
Mobilità sostenibile, le alternative alle ciclabili pag3
Musulmani in città: visita al centro islamico pag5
Pino Dato e l’antiamericanismo secondo Parise pag14

Mobilità sostenibile, le alternative alle ciclabili pag3
Musulmani in città: visita al centro islamico pag5
Pino Dato e l’antiamericanismo secondo Parise pag14
Il progetto del nuovo stadio a Vicenza est è stato giudicato un regalo alla cordata di Vicenza Futura
L’assessore all’urbanistica Francesca Lazzari risponde alle critiche spiegando perché non è così
Il Divo Giulio (per il suo clericalismo), Catenacci (perché, secondo i critici, avrebbe fatto spesso catenaccio di fronte alle notizie, cioè non le avrebbe date), il Savonarola della domenica (per certi suoi editoriali domenicali lunghissimi e scritti con la pesantezza del sermone): molti sono stati i nomignoli affibbiati dai detrattori a Giulio Antonacci, direttore uscente del Giornale di Vicenza. Proveniente dall’ambiente di curia e dal suo organo ufficiale, la Voce dei Berici, già responsabile
del servizio economia del quotidiano di Assindustria, nei suoi sette anni al timone Antonacci non è stato più di tanto uomo di macchina, quanto, mettiamola così, di “visione”. Quale? Quella dei suoi editori o, meglio, in particolare di alcuni che, messi alla porta dal cda di Athesis, si portano dietro anche lui. Per la città è un cambiamento epocale. Dalla sua poltrona, infatti, il direttore del GdV controlla, volente o nolente, l’opinione pubblica locale e perciò la politica e
gli intrecci di questa con gli interessi economici. Lui, per la verità, è stato più volente che nolente. Se saprà uscire di scena con stile, gli renderemo l’onore delle armi, noi che non gli abbiamo mai fatto mancare critiche e contestazioni. Ad Ario Gervasutti che prende il suo posto vanno i nostri migliori auguri. Specie quelli di poter leggere un giornale che sia soltanto, semplicemente, un giornale. E questa volta di Vicenza per davvero. Non solo di una cer ta Vicenza.
VicenzaPiù si ferma per la pausa natalizia e non uscirà nelle prossime due settimane. Il settimanale tornerà in edicola il 9 gennaio. Nel frattempo, potrete continuare a seguire gli aggiornamenti sul sito www.vicenzapiu.com I migliori auguri di Buone Feste a tutti
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Nonci sono soldi, non c’è spazio, non si possono togliere parcheggi. L’elenco delle giustificazioni per non fare piste ciclabili, e più in generale per non mettere mano a tutti quegli interventi a favore di chi si sposta in bicicletta, è sempre ben nutrito e, almeno all’apparenza, ben motivato. In realtà, quando ci sono progetti chiari e una volontà politica decisa, risultati sono a portata di mano. Come si può verificare con una scampagnata di pochi chilometri, a Padova, a Mestre, o anche nella “piccola” Schio. Tutte città in cui, negli ultimi anni, le politiche a favore della bicicletta hanno fatto passi, anzi, pedalate, da gigante.
Sant’Antonio dei ciclisti
A Padova la rete delle piste ciclabili arriva ormai a sfiorare 120 chilometri, di cui una quarantina buoni realizzati negli ultimi tre anni. Ci sono itinerari che collegano quasi tutte le zone più popolose della periferia al centro storico, e una fitta rete di percorsi nella parte più antica della città. A fine 2008, a Vicenza, chilometri di piste ciclabili erano solo 33, e in molti casi si tratta ancora di frammenti isolati. Anche tenendo presente che Padova è due volte più grande, basterebbero queste poche cifre per dare l’idea di come sia stata affrontata in modo diverso la politica delle due ruote.
Le piste ciclabili, però, sono solo una parte del problema, e forse nemmeno la più importante.
“Sono solo uno degli ingredienti della torta della ciclabilità – conferma Michele Mutterle, di Tuttinbici, associazione che insieme a Legambiente organizza per gennaio un corso sulla mobilità ciclabile proprio per approfondire le varie possibilità che ci sono in questo campo -. Non possiamo
pensare di avere una ciclabile per ogni strada”. E infatti, all’ombra della Basilica del Santo, accanto alle ciclabili hanno messo in campo un’ampia gamma di misure per persuadere la gente a lasciare l’auto in garage. Il tram, ad esempio, la nuova linea su monorotaia che taglia in due la città, ha avuto un ruolo di primo piano in questo mix. Lungo il suo percorso è stato vietato il transito ad auto e biciclette; in compenso, sono state allargate l’area pedonale e la ztl, e nelle vie laterali a quelle in cui corre la monorotaia sono state tolte aree di sosta per ridare spazio a chi si muove in bicicletta, a piedi, e anche alle stesse auto.
In punta di ruote L’altro pilastro della politica ciclabile della giunta Zanonato è stata la creazione di varie zone a traffico moderato nei quartieri: aree in cui le auto siano quasi costrette a muoversi lentamente, “in punta di ruote”, come ripete più volte Mutterle. Come? Inserendo limiti di velocità di 30 chilometri orari, creando attraversamenti pedonali e incroci rialzati e, per quanto possa sembrare strano, riducendo la dimensione delle carreggiate, a tutto vantaggio di marciapiedi e aree verdi. Una sede stradale larga, infatti, invita a schiacciare sull’acceleratore: le corsie strette (dove c’è il limite dei 30 km all’ora possono essere anche inferiori ai 3 metri), invece, danno anche visivamente l’idea di uno spazio in cui l’automobile deve convivere con gli altri mezzi. E producono velocità più basse. “I 30 all’ora sono una velocità compatibile con gli altri utenti della strada – riprende Mutterle -. La maggior parte degli incidenti avviene in aree urbane, e il 70 per cento coinvolge pedoni o ciclisti. Se si vuole lavorare sulla sicurezza, bisogna lavorare sulle velocità: perché mentre in un incidente a 30 km all’ora il pedone o il ciclista ha la quasi certezza di sopravvivere, in un incidente a 70 chilometri all’ora ha la quasi cer-
tezza di non uscirne vivo”. A Vicenza gli spunti per mettere in campo iniziative di moderazione del traffico non mancano. “Corso Fogazzaro sarebbe perfetto – continua l’esponente di Tuttinbici -. ma anche tutti quei quartieri in cui ci sono scuole costruite negli anni ‘60 o ‘70, che di solito sono fronteggiate da strade larghissime e marciapiedi strettissimi. Penso ad esempio alla strada delle scuole di San PioX, che è talmente larga da essere usata come parcheggio notturno per i camion: lì bisognerebbe fare un marciapiedi di 5 metri, per dare spazio ai ragazzi, e per convincere i genitori a lasciare l’auto nei parcheggi che ci sono all’inizio della via”.
Trappole per biciclette
Sempre parlando di moderazione del traffico, a Padova hanno anche messo in sicurezza tutte le 110 rotatorie della città. Creando degli anelli ciclabili e, in tutti quei casi in cui lo spazio era sufficiente, realizzando degli attraversamenti rialzati in entrata e in uscita. Anche qui, si costringono le auto a rallentare e a prendere coscienza, se così si può dire, che sulla strada ci sono altri mezzi. “A Vicenza il 18 per cento degli incidenti avviene in rotatoria – riprende Mutterle – mentre solo il 4 per cento ai semafori. E c’è lo stesso numero di semafori e di rotatorie: questo significa che, per chi si muove in bicicletta, le rotatorie vicentine sono cinque volte più pericolose di un semaforo. Il fatto è che alcune sono effettivamente delle trappole per ciclisti, in particolare quelle che possono essere attraversate senza rallentare. Ma non dobbiamo pensare che debbano essere per forza così: realizzarle in modo diverso, e più scuro, è possibile”.
Il caso Mestre
Qualcosa di molto simile è in corso a Mestre. Lì il Comune ha adottato un biciplan, cioè un progetto per lo sviluppo della mobilità ciclabile, molto ambizioso: nel giro di una decina d’anni, infatti, vorrebbero scippare a Bolzano – dove già oggi il 25 per cento degli spostamenti urbani avviene su due ruote - il primato di città più ciclabile d’Italia. Per farlo, stanno mettendo in campo un mix di soluzioni molto simile a quello padovano. Piste ciclabili separate dalle carreggiate delle auto per collegare le periferie al centro lungo le strade più trafficate, e interventi di moderazione del traffico nei quartieri: incroci rialzati, carreggiate più strette, porte di ingresso nel quartiere in cui può passare un’auto alla volta (“Così chi guida ha la percezione di muoversi in uno spazio diverso”). I risultati, anche se il progetto è ancora agli inizi, si vedono: nel giro di un paio d’anni la percentuale di spostamenti ciclabili è salita dal 17 al 20 per cento.
Pedalare è bello
Anche Schio si sta muovendo su
questa strada: ha adottato un biciplan, ha fatto partire il servizio di bike sharing e sta investendo molto in comunicazione. Con manifesti e depliant in cui si spiegano i vantaggi - per la salute, per l’umore, per la collettività - dello spostarsi in bicicletta. “Schio investe un milione di euro all’anno – osserva Mutterle -, ed ha trentamila abitanti. A Vicenza, dove gli abitanti sono quattro volte di più, si investe molto meno. Bisognerebbe ragionare su cifre diverse: con tre milioni di euro, ad esempio, si potrebbe già far molto. Invece non c’è abbastanza coraggio, e ci sono quartieri popolosi come San Lazzaro, Ferrovieri o San Pio X che sono scollegati dalla rete delle piste ciclabili”. E dire che il bacino di utenti non manca: l’ultima stima sul numero di persone che sceglie la bicicletta per spostarsi è stata fatta proprio da Tuttinbici, che nel 2008, in una mattinata di mercato, ha monitorato gli ingressi in centro storico. Scoprendo che in sei ore, dalle 7,30 alle 13,30, ben 6.600 persone erano entrate in città pedalando. “Sono tantissime –conclude Mutterle -. Se tutte si muovessero in auto, sarebbe un disastro. Per questo aumentare o ridurre quella quota può fare la differenza”.
L’assessore all’urbanistica risponde alle critiche sull’accordo con Vicenza Futura: “C’è solo una pre-intesa, si tornerà in consiglio, e ci saranno anche parcheggio di interscambio e fermata per la metropolitana di superficie”
Allora, da dove cominciamo, dai poteri forti?”. L’assessore all’urbanistica Francesca Lazzari ha appena terminato una telefonata piuttosto accesa che riguarda – non c’è nemmeno il bisogno di dirlo - alcuni punti caldi del Pat. E parte subito all’attacco. “A me vengono a dire certe cose – riprende facendo riferimento proprio alle accuse di chi vede un Pat troppo sbilanciato, almeno in alcuni suoi punti, a favore di certi potentati economici -. A me che sono una donna di sinistra, di sinistra vera, non di quella demagogica e che mette la testa sotto la sabbia. Perché la sinistra vera non ha mai fatto demagogia e non ha mai nascosto la testa sotto la sabbia: al contrario, ha affrontato problemi. Ed è questo che bisogna fare, se non vogliamo consegnare la città alla destra più becera: affrontare problemi. E sporcarsi un po’ le mani. Io non credo all’etica dei principi, credo a quella delle conseguenze”. C’è poco da fare: è in una di quelle giornate in cui si stenta a tenerla a freno. Poco male, visto che uno degli obiettivi è proprio sviscerare i punti più critici del nuovo Piano di assetto del territorio appena
approvato dal consiglio comunale. A cominciare da uno dei suoi progetti più ambiziosi: quello per il nuovo stadio a Vicenza Est, su cui si sono concentrate buona parte delle contestazioni. Cominciamo dallo stadio e dalla Sau, (la Superficie agricola utilizzata che può cambiare destinazione d’uso). Il progetto la consuma quasi tutta, 281 mila metri quadrati su 297 mila totali a disposizione di tutta la città. Che senso ha, e che fine fanno tutti gli altri progetti previsti grazie a trasformazioni di Sau?
Il Menti, finora, è stato una cambiale in bianco Dovevamo continuare?
“Lo stadio è una scelta che l’amministrazione ha fatto. Ed è una possibilità: la realtà attuale è insufficiente, inadeguata e costosa,
e oltre tutto occupa un’area di grande pregio che andrebbe riqualificata, in cui servirebbe sviluppare un polo tecnologico e della meccatronica in collegamento con l’università. È arrivata una proposta dai privati, e il sindaco ha inteso che fosse una proposta da valutare. Per questo abbiamo aperto un tavolo con i privati, mettendo sul piatto una serie di problematiche che a nostro avviso andavano affrontate, come la demolizione del vecchio Menti, l’equilibrio economico all’interno dell’area, un parcheggio di interscambio, le opere per la viabilità. È ovvio che chi poi deve realizzare queste cose non è la Caritas, e vorrà averne un ritorno”.
Appunto: un giudizio ricor-
rente, da destra come da sinistra, è che l’intesa sia troppo favorevole ai proponenti. Cosa risponde?
“Intanto questa è una pre-intesa. E comunque abbiamo portato a casa molto di più rispetto a prima” Secondo il consigliere ed ex assessore Marco Zocca, non è così: la viabilità esterna all’area, ad esempio, prima era a carico dei privati, adesso no.
“Per rispondere a Zocca, intanto va detto che la Sau che utilizziamo adesso è esattamente la stessa che usava lui”.
Zocca sostiene di no: la Sau dello stadio sarebbe aumentata di quasi 100mila metri quadrati.
“E’ esattamente la stessa. Loro, inoltre, prevedevano edificabilità nell’area dell’attuale stadio, e questo è un grosso errore. Il vero interesse pubblico dell’operazione sta
proprio nell’entrare in proprietà dell’area del Menti”.
Ma il Menti è già comunale.
“Sì, ma non ci possiamo fare niente, se non pagare qualche centinaia di migliaia di euro all’anno. Qualcuno ha detto che potevamo tenerci lo stadio. Ma per noi non c’è nessun interesse: lo stadio finora è stata una cambiale in bianco. Perché continuare? Con questa pre-intesa, invece, possiamo riutilizzare l’area del Menti. E a Vicenza est privati faranno, oltre allo stadio, che sarà anche arena per grandi eventi, e anche questo va sottolineato, un parcheggio di interscambio e la fermata per l’Sfmr, il sistema metropolitano di superficie”.
Queste cose non sono esplicitate nell’intesa: se la si legge, si trova molto chiaro quanto il privato può costruire, mentre le contropartite sono vaghe. Di parcheggio di interscambio e di fermata per l’Sfmr non si parla in modo preciso.
“Perché quella è una pre-.intesa. Non l’accordo vero e proprio. E comunque l’abbiamo pubblicata, tanto è vero che la possono scaricare tutti. Io vorrei sapere chi ha potuto leggere l’accordo preparato da Zocca, tanto per parlare di trasparenza. In ogni caso, Non ci
sarà l’edificabilità fino a quando non ci sarà l’accordo e fino a quando non ci sarà una convenzione che andrà in consiglio comunale. Ripeto, è stata fatta una scelta politica: perché ci interessava spostare lo stadio, avere un’area centrale come quella del menti riqualificata, sistemare un nodo viabilistico, ottenere il parcheggio di interscambio e la fermata dell’Sfmr. Ai privati interessa trovare un equilibrio, e se avranno le risorse andremo all’accordo”.
cazione, o pensieri inconfessabili”. Questo riferimento ai pensieri inconfessabili l’ha fatto anche ai microfoni del consiglio. A cosa, o a chi si riferisce?
La città ha la memoria corta Maltauro aveva già grossi progetti approvati
Ha parlato dei passaggi in consiglio comunale. Questo è un altro punto delicato: dal protocollo d’intesa si capisce che, a parte il piano degli interventi, non ci saranno altri esami da parte del consiglio.
“Non è così. La convenzione dovrà tornare in consiglio, e il piano degli interventi dovrà tornare in consiglio. In ogni caso io ho una maggioranza, e non farò niente che non sia condiviso dall’intera maggioranza. Quando vedo che nelle critiche c’è convergenza tra la Dal Lago, Zocca e certa sinistra, allora sono tranquilla. Perché certe strane convergenze o nascondono una mancanza di idee, o una semplifi-
“A chi attribuisce con tanta facilità ad altri una certa vicinanza ai poteri forti con ci forse ha più confidenza. Guardi, quando ci si occupa di urbanistica si ha a che fare con una storia pregressa, cioè con la responsabilità di gestire tutte quelle situazioni che si ereditano, ad esempio progetti come quello del Cotorossi, come vecchi Piruea bocciati, come l’area ex Ftv, per la quale è stato fatto un progetto prima ancora che l’area fosse trasformata. Si ha a che fare con un territorio già ampiamente consumato, e con progetti già approvati da portare avanti. Dopo di che ci sono i portatori di interesse, che non sono solo i costruttori. Ci sono gli investitori, le imprese, le associazioni di categoria, gli altri enti pubblici, alcuni comitati, la stampa. Il problema non è la presenza dei poteri, è quando manca il potere dell’amministrazione comunale. Io credo invece che l’amministrazione comunale sia un potere che contratta, concorda le
regole e media: e questo lo dico pensando alla sinistra, perché se non si media non si governa. Il mio compito è questo: mediare, riequilibrare e difendere un’idea complessiva di città. Dando a ciascuno il suo, anche ai costruttori. Ma facendo in modo che sia sempre la città a guadagnare”. E così torniamo allo stadio. A leggere l’intesa, il guadagno per la città non è così evidente. Avrete fatto un calcolo dei costi, di quanto valgono le contropartite, di quanto costerà la demolizione del Menti, di quanto può guadagnare il privato. “Sì, ma questo verrà sviluppato in un secondo momento. Prima del Piano degli interventi, privati dovranno preparare un layout con costi di tutto il progetto. E su quella base ragioneremo per vedere se è possibile trovare un accordo. Non potrà mai succedere che loro abbiano l’edificabilità prima che ci siano le contropartite pubbliche”. Quindi al momento, anche con il Pat approvato, quell’area non è edificabile?
Ingui a secco?
Non ha nemmeno chiesto nulla
“No. Lo diventerà solo se l’accordo sarà perfezionato. C’è una preintesa: se ci saranno le condizioni per farlo si andrà avanti, se no
continueremo ad usare il Menti e lì rimarrà un campo. Pazienza. Guardi, i costruttori ci sono, ed è giusto. Ma la scelta sta nel modo in cui si garantisce la città: non si può ragionare che se dico di no ad uno allora sono schierata con l’altro, o viceversa”. Visto che lei non fa nomi, li faccio io. Il discorso è questo: mentre prima si poteva osservare una vicinanza tra le decisioni politiche e gli interessi del gruppo che, semplificando, fa riferimento alle imprese di Gaetano Ingui, adesso più di qualcuno nota un occhio di riguardo per il gruppo Maltauro. È così? “Maltauro ha fatto la domanda per lo stadio, e basta. E se vogliamo dirla tutta, il gruppo Maltauro aveva già vinto il project financing per i due nuovi parcheggi in centro storico, che potrebbe cominciare a costruire da un giorno all’altro, e per cui non abbiamo potuto far altro che aprire una trattativa. Ed è presente anche nel progetto del Cotorossi. Li abbiamo fatti noi quei progetti? Li abbiamo voluti noi? Questo per chi dice che adesso ha la strada spianata mentre pare che prima non avesse niente.
E’ una città con la memoria corta”. La trattativa a cui fa riferimento è quella per il parcheggio sotterraneo sotto campo Marzo? Lo farà la Maltauro?
“No, quella è un’altra balla colossale. Stiamo lavorando ad un accordo per una zona logistica a Vicenza est, ma è ancora tutto in fieri. L’idea del parcheggio sotto campo Marzo nasce dal progetto per la viabilità elaborato dal consigliere Soprana e da Tosetto: verrà fatta una gara e lo farà chi vicnerà l’appalto. Queste critiche vengono da chi è abituato ad una politica veramente di periferia. Né Maltauro nè Ingui sono dei mostri. Sono dei poteri economici con cui confrontarsi. E se devo essere sincera, ho avuto pressioni molto più forti per situazioni molto più piccole dello stadio. Dove, tra l’altro, Maltauro non è nemmeno l’attore principale”. Sì, ci sono Cestaro, Caoduro ed altri.
“Appunto, c’è tutta una cordata”. Se Maltauro ha avuto solo lo stadio, resta il fatto che il gruppo Ingui, dal Pat, non ha avuto niente.
“Ma non ha nemmeno chiesto nulla. Ingui ha delle aree, e su quelle si ragionerà. Come con tutti gli altri”.
(1- continua. Nel prossimo numero l’intervista sugli
Dopo il Pat, la maggioranza si trova davanti un percorso in discesa e senza opposizione Il dissenso è tutto fuori dalla sala Bernarda Saprà organizzarsi?
Vicenza ha da poco adottato il nuovo piano comunale del territorio, il Pat. Si tratta della delibera principe della attuale consiliatura.
Da questo punto in poi l’azione della maggioranza di centrosinistra è un percorso in discesa. Il che non è solo in ragione di una agenda amministrativa divenuta assai più agevole. La spiegazione principale sta nel fatto che in sala Bernarda di fatto non esiste una opposizione.
Tattica lungimirante
In realtà questo percorso il sindaco democratico Achille Variati, un democristiano doc, se l’è costruito a tavolino con grandissima lucidità e attenzione ai dettagli. Un paio d’anni fa, dopo aver fiutato l’esito definitivo della battaglia confindustriale, senza dare nell’occhio ha sposato le posizioni ora divenute dominanti a Palazzo Bonin Longare. Contestualmente si è cucito lo scudetto di sindaco “No Dal Molin” inglomerando e sopendo la protesta dei “no base”. Una volta avute le redini dell’amministrazione si è ben guardato dal tagliare ponti con vecchi centri di potere marcati centrodestra; di più sono state elargite alcune rendite di posizione (nomine dirigenziali, conferma di uomini della
vecchia maggioranza in enti come il Cis o ai lavori pubblici, delibere urbanistiche care al centrodestra come quella dedicata ad Unicomm e alla Conchiglia d’oro) che in qualche maniera hanno accontentato il centrodestra stesso, sterilizzandone gli istinti ribelli.
Oltre a questo, la costituzione di una lista civica collegata al sindaco, unitamente al risentimento della sinistra alternativa contro i suoi dirigenti nazionali per l’accondiscendenza sul caso “Prodi - Dal Molin” ha sottratto voti a Verdi e affini. Tali voti sono stati convogliati proprio in Vicenza Libera rimasta ora ostaggio di sé stessa e del patto di non belligeranza sottoscritto proprio col primo cittadino. L’effetto sulle prime è semplice. Nei confronti di Variati non si sentono le invettive che dal presidio arrivavano contro l’ex sindaco azzurro Enrico Huellweck.
Successo personale
Il seme del dissenso
Variati questo lo sa. Da una parte se ne bea, ma dall’altra è preoccupato. Tanto da avere confidato questa preoccupazione ad alcuni fedelissimi del suo entourage. Cosa insolita per un accentratore come lui. Perché è quasi una legge fisica. Quando spingi un liquido fuori da un contenitore (l’opposizione in sala Bernarda) questo si riversa fuori. E infatti è al di fuori dell’aula che in queste settimane è cominciato a germinare il seme del dissenso.
In occasione della votazione del Pat la mossa ha portato il timbro dei Verdi e dell’IdV (anche se per quest’ultima non mancano le contraddizioni). Al momento grandi quotidiani cittadini non hanno dato grande risalto alla cosa, segno evidente che l’opera di “moral suasion” verso gli stessi giornali perfezionata dallo staff del sindaco è andata
Al contempo anche l’ala dura targata Pdl dei “sì base” ha cessato come d’incanto ogni ostilità verso Variati. Il mosaico ora è composto. Il successo è un successo personale ascrivibile solo al primo cittadino. Il comportamento di ogni singolo assessore; voti favorevoli in sala Bernarda; le astensioni delle opposizioni: sono solo la meccanica conseguenza di un marchingegno a molla preparato e caricato già ai primi del 2007 al riparo di occhi indiscreti in un triangolo concettuale i cui tre vertici sono: precisi ambienti del mondo confindustriale (Maltauro in primis), la curia e la sede del governo regionale dove usbergano i portatori forti di quegli interessi trasversali che a Venezia parlano con l’azzurro Giancarlo Galan e a Vicenza rimano con il primo cittadino del Pd.
a buon fine. Ma Vicenza è una città piccola e il caso Dal Molin insegna che una protesta massiva, radicata, argomentata e senza sconti è in grado di bucare qualsiasi cortina, tattica o fumogena che sia.
Le preoccupazioni
Anche questo Variati lo sa. E le sue preoccupazioni più vive riguardano proprio gli input che potrebbero arrivare da Assindustria. Se quest’ultima spingerà con forza sulla giunta per la costruzione di un inceneritore, si potrebbe scatenare un nuovo casus belli. Non a caso di recente il capo dell’esecutivo berico ha mandato un segnale trasversale spiegando urbi et orbi che la questione del termovalorizzatore non deve essere «strumentalizzata». Poi c’è il caso Acque Vicentine. L’eventuale ingresso dei privati nella gestione delle forniture idriche non piace ai sindacati e nemmeno ad un pezzo del Pd, che però sembra già disposto ad ingoiare il rospo.
Il grillo parlante
Così in una amministrazione comunale irrigidita sulla dottrina Variati a fare la parte del grillo parlante tocca a Sandro Guaiti del Pd.
Per anni Guaiti è stato l’alter ego di Gianni Rolando al comitato “no tir all’Albera”. Rolando oggi è il gran
visir variatiano in sala Bernarda mentre Guaiti, allontanatosi da lui, ha cominciato a battere i pugni aula. L’ultima querelle riguarda alcune gravi incongruità denunciate nella stesura di un bando per l’assunzione di tre nuovi dipendenti. È come se la storia nostrana avesse assegnato allo stesso Guaiti il compito di far filtrare nel palazzo, magari attraverso la piccola crepa aperta negli ultimi giorni, la voce di chi non è disposto ad assuefarsi a quella che il consigliere del Pdl Maurizio Franzina, uno che di queste cose se ne intende, chiama la grande melassa rumoriana cucinata dal primo cittadino. A Botteghe Oscure l’avrebbero chiamata normalizzazione democristiana. A Seattle la identificherebbero come declinazione in salsa vicentina del pensiero unico. L’unico aspetto da chiarire è strategico. I dissenzienti rimarranno in ordine sparso o sono disposti ad armonizzare, almeno alla grossa, le loro iniziative? Di fronte, proprio per la politica della giunta, si sono ritrovati una intera prateria a disposizione. In questa cornice interpretativa torna alla memoria una farse poco conosciuta di Winston Churchill: «Talvolta l’assenza di avversari è un avversario davvero temibile».
Il partito dipietrista propende per una linea di contestazione (amichevole) a Variati. Ma il suo consigliere non la segue
L’Italia dei Valori non sa farsi valere. Potrebbe essere riassunto così il problema in cui è impantanato il partito di Di Pietro a Vicenza. Forti di una percentuale di voti del tutto rispettabile (8,4% dei voti alle europee dello scorso giugno), i dipietristi sono lacerati da una specie di schizofrenia interna.
Da un lato, infatti, c’è un segretario cittadino de facto –non essendoci stato un congresso locale – che è anche l’unico rappresentante in consiglio comunale, il mite Silvano Sgreva. Troppo mite per la linea decisa dal coordinatore provinciale Carlo Rizzotto a stragrande
maggioranza, e cioè contestare le ultime scelte dell’amministrazione Variati specialmente in tema di urbanistica. Iscritti e simpatizzanti del circolo cittadino di Corso Padova, le cui fila si stanno ingrossando con scontenti del Pd e del Pdl che vanno ad aggiungersi allo zoccolo duro dei vecchi ex democristiani e dei giovani “movimentisti”, vorrebbero un’IdV più presente, vivace, combattiva. Nel caso, anche di protesta verso un alleato Variati che ha sì ospitato nella sua lista civica Sgreva (in seguito ad un accordo stipulato direttamente con Rizzotto), ma il cui quietismo filopoteri forti innervosisce una base
che ama le battaglie senza sconti di Tonino, di De Magistris, della Alfano. Quasi tutti ce l’hanno insomma con Sgreva, compreso Rizzotto. Perché ha votato sì al Pat che comprende l’operazione Vicenza Futura-nuovo stadio (accusato di essere un regalo alla cordata Maltauro-Caoduro-UnicommMarchetti). Perché non ha battuto ciglio di fronte alla condotta compromissoria sulla Torre Girardi, giudicata abusiva. Perché non ha mosso un dito sulle new entry fra i dirigenti comunali (caso Galiazzo). Tutte questioni sollevate dal partito in una durissima nota dirama-
ta due settimane fa per prendere le distanze dalla maggioranza di centrosinistra a Palazzo Trissino. Perché non ha ancora dato prova di mordere, di far sentire il suo peso in aula, di imporsi agli assessori per avere carte e informazioni. Persino di non sapere fornire documenti e scrivere interrogazioni con tempismo e incisività. Il carattere dell’uomo non è quello di una tigre. Poi c’è il fatto che, sedendo nel gruppo consiliare dei variatiani, più realisti del te, ne assorbe gli umori più chiusi nei confronti di critiche e rilievi all’operato della giunta. Corre voce che gli abbiano anche promesso un assessorato
(cosa altamente improbabile). Rizzotto ha in mente invece un partito attivo che coltiva una sua diversità all’interno della maggioranza. Senza lasciar passare ad Achille i compromessi al ribasso e certi opachi scivoloni verso quella che il consigliere del Pdl Maurizio Franzina chiama “melassa rumoriana”. Ma gli mancano gli uomini. La posizione di Sgreva rimarrà intatta fino alle elezioni regionali, ma è possibile che venga scavalcato da una nuova figura, ad esempio un portavoce, questa volta obbediente alla linea dura.
Alessio Mannino
Deficit e debito pubblico fuori controllo, disoccupazione alle stelle, banche in crisi La Grecia sta attraversando una pesantissima crisi economica, che potrebbe innescare un effetto domino in tutta Europa Ma proprio per questo il fallimento dello stato ellenico sarà scongiurato
situazione, ma non lo prevedono le norme comunitarie: non possono infatti essere erogati fondi ad uno stato membro per sanare buchi di bilancio.
“La Grecia è sull’orlo della bancarotta” scrive senza mezzi termini il Daily Telegraph, celebre quotidiano londinese. Probabilmente non esagera, se pensiamo che il debito pubblico è fuori controllo, l’evasione fiscale ha raggiunto livelli allarmanti e, last but not least, il settore pensionistico è al collasso.
Ma perché problemi di uno “statarello” di soli 11 milioni di abitanti mettono così in angoscia tutti mercati finanziari? Semplicemente perché la Grecia adotta come moneta l’euro e, a tutt’oggi, nessuno sa cosa accade quando uno Stato membro dell’eurozona rischia un default. Ricordiamo, per inciso, che la Grecia era rimasta inizialmente fuori dall’euro in quanto parametri economici non soddisfacevano le condizioni richieste. Il periodo di “esame” era durato quattro anni dopo di che, nel 2006, anche allo Stato ellenico venne concesso “l’onore” di adottare la moneta unica. Non è mai stato, però, un Paese virtuoso, visto che in questi quattro anni solo in una occasione ha rispettato il patto di stabilità. Inoltre i dati forniti sulla propria situazione finanziaria sono sempre stati accolti con scetticismo dagli altri partner europei.
Si sarebbe portati a pensare che sia opportuno far intervenire Bruxelles, almeno per calmierare la
La situazione
Qualche cifra forse renderà meglio la gravità della situazione: il 2009 terminerà con un deficit di bilancio pari al 13%, nel 2010 il debito pubblico raggiungerà il 125% del Pil, il tasso di disoccupazione giovanile è il più alto d’Europa e quei pochi giovani che trovano lavoro hanno uno stipendio fissato per legge a 715,65 euro. Da un paio di mesi al Governo sono tornati socialisti del Pasok di Georges Papandreou che hanno stravinto le elezioni dopo sei anni nei quali la coalizione di centrodestra di Costas Karamanlis (Nea Demokratia) aveva guidato il Paese. I nomi dei contendenti alla poltrona di Primo Ministro probabilmente fanno ritenere che anche la democrazia in Grecia sia un optional. Prima di Georges Papandreou, infatti, sono stati Premier il padre Andreas ed il nonno Georges, siamo così alla terza generazione. Anche per lo sconfitto, Costas Karamanlis si può parlare di nepotismo, visto che lo zio, omonimo, fondatore del partito Nea Demokratia è stato Premier dal 1955 al 1963 e dal 1974 al 1980. Ovviamente il nuovo esecutivo, pur non nascondendo la gravità della situazione, ha cercato di rassicurare mercati e soprattutto partner europei, il neo Ministro delle Finanze, Papacostantinou,
ha usato frasi come “Noi non saremo la prossima Islanda” oppure “il 2010 sarà un anno difficile, ma non impossibile”.
Non va meglio ai sistema bancario greco, sulla cui solvibilità si nutrono seri dubbi, per ottenere prestiti dalla Banca Centrale Europea, infatti, principali istituti di credito forniscono a garanzia titoli di stato ellenici; in pratica quindi lo Stato fa debiti che vanno a garanzia di altri debiti, una situazione paradossale che farebbe anche sorridere se non fosse drammaticamente seria.
Effetto domino
A preoccupare non è quindi tanto l’ammontare del deficit (con 40 o 50 miliardi di euro la situazione rientrerebbe entro limiti tollerabili), ma spaventa il fatto che, con il classico effetto domino, la tensione venga trasmessa agli altri Stati dell’eurozona che più stanno soffrendo in questo periodo. Come noto, però, spesso per scongiurare situazioni drammatiche si ricorre all’umorismo: nella City londinese infatti è stato coniato un nuovo acronimo, parafrasando il BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) che identifica le quattro nazioni con il più alto tasso di sviluppo, è nato il PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) che raggruppa i quattro stati europei maggiormente in crisi, naturalmente il doppiosenso (in inglese pigs significa maiali) è tutt’altro che casuale.
Inoltre è tornato anche in voga un vecchio detto, mai andato in disuso negli ambienti finanziari di tutto il mondo: “Se hai un debito di mille euro, hai un problema, ma se hai un debito di dieci milioni di euro ... allora il problema ce l’ha la tua banca”. Per questo la BCE non sembra possa dormire sonni tranquilli.
Il prezzo della salvezza
In una maniera o nell’altra, però,
usciremo da questo impasse. Per quanto riguarda l’evoluzione della situazione la nostra idea collima con quanto dichiarato da George Soros (ricordate il famoso speculatore ora trasformatosi in filantropo?): la Grecia non andrà in default, anzi, per essere più precisi “non le sarà consentito”, ma per questo pagherà un prezzo caro. E’ stato lo stesso neo Presidente eletto Georges Papandreou nel suo discorso alla nazione ad usare la frase:”La crisi economica e fiscale che ha investito la Grecia può rappresentare un rischio per la sovranità nazionale del Paese”, una sovranità che, secondo molti, avrebbe già, di fatto, perso. L’euro e l’Europa non possono venire sconfitti.
In italiano: vendita allo scoperto. E’ un’operazione finanziaria che consiste nella vendita di strumenti finanziari non posseduti con successivo riacquisto. Questa operazione si effettua se si ritiene che il prezzo al quale gli strumenti finanziari si riacquisteranno sarà inferiore al prezzo inizialmente incassato attraverso la vendita. Nel caso in cui si verificasse quanto detto, il rendimento complessivo dell’operazione sarà positivo; al contrario risulterà negativo se il prezzo dello strumento è aumentato.
Chi esegue questo tipo di operazione viene così definito “ribassista”, avrà infatti un utile se, il prezzo dello strumento finanziario (tipicamente una azione) diminuirà, il guadagno sarà pari alla differenza di prezzo fra l’iniziale vendita ed il successivo acquisto. Colui che decide di vendere stru-
menti finanziari allo scoperto, non essendo in possesso degli stessi, deve richiederli in prestito ad un broker e, entro una certa scadenza, riacquistare gli strumenti per riconsegnarli al cedente. Solitamente, per il prestito suddetto, viene pagato un interesse annuale al broker in relazione alla durata in giorni dell’operazione di vendita allo scoperto. Oltre a pretendere l’interesse annuale stabilito (che può variare anche in base al singolo titolo), il broker richiede un margine di garanzia per l’operazione (ad esempio il 50% del controvalore scambiato). La logica che sta d ietro ad una operazione di vendita allo scoperto è invertita rispetto a quella di una normale operazione di investimento (prima l’acquisto e poi la vendita dello strumento) e quindi può essere utilizzata nelle fasi di discesa dei mercati.
Buffarini replica al leghista Davide Lovat, che aveva criticato il pensiero massonico illuminista Rivendicando il suo mondialismo
E precisando: “Ho lasciato la massoneria, Non fa nulla contro certe leggi-vergogna”
Art. 8 Cost. : “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge...e hanno diritto di organizzarzi secondo i propri statuti, in quanto non constrastino con l’ordinamento giuridico italiano”.
Art. 19 Cost. : “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esircitarne in privato e in pubblico il culto, purchè si tratti di riti non contrari al buon costume”.
Negli ultimi decenni del XIX secolo l’Europa venne invasa da una singolare opera pseudo storico-politica, che recava il titolo “I Protocolli dei Sette Savi di Sion”, nella quale veniva descritta la trama tessuta da una organizzazione segretissima dell’ebraismo, finalizzata alla conquista del dominio mondiale.
Gli strumenti con cui la “Spectre” ebraica avrebbe conquistato il mondo erano indicati nell’ordine seguente:
1 – L’Illuminismo, per aver affermato e scritto diritti universali dell’uomo, riportati nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America e, via via nelle costituzioni liberali di tutti paesi d’Europa eccettuati naturalmente quelli retti da monarchie assolute;
2 – Il socialismo egualitario, cui teorici e fondatori erano quasi tutti di religione ebraica;
3 – La massoneria, che per il suo
carattere di organizzazione internazionale ispirata ai principi di Libertà, Fraternità ed Eguaglianza, era il braccio operativo dell’internazionale ebraica per infiltrarsi nei governi europei, nelle banche e in tutti centri del potere economico.
L’opera ebbe come conseguenza lo scatenamento di feroci persecuzioni antiebraiche e antimassoniche persino in Francia, dove fu alla base dell’ignobile processo contro l’innocente capitano dell’esercito francese Dreyfuss. Naturalmente i protocolli erano un vergognoso falso, opera della polizia segreta zarista (OKHRANA) per giustificare ferocissimi pogrom (massacri) antiebraici soprattutto nelle comunità rurali russe. Dei protocolli, tuttavia, si appropriò nel suo “Mein Kampf” il notissimo personaggio di nome Adolf Hitler, che li usò per motivare le leggi razziali antiebraiche, l’eliminazione della massoneria tedesca e quanto di terribile avvenne nell’Europa occupata dai nazisti nei confronti di quanti professavano la religione ebraica.
Registriamo con notevole interesse che le tesi hitleriane sulla congiura ebraico-massonica stanno facendo dei proseliti nella Lega Nord per l’indipendenza della padania. Nel suo articolo pubblicato nell’ultimo numero di Vicenzapiù a firma Davide Lovat si ipotizza infatti che è in essere una congiura...islamico-massonica finalizzata all’asservimento
dell’Europa e alla conquista del mondo, previa eliminazione della Chiesa Cattolica di cui i neo-crociati leghisti sarebbero gli strenui difensori (forse è per questo che insultano il Cardinale di Milano e praticano razzismo, xenofobia, leggi che violano convenzioni internazionali sul diritto d’asilo e norme della Costituzione come quelle riportate in epigrafe). Alla luce di queste convinzioni chi scrive viene accusato di mondialismo illuminista perchè massone-islamico. Ringrazio vivamente il sig. Lovat per aver così brillantemente definito la mia personalità tanto sconcertante agli occhi di molti. E infatti: 1 – Io mi riconosco completamente nelle parole dell’inno alla gioia del poeta tedesco Friedrich Schiller, musicate nella nona sinfonia di Beethoven: “Tenetevi abbracciati o milioni di uomini. Senti tu il Creatore o mondo? Tenetevi abbracciati o milioni di uomini! Il mio abbraccio vada al mondo intero”. Queste parole fanno parte dell’inno ufficiale dell’Unione Europea; 2 – Tutti sanno che il principale impegno della mia vita è stato quello di aiutare con miei modesti mezzi i popoli perseguitati e
oppressi di ogni parte del mondo: dai palestinesi ai curdi iracheni, massacrati con i gas di fabbricazione americana dal dittatore Saddam Hussein, dagli indiani d’America fino alle centinaia di persone annegate nello stresso di Sicilia, povera gente affamata e assetata che sognava di trovare in Italia un pò di pace, di pane e di lavoro;
3 – Ho esultato per l’elezione a presidente degli Stati Uniti d’America di Barack Hussein Obama, di padre musulmano kenyota e madre statunitense. Pensate che scorno per quei leghisti che negano il diritto al voto a immigrati che fino a cent’anni fa si arrampicavano sugli alberi in Africa come le scimmie (i “bingo-bongo” evocati dal raffinato Umberto Bossi”).
Uno dei motivi che mi hanno spinto ad abbracciare l’Islam è tra gli altri l’aver letto nel Corano che Dio ha creato l’uomo e la donna e dall’unica coppia di essere umani nasceranno innumerevoli figli che daranno vita a tribù, popoli e nazioni, differenti per colore di pelle e per lingua ma eguali davanti al Creatore. E in nome del mio “mondialismo” che combatto la Lega e la considero una
vergogna del nostro paese, di cui intendo difendere la Costituzione Repubblicana e Democratica con lo stesso impegno che dedico alla difesa della mia religione musulmana.
Ps: Voglio informare i lettori che sono uscito dalla Massoneria qualche mese prima di pronunciare la formula di conversione all’Islam: non già perchè esista contrasto tra i valori di Libertà, Fraternità ed Eguaglianza massonici e quanto è contenuto nel Corano ma perchè la Massoneria italiana, a differenza delle altre massonerie europee non ha fatto granchè per contrastare le leggi anti-immigrati del governo italiano e, soprattutto, perchè alcune logge venete non sono esenti dalla presenza leghista. Quindi, allo stato attuale io sono soltanto un cittadino italiano di religione islamica che crede nella democrazia e nei valori della nostra Costituzione; e in quanto tale non partecipo a nessuna congiura islamico-massonica, che esiste solo nelle fantasie malate dei sostenitori della padania.
Abdullah Domenico Buffarini
Ma il vero nemico è il “global”
Condannare il razzismo va bene Tuttavia difendere il “locale” è un valore contro il mito economicista di un mondo unito, uniforme e livellato
Capitemi: non riesco a non vedere i torti e le ragioni di ogni punto di vista. In quello di Abdullah Domenico Buffarini c’è da scindere da una parte il merito specifico della contesa col Carroccio anti-Islam e dall’altra la prospettiva culturale con cui lui condanna il leghismo. Quanto al primo, ho poco da aggiungere rispetto al mio articolo di due settimane fa sulle calunnie della Lega a proposito del mancato festival che avrebbe dovuto tenersi nel centro musulmano di via Vecchia Ferriera. Il terrorismo che ogni qual volta gli islamici organizzano qualcosa viene sparso a piene mani dal partito padano è pura strumentalizzazione della paura fomentata dall’ambaradan mediatico dall’11 settembre 2001 in poi: l’Islam, secondo la vulgata, sarebbe una minaccia alla nostra civiltà, alla nostra identità cristiana e occi dentale. C’è il piccolo particola re che questa identità esiste solo nella testa dei Lovat, che ci crede pure, e in quella di chi la evoca con squallido cinismo elettorale. La religione, i famosi “valori”, la cultura ideale e storica del no stro Paese e dell’Occidente sono stati ridotti a maschere posticce attaccate con lo sputo ad un real tà sostanziale che nega tutto ciò alla radice: l’idolatria del denaro, il consumismo globalizzato, l’incultura televisiva, il nichilismo di massa foraggiato dall’apparato industriale e finanziario, che deve vendere i suoi prodotti e auto-alimentarsi per non crollare su sé stesso. Perciò mi viene da sorridere quando leggo proclami di fede di certi politici neoclericali: lanciano strali contro le altre religioni e non si avvedono che quella loro non dice più niente alla società profonda, che se e quando va a messa, dopo qualche ora il vero pellegrinaggio lo fa al centro commerciale. E veniamo a Buffarini. Sottoscrivo in pieno, naturalmente, il suo rimando alla Carta costituzionale, che tutela la libertà d’espressione in tutte le sue forme, religiosa inclusa. Ma non la sua demonizzazione della Lega. Né la sua difesa della massoneria. Posso capire che per ragioni di vis polemica l’ex massone ricorra repulsione. Esattamente come le manovre di ambienti economici e politici all’ombra dell’opinione pubblica, e se Buffarini mi legge saprà quanto batto questo chiodo riguardo alla malmostosa Vicenza delle consorterie. Non discuto i princìpi su cui si regge la Massoneria (anche se vorrei farlo, da
come Patria, oggi non lo è più. In questo in buona compagnia con tutti gli altri moderni e avanzati stati occidentali, il cui patriottismo è stato sacrificato sull’altare della globalizzazione economica (modello di sviluppo basato sulla crescita infinita) e politica (democrazia come dogma universale). Quando al mondialismo, secondo me è un sogno folle: equivale ad unirsi tutti in un abbraccio mortale, perché negare le differenze e il conflitto porta alla morte della Vita e della Storia. Fortunatamente, queste non si fanno ingabbiare in ideologie che non tengono conto delle loro contraddizioni. Fra le quali prospera anche il male delle guerre, delle contrapposizioni, degli odii, dei razzismi, d’accordo. Ma, scusate il filosofeggiare da seguace di Eraclito e Nietzsche, senza il male non c’è l’Uomo. Un pianeta kantia-
sura del singolo e della comunità a lui più prossima. Perché vi scorre il sangue, la passione, qualche ragione per vivere che non sia solo quella di lavorare, produrre e svenarsi per mandare avanti la baracca industrial-finanziaria. I leghisti, alle origini, rappresentavano un segnale di questo risveglio, benché anche loro ammorbati dal mito della fabbrichetta e degli schei. Ora si sono definitivamente fatti corrompere dagli agi di Roma e dei suoi palazzi. Anch’io ho orrore del loro razzismo da egoisti privilegiati, e nutro invece ammirazione per gli islamici orgogliosi della propria identità, che al contrario di quella nostra, inconsistente e propagandistica, resiste proprio al mondialismo di cui Buffarini si fa portabandiera (vedi l’Iran, che non molla). Il problema, per concludere, è che Buffarini è ancora avvinto al sol dell’avvenire della sinistra europea: un mondo retto da un universalismo buono, incorrotto, illuminista. Un’idea maledetta che, come è avvenuto col nero bi culturale all’universalismo di petrata dal sistema economico globale. Quand’è che la sinistra, atea massone o islamica che sia,
“Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c'era una pentola che bolliva e fece l'atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro, ma la pentola era dipinta sul muro. Figuratevi come restò. Il suo naso, che era già lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita.” (C. Collodi)
«Mammina resta ho tanta paura! Non lasciarmi qui solo la notte è scura!
Ho paura dell’urlo acuto e terribile che fanno bambini
- Mamma, è orribile!quando mi vedono apparire!
Mamma, non posso non posso dormire»
dice la mamma al suo bambino
«fai la nanna oh fantasmino
fai la ninna fai la nanna fantasmino della mamma!»
«Mammina ho fame voglio mangiare dimmi perché devo aspettare qui nella bara buono e tranquillo finché risuona l’ultimo squillo
della campana di mezzanotte?»
dice la mamma al suo bimbetto
«fai la nanna oh vampiretto fai la ninna fai la nanna vampiretto della mamma!»
«Mamma non dormo, nemmeno ci provo, se non mi compri un abito nuovo! Questo è tutto consumato e a brandelli lacerato! e poi puzza di stantio»
dice la mamma al suo baby
«Fai la nanna piccolo zombie
fai la ninna fai la nanna piccolo zombie della mamma!»
di Pino Costalunga
La luna come una moneta d’argento illuminava la notte di Natale facendo brillare il bosco innevato.
Il vecchio Babbo Natale, un po’ acciaccato per suoi centoventi inverni, tirò fuori dall’armadio l’abito rosso orlato di pelliccia, ormai consunto sui gomiti e privo di qualche bottone.
Lo indossò facendo attenzione a non strappare le cuciture ormai lise. Poi calzò gli stivaloni neri dalle suole consumate e si allacciò in vita il cinturone.
- Avrei proprio bisogno di un vestito nuovo – si disse infilando nel sacco gli ultimi doni per i bambini che gli avevano scritto, come ogni anno, affettuose letterine piene di richieste e di buoni propositi - ma ho speso tutto il mio denaro per comperare questi regali.
- Vorrà dire che l’anno prossimo cercherò di essere meno spendaccione così da risparmiare qualche soldo e rinnovare il mio guardaroba un po’ fuori moda - si ripromise salendo con qualche difficoltà sulla slitta, perché la schiena gli doleva.
Le renne erano inquiete quella notte, perché avevano dormito poco. Babbo Natale le aveva svegliate prima del solito per prepararle al faticoso viaggio che le attendeva, di paese in paese, di città in città, attraverso foreste innevate e mari in tempesta.
- Buone, Cesarina e Gertrude, che la strada è lunga e tortuosa – tentò di quietarle il vecchio dalla lunga barba bianca.
- Su, al galoppo! – le incitò poi a gran voce. Le due renne si sollevarono da terra, leggere come fiocchi di neve, trainando la slitta in aria lungo un sentiero invisibile che solo loro conoscevano.
Gertrude, la più ribelle, non voleva saperne di ubbidire ai comandi di Babbo Natale. Scalpitava, dimenandosi come
un cavallo imbizzarrito, muoveva la testa di qua e di là, facendo perdere la rotta alla slitta e la pazienza al suo conducente che a fatica riusciva a domarla. E a forza di tirare a destra e a manca, le redini ben presto si strapparono. Babbo Natale perse il controllo della slitta e le renne furono sbalzate fuori, roteando nell’aria gelida della notte insieme a Babbo Natale e al suo sacco colmo di doni. Il vecchio con il pancione rotondo, dopo varie capriole, atterrò nel bosco, finendo, per sua fortuna, sopra un cumulo di neve fresca che attutì la caduta. Si procurò solo qualche ammaccatura, ma il suo vestito rosso, già malconcio, si rovinò del tutto, strappandosi in più punti mentre gli ultimi bottoni schizzavano via come proiettili.
In quello spettacolare atterraggio sparirono anche doni che fuoriuscirono dal sacco e si persero tra gli alberi imbiancati di neve di quell’immenso bosco.
- Per mille renne capricciose e per cento giocattoli di cartapesta! – inveì Babbo Natale con il cappuccio di traverso e la barba bianca tutta aggrovigliata – Ora sono proprio ben conciato: senza vestito e senza doni.
Gli animali del bosco, a quelle grida, si svegliarono di soprassalto e così pure gli alberi e ogni tipo di arbusto. A dire il vero, nessuno, nel bosco, dormiva profondamente quella notte, perché tutti attendevano con grande eccitazione che arrivasse Natale. C’era un impercettibile fermento nell’aria che faceva vibrare ogni ramoscello come se fosse scosso da una lieve brezza.
- Non preoccuparti per i tuoi doni, caro Babbo Natale. Li troveremo noi volando di ramo in ramo e poi li porteremo ai bambini che li stanno aspettando - gli dissero in coro i pettirossi alzandosi in volo tra gioiosi cinguettii.
- Non crucciarti per il tuo abito rovinato. Il gufo e la civetta te ne faranno uno nuovo con le mie foglie - lo confortò una quercia vecchia di cent’anni.
- E io lo decorerò di rosso con le mie bacche – proseguì un agrifoglio.
- Io ti regalerò la mia coda argentata per foderare di pelliccia il tuo cappuccio di foglie - si offrì gentilmente la volpe.
- Con il mio legno lo scoiattolo ti fabbricherà un bel paio di zoccoli così i tuoi piedi non affonderanno nella neve - gli disse un noce dal grosso tronco.
- Non so come ringraziarvi, – esclamò commosso Babbo Natale – ma perché fate tutto questo per me?
- Perché siamo tuoi amici - gli risposero in coro gli animali e gli alberi del bosco – Tu ti sei sempre prodigato per gli altri, era tempo che qualcuno pensasse anche a te, ora che sei diventato vecchio e stanco.
In men che non si dica Babbo Natale ebbe il più bell’abito che avesse mai indossato, caldo di foglie fruscianti, trapuntato di bacche rosse come rubini. Una morbida pelliccia gli incorniciava il volto rubicondo dove risaltavano due occhietti vispi e lucidi di commozione.
In quella notte stellata Babbo Natale, elegantissimo nel suo abito di foglie, festeggiò il più bel Natale della sua vita insieme agli amici del bosco tra canti e scorpacciate di frutti selvatici. Parteciparono alla baldoria anche Gertrude e Cesarina che, mogie mogie, ricomparvero all’improvviso tra gli alberi e, per scusarsi della loro marachella, diedero una poderosa leccata alle guance paffute del loro padrone che le perdonò, perché Babbo Natale non era capace di tenere il broncio a nessuno.
E quella fu la prima notte di Natale che ogni bambino ricevette il suo dono non dalle mani di Babbo Natale, ma dal becco di un cinguettante pettirosso.
Di Lorenza Farina
Illustrazione di Paola Martello
LUCIA: è un nome bellissimo e luminoso: deriva infatti dal latino lux lucis che significa “luce” e anche “nata al primo mattino”. Si diffuse dapprima in Sicilia, dove si parlava il greco, nella versione Lùkia, ovvero “chiara, splendete, lucente” e poi in tutta Italia. Nel Medioevo, quando si seguiva il calendario giuliano, il 13 dicembre, festa di Santa Lucia, cadeva il solstizio d’inverno e si celebrava il passaggio da un anno all’altro. Il nome è molto popolare anche in Svezia dove Santa Lucia viene celebrata con una serie di cerimonie molto suggestive ispirate appunto alla luce.
STEFANO: il nome deriva dal greco stéphanos. Significa “corona” intesa sia come simbolo del re, sia con un significato religioso. La forma rotonda della corona richiama infatti la perfezione del cerchio che suggerisce quella della divinità. I sacerdoti portavano corone ed erano appunto chiamati stephaneforos. Il nome fu adottato dai cristiani e santo Stefano, la cui festa cade il 26 dicembre, fu uno dei primi martiri. A Roma la sua chiesa, Santo
bambini se ne intende. Dai cinque anni. Nella grotta del mostro marino, di Anna Sarfatti editore Giralangolo
Per bambini che amano i videogiochi, ma anche che adorano leggere misteriose storie di Natale e non si spaventano se libri sono lunghi e intricati come labirinti. Dai dieci anni. Lilim del tramonto di Bruno Tognolini Salani
“…Non c’è conquista più grande che insegnare la magia della lettura a un bimbo di sei anni…”
J. Mcbride
Con “L’ultimo anti-americano” Pino Dato ricostruisce il complesso rapporto tra lo scrittore de “Il prete bello” e gli Stati Uniti: ne viene fuori una visione sostanzialmente negativa, assolutamente non ideologica e ancora estremamente attuale
Perché non possiamo non dirci americani”. Pino Dato parafrasa uno dei più celebri aforismi di Benedetto Croce per introdurre la sua ultima fatica letteraria, L’ultimo anti-americano (edizioni Aracne, 14 euro), in arrivo nelle librerie proprio in questi giorni. Un libro che ad un primo sguardo può apparire meno vicentino di tanti suoi lavori precedenti – dalla collezione di ritratti di Vicenza, briganti e gentiluomini all’analisi di Vicenza, la città incompiuta – ma che in realtà è profondamente intriso di vicentinità. Perché, come chiarisce il sottotitolo (“Goffredo Parise e gli Usa: dal mito al rifiuto”, ) è dedicato a Goffredo Parise, uno degli orgogli letterari della città. E perché è tutto costruito sull’analisi del complesso rapporto tra lo scrittore e l’America, rimandando così ad un questione come quella nel nostro rapporto con gli Stati Uniti che, anche a quasi trent’anni dalla morte di Parise, continua ad essere quanto mai attuale. “A metà circa del Novecento – scrive Dato nel prologo – William Saroyan scrisse un giorno un racconto importante ed emblematico, scolastico e semplice. Ma profondo già nel titolo: Che ve ne sembra dell’America?
Una vera domanda, fatta per avere risposte. Ma poche risposte sono arrivate [….] Goffredo Parise, a distanza di qualche anno, ha risposto, con la schiettezza di cui poteva essere capace solo un grande scrittore, alla bella domanda posta da
William Saroyan. Le sue risposte non possono essere lasciate cadere nell’oblio, sono troppo significative e importanti ancor oggi: è questa la ragione di questo libro”.
Coast to coast Il titolo del libro, L’ultimo antiamericano, lascia intuire subito a che tipo di risposte sia giunto Parise. Ma il merito del lavoro di Dato sta nella ricostruzione accurata del percorso che porta l’autore del Prete bello e dei Sillabari dall’entusiasmo e dalla curiosità iniziali nei confronti dell’America ad un rapporto conflittuale e, in fondo, segnato dalla delusione. “Vorrei che fosse ben chiaro che si tratta di una lavoro scientifico, basato su testi, documenti, fatti; non di una raccolta di mie opinioni”, puntualizza Dato. E in effetti la sua ricostruzione passa in rassegna tutti gli scritti dedicati da Parise agli Stati Uniti. Da Gli americani a Vicenza di cui Dato aveva già parlato in un suo precedente lavoro, agli otto articoli scritti nel 1975 da New York per il corriere della Sera. In mezzo c’è il viaggio, fondamentale, che Parise compine negli States nel 1961. Un viaggio poco considerato, finora, dalla critica. Ma è proprio a questo viaggio, e alle lettere che lo scrittore invia a Vittorio Bonicelli, che Dato dedica la maggior attenzione. Con solide motivazioni. “Nel 1961 Parise, che aveva
da tempo il desiderio di visitare l’America, trova finalmente l’occasione – racconta l’autore -. Pagato dalla casa cinematografica di Dino De Laurentis, parte insieme al regista Gian Luigi Polidori per un viaggio coast to coast che avrebbe dovuto essere la base per un futuro film. È un viaggio creativo, di ricerca. Ed è un viaggio straordinario, perché quella visione dell’America non l’ha mai modificata. Con quella esperienza la sua idea maestra, che era già in fieri, si cristallizzerà. Quel filtro visionario del 1961, Parise non lo smarrirà più. E quando quattordici anni dopo, percorrerà le strade di New York, sarà sempre accompagnato dall’America vista e somatizzata nel 1961”.
Il mistero di Vittorio
I ricordi e le impressioni di quel viaggio sono fissati in otto lettere pubblicate per la prima volta dall’espresso nel 1987, e poi riedite da Mondadori e da Rizzoli a cavallo tra primi anni ‘90 e i primi anni 2000. Ma sempre in modo incompleto. Nell’Espresso ci sono vari tagli, e l’ottava lettera è sostituita da uno scritto sulla cui autenticità ci sono molti dubbi. Nelle edizioni da libreria si era persa, invece, la memoria del destinatario. Dato, che ha visionato gli originali delle lettere nella casa museo di Ponte di Piave, rimette a posto cronologia e dettagli mancanti (chiarendo una volta per tutte che il Vittorio a cui sono indirizzate è Vittorio Bonicelli, che nel 1961 seguiva il viaggio di Parise e Polidoro per conto della De Laurentis). E Restituendo al carteggio anche il suo giusto valore letterario. “Sono lettere bellissime, di assoluto valore”, precisa. Quello che ne viene fuori è l’America secondo Parise. “Tra Parise e l’America c’è un rapporto conflittuale – racconta -. Lui ha scoperto un’Ame -
Lettera aperta del presidente veneto della Società per la protezione dei beni culturali “Solo elemosina: così perdiamo il legame col passato e opportunità per il futuro”
rica lontana anni luce da quella che aveva sognato e che aveva fatto nascere in lui il desiderio di visitarla, un’America che in pochi avevano scoperto e che non corrisponde alle visioni classiche. Tant’è vero che una delle poche cose che gli piacciono sono le comunità nere di New York e di New Orleans. In generale ne viene fuori un’immagine prevalentemente negativa, ma non in senso ideologico”.
L’odore della miseria Riassumere quell’immagine in poche righe è praticamente impossibile. Ma il “manifesto” del viaggio può essere considerato questo passaggio, che Parise ha scritto al rientro in Italia. “È l’odore della miseria, più miseria di tutte le miserie: più miseria della fame, delle malattie, della povertà ischeletrita e della morte. Più miseria di tutte perché non è miseria umana, biologica, naturale, antica anche se spaventosa, ma è miseria disumana, chimica, vecchia senza essere antica, è miseria morale, è schiavitù delle schiavitù. Come un castigo di Dio questo odore emana, sgorga dalla dinamica della vita americana, dalla sua sostanza morale, dalla ragione stessa e più intima per cui l’America vive: il consumo”. Un passaggio che, sottolinea Dato, “è la sintesi più autentica della sua visione d’America. C’è tutto il lessico parisiano che conta: la miseria, l’odore, la morte. Il tutto nel regno di un unico padrone monocratico: il consumo per il consumo. In questo la sintonia con Pasolini è perfetta e lui stesso lo ricorda a un anno di distanza dalla morte del grande Pier Paolo.”.
Americanismo e antiamericanismo
Alla fine, la grande questione attorno a cui ruota tutto il libro, spiega ancora Dato, è “il problema dell’America: l’America oggi è importante perché viene fuori sempre, in ogni questione c’è un problema americano. Per questo dico che siamo in epoca americana. Tutto viene dall’America: le merci, le mode, la contestazione, la migliore letteratura, quella che va davvero al fondo delle cose. Per questo ho ripreso quella frase di Croce. E per questo il libro è così attuale”. Anche, se non soprattutto, in una città come Vicenza, che negli ultimi quattro anni si è confrontata e divisa con il caso Dal Molin. “Cosa avrebbe pensato Parise? Sarebbe stato scandalizzato. Era scandalizzato dai ‘palombari’ in piazza dei Signori; in questo caso sarebbe stato doppiamente scandalizzato”, conclude l’autore. Purtroppo, aggiungiamo noi, di Parise che si scandalizzano non ce ne sono più.
Luca Matteazzi
Itagli previsti dalla Regione del Veneto alla voce Cultura, rappresentano un anacronismo storico in cui più in generale l’Italia ama distinguersi. Perché anacronismo? Perché per molti, troppi anni in politica e programmazione territoriale si è parlato di cultura trasmettendo il concetto di cultura = incombenza per le casse pubbliche, vedendo nell’insieme “cultura”(che comprende Beni Culturali, esposizioni e mostre, spettacoli dal vivo, valorizzazione del territorio e degli artisti), il contorno frivolo ed estetico di un sistema che si regge sul capannone industriale o sulle mega infrastruttura. Certamente il mondo produttivo e commerciale sono il pilastro economico di una società fatta di uomini e donne che concorrono nella creazione e nel manteni-
mento di un territorio evoluto, dove la qualità della vita va perseguita come obiettivo per sé e per gli altri [...] In quello stesso mondo dell’economia industriale si utilizza l’arte o l’artigianato per promuovere se stessi, facendo leva sui valori emozionali ed evocativi della “grande tradizione” e del “grande gusto”, essenzialmente per vendere di più. La ditta che usa come logo l’immagine del David di Michelangelo, il brand di moda che coinvolge il ballerino conosciuto e poi a ricaduta, in aggiunta alle versioni local -pop del genio artistico, come il Palladio e le sue Ville riprodotti su tovagliette di bar, insegne di agenzie immobiliari, vetrine di negozi nel territorio vicentino, sono la manifestazione di come l’arte sia un fatto concre-
tamente “utile” alle persone. Cinque anni fa il governo spagnolo investì in una campagna pubblicitaria che diceva “TUrismo”, ovvero come il turismo sia una delle componenti fondamentali di un paese, e di come allora lo stesso rappresentasse ben il 14 per cento del PIL spagnolo, creando anche un benessere diffuso. Per questo motivo la nazione iberica, prima nel mondo per presenza turistica, prevedeva una rete ben strutturata di ospitalità, sistemi museali, spettacoli dal vivo, promozione dell’artigianato, stimolando una fetta consistente della ricchezza del paese. Ben vengano le riorganizzazioni, tagli agli sprechi, la necessità in alcuni casi di rendere più efficiente il sistema, com’è avvenuto per gli enti teatrali e lirici, ma ricevere fondi per la ricerca in campo culturale, difendere il paesaggio e restaurare e mantenere i Beni architettonici,
oltre a invitare Musei a rendersi più splendenti e contemporanei non è un vezzo, dovrebbe rappresentare un punto fisso intoccabile nella prima regione turistica d’Italia. Per fortuna in Veneto esistono le Fondazioni bancarie capaci di investire in progetti di respiro, a sopperire alla distrazione della maggior parte degli imprenditori che non riescono a superare il compiacimento del loro fare in nome della filantropia, ignorando che il bello è seduzione e quest’ultima è mezzo di espressione del potere dall’origine dell’umanità. Siamo lontani dal modello Inghilterra o Stati Uniti dove il settore culturale è sostenuto a piene mani dai privati con risultati spesso eccellenti, dove magnati fanno a gara per donare ai musei o valorizzare le opere, ma se risultati della tanto declamata “decentralizzazione”, dell’urlato federalismo economico, significa mortificare la cultura ponendola quale accessorio di una società, allora forse si è persa la
sfida del pensare che nella cultura, nell’istruzione, nell’educazione all’accoglienza e nella critica di ciò che siamo in rapporto al contesto, è fondato il ponte per il futuro di una società ricca economicamente. La cultura diffusa diventa patrimonio, perché avrà saputo coltivare nella propria conoscenza e creatività (passata e presente), le armi per combattere l’ignoranza, che ha poi costi sociali molto elevati e sottrae competitività sul piano internazionale. Dare solo un’elemosina a questo settore è infine la negazione stessa (negli ultimi anni trasversale a tutti i partiti) del parlare sovrabbondante di “radici”, “passato”, “identità”, utilizzando questi termini per distrarre l’attenzione dall’effettivo sradicamento delle radici stesse, per mancanza di sussistenza.
Davide Fiore Presidente sezione regionale Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali
Le musiche ispirate ai viaggi di Mendelssohn, e uno degli spettacoli di Shakespeare più classici e divertenti. È questo il doppio appuntamento che il cartellone del teatro comunale propone ai vicentini per la settimana di natale. Anzi, bisognerebbe parlare di triplo appuntamento, perché la commedia Molto rumore per nulla, con la regia di Gabriele Lavia, andrà in scena sia il 22 che il 23 dicembre. Lavia ritorna così al Teatro Comunale con il suo laboratorio teatrale, costituito da una ventina di giovani attori, affrontando con una carica di energia e passione una lettura corale della commedia scritta da Shakespeare nel 1598. Molto rumore per nulla rientra a pieno titolo nel novero delle tragicommedie, nelle quali l’elemento comico si fonde a quello tragico e propriamente drammatico. Su questo registro viene giocata l’azione che
prevede un rincorrersi di sentimenti ed eventi, con una messa in scena brillante, divertente, molto vitale e fresca, dove gli attori recitano, suonano, cantano, ballano, si offrono al pubblico senza risparmiarsi in tre ore di spettacolo. Il 21 dicembre è invece la serata dedicata al un nuovo concerto della stagione sinfonica del Comunale, con l’Orchestra del Teatro Olimpico che si cimenterà con alcuni celebri brani di Mendelssohn e Schubert. Il concerto si apre con una breve ma intensa composizione, “Le Ebridi” di Mendelssohn, una pagina che nasce nei mari del Nord, nella Grotta di Fingal, dove, secondo la leggenda, si sarebbero svolte le imprese dell’eroe celtico Fionn McCoul: movimenti degli archi alludono così alle profondità
dell’oceano, mentre nei fiati riecheggiano rumori della battaglia. Segue la Sinfonia n. 5 di Franz Schubert, e quindi ancora Mendelssohn, con un’altra composizione ispirata ad uno dei tanti viaggi del musicista: la Sinfonia n° 4 in la maggiore meglio nota come “Italiana” in quanto legata alle atmosfere che il compositore trovò durante il suo tour in Italia. Nell’insieme la composizione è un alternarsi tra momenti di grande vigore e dinamicità, e abbandoni melodici dal sapore malinconico, romantico. Frutto di una lunga gestazione, la Sinfonia fu oggetto di numerosi ripensamenti e revisioni e non fu mai pubblicata durante la vita del compositore, divenendo celebre solo dopo la sua morte.
In
Prendete un manager fanatico dei prodotti di bellezza e ossessionato dallo spettro delle prime rughe, un idraulico ruspante e dallo charme casareccio, un paio di relazioni extraconiugali che ovviamente si intrecciano e un capo azienda un po’ troppo morigerato e sospettoso. Aggiungete un profumiere che, abbassate le serrande del negozio, si diverte nei cabaret con un gruppo di drag queen, un anello finito per errore nello scarico di un lavandino che non vuole saperne di restituirlo e un’altra manciata di imprevisti ed equivoci assortiti. Condite il tutto con una buona dose di ironia, e avrete ottenuto Lavaboys il nuovo libro di Loretta Simoni. Dopo il romanzo d’esordio Niente Bidè, siamo inglesi, la Simoni continua con racconti di tono leggero e punta questa volta su un ritratto, divertito quanto impietoso, della psicologia maschile. Senza sup-
ponenza e tesi preconcette da dimostrare a tutti i costi, come ben spiega Antonio Di Lorenzo nella prefazione: “Loretta Simoni non è una scrittrice femminista, l’intellettuale che vuole dimostrare una tesi, affermare la supremazia del cromosona x nel mondo, oppure irridere alla metà bassa del cielo. Semplicemente ha una penna felice nel tratteggiare, con ironia che non diventa mai sarcasmo, la psicologia maschile. Anche perché – ammettiamolo – offre molti più spunti di comicità rispetto alle donne”.
La storia di dipana così tra incontri amorosi finiti male, pedinamenti e malintesi fino al colpo di scena finale. “Questi, piaccia o no, sono i nostri vicini di casa – conclude Di Lorenzo -. L’autrice li racconta, in modo asciutto e brillante, più con la curiosità di Guido Piovene del “Viaggio in Italia che con la malizia di “Sex and the city””.
Dalle serate house beat ai concerti folk, alle sfide a colpi di riff heavy metal, vademecum per chi vuole fuggire dalla routine di pranzi e cenoni natalizi
N atale con tuoi e Pasqua con chi vuoi” recita un vecchio e inflazionato adagio. Ma sono molti i giovani che, in barba alla tradizione, al momento giusto sgattaiolano via da pranzi e cenoni natalizi verso altri lidi. Magari per smaltire le abbuffate in compagnia di amici e buona musica. Ed infatti si contano decine e decine di occasioni festaiole offerte a cavallo della notte di Natale da locali, bar e discoteche del vicentino. Che qui cercheremo di condensare, a mo’ di piccola guida, ad uso e consumo dei “fuggitivi”. Cominciando da un paio di ideuzze per l’aperitivo della Vigilia. Che si potrà sorseggiare sulle note delle hit del passato con il djset di Morris organizzato dal Nuovo Bar Astra in centro storico, alle 19. O al sound molleggiato delle cover di Bob Marley, riproposte in versione natalizia dal gruppo Rat Race in concerto al Ristorantino Nuovo Drive In di via Volta (zona San Marco) dalle 19.30. Per poi dirigersi al consueto Sartea, che alle 22 darà il via alle danze con il tradizionale appuntamento natalizio scandito dall’house beat della Family House: la serata più fracassona dell’anno, con musica non stop fino alle 3 del mattino. Per gli irriducibili rockettari, invece, consigliamo una puntatina nel tempio della trasgressione musicale cittadina, il Sabotage, che alle 22 accenderà i microfoni su di un’inconsueta battaglia alla consolle tra
sabato 19
TAVERNICOLI
Nuovo Bar Astra – contrà Barche 14, ore 19
domenica 20
MAJA QUARTET
Nuovo Bar Astra – contrà Barche 14, ore 19
Il cattivo tenente conferma l’acutezza e la maestria del regista bavarese Ma non è un remake dell’omonimo film di Abel Ferrara
Bar Astra, Sartea, Sabotage, Centro Stabile di Cultura&Co. e molto altro C’è l’imbarazzo della scelta
“Fog” e “Vito”, rigorosamente heavy metal. Chi avesse voglia di macinare qualche chilometro fuori città, in alternativa, potrà dirigersi fiducioso verso l’Alto Vicentino. Per fermarsi a San Vito di Leguzzano, dove al Centro Stabile di Cultura dalle 22 si ballerà al ritmo di djset e performance elettroniche grazie ad un nutrito gruppo di scatenati deejay veneti. O proseguire fino a Schio, dove lo Spazio Arcadia propone una dissacrante sfida musicale tra il repertorio trash degli anni ’80 e quello degli anni ’90, sempre in seconda serata. I consigli per il giorno di Natale si possono invece dispensare in modo chiaro e “geografico”: città per gli amanti della musica dal vivo e provincia per i frequentatori della movida dance notturna. A fare da capofila tra gli appuntamenti cittadini, ancora una volta, Sartea e Sabotage. Il primo con un concerto folk all’insegna della vicentinità più ruspante, con l’Osteria Popolare Berica (inizio ore 22) di Furia & Co., il secondo con il
ritorno sulle scene dell’Equipe 74, che promette un “Natale incendiato” a suon di hard rock (e il gestore Pepo alla voce, dalle 22). Per ballare bisognerà migrare, questa volta verso il bassanese. Al Vinile di Rosà, dove a far scatenare i clienti dalle 23 sarà Andy dei Bluvertigo, musicista compositore e pittore in veste di dj per una serata dark, wave, electro, gothic, minimal, post-punk… e chi più ne ha più ne metta. O allo Shindy di Bassano del Grappa, che scalderà i motori con un live set rock’n’roll dei trevigiani OJM, alle 23, per poi dare il via al vero party natalizio con musica dance a 360 gradi. Nota a margine per i tradizionalisti, che hanno già deciso di consacrare il 24 ed il 25 alla famiglia: anche il giorno di Santo Stefano è pieno zeppo di appuntamenti. Tra cui segnaliamo la serata “Funk & Drum” anni ’60 organizzata dall’Osteria Rive di Cartigliano, new entry tra jazz club nostrani, e il concerto reggae degli Anima Caribe al “solito” Sartea. Per movimentare il prossimo Natale, insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Concerto aperitivo – musica
folk etno prog, a seguire dj set di Marco Merc Free entry
sabato 19
NON PROVATECI DA “CASA”
Teatro Busnelli – via Roma 24 (Dueville), ore 21.30
Concerto rock sperimentale d’avanguardia dei Casa con ospiti Livio Pacella, Paola Simonetto e Giovanni Dal Sasso Ticket (5,00 euro)
sabato 19 NOEMI
Teatro Remondini (Bassano del Grappa), ore 21.30
Concerto della cantante consacrata da X-Factor, che presenterà il nuovo album “Sulla mia pelle” Ticket (min. 22,00 – max 29,00 euro + d.p.)
sabato 19
ROCK ICONS NIGHT
Bar Sartea – corso Ss. Felice e Fortunato 362, ore 22
Serata di musica e parole dedicata alle grandi icone del rock in collaborazione con Sound & Vision
Free entry
sabato 19
BLUE BIRD QUARTET
Osteria Miles Davis - strada di Polegge 114, ore 22
Concerto jazz
Free entry
sabato 19
KANI + EVILMIND
Sabotage Bar – viale dell’Industria 12, ore 22.30
Concerto fast’n’loud rock’n’roll + concerto trash metal
Free entry
Concerto aperitivo – musica jazz natalizia
Free entry
domenica 20
THE GANESH 5TH
Bar Sartea – corso Ss. Felice e Fortunato 362, ore 22
Concerto di musica jazz anni ‘60 Free entry
domenica 20
THELORCHESTRA
Panic Jazz Club – piazza degli Scacchi (Marostica), ore 22
Concerto di musica jazz con la big band della scuola Thelonious di Vicenza, composta da tredici elementi e diretta da Ettore Martin Free entry
lunedì 21
KICCA & INTRIGO
Bar Sartea – corso Ss. Felice e Fortunato 362, ore 22
Concerto pop bossanova, a seguire dj set di Daniele Pensavalle Free entry
martedì 22
NESTAKING
Bar Sartea – corso Ss. Felice e Fortunato 362, ore 22
Concerto reggae, afro beat e samba Free entry
mercoledì 23
PARTING WAYS
Equobar – strada marosticana 350, ore 22
Concerto tributo ai Pearl Jam Free entry
mercoledì 23
HYPNOTHETICALL
Barbie Music Bar (Arzignano), ore 22
Concerto metal sperimentale Free entry
è un remake dell’omonimo capolavoro di Abel Ferrara (1992), col che: a) possiamo tirare un sospiro di sollievo: nessuno, almeno per questa volta, ha avuto il coraggio di metter le mani in quel film bellissimo e terribile; b) si dimostra che al mondo esiste ancora qualcuno che ha delle idee senza andare a rubacchiare dagli altri. 2) È un ‘parente’ del film di Ferrara, nel senso che ad esso si ispira per il ‘tipo’ illustrato, quello di un poliziotto corrotto. Con una certa differenza. Quello era un viaggio nel fondo dell’anima, una discesa agli inferi – a livello religioso e psicanalitico – purtroppo senza ritorno: più che un noir, un’indagine nell’anima. Questo è davvero un noir, più che un thriller americano, e a marcarne i caratteri del genere – oltre, naturalmente, alle atmosfere – c’è l’ambientazione, una New Orléans di ‘tradizioni’ europee, scalcinata e misera, e soprattutto il regista, l’europeo Herzog, che del cinema americano usa materiali e situa-
zioni per scrivere le sue storie di vite e di destini. In questo senso, nuovamente, l’apparentamento con Ferrara è visibile, ma, appunto, si tratta di parentele ‘culturali’, vorrei dire antropologiche. Qui il protagonista è Terence McDonagh, detective della Squadra Omicidi del Dipartimento di Polizia di New Orleans, che nelle ore successive all’uragano Katrina salva un prigioniero che sta per anne -
gare, lesionandosi però gravemente la schiena. L’incidente sarà l’inizio di una spirale di dipendenza prima da antidolorifici, poi da coca, crac e qualsiasi altra porcheria che possa ottundergli il dolore. Ma è anche l’inizio di un viaggio di autodistruzione morale, sempre sul filo della lama. Scommesse, soprusi, spaccio, collusioni con la criminalità, lo strano rapporto con una prostituta drogata: Terence oltrepassa di continuo il confine della ‘legalità’, senza – ed è questo il punto – senza mai porsi il problema se questo confine esista. Men che meno se lo pone il regista, che par quasi limitarsi a ‘fotografarlo’, ad assistere moralmente alla sua esistenza. Pare, appunto, perché il genio di Herzog è pur presente
– anche se questo non è uno dei suoi film migliori – e si fa sentire quando meno te l’aspetti. L’alligatore ripreso ossessivamente mentre scodinzola sul ciglio della strada, le iguane che anch’esse riempiono l’inquadratura (“Che cazzo ci fanno quelle iguane sul mio tavolo?”
“Lì non c’è nessuna iguana”) sono lo sberleffo del diavolo, sono l’unghiata del Maestro, ed uno squarcio sulla follia di quell’apparente normalità. Di pazzia in pazzia, Terence alla fine sembra vincente, e tutto sembra andare ‘a posto’: ma quell’ultima, stupenda inquadratura ce lo mostra com’è, ancora sbriciolato in un’esistenza che non esiste, in cui la parola futuro non
ha significato. Se è vero che il Maestro ha fatto di meglio, questo rimane comunque un film che sorprende e affascina, e rappresenta comunque, specie con l’aria che tira, una bella lezione di cinema.
Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans, W. Herzog, USA, 2009
Le migliori opere uscite in libreria negli ultimi dodici mesi Medaglia d’oro a Enrico Deaglio per “Patria. 1978 - 2008”
Come lo scorso anno, anche in quest’ultimo numero del 2009 vogliamo indicarvi, fra quelli segnalati di settimana in settimana, cinque migliori libri usciti negli ultimi dodici mesi. Si tratta di un’indicazione che non ha nessuna pretesa di completezza e che funziona soprattutto come sintetico riepilogo dei percorsi di lettura suggeriti quest’anno dal nostro settimanale.
Al quinto posto mettiamo “Il commissario Soneri e la mano di Dio” (Frassinelli) scritto dal giornalista Valerio Varesi: un giallo più
di atmosfere e personaggi che di intreccio, che si distingue per la scrittura assai curata. Una nuova dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che non esiste una letteratura “d’autore” di serie A e una letteratura “di genere” di serie B; esistono semplicemente buoni libri e cattivi libri a prescindere dall’argomento e dallo stile.
Al quarto posto si piazza Marco Lodoli con “Il rosso e il nero. Cuori ed errori della scuola italiana” (Einaudi): uno sguardo acuto e penetrante sulla realtà scolastica da parte di uno scrittore che nella vita di tutti i giorni è un insegnante in un istituto professionale della periferia romana. Lodoli non si accontenta di segnalare i problemi e non ci mette l’acrimonia di molti giornalisti (che vedono nella
scuola italiana solo il facile bersaglio delle loro invettive); indica, seppure modestamente, qualche possibile soluzione e si sforza sempre di andare oltre l’ovvio, grazie anche a una scrittura ricca di suggestioni. Si guadagna il terzo posto “Il cinquecentodelitti” (Garzanti) di Giorgio Scerbanenco. Non si tratta di una novità editoriale, in senso stretto, ma di una riproposta a quasi quarant’anni dalla prima uscita all’inizio degli anni ’70. È un volume di racconti che, fra le altre cose, conferma la grandezza di uno scrittore come Scerbanenco, per troppo tempo sottostimato, e che si propone come valido strumento, a quanti ancora non lo conoscono, per avvicinarlo.
“Brucia la città” (Mondadori)
del torinese Giuseppe Culicchia occupa il secondo gradino del podio. Questo romanzo è una scatenata commedia di costume che riflette, senza moralismi e con uno stile scoppiettante, sulla degenerazione politica, sociale e morale della nostra povera Italia agli albori del secondo millennio. E che conferma il suo autore come una delle giovani penne più interessanti nell’attuale panorama italiano.
A nostro modesto parere il miglior libro di quest’anno è “Patria. 1978 – 2008” (Il Saggiatore), il ponderoso volume di Enrico Deaglio che ripercorre gli ultimi trent’anni di storia del nostro Paese con stile e invidiabile chiarezza. Un saggio utile per mettere ordine nella confusa memoria di molti e
che con un po’ di coraggio potrebbe essere persino adottato come libro di testo a scuola. Queste sono le nostre scelte, cari lettori. La palla ora passa a voi. Buon Natale e buon
Dopo l’aggressione al premier si moltiplicano le voci di chi vorrebbe limitare la libertà di espressione sul web Un percorso tecnicamente arduo e sottilmente pericoloso Perché fa scivolare sempre più la democrazia verso il regime
L’aggressione ai danni di Silvio Berlusconi ha dato la stura ad una campagna, già covata da tempo, il cui obiettivo neanche troppo celato è quello di restringere il campo delle libertà di espressione, specie le espressioni del dissenso. Allo stesso tempo pezzi importanti del governo hanno preso di mira le modalità con le quali sarà possibile partecipare alle manifestazioni di piazza. Però a fare irruzione nell’agenda dei media sono stati social network. Twitter, blog, ma soprattutto Facebook, sono stati le piazze elettroniche nelle quali commenti all’evento di Milano sono stati più duri. Apprezzamenti per il gesto, posizioni ironiche, invettive sarcastiche, j’accuse violenti: insomma c’è stato di tutto e di più. E proprio rispetto a queste contestazioni le voci del governo, nonché quella di editorialisti “lealisti” con le istituzioni repubblicane come Giannantonio Stella, si sono levate quasi unanimi. Il ministro dell’Interno Bobo Maroni della Lega ha parlato esplicitamente di norme allo studio pensate per oscurare siti che riportano espressioni violente o che propugnano odio.
Diritto digitale
necessari per rintracciare eventuali responsabili che hanno inserito le loro invettive in forma anonima.
le procure competenti.
Sentimenti proibiti
Cancellazione ardua
Sul piano del diritto digitale c’è poco da dire. I server, ovvero i sistemi di computer, che ospitano materialmente portali come Facebook o moltissimi blog come quelli del circuito Google, che sono ospitati all’estero (spesso negli Usa) seguono il diritto dello stato di appartenenza. Di conseguenza, se le autorità italiane ritengono che siano stati commessi reati, occorrerà seguire la strada delle rogatorie internazionali e vedere se i soggetti interessati fuori dai nostri confini potranno o vorranno concedere dati
La cancellazione tout-court pensata in ambienti della maggioranza di centrodestra, indipendentemente dal fatto che la si consideri giusta o meno, è assai ardua. La rete poi è liquida nella sua essenza. Una frase anonima ritenuta ingiuriosa, può sparire da un server americano la mattina ed apparire in uno russo al pomeriggio per poi terminare la giornata in uno svizzero e continuare così per giorni. Inevitabilmente la tecnologia è più veloce del diritto e gli strumenti tecnici per venire a capo di sciarade informatiche del genere sono assai complessi. Si usano in situazioni particolari (superfrodi, attacchi alla sicurezza nazionale da parte di potenze straniere, mafia, narcotraffico internazionale) e funzionano se potenziali bersagli “aggressori” sono pochi. Se però in contemporanea un milione di utenti in mezzo mondo si mette a scrivere commenti ritenuti contra legem dalle autorità, la loro cancellazione o rimozione, unitamente alla identificazione dei responsabili, sempre che lo siano, è di fatto impossibile. Perché, a meno di oscurare un pezzo enorme del web a tutti gli italiani (cosa al momento impossibile e platealmente incostituzionale), la strada degli accertamenti penali va percorsa perseguendo le responsabilità personali, non i comportamenti collettivi. Detto in soldoni per ogni frase nel mirino si dovrebbe aprire uno o più procedimenti giudiziari presso la procura della repubblica di Roma. Si parla sempre di prese di posizione ritenute illegali e comparse in siti che non seguono il diritto italiano. Per quelli di casa nostra invece ci sono
Ma la questione tocca un aspetto più profondo. Un aspetto che col diritto digitale “ci azzecca” solo incidentalmente. Le domande che bisogna porsi sono altre. È pensabile censurare in qualche maniera l’odio? Si può proibire a tizio di odiare caio e di esprimere a parole tale odio? L’odio come l’amore è un sentimento. Si può proibire a qualcuno di pronunciare frasi ispirate da sentimenti violenti? Per legge si possono vietare sentimenti? Ovviamente no. Non possono essere posti limiti alla espressione del pensiero anche quando questo è aberrante. Quando il legislatore lo fa, magari con l’intento di contrastare totalitarismi e prevaricazioni, alla fine si contraddice perché si mette sul medesimo piano di ciò che pretende di combattere. In questa prospettiva il mio ragionamento riprende integralmente quello snocciolato da Massimo Fini il primo di dicembre su Il Fatto. Fini però in quel corsivo va oltre e riflettendo su una recente legge penale polacca che vieta il materiale propagandistico che fa riferimento al nazismo o al comunismo, parla di norma fascista. Tant’è che riportando il medesimo ragionamento sul piano della ventilata legge “oscura-siti”, torna nuovamente utile un’altra asserzione di Fini: «L’antifascismo non è un fascismo di segno contrario, ma il contrario del fascismo».
per sintetizzare una dittatura della democrazia la quale, almeno secondo una prospettiva storica moderna, è una contraddizione in termini.
I commenti più duri si sono letti su Twitter, sui blog e su Facebook La domanda da porsi è: è possibile censurare l’odio e proibire i sentimenti?
È chiaro quindi che i proclami di Maroni e altri sono dettati principalmente dalla contingenza. Una contingenza nella quale il malcontento verso il governo, e la classe dirigente più in generale, cresce sia in superficie che in modo carsico. Le norme “oscura-siti” sono evidentemente un’arma spuntata in partenza; un’arma che rischia contestualmente di sortire l’effetto contrario rispetto a quello propugnato a parole. Il tutto con la conseguenza, dietro l’angolo, di esacerbare ancor più gli animi.
Reati antidemocratici
Armi spuntate
Così per l’ennesima volta nel web finiscono per riversarsi vizi e virtù della vita reale. Mentre appare chiaro che ogni iniziativa legislativa tesa ad affermare i modi della democrazia, anche digitale, in maniera coercitiva, finisce
Per di più la norma penale italiana è già abbondantemente sbilanciata a favore dell’autorità e lesiva dei diritti dei cittadini sovrani. La legge Mancino e molti ambiti delle norme sull’ordine pubblico lo testimoniano. Ancora, c’è tutta una serie di reati collegati ad una concezione etica dello Stato
o peggio ancora fascista. Qualche esempio? Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica; lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica; vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate; vilipendio alla nazione italiana; vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato; offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose; turbamento di funzioni religiose; ingiuria, diffamazione, istigazione a delinquere, istigazione alla disobbedienza delle leggi; oltraggio a pubblico ufficiale. Sono reati non compatibili con una democrazia. Il governo, come è evidente, ha già a disposizione un ampio ventaglio penalmente restrittivo. E a mio modo di vedere gli strumenti palesemente non costituzionali o borderline rispetto alla Carta fondamentale sono già molti. Ergo il giro di vite annunciato in questi giorni a danno di social network e blog è figlio bastardo di patrigno e matrigna. Il primo porta segni della concezione, sottilmente totalitaria, che contraddistingue il regime democratico così come lo conosciamo. La seconda invece porta i segni della
Quattro atleti convocati in nazionale, l’assegnazione dei tricolori allievi, la stella di bronzo al merito sportivo. Christian Zovico racconta l’ultima felice stagione della sua Atletica Vicentina
La silenziosa crescita dell’Angarano Azzurra raccontata dal suo vicepresidente Eugenio Zen Dal pulmino chiesto in prestito all’idraulico per la trasferta fino al ritiro in hotel in Trentino
L’ultima soddisfazione se l’è tol-
ta qualche sera fa, andando a ritirare la stella di bronzo al merito sportivo del Coni. Il suggello di un 2009 da vertigini per il presidente dell’Atletica Vicentina, Christian Zovico. Davvero tutti promossi a pieni voti gli atleti “orange”, con la velocità che ha registrato due maglie azzurre, mentre i salti e il mezzofondo ne hanno contata una ciascuno. E pure il settore lanci, con i veterani Dal Soglio, Fortuna e Mottin, e con la sorpresa di “Mavi” Cestonaro fra le giovani, ha svolto a pieno il proprio dovere.
“Con le basi costruite in passato –le parole del massimo dirigente AV – e consolidate con gli importanti risultati di quest’anno, le prospettive per il 2010 non possono che essere all’insegna dell’ottimismo. L’importante allargamento del nostro sempre più qualificato bacino di società dell’atletica promozionale a noi collegate (ora 10 in totale, ndr) darà una notevole spinta a partire dal settore allievi. A fine giugno si disputerà a Vicenza la finale scudetto dei societari allievi e noi abbiamo tutta l’intenzione di ben figurare con entrambe le formazioni, maschile e femminile”. Progresso del movimento vuol anche dire aumento dei costi di gestione. Come reperite le risorse necessarie?
“Effettivamente, la crescita agonistica (in cinque anni da media società regionale a terza realtà nazionale) e l’allargamento della base di reclutamento sta raddoppiando il fabbisogno che avevamo individuato solamente tre anni fa. Lo sviluppo dei nostri eventi, come la StrAVicenza, ci garantisce una prima forma di sostegno. Sugli altri fronti stiamo lavorando intensamente a livello politicoistituzionale perché realtà economicamente solide investano su di noi. Del resto, con qualche decina di migliaia di euro possiamo diventare la prima realtà nazionale, non comprando atleti, ma scoprendo e valorizzando il nostro territorio”. Ci sono diverse società della regione (Padova, Conegliano) che beneficiano di sponsorizzazioni da parte delle locali Associazioni Industriali. Perché a Vicenza questo non avviene?
“Direi fondamentalmente per ragioni storiche. Ma speriamo sempre nel futuro!”.
Un club vincente come il Riccardi Milano (titolo assoluto e U23 nel 2009) tessera tre vicentini come Carollo, Sortino e Strati. In campo femminile atlete come Jessica Novello ed Elena Vallortigara gareggiano fuori provincia. C’è la possibilità concreta di portare qualcuno di questi in orange? E potendo scegliere chi vorresti in AV?
“Difficile recuperare chi è già andato. Stiamo lavorando per limitare questi casi, anche se va detto che rispetto al passato abbiamo fatto passi enormi in questa direzione. Scegliere un nome fra questi è difficile, si tratta di atleti molto validi e ognuno
di questi darebbe un contributo importante”.
L’anno prossimo arrivano per la prima volta a Vicenza i tricolori Allievi. Come si sta preparando l’AV all’appuntamento?
“Come sempre con grande passione, capacità e dedizione grazie all’impegno di un numero importante di persone, che ha capito quanto importante sia aiutare una realtà come la nostra per dare una possibilità importante ai propri figli. Sapendo che arrivava la copertura della tribuna e che sarebbero stati riqualificati gli spogliatoi abbiamo pressato la Fidal per fare avere a Vicenza questo grande evento. L’intento è quello di valorizzare l’importante lavoro che l’Amministrazione comunale ha fatto in questi anni, perfettamente assistita dall’Associazione Amici di Guido Perraro, capitanata dall’ing. Bruno Cerin e dalle società AV e CSI Fiamm Vicenza”.
Il settore master rientrerà ancora in un progetto di sviluppo o siete orientati a concentrarvi su giovani e assoluti?
“Abbiamo appena varato un entusiasmante progetto sul settore master mettendo in campo le conoscenze del nostro Enrico Vivian (66° all’ultima maratona di New York, ndr) per gli agonisti e di Matteo Mastrovita, referente veneto del sistema Galloway, per chi si avvicina alla corsa”.
La StrAVicenza ha rischiato di cambiare fisionomia e percorso a causa della concomitanza con le elezioni regionali. Quali aspettative ci sono, dopo l’ennesimo record di partecipazioni del 2009?
“C’è stato un tira e molla che ci ha portato comunque alla decisione di spostare il cuore dell’evento da Piazza dei Signori a Campo Marzo. Ma il nostro obiettivo rimane quel-
lo di arrivare ai 10.000 partecipanti nelle prossime due edizioni”.
Vicenza negli ultimi 30 anni ha sfornato tantissimi campioni nell’atletica e ci sono diversi ex atleti anche non vicentini legati in qualche modo alla nostra città. Avete mai pensato di coinvolgerli nel progetto AV?
“Tutti i dirigenti e gli allenatori attuali sono ex atleti. Questo messaggio lo ripetiamo da tempo a coloro che oggi gareggiano per favorire questi percorsi. Tanti master hanno trovato il modo di essere presenti e già organizziamo delle iniziative di richiamo. Chiaramente la crescita dei livelli agonistici con tanti talenti proiettati in maglia azzurra ha acceso l’entusiasmo di molti ex”.
Clima natalizio, tempo di “Corri Babbo Natale, corri”… “Sì, siamo molto contenti di essere, con il Coni, l’assessorato allo sport del Comune, Vicenza Press e FTV, fra gli organizzatori di questo evento che in poco tempo (la prima edizione è del 2006, ndr) è entrato nel cuore dei vicentini. Questa corsa di 2 chilometri per le vie del centro è un’occasione di aggregazione, divertimento e solidarietà. Le realtà che beneficeranno dell’incasso garantito dalle iscrizioni, che l’anno scorso ha superato 7000 euro, saranno sempre il Villaggio Sos di Vicenza e l’associazione “Bambini
cardiopatici nel mondo” del dott. Alessandro Frigiola. Quest’anno poi, si aggiungerà una raccolta alimentare, sostenuta da Sisa, che andrà a favore della S. Vincenzo De Paoli”.
Can che abbaia non morde. È sempre stata questa la filosofia che si respira ad Angarano, uno dei quartieri di Bassano del Grappa: poche parole, pochi proclami, ma tanto lavoro, tanta voglia di far bene e tanta, tantissima passione. La polisportiva US Angarano Azzurra conta oltre 500 atleti suddivisi tra volley, ciclismo, calcio, basket e calcio a 5. Per quanto riguarda la pallavolo di azzurro c’è poco, visto che in questa disciplina la società presieduta da Giorgio Bonato si dedica solamente al femminile. “La nostra volontà è di far crescere le ragazze e nel giro di un paio di stagioni, perché no, puntare alla serie D”. Così si esprimeva qualche anno fa il segretario Dorigatti; e il momento di mirare al campionato regionale è arrivato: “La nostra prima squadra è tornata a disputare il campionato di prima divisione dopo un anno di assenza e l’obiettivo è quello di lot-
tare nell’alta classifica, inseguendo il sogno della promozione in serie D, ma senza che diventi un’ossessione - spiega il vicepresidente Eugenio Zen -. Abbiamo rinforzato l’organico con l’inserimento di alcune atlete provenienti da società del circondario, con le quali è in atto una collaborazione volta a valorizzare le ragazze stesse”. L’interesse delle giocatrici è sempre stata la priorità della società, che più volte si è trovata “a fare conti” con due vicini di casa di un certo calibro (Rossano e Pallavolo Bassano), pronti a portare nelle loro formazioni le ragazze più promettenti; l’Angarano non si è mai imposta sulle giovani atlete e le ha sempre lasciate fare di testa loro. Pensiero Zen: “Se sappiamo che le ragazze si divertono e sono soddisfatte delle scelta, siamo felici anche noi”. Le partite del 2009 sono finite e il bilancio è più che positivo, soprattutto se guardiamo i risultati della prima divisione, che da neo promossa ha collezionato sei vittorie in altrettante partite, lasciando per strada un solo set. A spiegare i successi, che vanno al di là delle doti tecniche e tattiche, è il coach della squadra Enrico Longo: “L’anno scorso abbiamo raggiunto una grande promozione, grazie a una squadra che del gruppo ha fatto il suo punto di forza maggiore. Gran parte del merito va alla società, che nel suo piccolo, ogni anno, coccola le ragazze dando loro tutto il materiale necessario, dalla tuta ai giubbotti, alle ginocchiere, ma soprattutto offrendo loro la possibilità di effettuare il ritiro estivo a
Se le ragazze vanno in un’altra società e si divertono, siamo felici anche noi
Roncegno, in Valsugana. Non molte società permettono questo... Tre giorni all’insegna del duro lavoro ma anche del divertimento, alloggiati in un hotel dove abbiamo a disposizione piscina, palestra, boschi e sale giochi; tre giorni in tenuta di allenamento o di rappresentanza per andare a pranzo o cena; tre giorni che aiutano l’allenatore a formare un gruppo e lavorare nella fase atletica e le ragazze a conoscersi meglio. Questa è la mia ricetta per formare un gruppo vincente - conclude Longo - un gruppo che l’anno scorso mi ha dato tante soddisfazioni e che tante me ne sta dando adesso”.
Curioso il fatto che nel programma del ritiro non ci si limiti a indicare l’orario del coprifuoco. Anzi, viene scritto: “Ore 24: in camera per una lunga notte di bagordi”, ricordando però che alle 8.30 del mattino
successivo si deve essere tutti a fare colazione, per iniziare poi la prima seduta di allenamento con la corsetta mattutina delle 10. Il raduno si conclude con il pranzo domenicale in compagnia di parenti, amici e fidanzati e con il discorso del presidente, prima di fare ritorno a Bassano. La società lavora con tutte le categorie under (12, 14, 16, 18), arrivando così ad avere circa 120 atlete e 10 collaboratori tra dirigenti, segnapunti, arbitri di società ed accompagnatori. Un quarto di secolo di storia e un presente florido fanno sì che primi difficili passi mossi nel tentativo di entrare nel mondo della pallavolo negli anni 70 siano solo un lontano ricordo. Il pulmino chiesto in prestito all’idraulico del quartiere per poter andare a giocare in trasferta è ora un aneddoto che fa sorridere.
Sabato 28 novembre si è tenuta la tradizionale festa di fine anno dell’Atletica Vicentina, che nel 2009 ha consolidato la sua posizione come terza realtà nazionale dell’atletica leggera per risultati complessivi. La magica stagione degli “orange” ha visto ben quattro atleti vestire la maglia azzurra (Michael Tumi, Chiara Renso, Francesco Turatello e Alessandro Pino), record di sempre per AV; con la Noaro Costruzioni settima formazione d’Italia nel settore maschile e la Banco Desio Veneto sesta compagine dell’atletica tricolore in rosa poi, l’intera AV è risultata terza in Italia dopo Atletica Bergamo e Atletica Rieti. Nel 2010 Novatletica Città di Schio, GS Marconi Cassola e Risorgive si aggiungeranno alle altre sette società dell’atletica promozionale, che già si riconoscono nel progetto AV.
Un attacco della biancorossa Tsekova contro Carpi
S orprendente vittoria per la Minetti BPVi nel turno infrasettimanale di serie A2. Contro il quotato Carpi, seconda forza del campionato e da poco rinforzatosi, le biancorosse hanno portato l’intera posta dominando la partita con un solo set di black-out.
La squadra di Marasciulo ora è sesta a quota 21 punti in classifica, a un solo punto dal quinto
posto che vale l’accesso ai playoff. Alla fine del girone di andata mancano tre giornate e l’obiettivo delle vicentine è di rientrare tra le prime otto per accedere così ai quarti di finale di Coppa Italia. Stasera alle 20.30 Pacca e compagne tornano in campo in casa della vice regina di A2 Aprilia, ma dopo la prestazione di mercoledì sognare è lecito.
S tasera al Palazzetto di via Cero l’Ipag Verde Bio Noventa Vicentina cerca il riscatto in casa con l’Amat Micromeccanica Padova, terza con Codognè. La squadra di coach Ferrari ora è seconda con tre punti di vantaggio proprio sull’Amat e su Codognè, che nell’ultimo turno ha superato in tre set le bassovicentine.
“Affrontiamo una squadra sicuramente determinata a vincere per accorciare ulteriormente le distanze da noi - è il commento della centrale Federica Gambalonga - Ma da parte nostra c’è una grande voglia di riscatto dopo la brutta prestazione di sabato scorso, quindi entreremo in campo ben determinate a giocare bene contro la squadra della nostra ex compagna Benini. Conosciamo il valore delle avversarie ma questo sarà uno stimolo in più a fare il massimo per noi, per la società e per i tifosi”.
Se davanti il Porcia, che ha un punto in più, non dovrebbe avere
problemi in casa di un Altavilla sempre più ultimo (e uscito sconfitto 3-0 anche nel derby con Vicenza), dietro alle noventane San Vito proverà ad aiutare le cugine fermando il lanciatissimo Codognè, che sempre stasera fa visita alle ragazze di Dalla Fina. Le sanvitesi sono reduci dalla combattuta sfida contro un’altra formazione vicentina, il Sorelle Ramonda Montecchio di scena domani a Cormons. In trasferta anche la Novello Fidas Vicenza, in campo stasera a Villorba.
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I miei pittori preferiti Dalì, Picasso, Pollock, il Bosch de “Il giardino delle delizie”.
La qualità che preferisco in un uomo Sincerità.
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Quel che apprezzo di più nei miei amici Sincerità e disponibilità.
Il mio principale difetto Impulsività.
La mia occupazione preferita Fare jogging, nuotare, leggere, scrivere, ascoltare musica.
Il mio sogno di felicità La felicità è uno stato di grazia che dura pochi istanti, una galvanizzante sequenza di punti esclamativi. Impossibile programmarla.
I miei film preferiti Tutto Hitchcock, tutto Kubrick, tutto Almodovar.
Quel che detesto più di tutto L’arroganza e la falsità.
Il personaggio storico più ammirato Gesù Cristo.
e quello più disprezzato tutti dittatori.
Il dono di natura che vorrei avere Saper suonare il pianoforte.
Come vorrei morire
In una spiaggia, in un pomeriggio assolato, guardando il mare. Stato attuale del mio animo Di serena frenesia.
nome e cognome
Loretta Simoni età 46
luogo di nascita Vicenza
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Laurea in Lingue e letterature straniere professione
funzionario Comune di Vicenza segni particolari scrittrice per passione. Ha da poco pubblicato il suo nuovo libro “Lavaboys”
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Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia Invecchiare male. Fisicamente e mentalmente.
Quel che vorrei essere Non mi lamento di quello che sono. Ma posso migliorare.
Il paese dove vorrei vivere Spagna.
Il piatto a cui non so rinunciare Scelta molto difficile……Parmigiana di melanzane.
I miei libri della vita
La terra desolata di T.S. Eliot, Doktor Faustus di Mann, le tragedie di Shakespeare, Cime tempestose di Emily Brontë.
I miei poeti preferiti T.S. Eliot.
I musicisti che mi piacciono di più Bach, Bill Evans, John Coltrane, Miles Davis, Pink Floyd, Vinicius De Moraes, Jobim, Steely Dan, Massive Attack.
Il mio prossimo impegno nella vita Un viaggio in Brasile, dall’Amazzonia a Rio.
Il mio credo politico o ideale Il pianeta soffre: Recycle, Reuse, Reduce.
Cosa mi piace e cosa non mi piace di Vicenza
Sì: il Teatro Olimpico, il Retrone da Ponte San Michele e Ponte Furo, i dintorni di Monte Berico. No: le periferie ferite dal cemento.
Cosa mi piace e cosa non mi piace dei vicentini
Sì: l’intraprendenza. No: il perbenismo di facciata e l’autolesionismo.
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