Vicenzapiù Magazine n 280

Periodico indipendente, non riceve finanziamenti pubblici Direttore responsabile: Giovanni Coviello

29 ottobre 2015 Anno X n. 8

Vicenza Più euro 0,90

280

www.vicenzapiu.com

MAGAZINE

I poteri forti ora ci ascoltano.

E vi parlano Politica e trasporti

L’eredità di Variati: Vicenza, con la Tac sei nel mondo

Industria

Riello, il presidente dei giovani: dialogo sì, censura no

Sanità

La manager Carraro: dopo Santorso punto ai vertici

Calcio

Polato fa il Cincinnato: dai, se vuoi bene al Vicenza

Polizia locale

Scarpellini, comandante “precario”: rimango se lo merito Il prossimo numero sarà in edicola giovedì 26 Novembre

FRUTTA E VERDURA

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[ Editoriale ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

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I poteri forti ora ci ascoltano.

E vi parlano

[ Giovanni Coviello ]

Anche a Schio, Thiene e Valdagno dove viene estesa da questo numero la distribuzione di VicenzaPiù Magazine

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a nostra copertina strilla “I poteri forti ora ci ascoltano. E vi parlano”.

Il senso è chiaro: tanti “decision maker” (li abbiamo chiamati “poteri forti” perché alcuni di loro o, meglio, i settori che rappresentano hanno assunto nel passato con noi atteggiamenti sguscianti se non arroganti) sono ora pronti sempre più spesso ad ascoltare le nostre domande e le nostre osservazioni a cui dare puntuali risposte per voi, nostri lettori, dopo 10 anni di una lotta dura per l’informazione non condizionata da interessi se non quelli di chi ci legge per sapere. Iniziata il 25 febbraio 2006 e sempre in atto, ora quella lotta ci consentiamo il lusso di definirla “impegno” per l’informazione senza etichette ma con un tatuaggio indelebile con su scritto “indipendente, impresso in filigrana su ogni pagina, materiale o virtuale, del nostro periodico, dei nostri quotidiani web e a brevissimo della nostra tv streaming, la piccola Netflix di Vicenza. Confindustria locale, la sanità veneta, dirigenziale e politica, la quasi morente proprietà del Vicenza Calcio, più di talvolta quel Palazzo Trissino, a cui pure abbiamo guardato con speranze non sempre ripagate, e le varie “polizie” (locali o nazionali) hanno prima deriso, poi attaccato, ma ora temono il network VicenzaPiù. Anche se il nostro obiettivo non è mai stato quest’ultimo ma solo (solo?!) il riconoscimento dell’autorevolezza del nostro lavoro, fatto di battaglie per la legalità e contro ogni disinformazione che è figlia e madre della censura, è un grande, anche se mai appagante, risultato per noi e, soprattutto, per i nostri lettori, che hanno dato e daranno un senso alla nostra lotta e al nostro impegno, aver raccolto in questo numero anche, ma non solo, le voci stimolate e stimolanti del Presidente dei Giovani Industriali di Confindustria Vene-

to, Giordano Riello, del direttore generale della Ulss 4 dell’Alto Vicentino, Daniela Carraro, del presidente del Vicenza Calcio, Luigi Polato, del sindaco e presidente della provincia di Vicenza, Achille Variati.

E di Giovanni Scarpellini, il comandante, guarda caso ex capitano dei carabinieri, della Polizia locale del Nordest e dell’Alto

Vicentino, che lui ha rilanciato nell’organizzazione e nelle motivazioni, ce lo hanno detto i suoi collaboratori, dopo che da lì era passato per poi approdare a Vicenza, spinto allora da Lega Nord e Forza Italia e mantenuto ora sulla sua poltrona per motivi ufficialmente sconosciuti, quel Cristiano Rosini che neanche si è vergognato degli sbeffeggi che, con i suoi comportamenti arroganti se non al limite o al di là dell’illecito, ha fatto indirizzare alla città e ai suoi stessi collaboratori non tanto da noi localmente, tanto da noi lo conoscono l’avvocato, ma in tutta l’Italia dalle Iene.

Leggete queste interviste, mai prone, con

questi 5 “big” e le analisi che facciamo con loro nei vari ambiti, costruttivamente, anche se qualche volta ancora a fatica, da parte loro, per vecchi “appunti” che non tolleravano di aver subito.

Traetene informazioni per discuterne tra di voi, con noi e, tramite noi, con la città e il Vicentino, area in cui da questo numero estenderemo la distribuzione fisica, partendo dalle aree di Schio, Thiene e Valdagno e confidando che continuino ad aumentare i nostri abbonati online, i nostri lettori sul web e i nostri tele-web spettatori. Per seguire l’evoluzione del sogno dell’Alta Velocità di Variati; della promessa di superamento dei vecchi schemi da parte dei giovani industriali, rappresentati da Riello; dell’impegno di Polato & c. per la trasparenza societaria e per la rinascita del grande Lane; della scoperta dei valori istituzionali predicati da Scarpellini; del recupero della managerialità nella gestione della cosa pubblica, specialmente nella sanità, la grande scommessa di Daniela Carraro, che è sopravvissuta al “caso Santorso”, quello noto del suo malefico project financing”, e ha risolto quello meno mediatico ma molto pratico dell’efficienza di quella Ulss prima solo proclamata. Ecco, ci sono casi in cui un comportamento apparentemente negativo, quello dell’attuale dg dell’Alto Vicentino che punta a una delle 7 nuove mega direzioni, può essere scoperto con più facilità come costruttivo solo se i “protagonisti”, volontari o involontari, dei casi capiranno che non va assecondata l’informazione marchettara di regime, ma va apprezzata l’informazione senza aggettivi. È più difficile da gestire ma è quella che, poi, non cambia se cambiano i regimi. Lo ricordino i veri decision maker, quelli per merito e non per nomina…

[ Economia e imprese ]

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Giordano Riello ci parla da presidente.

Dei giovani industriali di Confindustria Veneto I suoi primi risultati? I nuovi collegi elettorali, la modifica della legge IVA 633 sui fallimenti, Equimpresa. Le lobby in Italia? Sono “massoniche”. Zigliotto censura VicenzaPiù? I giovani imprenditori vicentini non lo farebbero [ Giovanni Coviello ]

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a parola d’ordine del giovane rampollo della grande famiglia dei Riello, venuto a trovarci nella nostra nuova sede di Viale Milano 31, è dialogare con le Istituzioni per collaborare fattivamente, estirpare l’immagine della politica corrotta e dell’imprenditoria collusa e tornare a un concetto di autorevolezza grazie a progetti con ricadute positive sul tessuto sociale del nostro paese. Attendevo lunedì 19 ottobre il ventiseienne Giordano Riello, presidente dei giovani industriali di Confindustria Veneto, con l‘orgoglio di tutta la redazione di VicenzaPiù di ospitare un rappresentante dei vertici confindustriali veneti importante e, soprattutto, proiettato verso il futuro rispetto agli epigoni locali del (sotto)capitalismo alla vicentina. Ma onestamente avevo anche il timore che ci si parasse di fronte il classico figlio di papà di quegli epigoni. Che so un Matteo Marzotto ringiovanito ma col nome del casato a far rima con bardotto, figlio, sì, di un cavallo stallone ma, anche, di una femmina di asino domestico. Sarà perché il cognome Riello è ben più significativo dei cognomi che vivacchiano a Palazzo Bonin Longare e dintorni, tipo i decadenti (e da far decadere) Cda di banche e istituzioni, ma il presidente dei giovani industriali di Confindustria Veneto ci è parso, durante la sua video intervista senza rete con la nascente… rete in streaming di VicenzaPiu.Tv, di un’altra pasta. Per carità la sua aria, sia pure non esibita e forse neanche voluta, durante l’intervista senza canovaccio appare qualche volta quella un po’ snob dell’auto esibizione del “self made manager”, in cui la parola self è, comunque e non fosse altro che per la capitalizzazione del cognome, un po’ relativa. Ma la “pasta fresca” della sua formazione dà l’impressione di poter lievitare grazie al concetto base che a fine intervista, come anticipato, ci è parso che gli sia proprio: alla base della crescita del sistema ci deve essere il dialogo. Con tutti e non solo all’interno dei propri clan di provenienza. Che Giordano Riello abbia voglia di dialogare ci è parso certo, se sia stimolante e non solo mediatico il suo dialogo comincino a valutarlo i nostri lettori da oggi. Se sarà capace di finalizzare il dialogo all’interesse globale e non strettamente particolare dipenderà da lui e dallo spa-

Giordano Riello, presidente dei Giovani Industriali di Confindustria Veneto

zio che saprà conquistarsi tra gli zombie che oggi sovraffollano il sistema Italia. I già morti sono duri a farsi sotterrare, ma li può far scomparire, anche nel subconscio, il pensiero positivo dei tanti Giordano, che vorremmo trovare tra gli imprenditori, tra i politici, tra i sindacalisti e, perché facciano la massa critica indispensabile per ogni rivoluzione, tra la moltitudine di persone che proprio perché singolarmente tali non possiamo limitarci a definire comuni.

Giordano Riello intanto benvenuto da noi perché per noi è un piacere avere il presidente dei giovani industriali di Confindustria Veneto. Siccome nessuno glielo avrà mai chiesto… lei si chiama Giordano Riello ma ha a che fare con la famiglia Riello?

Sia il nome che il cognome sono un’eredità importante perché porto il nome del nonno Giordano e il cognome è quello della famiglia Riello. Nasciamo nel ’22 con le caldaie poi abbiamo diversificato e adesso la capogruppo della nostra famiglia (uno dei rami della dinastia Riello, ndr) è l’Aermec per la climatizzazione e il riscaldamento.

Lei ha 26 anni e quando ci siamo conosciuti mi diceva che c’è tra i Riello questa abitudine: per meritarsi un ruolo in azienda bisogna conquistarsi la fiducia del management ma anche delle maestranze. Come? È una regola di fatto che abbiamo in casa, io rappresento la quinta generazione ma

per conquistare autorevolezza e non autorità agli occhi i tutti i collaboratori, di tutte le maestranze e della famiglia stessa dobbiamo partire con una startup senza finanziamenti da parte delle famiglie, farla camminare, farla correre e a quel punto saremo pronti per entrare nel CdA dell’azienda del gruppo.

Lei è entrato nel CdA o ci sta per entrare?

Mi sto affacciando, in questo momento mi sto affacciando. Ho creato una mia azienda che si occupa di illuminazione a led per l’industria e questo spero, mi auspico che possa dare le basi per affrontare una sfida più grande nell’azienda di famiglia.

Il brand di quest’azienda assomiglia un po’ al nostro. Come si chiama?

Si chiama N+: abbiamo promosso questa vicinanza con VicenzaPiù perché cerchiamo di andare tutti un po’ più in alto.

Ci proviamo anche se le età sono un po’ diverse, la mia è quasi invertita rispetto alla sua… Lei si occupa di attività associativa come presidente dei giovani industriali di Confindustria Veneto. Perché questo impegno? Fa parte del suo percorso formativo o crede a un ruolo dei giovani nell’industria veneta?

Sicuramente i giovani nell’industria veneta devono avere un ruolo sempre più fondamentale, non possiamo pensare di costruire un futuro con persone che il futuro loro se lo sono già costruito e vissuto. Quindi i

[ Economia e impresa ]

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I due Giordano Riello, nonno e nipote.

giovani imprenditori devono avere un ruolo chiave, fondamentale in tutti quelli che sono i percorsi decisionali sia per la nostra società civile sia per il nostro mondo industriale: quindi portare i giovani al centro della vita economica e politica del nostro paese vuol dire garantire futuro al paese stesso.

In una associazione come la sua, come in tutte le associazioni, c’è un ruolo operativo ma c’è anche un ruolo politico. Come si pone lei rispetto al suo presidente regionale Roberto Zuccato che è vicentino? C’è un confrontarsi oppure quello che decide il capo, scusi la domanda apparentemente sciocca, anche il giovane lo fa?

Con Roberto Zuccato noi abbiamo un bellissimo rapporto. Oltre ad essere il presidente di Confindustria giovani del Veneto di diritto sono anche vice presidente di Zuccato. Stiamo portando avanti tanti progetti insieme, abbiamo una visione che è condivisa è lineare. Pur essendo noi giovani un ente a sé stante perché per statuto siamo separati, guardiamo sempre ai senior perché solamente riuscendo a capitalizzare la loro esperienza e unendola

Giordano Riello col padre Alessandro, presidente di Aermec

alla nostra innovazione possiamo guardare avanti con un po’ più di lungimiranza rispetto ad andare avanti completamente autonomi. Quindi c’è un rapporto di continuo dialogo, di continuo ascolto e di continua collaborazione tra senior e giovani.

Lei conoscerà tutti i presidenti provinciali di Confindustria, sicuramente conoscerà anche Zigliotto. Ha interagito con lui, che impressione ne ha?

Anche con Zigliotto abbiamo un ottimo rapporto, siamo amici di lunga data perché Zigliotto era presidente quando mio padre era presidente…. perché anche questa parte confindustriale è un po’ ereditaria, mio padre è stato presidente dei giovani del Veneto, è stato presidente nazionale dei giovani quindi anche attraverso lui ho ereditato nel Dna questo spirito associativo. Anche con Pippo (Giuseppe, ndr) c’è un ottimo rapporto di stima e di dialogo reciproco, assolutamente.

Abbiamo detto che la nostra intervista riguarda lei ma non è preparata, quindi qui le faccio una domanda un po’… trabocchetto.

Noi siamo un giornale indipendente, non proclamiamo “il” verbo ma proclamiamo “un” verbo che è indipendente da qualunque altra situazione. Per questo motivo abbiamo dei rapporti con Confindustria locale che non capiamo, perché qui sono abbastanza chiusi al punto tale che questo Pippo che lei dice, scusi se lo chiamo Pippo anche io, addirittura ci ha cancellato dalla lista di invio dei comunicati stampa. Senza entrare nel merito perché lei non può entrare nel merito, non conoscendo le situazioni, che neanche io conosco onestamente, un atteggiamento dei vertici di Confindustria Vicenza che interdicono l’informazione ad un mezzo locale e convivono allo stesso tempo col controllo totale di un altro mezzo leader, ripeto senza entrare nel merito, le lascia qualche dubbio oppure no?

Quello che mi dice mi lascia abbastanza perplesso, sicuramente, parlando a nome dei giovani imprenditori di Vicenza capitanati da Andrea Stella, sicuramente saranno disposti ad instaurare un rapporto di dialogo e ascolto con VicenzaPiù senza alcun problema.

Ora la traggo d’impaccio, ma dovevo dirlo per onestà intellettuale, perché io penso che nell’ambito dell’informazione in un verso o nell’altro, buona o cattiva si dovrebbe avere il coraggio di commentarla, criticarla però la chiusura…

La chiusura è sbagliata a priori quello senza dubbio, bisogna cominciare a collaborare, ad ascoltare. La chiusura non deve essere fatta a priori, ci vuole comunque uno spirito di collaborazione che i giovani in Confindustria hanno sempre dato sia in termini di ascolto che di dialogo.

La ringrazio per la sua franchezza e torniamo alle domande generali. Come si rapportano oggi i giovani industriali con il mondo politico che comunque non sta dando il meglio di

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sé, parlo storicamente, come esempio per i giovani? Questo nostro mondo politico è associato più facilmente a scandali, tangenti e quant’altro insieme purtroppo ad una parte degli imprenditori. Bisogna fare sempre dei distinguo, non bisogna generalizzare, però oggi in Italia si parla più di scandali e di corruzione che non di belle opere e di buone decisioni. Come vi rapportate voi con questa situazione che oggettivamente è difficile e rende difficile l’attività di chi vorrebbe confrontarsi con il mercato ma senza questi lacci e lacciuoli?

Veniamo sicuramente da un periodo politico, sociale, industriale molto buio. Ora si incomincia ad intravedere un po’ di luce fuori dal tunnel. Non dico che siamo completamente fuori, però ci sono dei sentori positivi da parte del mercato, da parte delle imprese e da parte anche della stessa società civile. La politica negli ultimi anni ci sta offrendo collaborazione, ci sta dando ascolto almeno per quanto riguarda quello che stiamo facendo come giovani.

Bisogna ricordare l’Italicum 2.0, la riforma elettorale che per la parte che riguarda la suddivisione in collegi l’abbiamo scritta noi come giovani imprenditori del Veneto; la modifica della legge IVA 633 sui fallimenti, che poi probabilmente andrà in compensazione e che adesso il presidente Renzi sta inserendo nel nuovo Dpef, il Documento di programmazione economica e finanziaria; stiamo creando una sorta di sistema cuscinetto, Equimpresa, da contrapporre in senso buono ad Equitalia per comprare parte dei crediti delle PMI e delle micro aziende verso lo stato, purché certificati dal MEF, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quindi per immettere liquidità nel sistema e accollarci noi il credito dell’azienda ed il debito della pubblica amministrazione perché dobbiamo ricordare che un terzo delle imprese fallite durante la crisi sono andate in bancarotta proprio per mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Il Governo sta dialogando con noi, il governatore della nostra regione ci sta dando ascolto quindi io penso che queste siano delle premesse ottime o buone: meglio dire buone per incominciare un rapporto di collaborazione e estirpare da questo periodo storico nebuloso l’immagine della politica corrotta e dell’imprenditoria collusa e di riportarla col lavoro con sacrificio ad un concetto di autorevolezza, che forse negli anni è stato dimenticato, autorevolezza che si conquista per meriti, quindi per progetti e per ricadute positive su quello che è il tessuto sociale del nostro paese.

Probabilmente alcuni politici dovrebbero un po’ imparare quello che è il sistema Riello cioè arrivare a certe posizioni guadagnandosele con un’adeguata “gavetta” e non grazie a can can mediatici. Ma a parte questo lei rivendicava l’importanza che hanno avuto i giovani industriali del Veneto nel determina-

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Il presidente dei Giovani Industriali Veneti dialoga con Matteo Salvini

re la formazione dei nuovi collegi elettorali, che ha portato a grosse discussioni tra i nostri politici locali anche perché aree vicentine sono andate verso Verona. Cosa può rispondere a questi appunti?

Che secondo me sono frutto di un campanilismo che come sistema paese abbiamo interiorizzato dentro di noi. Adesso il mondo diventa sempre più grande e dobbiamo cominciare a guardare con un occhio di vicinanza verso le aree territoriali vicine quindi Vicenza, Verona e altre aree devono pensare come sistema regionale. Certo la suddivisione in collegi delegittima alcune posizioni di alcuni politici, però noi crediamo che questo possa essere un sistema importante per garantire un discorso di vicinanza tra quello che è il rappresentante del collegio e la comunità. Questo è il fattore chiave perché chi ci rappresenta a Roma deve essere una nostra espressione, quindi deve essere in contatto continuo con quella che è la rappresentanza territoriale e i cittadini.

Lei ha accennato prima ad una collaborazione costruttiva, critica ma costruttiva col

governo nazionale e col governo regionale.

Ultimamente Renzi è venuto a Treviso in occasione dell’assemblea di Confindustria Treviso ed il messaggio era rivolto a recepire consenso da parte degli industriali del Veneto dopo il fallimento della campagna elettorale della candidata del PD, Alessandra Moretti, che pare, sono cattivo, non sia poi tanto dispiaciuto al presidente del Consiglio.

I veneti nel tempo non sono stati così bravi da far valere a Roma quelli che erano i loro numeri a favore delle loro esigenze. Se “Roma”, quindi, non ha trattato bene la nostra regione, forse il Veneto ha le sue responsabilità nel non essersi saputo inserire nei gangli vitali della struttura. Ora guardando un po’ Renzi e un po’ Zaia cosa apprezza dei due per quanto riguarda la politica che fanno verso il Veneto e cosa invece consiglierebbe ad entrambi invece per fare meglio?

Il nostro governatore è veneto, quindi il focus ce l’ha proprio sul nostro territorio, sulle nostre province, sulle nostre aziende.

Sicuramente la gestione di Zaia negli ultimi anni è stata una gestione che io ho valutato

Giordano Riello a un dibattito col ministro Beatrice Lorenzin

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positiva. Se non abbiamo riscontrato come regione grandi lacune da parte del nostro governatore, allo stesso tempo Renzi, che ho avuto il piacere di incontrare e parlarci personalmente, sta facendo qualcosa per il nostro paese, sta facendo delle riforme che da vent’anni nessuno ha avuto il coraggio di fare. Bisogna smetterla secondo me con il partito del “no a prescindere”, bisogna cercare di instaurare, come dicevamo prima, un rapporto di collaborazione e di dialogo con il governo rappresentando le nostre esigenze, facendo parlare il mondo dell’industria, facendo parlare i governatori delle rispettive regioni indipendentemente da quale sia il loro colore politico perché l’interesse è il nostro paese: se non si guarda ad un rapporto di collaborazione tra le istituzioni, il mondo dell’imprenditoria e i diversi colori politici, il Paese non ce la fa.

Quindi bisogna “appoggiare” il governatore della regione, “appoggiare” il nostro presidente del Consiglio per quelle che sono le manovre che servono al nostro paese. Anche lo stesso Jobs Act è un ottimo inizio, sicuramente non rappresenta la conclusione di un lavoro, però ha dato numeri positivi su quella che è l’economia interna, su quello che sono le assunzioni, su quello che è anche il rapporto, ne parlavamo anche prima, del merito perché comunque il Jobs Act premia il merito e non premia il posto di lavoro. Quindi secondo me bisogna riflettere su questo: stanno facendo tutti delle proposte, stanno portando avanti tutti dei lavori, bisogna guardare con positività a questo e smetterla di lamentarci perché delle lamentele non ce ne facciamo niente e non ne possiamo più.

Nelle sue parole sembra di cogliere un pochettino il “vecchio” Gianni Agnelli… È un apprezzamento che non merito…

L’atteggiamento di Agnelli, delle grandi famiglie industriali, mi spiego, era il marchio di fabbrica di una Confindustria sempre governativa. Quindi io leggo nel suo invito a essere pragmatici confrontandosi con chi prende le decisioni, portando il vostro contributo in regione, che è a trazione di centro destra, e Roma che è a trazione, usiamo vecchi schemi, di centro sinistra, un invito a confrontarsi con chi decide per cercare di condizionare le decisioni per renderle utili agli imprenditori o, in maniera più larga, al Paese. È corretto?

Assolutamente sì perché Confindustria e i giovani imprenditori sono apartitici ma non sono apolitici, quindi dobbiamo confrontarci continuamente con quello che è il mondo della politica per garantire sopravvivenza a quello che è il mondo dell’industria. Le riforme le fanno i politici ma devono sapere quali sono le esigenze del mondo industriale.

In altri paesi c’è la codificazione delle lobby, vedi gli Stati Uniti dove lobby non è sinonimo di fatto negativo ma di fatto pubblico. In Italia le lobby ci sono ma agiscono favorendo la commistione negli ultimi decenni, non anni

[ Economia e impresa ]

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Il giovane Giordano in Vespa con la sua fidanzata perugina

decenni, tra politica come esercizio del potere, non come confronto di idee, alcune forze imprenditoriali, parte dei sindacati e del potere bancario. È una commistione, che va al di là di quella fisiologica e che genera tanti problemi. Ci sono banche, vedi la Popolare di Vicenza o, anche se molto meno, Veneto Banca che influiscono sulle decisioni politiche, ci sono politici che cercano di determinare scelte aziendali, aziende che cercano di scegliere i loro candidati. Lei da giovane farebbe piazza pulita o dei passi accorti ma rapidi per cambiare questo magma in cui sta morendo l’Italia, anche per responsabilità di parte dei sindacati che non sono ultimi nelle responsabilità complessive perché più che difendere i lavoratori adesso sembrano sindacati che difendono posizioni Sì, perché comunque il sindacato pensato come quello di adesso è totalmente anacronistico perché l’Italia in questo caso la vediamo come “una repubblica burocratica fondata sul posto di lavoro” come recita l’articolo 1 così come da me interpretato in questo momento. Passando alla sua domanda il concetto di lobby in Italia è stato travisato secondo me per troppo tempo, la lobby sana è giusta e bisogna farla, Confindustria fa lobby, il governo fa lobby, le banche fanno lobby.

Ma il problema del nostro Paese è che il concetto di lobby è un concetto più massonico che di dialogo e collaborazione tra le parti politiche, sociali ed economiche del paese. Quindi se noi attuiamo una riforma culturale del concetto di lobby fondandolo su un concetto positivo di interessi positivi che i vari enti industriali, politici, sindacati devono promuovere, allora io penso che così procediamo più velocemente e riusciamo anche a modificare quella che è una mentalità sbagliata su questo concept.

Non posso che essere d’accordo con lei

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Riello con uno dei prodotti della start up N+

sull’impostazione, ma poi bisogna anche farle queste cose e lei ha tanto tempo per poterle fare, io posso predicarle ma a lei do il compito di farle per quello che mi riguarda…

Spero di portare avanti con onore questo compito difficile che lei mi affida.

Una domanda che riguarda più strettamente Vicenza: lei sicuramente conosce sia i suoi colleghi tra i giovani industriali di Confindustria Vicenza sia il mondo imprenditoriale vicentino. Che differenza vede tra il mondo veronese ed il momdo vicentino per cultura imprenditoriale?

In questo momento? Nessuno. Perché le aziende che sono sopravvissute in questo periodo storico sono le aziende che sono riuscite ad internazionalizzare, che non sono rimaste attaccate al campanile, che non sono rimaste attaccate alla loro identità territoriale sacrosantamente giusta e da preservare, ma da non guardare come qualcosa che mi limita alla mia area geografica, ai miei confini regionali. Quindi adesso la differenza tra Verona e Vicenza, tra Vicenza e Rovigo, tra Rovigo e Treviso non c’è, non esiste più perché bisogna guardare al mercato domestico come all’Europa e non solo. E questo sicuramente è qualcosa che rompe ogni tipo di barriera e ci permette di essere più competitivi a livello nazionale ma soprattutto internazionale Fatto 100 il suo tempo, e chiudiamo qui, come ripartisce la sua giornata mediamente tra lavoro, impegni e vita personale ?

La mia vita personale, per questo devo un grande grazie alla mia fidanzata, in questi tempi si è ridotta veramente ad una mezza giornata la domenica. Il lavoro naturalmente rappresenta il primo focus sul quale concentro tutte le mie giornate e i maggiori sforzi perché senza il lavoro non ci può essere tutto quello che viene di conseguenza, quindi anche Confindustria. Fatti sei i giorni realmente lavorativi, due vengono dedicati a Confindustria e tutto quello che

ruota attorno al mondo confindustriale e i restanti quattro giorni vengono dedicati al mandare avanti insieme ai miei due soci la mia attività industriale.

Nessun hobby?

Ero pilota di aeroplano per hobby, però ormai il tempo è talmente poco che è un anno che non prendo in mano la cloche purtroppo. Però ritornerò a volare, questo sicuramente sì, perché il cielo mi manca troppo.

Lo sport del cuore? Visto che suo papà seguiva molto la pallavolo, se non sbaglio Sì, mio papà è stato, siamo stati sponsor di squadre di pallavolo. Però io sono appassionato di sci, quindi cerco di andarmi a fare qualche bella sciata durante l’inverno e anche d’estate sui ghiacciai.

Non possiamo non provocarla: Verona o Vicenza nel calcio?

Sa che io non seguo il calcio? Da bravo italiano atipico in questo caso non seguo il calcio, anche se da piccolino ero simpatizzante del Chievo per ovvie ragioni territoriali. Seguo solo la Nazionale quando gioca.

E non seguire il calcio in questo caso agevola il giovane Giordano Riello nella chiusura di questa intervista perché se avesse detto Verona a Vicenza probabilmente qualche simpatia l’avrebbe persa tra qualche collega vicentino super tifoso che, magari, avrebbe attivato una lobby, ovviamente palese ma magari non troppo, per sgambettare il presidente dei giovani industriali di Confindustria Veneto. “No calcio, no lobby”.

L’intervista esclusiva a Giordano Riello

[ Politica e trasporti ]

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[ Giovanni Coviello ]

Variati fa la Tac alla città Per il sindaco e presidente della Provincia “è ballottaggio tra le stazioni di Borgo Berga e Viale Roma in un progetto storico per il futuro dell’area vicentina che ha bisogno di dati per prendere le giuste decisioni e non relegare per sempre a periferia la città di Vicenza. Senza, però, farle perdere l’anima di piccola, grande bellezza”

È

chiaro da tempo e, appena inizio a intervistarlo, glielo si legge nello sguardo, un po’ meno da consumato attore di lungo corso della politica, che Achille Variati, sindaco di Vicenza e plenipotenziario dell’area essendone anche il presidente della provincia, ci tenga ad essere ricordato non solo e non tanto come chi ha governato

La video intervista di VicenzaPiu.Tv ad Achille Variati

la città per tre mandati in due epoche diverse intervallate da una altrettanto triplice elezione in Regione che ha lasciato nel 2008 da vice presidente del Consiglio Regionale e capogruppo del PD per riapprodare contro ogni pronostico alla guida di Palazzo Trissino e dintorni. E lui neanche vuol legare il suo nome e cognome solo al reinseri-

mento di Vicenza nel circolo della cultura e dell’arte avendo reso vive e fruibili col suo vice Bulgarini due opere del suo predecessore Enrico Hüllweck, il Teatro Comunale e il restauro della Basilica Palladiana. Achille Variati, forte anche del peso nazionale che, chissà perché…, gli è stato sempre negato dagli apparati dei partiti (lui nasce e rimane DC, transitando per PPI, Margherita e Pd) ma che ora si è conquistato da Presidente dell’UPI, Unione delle Province Italiane, punta ad essere ricordato per un’opera ben più duratura, civicamente, di una carriera politica, ben più grande, economicamente, di un teatro o di una Basilica: rendere Vicenza un nodo importante dell’Alta Velocità/Alta Capacità. Perché e come speriamo che lo si capisca di più dopo questa video intervista rilasciataci il 17 settembre e tuttora, praticamente e strategicamente up to date…

Sindaco Variati, lei già ne ha parlato anche in commissione territorio a settembre, ma facciamo un po’ il punto della situazione sulla progettazione della ferrovia ad Alta capacità/ Alta velocità che, vorrei soltanto dirlo per inciso, non è un gioco, non stiamo parlando di un modellino, sta progettando con la città, per la città un tratta ferroviaria di alte caratteristi-

[ Politica e trasporti ]

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La firma a Roma del protocollo d’intesa con l’ex ministro Lupi per il nodo Vicenza della Tac Tav

che. Quindi vorrei che facesse un po’ il punto che è un punto momentaneo, non è un punto definitivo.

Assolutamente ha ragione, direttore, quando dice che stiamo progettando qualcosa di molto importante perché non c’è opera come una linea ferroviaria che, quando è impostata, praticamente rimarrà, mi verrebbe da dire, per sempre ma comunque sicuramente per diverse generazioni tant’è vero che la ferrovia a metà dell’800 ebbe quella traccia e quella traccia è rimasta. Quindi forse siamo parlando, anzi tolgo il forse, dell’opera infrastrutturale più importante che Vicenza abbia conosciuto dal dopo guerra. E quindi per questo bisogna andare avanti ma con la dovuta prudenza. A che punto siamo, lei mi chiede, IRICAV 2 deve consegnare un progetto definitivo ad RFI. Spieghiamo IRICAV è un consorzio concessionario per legge avendo vinto un gara, il mio interlocutore non è però il consorzio di imprese ma Rete Ferroviaria Italiana (RFI) che consegnerà al Comune, alla Provincia, alla Regione, agli altri Comuni il progetto definitivo che andrà in Conferenza di servizi. Le carte non sono ancora arrivate ed io sul finire di agosto, subito dopo ferragosto (anzi le dirò direttore che la lettera è stata impostata proprio nei giorni di ferragosto) ho ritenuto di mettere nero su bianco una richiesta e la richiesta è questa.

Noi siamo passati da una fattibilità alla richiesta di un progetto definitivo saltando il progetto preliminare. Ed essendo di solito il progetto preliminare quello che per legge confronta soluzioni diverse, ho ritenuto per sicurezza verso me stesso, verso la città e verso tutti coloro che dovranno decidere, alla fine il consiglio comunale, che RFI ci consegni il progetto che risulti vincente da un confronto tra varie soluzioni. In particolare, siccome la dismissione ipotizzata della stazione di viale Roma è stata oggetto di un grande dibattito, come immaginavo ovviamente che fosse essendo la stazione storica, il confronto deve avvenire tra quella stazione e una ipotetica stazione di fermata a Borgo Berga per la metropolitana, per l’SFMR (Sistema Ferroviario Metropolitano

Regionale, ndr) cioè per i treni regionali, per i treni locali e per i treni regionali veloci. E un secondo confronto tra sempre viale Roma e l’ipotizzata stazione fuori porta in una zona molto centrale per le comunicazioni provinciali che è la Fiera, un confronto tra queste altre due stazioni nell’ottica dell’Alta capacità sapendo che la stazione dell’Alta capacità dovrà avere tutto. Cioè dovrà avere l’intermodalità completa che vuol dire che lì si dovranno fermare tutti i treni locali, lì si dovranno fermare comunque i treni regionali, lì si fermeranno i treni di Alta capacità. Ecco ho chiesto un confronto su dati che siano misurabili, questo metterà più tranquillo me quando dovremo assumere delle decisioni e consentirà di fare un dibattito nella democrazia della città fondato non su parole e nemmeno solo su disegni ma anche su dati.

Questa lettera è stata inviata all’ing. Lezzi di RFI a firma sua, come sindaco di Vicenza e del presidente della Camera di Commercio, quindi è una lettera fatta da due entità importanti Comune e Camera di Commercio. Lei stesso diceva che parlare dell’Alta Capacità/Alta Velocità (il modo giusto di chiamarla è proprio

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AC/AV perché c’è anche una componente di Alta Velocità) è un progetto in evoluzione.

Quindi ogni giorno c’è qualcosa di nuovo, si era dato per scontato all’inizio che ci fosse questa seconda stazione a Borgo Berga, si era dato per scontato che ci fosse in Fiera l’altra stazione e che morisse quella attuale. Noi abbiamo interpretato, e lei ce lo ha confermato, che il passo che lei ha dovuto imprimere all’approvazione dell’ordine del giorno sull’Alta Velocità serviva sostanzialmente a far approvare dei fondi che potessero aprire la strada al reimmettere Vicenza in un sistema di comunicazione da cui oggi di fatto è esclusa. Questo secondo step, che sarà più vicino a quello reale dopo i confronti sugli input delle varie realtà cittadine, quanto è più vicino alla soluzione finale rispetto alla semplice ipotesi di partenza iniziale che serviva per mettere un punto di partenza? È una via intermedia o si potrà ragionare comunque in termini concreti dopo queste scelte?

Io direi che dopo si entrerà certamente nella fase decisionale finale. Facciamo un passo indietro: perché la stazione in Fiera? La stazione in Fiera perché per molto tempo si è discusso del passaggio dell’Alta Capacità in Vicenza, mentre sia io che le categorie economiche, quindi il mondo produttivo, da due anni a questa parte abbiamo detto: “un momento, la città può essere disposta al sacrificio di una cantierizzazione anche importante, ma sui cantieri ci torniamo, però ad una condizione”. E cioè che non stiamo parlando solo del modo per far passare quella che si chiamava Alta Velocità e che oggi correttamente si chiama AC/AV, non solo di farla passare ma di farla fermare.

E qualcuno ha detto “ma perché ti ostini a far sì che Vicenza sia sede di una fermata della linea dei treni di alta percorrenza, vuoi forse fare di Vicenza una metropoli? Hai in mente un’espansione urbanistica della nostra città? No sindaco, ti stai sbagliando, noi vogliamo che Vicenza rimanga quel che è”. Ed io sono d’accordo, non ho nessun sogno di una città, Vicenza, che cresca a di-

La presentazione delle prime tavole del progetto Tac Tav a Vicenza

[ Politica e trasporti ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

Il sindaco Variati col suo vice Bulgarini presentano le ipotesi iniziali del progetto Tac Tav

smisura, Vicenza è quella che è, quella che conosciamo, quella che amiamo con le sue stradine, il suo silenzio, il suo centro storico da rispettare ed i suoi quartieri. Ma quello che non voglio, ed è questo che mi spinge, è che la città di Vicenza diventi periferia, perché nella periferia senza infrastrutture si muore, non ci sarà sviluppo, i ragazzi se ne andranno altrove. Ora noi per varie ragioni abbiamo perduto l’aeroporto. Se adesso perdessimo anche l’altro collegamento, che nel prossimo futuro diventerà il collegamento delle medie distanze europee… Vabbè, certo, so che Vicenza è poco lontana da Padova, è poco lontana da Verona ma bastano quei 30/40 km per farti sentire un paesotto mentre Vicenza non è un paesotto, è il capoluogo di una delle province più industrializzate d’Italia, dove il delta positivo è di 11 miliardi di denaro su 44 miliardi del Paese.

Stiamo parlando di questo e dobbiamo essere fieri di questo. Premesso questo che è fondamentale, ecco perché la fermata dove noi pensavamo, dico noi includendo anche le forze economiche, che il luogo più adatto fosse laddove una serie di infrastrutture viarie (guardi direttore quasi casualmente perché non c’era una programmazione effettiva per questo) quali Valdastico Nord, Valdastico Sud, Tangenziale, Pedemontana si incrociano più o meno lì. Non tanto per la Fiera, non è che chiediamo, voglio chiarire anche questo, una fermata per la Fiera perché non avrebbe senso, no, vogliamo una fermata lì dove ci dovranno essere parcheggi, ci dovrà essere il trasporto pubblico urbano ed extraurbano, ci dovranno essere i treni di varia tipologia, ci dovranno essere anche le auto ribadisco, i parcheggi. E la stazione deve essere tale da poter diventare un nodo importante. Attenzione non solo un nodo nord-est-ovest, che peraltro sarà un corridoio molto importante nel futuro perché unirà l’Europa all’Europa dell’Est,

ma anche verso Sud. Io mi immagino un treno con partenza da Vicenza magari via Verona, Bologna, Firenze, Roma, cioè un nodo. Allora lei mi chiede: adesso stiamo cambiando quel progetto? No, per quanto mi riguarda il progetto rimane però ho detto ad RFI: attenzione perché, forse qualche rumor evidentemente ce l’ho, a costi come siamo messi? Perché dovevamo risparmiare quattrini. E i tempi di cantiere? Perché, pensata la stazione in Fiera, avevamo anche pensato di togliere la ferrovia tra il quartiere dei Ferrovieri e San Felice, cosa che non ha riscosso grande entusiasmo. Ma, se si interra la ferrovia lì, allora non riuscivamo più a farla emergere per viale Roma ed avevamo pensato che la stazione, diciamo locale, poteva essere in un altro punto (tra stadio, tribunale, università), più o meno alla stessa distanza dal centro storico. Adesso io ho bisogno di misurare le cose e può darsi che ci siamo anche sbagliati. Se i numeri ed i parametri dovessero dirmi che ci siamo sbagliati ho il dovere di ripensare il progetto.

Lei è molto sensibile, perdoni il gioco di parole, alla sensibilità dei cittadini, li vuol sentire e poi decide insieme agli organi competenti ma una domanda a cui forse non risponderà seccamente è “se lei fosse intervistato col sistema Delfi, che tanto ha fatto discutere, per esprimere una sua preferenza non da sindaco ma da cittadino cosa indicherebbe al rilevatore come sistema ottimale?”

Una stazione urbana in Vicenza ed una stazione di Vicenza capoluogo in Fiera perché siccome una stazione è un attrattore di traffico considererei da cittadino sbagliato che questo attrattore di traffico sia a ridosso del centro storico, però concluderei dicendo: beh, mi diano però qualche paramero di confronto, ed è esattamente quello che ho chiesto.

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Questo conferma che il cittadino Variati è anche il sindaco Variati, non riesce a sdoppiarsi logicamente.

In questo documento lei insieme alla Camera di Commercio ha fatto delle richieste ulteriori rispetto alla necessità che siano assicurate non solo ovviamente le fermate della nuova tratta a Vicenza, altrimenti avrebbe poco senso stare qui a parlare di un semplice attraversamento, che potrebbe essere fatto in qualunque posto dove fosse meno impattante ma che poco interesserebbe di fatto alla città che vive e che commercia e che si industria.

Lei ha fatto un’altra richiesta, che questo sistema sia fortemente integrato con Schio da una parte e con Treviso dall’altra. Questo si innesta anche in un discorso di comunicazioni regionali in cui si stanno muovendo dei passi ma forse qualche passo in più va fatto. Col solito limite italiano si è per tanti anni discusso contro l’eccesso di traffico su gomma ma quando si prova a spostarlo su un’altra infrastruttura sembra che diventiamo tanti piccoli Agnelli che vogliono soltanto auto e non vogliono locomotive.

Però sta succedendo qualcosa in Europa che finirà con l’interessare fortemente l’Italia e portare anche il nostro paese volente o nolente ad investire sul ferro. Mi riferisco in particolare all’Austria che non vuole più Tir sulle strade e quindi tutto il traffico per il nord Europa, quello in transito per l’Austria e sempre di più anche per la Germania, dovrà essere su ferro. E, quindi, attenzione quella linea, di cui lei giustamente ha parlato, perché Vicenza è già nodo tra Milano e Venezia, ma anche tra Vicenza e Treviso fino al Tarvisio, quella è una linea molto importante per le merci più che per le persone.

Ergo il nodo di Vicenza assume un significato molto importante anche per ciò che sta succedendo nel cambiamento del trasporto delle merci in Europa. La regione non ha battuto grandi colpi sul “ferro” finora, credo però che lo debba fare e le anticipo che nei prossimi giorni manderò una lettera anche all’assessore regionale di nuova nomina alle infrastrutture perché voglio anche capire come siamo messi con il futuro dell’SFMR. Poichè tutto il trasporto e il cadenzamento dei treni tra le città e le nostre stazioni con i paesi sono di responsabilità della regione, è la regione che deve decidere cosa fare, è la regione che deve impostare un piano finanziario di investimento dei prossimi anni e noi a Vicenza che stiamo ripensando al nodo ferroviario lo vogliamo ripensare ovviamente nell’ottica dell’SMFR. Lei oggi, di fatto, da presidente della provincia, e quindi rappresentante della proprietà di FTV, e da sindaco di Vicenza, rappresentante della proprietà di AIM, è anche il regista di un’operazione che ormai è nelle cose, la fusione di FTV con AIM Mobilità, anche lì per ottimizzare un settore che strutturalmente è in perdita ma non per deficienze vicentine ma perché il settore della mobilità è molto legato ai contributi statali e, quindi, regionali al servizio pubblico. Questa fusione tra FTV e AIM Mobilità con, immagino, passi ulteriori e

[ Politica e trasporti ]

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Con l’alta velocità arriva il filobus, in 12 minuti dalla fiera al tribunale

Il sindaco Variati incontra con l’assessore Dalla Pozza il nuovo ministro alle infrastrutture Graziano Delrio

successivi a livello regionale, questa funzione di regia le può giovare oggi nel vedere complessivamente il sistema di comunicazione di Vicenza. Quando sono arrivato qui da Roma, più di venti anni fa, vedevo questa gran bella città, questa gran bella area industriale ma mi chiedevo perché non si lavorasse ad un’alternativa per muoversi da qui in maniera meno faticosa. Perché a pesare era ed è non è soltanto la mezz’ora di treno ma il tempo per parcheggiare a Vicenza, andare a Padova, cercare le coincidenze o quello che sia. Questo è un vecchio problema che lei sta provando ad avviare a conclusione. Come?

Riguardo alla fusione tra le due società tutte e due pubbliche, due società di trasporto pubblico che appartengono allo stesso bacino, in cui, quando si faranno le gare, per legge la gara sarà unica, è evidente che bisognava pensare di metterle insieme perché tra l’altro raggiungeremo delle economie di scala perché ci sarà

un’unica officina, ci sarà un unico sistema di controlli, ci sarà un’unica tipologia di fermate, si eviteranno le sovrapposizioni di linee, si darà migliore efficienza al servizio extraurbano ed anche al servizio urbano.

Questa è una operazione che io intendo se non concludere ma aver praticamente definito entro la fine di quest’anno. A cosa servirà questo? Solo all’efficientamento (che brutta parola, sindaco nei nuovi vocabolari sindacal-confindustriali!..., ndr) di un sistema di TPL (Trasporto Pubblico Locale, ndr) locale? No, perché noi ci dovremo abituare ad integrare la gomma con il ferro.

Oggi ad esempio le linee che vengono da Thiene e Schio sono linee su gomma FTV e poi c’è la linea ferroviaria di Trenitalia e mica si parlano queste due realtà: cioè si può arrivare su gomma o si può arrivare su rotaia , ma che senso ha? Il biglietto di Trenitalia non c’entra niente con il biglietto di FTV che non c’entra niente con il biglietto

Ipotesi di percorso per il filobus da Fiera a Borgo Berga

di AIM. No!, dovremo integrare anche le tariffe e sempre di più si dovranno incrociare per quanto possibile il ferro con la gomma. Mi spiego, io sono stato accanto al sindaco di Montecchio quando il sindaco di Montecchio nell’ottica dell’Alta Capacità ha detto vorrei una fermata di SFMR ovviamente ad Alte di Montecchio ed io ho detto “assolutamente sì” e dobbiamo farci un parcheggio vicino, così come dobbiamo rafforzare il parcheggio di Grisignano di Zocco perché l’ottica è che quelli diventino poli intermodali dove lascio l’auto, la bicicletta o la moto o lascio il bus perché poi prendo il ferro e vengo comodamente in centro a Vicenza. Però con gli orari tutti connessi. Cioè interconnessione, è un sogno? Non so. Un po’ di utopia nelle mie parole c’è, però io voglio essere il sindaco che, per quanto ce la fa con i soldi che ha mette a posto delle buche (e magari in ritardo come dice la stampa locale), ma anche un sindaco che necessariamente deve guardare lontano.

Lei era partito da una considerazione: Vicenza tempo fa ha perso l’opportunità, non ha colto l’opportunità di avere un aeroporto proprio. Il sistema ferroviario nuovo che si viene a costruire, quindi l’Alta Capacità/Alta Velocità e il sistema regionale, come verrà interconnesso agli aeroporti di Venezia e Verona che nel frattempo si stanno fondendo, si sono fusi di fatto?

Intanto conto che i treni complessivamente di Alta velocità riescano veramente a sostituire in Europa le linee di medio raggio di aerei. Già è successo per la Venezia - Roma, la Verona - Roma, la Milano – Roma (ma chi è il matto che va da Vicenza a Tessera per poi finire a Fiumicino per fare poi 40 minuti di taxi?). Quindi la ferrovia sostituisca gli aerei anche perché gli aerei sono un elemento inquinante della nostra atmosfera! Ma per i lunghi viaggi gli aerei resteranno pur sempre l’unico mezzo. Lei sa che le frecce che passeranno sulla linea di Alta Capacità/Alta Velocità finiranno a Tessera e quindi uno se vogliamo pensarla così partirà dalla stazioncina di Schio e potrà andare a New York…

Amen, sindaco Video intervista esclusiva a Variati sulla Tac/ Tav: strada ardua ma “ferrata” per Vicenza, la piccola grande bellezza

[ Lavoro ]

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Lavoratori che diventano “merce”: i dati ragionati

I dati diffusi “ufficialmente”sul mondo del lavoro sono una fotografia parziale della realtà per come vengono diffusi. Sono solo dettagli di una realtà ben più complessa di quella che ci viene mostrata e che proviamo a ricostruire. Un esempio: in aree industrializzate come il Nord-Est il saldo tra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato ha un segno negativo

[ Giorgio Langella ]

S

i viene a sapere dall’ISTAT che l’occupazione stimata è cresciuta e che la disoccupazione (anch’essa stimata) è calata. Questo serve per confermare la “bontà” delle “riforme” del governo Renzi. Ma non si spiega, ad esempio, che il margine di errore sulla stima potrebbe essere ben più elevato di quello 0,1% di crescita che fa gridare al miracolo (e che, quindi, il calo della disoccupazione potrebbe anche essere più basso o non esserci affatto). Si comparano i dati rispetto alle stime dell’anno prima che sono cambiate, in maniera consistente, rispetto a quelle di qualche mese fa. Numeri diversi che, guarda caso, fanno sì che l’aumento degli occupati in un anno risulti maggiore rispetto a quello che si calcola guardando le stime (consolidate) delle statistiche

rilasciate precedentemente (tabella 1).

Sempre sul fronte occupazionale, i recentissimi dati di Eurostat fotografano “l’anomalia” italiana che aggrava in maniera drammatica la situazione. Nel secondo trimestre del 2015, ai circa 3,1 milioni di disoccupati si devono aggiungere 3,3 milioni di “sfiduciati”. Di cittadini, cioè, che sarebbero pronti a lavorare (e lo vorrebbero fare) ma che, non trovando occupazione da tempo, si sono rassegnati a non cercare neanche più un lavoro. Queste persone (si! sono persone, vite, intelligenze e non numeri) rappresentano il 13% della forza lavoro. Una percentuale altissima, la più alta tra i paesi europei, pari a oltre tre volte la media (3,7%) dei 28 stati che fanno parte della UE. Per fare un confronto con altri paesi europei, in Germania gli “sfiduciati” sono l’1,2% della forza lavoro, in Francia il 2,4%, in Spagna il 3,9%(2).

In Italia, la crescita degli “sfiduciati” è

Dati pubblicati in gennaio 2015 Forza lavoro

Occupati

Dati pubblicati in agosto 2015 Forza lavoro

Occupati

stata, negli ultimi tre anni, di circa mezzo milione di persone. E poi, i padroni, ci parlano di “produttività” e di necessità di doverla aumentare, quando è evidente che il problema è la mancanza di lavoro. Quel lavoro che i “capitani coraggiosi”, i “bravi imprenditori” nostrani non hanno esitato a delocalizzare. Hanno esportato sfruttamento e importato disoccupazione per ottenere maggiori profitti.

L’INPS ci fa sapere che da gennaio ad agosto del 2015 ci sono stati 317.008 nuovi rapporti di lavoro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le tabelle sono disponibili nella pubblicazione “Osservatorio sul Precariato (Dati sui nuovi rapporti di lavoro, Report mensile gennaio-agosto 2015)” di inizio ottobre. Una nota spiega che, “a partire dal report di giugno 2015 il campo di osservazione è riferito esclusivamente ai lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli) ed ai lavoratori degli Enti pubblici economici” e che “pertanto, i dati non sono comparabili con quelli pubblicati nei report dei mesi precedenti”. Il dato positivo delle nuove assunzioni viene utilizzato dal governo per evidenziare la bontà dei provvedimenti adottati, a partire dal “jobs act”. La propaganda della crescita ormai intrapresa diventa assillante.

A leggere meglio i dati, però, l’entusiasmo dovrebbe scemare. Le assunzioni a tempo indeterminato (che, è bene ricordarlo, sono relative a posti occupati da lavoratori che possono essere licenziati in qualsiasi momento e senza giustificato motivo grazie alla cancellazione, di fatto, dell’articolo 18) sono, nei primi otto mesi dell’anno, 1.164.866 con una variazione rispetto Dati pubblicati in settembre 2015 Forza lavoro

Occupati

Luglio 2014

25.497.000

22.419.000

25.534.000

22.243.000

25.554.000

22.275.000

Agosto 2014

25.574.000

22.394.000

25.493.000

22.285.000

25.464.000

22.241.000

(1) Nella tabella vengono messi a confronto i dati di luglio e agosto 2014 relativi alla forza lavoro e all’occupazione pubblicati da ISTAT in periodi diversi dai quali si può rilevare la diminuzione degli occupati stimati in agosto 2015 (-176.000 per luglio e -105.000 per agosto 2014) e settembre 2015 (-144.000 per luglio e -153.000 per agosto 2014)

[ Lavoro ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

allo stesso periodo dell’anno precedente di 299.375 unità. Le cessazioni a tempo indeterminato sono state 1.073.203. Il saldo dei posti a tempo indeterminato è, quindi, di 91.663 unità.

Questo significa che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro si riferisce a contratti a termine (2.288.543 assunzioni e 1.823.135 cessazioni) e di apprendisti (145.299 assunzioni e 101.512 cessazioni). Anche se il lavoro a tempo indeterminato non lo è più dal momento che si può essere licenziati a discrezione del “datore di lavoro”, quella che la propaganda passa come crescita del lavoro stabile è solamente un annuncio, una promessa che non viene confermata dalla realtà. Tanto più in aree industrializzate come il Nord-Est, dove il saldo tra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato ha un segno negativo (tabella 3). A questo proposito si può

evidenziare come, nei primi otto mesi del 2015, il totale delle assunzioni a tempo indeterminato nel settore manifatturieroestrattivo-energetico risulta essere di 223.748 unità, pari al 19,21% delle assunzioni totali (le cessazioni suddivise per settore di attività non sono pubblicate impedendo il calcolo del saldo) confermando la sofferenza nella quale versa la produzione industriale e manifatturiera nel nostro paese.

Nell’interpretazione dei dati è da tenere

13

presente anche una nota a margine di ogni tabella proposta da INPS, che ricorda come più rapporti di lavoro attivati o cessati nel periodo possono essere riferiti a uno stesso lavoratore. I numeri dei nuovi contratti di lavoro (e la differenza tra assunzioni e cessazioni), quindi, non sono rapportabili al numero di persone che lavorano ma può essere (e plausibilmente lo è) inferiore.

Un dato, però, non viene preso in considerazione ed è quello relativo al totale della popolazione in età lavorativa. In riferimento a questa si dovrebbero fare considerazioni serie per verificare se le nuove assunzioni coprono o meno i nuovi ingressi nella potenziale forza lavoro totale. Qualche dato al quale riferirsi potrebbe essere attinto dalle statistiche ISTAT (anche se, come si è visto, i dati storici forniti cambiano a seconda della data di pubblicazione) relative alla forza lavoro considerata come somma della stima degli occupati e quella dei disoccupati ma che non corrisponde al totale della popolazione potenzialmente attiva con età compresa tra 15 e 64 anni (non sono comprese le persone che pur volendo lavorare non risultano disoccupati perché sfiduciati). Nell’ultima pubblicazione ISTAT (30 settembre 2015) la forza lavoro di agosto 2014 viene stimata in 25.464.000 unità, mentre la stima di agosto 2015 risulta essere 25.627.000 unità con un incremento di 163.000 unità (comunque molto superiore al saldo dovuto alle cessazioni sottratte alle assunzioni a tempo indeterminato). La qualità del lavoro può essere immaginata prendendo in considerazione altri dati forniti da INPS. I dati relativi ai “nuovi rapporti di lavoro” a tempo indeterminato attivati tra gennaio e

popolazione attiva (in migliaia)

sfiduciati (in %)

sfiduciati (in migliaia)

disoccupati (in migliaia)

sfiduc. + disocc. (in migliaia)

UE-28

238.149

3,7

8.812

22.897

31.709

UE-19 zona euro

157.933

4,2

6.633

19.602

26.235

Italia

25.080

13

3.260

3.095

6.355

Finlandia

2.690

4,9

132

294

436

Portogallo

4.949

4,7

233

613

846

Irlanda

2.104

4,1

86

210

296

Spagna

22.866

3,9

892

5.143

6.035

Olanda

8.728

3,8

332

607

939

Austria

4.301

3,4

146

253

399

Francia

29.072

2,4

698

2.931

3.629

Regno Unito

31.490

2,1

661

1.754

2.415

Grecia

4.737

2,1

99

1.173

1.272

Belgio

4.876

1,7

83

410

493

Germania

40.883

1,2

491

1.944

2.435

Danimarca

2.850

1,1

31

176

207

(2) Nella tabella vengono riportate le percentuali di persone che, pur non risultando tra i disoccupati e pur volendo lavorare, non lavorano e hanno rinunciato a cercarlo in quanto “sfiduciati” rispetto al totale della popolazione attiva pubblicate da Eurostat a ottobre 2015 e riferiti al secondo trimestre 2015 (vengono riportati i dati dei principali paesi europei)

[ Lavoro ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

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rapporti di lavoro tempo indeterminato Regione Piemonte

assunzioni

cessazioni

saldo (ass – cess)

63.959

62.580

1.379

Valle d’Aosta

2.201

1.881

320

Liguria

24.742

22.671

2.071

Lombardia

227.815

221.740

6.075

Trentino Alto Adige

16.830

17.520

-690

Veneto

84.061

90.509

-6.448

Friuli Venezia Giulia

17.846

18.386

-540

Emilia Romagna

77.465

79.703

-2.238

Toscana

75.395

71.326

4.069

Umbria

13.417

12.847

570

Marche

24.044

25.394

-1.350

Lazio

134.956

108.252

26.704

Abruzzo

29.852

24.603

5.249

Molise

6.063

4.838

1.225

Campania

132.648

108.705

23.943

Puglia

76.330

67.954

8.376

Basilicata

12.122

8.616

3.506

Calabria

30.571

25.316

5.255

Sicilia

87.705

77.626

10.079

Sardegna

25.925

21.642

4.283

919

1.094

-175

NORD-OVEST

318.717

308.872

9.845

NORD-EST

196.202

206.118

-9.916

Estero e non localizzabile Area geografica

CENTRO

247.812

217.819

29.993

SUD

287.586

240.032

47.554

ISOLE

113.630

99.268

14.362

919

1.094

-175

ESTERO E NON LOCALIZZABILE

(3) Dalle tabelle fornite da INPS (periodo gennaio-agosto 2015 per regione) sui nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato (in neretto le regioni con saldo negativo)

agosto 2015 (sono 1.164.866) suddivisi per tipologia oraria rivelano che il tempo pieno (pari a 694.268) corrisponde a poco meno del 60% del totale, mentre il lavoro part-time ne rappresenta il 40,39% (470.598 attivazioni). L’alta percentuale di part-time (praticamente costante rispetto agli anni precedenti), unita alla ormai cronica disoccupazione e all’altissimo numero di “sfiduciati”, dimostra che esiste una carenza di lavoro diventata ormai endemica e strutturale. Sempre riguardo ai nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato attivati nei primi otto mesi del 2015, si prende atto che la “retribuzione media teorica lorda mensile” è di 1.878, in diminuzione di 24 (pari a -1,26%) euro rispetto allo stesso periodo del 2014.

Sul lavoro, la propaganda governativa diffonde i dati in maniera disaggregata.

Numeri apparentemente certi, assoluti, “asettici”. Non vengono proposti, né tanto meno analizzati, correlandoli con altre informazioni (che, spesso, non vengono neppure fornite) relative alle condizioni

di vita di chi vive del proprio lavoro. La questione salariale, la sicurezza del e nel lavoro, la precarietà, i turni e gli orari di lavoro, l’esistenza stessa dei sindacati e della democrazia nei luoghi di lavoro, sono aspetti che solitamente vengono trattati isolatamente senza fornire quella “visione di insieme” che dovrebbero avere. Diventano strumenti di ricatto che vengono utilizzati per “dividere” i lavoratori e per “concordare” (ovvero imporre) tagli di diritti e valori. Sulla precarietà “lorsignori” hanno trovato la soluzione per farla diminuire: le hanno cambiato nome. Oggi, la precarietà è diventata “contratto di lavoro stabile a tutele crescenti”. Un lavoro a tempo indeterminato solo per il fatto che si sa che potrebbe finire in ogni momento, visto che il licenziamento sarà a discrezione del padrone senza possibilità di reintegro. Al massimo si otterrà un indennizzo monetario umiliante e indecente.

Il nuovo fronte della precarietà è rappresentato dall’utilizzo dei “voucher”. Sono “buoni lavoro orari” del valore di 10 euro

(7,50 al lavoratore; 1,30 contributi INPS – gestione separata; 0,70 assicurazione INAIL; 0,50 per gestione di servizio INPS) per il lavoro cosiddetto “accessorio” per un massimo di 7.000 euro netti (9.333 euro lordi) all’anno per lavoratore. Questo limite è stato aumentato, rispetto al precedente di 5.050 euro, con i decreti attuativi del “jobs act” approvati dal governo Renzi il 24 dicembre 2014. Tra gennaio e agosto 2015, i voucher di valore nominale da 10 euro sono stati 71.116.039 (nello stesso periodo del 2014 furono 41.517.090 e 23.920.346 nel 2013).

[ Lavoro ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

costo del lavoro (orario medio in euro)

salario (orario medio in euro)

UE-28

24,6

18,6

UE-19 zona euro

29,2

21,6

Danimarca

40,3

35

Belgio

39

28,2

Francia

34,6

23,1

Olanda

34

25,5

Finlandia

32,3

35,0

Austria

31,5

23,2

Germania

31,4

24,4

Irlanda

29,8

25,8

Italia

28,3

20,3

Regno Unito

22,3

18,6

Spagna

21,3

15,7

Grecia

14,6

11,4 (dato del 2013)

Portogallo

13,1

10,4

(4) La tabella riporta i dati pubblicati da Eurostat a luglio 2015 e riferiti al costo del lavoro totale e ai salari del 2014 nei principali paesi europei.

Un incremento impressionante (+71,7% rispetto al 2014 e +197,3% rispetto al 2013) che evidenzia come i voucher siano diventati una nuova e generalizzata forma di lavoro che risulta difficile considerare occasionale, discontinuo, intermittente o accessorio. È la nuova frontiera del precariato e dello sfruttamento legalizzato.

Un’ulteriore prova che, nella società nella quale ci costringono a vivere, il lavoro non è più quel diritto universale garantito dalla Costituzione che permette ai lavoratori di riscattarsi da una condizione di servile sudditanza per partecipare “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

I lavoratori, in questi ultimi decenni, sono sempre più trasformati in merce. Merce che viene “acquistata” a un prezzo sempre minore. Da un articolo di Alberto Magnani dal titolo esplicito “Italia, salari in deflazione. Perché siamo (quasi) gli unici in Europa a tagliare gli stipendi” pubblicato su “Il Sole24Ore” del 23 settembre 2015.

In questo articolo, che riprende le statistiche del Labour Cost Index dell’Eurostat, si evidenzia come, nel secondo trimestre del 2015, in Italia si sia verificata “una flessione generale dello 0,4% nei costi del lavoro che si riflette in un calo dell’1,1% nei fattori diversi dalla retribuzione e un taglio dello 0,2% in busta paga”. Una diminuzione dei salari che accomuna l’Italia a Cipro e Grecia (dove il calo è più alto, rispettivamente di -1,2% e -2,9%), in controtendenza rispetto al resto d’Europa dove si registrano, invece, aumenti anche consistenti (costo del lavoro totale: +1,6% in Eurozona, +1,9% nell’Unione Europea, +3,1% nel Regno Unito, +3,1% in Germania). Questi dati rivelano come il lavoro nel

nostro paese sia sempre peggio retribuito e come non sia veritiera la “leggenda metropolitana” per la quale il costo del lavoro italiano sia il più alto a livello europeo (cosa, peraltro, smentita dalle statistiche europee pubblicate negli ultimi anni (tabella 4)).

La progressiva trasformazione dei lavoratori in “merce” viene confermata dalla situazione della sicurezza nel lavoro e dal fatto che le informazioni al riguardo non vengono diffuse in maniera adeguata in quanto “scomode”. Ma questo argomento merita un nuovo, prossimo capitolo.

Oggi, comunque la si guardi, le condizioni di chi vive del proprio lavoro sono sostanzialmente peggiorate. Esiste, diffusa, la piaga del caporalato che viene tollerato ed è diventato una “normalità” che si trasforma in indignazione temporanea solo di fronte ai casi di morte dei lavoratori. Il lavoro nero non viene contrastato come dovrebbe ma diventa, proprio grazie alla cancellazione dei diritti dei lavoratori “in regola” e alle varie agevolazioni alle imprese, una rapporto normale di lavoro. Mentre la figura del padrone non è più individuabile in persone in carne ed ossa, ma in consigli di amministrazione che rispondono a pacchetti azionari incorporei e senza volto, si teorizza ormai da troppo tempo l’idea della fine della classe operaia, dell’estinzione stessa dell’operaio, tanto che questa menzogna viene assunta come realtà assoluta e inconfutabile. Le conseguenze sono la ghettizzazione, l’isolamento e la solitudine di chi è costretto a lavorare per vivere e la progressiva rinuncia a lottare per difendere (ed estendere) i propri diritti contrastando una classe padronale diventata un’entità astratta difficile persino da individuare.

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Ormai si arriva a scrivere che “gli impianti sono pieni di ingegneri e operai qualificati che di tutto hanno bisogno tranne che di un sindacato-commodity” (cfr. articolo firmato da Dario Di Vico intitolato “Più tutele in cambio di produttività. Benvenuti nella società post-sindacale su ”Il Corriere della Sera di domenica 27 settembre 2015, pagina 25). Si teorizza la fine del conflitto di classe e dello sfruttamento perché “siamo tutti sulla stessa barca” (invece esiste e lo stanno vincendo “lorpadroni”). Si pretende che il sindacato difenda l’impresa e fornisca qualche servizio a lavoratori e pensionati fuori dai cancelli delle fabbriche e dalle porte degli uffici dove è necessario lavorare senza protestare, senza conflitto, senza “creare problemi”. Un sindacato possibilmente unico e ancora più assente (e quindi inutile) rispetto a quelli di oggi. Sul fronte sindacale e del lavoro, le ultime notizie da governo e confindustria ci raccontano di un’ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori. Confindustria dichiara impossibile qualsiasi trattativa con i sindacati per i contratti nazionali. Renzi si adegua e si dice pronto alla riforma dei contratti proponendo la sostituzione dei contratti collettivi nazionali con il salario minimo legale. Tutto si sposterà a livello territoriale o aziendale dove i rapporti di forza, già nazionalmente a favore dei padroni, saranno sempre più penalizzanti per i lavoratori. Inoltre da più parti vicine o interne al governo si parla di regole che limitino il diritto di sciopero. Un attacco brutale e definitivo alle conquiste del movimento dei lavoratori, anche quelle più elementari. Se si associano questo azzeramento annunciato (ma, di fatto, in essere da tempo) delle organizzazioni dei lavoratori, lo smantellamento della Costituzione in atto, le dichiarazioni ultimative e ricattatorie sempre più frequenti contro l’informazione che si considera “non allineata” (emblematico e grave è l’attacco a Rai3 di Michele Anzaldi, deputato del PD e membro della commissione di vigilanza Rai, che in un’intervista al Corriere della Sera del 29 settembre 2015 afferma: “C’è un problema con Rai3 e con il Tg3, sì. Ed è un problema grande, ufficiale. Purtroppo non hanno seguito il percorso del Partito democratico: non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier. Niente, non se ne sono proprio accorti! E così il Pd viene regolarmente maltrattato e l’attività del governo criticata come nemmeno ai tempi di Berlusconi”), la nuova legge elettorale persino peggiorativa rispetto al “porcellum”, ci si trova di fronte al compimento del “Piano di rinascita democratica” della P2 di Licio Gelli.

Una situazione tutt’altro che positiva.

[ Commercio ]

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Vending: a Vicenza inciampiamo nel “tramezzino scaduto” ma ecco la mappa dei distributori Dopo il boom degli anni passati il mercato dei distributori automatici è in fase calante ma cerca di risollevarsi con la vicinanza al cliente e il servizio h24

[ Pietro Rossi ]

L

a nostra storia parte da un tramezzino.

Preso di notte, presi dalla fame. Ultima spiaggia, un distributore automatico a San Felice, targato Italcaffé, piccola azienda vicentina che si occupa, assieme a molte altre di distribuzione automatica.

Il primo pensiero a quello che è successo, in apparenza niente di grave, è stato “siamo in Italia”. Ma siamo anche giornalisti e la curiosità ci ha portato a cercare cosa c’è sotto a quel tramezzino risultato scaduto da due giorni, conservato a una temperatura di +8 gradi invece di di +4°, indicata come sicura dal produttore dei tramezzini, e che ti mangia i centesimi di resto.

Niente di grave, dicevamo. La Italcaffé ci ha risposto che c’è stato un disguido perché l’addetto ai controlli ha saltato un turno per motivi di salute. Sulla temperatura e sul resto non abbiamo invece avuto modo di approfondire per cui guardate le foto in questo articolo e seguite i consigli delle didascalie prima di decidere dove e come mangiare in strada. Fatto sta che, dai dati del Comune di Vicenza, si dipinge una galassia di piccole aziende che distribuiscono cibo e bevande attraverso i distributori automatici. Il settore

ha avuto infatti un boom negli anni scorsi ma ultimamente risente di molto la crisi. Gli ultimi dati, a livello nazionale, danno infatti una flessione nel settore dei distributori automatici, che l’anno scorso ha accusato un taglio dei consumi di circa l’8%. Lo stesso numero di macchine è in calo, per la prima volta sotto ai 2,4 milioni. Se a questo si aggiunge il fatto che nei mesi scorsi il settore è stato interessato da un provvedimento legislativo che ha fatto aumentare i costi delle aziende distributrici, allora quel semplice tramezzino non riveste più l’interesse di un caso isolato, ma diventa una faccenda economica. E può avere un suo perché: la corsa al risparmio produce approssimazione. Eppure anche in questo comparto ci sono delle eccellenze, come i nuovi distributori “bio” che stanno provando a rilanciare il settore ma nel nostro Comune sono quasi del tutto assenti. L’unica che siamo riusciti a trovare nella selva di distributori automatici cittadini si chiama “Sano e Bio” e offre miscele di caffè biologiche e certificate, usando contenitori riciclabili.

Tornando al tramezzino e a quello che un po’ in senso dispregiativo viene chiamato “Junk Food”, cibo spazzatura, si può dire che, assieme al caffè “della macchinetta”, è un po’ il simbolo del “logorio della vita moderna”. Niente orari, una corsa frenetica per

riempire i meccanismi della giornata e una pausa permessa appena: quel liquido nero scuro al bar oppure alla macchinetta automatica che costa molto meno, praticamente la metà dell’euro dell’espresso, e che un esercito di lavoratori si concede più di una volta ogni santo giorno. Come lo snack o il cibo confezionato nella plastica, spesso sostituto del pranzo. Con buona pace della sana alimentazione. Dietro tutto questo c’è un mercato che ha conosciuto negli ultimi due anni una forte espansione e che adesso è saturo. A causa della crisi e delle licenze ottenute facilmente dal Comune per installare distributori automatici e veri e propri punti di ristoro meccanizzato. Ah, per inciso, pure a Palazzo Trissino ci sono tre macchinette che dispensano cibi e bevande, caldi e freddi.

La storia dei distributori automatici è ormai antichità industriale. Correva l’anno 1953 quando a Milano vengono installate le prime dieci macchinette. Oggi sono circa due milioni e mezzo e creano un giro d’affari di 2,6 miliardi di fatturato. È un marasma, fatto di ditte specializzate, alcune con distribuzione su scala più larga, interprovinciale e interregionale, altri semplici padroncini.

L’economia è frenetica ma comincia a dare segni di cedimento a causa di un calo dei

[ Commercio ]

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Il point Italcaffè in corso Ss. Felice e Fortunato

consumi, della stretta creditizia e dell’aumento dell’aliquota Iva dal 4 al 10%, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, che ha causato anche un aumento dei prezzi.

Il settore si chiama “Vending”, termine tecnico con cui si indica tutta l’attività di vendita e somministrazione di prodotti alimentari e non, per mezzo di distributore automatico. In città le ditte che offrono il servizio, in aziende, uffici e luoghi pubblici, comprese le scuole sono 102 ma i punti di distribuzione sono molti di più perché se circa il 50% di queste aziende operano su una sola ubicazione, l’altra metà ha segnato “varie” nell’elenco che l’ufficio Commercio Fisso del Comune di Vicenza ci ha fornito. La collocazione di tutte le installazioni, spiega l’ufficio “non è facilmente recuperabile perché le ditte hanno l’obbligo di comunicare le variazioni soltanto una volta l’anno pertanto non è possibile avere la situazione aggiornata”. Poco male, le “vending machine” viaggiano, si

cambia gestore se il prodotto non piace, se costa meno e se per caso non risulta essere soddisfacente. Gli unici punti fissi son sei, gestiti da quattro ditte attive che vengono classificate come “esercizi di vicinato”. Si tratta di punti vendita automatizzati (il servizio viene fornito con apparecchi/distributori automatici), anfratti aperti e anonimi nel ventre della città: in Viale Fiume 1 e Via Lamarmora 13, in Via Vaccari 142 e Viale Trieste 135, in Contrà Vittorio Veneto 8 e in Corso SS. Felice e Fortunato 259.

I dati economici vicentini non ci sono ma a livello macro, secondo Condida, l’unica associazione di categoria che rappresenta i diversi comparti merceologici dell’intera filiera della Distribuzione Automatica di alimenti e bevande, la flessione del mercato nel 2004 si è fatta sentire. Altra nota dolente per il comparto è la prima verifica del Ministero della Salute sui distributori automatici. Le linee di indirizzo del Governo hanno sconsigliato l’installazione delle vending machine a scuola perché la maggior parte degli alimenti e bevande sono ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale che favoriscono malattie come sovrappeso e obesità nei bambini. Il rapporto ministeriale rivela che i distributori sono presenti nel 10% degli istituti scolastici e solo il 3% prevede l’erogazione di alimenti e bevande a basso contenuto energetico.

Eppure, con una visione più globale e oculata e una regolamentazione più appropriata, il mercato potrebbe anche dare dei frutti. L’ultimo convegno di Trade Lab, società di consulenza internazionale, tenutosi a Milano la scorsa estate, ha evidenziato che il mercato italiano dei consumi fuori casa è ormai il terzo in Europa, dopo la Spagna (dove rappresenta il 50% di tutti i consumi alimentari) e il Regno Unito

Privilegiate punti di distribuzione in cui ci sia un recapito telefonico per reclami su resi e disservizi

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Controllate la data di consumazione consigliata come in ogni altro negozio

(43%). In questo contesto potrebbe rientrare anche il settore vending ma, appunto, con determinate caratteristiche. Un esempio che sta avendo successo, per ora nella zona di Bologna e Modena è quello delle “bio machine”, distributori automatici di snack 100% biologici che, secondo un’altra ricerca, piacciono a 8 italiani su 10. E dire che eravamo partiti da un tramezzino scaduto ma forse, prima che tutte queste aziende vicentine chiudano i battenti – e si contano quasi una decina quelle depennate dalla lista del Comune – forse sarebbe meglio che seguissero certe buone pratiche magari cambiando modello di business.

Sempre che ci sia la volotà di farlo.

L’anomalia tipo segnalata in Corso SS. Felice e Fortnato: “fame” giusta a Vicenza e non solo di facili guadagni

Prima di consumare controllate la tempertura di conservazione

[ Economia e finanza ]

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Lacrime Popolari

BPVi e Veneto Banca, ascesa e declino delle provinciali che volevano conquistare il mondo [ Pietro Rossi ]

Q

uando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Ma questa volta il gioco potrebbe essere troppo duro. E nel caso delle due banche, la Popolare di Vicenza e la trevigiana Veneto Banca, travolte da una crisi annunciata, i destini sono talmente simmetrici da poter definire un quadro di potere economico condotto da due provinciali che erano eccellenti e che adesso si trovano a piangere sul latte versato. E con loro centinaia di migliaia di soci-azionisti che hanno perso i loro investimenti e che ora sono di nuovo corteggiati per aiutare gli istituti ad aumentare il capitale e cercare la salvezza in borsa. Basteranno i due amministratori delegati “di ferro” – Francesco Iorio in Via Battaglione Framarin e Cristiano Carrus a Montebelluna a far ritornare gli istituti sulla retta via dopo la mala-gestio del passato?

A seguito della presentazione dei rispettivi piani industriali, avvenuta a poche settimane di distanza (BPVi a fine settembre e Veneto Banca a metà ottobre), è lapalissiano che ora tutto si gioca sulla trasformazione in Spa e sull’entrata in Borsa. Una manovra che per entrambe si concluderà la prossima primavera e che prevede l’obbligata ricapitalizzazione del denaro andato in fumo con il deprezzamento delle azioni: 1,5 miliardi di euro per i vicentini, e un miliardo di euro per l’Istituto di Montebelluna. Una differenza notevole, vista la forte somiglianza tra le due banche, che però può ricondursi a fattori diversi. Innanzitutto la Popolare di Vicenza è più grande e meno giovane di Veneto Banca: secondo l’ultima classifica (gennaio 2015) la prima ha un patrimonio di 44.286.843.000 euro, mentre la seconda si ferma a 35.916.486.000. E poi c’è il fatto che i segnali di disagio nell’istituto di Montebelluna si sono palesati prima che in Via Battaglione Framarin, tra il 2012 e il 2013.

A cavallo di quegli anni sono iniziate le prime ispezioni di Banca d’Italia e qualche analista malizioso suggerisce che gli ispettori di Ignazio Visco siano stati molto più distratti, a quel tempo, negli uffici della BPVi e più accorti in quelli di Montebelluna. Fatto sta che già due anni fa,

Francesco Iorio , AD della Banca Popoalre di Vicenza

al termine dei primi controlli, Veneto Banca ha avviato un piano straordinario da 250 milioni su richiesta di Banca d’Italia: vendite di crediti in sofferenza, di immobili e di asset non strategici. Alla base, conti in negativo per 40 milioni di euro nel bilancio 2012.

In Via Battaglione Framarin, invece, relativamente allo stesso periodo, si festeggiava l’utile netto di Gruppo di 100,3 milioni di euro (+6,5% rispetto al 2011). Lì, la prima ispezione di Bankitalia aveva sollevato solo qualche appunto, come la qualità del credito inferiore rispetto al 2011, crediti deteriorati lordi in aumento di oltre il 21% e poco altro. A gennaio, dopo la ripassata della Vigilanza, Veneto Banca ne esce con le ossa rotte viene pure fuori, per la prima volta, che l’ampliamento dell’azionariato è stato sostenuto anche attraverso la concessione di finanziamenti finalizzati all’acquisto di azioni proprie. A causa di questo “incidente” nel percorso a Montebelluna sono corsi ai ripari più velocemente della Popolare di Vicenza che in quell’anno era ancora disposta a fare mercato, con ipotesi di acquisti e con una raccolta di più di un miliardo di euro, grazie a quei soci che ora stanno piangendo.

L’anno terribile è però il 2014. Arriva il bilancio consolidato, in primavera, con i

dati del 2013. BPVi registra una perdita di 28 milioni di euro, Veneto Banca un risultato netto negativo per 96 milioni di euro (seconda perdita consecutiva per la Banca della Marca Trevigiana).

Il motivetto giustificativo, per entrambe è lo stesso: “il rosso è dovuto ad una politica prudenziale e rigorosa sugli accantonamenti”. In realtà, il bubbone sta per scoppiare e le due banche sembrano sempre di più una simile all’altra. Nel 2015 vengono così a galla tutte le inchieste che durano da mesi. Le ispezioni si susseguono: Bce, Banca d’Italia (più Il Piano Industriale della BPVi, lo presenta l’AD Francesco Iorio

Una fase della perquisizione della GdF alla BPVI

[ Economia e finanza ]

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Cristiano Carrus, AD Veneto Banca

severa questa volta), Consob e Guardia Finanza che visita gli uffici di Via Battaglione Framarin. I passivi sono ormai scontati: una prima semestrale con 213 milioni di buco per Veneto Banca, dopo il rosso da 968 milioni del 2014; 1 miliardo di perdite nella semestrale 2015 e l’altrettanto pesante segno meno su 758 milioni del bilancio 2014.

La Bce vuole un assestamento del bilancio e le banche devono tornare al capitale “reale”. La forbice sul valore delle azioni è praticamente uguale per tutti e due gli istituti: BPVi procede con un taglio del 23% e il titolo passa dai 62,5 euro fissati nel 2014 a 48 euro; Veneto Banca riduce invece il valore a 30,5, rispetto ai precedenti 39,5 euro, 23,8% in meno. Ci sono poi le indagini per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza sia per i vecchi vertici di Veneto Banca - Vincenzo Consoli, ex direttore generale e Flavio Trinca, ex-presidente - sia per i piani alti della BPVi - l’ex amministratore delegato Samuele Sorato e il presidente Gianni Zonin – e assieme a loro altri amministratori. Le inchieste mostrano successivamente un altro fat-

Pietro Rossi davanti alla sede centrale di Veneto Banca a Montebelluna

to che fa gridare allo scandalo, anche se da tempo la faccenda era sotto agli occhi di tutti. Si tratta dell’aumento di capitale primario ottenuto, a quanto sembra, con finanziamenti in cambio della sottoscrizioni di azioni. Nel caso della banca berica si parla di 974 milioni di euro, per Veneto Banca di 110 milioni di euro, anche se lo stesso Carrus – nel corso della presentazione del piano industriale - ha annunciato che i conti non sono ancora finiti e che quella cifra è destinata ad aumentare, lasciando intendere che potrebbe essere anche non di poco. E poi, infine e come se non bastasse, c’è l’altra incredibile analogia.

Quella dei “soci privilegiati”. Secondo gli inquirenti, infatti, gli indagati in Popolare Vicentina avrebbero firmato, nei confronti di alcuni azionisti, l’impegno scritto a riacquistare le azioni. Stesso trattamento che Veneto Banca – secondo quanto ha riferito il quotidiano “La Stampa” in un articolo di qualche settimana fa – avrebbe riservato ad alcuni clienti “Vip” attraverso un meccanismo di risarcimento per rimborsare il socio di quanto perso con la svalutazione.

In questa tempesta ancora in corso, che nel frattempo vede il nascere di comitati di soci-azionisti da entrambi le parti che denunciano di essere stati rovinati e pretendono la restituzione dei soldi persi con la svalutazione, nelle due banche cominciano a saltare le teste. A giugno 2015 “l’esterno” Francesco Iorio – proveniente da UBI Banca - prende il posto di Samuele Sorato che il 12 maggio aveva rassegnato le dimissioni dalle cariche di amministratore delegato della Popolare mentre a fine luglio in Veneto Banca finisce l’era di Vincenzo Consoli con l’entrata di Cristiano Carrus, già vicedirettore generale vicario, nel ruolo di amministratore delegato e direttore generale.

Iorio e Carrus sono i nuovi “traghettato-

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ri” che fissano le assemblee dei soci tra dicembre 2015 e gennaio del prossimo anno e l’ingresso in borsa tra febbraio e maggio del 2016. I due manager si presentano con idee chiare e con un programma che sembra privo di fronzoli, sostanzialmente uguale: taglio dei costi, riduzione del personale e delle filiali e pulizia di tutte le attività che non siano nel core-business delle banche: essere un istituto commerciale territoriale. Tutto questo per approdare in borsa con la facciata (ri)pulita e affrontare il mercato. A questo proposito entrambi fanno appello ai soci-azionisti per ottenere ancora fiducia, appello che, dopo la scornata delle azioni, sembra quasi disperato. Tanto più che entrare in Borsa significa sì sbloccare le azioni, ma anche ridurre il loro valore di un bel po’ (una forbice ipotizzabile tra i 10 e i 20 euro). Missione impossibile? Staremo a vedere, ma intanto c’è il cappello di garanzia sull’aumento di capitale da parte dei due colossi bancari italiani: Unicredit per la Popolare di Vicenza e Imi Gruppo Intesa per Veneto Banca. Un’altra similitudine che però suggerisce, anche alla luce del fatto che una fusione tra le venete è stata accantonata, una nuova suddivisione dei poteri, nonostante le smentite dei due istituti maggiori di avere appetito sulle Popolari.

Ed è proprio il potere che, a conti fatti, rende tanto simili Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Quel potere esercitato partendo dalla ricca e fintamente perbenista Vicenza e dalla ricca e gaudiosa Marca Trevigiana, patria del Governatore del Veneto Luca Zaia. Un potere che è partito dalle ambizioni del nord est in tempi di vacche grasse, quando a tirare le fila c’era il sistema Galan e, sopra, quello berlusconiano. Un ventennio in cui il Veneto, attraverso la finanza, pensava di replicare le gesta dell’antica repubblica di Venezia, partendo alla conquista di sportelli e di terreno finanziario. Veneto Banca che entra in Generali; Popolare di Vicenza in Cattolica Assicurazioni e Palladio Finanziaria. Banchieri che si dividevano il territorio e si erano illusi di trovare un posto accanto alle “big”, e che più di unione parlavano di confini se non di territorio da difendere. Infine, il sogno si è dissolto come il potere, e il meccanismo che portava ad accantonamenti ridotti per mostrare un volto sano al posto delle perdite è evaporato. Se proprio si vuole trovare una morale, è quella solita: tra i due litiganti, le popolari che ora piangono, forse un terzo godrà.

Il Piano industriale di Veneto Banca, intervista al suo AD Cristiano Carrus

[ Economia 2.0 ]

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Davide Michielotto di BitcoinVeneto.it: “per adesso manca la cultura digitale, ma sarà boom e a breve organizzeremo dei meet-up mensili anche a Vicenza”.

Anche se gli istituti di credito e la stessa Banca d’Italia dicono che è una moneta pericolosa

Bitcoin: la moneta virtuale nel futuro dell’economia Veneta [ Pietro Rossi ]

A

Teolo, in provincia di Padova, a gennaio nascerà la prima pizzeria veneta dove il conto si pagherà anche in bitcoin, ovvero la moneta virtuale non controllata da una banca bensì gestita dal diretto proprietario, attraverso il suo smartphone o computer, in internet. Dopo aver pranzato al RistoPizzaGourmet Biga si potrà pagare con il proprio cellulare che leggendo un QR code invierà il denaro digitale dal “portafoglio” o wallett del cliente a quello della pizzeria. Una tecnologia che per ora è ancora sconosciuta alla massa ma che sta prendendo sempre più piede anche a nordest. E che presto, in tutto il Veneto, potremmo vedere anche sui taxi, la cui corsa si potrà pagare con tablet o cellulare.

Nella vicina Trieste, poche settimane fa, è arrivato il primo bancomat “bitcoin”, mentre la nostra regione è al secondo posto come numero di esercenti che usano la “criptomoneta”. A Vicenza, per adesso, sono solo in sei gli esercizi commerciali che la usano e, a sentire i diretti interessati, sembra che le transazioni siano veramente ridotte all’osso. Eppure, gli addetti ai lavori stanno aspettando un boom nel prossimo futuro. E nel frattempo i Bitcoin sono entrati in borsa: il New York Stock Exchange (NYSE), lo scorso maggio, ha creato un indice appositamente studiato per i bitcoin mentre la moneta virtuale ha già fatto la sua comparsa nell’indice Nasdaq dello stock exchange di Stoccolma, dove è stato approvato un ETN (Exchange Traded Note) basato sulla criptomoneta. Ma precisamente, che cos’è il Bitcoin?

La storia ricorda un po’ i racconti cyberpunk di William Gibson. Tutto ha inizio nel 2009 quando Satoshi Nakamoto, pseudonimo di uno sviluppatore tuttora sconosciuto,

mette in pratica la teoria di “criptomoneta”.

In sostanza, sviluppa un sistema peer to peer (scambio di informazioni tra due computer senza passare per un server centrale) che permette l’invio e la ricezione di valuta tra utenti, ma sotto il controllo dei cosidetti “miner” che verificano la correttezza delle transazioni. Il progetto si chiama Bitcoin (l’iniziale maiuscola è usata per il software che lo gestisce, mentre il minuscolo indica la moneta, abbreviata nelle transazioni come BTC) è open source, vale a dire aperto a tutti per lo sviluppo di applicazioni, e permette il trasferimento e il possesso pseudonimo (o quasi anonimo) della moneta virtuale, senza bisogno di server centrali o enti terzi a sovraintendere gli scambi.

I bitcoin si acquistano on line su siti come bitboat.net o Flash Bitcoin oppure di persona attraverso localbitcoins.com con valuta corrente ma anche attraverso vari metodi di pagamento come postepay.

Quando si comprano non si è tenuti a dichiararne l’acquisto ad alcun ente, mentre se si vendono bisogna dichiarare il guadagno maturato e, su quest’ultimo, bisogna naturalmente pagare le tasse.

La garanzia del sistema – nonostante alcuni episodi poco piacevoli che si sono verificati negli ultimi anni (vedi articolo a lato) - si basa su transazioni che sfruttano la crittografia, e cioè codici “celati” che possono essere resi in chiaro solo utilizzando una specifica chiave personale.

La moneta, essendo digitale, può essere conservata da chi possiede entrambe le “chiavi” nel telefonino, nel tablet, nel computer ma anche on line, sulla carta e addirittura su una Card di metallo: quella diventa la sua banca personale, accessibile con un codice d’accesso

unico, da conservare al sicuro e di cui fare copie di “sicurezza” o backup, perché in caso di smarrimento non si potrebbe più recuperare la somma presente nel conto. Attualmente la criptomoneta ha un valore di circa 220 euro, ma è molto difficile prevedere una quotazione stabile, perché la valuta è molto giovane e non ha una vera e propria regolazione perché basata sullo scambio tra vari utenti. Per fare un raffronto con la nostra pecunia si può dire che al momento transitano giornalmente circa 60 milioni di euro di valore per un totale di circa 275 mila BTC. Per questo, più che una forma di risparmio la moneta è una forma di investimento speculativo, viste le oscillazioni così ballerine.

Negli ultimi mesi il mondo della finanza, sempre alla ricerca di nuove emozioni, ha puntato gli occhi e non solo sul sistema Bitcoin. “È una commodity come l’oro”, ha sentenziato lo scorso settembre la Commodity Futures Trading Commission (Cftc) degli Stati Uniti, mentre i colossi finanziari Goldman Sachs e Barclays hanno già deciso di investire sulla “blockchain”, il cuore tecnologico di tutta l’architettura della criptomoneta. Si tratta di un sistema che monitora tutte le transazioni fatte con la valuta. Infatti, anche se l’utilizzatore dei bitcoin è a tutti gli effetti anonimo (di lui si conosce solo l’”indirizzo” che usa per le transazioni), ogni operazione è comunque assolutamente trasparente perché i dettagli di qualsiasi scambio sono resi pubblici su siti dedicati, come blockchain.info. Inoltre, chi conferma la transazione e ne certifica la validità

[ Economia 2.0 ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

Un autoconcessionario di Abano che accetta Bitcoin

guadagna una piccola commissione o “fee” in millesimi di bitcoin, contribuendo in questo modo anche a rendere sempre più sicuro il network. Questa transazione entra quindi in un sistema di informazioni in cui le “sentinelle” - i “miners” o minatori - computer che producono “materialmente” i bitcoin immessi nella rete P2P bitcoin verificano la correttezza di ogni singola operazione, rendendo praticamente impossibili eventuali frodi come ad esempio la doppia spesa degli stessi bitcoin.

“Questo potrebbe essere sicuramente un vantaggio per la nostra economia, visto che anche qui in Veneto uno dei problemi principali delle aziende è la riscossione

dei crediti”, spiega Davide Michielotto di BitcoinVeneto.it, organismo che si occupa della diffusione e dell’“alfabetizzazione” della moneta virtuale. Con la criptomoneta, infatti, i costi delle transazioni sono minimi e gli insoluti non sono possibili perché, una volta approvata la transazione dai “miners” - tempo pochi minuti – il pagamento è certificato. “Inoltre – aggiunge lo specialista - il meccanismo della blockchain rende possibile la visione di tutte le transazioni, quindi assicura una trasparenza che con la normale valuta non c’è”.

Secondo il parere di Mirko Nicolin, dello Studio Legale Nicolin & Partners – studio che ha adottato il bitcoin – l’uso di questo sistema dalle nostre parti è veramente ridotto all’osso: “Forniamo consulenza legale su questo sistema, ma per adesso le persone che ne fanno uso sono veramente poche”. Una questione di alfabetizzazione digitale, secondo Michielotto. “Come su altre cose, anche in questo campo paesi europei come la Germania sono più avanti di noi ma la comunità italiana si sta estendendo con una crescita costante e sul tema l’anno scorso abbiamo anche fatto due audizioni in Parlamento per sfatare le notizie negative”.

In Italia, già da alcuni anni, è attiva e opera la Bitcoin Fundation Italia, associazione che si occupa di favorire la diffusione di bitcoin e della tecnologia legata alla blockchain. Accanto alla fondazione esiste anche un’associazione di categoria. Si chiama AssoB.it e fornisce assistenza, sia legale che di business, a chiunque sia interessato a iniziare a utilizzare tecnologie blockchain per qualunque finalità Nella nostra regione sono circa una cinquantina i negozi, prevalentemente di servizi ma anche commerciali e di ristorazione ormai fidelizzati al verbo Bitcoin, utilizzando dei payment processor come Tinkl.it, che permettono di essere in regola anche fiscalmente fornendo un POS virtuale ai commercianti, con il quale accettare bitcoin che vengono poi convertiti in euro, seguendo la normativa fiscale e mettendo al riparo il negoziante da possibili alti e bassi che potrebbe subire il bitcoin una volta ricevuto in pagamento. “È un economia ancora piccola – conclude Michielotto - ma la nostra struttura organizza dei meet-up mensili a Vicenza, Verona e Padova per farla conoscere”. E nel frattempo sta andando in porto una App che consentirà il pagamento in bitcoin sui Radio Taxi che operano in Veneto.

Bitcoin: istruzioni per l’uso (p.r.) Il numero complessivo di Bitcoin è di 21 milioni.

Questo è un numero stabilito a priori. Circa la metà di questi è già stata “trovata”; nel 2016, i Bitcoin trovati saranno in totale circa 15 milioni; entro i quattro anni successivi, circa 17.5 milioni. E poi ancora si arriverà a 19 milioni in altri quattro anni. A quel punto, cercare sarà seriamente difficile — e la ricompensa possibilmente molto alta.

Gli istituti di credito e la stessa Banca d’Italia dicono che è una moneta pericolosa, che non offre garanzie. Dalla loro portano il fatto che è coperta dall’anonimato ed è senza sistemi di controllo. Due caratteristiche che la renderebbero appetibile a truffe, speculazioni e attività criminali di vario tipo. Il caso portato a mo’ d’esempio, quello più eclatante, riguarda la famosa piattaforma di scambio, Mr Gox, un crack che ha visto andare in fumo480 milioni di dollari in bitcoins appartenenti ai suoi clienti e forse rubati da hackers, rubati però alla piattaforma di scambio stessa per probabili falle nella sicurezza della piattaforma che, in pratica, era comparabile ad una banca nella quale i clienti “lasciavano” bitcoin per poter poi fare trading, attività di compravendita a fini speculativi. In Texas, invece, un hedge fund texano applicava uno “schema Ponzi”, una specie di catena di Sant’Antonio, che si è rivelata una truffa milionaria. Questi, assieme all’altrettanto celeberrimo caso del sito di commercio elettronico “Silk Road”, chiuso nel 2013 dall’FBI perché metteva a disposizione ogni tipo di droga pagabile in bitcoin, rappresentano la faccia oscura della moneta.

La parte chiara, è invece riassunta nell’informativa della Bitcoin Foundation Italia, realizzata in collaborazione con il Bitcoin Veneto Team: “È una moneta digitale o meglio un

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sistema per realizzare pagamenti con queste caratteristiche: senza intermediari – il pagamento coinvolge solo i diretti interessati, senza che nessun altro possa intervenire o alterare alcunché, nessuno che può arbitrariamente trattenere una percentuale per il servizio; senza entità su cui porre la fiducia – niente banche, niente gestori di carte di credito, niente gestori di pagamenti online (Paypal), niente moneta a corso legale e nessuno che possa bloccare il nostro “conto”.

Il sistema è decentralizzato, il che significa che la rete Bitcoin non è controllata né controllabile da un soggetto ma si basa su un meccanismo di maggioranza dove ognuno può contribuire allo sviluppo del sistema di circolazione della moneta virtuale senza bisogno di alcuna autorizzazione”.

Terminologia: Bitcoin: inteso come valuta di scambio, sigla BTC, divisibile fino a 0.00000001 BTC detto un satoshi.

Wallet o portafoglio: il contenitore dei nostri bitcoin, un po’ come fosse il nostro conto corrente.

Wallet client o programma di gestione del portafoglio: è il software che usiamo per gestire il

portafoglio, effettuare e controllare i pagamenti.

Indirizzo BTC: si può immaginare come il codice IBAN di un proprio conto, da comunicare a chi ci deve inviare dei bitcoin.

Chiavi: la chiave (privata) è un codice numerico associato ad un indirizzo, necessaria per spendere i propri bitcoin e conosciuta solo dal legittimo proprietario. Se si perde si perdono i bitcoin Transazione: un pagamento, corrisponde allo spostamento degli importi ricevuti da altre transazioni verso uno o più indirizzi.

[ Calcio e società ]

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Luigi Polato, il presidente Cincinnato: sul nuovo Menti edificheremo il nostro Vicenza del futuro È tifoso dai primissimi anni ’60 e dirigente dall’87, perciò dice che con Vi.Fin. e Pastorelli nel futuro del Vicenza Calcio c’è anche il nuovo Menti e di conseguenza la continuità di un club che non è solo una società sportiva, per quanto gloriosa, ma un patrimonio storico, sociale e culturale di tutta la provincia. Che ha bisogno di uscire dalle brume della lunga stagione targata Cassingena e delle “stranezze” nella filiera di controllo e nella gestione. E, conclude e premette il presidente traghettatore, chi vuol bene al Vicenza deve esclusivamente dare [ Giovanni Coviello ]

Q

uando ci siamo risentiti dopo un po’ di tempo per invitarlo all’intervista video esclusiva per VicenzaPiu.Tv, che si può linkare col Qr Code pubblicato in fondo e che qui trascriviamo per i lettori “tradizionali” o che vogliono anche leggersela con calma prima o dopo averla vista, non sapevo se rivolgermi all’avvocato Luigi Polato come presidente del Vicenza Calcio o col suo titolo professionale. Lui mi ha detto “mi chiami Polato, ma, se proprio vuole, mi chiami signore”. Perché questa distinzione tra presidente, avvocato signore? È semplicissima, dice lui, “sono i miei trascorsi, i miei studi che mi ricordano una predica, inutile, di Luigi Einaudi che diceva che l’Italia era il paese dei titoli e dei contro titoli e che invece una persona dovrebbe essere ricordata per il suo tratto e per la capacità di essere e di stare sempre con tutti, dal più umile alla persona più potente”. E allora ecco l’intervista in scioltezza al collega presidente (io lo… fui del volley rosa) signor Luigi Polato.

Questa è la prima intervista “importante” che facciamo nella nostra nuova redazione a viale Milano ed eravamo indecisi se mettere come fondale quello del calcio oppure quello della provincia. Abbiamo preferito mettere quello della provincia di Vicenza perché il Vicenza Calcio indubbiamente non è soltanto una società sportiva ma una realtà che ha un grosso rapporto ed una grossa incidenza sul territorio.

Certamente il Vicenza Calcio non è una società, il Vicenza Calcio è un patrimonio di questa provincia almeno da quando è stato creato. Chi è nel Vicenza Calcio deve pensare che il Vicenza Calcio è dei tifosi del Vicenza Calcio e conseguentemente non deve avere uno scopo è soltanto il gestore di questo patrimonio.

Le avrei chiesto da quando ha cominciato a tifare Vicenza Calcio ma, dopo il discorso appena fatto, apparirei banale. Se lei è stato tifoso da quando è nato, da quando ha avu-

Luigi Polato, presidente del Vicenza Calcio

to capacità di intendere e volere, a questo che era un po’ anche il centro dei tifosi un punto le chiedo da quando è entrato nella po’ “in” di Vicenza. La domenica, dopo la dirigenza del Vicenza Calcio. messa insieme ai miei genitori, mio padre Io, invece, ho piacere di ricordare da quanaveva il buon senso di condurmi fino al bar do sono tifoso del Lane perché tante volte e da lì venivo accompagnato allo stadio o ci sono dei tifosi che si ammantano di una dal vice presidente di allora Domenico Pipatente che sembra esclusiva: “io lo sono sone o dall’altro dirigente che era Angelo da 40 anni, io da 50 anni”. Ebbene i miei Valmarana o da Berto Casarotto in primis ricordi partono dal Vicenza dei primissia vedere le partite. Mi ricordo di aver assimi anni ’60 quando la domenica venivo accompagnato allo stadio perché mio padre era anche lui un grande tifoso del Vicenza Calcio, ma gli era stato vietato dal medico per Presente sul mercato vicentino dal 1905, oltre alla ragioni di cuore di tradizionale vendita di articoli da ferramenta si poter assistere alle partite. Una volta occupa del commercio di prodotti siderurgici, come c’era un bar, il Bar tubi, lamiere, laminati, trafilati, travi a misura, Italia, lì dove oggi grigliati pedonali e per recinzione, reti e derivati c’è il Coin, sopra c’era la Pretura sotdella vergella. to c’era questo bar Vicenza, via Btg. Val Leogra, 150 0444 di proprietà della signora Maule gestito 565033 - www.fermet.it da Berto Casarotto

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stito già allora anche ad alcune partite in panchina, a bordo campo con Scopigno, che fumava la sua sigaretta, con la cenere che gli cadeva delle volte da sola a terra.

Ricordo di aver assistito a grandi partite della serie A con Vinicio, con Savoini, con De Marco con tutti quegli atleti che hanno fatto la storia di quei vent’anni irripetibili che partono dal ’54 e ‘55 e finiscono nel ’75 di quella che è stata veramente la nobile provinciale.

Grazie per questi ricordi, aiutano anche me che sono a Vicenza dal ’92 e che tutto il precedente lo posso soltanto leggere o posso conoscerlo quando qualcuno come lei me lo racconta. Dirigente quando lo è diventato?

Mah, dirigente, diciamo che nel 1987, perché sono anch’io figlio della Pulitalia, un’azienda nel cui gruppo oggi c’è anche Caffè Vero, e che sponsorizza per la prima volta il Vicenza Calcio. Era un Vicenza Calcio di serie C, non dimentichiamocelo, e via via a quel punto si innesca un rapporto di presenza direi quasi societaria tra il Vicenza Calcio e questo gruppo che ha sempre sostenuto in maniera anche importante il Vicenza Calcio. Comunque nel ’90 per la prima volta faccio il dirigente accompagnatore della squadra Allievi Nazionali ed il mio allenatore era l’attuale allenatore dell’Albania, Gianni De Biasi, col quale mi sento ancora adesso e che poi allenerà il Torino, il Modena, che porterà in serie A, e tante squadre importanti della serie A fino a diventare allenatore dell’Albania. Incomincio ad entrare nell’ambito ufficiale della società nell’anno in cui arriva Vignoni a Vicenza per seguire il settore giovanile nel 1990 e quindi parliamo della gestione Dalle Carbonare. Lì metto dentro il primo piede e poi via via continuo in questo mio amore per il Vicenza Calcio.

Che comunque qualche volta negli ultimi anni le è un po’ costato perché le vicende societarie ed i vertici recenti l’hanno spesso fatta associare nella mente popolare a responsabilità vere o presunte nella vecchia gestione del Vicenza Calcio. Dico vecchia perché adesso lei è presidente del club ma

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I tifosi biancorossi

partecipa anche alla Vi.Fin. con un gruppo di imprenditori, che non soltanto a parole come spesso è successo negli ultimi anni, ricche trattative più o meno credibili, sta realmente finanziando già il Vicenza Calcio sicuramente a fronte di patti parasociali e sta consentendo la prosecuzione di un percorso che si sarebbe potuto interrompere per mancanza di risorse. Ecco al di là della presidenza del Vicenza Calcio, che vuol dire che in qualche modo è un po’ il garante del passato e del presente oltre che un traghettatore verso il futuro, questa doppia presenza, in Vi.Fin. e nel Vicenza, a cosa è associata?

Ha detto bene, nel senso che ogni tanto torna l’avvocato Polato, che è un po’ un Cincinnato. Viene lì qualcuno e allora lui il buon Cincinnato lascia e poi dice “se mi chiamate, vengo”. Penso di avere questo amore e questa sensibilità di essere un soggetto di equilibrio nell’ambito di una proprietà che se ne sta andando o che probabilmente se ne è già andata, di fatto non esiste più, diciamolo pure francamente. E dall’altra parte c’è una serie di persone, tra cui anche Marco Franchetto

Da sx: Pastorelli, Marino, la signora Franchetto e Polato

piuttosto che Alfredo Pastorelli, che con grande impegno al di là di quello che può essere stato l’impegno di natura finanziaria, hanno consentito al Vicenza Calcio di completare la stagione scorsa, di incominciare la presente e di vedere con chiarezza quello che è il futuro di questa società.

Perché non dobbiamo dimenticare che Cassingena può aver avuto dei torti, ed io non posso negare che ci siano stati questi torti nell’ambito della gestione del Vicenza Calcio, ma, comunque, è stata una persona importante in un momento in cui la società stava dichiarando fallimento perché io stesso, che ho seguito anche quelle trattative, non posso dimenticare che di fronte ad una domanda precisa che io feci a Daniel Levy, che è l’attuale chairman, diciamo il presidente del Thottenam e che allora rappresentava l’Enic, a noi disse in inglese “non ce ne può interessare di meno del Vicenza, venderemo tutti i giocatori e giocheremo con la squadra primavera, il Vicenza è stato un investimento, quello che potevamo mungere lo abbiamo munto…”, muoia Sansone con tutti i filistei insomma.

Questo è un dato di fatto poi la gestione è stata quella che è stata ma penso in certi casi che convenga anche per il tifoso guardare avanti. Ora si è in una fase in cui si sta ripartendo grazie al precedente ripescaggio in serie B che, non essendo stato il primo della sua gestione, conferma che, comunque, Cassingena è stato fortunato perlomeno Ha avuto un buon avvocato… È indubbio che nella gestione delle richieste o dei ricorsi a seconda dei casi la sua penna sia stata fondamentale…

Anche perché voglio ribadire che l’avvocato Polato non ha mai chiesto un euro per questa sua attività, sia chiaro. Vedendo tanti colleghi, senza fare i nomi l’avvocato Grassani piuttosto che l’avvocato Chiacchio che vanno per la maggiore nell’am-

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Il presidente biancorosso Luigi Polato presenta al sindaco Achille Variati e all’assessore allo sport Umberto Nicolai la recente partita dell’Italia Under 21 al Menti

bito del diritto sportivo, e le loro parcelle io penso di aver dato qualcosa di importante al Vicenza Calcio sempre dal punto di vista dell’affetto e dell’amore che provo per questi colori senza mai chiedere nulla.

Perché tutti quanti noi dobbiamo ritenere che il Vicenza sia un patrimonio di questa provincia e quando noi lavoriamo per un patrimonio generale dobbiamo mettere da parte tutto quello che può essere interesse personale perché supera quello che può essere il nostro quotidiano.

Si vede nelle sue dichiarazioni il doppio aspetto, il professionista esperto che entra nel Vicenza Calcio in rappresentanza di una famiglia, quella del gruppo Pulitalia, ma anche l’appassionato che ci mette di suo non soltanto quello per cui ha ricevuto un incarico. E non a caso lei a volte fa da collettore del dissenso che direttamente non merita, lo dico da ex presidente di un club di pallavolo. Detto questo torniamo al percorso a cui aveva accennato. Lei diceva che la proprietà attuale quella formale di fatto non c’è più, è subentrata, sia per i finanziamenti sia sicuramente per dei patti parasociali sottostanti, la nuova proprietà, quindi la Vi.Fin., di cui anche lei fa parte e che fa riferimento alla Colombo Finanziaria dell’imprenditore Alfredo Pastorelli e ad altri imprenditori locali.

Cosa manca per il passaggio finale, è soltanto legato alla risoluzione dei problemi di rateizzazione dei debiti fiscali o ci sono altri ostacoli perché si percorra questo ultimo passo verso la chiarezza? Perché, comunque, la proprietà del Vicenza Calcio per quanto ascrivibile a Cassingena dei dubbi, delle stranezze nella filiera di controllo le ha sempre palesate.

Direi che il presidente Pastorelli, che è presidente della Vi.Fin., ha messo dei paletti prima di assumere la presidenza del Vicenza Calcio o, comunque, di esercitare l’opzione all’acquisto della società. Ha vo-

luto essere molto chiaro: Vi.Fin. a pieno titolo sarà l’interprete per i futuri anni del Vicenza Calcio e delle strategie del Vicenza Calcio allorquando sarà appianato o comunque sarà chiaro il percorso per sostenere la rateizzazione dell’IVA e inoltre avrà una compagine tale da poter sostenere anche dal punto di vista finanziario il Vicenza Calcio. Siamo ad un passo da questa scelta definitiva, che avverrà sicuramente entro, io credo, la fine di quest’anno Pastorelli è un po’ interprete ma anche attore di questa parte perché, con la sua esperienza nei rapporti con gli enti che decideranno sul debito, è il suo “lavoro” quello di gestire in base alla legge rateizzazioni e, quindi, non deve attendere che altri si muovano per suo conto.

Devo dire che abbiamo la fortuna, perché si tratta di fortuna, di aver trovato non solo un imprenditore ma anche una grande capacità dal punto di vista dell’analisi e della capacità di risolvere le problematiche legata al dott. Nicola Pastorelli, figlio di Alfredo. Questa è stata in questo momento la grande fortuna: aver trovato non solo un imprenditore, un finanziatore, sarebbe riduttivo definirli così, ma l’impegno che queste persone hanno dimostrato e che è stato trainante nei confronti di quei soggetti che si sono avvicinati al Vicenza Calcio.

Quindi passione sì, ma anche avvedutezza da imprenditori, diciamo quella che quando gestiva un club è mancata al sottoscritto che era più passionario che non attento a certe cose.

Bisogna essere oggettivi.

Non mancherà qualche domanda sulla parte sportiva ma mi piaceva fare un po’ il punto su quella gestionale che poi è fondamentale perché lo sport esiste nella misura in cui c’è qualcuno che è capace di gestirlo e di farlo durare nel tempo: i tifosi, insomma, potran-

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no fare tifo e criticare ma solo finché esiste una squadra... e, quando non c’è più, vedi il mio Vicenza nel volley, forse si capisce di più, ma è troppo tardi. Andiamo avanti. Molti club in Italia dicono “abbiamo bisogno di un nostro stadio”, vedi la Juventus, che già lo ha realizzato con ricadute positive, il Napoli, la Roma e così via. Se il vecchio Vicenza Calcio si è sempre detto estraneo, si è detto casomai fruitore, non attivatore del progetto, con Pastorelli e con Vi.Fin. è cambiata questa estraneità al progetto stadio. Vicenza città, Vicenza club meritano uno stadio?

Io credo che lo stadio sia una condizione imprescindibile. Possiamo noi parlare di un futuro legato solo a delle plusvalenze che possono derivare da un’annata particolarmente positiva? È chiaro che un salto in serie A cambierebbe completamente la visione attuale e potremmo anche pensare che un giocatore, che è stato individuato, che è stato scelto, che è stato particolarmente un “affare” per il Vicenza, si possa dimostrare poi una plusvalenza importante. Ma io credo che questo non sia il modo di fare, non è programmabile, per dirla come la direbbe un avvocato è “un fatto incerto ed incerto quando”. Al contrario una programmazione imprenditoriale non può prescindere da una questione immobiliare e dagli sviluppi che possono esserci. L’area dove sorge il Menti è sicuramente importantissima in questa situazione e credo che il Vicenza Calcio dal momento che è gestore dell’impianto dovrebbe e debba anzi sviluppare proprio questo progetto non solo per dare una degna sistemazione a quelli che sono i suoi tifosi, e qualcosa quest’anno e già stato fatto dal punto di vista della logistica, ma anche dal punto di vista proprio dello sviluppo di un’area così importante nel cuore della città.

Lei sta ufficializzando che, se la proprietà uscente si reputava ospite dello stadio, la proprietà entrante ha un progetto complessivo che comprende anche la costruzione dello stadio ma in termini, immagino, moderni e non soltanto dell’impianto di gioco.

Certo, perché noi abbiamo presenti quelli che sono gli stadi europei o comunque anche solo lo stadio inglese dove esiste tutto, esiste il merchandising, esiste l’albergo, esiste la clinica convenzionata cioè si può fare di tutto. È chiaro che deve essere fatto uno studio con un progetto ma in tempi rapidissimi direi perché è la città che ne ha bisogno. Non dobbiamo più scavare sotto per avere dei parcheggi che possono essere invasi dal fiume data la situazione che c’è. Io penso a uno Space Cinema di Padova dove il parcheggio è la parte sopraelevata dell’immobile, a un’Ikea stessa dove c’è una parte sopraelevata dell’immobile ma questo non per ripetere quelle tipologie merceologiche ma per crearne delle altre per creare una struttura. Perché se pensiamo solo all’antistadio, che è un campo da calcio a tutti gli effetti

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quindi misura 100 metri per 60 metri per cui è un’area di 6000 mq, io adesso non voglio mica dire di coprirlo tutto, però si può fare un importante spazio. C’è l’Università di là dal fiume tra gli alberi, direbbe Hemingway e invece noi diciamo che è proprio dall’altra parte del fiume, si può fare una mensa, ma con una mensa si può guadagnare… io credo proprio di sì Visto che c’è la corsa ad avere la gestione delle mense.

Esatto, poi chi ha fatto l’università sa cosa vuol dire una mensa in termini pratici. Dopo penso a mille altre situazioni, uno Sportler piuttosto che un Decathlon, quel tipo di attività e dopo bisogna vedere come la studiano ovviamente anche gli architetti, gli urbanisti. Se ci fosse anche una risposta altrettanto rapida dal Comune di Vicenza, credo che questa sensibilità progettuale in questo momento ci sia a 360° e per giunta con degli imprenditori seri, perché non dimentichiamo che questi sono degli imprenditori seri. A quel punto credo che possano veramente sviluppare il progetto e dire “questo è il futuro del Vicenza”. Il resto sarebbe incerto per tutto quanto. Però in questo momento al contrario di altri anni abbiamo, e qua mi rifaccio all’aspetto sportivo, un ottimo allenatore, una squadra che risponde a un ottimo allenatore conseguentemente a questo punto possiamo essere tranquilli di fronte a quella che era la quotidiana sofferenza degli altri anni e possiamo sviluppare completamente da imprenditori quello che è l’altro progetto Io giocavo a basket e anche lei amava il basket, ma ho gestito per tanti anni la pallavolo femminile a Vicenza quindi le stavo alzando la palla per poi farla arrivare a schiacciare.

In questo progetto lei ha detto che ci sono imprenditori seri. Traduco io, quindi io me ne assumo la responsabilità, che ci sono stati tanti altri progetti per lo stadio ma forse mancavano, piuttosto che le cosiddette volontà, anche i denari giusti da investire per realizzarli oppure mancavano le condizioni.

Adesso si sono create anche le condizioni di vicinanza tra imprenditori di attività intorno allo stadio, lo stadio stesso e la squadra Il problema è un problema di crisi perché

il progetto principale che era stato fatto, quello di Vicenza Futura, era un progetto interessante però capitava in un momento di crisi immobiliare quando l’imprenditore non credeva più in una determinata soluzione. Quello stadio lì, il Menti, dal ’34 ad oggi è sempre stato il cuore, l’anima di tutto. Io ho detto una cosa tempo fa: la R è sopravvissuta ad una azienda importante ed è divenuta mito perché è l’ottavo marchio in Italia come riconoscibilità e se noi dimentichiamo questo dimentichiamo la storia Può essere anche commercializzata quella R, farne un discorso del marketing?

La R è proprietà della famiglia Marzotto, la famiglia Marzotto, in base a dei rapporti miei personali per quello che è stato il passato anche della mia famiglia, di buon occhio ha concesso quello che aveva tolto perché c’era stata una diatriba tra la famiglia Dalle Carbonare e Pietro Marzotto.

Quella R non è più stata sul cuore biancorosso ed è tornata grazie ad uno dei Marzotto che mi ha consentito questo Concludiamo in bellezza ma concludiamo guardando avanti ancora. Questo progetto sicuramente è un progetto fatto da tifosi ma soprattutto da imprenditori che hanno anche una caratura da gestori che sanno fare i conti. Questo non è assolutamente negativo perché significa dare continuità a un progetto perché l’imprenditore folle magari fa contento il tifoso per qualche anno poi lo delude se è troppo legato ai risultati. Chiaramente non è programmabile il risultato sportivo, non è programmabile il giocatore che crea una plusvalenza però se la società assume certi connotati nella continuità possono arrivare anche i risultati. Visti i numeri e vista la fedeltà del pubblico, anche la Vicenza dei tifosi meriterebbe la A Ho qualche distinguo da fare perché effettivamente bisognerebbe andare in serie A, nel senso che per poter toccare con mano questo affetto bisognerebbe andare in serie A. È altrettanto vero che, comunque, Vicenza oggi in serie B rappresenta qualcosa e non dobbiamo dimenticare che la nostra è la prima provincia per popolazione del Veneto. È altrettanto vero che siamo troppo legati al passato, non pos-

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siamo ricostruire, non possiamo restaurare perché alla fine noi dobbiamo costruire, dobbiamo avere una piattaforma di tifosi nuovi che si affianchino ai vecchi per poter creare qualcosa di differente. Perché se noi ricordiamo sempre i vent’anni, se noi ricordiamo Real Vicenza, noi saremo sempre dei perdenti. Non dobbiamo mai dimenticare il passato, però il passato non deve essere così pesante da fare da zavorra: “ah, ma quanto c’era lui caro lei…”.

Invece dobbiamo guardare al futuro ed avere come riferimento questi imprenditori che, ribadisco, sono imprenditori seri.

Forse ci penseranno un po’ di più, ma c’è gente capace, preparata sotto il profilo imprenditoriale, quindi ben venga la gente come Pastorelli, ma ben venga la gente come Franchetto che sono stati interpreti di un ruolo nell’ambito dell’imprenditoria e che possono dare questo know how anche al Vicenza Calcio. Io avrò un immenso piacere a passare il bastone, che non è un bastone del comando e che non ho mai inteso come bastone del comando per essere presidente. Per essere presidente del Vicenza ci vuole un grande amore ma soprattutto bisogna avere disponibilità finanziaria e le idee chiare Per chiudere lei farebbe una richiesta al futuro presidente Pastorelli, quello che assicurerebbe un futuro duraturo e ambizioso al club? Lei si sentirebbe di chiedere un piccolo regalo per l’opera pluriennale di traghettatore che ha fatto? Per regalo intendo questo appello: “fammi arrivare a vincere il campionato di B e ti consegno la presidenza da presidente che ha guadagnato la promozione!”

No, il mio amore incondizionato per il Vicenza ha sempre come riferimento il bene del Vicenza, chi vuol bene al Vicenza non può pretendere, chi vuol bene al Vicenza deve dare esclusivamente.

L’intervista video a VicenzaPiu.tv

PIZZERIA RISTORANTE SPAGHETTERIA

36100 Vicenza - Strada Statale Pasubio, 2 - Tel./fax 0444 564790

www.acquevicentine.it

DA DOVE ARRIVA L’ACQUA DELLE NOSTRE CASE

Il sistema di acquedotto: conosciamolo meglio Ogni anno Acque Vicentine distribuisce in media 20 miliardi di litri d’acqua. Ma da dove, e come, questa poi arriva nelle case? Lo fa attraverso il sistema di acquedotto, un sistema complesso formato da tubi, impianti e serbatoi. L’acqua che ogni giorno viene distribuita nelle case dei circa 300 mila vicentini serviti da Acque Vicentine viene prelevata da 36 pozzi che attingono da falde profonde oltre 100 metri: questo assicura una notevole fascia di protezione da eventuali inquinamenti. I pozzi si trovano prevalentemente nelle zone a nord di Vicenza.

Una volta prelevata, l’acqua viaggia poi lungo 2.200 chilometri di tubi che formano il sistema di distribuzione nel territorio. A compensare

poi possibili variazioni della disponibilità e nella richiesta d’acqua, sono un centinaio di serbatoi. «In questi anni abbiamo lavorato per potenziare sempre più questo sistema e per garantire sempre maggiore sicurezza agli utenti, tendendo alta l’attenzione sui controlli e investendo mol-

to per potenziare gli impianti – spiega il presidente Angelo Guzzo –. Su questa strada intendiamo proseguire: per il sistema di acquedotto sono previsti tra il 2014 e il 2017 interventi per circa 22 milioni di euro: investimenti per il territorio e opportunità di lavoro per tante aziende».

LE RISORSE Quasi la metà di quello che si paga in bolletta è dedicato all’acqua potabile, e in particolare a: • •

prelievo, trasporto, controllo, misura, erogazione dell’acqua potabile alle case e alle attività produttive sostituzione e potenziamento delle tubazioni più vecchie, ampliamento della rete di acquedotto, miglioramento delle centrali di prelievo e dei serbatoi.

La parte rimanente di ciò che si paga in bolletta è invece dedicata ai servizi di fognatura e depurazione.

DUE TERZI DELL’ACQUA DISTRIBUITA È SENZA CLORO

La nostra acqua, buona e controllata Le Acque Vicentine hanno ottime caratteristiche organolettiche, chimiche e microbiologiche. A garantire la qualità non è solo la sua origine ma anche l’attenzione con cui viene tenuta sotto controllo attraverso analisi rigorose e ripetute. Ogni anno vengono effettuati circa 1600 controlli sulla potabilità per assicurare ai vicentino un’acqua buona, pulita e sana.

Una specificità importante è che circa due terzi dell’acqua distribuita non contiene cloro. Una scelta molto gradita dagli utenti, perché mi-

gliora decisamente il sapore dell’acqua. Una scelta che possiamo sostenere solo grazie al continuo miglioramento delle strutture e a una rigorosa organizzazione dei controlli e degli interventi di manutenzione: immettiamo acqua pulita in tubazioni pulite, che monitoriamo costantemente. Limitiamo l’uso del cloro come disinfettante solo alle situazioni in cui riteniamo che le condizioni non siano ottimali.

Così garantiamo alla maggior parte degli utenti un’acqua più buona da bere.

[ Polizia Locale ]

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La Polizia locale di Thiene e non solo “gestisce” 280.000 abitanti al comando di Scarpellini e 130 collaboratori L’ex capitano dei carabinieri, laureato in legge come il comandante di Vicenza ma non “avvocato”, ha scelto il tempo determinato per farsi “scegliere” volta per volta, ha rinunciato anche all’indennità di risultato perché ritiene di essere pagato bene con 3.200 euro al mese e vuole essere d’esempio ai colleghi: un marziano ai tempi d’oggi anche perché gli piacerebbe fare il giornalista [ Giovanni Coviello ]

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iovanni Scarpellini ci si presenta così “sono il Comandante della Polizia Locale Nordest Vicentino, il cui comune capofila è Thiene e che da circa un anno ha una convenzione con il consorzio Alto Vicentino il cui comune capofila è Schio. Si tratta di diversi comuni che si sono messi insieme per fare squadra per fare sinergia e, quindi, una sorta di economia di scala ottimizzando le risorse in campo e soprattutto i costi perché purtroppo bisogna stare attenti soprattutto di questi tempi a quello che si spende”.

Armato, sempre e non solo oggi che lo intervistiamo per VicenzaPiu.Tv (il video è raggiungibile tramite il QCode allegato, ndr), di un sorriso e di un’affabilità ignota al suo collega vicentino, da cui non differisce per la laurea conseguita ma non esibita, quella in legge, ma per uno stile che gli deriva dai tanti anni trascorsi nell’Arma dei Carabinieri che ha lasciato da capitano ma di cui conserva solidi i concetti base di dedizione al servizio della gente e di esempio per il rispetto delle regole.

Volevo partire dalla sua storia, comandante, iniziamo invece dal fondo visto che con la sua presentazione mi ci ha portato lei: è un dipendente o ha un ruolo diverso?

Io sono un dipendente, tra l’altro sono un dipendente a tempo determinato, sono un “precario” e devo dire a verità che è un po’ la mia forza perché ogni giorno devo dimostrare di essere la scelta migliore per le amministrazioni, per i miei colleghi ed anche per la cittadinanza.

Le faccio una domanda che non è indiscreta ma è solo per far conoscere a chi la incontra per strada il suo stipendio 3.200,00 euro al mese, che sono netti e non ho neanche l’indennità di risultato a cui ho rinunciato qualche anno fa anche perché ritengo di essere pagato bene Il suo ruolo centrale è a Thiene ma da Thiene si gestisce per la convenzione anche la parte di Schio e l’Alto Vicentino. Quanti comuni ci sono che fanno capo direttamente a lei come Comandante di questa polizia mu-

Giovanni Scarpellini, comandante Polizia Locale Nord Est Vicentino

nicipale e quanti altri tramite Schio?

Sono 31 comuni dalla parte di Thiene con circa 190.000 abitanti e 15 comuni dalla parte di Schio per altri 90.000 abitanti.

Quindi 280.000 abitanti, il doppio di Vicenza?

Sì, anche se sono chiaramente delle realtà molto diverse perché si tratta di comuni molto frammentati. i comuni grossi sono solo Thiene e Schio, ci sono diversi comuni che hanno circa 15.000 abitanti, ma la moltitudine dei comuni ha un numero di abitanti abbastanza limitato.

In quanti dipendono da lei?

Sono 88 persone dalla parte di Thiene e 42 dalla parte di Schio Un bel gruppo questo qui Sì, mi dà tanta soddisfazione anche perché ci sono degli ottimi colleghi e, devo dire la verità, mi trovo veramente molto bene perché hanno un certo spirito di sacrificio che è quello che piace a me, senso del dovere, voglia di fare, voglia di “darsi” alla cittadinanza e al lavoro che stanno svolgendo.

Tutto questo per 3.200 euro, quindi lei dice che è giusto lo stipendio ma non è poco l’impegno. Che differenza c’è tra gestire una realtà territorialmente così vasta con 46 comuni e 280.000 abitanti rispetto a gestire una città come potrebbe essere Vicenza?

Le differenze sono molteplici. Innanzitutto noi dobbiamo basarci molto su quella che è l’ottica del decentramento amministrativo e dei principi della sussidiarietà e della flessibilità. Cioè dobbiamo garantire una certa proiezione esterna del servizio, come fasce orarie intendo. E come fasce orarie devo dire che sono di tutto rispetto nel senso che per due giorni la settimana, che sono i fine settimana, ci sono servizi che arrivano fino alle 3 di notte.

Sto parlando non di una pattuglia sola ma di 4 o 5 pattuglie a seconda delle necessità, mentre per gli altri giorni si arriva fino all’1 di notte. Quindi è un impegno di un certo rilievo, ma la cosa bella è che riusciamo a calibrarci sulla base delle esigenze che possono avere i vari comuni facendo una sorta di banca ore tra quelle che “acquistano” all’inizio dell’anno.

Faccio un esempio per tutti col comune di Bressanvido che ha una manifestazione, la transumanza, molto importante nella seconda, terza domenica di settembre. In questo caso facciamo in modo di calibrare verso quella giornata e quell’evento una particolare organizzzione in grado di far fronte a quelle che sono le esigenze della manifestazione stessa ma le ore che vengono fornite in quella circostanza non van-

[ Polizia Locale ]

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Agenti schierati davanti alla sede del comando di Thiene.

no ad aggravare quello che è il bilancio del comune, non sono altro che il risparmio delle ore che facciamo nel corso dell’anno quando ci sono periodi meno impegnativi Lei nel suo ruolo è un tecnico ovviamente, però risponde sostanzialmente, a parte i vari comuni delle aree, a due amministrazioni, quella di Schio e quella di Thiene, che sono di colore diverso. Com’è il rapporto con due amministrazioni che dovrebbero avere un’impostazione un po’ diversa ?

Per quanto riguarda noi il rapporto è proprio uguale perché noi siamo, come prevede la legge tra l’altro, leali all’Istituzione, noi dobbiamo seguire l’Istituzione di qualsiasi colore sia (capirete in seguito questo particolare e ormai troppo assente rispetto di Scarpellini per le Istituzioni, ndr). Poi per quanto riguarda il nostro ruolo nessuno ha mai fatto presenti particolarità gestionali diverse a seconda dell’ambito a cui si riferiscono quindi devo dire che non abbiamo mai avuto nessun tipo di problemi in questo senso.

A Vicenza è frequente la polemica su tante multe, troppe multe. Il Comune vorrebbe più multe dicono alcuni per rimpinguare le casse un po’ magre. C’è questo problema realmente e se sì come nelle due aree che lei gestisce?

Secondo me la cosa migliore sarebbe che il gettito delle sanzioni andasse come una volta direttamente allo Stato così si eviterebbe qualsiasi tipo di problema perché poi è anche brutto, quando devi far rispettare una regola, che qualcuno ti possa dire “vuoi far cassa?”, cosa che non è assolutamente nel nostro stile. Queste sanzioni vengono, invece, introitate dagli enti locali però, solo per sfatare alcuni miti, vanno a coprire circa un 25-30% di quelli che sono i costi del servizio che viene reso quindi non c’è nessuno che metta soldi da parte o che guadagni per questo.

Lei dice, quindi, che le multe vanno date semplicemente in presenza di reali infrazioni senza subire pressioni da parte degli enti locali. Ci sono o non ci sono queste pressioni? Lei non mi può rispondere più di tanto, ma…

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Vigili accanto ai bambini

Posso anche risponderle. Allora fate conto che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani non vede le proprie infrazioni ma vede quelle degli altri, quelle del vicino di casa, quelle delle persone che vanno troppo veloci davanti a casa, vedono i telefonini, vedono le cinture e tutti quanti fanno delle sollecitazioni molto forti sui loro referenti in ambito comunale che sono i sindaci e gli assessori. Quindi è chiaro che questo poi si riverbera su di noi. Gli stessi comitati di quartiere non ci hanno mai detto “fate troppe multe”, ma proprio il contrario. Ci dicono che dobbiamo essere più presenti e fare in maniera tale da far osservare le regole con le sanzioni appropriate.

Parlando proprio di rapporto con i cittadini c’è un altro aspetto che è sempre più in discussione non soltanto nell’area vicentina, dove per Vicenza intendo la provincia non soltanto la città quindi ma anche Schio, Thiene, Bassano, Valdagno. Il ruolo tipico e storico della Polizia Locale è il controllo del traffico e di qualche manifestazione.

Però ultimamente penso che siate sempre un po’più presenti nel verificare, controllare, interagire con le forze dell’ordine per l’attenzione a fenomeni di degrado o fenomeni di delinquenza che non rientrerebbero nei vostri compiti primari. Come svolgete questo ruolo in questa area?

Sì, negli ultimi anni c’è stata una evoluzione non immaginabile fino a qualche anno fa. Le esigenze del territorio, degli amministratori ma anche delle stesse forze di Polizia nazionali, delle istituzioni nazionali sono quelle di coinvolgere sempre di più la Polizia locale nella gestione di quella che si chiama la “sicurezza partecipata”. Noi con i nostri compiti non abbiamo quasi più tempo di limitarci a fermare le auto per il mero discorso dell’infortunistica stradale e come prevenzione delle violazioni in genere. Ormai le nostre pattuglie sono impegnate come delle palline da biliardo, per fare interventi a seconda delle richieste dei cittadini ma anche delle programmazioni. Ormai difficilmente possiamo dire di avere qualche ora non

impegnata per fare solo ed esclusivamente il controllo alla circolazione stradale, sono molti di più gli altri incarichi e probabilmente sono quelli più pressanti che adesso la gente ci chiede di più.

Che poi prevedono anche un coordinamento con le forze dell’ordine che siano Polizia, Carabinieri o Finanza e questa è un’altra necessità Certo. Ma noi a differenza magari del comune capoluogo interagiamo quasi solo ed esclusivamente con l’Arma dei Carabinieri, che è quella più capillare e più presente sul territorio. Con la Stradale tante volte loro ci chiamano per sopperire ad alcune esigenze che hanno, perché le pattuglie sono concentrate nelle autostrade, nelle vie di alta percorrenza e, quindi, quando hanno la necessità di rilevare un incidente loro ci chiedono di dare un supporto per la viabilità. La stessa cosa vale per quanto riguarda la Questura, normalmente ci coinvolgono per quelli che sono gli eventi che interessano il territorio, quelli che interessano l’ordine pubblico, le manifestazioni, i cortei degli studenti e di altri manifestanti che adesso si stanno un pochino succedendo con cadenza settimanale oserei dire. Lì è chiaro che loro curano quello che è l’aspetto dell’ordine pubblico vero e proprio, ma questi cortei che attraversano le varie città sono gestiti

Un controllo notturno

[ Polizia Locale ]

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Lavoro dietro le quinte

da noi in tutto e per tutto sotto il profilo viabilistico. E non è un impegno da poco.

Lei ha detto che qui interagite essenzialmente con l’Arma dei Carabinieri perché è in tutti i paesi, ma lei non è un Carabiniere?

Lo sono stato, ho avuto l’onore di servire l’Arma per 21 anni, mi sono congedato nel 2006 quando ero Capitano dei Carabinieri ed ero Comandante della Compagnia di Thiene. All’epoca c’è stata la possibilità di questa nuova avventura nella Polizia Locale che onestamente è stata veramente una gran bella esperienza e ora sono orgoglioso di essere anche qua.

Cosa le manca da ex Carabiniere ed ex Capitano?

Mi manca quella che è la forza dell’Arma dei Carabinieri, cioè l’Istituzione. È un’Istituzione straordinaria dove basta la parola e tante cose vengono risolte solo con quell’uniforme addosso. Qui non nascondo che quella è stata un po’ la mia fonte di ispirazione perché gran parte dell’organizzazione interna che ho avuto è mutuata su quella che è l’organizzazione territoriale dell’Arma dei Carabinieri che si basa su una Compagnia, sulle varie stazioni. Noi non le chiamiamo stazioni, le chiamiamo distaccamenti però in generale hanno la stessa funzione. Devo dire che se hanno funzionato per duecento anni per i Carabinieri, e sicuramente il futuro è molto sorridente nei loro confronti, penso che abbiamo qualche cosa da imparare e sarebbe un peccato non utilizzarle nella nostra struttura. Abbiamo sicuramente delle altre peculiarità molto forti ma questo tipo di organizzazione sicuramente ci fa bene.

Questo è oggettivo. L’Arma dei Carabinieri penso che sia riconosciuta un po’ dappertutto e non sarà un caso che, mentre qualche volta sui giornali si leggono non bellissime cose in certi casi sulla Polizia piuttosto che sulla Finanza, sui Carabinieri è un po’ più

raro trovare annotazioni negative. Questo avviene perché c’è un maggior contatto con tutta la gente e non soltanto con una parte? È proprio così, lì c’è una sorta di demoltiplicatore dell’azione del comando del Questore o cose del genere. Insomma il Colonnello, il Comandante provinciale di Vicenza può contare su dei Comandanti a vari livelli che hanno un contatto quotidiano e continuo con i propri dipendenti e quindi riescono in tutti i casi ad avere una percezione immediata delle varie criticità non solo a livello operativo ma anche a livello personale.

Lei nasce 49 anni fa, non mi sembra vicentino dall’accento No, sono romagnolo sono nato a Bagno di Romagna anche se ho vissuto la mia giovinezza a Rimini, sono qua dal 1° ottobre 2001 dopo aver girato un po’ l’Italia grazie alla divisa dei Carabinieri che avevo prima e qui sto bene, in provincia di Vicenza sto molto bene.

I suoi studi quali sono stati?

Ho fatto ragioneria, poi ho avuto modo di perfezionarmi e di prendere la laurea in Giurisprudenza per avere una formazione anche teorica adeguata a quella che ritengo essere una buona formazione pratica che ho.

Le faccio una domanda cattiva, si firma avvocato lei?

No, no (sorride, ndr…)

Studi di ragioneria, da uomo concreto, e studi legali l’hanno aiutata nel lavoro?

Assolutamente sì, infatti quella è stata la cosa prioritaria perché bisogna comunque essere in grado di esprimere dei pareri concreti ai Comuni, agli enti locali, avere una base molto forte, bisogna conoscere comunque le varie competenze e normative perché c’è una miriade di norme a livello nazionale, a livello locale... A me è stato veramente molto utile conoscere tutti e due i mondi della pubblica amministrazione, sia quello dell’amministrazione diretta che quello dell’amministrazione indiretta. È chiaro che hai una marcia in più perché riesci a comprendere le procedure e i meccanismi cosa che, se lavori a compartimenti stagni, non hai la possibilità di fare.

Quando esce di qui dove va e cosa fa?

Io a differenza di tanti altri miei colleghi penso di curare la famiglia (moglie e un figlio diciannovenne, ndr) più di tanti altri perché io non ho altri interessi al di fuori del lavoro per lo meno per quel poco che sto a casa. Faccio di media negli ultimi anni 3.500 ore di lavoro all’anno ed è chiaro che con dei ritmi del genere non ti puoi permettere altri passatempi, altri svaghi, altri interessi o cose del genere.

Quando vai a casa la sera non vedi l’ora di metterti sul divano e riposarti.

Sarà contenta la sua signora Sì, sotto questo punto di vista sì. È sotto controllo…

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O sono con la divisa o sono a casa, non ho altre possibilità…

Come vede e dove vede il suo futuro Il mio futuro lo vedo qua, fino a quando avrò la possibilità di lavorare, una cosa che mi piace tanto. Dopodiché, quando sarà il momento, mi metteranno in pensione, perché arriva un momento in cui devi capire che il mondo sta andando avanti, sei stato utile magari ma è il momento che cambi anche per dare spazio agli altri.

Però fino al quel momento svolgerò con il massimo dell’entusiasmo questo lavoro perché mi piace proprio. A differenza di prima, ripeto l’Arma di Carabinieri era un’organizzazione straordinaria, qui c’è la possibilità, e questo non è poco, di organizzare qualcosa a seconda del tuo modo di vedere le cose.

Che prevede anche l’ufficio stampa di se stessi, per il quale le dò atto che è di gran supporto a chi fa il mio lavoro perché di informazioni dal suo Comando ne arrivano tante, almeno tutte quelle che bastano Sì, sono anche fortunato perché questo è un comando abbastanza vasto e quindi le cose capitano. Poi è anche una bella passione la mia, quella di provare a raccontare quello che succede. E, direttore mi permetta di dirlo, grazie ad un suo consiglio di qualche tempo fa ho cambiato anche modo di comunicare trasmettendo, per il ruolo che abbiamo, note sui fatti ma asettiche sperando di riuscire a dare la giusta comunicazione informale e soprattutto esente da qualsiasi interpretazione.

La ringrazio dei complimenti, ma a questo punto lei ha un vantaggio rispetto a me: io non potrò fare mai il suo lavoro, lei potrebbe fare il mio Magari, è uno dei lavori che mi piacerebbe proprio fare. Non lo nascondo che mi ha sempre entusiasmato però sono innamorato di quello che sto facendo adesso per cui sono sicuro di essere un discreto comandante della Polizia Locale, non sono sicuro che sarei un giornalista sufficiente.

Beh, che dire. Mi sono lasciato coinvolgere nell’intervista da una persona, prima ancora che un comandante, che ha il senso raro delle Istituzioni. Ma multe non ne ho prese e il rischio di avere un concorrente è sventato. Anche se un giornalista dell’Arma dei carabinieri ci sarebbe proprio utile e da noi non si annoierebbe.

Scarpellini, ricordi che lei è Comandante a tempo determinato…

Aspirante giornalista avvisato.

La video intervista a comandante Giovanni Scarpellini

[ Sanità ]

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Dopo più di due anni il DG della Ulss 4 si apre a VicenzaPiù: un’attesa spesa bene [ Giovanni Coviello ]

S

u VicenzaPiù n. 249 del 16 febbraio 2013 aprivamo il “caso” della grande quantità di suppellettili, attrezzature e materiali vari da noi fotografati come abbandonati al vecchio Ospedale di Schio mentre incalzavano le polemiche sugli sprechi del project financing del nuovo ospedale di Santorso, che, a suon di canoni milionari e, soprattutto, né resi noti né giustificati o spiegati, stava sostituendo i due nosocomi di Schio e Thiene. Alla fine del servizio essenzialmente fotografico pubblicato dopo vari ma vani tentativi di poter parlare con il neo direttore generale della Ulss 4, Daniela Carraro, chiamata da poco a gestire la nuova realtà, la cui nascita di certo non dipendeva da lei motivo per cui non capivamo il suo silenzio, scrivevamo che “Siamo stati chiamati venerdì 15 febbraio, quando il numero era già in stampa, e ci è stato cortesemente comunicato che il direttore generale ci riceverà il 4 marzo”. Ci siamo incontrati poi con la dottoressa Carraro ma una serie di incomprensioni ci fecero apparire le sue come reazioni di diffidenza e chiusura.

Proseguimmo la nostra battaglia di chiarezza contro le nebbie di quel project ma non certo contro di lei, che nulla, ripetiamo ora dopo averlo detto più volte a lei, aveva a che fare sulle scelte fatte, ma che molto poteva fare per spiegarle e, soprattutto, per mitigarne gli effetti negativi ed esaltarne quelli positivi della nascita, comunque, di un ospedale moderno. Sono passati quasi tre anni da quel 16 febbraio 2013, alcuni dei protagonisti politici di molte scelte destinate a rivelarsi sbagliate se non legate a varie cor-

Daniela Carraro

ruttele, come il Mose e il project financing di quell’ospedale, sono già finiti nelle cronache giudiziarie sul sistema che prese il nome da Lia Sartori e Giancarlo Galan. Dopo aver continuato a scavare nel caso Santorso, mai abbiamo smesso di informare correttamente i nostri lettori anche dell’attività complessiva della Ulss 4. E’ passato del tempo da quel 16 febbraio 2013 e, forse, la constatazione del nostro sforzo indipendente di informare ha convinto ora la dottoressa Daniela Carraro a concederci il 13 ottobre scorso una lunga e interessante intervista che risponde alle nostre domande di allora, ci chiarisce molti dubbi, altri non li sradica, molto ci parla della sua gestione, dei suoi successi e dei suoi obiettivi. Ma soprattutto instaura un colloquio che farà bene soprattutto agli utenti della Ulss 4 quelli a cui è dedicata

l’attività della sua Dg. E, perché no?, anche alle ambizioni professionali della manager pubblica Carraro, che, dopo aver ammesso che lei quel ponderoso contratto, così come se lo è ritrovato, oggi non lo avrebbe firmato, ci dichiara che lei, forse anche per l’esperienza fatta per gestirne le criticità, si sente adatta a gestire una delle 7 Aziende sanitarie in cui secondo il progetto di Luca Zaia si concentreranno le attuali 21. Oltre al QR Code che rilancia l’intervista video completa, perché i lettori scrutino anche negli occhi del dg mentre parla, pubblichiamo la sua trascrizione completa. Ma, tanto per capire il senso storico di tutto, senza il nostro primo articolo di denuncia, quello del 16 febbraio 2013, e senza i successivi oggi Daniela Carraro non ci avrebbe aiutato a capire qualcosa in più.

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L’ospedale Boldrini di Thiene

L’ospedale De Lellis di Schio

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Il nuovo ospedale Alto Vicentino di Santorso

Daniela Carraro: l’intervista esclusiva La bionda DG lancia la sfida da prossima super manager di una delle sette aziende sanitarie venete volute da Zaia [ Giovanni Coviello ]

D

aniela Carraro, nata a Padova, dove si è laureata in Giurisprudenza nel 1980, coniugata e con due figli, sempre iper attiva (a volte sembra non controllare la sua… foga), nella Pubblica Amministrazione dal 1984 dopo aver lavorato dal 1981 al 1983 a Milano in uno studio legale internazionale specializzato in diritto delle comunità europee, è dirigente pubblico dal 1987 e dal 1° gennaio 2013 è Direttore Generale dell’Azienda Ulss n. 4 Alto Vicentino.

Carraro è stata dirigente negli Enti Provincia di Padova, Provincia di Vicenza e Regione del Veneto per poi diventare Direttore Generale dell’Azienda Ulss n. 5 Ovest Vicentino dal 2003 al 2007 e, successivamente, dell’Azienda Ulss n. 21 di Legnago dal 2008 al 2012, anno in cui questa Ulss è risultata finalista dell‘Oscar di Bilancio della Pubblica Amministrazione per la categoria Aziende Sanitarie Locali, quale testimone della trasparenza della P.A. Con queste premesse non si capiva come la super manager non avesse deciso (non avesse il “coraggio”) di riceverci dopo qualche critichella. Ma il 13 ottobre il ghiaccio si è, finalmente, rotto.

E allora “think positive” e raccontiamo l’intervista al cui inizio la bionda Dg si è subito rivelata, piacevolmente, donna chiedendo alla sua collaboratrice di poggiarle accanto una rosa rossa in modo che la telecamera di VicenzaPiùTv non “sparasse” sul bianco del suo ufficio. A noi le rose rosse e le donne bionde piacciono e allora capiteci, alla nostra età, se qualche volta ci siamo solo limitati a ricordarle le precedenti stilettate senza sferrarle di nuovo anche perché abbiamo capito che non se le tiene ...

Dottoressa Carraro lei è direttore generale della Ulss4 di Thiene Schio, ci siamo conosciuti indirettamente non personalmente quando lei era appena arrivata a gestire questa Ulss, con al centro tutta la problematica che nasceva dal nuovo ospedale di Santorso con rimodulazione

dei ruoli di Schio e di Thiene, e noi abbiamo fotografato e “denunciato” fin da 16 febbraio 2013 la situazione dell’ospedale di Schio in cui c’era tantissimo materiale che a noi pareva abbandonato. Polemiche e discussioni, ma ad oggi dopo due anni sembra che il problema lei lo abbia risolto. Ci può dire come?

Certo, direi che il materiale più che abbandonato era disordinato in quel momento perché il trasferimento delle attività ospedaliere da Schio a Santorso era avvenuto qualche mese prima. Il trasferimento aveva portato a trasportare quello che poteva essere utilizzato a Santorso. Molto materiale era rimasto disordinato a Schio, abbandonato no, perche non era alla mercé dei passanti o dei vandali. In realtà poi il lavoro è stato fatto nel senso che è stato tutto riordinato, catalogato e messo a disposizione. Gratuitamente quello che poteva servire ad altre strutture nostre o del territorio: ad esempio case di riposo o centri per disabili, centri di salute mentale, parrocchie, onlus varie. Un po’ di materiale è stato messo nella lista regionale per le donazioni internazionali che fa la Regione Veneto nell’ambito della cooperazione internazionale, il materiale che era possibile vendere lo abbiamo venduto, stiamo ancora vendendolo: volendo si può ancora ricorrere al sito internet della Ulss 4 e si trova una modalità molto semplice per poter fare la propria offerta economica che normalmente riceve risposta positiva anche in tempi brevissimi e poi si può venire a ritirare il materiale prescelto di venerdì pomeriggio a Schio (nell’elenco dei soli beni in vendita sono stati inseriti 1195 “oggetti”, ndr).

Lei è arrivata a Santorso dopo tanti anni di esperienza di gestione pubblica, lei nasce “legale”, ho letto nel suo curriculum che per cinque anni ha operato occupandosi anche di questioni legali che avevano a che fare con le problematiche europee e poi la sua carriera è stata essenzialmente una carriera pubblica.

Ce la può ricordare, per lo meno i punti salienti Il punto saliente è che ho iniziato con una tesi in Diritto delle Comunità Europee ed una libera professione appunto nell’ambito

del Diritto delle Comunità Europee a Milano. Dopo ho scelto di fare il concorso e sono entrata nella pubblica amministrazione, alla Provincia di Padova, con pubblico concorso, sono diventata quasi subito dirigente, ho scalato vari gradini sempre con concorso compreso un concorso pubblico alla Provincia di Vicenza, mentre grazie alla “mobilità” ho lavorato con la Regione Veneto, nel 2002 ho presentato domanda per partecipare alla selezione per direttori generali nel sistema sanitario regionale, sono stata dichiarata idonea ed ho avuto il primo incarico nel 2003. Dal 2003 al 2007 all’Ovest Vicentino con sede ad Arzignano, dal 2008 al 2012 a Legnago in provincia di Verona e dal 2013 ad oggi qui nell’Alto vicentino.

Da buon “legale” non perde l’abitudine di precisare, più volte ha detto “sono andata in quel ruolo per concorso”, quindi saltiamo la domanda su cosa oggi vuol dire sanità con nomine che spesso sono legate un po’ al merito personale ed un po’ a… meriti di conoscenze politiche. Lei ha precisato più volte sono andata dove sono andata per miei meriti, gliene diamo atto e questo è dimostrabile. Nel 2012

L’intervento del DG Daniela Carraro in Ospedale alla presentazione del libro “Ospedale Alto Vicentino”

[ Sanità ]

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la Ulss di Legnago che gestiva è stata premiata con l’Oscar di bilancio…

Sì, in realtà ha avuto la segnalazione all’Oscar, cioè la mia Ulss è salita sul podio diciamo, è diventata finalista. Ma già avere la nomination vuol dire segnalarsi come sanno anche gli attori che sono finalisti all’Oscar.

Perché è stato fatto? Perché raccogliendo una richiesta, che soprattutto è tipica del mondo dell’impresa privata, di dare trasparenza ai propri conti, ai propri bilanci e di rendere chiaro nel caso dei privati normalmente agli azionisti, agli utenti e consumatori, nel caso del pubblico ai cittadini. Noi non abbiamo tecnicamente dei consumatori, abbiamo dei cittadini che diventano degli utenti ma in ogni caso sono comunque interessati al sistema…, quindi noi ci rivolgiamo a tutti i cittadini, al 100% di loro quindi.

A questi cittadini riteniamo che sia doveroso ed importante far conoscere il valore dei servizi che offriamo dando loro la dimensione economica degli stessi servizi spiegando quindi quali risorse sono impegnate per fornire questi servizi: noi riceviamo dalle tasse e poi appunto spendiamo dei soldi per i servizi per i cittadini.

Dalla trasparenza completa di bilancio di Legnago lei si è trovata lanciata nella fornace di Santorso che nasceva tra mille polemiche, bandi vinti in modi di cui si è occupata anche la stampa, ex post non soltanto la nostra, contratti che venivano dichiarati come inaccessibili perché avrebbero nascosto condizioni capestro per la Ulss 4 e così via. Come si è comportata in quella situazione in cui c’erano comitati che chiedevano visibilità e trasparenza, in cui si denunciavano favoritismi in termini tariffari per chi ha vinto l’appalto, come è stata costretta e come ha ritenuto di muoversi per ripristinare chiarezza con gli utenti?

Anche da questo punto di vista ho utilizzato lo stesso sistema, che è il sistema della trasparenza e dell’illustrare, dare in mano ai cittadini le informazioni su tutto ciò che riguardava gli obblighi, gli impegni presi dalla Ulss anche con riferimento a questo contratto. Quindi tutti i costi che affronta la Ulss 4 e il contratto di gestione dell’ospedale sono stati resi pubblici e sono stati comunicati, è stato comunicato anche il meccanismo con cui è stato costruito questo contratto che rende il contratto dell’ospedale di Santorso diverso dagli altri anche conosciuti in ambito veneto. Per esempio il meccanismo

Controllo post vaccinazione della dr.ssa Carraro in un ambulatorio Vaccinazioni del Centro Sanitario Polifunzionale di Thiene

che prevede sostanzialmente tre voci. La prima voce è il rimborso semplicemente della somma finanziaria pagata per la costruzione dell’ospedale, la seconda riguarda le apparecchiature e le terza tutti i servizi che sono dentro la gestione dell’ospedale.

Per questi servizi, giusto per focalizzarne le dimensioni, tra il 2014 e il 2015 il canone si è assestato sulla stessa cifra: l’insieme del pagamento degli oneri contrattuali che sostiene la Ulss 4 verso la gestione dell’ospedale è la stessa identica in quanto tra il 2014 ed il 2015 non c’è stato aumento di inflazione. Quindi si è congelata la cifra che è di 29 milioni di euro in tutto per le tre voci: 7 milioni di canone, che è il rimborso del capitale, puri soldi, un’altra cifra di 7-8 milioni, che è la cifra del noleggio delle attrezzature hardware e dei mobili …, poi ci sono 23 contratti di servizi esternalizzati che però erano già gestiti da privati prima della costruzione di questo ospedale. Per capirsi i pasti sia dei degenti che del personale, le pulizie, l’energia, l’asporto rifiuti, le funzioni di telefonia, la manutenzione dell’immobile… confluiscono in 23 contratti che già precedentemente erano di privati.

La novità diciamo del contratto di costruzione è che le modalità complessive per “rimborsare” i finanziatori privati dell’ospedale prevedono contratti di servizio con una durata di 24 anni. Però c’è una particolarità molto importante a cui ci stiamo preparando con molta serietà e puntiglio: è previsto che ogni cinque anni questi contratti subiscano una verifica che è stata chiamata nel contratto ‘test di mercato’, dove test di mercato significa che si valuta che cosa offre il mercato come prezzi per i beni o i servizi

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oggetto di questi 23 contratti. Se la differenza supera una determinata percentuale c’è il rischio che sia fortemente conveniente l’importo già concordato e quindi è evidente che l’Ulss si sottoporrà a quel punto ad un rischio di aumento dei costi, però siccome questo è il mercato è anche giusto che le imprese stiano nel mercato sennò poi potrebbero fallire. Se dovesse essere valutato che, invece, i prezzi che sta pagando l’Ulss sono maggiori dei prezzi di mercato abbiamo il diritto di proporre alle ditte di fare gli stessi servizi o vendere gli stessi beni con i nuovi prezzi: se non sono d’accordo e non accettano l’Ulss è libera di andare a cercarsi altri partner e, quindi, fare le gare. È evidente che questo test di mercato che è previsto contrattualmente ogni cinque anni è una forte garanzia: anche se la durata del contratto è di 24 anni, quindi molto lunga, l’Ulss non è sottoposta a degli extra costi che potrebbero far arrivare i beni o i servizi fuori mercato. Questa è una forte garanzia per la tutela dei diritti dell’Ulss. Noi intendiamo prepararci con molto puntiglio come dicevo. È bene aver fatto il punto sulla situazione del contratto e sulle varie voci di costo perché era quella una delle discussioni più ampie ma, come noto, non dipendente dalla sua volontà tra tutte le situazioni in cui si è venuta a trovare. L’immobile, questa era una delle polemiche iniziali, l’immobile e la struttura alla fine di questo percorso di 24 anni rimarrà di proprietà della Ulss 4 o sarà di proprietà di chi lo ha costruito?

Possiamo dire che è già di proprietà della Ulss 4, dal punto di vista della proprietà non è mai stato di proprietà del costruttore.

Se dovesse oggi essere lei a sottoscrivere quel contratto confermerebbe quel contratto e confermerebbe la tecnica del project financing?

Vorrei rispondere prima alla seconda domanda, se, cioè, la formula del project financing è una formula valida o no e che condivido o no. Devo dire che questa risposta la sto quasi costruendo giorno per giorno nel senso che ho cercato di accostarmi al contratto della costruzione dell’ospedale di Santorso con molto pragmatismo e senza preconcetti anche se come tantissimi manager, anche per “passione” personale e grazie a uno studio preventivo un’idea sul meccanismo della finanza di progetto me l’ero fatta perché da qualche anno era una valida op-

[ Sanità ]

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Inaugurazione della sede dell’Ulss 4, all’ex Ospedale Boldrini di Thiene, oggi Centro Sanitario Polifunzionale

zione per poter costruire opere pubbliche.

Tra l’altro avevo anche avuto occasione di vedere la prima opera pubblica costruita con finanza di progetto d’Italia che tra l’altro appartiene a questo territorio e che è il tunnel Schio Valdagno. E quindi avevo già un mio background di conoscenze teoriche sul modello contrattuale. Il modello contrattuale del project financing come tutti i modelli è neutro, in loro stessi i modelli sono buoni o sono cattivi a seconda dell’uso che ne fai. Lo strumento utilizzato nella costruzione del tunnel Schio Valdagno si è rivelato una modalità per la costruzione di un’opera che difficilmente avrebbe raggranellato con gli strumenti consueti le risorse finanziarie per la costruzione e che poi si è ripagata con i ticket di chi passava attraverso questo tunnel. Normalmente tutte le opere stradali oramai sono costruite con questa formula, quindi questa formula in sé è buona. Il problema su cui ci si è interrogati, e che io mi ero studiato anche partecipando a convegni e seminari di formazione prima di arrivare a Thiene, è quello se è idoneo anche per costruzioni complesse come gli ospedali, che sono la costruzione più complessa che esiste tra le opere pubbliche. Credo che non ce ne siano di più complesse perché di fatto bisogna avere contemporaneamente competenze di tipo impiantistico, di tipo energetico, di tipo “elettromedicale”. Oggi si dice, per esempio, che l’ospedale non è più una costruzione edilizia ma un “elettromedicale” con delle strutture edilizie intorno per la preponderanza della strumentazione e degli elettromedicali cioè delle apparecchiature tecnico/scientifiche che servono per fare le diagnosi, gli interventi. Pensi solo a tutta la robotica, pensi solo anche in sala operatoria oggi cosa è digitalizzato, per cui oggi si dice che un ospedale è un’apparecchiatura rivestita di poca edilizia. Sul project financing sono in corso studi, noi stiamo partecipando a uno studio dell’Università Bocconi anche

sul nostro contratto per poter approfondire tutti gli elementi di validità tra cui le clausole su cui bisogna tentare di fare delle rinegoziazioni così come per tutti i contratti che sono soggetti a continue rinegoziazioni.

Tutto sommato (avendo noi le disponibilità finanziarie e avendo l’interlocutore in mano il servizio) possiamo rinegoziare le modalità negli ambiti, però, previsti da chi ha scritto il contratto. Se viene fatta una continua e attenta rinegoziazione, quindi, la prima risposta alla (seconda) domanda è che lo strumento della finanza di progetto è uno strumento valido, si è dimostrato valido. Per quanto riguarda l’altra domanda, che lei ha formulato come prima, se, cioè, a questo punto per l’ospedale il contratto di project financing lo avrei fatto uguale” la mia risposta è “sicuramente no”. Perché l’esperienza ti dimostra, ma questo vale anche per gli appalti, vale per tutti i contratti,… che i ventagli, le possibilità di realizzare un’opera pubblica sono tante e vanno valutate in relazione alle condizioni di contesto. È evidente che se c’è una certa disponibilità di liquidità nel sistema bancario per finanziare investimenti avvengono alcune operazioni, quando la liquidità è più ridotta ne avvengono delle altre, ma sono tutte questioni che possono essere esaminate con trasparenza dando le idonee motivazioni e anche rendendo conto delle scelte fatte.

La ringrazio per essere stata così esaustiva su due argomenti molto delicati come quello dei materiali giacenti a Schio e l’altro, ancora più delicato, del project financing (su cui speriamo che gli studi vengano approfonditi anche sulla applicabilità o meno a un settore, la sanità, che non dovrebbe prevedere utili per i finanziatori, ma i migliori servizi con pareggi nella gestione economica, ndr). A questo punto le chiedo di fare un bilancio di questi primi tre anni di attività complessiva della Ulss 4, che include Santorso, Schio, Thiene: cosa metterebbe in cima tra le cose di cui è orgogliosa e

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cosa vorrebbe ancora fare? È una domanda cattivissima per me, per il tipo di temperamento che ho io che ho sempre una enorme lista delle cose da fare e le cose fatte quasi tendo a dimenticarle perché ormai son fatte e non mi danno più preoccupazione.

Ma io non voglio essere cattivo, oggi È cattivissima per il mio temperamento, infatti faccio anche il bilancio sociale, la documentazione per assestare le cose fatte, poterle misurare, per poterne valutare la validità, capire anche quelle cose che non sono state fatte tutte a regola d’arte per poterle migliorare e potersi anche dare delle quantificazioni sui futuri obbiettivi.

Questa lunga premessa gliela faccio per poter dire che sono molto orgogliosa, intanto, di aver chiuso l’operazione del collaudo dell’ospedale, nel senso che l’ospedale è stato consegnato ma essendo un’opera pubblica …

Non era ancora agibile (questa era un’altra delle polemiche perchè si sosteneva che per pagare il “fornitore” certe procedure sarebbero state fatte in… rapidità, ndr) …

No, no, era agibile perché c’è una serie di tecnici in contraddittorio che firmano anche il collaudo in corso d’opera, i collaudatori anche in corso d’opera firmano che si può utilizzare l’opera. Ma come per tutte le opere pubbliche dopo la consegna e l’agibilità e, quindi, dopo l’utilizzazione materiale ci sono per legge una serie di verifiche molto complesse, molto approfondite e devo dire anche molto molto difficili per chi deve subirle, in questo caso il costruttore, verifiche che sono durate tre anni. Quindi ho portato a termine il collaudo dell’ospedale, a questo punto non solo consegno (a chi nel tempo dovrà gestirlo, ndr) un ospedale funzionante, ma anche un contratto messo in “funzionamento” in maniera adeguata… Vorrei soltanto fare un inciso:… il materiale del contratto della gara lo ho riordinato ed occupa una stanza come questa (e indica il suo spazioso ma non certo faraonico ufficio, ndr),… questi 23 contratti sono 23 capitolati tutti con degli allegati tecnici anche molto complessi, le circa 7000 attrezzature nuove che sono entrate nell’ospedale di Santorso hanno 7000 manuali di funzionamento, tutto l’insieme del materiale compreso il plastico che l’aveva un po’ come dire presentato ai cittadini quando è stata vinta la gara occupa una stanza. In questi tre anni anche tramite il collaudo abbiamo approfondito potrei dire tutte le clausole contrattuali molto impattanti sul piano dei costi ed abbiamo imposto una metodologia molto rigorosa di controllo delle prestazioni del privato. Posso dire che l’altra cosa di cui sono orgogliosa è che ritengo che l’ospedale di Santorso sia un meccanismo molto complesso sottoposto a delle verifiche rigorose di funzionamento e che alcune clausole contrattuali su cui c’erano dei dubbi interpretativi abbiamo sempre cercato di interpretarle in modo molto favorevole alla Ulss, il più possibile favorevole alla Ulss 4, potrei dire

[ Sanità ]

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anche al limite del contenzioso nel senso che abbiamo ingaggiato anche delle discussioni molto accese col privato e abbiamo cercato di imporre la nostra impostazione. Quindi un ospedale così sicuro che la Protezione Civile Nazionale ci ha chiesto di mettere il sensore antisismico per l’Alta Italia dentro l’ospedale di Santorso. Perché non solo è antisismico dal punto di vista della costruzione ma è anche in una posizione sulla pedemontana interessante per captare le oscillazioni del terreno dell’Alta Italia per mandare i segnali a chi li raccoglie anche a scopi puramente di studio, quindi non semplicemente per quando avviene l’evento che auspichiamo non avvenga mai… Abbiamo raccolto anche l’adesione del costruttore perché chiaramente il sensore viene posto in certi gangli della costruzione e consuma un po’ di energia (aggiuntiva, ndr) che non era previsto che venisse consumata... Ecco, quindi, portato a collaudo l’ospedale, finito un ospedale e congegnato un sistema di controlli molto rigoroso delle clausole contrattuali, ho la certezza che è un ospedale di altissima qualità dal punto di vista della sicurezza del paziente, delle dotazioni tecnologiche. Ritengo che sia un po’ quello che alla presentazione del libro sull’ospedale un commentatore ha detto: “l’ospedale di Santorso per un visitatore non è semplicemente la somma dei due ospedali Thiene e Schio, potremmo dire che è un 1+1 che fa tre”. Ma potrei addirittura dire che è un tre che forse con l’andare del tempo ci farà vedere che vale quattro, cinque, sei. Mi auguro, comunque, molto.

Quindi un buon investimento. Cosa vorrebbe fare ancora?

L’altra parte riguarda sicuramente quello che c’è da fare, ci siamo impegnati fortemente a…

Parlo del sistema non solo dell’ospedale ma di tutta la Ulss 4 Certo. Un’assistenza sanitaria di eccellenza richiama, richiede, costringe. Richiama ciò che c’è, richiede rispetto a ciò che può essere espresso dall’insieme dei servizi intorno, però costringe anche a migliorare e, quindi, un’interazione forte con i medici di medicina generale, con la parte della prevenzione, con l’igiene pubblica, le vaccinazioni, l’assistenza nel territorio, l’assistenza nelle case di riposo, l’assistenza nei centri per disabili, l’assistenza per la salute mentale. Richiama, richiede e costringe tutto l’insieme

Inaugurazione del bar nella casa della salute di Schio

dell’assistenza socio sanitaria del sistema a elevarsi di qualità, quindi diventa un fattore di qualità, diventa un ganglio che impone molte altre qualità. L’altra parte (dell’impegno, ndr) è dedicarsi in maniera approfondita, strutturata, potrei dire scientifica e con degli step da evidenziare con degli indicatori rispetto a tutto il resto del sistema e poi accreditare l’eccellenza dell’ospedale.

Chiudiamo con due domande “politiche”. La prima: si parla continuamente di tagli alla sanità, una parte di questi tagli vengono percepiti sicuramente come razionalizzazione delle spese in certi settori, in certi ambiti, in certe zone piuttosto che in altre c’erano degli sprechi questo è oggettivo.

Come possono ricadere questi tagli annunciati sulla nostra comunità e quale è la sua sensazione?

Innanzitutto la spesa, vorrei rispondere mandando un messaggio di responsabilità ma anche di serenità ai cittadini. Quando parliamo di spese, di costi all’interno delle nostre riunioni con medici, personale, dirigenti io dico sempre «guardate che stiamo parlando di tagliare costi “inutili”, stiamo parlando di ridurre i tempi “morti”». Io dico sempre «guardate che quando si parla di questi concetti bisogna sempre usare l’aggettivo, cioè non si parla di tagliare dei costi ma costi sovrabbondanti o costi appunto inutili o spese superflue» e dico sempre che «molto del nostro risparmio sarà anche quello di risparmiare i tempi che vuol dire tempi del cittadino rispetto alla prestazione, che vuol dire i tempi nostri, i tempi di risposta». Quindi c’è un discorso di assunzione di responsabilità e quindi dico sempre «attenzione non parlate mai di tagli, dite sempre un aggettivo e specificate di cosa stiamo parlando…». Quindi stiamo facendo un lavoro che, come dire, non è di oggi ma che oggi viene intensificato sulla base delle richieste del nostro ordinamento, appunto, del sistema nazionale e del sistema regionale. Ma non è di oggi il lavoro sull’appropriatezza, sul lavorare sulla specificazione della domanda, del perché si fa una determinata scelta clinica e terapeutica.

Quando si chiede al medico di medicina generale «tu quando chiedi per esempio di far fare una elettromiografia - è un esame che abbiamo fatto quasi tutti credo quello con gli aghi sul braccio lo abbiamo fatto quasi tutti per qualche dolore -, sappi che è un esame molto richiesto su cui possiamo anche avere dei tempi molto lunghi di risposta perché la richiesta continua ad aumentare». Allora noi si chiede al medico «tu specifica il perché, quale è la patologia che sospetti, orienta noi a decidere quando dobbiamo darla rispetto al bisogno del paziente ma orienta anche chi sta facendo l’esame a farlo in un determinato modo perché sa già a che tipo di sospetto sta rispondendo». Questo è, quindi, un modo in cui non solo riduciamo i numeri delle prestazioni ma le facciamo più approfonditamente con più responsabilità e da un certo punto di vista direi «cittadino stai tranquillo perché il sistema è chiamato a dare di meno in quantità

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e di più in qualità». Certo dovremo tutti vigilare perché questo imperativo sia veramente l’imperativo che ci guida e nessuno di noi cerchi delle scorciatoie facili. Siccome si corre il rischio, siamo esseri umani, di arrivare a delle conclusioni in maniera affrettata cerchiamo di essere molto, molto approfonditi quando facciamo questi ragionamenti. Per quanto riguarda lo scenario che riguarda tutto il sistema è uno scenario in grande movimento, di grande interesse perché sicuramente dopo vent’anni innovare nel sistema era necessario. Quindi come nel momento della terapia e delle scelte cliniche siamo tutti chiamati a cercare i farmaci più adeguati e più moderni, le tecniche chirurgiche, le tecniche diagnostiche più attuali, a non fermarci mai rispetto a ciò che sapevamo e, quindi, come il nostro sapere ha sempre bisogno di essere molto nutrito di ulteriore conoscenza, così il sistema dell’organizzazione ha bisogno di essere innovato. L’innovazione ben venga, ma le innovazioni devono essere ponderate e fatte in maniera adeguata e chi sta provvedendo lo farà.

L’ultima domanda: riforma delle Ulss venete, il presidente Zaia ha annunciato l’azienda zero e sette aziende che vanno a ridurre la numerosità delle aree, da 21 a 7. Come si vede lei in questa riforma? Come ex futuro direttore generale di una delle 21 Ulss attuali, come e dove si vede in prospettiva nelle 7 Ulss successive?

Personalmente io sono candidata, io mi sono messa nell’elenco sono stata inserita nell’elenco per i nuovi incarichi, ho i titoli, ho le competenze, le metto a disposizione…

In bocca al lupo a chi finalmente ha, in questi tre anni, imparato anche a “confrontarsi” apertamente e con trasparenza con chi lavora per dare un servizio pubblico, il migliore possibile: Daniela Carraro nella sanità, noi nell’informazione.

L’intervista esclusiva a Daniela Carraro

Vecchio ospedale di Schio, il primo articolo su VicenzaPiù del 16 febbraio 2013)

Vecchio ospedale di Schio, le immagini pubblicate il 19 febbraio 2013

Cessione beni aziendali della Ulss 4

[ Sport ]

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Ginnastica Ritmica a Santa Croce Bigolina, in un mondo di lupi, attimi fuggenti e spread alle stelle [ Martina Magnaguagno ]

L

’appuntamento con il presidente Magrin della Vicenza Ginnastica era il piazzaletto della Chiesa di San Giorgio in Gogna, “mia parrocchia dal ’63, quando con l’arrivo di don Ettore ebbe inizio quella bella stagione di fioritura di questa Chiesa e dei quartieri San Giorgio e Gogna. Nei primi anni ’50 la Gogna faceva parte della Parrocchia di Santa Caterina”, continua mentre in macchina mi accompagna alla riscoperta di un’altra realtà dove la Ginnastica Ritmica è di casa da 15 anni: Santa Croce Bigolina, a sud della Città; ” si attivava allora in modo ammirevole un chierico, don Giacomo, che raccoglieva noi ragazzini e sul finire di ogni Aprile dichiarava aperti i Giochi di San Giorgio con le pignatte che si rompevano in quei prati, che nei successivi anni diventarono fondazioni per case. Con le corse in bicicletta lungo quella stradina dove erano stati piantati, stecchi lunghi e magri verso il cielo, quei platani che ora guardano la trafficatissima via Fusinato, chiave di volta tra l’est e l’ovest cittadino”. Lasciamo a destra la Rotonda, “ecco, da qui comincia il nostro bacino d’utenza, continua, da Campedello a Longare, da Arcugnano a Fimon.” Entriamo in rotatoria all’altezza del Supermercato e superiamo la Circoscrizione 2, lasciando a destra i condomini affollati di via Einaudi. “Fino all’anno scorso eravamo qui nella palestra della media Scamozzi in coabitazione con il volley locale, l’Antares. Villette a due piani si susseguono a sinistra ad altrettante villette con verdi e curati giardini. Un grande parcheggio circondato su due lati da impianti sportivi, il tennis e un campo da calcio.

Veramente una bella entrata a sud di Vicenza, anche se invisibile ai più. Di fronte, la scuola primaria Pertini, una garanzia di serietà, se non altro per il nome, precisa Magrin mentre attraversiamo la strada per raggiungere la scuola e la Palestra, staccata a sinistra dal principale corpo di fabbrica. Nel giardino della scuola, alberi ed ancora alberi di alto fusto con le targhette bene in vista per distinguere una specie arborea dall’altra. Veramente un bel lavoro per chi mantiene e salvaguarda questo bene prezioso a vantaggio della comunità.

Ecco, entriamo nel nuovo regno di Marta Magrin, la Responsabile Tecnica della Vicenza Ginnastica ed Istruttrice qui, Tecnica Regionale di Federazione e Giudice, ”figlia d’arte per impegno e dovere, interviene il presidente, che con indubbie capacità è riuscita in quindici anni a farsi apprezzare, progettando movimenti di massa ai Saggi e contribuendo lei e le insegnanti tutte a stravolgere il concetto di Palestra, quello stesso pensiero che non è stato raccolto da nessun’altra Associazione. E forse è un bene. Ognuna intenta a guerreggiare, con l’inferno nel cuore per rubarsi spazi a vicenda, tra il basket e il volley a farla da padrone, una ventina o poco meno di Associazioni nel mondo biancorosso cittadino.” Entriamo che sono le

Santa Croce: 1° e 2° corsi riuniti

cinque del pomeriggio meno qualcosa. Anche qui come alla palestra del Laghetto corsi in contemporanea, il primo a destra con la maestra Lidia, (e vedendola, sono all’improvviso tornata bambina quando la mia passione si chiamava Barbie) e a destra con la maestra Marta il secondo corso. “Ecco, interviene il presidente, la realtà è questa. Avevamo richiesto a Giugno di allungare di mezzora la nostra presenza alla Scamozzi, portando quindi la Ritmica dalle 16.10 alle 19.30, tanto il martedì quanto il giovedì, 6 ore e quaranta in tutto a settimana, richiesta che non mi sembrava un’eresia o blasfemia, dato il concetto, questa volta sì blasfemo, di equiparare la palestra in sé quale luogo sacro per quelle due attività sportive che fanno man bassa degli spazi al chiuso a Vicenza. Ci venne assegnata la Pertini per aderire al surplus richiesto. E poi questa mezz’ora è stata ridotta a quindici minuti il giovedì, dopo un lungo ed estenuante dibattere: noi che abbiamo uno spread da paura in ogni palestra, quel differenziale sportivo di atlete per ora di utilizzo, che dovrebbe far sbiancare e contemporaneamente arrossare di vergogna chi pretende che la palestra sia ad uso e consumo di pochi intimi e degli utilizzatori abituali, ormai allenati ad ogni dove a determinare la proprietà esclusiva. Cose da folli; cinque corsi di atlete in 200 minuti il martedì e 185 minuti il giovedì, di poco e ancora per poco, sotto il numero 100, tutte insieme e accavallate, appassionatamente. Ma l’anno prossimo non sarà così, chiosa il boss della ginnastica per adulti locale, minacciando fuoco e fiamme con l’Assessorato per il calo degli iscritti, avvezzi a fare l’attività alle stesse ore, stessi giorni, con quella monotonia che ti riempie il cuore, senza guizzi o scatti… prima o dopo il telegiornale e a letto dopo Carosello.

Quelli stessi adulti e anziani che senza dubbio avranno una o due nipotine alla Ritmica, e che forse a qualcuno non riesce e non vuole guardare le cose da angolazioni diverse; pretendono e non sanno combattere per trovare la propria voce. Chi non ricorda, continua il presidente Magrin, guardandomi negli occhi con i suoi, misti di quel giustificato dispiacere che convive

da tempo con muri di gomma, chi non ricorda l’Attimo Fuggente dell’ 89 del secolo scorso e la magistrale interpretazione del compianto Robin Williams… “guardate questi visi del passato, non molto diversi…pensano di essere destinati a grandi cose. Rendete straordinaria la vostra vita. Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola, e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà.” Sono quasi le sette di sera e mi rendo conto solo ora di aver parlato di altre cose e poco di Ritmica. Parlare della professionalità delle due insegnanti in palestra mi risulta decisamente superfluo e fuori luogo. Basta aprire gli occhi se vuoi vedere: lo avverto io stessa, catapultata per caso nel mondo della Ginnastica Ritmica. Un attaccamento e una devozione delle atlete che aumenta e cambia a seconda dell’età delle ginnaste. Più intenso e profondo con le più piccole, più mirato e accattivante, quasi fraterno con le più grandi, da amica ad amica, da adolescente a consigliera. Una bellissima scuola di vita, dove in modo percettibile e palpabile si coniuga quel famoso motto dei nostri antichi…mens sana in corpore sano.

Rientriamo in macchina verso la Città; ora capisco cosa intendeva il presidente invitandomi con un titolo particolare a sussurrare di lupi presenti da tempo, non come i cinghiali scesi al piano ed intenti a razzolare ad Altavilla (una delle prossime tappe della sedi della Vicenza Ginnastica) nel prato di casa del sindaco Catagini, Claudio per gli amici, precisa Magrin; e parlare pure di attimi fuggenti e di spread alle stelle.

Ed ecco la mia macchinetta, ad attendermi nel piazzaletto della Chiesa di San Giorgio, a fianco di quel muro di mattoni che sta in piedi per miracolo, memoria di quell’antico Ospizio, e parete nord dell’officina di Tomasini, il meccanico di biciclette e motorini della Gogna, con quelle tre finestre, di cui una accecata, unici pertugi con cui si controllava l’assonnato viale Fusinato negli anni 50. Prossima tappa forse Montecchio Maggiore, l’Anna Frank, la media…dal tubo blu, a seconda degli impegni di entrambi.

[ Società & religione ]

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Don Maurizio Mazzetto, il parroco dalla “vita spericolata” che lotta con pacatezza [ Andrea Fasulo ]

Dalle lotte con i No Dal Molin all’accoglienza dei profughi, don Maurizio ci racconta la sua vita sempre in prima linea per la non violenza e la difesa dei diritti umani. noscono e che lo accompagnano nelle sue battaglie. In quell’occasione ha voluto scrivere un testo per ripercorrere la strada intrapresa fino ad allora: quel testo aveva un titolo significativo, “30 anni di vita spericolata, pacato ma non placato”. Sta tutta in questa frase la storia di don Maurizio Mazzetto, parroco di Vigardolo, che in tanti in città conoscono per le sue lotte in difesa dei diritti civili, per la non-violenza, contro il razzismo, noto soprattutto per essere coordinatore di Pax Christi a Vicenza e uno degli ispiratori dell’anima cristiana del movimento “No Dal Molin”.

Don Maurizio è nato a Pojana Maggiore, e dopo essere stato ordinato prete nel 1982 è stato viceparroco per alcuni anni nelle parrocchie di S. Paolo e Araceli a Vicenza, poi per 11 anni parroco in un piccolo paese vicino a Recoaro Terme, infine da 7 anni a Vigardolo. Ma la sua attenzione è sempre stata anche per “l’altra parrocchia”, come la definisce, cioè la società, le persone che stanno fuori dalla chiesa.

La sua “vita spericolata” parte quasi subito, fin da quando, nei primi anni ‘80, collabora con la Pastorale del lavoro della Diocesi vicentina, allora retta da Monsignor Arnoldo Onisto, vescovo dal 1971 al 1988. Erano gli anni dei “preti operai”, che frequentavano le fabbriche e spesso erano vicini alle lotte dei lavoratori. “Passavamo il pomeriggio della domenica con le famiglie degli operai dell’ex Cotorossi.

Anni in cui la Chiesa vicentina, grazie al vescovo Onisto, era molto aperta” ricorda don Maurizio. “In quegli anni ho contribuito a fondare Pax Christi a Vicenza, insieme a Gianni Lorenzetto e Giancarlo Lorenzin”. Le battaglie del pacifismo, anche quello cattolico, erano a fianco degli obiettori di coscienza, che rifiutavano le armi e il servizio militare obbligatorio. E poi le manifestazioni e i movimenti contro gli euromissili a Comiso nel 1981, con la partecipazione attiva di molti cattolici.

“Le prime attività erano proprio a fianco degli obiettori. Io stesso, insieme ad altri, facevo obiezione di coscienza alle spese

don Maurizio Mazzetto

militari, rifiutandomi di dare quella quota di tassazione che allora era prevista nella dichiarazione dei redditi. Alcuni subivano conseguenze per questo atto, le autorità arrivavano a pignorare mobili o elettrodomestici dalle case. Oggi esiste una proposta di legge, che ha raccolto migliaia di firme, per l’istituzione di una difesa non armata, che è il frutto di quello che si faceva in quegli anni”.

Sempre negli anni ‘80 don Maurizio incontra alcuni ragazzi che gli parlano della loro omosessualità e del desiderio di ritrovarsi in gruppo per pregare e partecipare alla messa. Nasce la Pastorale delle persone omosessuali: “Il gruppo di allora esiste ancora, si chiama La Parola. Alcuni di loro hanno vissuto con estrema difficoltà la loro condizione, non di rado venivano allontanati dalle proprie famiglie”. Poi l’esperienza dei Beati Costruttori di Pace, di cui è tra i fondatori, insieme ad Albino Bizzotto e Alex Zanotelli e, a Vicenza, don Mario Costalunga. “Una realtà con una dimensione più ampia, che andava

oltre il Veneto. Facevamo grandi incontri all’Arena di Verona. Un anno il tema era il cinquecentenario della scoperta/conquista dell’America, un anno l’Apartheid in Sud Africa, sempre con tanti ospiti che venivano da tutto il mondo a raccontare le loro esperienze e le loro battaglie per la pace e i diritti umani”.

Poi qualcosa cambia, soprattutto a Vicenza. “Con l’arrivo di Pietro Nonis come vescovo la situazione della Chiesa vicentina è cambiata notevolmente. È cambiato il clima, si sono spente tante realtà sociali vicentine”, ricorda don Maurizio. Con Nonis il rapporto non era dei migliori, e arrivò anche qualche “tirata d’orecchi”: “Come quando feci una dichiarazione durante un’intervista in occasione delle elezioni europee, in cui mi rallegravo per l’ingresso nel Parlamento europeo di forze ecologiste e pacifiste”. Il vescovo non la prese bene. Fu un periodo di congelamento per le realtà associative del pacifismo beriche.

Eppure di lì a pochi anni il risveglio dei

[ Società & religione ]

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la guerra nelle Prealpi vicentine, in cui insieme all’escursione si organizzano letture da testi e momenti formativi curati da storici ed esperti degli avvenimenti bellici.

Sull’onda di questa esperienza è nato un sito internet, curato direttamente da don Maurizio, www.inutilestrage.it, in cui si offrono a studenti, insegnanti, accompagnatori turistici e appassionati documenti scritti, foto, audio e video, che raccontano la guerra al di fuori della retorica nazionalista. Guerra che fu non tanto una Vittoria, ma una “inutile strage”, come la definì l’allora papa Benedetto XV. Nonostante la base Del Din oggi esista e il movimento si sia affievolito don Maurizio dunque non si ferma. A settembre erano in cinquemila sulle Tre Cime di Lavaredo, incatenati insieme in un “abbraccio di pace”, in una manifestazione organizzata da Am-

L’abbraccio di pace alle Tre Cime di Lavaredo

movimenti sarebbe stato esplosivo. Prima con il G8 di Genova e poi, a Vicenza, con la battaglia contro la nuova base militare americana. “La vicenda Dal Molin ci ha rimesso tutti in gioco. In quell’occasione criticai il vescovo di allora, Cesare Nosiglia, a causa della sua equidistanza sul tema della base militare. Per me voleva dire accettare lo status quo, e non mi andava bene. Io credevo nella strada della non violenza e pensavo che la Chiesa dovesse prendere posizione fermamente, non accettare qualsiasi punto di vista.

Allora la Chiesa vicentina è mancata, e posso dire lo stesso per il settimanale diocesano, La Voce dei Berici”. Nel 2009 don Maurizio arriva persino ad attuare uno sciopero della fame per la pace, che lo vede presidiare per giorni l’Esedra di Campo Marzo per ribadire, con il proprio impegno personale e mettendo a rischio la propria salute, i temi per cui si batte da sempre.

“Oggi la base purtroppo esiste, ma con Pax Christi si va avanti comunque, indipendentemente da questo”. In una recen-

don Maurizio Mazzetto nella nostra redazione

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don Maurizio durante il digiuno per la pace

te occasione, durante una marcia CuneoBoves (luogo in cui fu perpetrato il primo eccidio nazista in Italia durante la guerra), don Maurizio ha avuto ancora modo di parlare dell’esperienza del movimento No Dal Molin, equiparandolo ad una forma di Resistenza non violenta. “Il principale filone della mia vita è proprio la Resistenza. Per motivi familiari, perché mia madre fu staffetta partigiana e mio zio commissario politico nelle formazioni partigiane del basso vicentino. Una delle persone da cui traggo maggiore ispirazione è Dietrich Bonhoeffer, teologo entrato nella resistenza antinazista che fu tra i partecipanti all’attentato a Hitler del 20 luglio 1944”.

Tra i più recenti interessi c’è quello per la memoria della Prima Guerra Mondiale.

Nel 2011 per sua iniziativa sono nate le escursioni storico-pacifiste, sui luoghi del-

nesty International per i diritti umani, per la pace e per l’accoglienza dei profughi. E anche lì don Maurizio c’era.

“Bisogna accogliere i profughi in nome della legge, non della bontà, perché siamo cittadini e dobbiamo agire in nome dei nostri principi di cittadini, fondati sulla Costituzione. Non bisogna lasciare questa cosa ai volontari, o alla stessa Chiesa, bisogna che tutti siano coinvolti, che tutti siano parte di una crescita collettiva”. Anche se i cittadini sono spaventati e si rinchiudono? “Ma il prete, come diceva Don Milani, non deve per forza farsi voler bene. Non deve soprattutto cercare il consenso, perché deve indicare una via, stare alla testa del gregge. Per questo io vado avanti comunque”.

[ Slow economy ]

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L’orto start-up di quartiere: prendi quello che vuoi e paghi senza cassiere Matteo Belpinati dopo essere tornato dall’estero ha deciso di coltivare un orto senza trattamenti di origine chimica o sintesi, coinvolgendo il quartiere delle Maddalene, le scuole del territorio. Una “start-up agricola” per la quale vende gli ortaggi in surplus al dettaglio, con il pagamento che è fai da te... [ Edoardo Andrein ]

“

Pensare globalmente, agire localmente”. All’ingresso dell’orto campeggia questa frase. Ci fermiamo una mattina di inizio autunno attirati dal cartello appeso su una bacheca di legno lungo la strada, poco prima dell’imbocco alla pista ciclabile (in attesa da anni di essere illuminata alla sera...) che porta alle risorgive della Seriola in via Cereda al quartiere delle Maddalene. Sopra un banchetto ci sono dei cesti di ortaggi esposti, una lista con i nomi delle verdure e i relativi prezzi al chilo, una spartana bilancia con lancetta e un barattolo di vetro con dentro monete e banconote.

Nelle vicinanze, però, non c’è nessuno.

Una signora nel frattempo si ferma in bicicletta.

“Per pagare come si fa?”.

Tra le piante dell’orto sbuca una persona che, udite le voci, si avvicina. Sembra sconsolato. Forse non è la prima volta che sente la domanda....

“Su quel foglio ci sono i prezzi, lì c’è la bilancia e più in là c’è il barattolo dove mettere i soldi: servitevi pure” risponde con gentilezza il giovane.

Non hai paura che qualcuno ti rubi qualcosa o faccia il furbo sui prezzi?

“Se lo fa, vuol dire che ne aveva bisogno”, risponde impassibile Matteo Belpinati, trentenne vicentino che, dopo essersi diplomato in elettrotecnica all’Itis Rossi, all’università ha preso una strada completamente diversa: Scienze e tecnologie per l’ambiente.

“Una laurea che mi ha portato a frequentare un master in biologia ambientale a Girona, in Spagna – racconta Belpinati - e a lavorare come assistente in diversi pro-

Matteo Belpinati nel suo campo

getti di ricerca sviluppati dall’Università di Granada assieme all’Università di Zurigo in Andalucia (Spagna), e in Australia a Melbourne, nello stato di Victoria dove ho lavorato con l’università di Melbourne e la canadese Università di Sherbrooke, come assistente alla ricerca sulla cooperazione familiare che caratterizza alcune specie di uccelli e sull’allevamento dei piccoli e il loro sviluppo nei canguri”.

Quanto tempo sei stato fuori dall’Italia?

“In Spagna ho vissuto per tre anni, mentre in Australia uno. Quando vivi all’estero, quando stai distante dalle persone a cui tieni, è un pensiero costante quello di voler sviluppare un’idea nel posto in cui sei cresciuto: l’idea di questo orto alle Maddalene è nata dall’esperienza in Australia, per cercare di fare qualcosa di concreto insieme alle persone a cui tengo”.

Queste permanenze all’estero hanno influito sull’idea del tuo orto a Vicenza?

“Ricordo con molta gratitudine il periodo in cui ho vissuto in una riserva naturale gestita dal SEO Bird/Life (LIPU spagnola) vicino al Parco Naturale del Delta dell’Ebro in Spagna, in cui oltre al lavoro di conservazione si univa la produzione: avevamo un orto, ma tutto intorno anche risaie coltivate in modo biologico, l’unica produzione di riso biologico del Delta sulla quale c’è stato un forte contrasto con i produttori convenzionali che utilizzano erbicidi e pesticidi lanciati addirittura con gli aerei.

A che punto è lo sviluppo dei prodotti biologici nel vicentino?

“A livello commerciale forse in Italia siamo più avanti anche della Spagna: è più radicato il commercio soprattutto grazie ai GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale, presenti in diverse realtà nella provincia di Vicenza, ma anche nella città berica. Poi con i mercati: la seconda domenica del mese, per esempio, l’associazione A.Ve.Pro.Bi assieme ad un gruppo affiatato di produttori e consumatori organizzerà a partire dal prossimo 8 novembre nel quartiere dei Ferrovieri un mercato “Genuino ai Ferrovieri” al quale parteciperanno anche produttori non certificati biologici ma che autocertificano di lavorare in modo rispettoso dell’ambiente: un sistema che si basa sulla fiducia del produttore e prende il nome di “Sistema a garanzia partecipata””.

In cosa consiste?

I produttori si autocertificano, a monitorare la situazione sono gli stessi altri agricoltori e contadini del mercato che vanno a controllare il rispetto della situazione ambientale e la salubrità degli alimenti, prodotti coltivati senza trattamenti di origine chimica o sintesi. È un sistema praticato con successo già in altre piazze italiane, per esempio l’esperienza di Campi Aperti a Bologna, che trae spunto, come altre realtà, dalla lotta per l’autodeterminazione alimentare praticata come Genuino Clandestino.

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La cassa

Dietro alla creazione dell’orto c’è quindi anche una filosofia sociale e ambientale?

Il mio intento è anche quello di far capire l’importanza del ritorno alla terra che si collega ai bisogni che abbiamo di rifornirci di alimenti e di auto produrceli. E allo stesso tempo di rimettere i “piedi per terra” in relazione al nostro uso di suolo a livello globale, con la possibilità di vedere anche con occhi diversi chi produce l’alimento. Mi piace poi l’idea che l’esistenza dell’orto in questo terreno, che è classificato come terreno edificabile, per ora ha fermato nuovo cemento, visto anche il recente report di Ispra sul consumo di suolo con il dato allarmante di 55ha/g di terreno consumato irreversibilmente in Italia!

Che tipo di “utenza” ha il tuo orto?

Qui si ferma chiunque, dal ragazzo giovane al pensionato fino a chi va a portare a passeggio il cane o ai tanti ciclisti che usufruiscono della pista ciclabile: mi piacerebbe che da luogo di passaggio questo diventasse un luogo di esperienza e dialogo. Spesso si fermano persone per parlare di agricoltura, come l’anziano che ricorda i propri trascorsi agricoli da giovane, il vicino che ti porta qualche pianta o seme da diffondere o a volte un gruppetto di signore che discutono di cibo. Ma soprattutto sono contento di aver coinvolto anche i bambini delle scuole.

In che modo li hai coinvolti?

Da qualche mese sono Guida Naturalistica Ambientale e ho proposto a bambini e bambine della scuola primaria Jacopo Cabianca insieme alle insegnanti la piantumazione durante le ore di scuola di una lunga siepe monofilare mista di circa 70 piante sia arboree che arbustive della nostra pianura: è stata un’occasione per riflettere sull’importanza difensiva, ornamentale, naturalistica e schermante delle siepi nelle nostre campagne. Il desiderio è che gli alberelli crescano robusti e forti così da offrire riparo e nutrimento all’avifauna e da garantire un effetto decorativo grazie a fiori e frutti di vario colore nelle

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Melanzane a frusta

diverse stagioni, ma che possano anche creare una fascia tampone tra la strada e l’orto.

L’idea dell’orto quando ti è nata?

La prima semina è datata novembre 2014, con quattordici varietà diverse di frumento che riseminerò insieme ai bimbi della scuola materna delle Maddalene durante la Festa del Ringraziamento.

Sono tipi di frumenti che non si coltivano più nelle nostre campagne, come il “gentil rosso” che una volta era il più coltivato, ma oggi purtroppo si preferiscono altre tipologie più produttive, dato il vastissimo uso di derivati del frumento, che a mio parere perdono di sapore e agrobiodiversità. E che in più, se c’è una infestazione di qualche parassita, sono meno resistenti...

Ma il tuo obiettivo con l’orto qual è?

Il mio intento è di riuscire a raggiungere un’autoproduzione per coprire le esigenze alimentari mie e della mia famiglia: poi il surplus di produzione lo posso vendere a “bordo campo”. E’ stato anche un mettermi alla prova con una cosa concreta, senza passare la giornata a spedire nel globo curriculum e carte di presentazione: coltivare un orto come il mio dà un motivo valido per alzarsi presto la mattina, conoscere nuove persone e quello che succede fuori da casa o dagli uffici.

Finora ho avuto grosse soddisfazioni al livello personale.

Torniamo al pagamento fai da te di cui abbiamo parlato all’inizio di questa intervista.

Non è una pratica comune in Italia...

Per me è parte di quella che viene denominata Economia della Fiducia, teorizzata da Eloi Laurent nel libro omonimo. È una pratica che ho notato soprattutto in Australia, ma che è presente anche in altre parti del mondo: nel mio caso espongo la produzione in modo che venga autogestita dal pagamento di ciascun acquirente. Ma è possibile anche servirsi da soli per raccogliere gli ortaggi: può essere una forma interessante di benes-

sere umano passare qualche minuto in mezzo ad un orto, guardare i colori e le verdure che crescono. Finora ho notato che nessuno ha fatto il furbetto. Inoltre per la verdura che rimane invenduta e che dovrei buttare perché non più fresca, do a chi ne ha bisogno la possibilità di prenderla gratuitamente: una signora mi ha anche telefonato per ringraziarmi di questa possibilità...

Ci dici qualche tipologia di prodotti che coltivi nell’orto?

Quest’estate ho coltivato una decina di varietà di pomodori, cinque di melanzane, altrettanti peperoni, cetrioli, finocchi, radicchio selvatico, rucola, basilico.

Nei mesi più freddi tre varietà di cappucci, altrettante di cavolfiori, cavolo nero e rape, cinque varietà di radicchio ed aglio.

C’è anche qualche ortaggio particolare, meno conosciuto sui banchi tradizionali di ortofrutta?

Le cornette, per esempio, che sono dei particolari fagiolini, o il fagiolo dell’occhio, un sapore che si fa fatica a trovare negli altri fagioli, ricorda i sapori antichi di una volta. Oppure le melanzane a frusta (che ci mostra nella foto ndr), che ho “scovato” anche nell’orto di un cinese che abita qui vicino...

Perché se il mondo oggi è globale, coltivare la terra lo è sempre stato.

Consumo di suolo secondo il rapporto dell’Ispra

Economia della Fiducia, di Eloi Laurent

[ Quartieri ]

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Addio “Geografica”, 25 anni in corso San Felice con la passione per la cartografia Si trasferirà a Pederiva di Grancona il negozio di Giuseppe Baruffato, uno scrigno che racchiude oggetti che sembrano raccontare storie di un’altra epoca [ Andrea Fasulo ]

La vetrina del negozio Geografica

L

a passione per la geografia e per la cartografia a Vicenza ha un nome e un luogo preciso di riferimento: “Geografica”, il negozio che da 25 anni in Corso SS. Felice e Fortunato soddisfa le esigenze di palati decisamente raffinati, in cerca magari di una mappa del Togo o di carte dell’Alto Vicentino al tempo dello scoppio della Grande Guerra.

A fine anno si trasferirà sui Colli Berici, precisamente a Pederiva di Grancona, più vicino all’abitazione del suo titolare, e lascerà dopo tanti anni la storica sede. E così Vicenza perderà un piccolo tempio per gli appassionati del genere. In un periodo in cui tutto sembra a portata di mano sul proprio smartphone il negozio di Giuseppe Baruffato è uno scrigno che racchiude oggetti che sembrano raccon-

tare storie di un’altra epoca. Non pensiamo però ad un locale polveroso e deserto: mentre intervistiamo Baruffato nel negozio è un continuo via vai di clienti, cosa che ci stupisce non poco.

“Qui entrano clienti meno esperti che magari cercano carte geografiche per i loro viaggi turistici. Sono carte che si trovano un po’ dappertutto ma non tutti hanno la scelta che c’è qui. Qui si trova tutto il mondo” racconta il titolare. “Poi abbiamo un tipo di clientela legata ad attività commerciali o dei servizi, che cercano grandi carte per individuare punti vendita o circoscrivere i territori di pertinenza dei vari venditori. Per questo noi produciamo appositamente pannelli geografici di grandi dimensioni, plastificati in modo

che ci si possa scrivere sopra con pennarelli o appuntare bandierine”.

E poi c’è la clientela più esigente. Quella che magari chiede una delle 11mila carte in cui è divisa l’Italia prodotte dall’istituto geografico militare. Oppure carte storiche che risalgono al 1908. Poi c’è il pezzo forte della collezione, una mappa del globo illuminata e sincronizzata con il movimento del Sole, che mostra in ogni momento quali sono le zone della Terra illuminate e quali sono al buio.

Giuseppe Baruffato ha iniziato aprendo una cartolibreria, e poi un po’ alla volta ha deciso di seguire la sua grande passione per la cartografia, dedicando un negozio specificatamente a questo settore. Negli anni ha sviluppato anche un’attività di cartografo in proprio, producendo, dopo un lungo lavoro di rilievi che può durare anche mesi, cartine che gli vengono commissionate dai comuni.

Ora, dal 2016, la nuova avventura, lontano però da Vicenza. Niente paura per gli appassionati di geografia però: il nuovo sito in preparazione permetterà di scegliere e ordinare online tutto quello che serve. Con buona pace di chi pensa le mappe di carta e internet non possano andare d’accordo.

Viale Milano 32, 36100 Vicenza. Tel. 0444 322917

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L'INTERVISTA

di STEFANO ROSSI

ROBERTODALLAVECCHIA n. 280 - 29 ottobre 2015

[ Quartieri ]

Dopodieci anni Grazie a Ladislao anche all’Inps diVicenzAcustica si può entrare col sorriso èora di lasciare S S

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Ormai è un’icona. Divisa verde, orecchino, occhiali da sole, una buona parola per tutti. Ed anche entrare nel vortice della burocrazia può sembrare più sopportabile RobertoDalla Vecchiasul palco diunadelle precedentiedizioni abato prossimo

Posto che sono stati dieci anni bellissimi, nel corso dei quali Vicenza con la sono riuscito a portare a decima edizione di Vicenza artisti VicenzAcustica, che per interessantissimi e siete stati almeno una volta nellasia a livello l'occasione al Teatro dell’Inps nazionale internazionale, sedetorna provinciale di che VicenAstra, dove nacque la devo però dire che è una za in Corso S. Felice non potete non rassegna di chitarra acustica manifestazione che è aver fatto conoscenza con difficilissima lui. Divisa da verideata e realizzata dal organizzare, chitarrista vicentino Roberto praticamente – de, occhiali da sole, capellisoprattutto di media–lunDalla Vecchia, organizzata da soli. Io sono già insegnante ghezza, orecchino al lobo, qui lo conoscodall'associazione culturale e musicista a tempo pieno e no tutti: è Ladislao, la guardia Suoni D’Istante in quindiCivis mi erache sempre più collaborazione con il Comune trovare ormai è diventata un’icona.difficile Perché non loè spazio tra le di Vicenza e il sostegno della mie attività da dedicare a più solo una guardia giurata, pur portando scuola di musica Dalì School.

VicenzAcustica. Se non una pistola alla cintola, ma è, lui da via solo, Dalla Vecchia per portandolo alle altre mie l’occasione sul palco attività... che vi un interosalirà comitato d’accoglienza con (Usa) faràSteve perBaughman un attimo dimenticare di essere che viene da San Francisco ed Anche quest'anno è stato così entrati nel sancta sanctorum della temuè conosciuto come il Celtic denso di attività?

Ilchitarrista, compositore edocente vicentinoha in mentediversi progettiper il prossimofuturo Fingerstyle Guitarist per tissima burocrazia italiana. Sì, è stato un periodo Ladislao, guardia giurata all’Inps di Vicenza eccellenza, e Peter impegnativo sia dal Baughman spiegherà i Certo, pare un po' strano, ma E infine c'è anche un progetto Siamo andati a Finger trovarlo per piuttosto scambiare due (Germania), che non è solo punto di vista didattico che fondamenti di una sua io sono un po' a modo mio, orchestrale... chiacchiere, ovviamente cercando il meno parliamo si avvicina un èsignore sugli il80 occupi, non serve il numero, vada pure”. compositore e chitarrista, ma esecutivo nel vero senso della tecnica particolare. Lui suona con un gusto, un retroterra Progetto effettivamente possibile di di distoglierlo dal prola. suo lavoro, che anni, fa fatica termine a camminare. anche editore riviste, Tanto per fare unLadislao ilèbanjo olt time,di cheTaranto, è E pare più adatto.“Nessun Assieme a originario e molto prestaitalianoo. fondatore di esempio,più a giugno un all’Inps leggermente da “Mi dicono proprio che problema agli americani Baù, chitarrista di nella suae proprietario interpretazione sembra una ho fatto l’aiuto Patrizio io” dice Ladislao sosteservizio dadifferente 14 anni. un’etichetta discografica tour negli Stati Uniti assieme quello attuale, con la tecnica piaccia il mio modo “diverso” estrazione classica, abbiamo missione che un lavoro.

“E allora uagliò!”, nendolo per il braccio mentre scende che sono parte dell’arredamento ormai”, (Acoustic Music Records) e a Jim Hurst e abbiamo anche del clawhammer. E ha di suonare flatpicking. composto un brano come lele è il suo intercalare: per metterti scale. “Lo scriva,“sonate” lui è una persona fantascherza.

Una teatralità genuina, che metorganizzatore di festival.un modo registrato mezzo album.

Nelle applicato questo sistema del '700, per due Come di nostre intenzioni, anche alla chitarra Oltre a insegnare, haidice firmato chitarre e orchestra.

Gran subito a consueto, tuo agio.i tre Ed è questo che fa con c'eratel'idea stica” il signore prima di allontanarsi. di buon umore, e che acustica. si porta dietro sin musicisti si alterneranno pubblicare Molto, molto interessante. anche alcuni metodi e tieni parte del lavoro è proprio di tutti, infaticabile.

Che non disia solo unun vi-cd mezzo In questi pochi minuti Ladislao riesce a da quando, negli anni ‘80 e ‘90, suonava sulla scena del teatro in dedicato alla tradizione regolarmente lezioni online.

Patrizio, che ha la gilante lo si vede dal che è dotato parlare con decine di persone, ad alle offrircon una Eband nelledifeste di piazza Ho estive momenti diversi, da soli, in fattoamericana e mezzo a quella a proposito workshop, scritto un paio di lezioni, preparazione classica duo o anche trio. anche Dalla Vecchia per ora, per Acoustic Guitara raccontarci spalle ma una di una suainscrivania, posta italiana. proprioAbbiamo davan- realizzato ci un caffè, chegrande forse andrà della Puglia e Roberto della Calabria.

Oraèil pubbliquest'edizione di la parte, nella prossima spesso protagonista di per altri generi. tiMa all’ingresso dell’istituto diprima previdenza. in pensione tra 8apertura anni. verso Certo, per l’Inps co è diverso, ma una certa forma di Magazine intrat- e anche VicenzAcustica ha un'altra primavera Jim verrà in Italia momenti come questo in giro Truefire.com. Adesso poi è Siamo due musicisti diversi, Qui riceve una fila ininterrotta di persone. sarebbe una grave perdita: con Ladislao tenimento anche qui può servire.

“Cerco caratteristica particolare e e completeremo anche la per il mondo... uscito il mio metodo ma ciascuno apprezza le idee Raccolta di foglietti appuntamenti, all’ingresso è quasi divertente frequentamolto importante: sarà per gli seconda, quella dedicata alladi dare Da qualche anno a questa guitar”, che è un dell'altro.

Il problema ora solo una mano, questa cosa“Flatpicking o ce l'ultima.

Attenzione, però:indicazioni, melodiasuggeritradizionale italiana. parte tengo workshop po' il “livellore uno” adattouffici, per sarà la produzione dello una parola per tutti, quegli anche con la prospettiva l’hai nel sangue o non ce l’hai. Qui ognuno niente complotti, niente regolari in Belgio e, l'estate chiunque sia curioso di spettacolo, perché ci vuole menti, pacche sulle spalle:Tornando “Ha preso la di una per lunga estenuante coda. Alla fine lo prende ilscorsa, suo numero, ma se c’è una per- il cammino, delusioni, niente polemiche a VicenzAcustica, anche a Nashville, iniziare le una vera e propria orchestra.

C? Prenda anche la F, si fidi di me”, “in salutiamo, ma con la promessa di tornare o una donna incinta al- Curci. Sono i miei dietro a questa decisione. anche quest'anno c'è unsona in carrozzina negli Stati Uniti.

Edizioni È comunque un lavoro che ci workshop “programma” ha molto appassionato e fondo a destra signora”, “scale o interessante... ascena scambiare due chiacchiere ancora.tutti “Ualora ha la precedenza. E qui passanoappunti, tante il mio Perché dunque,piano Roberto Adoro la formula di Un italiano che spiega agli che uso per insegnare, due, anche se al momento sore, primo a hai sinistra”, “non si pregliò, vogliamoci bene!”. persone che sono in difficoltà”.

Mentre deciso dietro americani come si suona la solo

[ Andrea Fasulo a] appuntamento

Dal 15 settembre 2015 sono aperte le iscrizioni a: Corsi individuali:

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canto, violino, pianoforte, flauto traverso, violoncello, chitarra classica, chitarra jazz, chitarra moderna

Accademia musicale del Veneto in convenzione con il conservatorio “Arrigo Pedrollo” di Vicenza Viale della Pace, 374 Loc. Stanga - VIcenza Tel. e Fax: 0444.514367 info@accademiamusicaledelveneto.it www.accademiamusicaledelveneto.it

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[ Sport ]

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C.S.I., A.I.C.S., U.ISP E C.S.A.IN., sigle che significano solo una cosa: sport per tutti, nessun escluso [ Nicola Tonello ]

C

’è una realtà nella nostra provincia conosciuta da molti, anzi moltissimi, ma alla quale viene data pochissima visibilità. Quella dell’associazionismo di promozione sportiva. Enti nazionali radicati con i loro comitati regionali o provinciali in diverse città italiane fanno del diritto allo sport per tutti il loro caposaldo. Dal calcio al volley, dall’ippica al motociclismo, dalla montagna al ciclismo. Il C.O.N.I. attualmente ne riconosce una quindicina sul territorio nazionale, ovvero tutti quegli enti che rispondono ai requisiti dell’art.90 della legge 289/2002: l’assenza di fini di lucro, il rispetto del principio di democrazia interna, la disciplina del divieto degli amministratori di ricoprire cariche sociali in altre società e associazioni nell’ambito della medesima disciplina, la gratuità degli incarichi degli amministratori e la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento. Il vastissimo mondo di tutte queste attività sportive, spesso amatoriali, della provincia berica fanno riferimento a diverse associazioni. Tra le più storicamente conosciute spiccano il Centro Sportivo Italiano e l’Associazione Italiana Cultura e Sport. Seguono le meno radicate ma comunque molto attive come l’Unione Italiana Sport Per tutti e il Centri Sportivi Aziendali e Industriali.

Il C.S.I., nasce nel 1945 (quest’anno è impegnato nelle manifestazioni legate al settantesimo) dall’Azione Cattolica, si fonda sul riconoscimento della funzione formativa dello sport, la centralità della società sportiva, e il sostegno al volontariato sportivo. La sua attività nel territorio vicentino rimane tra le più radicate nel territorio e conta in tutta la provincia 8700 tesserati solo come atleti oltre i dirigenti e i volonta-

Tino Faggionato, responsabile Commissione calcio AICS

Enrico Mastella, educatore carcerario, ricevuto da Papa Francesco

ri. L’atletica leggera (con 22 società sportive e una trentina di giudici) resta il vero fiore all’occhiello a livello nazionale dove negli ultimi anni diversi tesserati vicentini hanno raggiunto lodevoli risultati piazzandosi sempre tra le prime posizioni. Basti pensare che solo alle manifestazioni delle corse campestri partecipano tra i 500 e i 600 atleti. Seguono la pallavolo con una trentina di squadre nel misto over 18 e una ventina di settori giovanili under 14, il calcio a 11 con 25 squadre (una ventina di arbitri), il calcio a 5 (20 squadre), il minivolley (8 squadre) e il tennistavolo (6 squadre). Negli ultimi anni si sono insinuate nuove discipline che, pur non partecipando a nessuna competizione, promuovono il moto e lo stare insieme come il nordic walking, nuoto, arti marziali e pure un circolo di ballo. Abbiamo incontrato il Presidente della sezione berica Enrico Mastella il quale ci ha descritto le peculiarità del più antico ente di promozione sportiva radicato in città: “Tutto ciò che gravita attorno al Centro Sportivo Italiano, unico ente che storicamente non ha mai avuto legami diretti con alcun partito politico o associazione di categoria si riconduce al mantra dell’ attenzione alla persona. Certamente di ispirazione cristiana, ma non di certo di carattere confessionale. La persona diventa il centro di tutta la missione la quale vede nello sport il vero e proprio tramite e non il fine come si potrebbe apparentemente pensare. Esempi lampanti possono risultare l’attenzione verso gli individui con disabilità psichica nelle discipline di atletica leggera nelle quali si

preferisce inserire tali atleti non in categorie a parte, bensì in base alle fasce d’età di appartenenza. Nel calcio invece vengono modificate alcune regole come l’inserimento del cartellino blu (un’espulsione temporanea) che tutela coloro che ad esempio commettendo il fallo da ultimo uomo non lo fanno con l’intenzione di ledere fisicamente l’avversario. Oppure in una concitata situazione di nervosismo viene concesso un time-out per riordinare le idee e soprattutto calmare gli animi. Un altro caposaldo che ci caratterizza è la formazione. Grazie all’aiuto di professionisti provenienti anche da altre federazioni sportive si cerca di promuovere una serie di corsi per arbitri, allenatori e dirigenti per permettere una crescita personale a coloro che desiderano alimentare la propria passione che in alcuni casi nasce in maniera amatoriale per poi trasformarsi qualitativamente”. Quando si parla di enti di promozione sportiva, prosegue Mastella, si vuole focalizzare l’attenzione su come lo sport debba essere realmente per tutti e ogni realtà cerca di trasmettere ciò in maniera diversa: “Oltre che l’attenzione per le famiglie con doposcuola, i corsi di inglese e centri estivi, i disabili già citati, coadiuvare i tossicodipendenti sulla strada del recupero (con l’aiuto nel nostro caso della comunità CE.I.S di Schio) e pure l’inserimento di alcuni bambini di etnia rom nell’attività sportiva come il tennistavolo, l’atletica leggera e il calcio, la missione sociale trova il suo spunto più alto quando si parla di carcere”. Dal 1999 infatti il C.S.I. è impegnato radicalmente nei programmi

[ Sport ]

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Il Botafogo United, Campione Nazionale 2015

di reinserimento del detenuto nella società, nell’attività ludico-motoria e nell’educazione alla legalità per le scuole. Nel primo caso, con il Progetto Jonatan (Associazione Nuova Terra), l’attività esterna del carcerato in permesso premio viene coordinata da volontari e operatori in una struttura ricavata dal complesso dell’istituto San Gaetano di Vicenza. Esiste poi il “Progetto Carcere 663 – Acta Non Verba” che attraverso degli istruttori diplomati ISEF coordinano il movimento dei detenuti che lo desiderano con corsi di yoga, scacchi, incontri di pallavolo e calcio. Dal 2009 si sviluppa l’esperienza forse più importante per l’educazione alla legalità. Con il progetto “Carcere Lungo” classi degli istituti superiori vicentini incontrano dal mattino alcuni detenuti ed operatori penitenziari, pranzano all’interno del carcere concludono la visita con la partita finale di calcio o pallavolo con i detenuti. Inoltre un vanto per tale realtà sono le assemblee nelle scuole e i corsi di educazione alla legalità (con giudici, avvocati e forze dell’ordine) che hanno coinvolto in totale la bellezza di circa quattromila studenti degli istituti superiori della provincia.

L’A.I.C.S. invece nasce qualche anno dopo, nel 1962 e a Vicenza è sinonimo di calcio amatoriale (a 11) anche se, come ci racconta il responsabile del settore calcio Tino Fagionato, “le associazioni affiliate alle attività dell’A.I.C.S sono ben 530 con circa 30.000 tesserati, comprese quelle della pallavolo, pattinaggio artistico, pesca, tennis, fino alla dama, biliardo e persino l’agility dog. Ma è appunto grazie allo sport nazionale per eccellenza che la sezione provinciale vanta orgogliosamente un primato su tutte le altre sezioni italiane”. Quello vicentino infatti è l’insieme più numeroso con 125 squadre iscritte al campionato e più di 3.000 tesserati. C’è da ricordare che la storia del calcio amatoriale vicentino meriterebbe uno speciale a parte. Questo primato infatti va ricercato nelle vicissitudini che hanno portato a far confluire pian piano moltissime società che militavano nel campionato C.S.I. e quelle dell’indimenticato Torneo del Sabato che faceva capo alla F.I.G.C. Dalle “sole” 70/80 squadre del primo campionato provinciale istituito nel 2002 si è passati fino alle 125

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Desiderio Carlotto, presidente AICS, al centro di altri membri del direttivo

della stagione 2015/16 che ha preso il via il 3 ottobre. In questi dodici anni, prosegue Fagionato, “il livello del calcio amatoriale è cresciuto molto (non a caso quest’anno la detentrice del titolo nazionale è la squadra che ha rappresentato la città, il Botafogo di Monteviale) e questo ha portato la commissione calcio a decidere di suddividere in due serie distinte (l’Elite – serie A e la Primavera – serie B) per permettere un equilibrio tra le compagini più o meno agonistiche”. Ma da associazione di promozione sociale che si rispetti, pure l’A.I.C.S. non dimentica la solidarietà verso quelle realtà che spesso si trovano ai margini del riconoscimento delle amministrazioni. Da diversi anni infatti la sezione di Vicenza si impegna nella raccolta di fondi per il Progetto La Rocca di Altavilla Vicentina. Attraverso l’Associazione Onlus Brain sostengono la ricerca del trauma cranico encefalico dovuto a incidenti di varia natura. Le condizioni di celebro lesione acquisita appunto non vengono contemplate e sostenute da alcun ente governativo nazionale o decentrato e anche grazie al contributo economico delle tante società A.I.C.S. coinvolte si riuscirà a conservare le abitudini di vita del paziente in un clima accogliente e con numerosi servizi di accompagnamento rendendo più

Paolo Rossi con i calciatori amatoriali

semplice lo svolgere di piccoli e grandi impegni di ogni giorno.

Lo C.S.A.IN. e la U.I.S.P. cittadine sono certamente meno riconosciute rispetto alle sorelle maggiori citate in precedenza ma mantengono con orgoglio alcune peculiarità nel territorio. La prima infatti fa riferimento al microcosmo del calcio a 5 amatoriale vicentino con 48 squadre maschili (un girone di A1 e quattro gironi A2) e 9 squadre femminili a girone unico. La seconda, è più radicata nella cultura delle manifestazioni podistiche in alcune zone della provincia. Tra quelle che hanno avuto maggior successo è bene citare la “StrArzignano”, “Donne in corsa” nella zona di Arcugnano, la “PignareTrail” e la “10000 delle Fornaci”.

Un mondo dunque, quello dello sport amatoriale vicentino, che non smette mai di offrire spunti per una società civile sempre alla ricerca di modi di aggregazione. Si scopre allora che per ogni soggetto potenzialmente interessato ad un percorso formativo, ludico motorio oppure legato al mero svago, esiste una realtà specifica pronta a proporre validissime opportunità. Perché è assodato anche se scontato: chi pratica e gravita attorno allo sport, quello più puro, vive meglio e rende migliore la società.

[ Tecnologia ]

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Google Chromecast o Apple TV?

È sfida per rendere Smart il vostro televisore [ Gianluigi Pellè ]

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i siete lasciati affascinare dalle nuove Smart TV ma non volete cambiare il vostro televisore? Nessun problema, la nuova Google Chromecast e la nuova Apple TV trasformeranno la vostra televisione nel vostro compagno perfetto per giocare, vedere film e navigare su internet. Magari godendovi anche i programmi locali di VicenzaPiu.Tv. Google lancia la sfida “smart” con Chromecast.

La Chromecast di seconda generazione permette di riprodurre tutti i contenuti multimediali del proprio smartphone, tablet o pc direttamente sul grande schermo con l’ausilio di una semplice chiavetta da collegare al televisore attraverso la porta HDMI. Sarà necessario, poi, installare sul proprio dispositivo (smartphone, tablet o addirittura pc ) l’app ufficiale Chromecast e il gioco è fatto.

Per l’occasione Google ha anche totalmente rivisitato l’app Chromecast su iOS e Android migliorando la ricerca (ora anche vocale) che mostrerà in una schermata tutti i vostri contenuti e quelli delle altre app compatibili con Chromecast sul vostro dispositivo mobile.

La nuova chiavetta di Google è stata progettata per ridurre al minimo le interferenze e garantire una velocità di streaming dei contenuti molto elevata, grazie alle tre differenti antenne integrate.

La nuova Chromecast offre inoltre una funzionalità chiamata Fast Play, che funziona un po’ come un “indovino”. Questa funzione prova a ridurre i tempi di attesa, precaricando i dati al momento in cui aprite un’app.

Per quanto riguarda il gaming è ora possibile fare lo streaming dei giochi dal vostro dispositivo mobile alla TV, con la possibilità di usare lo smartphone come un controller.

Questa nuova funzione è disponibile per entrambi i dispositivi iOS e Android e consentirà di giocare anche in multiplayer sino a quattro giocatori su una singola Chromecast.

La Google Chromecast 2.0 è disponibile sul Play Store al prezzo di 39 euro nei colori nero, lime e corallo.

Chromecast

SCHEDA TECNICA: - processore Marvell Armada 1500 Mini 88DE3006 (2,5 volte più prestante di quello presente nella precedente Chromecast) - CPU dual-core ARM-Cortex A7 da 1,2 GHz (che supporta la riproduzione video HD 1080p e tecnologia DRM) - RAM da 512 MB - chip wireless Marvell Avastar 88W8887 (in grado di supportare lo standard Wi-Fi 802.11ac e Bluetooth 4.2) - Storage 256 MB flash Apple invece, ha da poco presentato una Apple TV completamente nuova, che porta un’esperienza rivoluzionaria direttamente in salotto, basata su app appositamente sviluppate per la televisione.

A differenza della Google Chromecast, la nuova Apple TV funziona in modo indipendente grazie al proprio sistema operativo tvOS con cui si potranno scaricare e installare le proprie applicazioni direttamente sul televisore e interagire con esse attraverso il telecomando.

L’Apple TV dispone infatti di una porta HDMI per collegarla al televisore e di una porta ethernet per connetterla a Internet e sfrutta la tecnologia Bluetooth 4.0 per comunicare con il telecomando.

Il nuovo telecomando di Apple TV è una delle colonne portanti del sistema: i pulsanti presenti sono pochi e la maggior parte delle operazioni in Apple Tv si svolgono sfiorando la superficie touch col dito o impartendo indicazioni a Siri con la voce.

Grazie all’integrazione dell’assistente vocale, gli utenti potranno usare la voce per cercare trasmissioni e film attraverso diversi fornitori

Una Smart Tv

di contenuti contemporaneamente ( iTunes, Netflix, Hulu e Showtime ) o per interagire con la timeline di un film o di una trasmissione.

Siri sarà, però, disponibile inizialmente solo in Australia, Canada, Germania, Francia, Giappone, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti comportando una grave limitazione nel nostro mercato in una delle due caratteristiche più interessanti e più utili.

La nuova Apple TV è disponibile dal 28 ottobre al prezzo di 179 euro per la versione da 32 GB e al prezzo di 239 euro per la versione da 64 GB. SCHEDA TECNICA: - processore A8 a 64 bit - RAM da 2 GB - Storage da 32GB o 64GB - Connettività 10/100Mbps Ethernet, WiFi 802.11a/b/g/n/ac, HDMI e risoluzione di 1080p.

AppleTV

[ Moda ]

n. 280 - 29 ottobre 2015

Fast fashion e moda sostenibile: qualche spunto di riflessione verso lo slow fashion [ Sara Battilana ]

I

gusti e le mode cambiano velocemente e i cosiddetti brand fast fashion, letteralmente i marchi di “moda veloce”, ci vengono incontro con capi poco costosi e perfettamente in linea con i trend del momento. Il prezzo da pagare, però, rischia di essere molto più alto di quello che troviamo sul cartellino.

Il modello fast fashion si riferisce a quei brand e a quelle catene di rivendita in grado di abbracciare velocemente il cambiamento nei gusti dei consumatori, prendendo ispirazione dalle passerelle, dallo streetstyle o dai look delle celebrità e portando sul mercato lo stile del momento in tempi rapidi e a prezzi contenuti. Il sistema è basato sul modello di produzione “a risposta veloce” nato negli anni ‘80 e diffuso durante i ‘90, in un periodo in cui i brand cominciavano a ricercare nuovi modi per aumentare i propri profitti e

durante il quale la crescente globalizzazione gettava le fondamenta per la dislocazione della produzione in paesi dai costi del lavoro fortemente inferiori a quelli europei.

Dall’altra parte, abituati a produrre due collezioni principali all’anno, i brand affermati si ritrovano ad affrontare un buon grado di pressione nel tentativo di rimanere al passo con una domanda che cambia a ritmi settimanali e non più mensili.

Il marchio Zara, ad esempio, propone settimanalmente nuovi stili attraverso una forte ottimizzazione dei processi che vanno dal design alla produzione, fino alla distribuzione nei propri store; allo stesso modo Bershka, H&M, Topshop e Pull&Bear sono alcuni tra gli esempi di brand conosciuti e diffusi che fanno della velocità e dei prezzi stracciati i propri punti di forza.

Con una produzione di abbigliamento e accessori molto veloce e a basso costo, il modello fast fashion si rivela profittevole per i brand e conveniente per i consumatori, rischiando però di non essere sostenibile in termini etici e di impatto ambientale.

Nel 2013 l’incidente alla fabbrica di Rana Plaza in Bangladesh, stabilimento che produceva abbigliamento per marchi molto conosciuti, ha portato l’attenzione sulla tendenza alla moda “usa e getta” e su quanto questa concezione dell’abbigliamento possa potenzialmente alimentare un sistema che si basa sullo sfruttamento di manodopera a discapito dei diritti umani, sulla scarsa attenzione verso l’inquinamento chimico, le emissioni di CO2 e lo spreco d’acqua.

L’imperativo è: di più, più velocemente, il più economicamente possibile.

I dati della moda usa e getta mostrano una crescita pari a più del 400% rispetto a 20 anni fa: oggi una donna possiede in media quattro volte la quantità di vestiti rispetto agli anni

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‘80 e durante l’arco di un anno una buona quantità di questi capi vengono gettati con conseguenti maggiori costi di smaltimento e crescenti anni all’ambiente.

A questo punto si tratta di un circolo vizioso: se da una parte un consumo più informato ed etico potrebbe fare la differenza, al tempo stesso una produzione sostenibile, attenta all’ambiente e al benessere dei lavoratori non sarebbe in grado di offrire prezzi così competitivi. In sostanza una t-shirt prodotta in questo modo non potrà mai costare solo cinque euro, dall’altra parte non tutti i consumatori potrebbero permettersi i costi di un capo di qualità superiore.

Eppure i passi verso un’industria della moda più sostenibile ci sono e si vedono, innanzitutto attraverso la varietà di “materiale” disponibile per informare ed educare il consumatore (tra i più recenti, il film “The True Cost” di Andrew Morgan e il libro “Sustainable Fashion: Past, Present and Future” di Jennifer Farley Gordon e Colleen Hill).

I segnali arrivano anche da brand affermati ed emergenti.

Sono sempre di più i marchi che fondano la propria attività su un’offerta sostenibile: cotone organico, materiali durevoli e di qualità, trasparenza sulla filiera produttiva e impegno verso l’ambiente e i lavoratori.

Quest’anno H&M, tra i brand che hanno accettato la sfida di un fast fashion più etico e sostenibile: ha lanciato, infatti, “Close The Loop”, una linea di capi in denim composti per il 20% di cotone riciclato, e ha dichiarato l’intento di aumentare la percentuale di utilizzo di fibre riciclate attraverso un miglioramento delle tecnologie impiegate nella produzione.

Come per lo Slow Food e la lotta alla frenesia e alla scarsa qualità dei fast food, c’è la possibilità che il mondo si stia progressivamente spostando verso lo slow fashion, un concetto di moda etica, ragionata e sostenibile che coinvolge i sistemi produttivi e la coscienza dei consumatori.

Lasciamo che la moda continui a stupire ed emozionare, non a distruggere e impoverire.

[ Moda ]

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Nicaragua: investire qui oggi è un grande affare, parola di Carlos Slim La guerra civile è un ricordo ormai sbiadito e si guarda al futuro con grandi risorse naturali a disposizione. E oltre al secondo uomo più ricco al mondo. il Paese sudamericano sta attirando investitori e turisti [ Enrico Pigato ]

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el nuovo appuntamento con la nostra rubrica di viaggi in Sudamerica la titolare della Mydas Travel di Valdagno, Veronica Fausto, ci racconta un territorio con un passato difficile, ma con grande voglia di emergere e con le potenzialità giuste per farlo. Simpatica e solare come sempre, Veronica ci riceve nella sua agenzia di Valdagno e non appena inizia il suo racconto vuole precisare che il Nicaragua non è più il paese devastato e martoriato dalla guerra civile, bensì, uno stato ricco di storia, di cultura e di immensi spazi per accontentare anche i più esigenti. Con un grande lavoro ed importanti risorse investite le autorità locali sono riuscite ad abbassare in maniera esponenziale la presenza di criminalità organizzata portandola ai minimi storici rendendo vivibili le proprie città, facendo del Nicaragua il paese più sicuro di tutta l’America latina. I dati sul turismo internazionale sono più che soddisfacenti, l’incremento del 2014 rispetto all’anno precedente sfiora il 15%, anche se Veronica ironizza sul fatto che gli italiani ancora non si sono accorti di questa realtà e mostra il timore che arriveranno troppo tardi rispetto allo sviluppo locale. Il Nicaragua, che vanta una storia ultra secolare con l’insediamento spagnolo a partire dal 1500, è un paese tropicale bagnato ad ovest dall’oceano Pacifico e ad est dal Mar dei Caraibi, ricco di spiagge immense e perlopiù vergini, ma anche di giungla, montagne e moltissimi vulcani attivi.

Dal dicembre 2014 sono iniziati i lavori, finanziati da due imprese, una cinese ed una russa, per la più grande opera mai realizzata in

Una spiaggia el Nicaragua

sud America, che ha come obiettivo quello di ampliare il collegamento tra i due grandi oceani, Atlantico e Pacifico, tenendo conto delle dimensioni delle nuove navi cargo, talmente grandi da non riuscire a passare nel nuovo canale di Panama inaugurato di recente. Grazie a tutto ciò si sta creando l’interesse di grandi investitori mondiali pronti a fare altrettanto per quanto riguarda porti, aeroporti, zone franche e grandi infrastrutture ricettive. Il governo, visto l’interesse che gravita attorno ai grandi investimenti, ha deciso di redigere dei protocolli che regolino la realizzazione di costruzioni utilizzando materiale ad impatto zero come pannelli fotovoltaici, materiale riciclato, recupero del legno ecc.

La notizia dell’acquisto di una grande lottizzazione di terreni effettuata da Carlos Slim, secondo uomo più ricco al mondo con un patrimonio che supera i 75 miliardi di dollari, ha fatto aumentare il valore dei lotti vicini del

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45% in pochi giorni e questo dato fotografa in sintesi ciò che succederà nell’immediato in questi luoghi.

Il paese vanta una popolazione giovane con moltissimi laureati e una grande attenzione per la parità dei diritti tra uomini e donne e non solo. È già presente un interessante tessuto industriale con vari settori tra cui il tessile, la trasformazione e l’orafo. Ovvio, quindi, che Veronica concluda ricordando che è pronta ad organizzare viaggi e sopralluoghi per chiunque voglia pianificare un futuro investimento in queste terre. Imprenditori vicentini avvisati…

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Il Nicaragua raccontato da Veronica Fausto

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L’agricoltura è in continua evoluzione: mercati, normative, tecnologie, metodologie.

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Come muoversi con cognizione di causa? Quali informazioni ricercare e a quale fonte dare credito?

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