale l'educazione digitale. Giovani utenti, genitori e insegnanti dovrebbero essere informati sui modi migliori per gestire la privacy, riconoscere le fake news, e comprendere l'impatto dei social media sulla salute mentale.
Programmi di alfabetizzazione digitale nelle scuole e workshop online possono aiutare i giovani a sviluppare una comprensione più
profonda e un approccio critico all'uso dei social.
I genitori e gli educatori giocano un ruolo chiave nel supportare un uso equilibrato. Ciò può interessare il monitoraggio dell'attività online, non con intenti punitivi ma piuttosto per guidarli verso pratiche online sicure e responsabili.
La collaborazione tra scuole e famiglie per promuovere iniziative educative, come seminari e campagne di sensibilizzazione, può aiutare i giovani a comprendere meglio le dinamiche dei social media.
È fondamentale incoraggiare gli utenti giovani a sfruttare i lati positivi dei social. Ciò può coincidere con l'uso delle piattaforme per scopi educativi, creativi o di volontariato.
Inoltre, le piattaforme stesse stanno implementando nuove funzionalità per proteggere la salute mentale e il benessere degli utenti, come strumenti per monitorare il tempo trascorso online e filtri per ridurre l'esposizione a contenuti nocivi. Esempi positivi di utilizzo dei social network possono fungere da modelli per i giovani, mostrando loro come queste piattaforme possano essere utilizzate in modo costruttivo e benefico.
Un punto di equilibrio da raggiungere grazie a più fattori
Nel valutare l'impatto dei social network, è evidente che essi presentano sia opportunità significative sia rischi non trascurabili, particolarmente per i giovani utenti. L'equilibrio sta nel saper navigare questi spazi digitali con consapevolezza e responsabilità. L'importanza di un uso informato e riflessivo dei social non può essere sottolineata abbastanza, sia per sfruttarne i benefici che per mitigare i potenziali danni.
I genitori, gli educatori e la società nel suo complesso hanno un ruolo fondamentale nel guidare i giovani attraverso il paesaggio digitale. Insegnando loro a utilizzare i social network in modo sicuro e costruttivo, possiamo aiutarli a sviluppare competenze digitali cruciali che saranno vantaggiose nella loro vita futura.
È altresì importante che le piattaforme di social networking continuino a sviluppare e implementare strumenti per garantire un ambiente online più sicuro e positivo. La collaborazione tra esperti di tecnologia, psicologi e istituzioni educative è essenziale per questo scopo.
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L’invenzione dell’orologio
Le invenzioni e le scoperte che hanno cambiato la storia: l’orologio
Luca Fusaro
AlanKay, informatico statunitense, disse che per predire il nostro futuro, il modo migliore sarebbe quello di inventarlo, perché se la scoperta avviene sempre in modo casuale, l’invenzione invece è il frutto di tanto lavoro e osservazione che porta all’ideazione di un progetto.
Grazie a creatività, talento, studio e possibilità economiche, è possibile migliorare la realtà e la vita di tutte le persone, migliorandone relativamente la qualità.
La storia dell’umanità è ricca di scoperte memorabili, nate dall’ingegno, dalla casualità o da una combinazione dei due fattori. Alcune hanno cambiato il corso della storia e plasmato il mondo intero; difficilmente potremmo immaginare il nostro stile di vita di oggi, senza di esse. In questa serie di articoli vedremo quali sono le invenzioni e le scoperte più grandi e più utili di sempre, considerando la loro storia e l’impatto che hanno avuto sulla società moderna.
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Orologio moderno - 1656 d.C.
Anticamente per segnare lo scorrere del tempo si utilizzavano le meridiane e le clessidre, strumenti in grado di sfruttare la luce solare e la sabbia a questo scopo. Le meridiane sono composte da un’asta – detta gnomone –e da un quadrante su cui sono indicate le ore. La clessidra nella sua forma più antica è costituita da due contenitori d’acqua collegati da un foro. Un’altra versione, che ci è più familiare, è costituita da due bulbi di vetro contenenti sabbia al posto dell’acqua. È stata importante in particolare per la navigazione, perché per molto tempo fu l’unico strumento per misurare il tempo in mare: durante il suo viaggio attorno al mondo Magellano aveva disposto sulle navi della sua flotta diciotto clessidre.
Orologi meccanici
I primi orologi meccanici sono stati realizzati nel tredicesimo secolo, a cui seguì l’orologio a pendolo. La sua
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invenzione è attribuita all’olandese Christiaan Huygens, nel 1656, ma prima ancora era stato Galileo Galilei a dimostrare la regolarità del moto del pendolo e a proporre il suo uso per far funzionare un orologio. Galilei aveva studiato il cosiddetto isocronismo del pendolo: per un dispositivo di una data lunghezza il periodo di oscillazione è sempre lo stesso, qualunque siano la massa del pendolo e l’ampiezza dell’oscillazione, purché questa rimanga sempre abbastanza piccola. Galilei lasciò alcuni schizzi di un possibile orologio basato su questo principio, ma fu poi Huygens a costruirlo effettivamente.
Nel corso del XIX secolo furono sviluppati anche i più maneggevoli orologi da tasca.
L'orologio da polso fu inventato alla fine del XIX secolo da Antoni Patek e Adrien Philippe che fondarono una delle più famose fabbriche di orologi al mondo. Inizialmente fu considerato un accessorio esclusivamente femminile, tra gli uomini era comunemente usato l'orologio da
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tasca. Il pubblico maschile si convinse della sua utilità solo durante la Prima guerra mondiale per sincronizzare gli attacchi.
Negli anni Sessanta comparvero sul mercato gli orologi al quarzo, nei quali il moto oscillatorio è ottenuto da un cristallo di quarzo che, quando sottoposto a una corrente elettrica, vibra a frequenza costante.
Gli orologi più precisi oggi esistenti sono quelli atomici. La precisione ottenibile dai moderni orologi atomici al cesio (il tipo più diffuso) è altissima.
sbagliano all’incirca di un secondo ogni milione di ann Sono questi gli strumenti usati in tutto il mondo per stabilire l’ora esatta che fa da riferimento ufficiale o per sincronizzare e controllare dispositivi tecnici come le reti informatiche.
Insomma, oltre ad essere un accessorio elegante, l'orologio è diventato parte integrante delle nostre vite
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Una meridiana e una clessidra
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Un orologio a pendolo
Servizi di Ristorazione collettiva
Socio-sanitaria | Scolastica | Aziendale Commerciale | Vending
La nostra idea di ristorazione si basa sulla promozione di una corretta cultura alimentare in grado di soddisfare le esigenze di ogni persona garantendo elevati standard qualitativi e di sostenibilità
Il Gruppo Serenissima, con i suoi oltre 10.500 dipendenti in tutto il territorio italiano, è impegnato ogni giorno per offrire un servizio di qualità avvalendosi delle più moderne e sicure metodologie di cottura con la massima attenzione e sicurezza.
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