Varesefocus 2-2018 Marzo

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ANNO XIX · N.2

MARZO 2018

VARESEFOCUS

L’Industria si fa Scienza Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% LO/VA



EDITORIALE

Il ritorno al futuro dell’impresa Vittorio Gandini

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nvestire nella propria azienda è, per un imprenditore, un gesto di incondizionata fiducia nel futuro. Se questo è vero, i dati che arrivano dall’Ufficio Studi dell’Unione Industriali, e di cui diamo ampio spazio nel focus di apertura di questo numero, sono un’iniezione di ottimismo. Non solo per le imprese, ma per tutto il territorio nel quale operano a vantaggio del benessere sociale e collettivo. Il 74% del sistema manifatturiero locale ha dichiarato di aver fatto nel corso del 2017 almeno un investimento produttivo. Il 66% continuerà su questa strada anche nel 2018. Le imprese credono in se stesse. Nella loro capacità di creare futuro. Nelle potenzialità del territorio di essere ancora culla di grandi storie industriali. Ci credono così tanto da continuare a investire nuove risorse, da puntare su nuove tecnologie e su nuove organizzazioni del lavoro (sempre più orientate alla digitalizzazione legata all’industria 4.0). Nessuno può dire oggi dove queste profonde trasformazioni ci porteranno da qui ai prossimi anni. Ma di sicuro una prima conclusione la si può trarre: il sistema imprenditoriale varesino, pur non potendo mettere la mano sul fuoco per quello che sarà il risultato finale, è disposto a giocarsi fino in fondo la partita. Ci crede, insomma. La speranza ora è che tutto il sistema, anche quello non economico, ma anche politico, sociale, scolastico, amministrativo ed istituzionale assecondi questa voglia di modernità che emerge così chiaramente dallo scenario di inizio 2018. Quella modernità di cui l’industria, quella varesina in primis, dà il meglio di sé su più fronti, in più settori. Come quello chimico, altro protagonista di questo nuovo numero di Varesefocus. Varese è una delle aree protagoniste di un comparto produttivo che, più di altri, è legato alla scienza e allo sviluppo tecno-scientifico in generale. Tanto da esserne esso stesso un motore. Lo spiega bene, in un’intervista che vi proponiamo, il Presidente di Federchimica, nonché past President dell’Unione Industriali della Provincia di Varese, Paolo Lamberti. Un colloquio da cui emerge in maniera limpida come nelle aziende si celi quella cerniera in grado di unire il mondo della ricerca con il progresso diffuso. Le storie di imprese come Vodafone Automotive, Spm e IoBoscoVivo, che vengono qui raccontate nelle pagine di “Economia” e di “Territorio”, ne sono un’esemplificazione concreta.

Ma l’impresa non fa solo da ponte tra le due sponde del presente e del progresso, riuscendo a far scavalcare alla comunità di appartenenza il fiume dell’incertezza. Sfogliando Varesefocus ci si accorge ancora una volta quanto, scommettendo sulla propria immagine e sulla propria brand reputation, le aziende possano essere volano per un nuovo racconto di impresa e di storie di sport, facendo leva proprio sul legame col territorio. È quanto emerge dalle pagine di “Inchiesta”. In quelle di “Università”, invece, si coglie un’altra rassicurante certezza: quella di una nuova generazione di imprenditori che si sta affacciando nelle aziende del Varesotto, aumentandone la sensibilità per i temi della responsabilità sociale d’impresa. Come ci raccontano i ricercatori della LIUC – Università Cattaneo che a questo tema hanno dedicato un libro. Tutte buone notizie che vedono l’impresa al centro di cambiamenti positivi in grado di traghettare Varese, ma in generale tutto il Paese, verso il futuro. L’impresa che investe è proiezione incondizionata verso il domani. L’auspicio è che chi si appresta a governare nei prossimi anni l’Italia e la Lombardia ne sia cosciente e faccia di ciò tesoro nelle scelte e nelle riforme che ci attendono.

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ANNO XIX · N.2

MARZO 2018

VARESEFOCUS

L’Industria si fa Scienza Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% LO/VA

S O M

Periodico di economia, politica, società, costume, arte e natura in provincia di Varese. Presidente Riccardo Comerio Direttore editoriale Vittorio Gandini Direttore responsabile Davide Cionfrini Direzione, redazione, amministrazione Piazza Monte Grappa, 5 21100 Varese T. 0332 251.000 - F. 0332 285.565 M. info@varesefocus.it reg. n. 618 del 16/11/1991 - Trib. Varese

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www.varesefocus.it Progetto grafico e impaginazione Paolo Marchetti Fotolito e stampa Roto3 srl Via per Turbigo 11/B 20025 Castano Primo (Mi) T. 0331 889.601 Gestione editoriale Servizi & Promozioni Industriali srl Via Vittorio Veneto, 8/E 21013 Gallarate (VA) - T. 0331 774.345

FOCUS

INCHIESTA

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18 Il potere del marchio 20 Brand slow Brand smart 22 Quando l’identità fa canestro 23 Poretti: nuova vita a più luppoli

Varese torna ad investire

#PIU’ CORAGGIO 16 Un’agenda politica da 250 miliardi

PUBBLICITÀ Servizi & Promozioni Industriali srl M. commerciale@spi-web.it T. 0331 774.345 Questo numero è stato chiuso il 9 marzo 2018. Il prossimo numero sarà in edicola con Ilsole24Ore il 7 maggio 2018. “Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali dell’Unione Industriali della Provincia di Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).

Interventi e contributi di: Luigi Bignami, Giornalista; Andrea Camurani, Giornalista; Andrea Della Bella, Giornalista; Mariangela Gerletti, Giornalista; Luisa Negri, Giornalista; Valentina Lazzarotti, Docente Universitario; Sergio Redaelli, Giornalista; Verena Vanetti. In redazione: Cristina Cannarozzo, Davide Cionfrini, Cristina Di Maria, Silvia Giovannini, Paola Margnini, Chiara Mazzetti, Maria Postiglione. Segreteria di redazione: Barbara Brambilla, Viviana Maccecchini. Fotografie di: Archivio Reuters, Archivio Confindustria, Archivio Federchimica, Cristina Cannarozzo, Davide Cionfrini, Mauro Luoni


M A R I O ECONOMIA

FOTO DAL MONDO

25 L’auto si connette a Varese e Busto Arsizio 28 C’era anche Varese alle Olimpiadi Invernali

44 Storni migratori attraversano il cielo vicino al villaggio di Beit Kama a sud di Israele

FORMAZIONE

▶ Gita a... 58 Vizzola Ticino e Golasecca, una gita nella storia

▶ Arte 63 Da Filadelfia a Milano, con amore

SCIENZA 30 Diplomarsi in 4 anni, la mappa nel Varesotto 32 Dal PmiDay 2017 un no convinto alla contraffazione

UNIVERSITÀ

46 L’acceleratore di particelle made in Italy

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66 La città perduta di Adulis 68 Mostre e appuntamenti

36 La “mano visibile” del giovane imprenditore

VITA ASSOCIATIVA

TERRITORIO

39 Con la chimica l’industria si fa scienza 42 A Varese la chimica per tutti i gusti

48 Tra giardini ricercati e camelie antiche 52 L’azienda che produce funghi

RUBRICHE

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▶ Provincia da scoprire 55 Una guida per andare a pesca nel Varesotto

▶ Di moda 70 La faccina che si crede una parola ▶ Sport 73 Una vita da crossista ▶ In libreria 77 Ricci, numeri e capricci ▶ Dal Web 80 La freccia per il sorpasso


FOCUS

Varese torna ad investire

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FOCUS

È del 74% la quota di imprese industriali della provincia che ha fatto almeno un investimento nel corso del 2017. Del 66% quella che lo farà anche nel 2018. Un ottimismo nel futuro e nelle capacità di crescita del sistema produttivo trainato dalla fiducia nell’industria 4.0 proprie fabbriche. Tra il campione consultato le imprese che han-

Davide Cionfrini no utilizzato almeno uno strumento di incentivo legato al Piano

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e imprese di Varese tornano a investire e dichiarano la loro volontà di farlo anche per i prossimi mesi. La spinta all’innovazione a cui si assiste nel sistema produttivo del Varesotto è stata registrata da un’indagine sugli investimenti svolta dall’Ufficio Studi dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese.

Investimenti diffusi Risultato: su un campione di 120 imprese intervistate il 74% ha dichiarato di aver fatto almeno un investimento produttivo nel corso del 2017. Di più: il 45% delle aziende ha dichiarato non solo di aver investito, ma di averlo fatto mettendo sul piatto risorse maggiori rispetto a quelle del 2016. Nel 45% dei casi si è trattato di un’operazione di sostituzione o ammodernamento degli impianti, nel 31% di ampliamento della capacità produttive e nel 22% di entrambi i casi messi assieme. Per quanto riguarda una stima dei livelli, il 46% delle imprese ha dichiarato di aver investito una quota tra l’1 e il 3% del proprio fatturato, mentre il 42% una quota tra il 4 e il 10%. Le imprese che, invece, hanno superato la soglia del 10% del fatturato è stata pari al 10%. Un trend dunque positivo che, stando alle previsioni, dovrebbe continuare per tutto il 2018. È del 66%, infatti, la fetta del campione di imprese che dichiara di voler investire anche durante i prossimi mesi. Il focus sugli investimenti 4.0 A far da traino a questo andamento positivo è, a quanto pare, il Piano Nazionale Industria 4.0, avviato a inizio 2017. A dirlo sono sempre i numeri dell’Ufficio Studi Univa che, nello svolgere l’indagine sugli investimenti, ha dedicato un focus proprio a quelli che sono stati impostati dalle imprese per la digitalizzazione delle

Aumentano gli importi dei finanziamenti alle Pmi del Varesotto grazie alla Nuova Sabatini: +60%, per un valore assoluto che sfiora i 20 milioni di euro

Industria 4.0 hanno rappresentato il 52%. “Di queste imprese, quasi tutte – si legge nelle slide dell’Ufficio Studi degli industriali varesini – hanno dichiarato di aver utilizzato un solo strumento, mentre il 32% di coloro che hanno utilizzato almeno una misura 4.0, ha optato per 2 o 3 strumenti”. Quali sono quelli che piacciono di più? Il 25% delle imprese ha utilizzato il credito d’imposta in ricerca e sviluppo, per un valore incrementale di spesa inferiore ai 100mila euro rispetto al triennio 2012-2014. Il 23% delle imprese del campione ha utilizzato la Nuova Sabatini, con una predominanza di investimenti superiori agli 80mila euro. Il 20% è ricorso all’iper-ammortamento, con investimenti concentrati per lo più tra i 100mila e i 500mila euro. Solo il 4% del campione ha invece utilizzato il Patent Box. E per il futuro? Anche in questo caso il clima di fiducia è positivo. Il 58% delle imprese dichiara di voler fare nel 2018 un investimento in industria 4.0, ricorrendo ad almeno uno degli strumenti messi a disposizione del Piano Nazionale. La maggior parte, il 37%, lo farà ricorrendo all’iper-ammortamento. Il 31% utilizzerà il credito d’imposta, mentre l’11% cercherà di accedere alla Nuova Sabatini. Bilancio positivo “La ripresa degli investimenti, pre-condizione per una crescita strutturale e, in prospettiva, occupazionale, sul nostro territorio è in atto”, commenta il Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Riccardo Comerio: “Il Piano Nazionale Industria 4.0 è efficace. Piace alle imprese. E piace in primo luogo perché finalmente possiamo contare su una politica industriale degna di questo nome e di medio periodo. E poi perché è di facile accesso, immediatamente comprensibile e con obiettivi mirati su un aspetto preciso: la digitalizzazione della manifattura italiana”. Solo un anno fa, all’inizio del 2017, (vedi Varesefocus 2/2017) il Presidente Comerio aveva lanciato una sfida al sistema produttivo locale: “Per stare al passo della sfida digitale le nostre imprese, tra il 2017 e il 2020, dovranno investire nell’industria 4.0 risorse per 330 milioni di euro”, disse. Una cifra a cui l’Unione Industriali era arrivata ponendosi due domande: quanto dovrebbe investire l’industria varesina nel periodo 2017-2020 per rimanere in linea con i propri competitor europei nella sfida della digitalizzazione dei processi produttivi, a cui l’industria tedesca dedicherà almeno l’1% del proprio fatturato? Quanto dei 13 miliardi di euro stanziati dal Governo con l’avvio del Piano Nazionale Industria 4.0 le 9


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imprese del Varesotto avrebbero diritto ad ambire, sulla base del peso rappresentato dal valore aggiunto prodotto rispetto al totale italiano? Le risposte ad entrambe le domande convergevano su una cifra: 330 milioni, appunto. E stando alle rilevazioni dell’Ufficio Studi Univa, secondo Comerio, il bilancio del primo anno è positivo: “Siamo sulla strada giusta”. L’andamento tra le Pmi Un dato puntuale su quanto le imprese di Varese abbiano fino ad oggi investito per la digitalizzazione non è disponibile, ma i sondaggi e le proiezioni, secondo il Presidente dell’Unione Industriali, parlano chiaro. E poi c’è un numero, questo sì preciso e assoluto, seppur parziale rispetto a tutte le agevolazioni messe in campo dal piano nazionale, che può far da termometro attendibile su quanto stia avvenendo almeno tra le Pmi: quello della Nuova Sabatini, che prevede anche contributi specifici e maggiorati per l’industria 4.0 (la cosiddetta Sabatini 4.0). Secondo i dati di MedioCredito Centrale la Nuova Sabatini, nel Varesotto, tra gennaio e dicembre dell’anno scorso, ha registrato un aumento delle operazioni del 35,9% (53 operazioni totali) e un incremento ancor più con-

sistente dell’importo del finanziamento accolto: +60,6%, per un valore assoluto che sfiora i 20 milioni di euro (19,9 milioni per l’esattezza). Il dato varesino della Nuova Sabatini, sul totale italiano (992,3 milioni di euro), si ritaglia una quota in linea con le proiezioni che venivano fatte un anno fa dall’Unione Industriali. Esso, infatti, supera il 2% del dato nazionale, così come la percentuale di valore aggiunto che l’industria del Varesotto produce a beneficio dell’economia del Paese. Una considerazione, quella su cui pone l’accento lo stesso Presidente Comerio, da affiancare al fatto che, stando al campione sondato dall’Ufficio Studi, la Nuova Sabatini, in confronto agli altri strumenti del Piano Nazionale Industria 4.0, è stata utilizzata dal 23% delle imprese del territorio. Con una proiezione il cerchio, insomma, si chiude. I conti sembrano tornare e la quota di 330 milioni di investimenti da raggiungere 10

entro il 2020, non solo è alla portata, ma è una meta verso cui l’industria varesina si è avviata. Tanto che il Presidente dell’Unione Industriali chiosa: “I dati dimostrano che è in atto un’inversione di tendenza e un aumento di fiducia nel futuro da parte delle imprese e degli imprenditori. Ci attestiamo sui livelli che ci eravamo prefissati, necessari per tenere il passo del manifatturiero contemporaneo”. Bene anche la produzione La situazione nell’industria varesina è positiva non solo sul fronte investimenti, ma anche su quello della produzione. Stando all’Indagine Congiunturale dell’Ufficio Studi Univa sul quarto trimestre 2017, l’anno si è chiuso con il 69% delle imprese che registrava livelli produttivi in aumento rispetto alla rilevazione sui tre mesi precedenti. Nel 24% sono stati stabili. Mentre solo il 7% ha dichiarato un calo. Uno scenario trasversale che ha caratterizzato tutti i principali settori manifatturieri del Varesotto: meccanica (+56,4 il saldo delle risposte positive su quelle negative), tessile e abbigliamento (con un saldo di +35,1), gomma e materie plastiche (+87,1) e chimico farmaceutico (in cui tutte le aziende

sondate sono in crescita). A fare il paio è anche il trend delle varie Casse Integrazioni Guadagni. Tra Ordinaria, Straordinaria e in Deroga il totale porta a livelli che nel 2017 sono stati inferiori del 45,9% rispetto al 2016. “Insomma, le cose cominciano a funzionare”, chiosa ancora il Presidente dell’Unione Industriali, Riccardo Comerio.

Per approfondire il tema vai sul blog www.varesefocus.it e leggi anche l’articolo “L’impresa sociale è 4.0”, nel quale si parla di come la digitalizzazione stia trasformando non solo prodotti e processi, ma anche strategie, governance, rapporti con clienti, fornitori e comunità di riferimento delle aziende. Da qui l’iniziativa di Confindustria che lancia un Manifesto per l’impresa responsabile.


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#PIU’CORAGGIO

Un’agenda politica da 250 miliardi All’alba di una nuova legislatura ecco il piano di politica industriale che Confindustria propone al Paese e ai suoi rappresentanti per i prossimi cinque anni. Non richieste, ma un programma concreto che, per ogni impiego e investimento, indica dove reperire le risorse. Obiettivo: una crescita del Pil del 12% da qui al 2022

I 7.000 imprenditori alle Assise Generali di Confindustria. A destra, Vincenzo Boccia, presidente Confindustria

una nuova legislatura, propone alle forze politiche un program-

Davide Cionfrini ma concreto e realizzabile che vada oltre le promesse, più o meno

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n politico pensa alle prossime elezioni, un uomo di Stato alle prossime generazioni”. La celebre frase del teologo statunitense James Freeman Clarke fa di Confindustria lo statista in questione. Quello che, all’alba di

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capestre, di una campagna elettorale che ha lasciato poco spazio alla questione industriale. Finita la competizione, si apre, però, la sfida di governare un Paese. Ed in questa fase, ancor più che in quella dello scontro all’ultimo voto, che torna utile, per la visione dell’Italia da qui ai prossimi 5 anni, il documento uscito dalle As-


#PIU’CORAGGIO

sise Generali di Confindustria tenutesi a metà febbraio a Verona. Una vera e propria agenda di politica economica di medio termine, frutto di un’opera di consultazione e raccolta di proposte di migliaia di imprenditori. Non una serie di auspici e di semplici richieste. La lista della spesa non c’è nel documento. Semmai ci sono vere e proprie leve di sviluppo su cui investire e obiettivi da raggiungere. Come gli 1,8 milioni di posti di lavoro da creare da qui al 2022; la riduzione di 20 punti percentuali del rapporto tra debito pubblico sul Prodotto Interno Lordo; la crescita del Pil di 12 punti percentuali, con aumenti, quindi, superiori al 2% ogni anno; la crescita dell’export italiano superiore alla domanda mondiale. Le solite promesse, come tante se ne sono sentite negli ultimi mesi, si dirà. No, non è nemmeno questo. Il documento di Confindustria non può essere paragonato a un programma politico, intendendo come tale, una copia, seppur diversa nei contenuti, di quelli proposti dai vari partiti e movimenti che si sono confrontati durante la campagna elettorale. Perché qui la differenza è che per ogni impiego o investimento è indicata la copertura. Per ogni azione da fare, è indicato dove poter trovare i soldi. Non proprio un fattore scontato di questi tempi. Partiamo dunque da qui. Dove Confindustria suggerisce di prendere le risorse necessarie per finanziare un’agenda economica dal valore di 250 miliardi? Dal contrasto all’evasione come promesso da più di un esponente politico? Sì, anche. Per Confindustria, ad esempio, una forte e concreta azione potrebbe portare nelle casse dello Stato 45 miliardi. Ma non è questa la voce più innovativa. In realtà, infatti, a scardinare la sindrome italiana della coperta corta, secondo Viale dell’Astronomia, potrebbero essere gli Eurobond. Tra euroscettici ed europeisti, Confindustria si schiera, anche con questo documento, apertamente per l’Europa. Ma non è un’adesione ideologica. L’agenda propone qualcosa di concreto a chi, sia tra i primi, sia tra i secondi, afferma che ci sia qualcosa da cambiare nelle stanze di Bruxelles. Sì, ma cosa? Ecco qui c’è una proposta precisa da parte di Confindustria: “In Europa, dove l’Italia dovrà giocare un ruolo da coprotagonista - si legge nel documento delle Assise - si prevede la nomina di un ministro delle Finanze indipendente dagli Stati membri che abbia la responsabilità, tra l’altro, di emettere Eurobond finalizzati al finanziamento di progetti comuni e dunque a vantaggio di tutti i Paesi dell’Unione ai fini di una maggiore integrazione”. Una riforma che potrebbe valere per l’Italia 58,5 miliardi in 5 anni a sostegno della crescita. Altro importante cardine dell’Agenda confindustriale fortemente innovativo è la compartecipazione dei privati alla spesa pubblica, stimata in 24,4 miliardi: “Occorre passare - scrive Confindustria da uno Stato mero erogatore di servizi a uno Stato promotore di iniziative di politica economica. In questo contesto s’inquadra la proposta di assegnare una funzione redistributiva alla spesa pubblica attraverso la compartecipazione dei cittadini ai servizi offerti in modo progressivo rispetto a reddito e patrimonio”. Piedi per terra anche sul fronte spending review con cui Confindustria si aspetta di poter generare 51,1 miliardi di risorse, intervenendo su una spesa pubblica di 360 miliardi, anziché sugli 800

complessivi, con “risparmi di efficienza strutturale dell’1% all’anno. Un obiettivo chiaramente alla portata di mano”. E poi ancora valorizzazione di immobili pubblici, coinvolgimento dei fondi pensione ed assicurativi: totale 250 miliardi da mettere a disposizione. Sì, ma per fare cosa? Si parte dalle infrastrutture dove Confindustria suggerisce di investire 15 miliardi. Altri 16,7 miliardi andrebbero per la riduzione del debito pubblico, mentre 18,3 servirebbero per innovare la pubblica amministrazione. La voce più consistente è, però, quella della riduzione premiale del costo del lavoro dove Confindustria suggerisce di impiegare 36 miliardi. Di 9 miliardi quelli da destinare agli incentivi fiscali per gli investimenti in industria 4.0. L’azzeramento degli oneri sui premi di risultato potrebbe, invece, valere 6 miliardi. Non solo: la manovra quinquennale di Confindustria permetterebbe una riduzione della pressione fiscale per un valore di 17,2 miliardi. Altri interventi fiscali per 12,8 miliardi sono quelli suggeriti per promuovere la previdenza complementare, il made in Italy nel mondo e l’Iva agevolata sugli scarti a favore dell’economia circolare. Interessante anche il passaggio sull’immigrazione, argomento chiave dell’ultima campagna elettorale. Anche qui, però, le posizioni ideologiche vengono lasciate ad altri. Anche concetti condivisibili, come quelli riassumibili con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, prendono la forma di una bozza di politica industriale internazionale condivisa: “Si può allora favorire - propone Confindustria - un partenariato industriale per il co-sviluppo delle Pmi europee e africane, incentivando la crescita delle imprese italiane in Africa in collaborazione coi governi locali”. E, con gli stessi, “realizzare programmi formativi per preparare gli immigrati a lavorare in Italia”. Il concetto è: “Una più stretta collaborazione tra le Pmi italiane e africane consentirebbe un utilizzo più proficuo dei fondi per la cooperazione in chiave di sviluppo industriale dell’Africa”. Insomma, basta parole, passiamo ai fatti.

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INCHIESTA

Il potere del marchio La Brand Identity non è un fattore di sviluppo e competitività solo per le imprese che arrivano coi propri prodotti al consumatore finale. Rappresenta un valore anche per quelle aziende che si trovano al centro di una catena di fornitura. Anche lì, la cura dell’immagine è fondamentale per farsi scegliere è davvero un fattore di sviluppo, strettamente collegato alla cresci-

Silvia Giovannini ta della competitività? L’abbiamo chiesto a Luigi Negrini, esperto

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ualunque cretino può mettere in piedi una promozione basata sul prezzo; ma ci vogliono genio, fede e perseveranza per creare una Marca”. La celebre massima è di David Ogilvy e mette in evidenza la genialità che sta alla base della cura della Brand Identity, un’etichetta che usiamo più spesso all’inglese per sottintendere quel lato “stiloso” insito nella promozione di un marchio. Ma al di là della genialità, con tutto il fascino che porta con sé, è bene per un’impresa, tanto più oggi, essere molto concreta. E farsi le domande giuste. Quanto conta la cura della propria immagine? Quanto questa attenzione

di Marketing strategico & Comunicazione, che ha accompagnato il Gruppo Giovanni Imprenditori dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese in un viaggio alla scoperta della Brand Identity e che ci ha spiegato come l’attenzione al proprio brand non sia esclusivo appannaggio delle aziende che si rivolgono direttamente al consumatore per le quali può sembrare più naturale investire in promozione d’immagine. Dottor Negrini, quella tra brand identity e competitività è una relazione che si dà per scontata ma così non è percepito da tutte le imprese. Possiamo spiegare in che modo costruire e curare la brand identity possa servire per stare sul mercato e – diciamolo pure - per fatturare? Il valore dell’azienda e dei suoi prodotti sono fondamentali argomenti di scelta da parte dei clienti. In un mondo sempre più globalizzato e competitivo la scelta dei propri fornitori dipende da molti fattori, uno dei più importanti rimane la fiducia Luigi Negrini

Luigi Negrini, esperto di Marketing strategico: “In un mondo globalizzato la scelta dei fornitori dipende da molti fattori: in primis la fiducia” 18


L’azienda, però, non è solo produzione ma anche valori intangibili, storia, relazioni con i clienti, legame con il territorio: come è possibile valorizzare questo patrimonio? Rispondendo alla domanda “perché dovrebbero scegliere proprio noi?” troveremo che il cliente vuole certamente prodotti e servizi di qualità, che rispondano alle sue esigenze, vuole assolutamente un controllo feroce sui costi di produzione, ma poi è fortemente influenzato da aspetti meno tangibili e poco misurati come i rapporti interpersonali, la facilità di approccio, la simpatia, la storia delle relazioni, che nel corso con i Giovani Imprenditori varesini abbiamo così sintetizzato: accessibilità cioè facilità di contatto da parte del cliente; capacità di risposta cioè capacità di trovare soluzioni ai bisogni del cliente; tempestività, cioè rispetto dei tempi e flessibilità; affidabilità cioè mantenimento della promessa del servizio e, infine, gestione della relazione, disponibilità, comunicazione chiara, comprensione delle esigenze, problem solving e orientamento al cliente. Sulla carta sembra fattibile ma a chi spetta questo compito? Tutto questo impone che l’intera azienda, anche se piccola, ruoti intorno a queste modalità e quindi spetta a tutti, dal centralino alla contabilità, non solo a vendita e/o a produzione attenersi a queste regole. Un ragionamento che si applica alla perfezione ai prodotti di consumo. Ma come ci si regola nel Business to Bunsiness, nelle filiere, nelle catene di fornitura? In fondo è lì che si fa la differenza per le pmi. Queste indicazioni sono ancora più valide per chi, nel mercato, si offre sia come azienda di servizi sia di produttore per un settore B to B, dove la catena dei fornitori è fondamentale per il successo complessivo. La capacità di rispettare queste indicazioni spesso è la vera differenza competitiva che si accompagna poi a tutte le problematiche di prezzo che, in un mercato fortemente competitivo, rimangono l’altra faccia del dilemma della scelta dei fornitori. Ciò porta poi ad analizzare alcuni aspetti del rapporto con i propri clienti: comprendere il business del cliente; sviluppare piani mi-

“Il cliente vuole prodotti e servizi di qualità, controllo feroce sui costi, ma poi è fortemente influenzato da aspetti intangibili e poco misurabili come la simpatia e la storia delle relazioni”

INCHIESTA

e risponde alla domanda: perché utilizzo questo fornitore? Avere quindi una chiara identità aziendale e di marca significa consentire ai nostri clienti di “andare sul sicuro” quando scelgono noi. Questo vale sia per i clienti in portafoglio (non dimentichiamo che i nostri clienti sono il vero tesoro dell’azienda e che, soprattutto quelli costanti ed affezionati, vanno curati e seguiti con grande cura) che per i prospect, quelli che si rivolgono a noi per una prima valutazione o quelli che noi cerchiamo di attirare con la nostra comunicazione. E dobbiamo domandarci, prima, e indicare, poi, quali siano sia le nostre caratteristiche costitutive (la nostra identità aziendale e di marca, la nostra vision e la nostra mission) sia i nostri vantaggi competitivi nei confronti del mercato e dei competitori.

rati alle sue iniziative di business, verificare le reali necessità del cliente, rivedere con lui i criteri di scelta di una soluzione preliminare, definire la corretta soluzione, chiudere la vendita, negoziare i dettagli e i termini contrattuali. E infine provare poi a capire se vi siano in azienda dei “talloni d’Achille”. Talloni d’Achille? Ci spieghi meglio. “L’azienda deve imparare come proteggere i suoi punti deboli ma anche come influenzare, accrescere i punti deboli dei concorrenti e soprattutto usarli vantaggiosamente. Infine, deve capire come aiutare i clienti a superare i propri. Lo studio sui talloni d’Achille delle aziende discende dalla teoria dei vincoli, un modo di gestire una azienda o un’organizzazione. Essa è stata creata da Eliyahu M. Goldratt e dai suoi collaboratori lungo un periodo di più di tre decenni.

Nuovo logo per i giovani Lavorare sul proprio marchio significa anche sapersi rinnovare, valorizzando le proprie radici in chiave inedita. È questa la filosofia che sta dietro il restyling dell’immagine del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. “Dal 1° gennaio di quest’anno abbiamo un nuovo logo - racconta il presidente del Movimento, Mauro Vitiello -. L’operazione di rebranding è stata voluta per identificare maggiormente la nostra realtà con l’appartenenza all’Unione Industriali varesina e a tutto il Sistema Confindustria, senza tralasciare aspetti di modernità e attrattività sempre più richiesti dalle nuove piattaforme”. www.ggi.univa.va.it

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INCHIESTA

Brand slow Brand smart In un mondo digitale sempre più veloce le imprese stanno rivalutando nella promozione della propria immagine la forza dei tempi lunghi. Nessun paradosso, ma una nuova urgenza di riscoprire il senso profondo delle cose, compreso il proprio. Rallentando persone che come imprenditori

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on solo prodotto ma anche valore, intangibile e difficile da misurare, eppure prioritario. L’importanza per un’impresa di evidenziare non solo quello che si fa, ma soprattutto ciò che si è, rappresenta la base di tutte le più moderne ed efficaci strategie di comunicazione aziendale (vedi intervista di apertura di questa inchiesta a Luigi Negrini). In tempi di comunicazione iperveloce, tale necessità di approfondimento e di raccontare la propria identità sembra, però, quasi assumere i contorni di un controsenso, all’apparenza un ripensamento di quanto visto negli ultimi anni di marketing giocato sul filo dei secondi. Un rallentamento? Lo abbiamo chiesto a Patrizia Musso, docente dell’Università Cattolica e ideatrice di Brandforum.it e dello Slow Brand Festival, una iniziativa dedicata a premiare le eccellenze in questo campo. Vincere imparando a correre più lentamente: è il titolo di uno dei suoi libri dedicati agli Slow Brand. Sembra affascinante ma anche un po’ distante dalla concretezza della realtà aziendale. Ci spiega cosa significa? Partiamo da un esempio più comunemente inteso: Slow Food. Se per quanto riguarda il cibo questa definizione viene compresa e apprezzata, in tutto il suo fascino, da ogni tipo di pubblico. Quando si parla di Slow Brand le persone lo associano al rimanere fermi e immobili. Invece, la filosofia è esattamente la stessa: la riscoperta di valori e di un patrimonio di conoscenze e tradizioni che rende ciascuna realtà unica. Mi occupo di Slow Brand dal 2013: la logica vincente è non farsi schiacciare dal solo fast che è assolutamente fondamentale, perché il mercato e il mondo della comunicazione si muovono velocemente, ma di intercettare senza miopia quei momenti in cui si può e si deve essere slow. Senza far finta di dirci tutti che dobbiamo tassativamente sempre e solo essere fast, perché non è vero: lo sappiamo ancor prima come

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Patrizia Musso

za e di vista è sociologico non economico: non ci fermiamo, perché non ci vogliamo fermare, ma, in realtà, potremmo. E allora perché non farlo? Del resto, anche il web sta rallentando. Basti pensare ai video che non sono più della durata di pochi secondi: i lettori sono disposti a fermarsi perché danno valore ai contenuti e all’approfondimento. È una visione romantica la sua, se permette un’etichetta slow. Ma il tema del momento è l’industria 4.0. Decisamente smart. Lei sostiene che le imprese stiano riscoprendo l’attitudine slow, in termini di comunicazione ma anche di modo di vivere l’azienda. Non è un controsenso? Le grandi imprese l’hanno compreso, in realtà da tempo, in primis nello slow advertising. Pensate alla classica pubblicità dei biscotti del mattino: abbandonata la figura della mamma

Sono proprio le Pmi a rappresentare delle ottime best practice. Tra quelle varesine segnalate all’ultimo Slow Brand Festival ci sono l’Alfredo Grassi (Tessile-Abbigliamento) e Eolo (Telecomunicazioni)

ph. giulia giaccon

Silvia Giovannini e dipendenti! Il punto di parten-


INCHIESTA ultra stressata, che fa ingurgitare ai figli la colazione con l’imbuto, si è passati a tranquilli attori americani che, rinfoderata la spada di Zorro, li impastavano con aria flemmatica, chiacchierando con una gallina per arrivare oggi a vere e proprie sit com dilatate nel tempo e centrate sul legame tra il prodotto e il territorio, la natura, la storia e le tradizioni del made in. E non parliamo solo di pubblicità, ma di vita aziendale: l’industria 4.0 funziona se i dipendenti lavorano bene e per farli lavorare bene bisogna ricordarsi che sono persone. Quindi valorizzare il fattore tempo, valori, etica è fondamentale. Pensate alle politiche di welfare: secondo la prima ricerca realizzata in Italia da Swg nel 2017 su 175 imprese italiane con più di 100 dipendenti che hanno scelto di promuovere una politica di welfare aziendale, dove viene proposta ai lavoratori la possibilità di accedere a servizi legati alla famiglia e alla salute, i vantaggi sono tangibili. Il 37,4%, per esempio, ha riscontrato un aumento della produttività. Pensate poi alle adesioni e alla varietà di iniziative legate alla promozione di sani stili di vita sul luogo di lavoro come il progetto Whp promosso dalle associazioni industriali su vari territori (tra cui Varese ndr). Pensate infine al prestigioso elenco annuale delle imprese più etiche al mondo stilato dall’Ethisphere Institute, tra cui l’italiana Illy. Tutto questo fa capire che Fast & Slow devono andare insieme. Così nella comunicazione come nella vita in azienda, a partire dalla gestione degli spazi. Grandi brand come Ikea e Campari, pre-

miati allo scorso Slow Brand Festival di Milano, hanno fatto proprio questo concetto. Ma sono appunto grandi. Come può vivere questa dimensione una Pmi? In realtà sono proprio le Pmi a rappresentare delle ottime best practice, quelle più smart nel loro essere slow, se vogliamo. Spesso però sono restie a raccontare la propria esperienza perché legate ad una vecchia concezione del “meglio fare che comunicare”. Ma io dico: meglio fare comunicando; comunicare senza fare è peggio. In ogni caso potremmo continuare all’infinito con gli esempi di buone prassi. Pensiamo all’esperienza emblematica di Loccioni ma anche a casi più vicini al territorio. All’ultimo Slow Brand Festival, ad esempio, abbiamo chiesto ai lettori di segnalarci esperienze esemplari di Slow Brand e ci sono arrivate le nomination di due realtà che i varesini conoscono bene: quella della Alfredo Grassi, molto vicina ai dipendenti, e quella di Eolo, che lo scorso anno si è distinta per un’iniziativa innovativa di recruitment rivolta agli over 45. Curiosa la menzione di quest’ultima: un’impresa che ha nel suo core business la velocità, ha ideato progetti lenti per puntare alla qualità di vita del suo team. Certamente è importante, o meglio prioritario, che la dirigenza capisca e sposi appieno quest’idea. È per questo che premiamo anche gli Slow Boss, capi “illuminati” che ci vengono segnalati dai lettori. In fondo, anche nella cura della brand identity, quello che fa la differenza sono le persone.

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INCHIESTA

Quando l’identità fa canestro Perché un’azienda come Openjobmetis decide di legare il proprio brand allo sport e, in particolare, alla Pallacanestro Varese? Quali sono i motivi che spingono un’impresa a fare da sponsor ad un team più o meno blasonato?

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rogettazione, innovazione, impegno costante”. Non sono le tre chiavi per un ottimo piano di brand identity, ma le tre doti di uno sportivo di successo, secondo un nome d’eccezione, Pietro Mennea. Una citazione, quella dello storico velocista, che dice molto: sport e marketing sono da sempre vicini anche a livello di metodo e di strategie. Per questo e non solo, brand più o meno noti, da sempre scelgono di associare il proprio nome e la propria immagine al mondo della competitività agonistica. Del resto lo sport è il migliore strumento per veicolare messaggi positivi ed educativi o, semplicemente, emozioni, raggiungendo democraticamente ogni fascia di popolazione e di età. Un potenziale enorme per la visibilità di un marchio tanto più se la disciplina in questione accende gli animi e in maniera particolare. Come a Varese. Non servono indizi: ci riferiamo alla palla a spicchi, storica e diffusa passione cittadina. Abbiamo chiesto a Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis, di raccontarci l’esperienza accanto a Pallacanestro Varese: un feRosario Ravizza lice matrimonio da sponsor di maglia che va avanti da quattro stagioni. Una collaborazione di punta per l’impresa - Agenzia del lavoro con sede a Gallarate, primo e unico operatore del settore a quotarsi in Borsa Italiana - basata su valori comuni come passione, attenzione alle persone e continua proiezione verso il futuro.

Come nasce l’idea di sostenere il club biancorosso? In effetti il perché, per chi è varesino, è piuttosto intuitivo e naturale. Fin da piccolo seguivo e amavo il basket e pensavo tra me che un giorno avrei sostenuto la squadra. Una scelta di cuore e non - o non solo - di marketing che ci ha portato ad essere vicini alla società anche nei momenti più bui. Vicini, certo, ma senza entrare nelle decisioni tecniche. Quello che noi portiamo, invece, è il valore aggiunto della capacità manageriale acquisita: una società 22

sportiva è una Pmi ed è giusto che sia gestita come tale. Ad esempio Pallacanestro Varese ha un bilancio certificato: non è così per tutte le squadra di serie A. Da un punto di vista d’immagine, poi, sostenere la pallacanestro significa giocare per Varese, in stretta sinergia con il territorio. Questa sinergia per voi è un plus. Pensiamo al Teatro di Varese. Ma tornando al tema sportivo le iniziative sono numerose: per citare un progetto recente, ricordiamo il sostegno a Aruba.it Racing - Ducati al World SBK Championship di febbraio come sponsor tecnico... Sostenere il territorio e lo sport è una scelta per la nostra impresa, che ha oltre 130 filiali diffuse su tutto il territorio nazionale. Vogliamo essere vicini al contesto e sosteniamo le diverse iniziative che i territori ci suggeriscono, tra marketing e cuore. Le sponsorizzazioni sportive poi hanno una forte carica simbolica: pensiamo al basket, ma anche al rugby (Openjobmetis è sponsor di ASD Rugby Varese da due stagioni, ndr) che fanno del rispetto in campo, del lavoro di squadra e della disciplina dei valori fondanti. Lei parla di cuore. C’è un’iniziativa che le è particolarmente cara? Sì. Ho scelto di sponsorizzare una squadra di calcetto l’ASD San Fratello. San Fratello è in Sicilia, in provincia di Messina, sui monti Nebrodi: è il paese natale di mio padre ed ha una storia difficile perché ha dovuto combattere con le difficoltà di una frana importante nel 2010, la seconda dopo parecchi anni. Questo sostegno ad una squadra locale è un’iniziativa che ho particolarmente a cuore. Un affetto ricambiato dai Sanfratellani che online definiscono Rasizza l’uomo capace di “realizzare quei sogni che vorrebbero uscire dai cassetti”. Del resto, sempre citando Mennea, nello sport “soffri ma sogni”.


INCHIESTA

Poretti: nuova vita a più luppoli Quella di Carlsberg Italia sul territorio è una storia di rinascita che insegna come la cura della brand identity non sia un percorso lineare e senza ostacoli, ma come, anzi, dagli errori si possa apprendere per ripartire con nuovo slancio, puntando sulla semplicità

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osso accettare di fallire, chiunque fallisce in qualcosa. Ma io non posso accettare di non tentare”. Torna il legame tra brand identity e mondo dello sport. La frase celebre, restando peraltro in campo cestistico, è quella di Michael Jordan e ad usarla è Alberto Frausin, Ceo di Carlsberg Italia, in occasione del primo TedX varesino per raccontare una storia di brand, quello della Birra Poretti, davvero esemplare. Tornare a crederci è il titolo dell’evento e la strategia di rinascita del marchio ne è perfetto esempio. “10 anni fa - racconta Frausin con grande schiettezza - mi hanno contattato i proprietari danesi e mi hanno detto: noi non ci crediamo più, vai e chiudi. Tornare a crederci era tema delicatissimo per un’azienda con oltre 1.400 lavoratori, non solo a Varese ma in tutta Italia”. A un passo dalla fine ecco valere la filosofia del fuoriclasse della Nba. “Fallire è apprendere - spiega Frausin -. Gli errori aprono la mente. La società che avevo ereditato era ormai terrorizzata dal fare e le persone erano bloccate nel loro processo di sviluppo. Eppure, quando sono arrivato mi sono reso conto che la nostra era un’azienda di 130 anni di storia (oggi 140) con un patrimonio straordinario di prodotti e soprattutto di persone. Quello che non riuscivamo a fare era aprire gli occhi. Io avevo un vantaggio rispetto agli altri, non perché più bello, intelligente o capace ma semplicemente non conoscevo la storia di Angelo Poretti né sapevo niente di birra: questo mi ha offerto un punto di vista diverso”. Da qui il percorso di rinascita: guardando all’esistente, con occhi nuovi, senza inventare nulla. Un esempio? Uno dei motori di questa nuova vita è la scelta, unica, di promuovere l’uso dei contenitori di Pet, che l’azienda aveva già sperimentato in precedenza

in maniera fallimentare e con la derisione di tutti. Oggi, a distanza di dieci anni, ne è centro di eccellenza mondiale per lo sviluppo di una tecnologia che sarà il futuro del settore per questioni sia di conservazione della qualità di prodotto che di sostenibilità ambientale. Ma a fare la differenza è la valorizzazione dello storico prodotto. Oggi Poretti è marchio noto, distribuito in locali e supermercati. Fino al 2010, però, il birrificio Angelo Poretti era conosciuto solo dai varesini. L’intuizione è sempre quella di puntare sull’esistente. “Ho chiesto al mastro birraio perché mi facessero sempre bere la Splüegen considerando tutte le birre buone che producevamo”, racconta Frausin, nell’intervento che si può rivedere sul canale YouTube di TedX Varese. “Lui mi rispose che quella era la migliore. Allora ho chiesto perché fosse così buona e mi hanno spiegato che c’è l’acqua straordinaria che viene dalla Fonte degli Ammalati nella Valganna. Ma l’acqua è ‘solo’ acqua. Poi ci sono i malti. Ma, anche lì, i malti li hanno tutte le birre. Poi ci sono i lieviti, ma raccontare le qualità dei lieviti è un po’ difficile. Poi ci sono i luppoli. I luppoli! Per me il luppolo era uno solo mentre ho scoperto essercene 350 tipi abbondanti. Di lì la scelta. Abbiamo inventato le birre a più luppoli. All’inizio la gente rideva. Dire che nella birra ci sono i luppoli è banale, come dire che nell’auto ci sono le ruote. Eppure sono le cose più semplici, quelle che abbiamo davanti al naso, a fare la differenza”. Ed ecco da questa semplicità, la nuova vita a più luppoli del brand. “Aver paura quando facciamo i cambiamenti è giusto - ammette il Ceo di Carlsberg - ma la paura non deve essere bloccante. Anche il fallimento è fondamentale per poter cambiare la mentalità delle persone. Ma la cosa più importante resta giocare come una squadra”.

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Aziende Italiane che operano all’estero uo]u-llb lÂ†Ń´ŕŚžm-ÂŒbom-Ń´b Esistono in Lombardia 6.398 aziende a partecipazione estera che generano ricavi per oltre 257 miliardi di euro e impiegano oltre 575 mila addetti.

Sinistri Uno dei vantaggi del programma multinazionale è la possibilitĂ di gestire dall’Italia i sinistri avvenuti all’estero con un team dedicato. Generali Global Corporate & Commercial ha un team di sottoscrittori capaci di progettare il programma che meglio si adatta alle esigenze del Cliente e inoltre possiede un team di esperti che gestisce un network presente in piĂš di 150 Paesi in grado di soddisfare qualsiasi esigenza estera del Cliente.

Ci sono circa 200 Paesi nel Mondo. Ognuno rappresenta un’opportunitĂ . Generali è presente in 150 Paesi.

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Quali sono i vantaggi per l’Azienda? Il programma assicurativo del Cliente sarĂ gestito e coordinato centralmente. La Master è garanzia di serenitĂ per il Cliente che avrĂ nel cassetto della sua scrivania una polizza che lo copre in tutto il mondo. Il Cliente potrĂ cosĂŹ ridurre le preoccupazioni che nascono in assenza di un programma multinazionale: incompletezza delle garanzie prestate, differenze linguistiche e legislative di ciascun Paese. L’Agenzia Generale Saronno San Giuseppe è DO YRVWUR žDQFR QHOOD programmazione del welfare aziendale. FRQWDWWDFL info@generalisaronno.it tel 02/96700365 ZZZ HQULFRFDQWXDVVLFXUD]LRQL LW

associata

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

SARONNO SAN GIUSEPPE

enricocantĂš = 4 4 < 6 = 8


ECONOMIA

L’auto si connette a Varese e Busto Arsizio Poche aziende come Vodafone Automotive sono destinate a cambiare le nostre vite. A partire da come gestiremo in futuro viaggi e spostamenti. Il racconto di un’impresa internazionale, con il proprio quartier generale sul territorio, che ha come obiettivo quello di dar vita a nuovi modelli di mobilità grazie all’Internet delle Cose che abbiamo con i mezzi di trasporto. Siano essi autovetture, mo-

Davide Cionfrini tociclette o biciclette, per il momento. Ma nei prossimi anni, an-

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à dove c’era una volta il distretto industriale degli antifurti, ora c’è un gruppo internazionale con base a Varese, che con l’Internet delle Cose sta trasformando e rivoluzionando il mondo della mobilità. Poche altre aziende come Vodafone Automotive sono destinate a cambiare radicalmente il nostro futuro. O almeno quello che riguarda i nostri spostamenti e il rapporto

che, trasporti pubblici, car sharing, mobilità nel senso più ampio. “Cosa produciamo nelle nostre sedi di Varese e Busto Arsizio? Il futuro”, afferma senza troppa falsa modestia Che Naraine, Chief Operating Officer di Vodafone Automotive. Sistemi elettronici come sensori di parcheggio e antifurti. Sistemi di sicurezza per l’individuazione dei veicoli rubati. Sistemi di soccorso in caso di incidenti e assistenza in caso di emergenza. Vodafone Automotive Manufacturing building a Varese

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ECONOMIA

Il Secure Operating Centre a Busto Arsizio e, sotto, la Manufacturing Area a Varese

Servizi di monitoraggio e analisi dei dati per la gestione delle flotte e per lo studio dei comportamenti di guida. Connettività a Internet dei mezzi. Questi solo alcuni dei prodotti e dei servizi che già oggi offre Vodafone Automotive. Da una parte, dunque, la produzione e lo sviluppo di componenti elettronici di avanguardia. Dall’altra, una piattaforma di servizi telematici con collegamenti a centrali operative che forniscono un servizio 24 su 24 per 7 giorni su 7 in 44 diversi Paesi. Europei, ma non solo. Anche Russia, Sud Africa, Estremo Oriente. E Nord America. Ad oggi sono oltre 14 milioni i veicoli connessi in tutto il mondo grazie a Vodafone Automotive, 1.500 le chiamate giornaliere in entrata e in uscita nella sola centrale italiana, 4mila i veicoli gestiti ogni giorno solo nella nostra Penisola. Chiamate di emergenza in caso di guasto. Oppure rintracciamento del veicolo rubato grazie alla geocalizzazione. Questo il presente su cui Vodafone Automotive, parte della più grande area operativa del gestore telefonico dedicata all’Internet delle cose (Vodafone Internet of Things), sta lavorando per costruire un nuovo modello di mobilità che stravolgerà nei prossimi 10 anni il modo di organizzare i nostri spostamenti. “Il nostro gruppo – spiega Gion Baker, Ceo di Vodafone Automotive – non sta lavorando solo alla connettività legata all’autovettura. Ma anche a quella dell’autovettura con il resto del mondo della strada e con le altre macchine”. Tanto per intenderci: l’auto che guiderà da sola, mentre il guidatore legge o guarda la tv, non è tanto lontana. “Stiamo sviluppando ad esempio sistemi di analisi 26

e sistemi audio e video che permettono un aumento del supporto al guidatore. Così come la connettività dei veicoli con altri veicoli e con altre infrastrutture”. Oggi, per esempio, i sistemi di frenata automatica in caso di un ostacolo sono già realtà, così come, proprio grazie a imprese come Vodafone Automotive, le auto che parcheggiano da sole. Ma se la macchina potesse “parlare” con un semaforo potrebbe frenare da sola in caso di rosso. Ecco alcuni esempi di sistemi e tecnologie che Vodafone Automotive sta sviluppando per tutto il mondo da Varese e Busto Arsizio, quartieri generali a livello internazionale di un gruppo con sedi anche in Giappone, Corea e Cina. “Il nostro lavoro non è destinato a modificare solo la vita di chi si mette al volante, ma è anche in grado di creare nuovi modelli di business, in cui si affaccia il concetto di ’“auto come servizio” con inedite modalità di acquisto, di noleggio e di condivisione dei mezzi di trasporto. Ma gli obiettivi di Vodafone Automotive sono ancora più ambiziosi: “Vogliamo dar vita a nuovi modelli di mobilità. L’auto connessa permette di andare oltre il concetto di proprietà e di vedere il mezzo come un servizio da noleggiare, comprare o condividere e da integrare con altri mezzi di trasporto pubblico. Pianificando lo spostamento tra auto, bici, treno, bus e aerei”. Varese al centro della rivoluzione della mobilità, dunque. Un’operazione che Vodafone ha fatto partire nel 2014 quando, dopo uno scouting a livello mondiale, decise di acquisire quella che allora era la Cobra. Ma perché un Gruppo come Vodafone decise di investire propria a Varese (nella sede dietro l’Esselunga di Masnago, tanto per dare una collocazione precisa) e a Busto Arsizio? “Il giudizio di Baker è netto: “Nessuno al mondo aveva la possibilità di mettere in campo le stesse competenze di sviluppo hardware e di servizi telematici e di offrire ai nostri clienti un pacchetto endto-end”. Tradotto: dall’inizio, alla fine, con una copertura internazionale su diversi Paesi nel mondo. Anche per questo oggi i clienti di Vodafone Automotive sono tutte le principali case automobilistiche. Tesla inclusa. Un’operazione, quella della multinazionale Vodafone, avviata e gestita nel corso del tempo con l’obiettivo di valorizzare le competenze già in essere nell’azienda varesina:

Il business di Vodafone Automotive: sensori di parcheggio e antifurti, sistemi telematici di sicurezza per l’individuazione dei veicoli rubati e di assistenza in caso di incidenti o guasti, servizi di monitoraggio e analisi dei dati dei veicoli e dei comportamenti di guida, connettività Internet dei veicoli


sche in Olanda che aumenta la potenzialità del mercato di una macchina di lusso. Ciò grazie alla multiproprietà di uno stesso mezzo. Più soggetti condividono la stessa Porsche, per dividere i costi in tutta trasparenza. Questo è il presente. Ma nel futuro dalla macchina potremo gestire la nostra casa, anch’essa connessa. L’auto ci guiderà da sola al primo parcheggio libero più vicino. Pianificherà in autonomia il nostro viaggio, integrandolo con i servizi di pubblico trasporto. “I progetti che stiamo portando avanti a Varese e a Busto Arsizio per il Gruppo Vodafone andranno a vantaggio di tutta la comunità”. Non solo locale, chiosa Che Naraine.

ECONOMIA

“Quando è arrivata – racconta Che Naraine che era già all’interno dei vertici di Cobra – Vodafone ha confermato tutta la squadra del management. Hanno investito sulle nostre competenze, sul nostro modello”. Con successo. “Cresciamo ogni anno a cifre che vanno dal 25% al 30%”, spiega Baker. Per esempio con servizi come quelli offerti tramite Yamaha che con il modello di scooter TMax mette a disposizione dei singoli utenti un sistema telematico in grado di gestire la propria moto con un’app sullo smartphone: dal blocco avviamento, all’avviso di limite di velocità; dai dati sull’utilizzo, alla gestione del furto e ritrovamento del veicolo. Oppure come il servizio creato per Por-

Un esempio concreto di lavoro 4.0 “Siamo probabilmente state tra le prime imprese di questo territorio a introdurre l’industria 4.0 nei nostri processi”. Non teme rischi di smentita il Chief Operating Officer di Vodafone Automotive, Che Naraine. I 3 milioni di sistemi telematici, di antifurto e assistenza al parcheggio prodotti annualmente a Varese vengono realizzati con linee altamente automatizzate. A partire dall’approvvigionamento della componentistica elettronica: le macchine produttive sono collegate in remoto col magazzino per evitare il fermo macchina e creare un flusso continuo ed automatico di lavoro. Altro esempio su cui sta lavorando Vodafone Automotive per l’automatizzazione del magazzino attraverso particolari algoritmi è quello dei sistemi per il sollevamento/traslazione di parti pesanti o oggetti esposti ad alte temperature in grado di agevolare in maniera intelligente, robotizzata e interattiva il compito dell’operatore, come spiega Andrea Di Nunzio a capo delle risorse umane di Vodafone Automotive. In pratica nello spostamento dei pesi, i muletti verranno sostituiti da macchine che si muovono in maniera autonoma e in grado di comunicare tra loro. Così se una sola non ce la fa a spostare una cassa particolarmente pesante chiama a raccolta le altre per farsi dare una mano. Con la conseguenza di sostituire completamente l’uomo con dei robot? “No, non è questo il caso. Come Vodafone Automotive – racconta Di Nunzio – stiamo lavorando ad un passaggio generazionale e di competenze di medio e lungo periodo che cambierà know how e ruoli all’interno dei nostri uffici e stabilimenti”. Meno manualità e più esperti di big data ed analytics, ma riducendo l’impatto sociale e portando il modello organizzativo verso una struttura flessibile ed agile dove si condividono valori, cultura e fiducia attraverso obiettivi trasparenti, diffusi e condivisi. Un’azienda fortemente esposta sull’industria 4.0 come Vodafone Automotive, sta crescendo e crescerà anche a livello occupazionale. Più di 80 le assunzioni fatte negli ultimi 3 anni. Più di 30 quelle previste per il 2018. “Un investimento in risorse umane che vedrà come protagoniste le nostre sedi europee, ma soprattutto l’Italia”, continua Di Nunzio. Che non nasconde le difficoltà di trovare sul mercato Italiano del lavoro le figure necessarie alla sua azienda: “No, non è per niente facile. E una volta trovate non basta arrivare a un accordo sulla parte economica per fidelizzarle. Occorre garantire alle persone una crescita formativa, offrire nuovi strumenti di organizzazione del lavoro come lo smart working, è necessario ammodernare la parte building con ambienti sempre più confortevoli e digitali”. Tutti fattori del lavoro su cui Vodafone Automotive sta investendo. Così come sull’identità e la raccolta del personale intorno a valori condivisi. Come? “Garantiremo che il 50% delle nuove assunzioni riguardi le donne, per esempio”. Oppure, continua, Di Nunzio, “col progetto di cessione di giorni di ferie tra colleghi per permettere a quelli con familiari gravemente malati di avere più tempo per la loro assistenza. O ancora la decisione di essere sponsor del ‘Varese Pride’ in un’ottica inclusiva, diffondendo il rispetto delle diversità di genere, cultura, competenze. Tutte scelte condivise a partire dal management”. Anche questo è lavoro 4.0. (D.C.)

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ECONOMIA

C’era anche Varese alle Olimpiadi Invernali L’azienda Spm di Brissago Valtravaglia ha rifornito i Giochi di Pyeongchang di 80 km di reti e 2.200 metri di materassi di protezione, 3 km di transenne, 20.000 pettorali. E non è la prima volta. L’impresa della famiglia Berutti è sinonimo di sci da quasi 40 anni. Ma lo sport non è il solo business

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Chiara Mazzetti

ECONOMIA

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ltre 80 km di reti e 2.200 metri di materassi di protezione, 3 km di transenne e 20.000 pettorali per tutte le discipline olimpiche. Anche un pezzo di Varese (e nemmeno troppo piccolo) era presente alle Olimpiadi Invernali 2018 di Pyeongchang. Parte dell’equipaggiamento per le gare di sci alpino, fondo, biathlon, snowboard, salto e non solo è stato fornito dalla Spm Spa, azienda della provincia di Varese (Brissago Valtravaglia) nata nel 1954 come impresa produttrice di sigilli per l’autenticazione e la certificazione di prodotti. Ma come è arrivata la Sigilli in Plastica e Metallo dai componenti plastici alle Olimpiadi? Nel 1978 la passione per lo sci della famiglia Berutti ha fatto irruzione in azienda, catapultando la Spm nel mercato delle attrezzature invernali sportive. “Lo sport è di sicuro la parte più divertente del nostro lavoro”, spiega il Ceo Giovanni Berutti, aggiungendo che “dà la possibilità di seguire i nostri prodotti fin sulle piste da sci. Si tratta di un settore che va conosciuto molto bene. In azienda lavorano 8 istruttori di sci, in grado non solo di comprendere le necessità dei clienti, ma di anticiparle”. Con 9 Campionati Mondiali serviti dal 1985, 8 finali di Coppa del Mondo dal 2010 e 5 Olimpiadi dal 1984, i prodotti Spm si trovano sulle piste da sci di tutto il mondo e sui palcoscenici internazionali più seguiti: “Per arrivare a fornire le Olimpiadi bisogna essere conosciuti e dimostrare di avere la qualità e l’attenzione che il settore richiede. Ci piace contribuire alla sicurezza degli atleti. La nostra prima volta ai Giochi Olimpici è stata a Sarajevo: da allora l’evoluzione è stata pazzesca. Si è passati dalle balle di fieno ai lati delle piste a materassi protettivi in grado di assorbire, in un metro e 20 cm, la caduta di un atleta di 100 kg che viaggia ad una velocità di 100 km orari. Incredibile!”, commenta il Ceo della Spm. Ed è stata proprio questa vocazione alla sicurezza e all’innovazione che ha portato l’impresa del luinese a progettare e realizzare il rivoluzionario palo snodato, ora presente in tutte le gare sciistiche al mondo. “Il palo snodato ha cambiato la storia della tecnica dello sci, rendendo le competizioni più sicure, regolari e spettacolari – racconta ancora Berutti –. È stato testato nel 1979 sulla Gran Risa dallo sciatore svedese Ingemar Stenmark e si è affermato in tutto il mondo grazie alla collaborazione con Oreste Peccedi, storico allenatore della ‘Valanga Azzurra’ ai tempi del campione Gustav Thoni”. Che si tratti di gare nazionali e internazionali, grandi competizioni o corsi di sci per i più piccoli, dove la neve è padrona, Spm c’è. Dal Kazakistan, alle avveniristiche piste coperte in pieno deserto di Dubai; dagli Stati Uniti, alla Cina: “Forniamo i materiali più diversi a seconda della tipologia di competizione. Realizziamo anche strumenti didattici per le scuole, ad esempio tappetini che insegnano ai bambini come mettere gli sci per imparare a muovere i primi passi sul manto innevato. E i nostri materassi vengono utilizzati anche lontano dalle piste, per le gare motociclistiche”, rivela Berutti. Dal punto di vista commerciale, la Spm raggruppa in sé 3 diverse divisioni (automotive, moda e sport), accomunate dal know-how

nella lavorazione della plastica e del metallo. “Siamo conosciuti nel mondo per i paletti snodati, ma il 60% del nostro fatturato proviene dai loghi che realizziamo per le auto”. Emblemi per Porsche, Maserati e Alfa Romeo, 1 milione e 800mila loghi all’anno per le chiavi targate Ford, una commessa per Tesla: questi alcuni dei prodotti che l’azienda varesina realizza per il settore automotive. “Il ramo del fashion, attualmente, è quello che fa un po’ più di fatica – spiega Giovanni Berutti –. Realizziamo, ad esempio, sigilli di garanzia, etichette tessute, in pelle, placchette per gli abiti di Dolce & Gabbana e di Cerruti 1881”. Insomma Spm non è solo sport. “Siamo un’azienda sul territorio che genera opportunità per il territorio”. Che si traduce concretamente in 207 dipendenti, di cui 120 donne, la metà residenti in un raggio di 5km dalla sede aziendale, 3.200 ore di formazione annuali e il sostegno ad associazioni come Freerider, attiva nel rendere possibile il connubio tra disabilità fisica e sport invernali.

Il Ceo Giovanni Berutti: “In azienda lavorano 8 istruttori di sci, in grado non solo di comprendere le necessità dei clienti, ma di anticiparle” 29


FORMAZIONE

Diplomarsi in 4 anni, la mappa nel Varesotto Archiviata la fase di sperimentazione che ha visto alcuni istituti di Busto Arsizio in prima fila, prendono pieno avvio il prossimo settembre i percorsi di studio quadriennali. Tra istruzione pubblica e privata sono sette le scuole del Varesotto che daranno la possibilità agli studenti di arrivare più velocemente alla maturità Maria Postiglione

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ono 192 gli istituti superiori (127 statali e 65 paritari), in tutta Italia, che dal primo settembre 2018, offriranno la possibilità ai propri studenti di diplomarsi in quattro anni anziché cinque. L’idea di introdurre percorsi quadriennali non è nuova, nel 2000 l’allora Ministro Luigi Berlinguer avanzò la prima proposta. La riforma non venne attuata, ma nel 2013 una commissione istituita da Francesco Profumo riprese il tema. Maria Chiara Carrozza avviò alcune sperimentazioni con 12 istituti distribuiti su tutto il territorio nazionale, tra cui anche l’Istituto Tecnico Economico Tosi di Busto Arsizio. E alle due scuole che hanno avviato per prime i percorsi quadriennali, l’Istituto paritario Olga Fiorini e il Tosi di Busto Arsizio si aggiungono, in provincia di Varese, cinque scuole che dall’anno scolastico 2018/2019 potranno attivare tali percorsi: il Liceo Classico Cairoli e il Liceo Scientifico Ferraris di Varese, l’Istituto Rosetum di Besozzo, l’Istituto Montale di Tradate e infine il Liceo Sacro Cuore di Gallarate. Ma qual è esattamente il funzionamento delle classi di quattro anni? È importante sottolineare che non si tratta di un nuovo indirizzo di studi, nessuno “sconto” sugli obiettivi formativi, come enunciato dal Ministero dell’Istruzione. Il corso di studi quadriennale deve garantire parità di insegnamento delle discipline previste dall’indirizzo di riferimento. Gli alunni dovranno raggiungere gli obiettivi di apprendimento e le competenze previste per il quinto anno di corso attraverso la flessibilità didattica e organizzativa. La finalità principale di un percorso quadriennale è quella di far coincidere il raggiungimento della maggiore età con la fine della scuola secondaria di secondo grado e l’entrata nel mondo adulto, offrendo ai ragazzi una maggiore opportunità di

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Non si tratta di un nuovo indirizzo di studi, nessuno “sconto” sugli obiettivi formativi: il corso quadriennale deve garantire parità di insegnamento delle discipline previste dall’indirizzo di riferimento crescita in autonomia. Inoltre, come da più parti sottolineato, si consente ai diciottenni la possibilità di confrontarsi “ad armi pari” nel contesto europeo, dove la maggior parte dei Paesi presenta un percorso scolastico di dodici anni complessivi. Per quanto riguarda il livello organizzativo, il meccanismo varia da regione a regione e da scuola a scuola. Potenziamento di alcune materie, curvature della programmazione di alcune discipline tradizionali, aumento dell’orario settimane a 40 ore e, ancora, anticipo del rientro degli studenti dalle vacanze estive, moduli di autoistruzione e piattaforme e-learning: queste sono solo alcune delle soluzioni messe in campo dalle scuole coinvolte. Varia e ampia l’offerta nella provincia di Varese, che si posiziona a livello nazionale tra le provincie con il numero più alto di percorsi quadriennali approvati. “L’Ite Tosi di Busto Arsizio - spiega, ad esempio, la Dirigente Scolastica Nadia Cattaneo - punta su una diversa gestione del tempo e dello spazio, selezionando i programmi. La nostra scuola sperimenta i percorsi quadriennali dal 2013 con 8 classi, due di queste si diplomeranno il prossimo mese di giugno. In questi 4


anni abbiamo anticipato l’inizio delle lezioni di una settimana e posticipato sempre di una settimana il termine, abbiamo valorizzato le attività svolte in classi virtuali e abbiamo valorizzato quelle che vengono definite le soft skills”. “Al Liceo Ferraris di Varese il progetto di Liceo scientifico internazionale quadriennale nasce dalla volontà di rinnovare e ampliare l’offerta formativa, anche in risposta alla crescente richiesta dei giovani di proseguire all’estero il proprio percorso di formazione universitaria o di inserimento nella realtà lavorativa”: Giuseppe Carcano, Dirigente Scolastico, spiega che “la proposta si realizza attraverso diverse azioni, tra cui l’inserimento di due discipline (storia e arte) insegnate gradualmente in lingua inglese, un piano di studi personalizzabile dallo studente sulla base dei propri interessi, learning weeks e soggiorni-studio all’estero e un’innovazione metodologico-didattica che farà ampio utilizzo di metodologie quali debate, flip teaching, cooperative learning, Ted, già sperimentate in molte classi”. Il progetto che si realizzerà al Liceo Classico Cairoli a partire dal prossimo anno scolastico, pur mantenendo tutte le materie proprie del tradizionale curriculum di un simile percorso di studi, si caratterizzerà in primo luogo per una forte impronta verso l’internazionalizzazione e l’interculturalità, modificando l’impianto

Indirizzi linguistici, economici, scientifici e classici, ma non solo: varia e ampia l’offerta nella provincia di Varese, a livello nazionale tra quelle con il numero più alto di percorsi quadriennali approvati

FORMAZIONE

didattico tradizionale. Il progetto prevede nel corso dei quattro anni di studio un potenziamento linguistico con lo studio di una seconda lingua (tedesco), l’introduzione di materie opzionali e il metodo Ørberg per l’insegnamento di latino e greco. Non mancheranno inoltre cooperative learning e didattica laboratoriale, l’utilizzo di strumenti informatici per la didattica e periodi di alternanza scuola-lavoro dal secondo anno da realizzare all’estero. Per il Dirigente del Liceo Cairoli di Varese, Salvatore Consolo, “si tratta sicuramente di una sfida che il collegio dei docenti del Liceo ha fatto propria nella consapevolezza che la tradizione va sempre coniugata con l’innovazione metodologica e didattica. È interessante sapere che in Regione Lombardia sono solo due i licei classici quadriennali approvati”. “Quello Internazionale per l’Innovazione ‘Olga Fiorini’ è un Liceo scientifico con potenziamento linguistico, che fornisce lo studente della preparazione solida del percorso scientifico, consentendogli di apprendere anche tre lingue straniere: inglese, francese e russo, grazie anche al costante apporto di docenti madrelingua e iniziative di mobilità all’estero”: come sottolinea il Coordinatore delle attività educative e didattiche Luigi Iannotta, “quello dell’Olga Fiorini è stato il primo istituto paritario sul territorio nazionale a proporre un percorso di istruzione superiore quadriennale. Oggi si rinnova, forte della sua esperienza quinquennale e degli obiettivi già raggiunti, tra i quali il superamento del primo Esame di Stato, che ha dimostrato l’effettiva efficacia e sostenibilità del progetto. Cuore dell’innovazione è l’applicazione su larga scala della didattica per competenze, metodologia laboratoriale, basata sul saper fare, piuttosto che sulle mere nozioni, che si concretizza, nella prassi quotidiana, nel massiccio utilizzo di metodologie innovative quali il Clil e il Debate”. Per quanto riguarda l’istituto Montale di Tradate l’autorizzazione a partire dall’anno scolastico 2018/2019 prevede l’avvio di un percorso in finanza e marketing con una curvatura liceale, con materie quindi come storia dell’arte e filosofia e con tre lingue straniere a partire già dal primo anno. Al Liceo Sacro Cuore di Gallarate l’offerta si arricchirà con il percorso quadriennale di Liceo economico sociale che si caratterizzerà per un’accentuata attenzione ai temi moderni, sviluppati attraverso una forte interdisciplinarietà tra le materie. Molta attenzione sarà prestata, nell’istituto paritario, al potenziamento delle competenze linguistiche e ad una didattica orientata all’acquisizione di competenze. A completare l’offerta della provincia di Varese è l’Istituto paritario Rosetum di Besozzo con l’unico liceo linguistico sul territorio ad affrontare la nuova sfida del diploma in quattro anni.

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FORMAZIONE

Dal PmiDay 2017

un no convinto alla contraffazione Premiati i lavori realizzati da 39 studenti delle scuole medie della provincia di Varese che hanno partecipato al concorso indetto dall’Unione Industriali in occasione della Giornata della Piccola e media impresa

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tupisce sempre come, messi di fronte ad un’azienda, i ragazzi ne rimangano ispirati e in che modo da un tema difficile come la lotta alla contraffazione, possano invece nascere idee stimolanti e per nulla banali”. Lo stupore nei confronti della creatività espressa dagli studenti di terza media che hanno partecipato al #PmiDay2017 è di Gianluigi Casati, Presidente della Piccola Industria dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. La cornice è la cerimonia di premiazione dei migliori elaborati, realizzati appunto dai giovani alunni, in occasione del concorso indetto nell’ambito dell’ottava edizione del Pmi Day. Al termine delle oltre quattro settimane di visite aziendali previste dal progetto, infatti, era stato chiesto ai ragazzi di mettere su carta (oppure su web, video o qualsiasi cosa li ispirasse) la loro partecipazione al progetto, tenendo ben presente il tema della lotta alla contraffazione, posto al centro del Pmi Day 2017. In palio, per i ragazzi premiati come autori dei migliori lavori, la possibilità di entrare in contatto con la realtà dell’industria 4.0 attraverso un’esperienza all’interno dei laboratori tecnologici della LIUC – Università Cattaneo. Sono stati premiati 18 lavori a cui hanno partecipato 39 ragazzi. Studenti che, con il loro impegno, ci hanno letteralmente colpiti per l’originalità e l’inventiva messe in campo nel rappresentare, in modi unici e a dir poco ispirati, le imprese del nostro territorio. Segnale che il messaggio è arrivato forte e chiaro: l’industria in provincia di Varese è interessata ai giovani e al loro futuro. Nelle pagine che seguono vi proponiamo alcuni dei migliori lavori.

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FORMAZIONE

Ho comprato un orologio

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Ho comprato un orologio, molto bello, a poco prezzo. L’ho comprato però da qualcuno, che non poteva venderlo. L’ho comprato però ho scoperto che l’hanno fatto dei bambini. L’ho comprato ma, quei bambini non sono stati pagati. L’ho comprato, però, quest’orologio, non ha dato lavoro a qualcuno. L’ho comprato però, ora che ci penso, non è stato un grande affare. Ho comprato un orologio, e me ne vergogno molto.



UNIVERSITÀ

La “mano visibile” del giovane imprenditore Le imprese familiari sono davvero responsabili? La risposta è sì e l’azione delle nuove generazioni è ancora più incisiva. Questo il risultato a cui conduce lo studio “Family Up!” pubblicato dai ricercatori della LIUC – Università Cattaneo Valentina Lazzarotti (*)

I

l termine Corporate Social Responsibility (Csr) è sempre più diffuso e volto a definire pratiche di svariata natura, da azioni verso la collettività in generale ad azioni nei confronti dei dipendenti. Fra le prime si possono comprendere le donazioni in denaro effettuate grazie alla destinazione di parte degli utili conseguiti, finalizzate prevalentemente al finanziamento di interventi sociali sul territorio di riferimento, così come l’offerta di determinate tipologie di prodotti e servizi, caratterizzate da una particolare valenza ambientale (es. prodotti con materiale riciclabile). Fra le iniziative a favore dei dipendenti si possono citare le azioni volte al miglioramento del clima aziendale e all’incremento della capacità di attrarre le migliori risorse disponibili sul mercato (es. orari lavorativi maggiormente flessibili, formazione continua, coinvolgimento nella gestione, assistenza sanitaria integrativa, assunzione di lavoratori extracomunitari o di persone diversamente abili). Se l’evidenza è sempre più convergente nel dimostrare come le grandi imprese, gestite da manager non proprietari, siano socialmente impegnate, non così scontata è la conclusione relativa alle imprese familiari, normalmente di dimensioni più contenute, ma soprattutto caratterizzate da un insieme di emozioni e di valori di fondo propri della famiglia proprietaria che gestisce l’azienda, in grado di orientarne i comportamenti

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in modo peculiare. Infatti, da un lato esse sono sicuramente attente a salvaguardare la propria reputazione presso la collettività nella quale sono intimamente inserite, il che incentiva l’adozione di comportamenti responsabili a favore della comunità; dall’altro però, alcuni altri fattori emozionali potrebbero esercitare un’influenza opposta. Si pensi ad esempio al forte desiderio, tipico dei manager familiari, di preservare uno stretto controllo sulle attività di impresa. Tale circostanza non favorirebbe azioni di coinvolgimento dei dipendenti nella gestione, indirizzate a promuovere la loro crescita, rafforzare la fiducia e sviluppare un buon clima lavorativo. Oppure, il forte attaccamento emozionale fra membri della famiglia potrebbe degenerare in politiche di gestione del personale minate da fenomeni di nepotismo (es. compensi e percorsi di carriera iniqui se si comparano membri della famiglia e dipendenti ad essa estranei). E così gli studiosi, appassionati di family business, non hanno più certezze: le imprese familiari sono “buone” o “cattive” dal punto di vista sociale? Un gruppo di ricerca della LIUC – Università Cattaneo ha provato a contribuire al dibattito, studiando quindici casi di imprese familiari, dove protagonista è la nuova generazione alla guida delle aziende, composta da giovani che hanno conseguito la loro formazione universitaria presso la LIUC e che da circa dieci anni sono impegnati stabilmente (*) professore associato della Scuola di Ingegneria Industriale, LIUC - Università Cattaneo


e con ruoli di responsabilità crescente nell’attività di famiglia. Alcuni hanno già assunto il ruolo di Ceo, altri sono prossimi a farlo o comunque rivestono ruoli di estremo rilievo nel governo strategico dell’impresa. Le aziende studiate, tutte a elevata concentrazione proprietaria e di controllo, appartengono a settori disparati, caratterizzati da proprie dinamiche di riferimento. Le evidenze raccolte sono presentate in un libro dal titolo “Family Up! Il giovane imprenditore tra continuità e cambiamento”, curato dal Rettore della LIUC Federico Visconti e da chi scrive, insieme ad altri docenti delle Scuole di Economia e Management e Diritto ed edito da Guerini Next (collana Università Cattaneo – Libri). Nel volume vengono analizzati in modo approfondito i fattori valoriali ed emozionali che orientano i processi decisionali dei nuovi leader, con attenzione all’evoluzione che essi manifestano rispetto a quelli che caratterizzavano i loro predecessori. Il principale risultato che emerge dallo studio dei casi è la nuova caratterizzazione del giovane imprenditore, con alcuni valori che si attutiscono e altri che si rafforzano, rispetto a quelli tradizionalmente legati all’impresa familiare, per dar luogo a una configurazione originale degli stessi. In particolare, l’attitudine a mantenere il controllo è considerata meno importante, così come diminuisce la rilevanza delle emozioni nell’influenzare le decisioni, mentre addirittura rafforzate risultano l’identificazione con la propria azienda di famiglia

“Le imprese studiate si sono rivelate socialmente molto responsabili e il giovane imprenditore, guidato dai propri valori, ha rivestito un ruolo determinante nel promuovere un ampio insieme di iniziative”

UNIVERSITÀ

e l’attenzione a curare le relazioni con gli stakeholder. Un immutato orientamento al lungo periodo completa la figura del giovane intervistato. Cosa c’entra tutto questo con il quesito irrisolto sul ruolo giocato dalle imprese familiari nell’ambito sociale? Secondo la ricerca condotta da LIUC, la risposta risiede proprio nella particolare connotazione che i valori assumono nella nuova generazione di imprenditori. Tali valori rendono il nuovo leader convinto attuatore di azioni con valenza sociale e la sua mano diviene per così dire “visibile” nell’orchestrare un ampio insieme di iniziative. Innanzitutto, la forte identificazione con la propria azienda determina una grande attenzione al tema della reputazione e alle conseguenti azioni di Csr. Inoltre, l’attenzione a curare le relazioni con gli stakeholder si traduce nella piena consapevolezza dell’importanza di considerarle vere e proprie leve competitive. Di conseguenza anche la cura per la comunicazione di tali iniziative ne risulta rafforzata: ad esempio, nell’esperienza di Giacomo Ponti (Ponti S.p.A.), esse trovano piena manifestazione tramite la redazione del cosiddetto Bilancio Sociale. Davvero innumerevoli sono gli esempi relativi alle pratiche sociali rivolte alla comunità: dall’organizzazione di visite in azienda per gli studenti del territorio (Comerio Ercole S.p.A) al progetto Solidarity sourcing avviato da Alessandro Masu di Cosmint S.p.A., rivolto a persone provenienti da situazioni disagiate, agli investimenti green, sempre di Cosmint, per garantire che il 100% degli scarti derivanti dall’attività siano riciclabili. Ancora, anche Giovanni Battaglia (Silvateam S.p.A) è attento a tematiche ambientali, promuovendo investimenti per la riduzione dei consumi energetici relativi alla propria attività core business, ed è promotore di iniziative sociali quali la sponsorizzazione di strutture ospedaliere e di circoli sportivi. Considerando le iniziative rivolte ai dipendenti, i valori dei giovani leader contribuiscono a determinare una rinnovata concezione del rapporto con il proprio personale. Un atteggiamento meno emozionale nella selezione delle risorse e la minor attitudine a esercitare il pieno controllo sulle decisioni aziendali consentono di sviluppare team di dipendenti-collaboratori, competenti, motivati e coesi. Ad esempio, Michela Conterno (Lati S.p.A) introduce piani di valutazione per i dipendenti, chiamati a rispondere responsabilmente ad obiettivi prefissati. Anche Paolo Fantinato (Emmetre S.p.A) è molto aperto e disposto alla delega e alla fiducia nei confronti dei propri dipendenti. Egli cerca sempre di valorizzare le attività altrui e incentiva lo spirito di iniziativa. Atteggiamento simile è quello di Giampaolo Sala (Interfluid S.r.l.). Le azioni di cambiamento hanno riguardato la predisposizione di piani di incentivazione e l’apertura completa nei confronti di alcuni collaboratori, con i quali Giampaolo condivide le informazioni strategiche. In conclusione, le imprese studiate si sono rivelate socialmente molto responsabili e il giovane imprenditore, guidato dai propri valori, ha rivestito un ruolo determinante nel promuovere un ampio insieme di iniziative allo scopo dedicate.

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VITA ASSOCIATIVA

Con la chimica l’industria si fa scienza L’andamento congiunturale, il posizionamento a livello internazionale, ma soprattutto il ruolo di abilitatore di progresso per l’intero Paese. La fotografia di uno dei più importanti settori del made in Italy scattata insieme al Presidente di Federchimica, il varesino Paolo Lamberti e con parametri scientifici dobbiamo essere giudicati”. Per inten-

Davide Cionfrini dersi: “Chi addita ideologicamente la chimica come dannosa,

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industria chimica è, con i suoi prodotti, un’infrastruttura tecnologica del Paese. Un abilitatore di progresso per tutte le imprese, per la società, per la sicurezza e la salute delle persone”. Di più: “Siamo una scienza

per partito preso, dovrebbe anche sapere che senza ad esempio gli agrofarmaci la produzione agricola mondiale calerebbe del 40%. Con quali conseguenze per la popolazione?” A parlare è Paolo Lamberti, Presidente di Federchimica, l’associazione di categoria, inserita nel Sistema Confindustria, che rappresenta a

Paolo Lamberti

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VITA ASSOCIATIVA livello nazionale e internazionale il settore chimico italiano. Un imprenditore fortemente legato al territorio. È infatti Presidente di una delle più importanti aziende, per numero di dipendenti e fatturato, del Varesotto: la Lamberti Spa di Albizzate. Nonché past president dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e della LIUC – Università Cattaneo. È con lui che Varesefocus prova a scattare una fotografia del settore in Italia. Andando oltre il semplice quadro congiunturale. Che situazione sta vivendo in questo momento l’industria chimica italiana? Dopo 10 anni di crisi durissima, finalmente possiamo guardare al futuro con più ottimismo e dire, con orgoglio, che l’industria chimica è tra i settori che meglio hanno saputo resistere e reinventarsi. Abbiamo chiuso il 2017 con un aumento della produzione prossimo al 3% e, per il 2018, ci aspettiamo di proseguire su ritmi non distanti. In questi anni, abbiamo puntato moltissimo sui mercati internazionali con ottimi risultati: siamo il terzo settore esportatore italiano e nel 2017 l’export ha sfiorato una crescita del 10%, con una performance migliore rispetto a Germania e Francia. Grazie al nostro solido posizionamento competitivo e al contenuto tecnologico dei nostri prodotti, abbiamo contenuto le perdite in termini di occupazione negli anni della crisi e oggi possiamo tornare ad assumere. 40

Quanto vale l’industria chimica italiana nel mondo? Con un valore della produzione pari a 52 miliardi di euro, l’Italia è il terzo produttore chimico europeo e il nono a livello mondiale. Essendo un settore tecnologico, i nostri concorrenti sono soprattutto i Paesi avanzati. Tuttavia, anche gli Emergenti, prima fra tutti la Cina, stanno investendo massicciamente per arrivare ad offrire anche i prodotti più sofisticati. Oltre a mantenere una presenza significativa e strategica nella chimica di base, siamo specializzati nella chimica fine e specialistica ossia in tutti quei prodotti che trovano impiego negli altri settori industriali. Spesso alla base del successo del made in Italy ci sono proprio una sostanza o un prodotto chimico innovativo. Per questa ragione, l’industria chimica rappresenta un’infrastruttura tecnologica per tutto il sistema industriale. Varese rappresenta la quarta provincia in Italia per addetti nella chimica-farmaceutica. Terza, per il solo chimico. Come si spiega il radicamento così forte di questa nicchia produttiva sul territorio, di cui lei stesso rappresenta uno dei massimi esponenti? Sì, è vero, l’industria chimica è fortemente radicata nel Varesotto, anche se spesso la gente non lo sa e lega l’immagine della nostra industria più al tessile, all’aerospazio o alla meccanica. In


Si è aperta una nuova legislatura. Cosa chiede l’industria chimica alla propria classe politica? La competitività è assai difficile da costruire, ma basta poco per distruggerla. Questo è ancor più vero per l’industria chimica che è molto sensibile alle condizioni esterne: normative, infrastrutture, costo dell’energia, formazione e ricerca, sistema fiscale, i tempi della giustizia, sono tutti fattori che incidono in modo sostanziale sulla competitività delle nostre imprese. Ma se devo indicare la priorità assoluta, in fondo la madre di tutte le riforme, è contrastare la cultura anti-industriale, che permea tutto il sistema e si riflette in una Pubblica Amministrazione non orientata ad aiutare le imprese. Gli esempi, purtroppo, sono numerosi, anche in Lombardia dove il tempo medio per ottenere il rinnovo di un’Autorizzazione Integrata Ambientale è di circa 2 anni e mezzo ma può protrarsi anche per oltre 4 anni. Laddove, invece, la normativa prevede la conclusione entro 240 giorni. Le battaglie contro la plastica. Le crociate contro il petrolchimico. La cultura anti-impresa, spesso presente in Italia, nei confronti del vostro settore è forse ancora più accentuata. Come definirebbe oggi il rapporto dell’industria chimica con l’opinione pubblica? Il rapporto tra la chimica e il pubblico è certamente critico: soffriamo un pregiudizio negativo che viene da lontano e che purtroppo nemmeno l’evidente e considerevole contributo che i nostri prodotti conferiscono alla qualità della vita riesce a far superare. Le ragioni sono tante, per esempio l’assenza di cultura scientifica in Italia da un lato e un diffuso sentimento anti industriale dall’altro. Poche conoscenze scientifiche significano scarsa capacità di apprezzare l’enorme progresso compiuto per raggiungere un benessere diffuso, cibo abbondante e sano, allungamento della vita e molto altro. Tutti elementi che ci penalizzano e che nel sentire comune comportano il più delle volte una accentuata drammatizzazione ed un allarmismo ingiustificato sulle nostre attività e sui nostri prodotti.

destinato al riciclo e il 39% al ripristino ambientale. Qual è dunque il messaggio che lanciate all’opinione pubblica? Semplice: vivere senza chimica è impossibile. Il contributo dei prodotti chimici a tutto ciò che ci circonda è davvero immenso e rinunciarvi significherebbe un inimmaginabile e pericoloso balzo indietro nel tempo. Il settore della chimica è sicuramente uno di quelli che ha i migliori rapporti tra le parti sociali che lo compongono. Come si spiega questo scenario in un mondo che più in generale è, invece, spesso conflittuale? Noi attribuiamo grande valore strategico alle Relazioni Industriali, che consideriamo come un impegno coerente e di lungo periodo, che ci ha consentito di realizzare nella contrattazione nazionale e aziendale scelte utili alle imprese e ai lavoratori (proprio in questi giorni abbiamo siglato l’intesa relativa al Fondo T.R.I.S. per agevolare il ricambio generazionale). Il ruolo del nostro Contratto Nazionale non è mai stato solo quello della regolazione di obblighi e diritti, ma, piuttosto, quello di strumento per cogliere esigenze, orientare scelte e comportamenti adeguati a supportare il cambiamento e a sostenere la competitività dell’impresa. Accordi rapidi, conflittualità praticamente inesistente, forte capacità innovativa: risultati non casuali, ma costruiti nel tempo, con relazioni tra le Parti caratterizzate da senso di responsabilità, da un atteggiamento pragmatico nella ricerca delle soluzioni negoziali, dalla continuità dei rapporti e dalla credibilità reciproca. Tutti elementi che hanno consentito di sviluppare un confronto non ideologico e basato sul merito dei problemi e non sui rapporti di forza.

VITA ASSOCIATIVA

realtà, l’offerta chimica italiana storicamente si è sempre sviluppata in sinergia con le esigenze espresse dal territorio. Varese ha una realtà industriale significativa, pensiamo al tessile ma anche ai manufatti in plastica, e, di conseguenza, esprime una domanda di chimica importante non solo in termini di volumi, ma anche e soprattutto di qualità.

E invece? Invece l’industria chimica occupa da anni posizioni di alta classifica tra i settori più virtuosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, oltre che per la tutela dell’ambiente. Lo dimostrano i dati del nostro Rapporto Responsible Care: negli ultimi 25 anni gli infortuni e le malattie professionali, rapportate alle ore lavorate, sono diminuite ad un ritmo medio annuo rispettivamente del 5 e del 6%. Le imprese hanno ridotto le emissioni di Gas Serra del 55%. La nostra industria ricorre allo smaltimento in discarica per il solo 9,1% della produzione, mentre il 23% dello scarto è 41


VITA ASSOCIATIVA

A Varese la chimica per tutti i gusti Da una parte le produzioni legate alle esigenze dell’industria. Dall’altra il comparto farmaceutico. Nel Varesotto sono piÚ di 6mila gli addetti che lavorano in un settore centenario, ma altamente tecnologico, in grado di generare ogni anno 1 miliardo di export mento delle fibre; ma anche produzione di resine, polipropileni

Paola Margnini e Cristina Di Maria e siliconi che trovano applicazione nel settore gomma-plasti(Ufficio Studi Univa)

M

edicinali e preparati farmaceutici, materie plastiche, antigelo, saponi e detergenti... No, non è una “ricetta della nonnaâ€? per difendersi dall’influenza, sono solo alcuni dei molteplici prodotti che il settore chimico-farmaceutico della provincia di Varese è in grado di offrire sul mercato nazionale, tanto quanto sulle piazze estere. Un settore, quello chimico-farmaceutico del Varesotto, che vanta realtĂ imprenditoriali centenarie e presenze multinazionali di rilievo, in grado di generare oltre un miliardo di export pur impiegando in media meno di una persona su dieci del manifatturiero locale, vero cuore pulsante dell’economia provinciale. Il comparto chimico. Chimica a Varese significa “Chimica per le impreseâ€?: prodotti per le industrie tessili e del cuoio, che vanno dagli ausiliari per la tintura ai composti per il tratta-

ca. Da non dimenticare anche resine ed additivi per il settore dell’automotive e nastri adesivi per uso industriale. Insomma un comparto, quello del solo chimico, fondamentale, che occupa complessivamente quasi 3.800 addetti, generando circa 880 milioni di export e che aiuta a garantire la qualitĂ dei prodotti offerti da comparti d’eccellenza della provincia. Il comparto farmaceutico. Chimica varesina è anche “Chimica per l’uomoâ€?: è un fatto che una delle “porte nazionaliâ€? del settore farmaceutico mondiale sia localizzata in provincia di Varese. Proprio qui operano, producono e ricercano alcune delle piĂš importanti case farmaceutiche mondiali. Erano gli anni ‘70 quando nel Saronnese, un’enclave a sud della provincia cosĂŹ vicina a quell’area metropolitana recentemente candidata per ospitare la sede dell’EMA, si costituĂŹ in pochi anni e con molti investimenti creò un polo farmaceutico di tutto rispetto che ancora

CHIMICO-FARMACEUTICO VARESE: LA DINAMICA DEL COMMERCIO ESTERO &ŽŜƚĞ͗ ĞůĂÄ?Ĺ˝ĆŒÄ‚ÇŒĹ?ŽŜĹ? hĨĨĹ?Ä?Ĺ?Ĺ˝ ^ƚƾĚĹ? hĹśĹ?ŽŜÄž ĚĞĹ?ĹŻĹ? /ŜĚƾĆ?ĆšĆŒĹ?Ä‚ĹŻĹ? ĚĞůůĂ WĆŒĹ˝Ç€Ĺ?ĹśÄ?Ĺ?Ä‚ ÄšĹ? sÄ‚ĆŒÄžĆ?Äž Ć?Ćľ ĚĂƚĹ? /Ć?ƚĂƚ ώϏϏϲ Í´ ώϏϭϲ

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vita (Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita). Così ha conquistato di diritto un ruolo di rilievo tra le specializzazioni high technology presenti nella nostra provincia, che risulta quarta a livello nazionale per numero di addetti in settori altamente tecnologici. Sono tante le sfide del futuro, sono tante le chiavi di lettura per una chimica-farmaceutica sempre più compatibile e sostenibile, che anche da noi trova i suoi pionieri.

CHIMICO-FARMACEUTICO IN PROVINCIA DI VARESE

VITA ASSOCIATIVA

oggi occupa più di 2.400 addetti concentrati per lo più in imprese multinazionali. Con un export di quasi 151 milioni di euro. Un settore altamente innovativo. Quello della chimica varesina è un polo che perfino in questi anni di crisi ha saputo resistere e rinnovarsi, beneficando anche di centri di sviluppo di alte competenze scientifiche: dalla facoltà di Biotecnologie (Università dell’Insubria), all’incubatore specializzato sulle scienze della

UNA VISIONE D’INSIEME Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Unione degli Industriali della Provincia di Varese su dati Istat 2015 (unità locali e addetti) 2016 (export)

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I PRODOTTI Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Unione degli Industriali della Provincia di Varese su dati Istat-ASIA 2015 (Ateco 3 digit)

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Prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie

Altri prodotti chimici tra cui: prodotti chimici vari per uso industriale, prodotti ausiliari per le industrie tessili e del cuoio, colle

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LE NICCHIE DELL’EXPORT Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Unione degli Industriali della Provincia di Varese su dati Istat 2007 – 2016 (per le merci top 5, sono stati considerati gli Ateco 3 digit)

EXPORT: MERCI TOP 5 % export nicchia/totale export realizzato da Varese nel settore chimico-farmaceutico

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Prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica in forme ---------P primarie. p 2016 = 52,9% vs 2007 = 51,9%

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Altri prodotti chimici, tra cui: prodotti chimici vari per uso industriale, prodotti ausiliari per le industrie --------A tessili e del cuoio, colle. 2016 = 13,6% vs 2007 = 21,3% te

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Saponi e detergenti, prodotti per la pulizia e la lucidatura, profumi e cosmetici. 2016 = 13,2% vs ------------S

Medicinali e preparati farmaceutici. 2016 = 7,5% vs 2007 = 9,4% M Prodotti farmaceutici di base. 2016 = 7,3% vs 2007 = 3,8% P

#UnivaStudi #impresedivarese

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FOTO DAL MONDO 44

Storni migratori attraversano il cielo vicino al villaggio di Beit Kama a sud di Israele. REUTERS/Amir Cohen


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FOTO DAL MONDO


SCIENZA

L’acceleratore di particelle made in Italy Non è così famoso come quello del Cern di Ginevra, ma, seppur sconosciuto ai più, il sincrotrone di Pavia sta dimostrando tutta la sua efficacia, soprattutto sul fronte dell’adroterapia: il “bombardamento intelligente” delle cellule tumorali. Le applicazioni, però, vanno oltre la medicina e potrebbero sempre più coinvolgere anche l’industria dello spazio Luigi Bignami

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on fosse altro perché ha scoperto il Bosone di Higgs, il Large Hadron Collider, più noto come Lhc, è un po’ nella memoria di tutti. Si tratta del gigantesco acceleratore di particelle situato presso il Cern di Ginevra. È costituito da un tunnel sotterraneo lungo 27 chilometri dove vengono fatte scontrare particelle subatomiche a velocità prossime alla luce. A Pavia esiste una macchina simile, poco nota ai più, che si potrebbe definire un Lhc in scala ridotta e che ha come primaria finalità quella di curare particolari tipi di tumore, ma anche di proporsi per applicazioni aerospaziali e altre ancora, tutte da immaginare. Spiega Marco Pullia, Responsabile Ricerca e Sviluppo della Fondazione Cnao (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica): “Questa macchina, definita ‘sincrotrone’, è un acceleratore di particelle a forma circolare lungo 80 metri con un diametro di 25 metri, non produce energie elevatissime perché il suo scopo primario è quello medico”. La macchina è stata realizzata grazie alla collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, del Cern del Gsi tedesco di Lpsc francese e dell’Università di Pavia. In Italia vi sono solo due centri di questo tipo: quello di Pavia e quello di Trento. All’interno della ciambella vi sono due sorgenti di “plasma”, ossia un gas i cui atomi hanno perso degli elettroni (ricordiamo che un atomo è composto da un nucleo formato da protoni e neutroni attorno al quale ruotano degli elettroni). Utilizzando opportuni campi magnetici e particolari radiofrequenze, da tale plasma vengono estratti i protoni (le particelle di carica positiva che si trovano nei nuclei degli atomi) e gli atomi di carbonio ai quali sono stati strappati alcuni elettroni e

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che per questo motivo vengono chiamati “ioni di carbonio”. Questi elementi formano dei “pacchetti” composti da miliardi di particelle che vengono accelerati in fasci e inviati nel sincrotrone dove entrano ad una velocità di 30.000 chilometri al secondo (un decimo di quella della luce) per essere accelerati a circa 60.000 chilometri al secondo. È come se una piccola utilitaria anziché essere lanciata contro un muro a 100 chilometri all’ora venisse lanciata a 200 chilometri orari: l’energia che si svilupperebbe sarebbe enormemente superiore. L’accelerazione, infatti, dà loro una enorme energia in quanto raggiungono i 250 MeV per i protoni e 4800 MeV per gli ioni carbonio (il MeV è equivalente ad un milione di elettronvolt, ed è l’unità di energia utilizzata nei fenomeni su scala atomica e nucleare). È a questo punto che nasce l’applicazione medicale, chiamata adroterapia, in quanto i fasci vengono inviati verso le cellule tumorali di un paziente, distruggendole. La precisione con la quale le particelle vanno a colpire un’area ammalata è di 200 micron (un micron è un milionesimo di metro o se si preferisce un decimo di millimetro). Sistemi computerizzati tengono conto dei piccoli movimenti del corpo di un paziente provocati anche dal semplice respiro per evitare che il pennello di ioni e di protoni esca dalla sagoma del tumore. Aumentando l’energia del fascio di particelle si può andare in profondità nelle massa tumorale annientandola completamente, sezione dopo sezione. Questa metodologia viene applicata a pazienti i cui tumori non rispondono alla tradizionale radioterapia ai raggi X. Oppure quando bisogna trattare un tumore vicino ad un organo vitale. Un esempio per tutti: il melanoma oculare è un raro tumore che interessa la retina dell’occhio. Per distruggerlo con la radioterapia è necessario bombardare l’intera retina con dosi di radiazioni che potrebbero distruggere la parte sana dell’organo. Con l’adroterapia invece si va a colpire solo


L’incontro con l’industria aerospaziale lombarda Simulare la vita nello spazio, tramite l’irradiazione cellulare nel vuoto o in atmosfera controllata per riprodurre l’ambiente spaziale non terrestre. Oppure studiare la resistenza dei componenti elettrici e dei materiali alle radiazioni. Ecco le possibili applicazioni che il sincrotrone di Pavia potrebbe avere sulle attività di ricerca legate allo sviluppo e ai processi innovativi dell’industria spaziale. Non è, dunque, un caso che, proprio recentemente, a inizio anno, una delegazione di imprese del Lombardia Aerospace Cluster abbia fatto visita all’acceleratore di particelle della Fondazione Cnao. Un incontro di conoscenza reciproca per studiare possibili sinergie a cui ha partecipato anche un altro cluster tecnologico e industriale lombardo, il Lombardy Life Science Cluster, insieme all’Unione Industriali di Varese, Assolombarda e Confindustria Pavia. Se son rose fioriranno. (D.C.)

SCIENZA

la porzione interessata dal male. L’utilizzo delle particelle utilizzate dal sincrotrone dunque, hanno la peculiarità di colpire solo le cellule ammalate e non anche le cellule sane presenti attorno alla massa tumorale come invece avviene con l’utilizzo dei raggi X. Tra l’altro l’adroterapia può essere utilizzata nei giovani e nei bambini, evitando loro effetti collaterali a lungo termine. Come si capisce l’adroterapia è una tecnica molto avanzata e giovane tant’è che in tutto il mondo vi sono solo 44 centri di questo genere. I risultati? Ad oggi tra i pazienti sottoposti ad adroterapia a Pavia si è avuto un esito positivo che va dal 70 al 90 per cento in rapporto al tipo di tumore. Il sincrotrone di Pavia tuttavia, potrebbe essere utilizzato anche per altre applicazioni, soprattutto in campo aerospaziale. In particolare potrebbe essere usato nello studio di quel che succede ad un organismo vivente, studiando ad esempio le cellule, quando viene sottoposto alle radiazioni presenti nello spazio oppure in un ambiente non terrestre, come potrebbe essere la superficie di Marte che è solo in piccolissima parte protetta dalle radiazioni cosmiche dalla sua debole atmosfera. Un elemento importante per capire quanto dovranno essere protette le piantagioni che si produrranno su Marte per alimentare gli astronauti delle future basi. Una seconda applicazione del sincrotrone potrebbe essere quella di sottoporre materiali ad elevate dosi di radiazioni per vederne il comportamento. Questi tuttavia, sono solo alcuni possibili utilizzi perché si potrebbero anche sottoporre oggetti all’azione di ioni di diversa natura rispetto a quelli che si utilizzano in adroterapia così da variare le energie in gioco con applicazioni molto diversificate. Un vero gioiello della tecnologia dunque, che ancora nasconde le sue vere potenzialità in numerosi settori della ricerca.

Il sincrotone di Pavia

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TERRITORIO

Tra giardini ricercati e camelie antiche Un viaggio alla scoperta dei colori della rigogliosa vegetazione dell’alto Lago Maggiore. Il punto di partenza non può che essere la tradizione florovivaistica della sponda fiorita. Quello di arrivo, le ville di Luino di fioritura. Attualmente la camelia del Lago Maggiore è espor-

Cristina Cannarozzo tata in milioni di esemplari in tutta Europa. È stata il fiore ufficia-

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l Lago Maggiore è da 150 anni il luogo dove, a livello europeo, si trova la maggiore specializzazione nella coltivazione di camelie. Grazie al clima temperato-umido, all’acidità del terreno e all’esperienza di floricoltori e vivaisti di lunga tradizione si è riusciti ad avere un prodotto che consente la scelta tra centinaia di varietà di piante, ampia gamma cromatica, scalarità

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le delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e della Marcialonga 2011 della val di Fiemme e val di Fassa. È ricca di affascinanti curiosità la storia della camelia che deve il nome al missionario gesuita George Joseph Kamel, vissuto tra il 1661 e il 1704. Originaria del Giappone, Cina sud-orientale e zone limitrofe dell’Indocina, nei tempi antichi la camelia, grazie alla sua caratteristica di vivere centinaia di anni, era considerata


più significative. Il giardino è la dimora di oltre un migliaio di piante e quasi altrettante varietà di camelie, che fra marzo ed aprile si offrono allo sguardo del visitatore nel momento di massima fioritura e bellezza. Per Camelie Locarno, il parco accoglierà anche delle installazioni floreali, un bar e il tradizionale mercato dedicato alla vendita di piante. Per conoscere particolarità e potenzialità della sponda lombarda in tema di botanica e sviluppo florovivaistico abbiamo incontrato a Luino Alessandra Miglio, Assessore ai parchi e beni monumentali oltre che all’edilizia privata i trasporti e lo sviluppo economico, che ci racconta storie di Ville e Giardini che dal 1800 fino ad oggi rappresentano l’orgoglio di una città che sta investendo molto nella riqualificazione del suo lungolago con aiuole ispirate al celebre paesaggista olandese Oudolf: “Questo territorio conserva una lunga tradizione florivivaistica: numerose le famiglie di vivaisti che commerciano acidofile e un po’ più a Sud, tra Castelveccana e Laveno, molti i produttori. A Montegrino c’è un vivaista specializzato in Petunie: ne seleziona le specie e ‘inventa’ nuovi colori. Ciò che più stupisce nei nostri giardini è vedere coesistere piante adatte ai climi mediterranei insieme a quelle tipiche dei paesi nordici, giardini bellissimi in cui prospera la Lavanda come gli abeti di Natale”. Il territorio comunale di Luino presenta notevoli esempi di residenze per villeggiatura, interessanti per qualità architettoniche e decorative, per parchi e per storia di villeggianti che ne hanno animato la vita sino alla Prima Guerra Mondiale. Il parco della villa Huber–Cicogna Porta che si estende lungo le rive del lago nella frazione di Colmegna rappresenta uno dei giardini più ricercati della sponda lombarda del Lago Maggiore. Presenta oggi un impianto estremamente scenografico, ben calibrato tra radure a prato vicino alla villa, bordate da siepi, vasi e statuaria di fine ‘800, ombrose zone con esemplari d’alto fusto e percorsi a specchio sull’acqua con piazzole di sosta ombreggiate da berceau in continua vista lago. I sempreverdi sono consueti (una grande rovere a monte del gazebo sulla punta rappresenta un innesto di botanica spontanea nell’impianto esotico), ma essenze mediterranee sono sparse a infrangere il verde cupo: allori, ligustri (a lato della terrazza a prato), agavi e acanto (a cingere la vasca). Di grande impatto le magnolie protese sopra il percorso a lago come una galleria vegetale con rami fino all’acqua. Il Parco Fonteviva (ex Villa Crivelli), grande parco romantico posto a nord dell’abitato di Luino, ricco di essenze botaniche

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simbolo di immortalità: Il lungolago di Luino ancora oggi viene piantata nei giardini dei templi buddisti. La prima camelia giunse in Italia nel 1760 nel giardino della Reggia di Caserta grazie all’amicizia di Lord Nelson con l’ambasciatore inglese Sir Hamilton. In Francia venne coltivata nel giardino di Malmaison su richiesta di Giuseppina, moglie di Napoleone I. In Europa divenne di gran moda nell’Ottocento e le signore dell’alta società (ma anche gli uomini) usavano la camelia come ornamento dei propri abiti. Questo fiore varcò anche la soglia della letteratura con Alexandre Dumas che nel 1848 pubblicò “La dame aux camélias”, ripreso da Giuseppe Verdi nella Traviata (1853). Venendo a tempi più recenti, sarà Coco Chanel a scegliere questo fiore come simbolo della sua prestigiosa Maison. Sul Lago Maggiore l’esordio fu quello di una Camellia Pink Rosea e fece la sua comparsa sull’Isola Madre nella seconda metà dell’Ottocento. Nello stesso periodo, i Fratelli Rovelli – dopo aver lavorato per i Principi Borromeo nei giardini dell’Isola Bella e Isola Madre – diedero vita al più importante vivaio d’Italia per la produzione di acidofile con commercializzazione in tutta Europa e non solo. Nella sponda piemontese la zona di produzione delle Province di Verbano Cusio Ossola, Novara e Biella è stata riconosciuta come “Distretto Floricolo del Lago Maggiore”. Comprende le aziende delle 3 province e ha lo scopo di sviluppare attività, svolgere azioni coordinate di marketing, porsi come referente tra diversi settori produttivi. Nella sponda Svizzera tra qualche giorno si inaugura la rinomata rassegna ticinese Camelie Locarno che si svolgerà quest’anno per la 21esima volta dal 21 al 25 marzo 2018. Fra le principali rassegne europee del genere, Camelie Locarno attira non meno di sei mila appassionati e visitatori, che quest’anno potranno ammirare la rinomata esposizione di fiori recisi nella corte del Palazzo della Sopracenerina. La mostra ospita più di 200 varietà di camelie, presentate in un allestimento di grande suggestione, curato nei minimi dettagli. Il secondo luogo della rassegna - collegato al primo da un efficiente servizio di bus navetta - è lo splendido Parco delle Camelie di Locarno, che si estende su una superficie di 10.000 metri quadrati in riva al Lago Maggiore. La struttura è inserita nel circuito dei “Gardens of Switzerland” e si fregia del marchio “Garden of excellence” attribuito dall’International Camellia Society ai giardini più belli e che vantano le collezioni di piante

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pregiate per rarità e dimensioni monumentali, con una superficie di circa 6/7 ettari, è uno dei più estesi giardini del Lago Maggiore ed è uno dei più antichi. Frutto di due fasi cronologicamente determinate, l’una a fine Settecento, l’altra a metà Ottocento, si propone come chiaro esempio del mutato gusto nella progettazione del verde in area lombarda tra cultura neoclassica e romanticismo. Ancora intatto il giardino, ricco di essenze botaniche, tra cui rododendri e camelie, e due esemplari monumentali di Jubea Chilensis. Villa Hussy a Creva conserva pregevoli esempi di Camelie antiche e Villa Walty un rododentro censito come monumentale. Per citare proprio Piet Oudolf: “Un giardino riuscito è un sottile equilibrio di forma e movimento. Deve sembrare naturale e spontaneo, ma mai fuori controllo”. L’assessore Miglio non nasconde le difficoltà, organizzative ed economiche che la manutenzione dei parchi comporta; auspicando un maggiore impegno anche dell’ente Provincia: “Guardando la città lungo il corso degli anni ci si accorge di quanto la vegetazione

si sia trasformata e c’è, oggi, una grande attenzione nella creazione di nuovi giardini. Abbiamo in progetto di organizzare una grande manifestazione dedicata al verde, probabilmente in autunno per dare valore alle splendide coloriture del lungolago e sostenute dalle fioriture autunnali della Camelia, una pianta eccezionale che a seconda delle varietà regala fioriture primaverili, autunnali e anche invernali, con la splendida Camelia Invernale o Sasanqua”.

Piet Udolf: “Un giardino riuscito è un sottile equilibrio di forma e movimento. Deve sembrare naturale e spontaneo, ma mai fuori controllo”.

Qualche consiglio per coltivare le piante acidofile Le zone adatte alla coltivazione sono a clima mite e non troppo secco. I limiti termici vanno da 0°C a 30-35°C, ma i picchi non devono avere periodi molto estesi. Prediligono posizioni semi-ombreggiate anche se, in clima freschi, sono piuttosto tolleranti al pieno sole. TERRENO. Amano terreno “di bosco”, sciolto e ricco di sostanza organica. II pH del terreno deve essere acido (tra 5 e 6) e non calcareo. Se il terreno del luogo di impianto è argilloso e/o calcareo, bisogna operare la sostituzione del terreno. Dopo aver preparato una buca ed aver assicurato il drenaggio con argilla espansa o ghiaia sul fondo, questa va riempita con torba bionda (2/3) e terreno originario (1/3) oppure bisogna sostituire completamente la terra con terriccio per acidofile (ammendante vegetale composto). IRRIGAZIONI. Amano terreno sempre fresco, ma non eccessivamente bagnato. Per evitare situazioni di ristagno, soprattutto in vaso, aggiungere, nella composizione del terreno, del materiale per incrementare il drenaggio (argilla espansa o pomice). Le bagnature devono essere frequenti, soprattutto durante la stagione estiva, e possono essere effettuate anche per aspersione “a pioggia” nelle ore meno calde della giornata. PACCIAMATURA. Uno strato di pacciamatura mantiene fresco il terreno durante la stagione calda, protegge dai geli durante i periodi freddi e frena la crescita delle erbe infestanti. II materiale da usare preferibilmente è costituito da foglie (meglio se di faggio e castagno), aghi o cortecce di pino. Questi materiali, decomponendosi, forniranno nutrimento alle piante e manterranno il terreno acido. Una buona pacciamatura deve essere spessa circa 10 cm e rinnovata ogni 1-2 anni. CONCIMAZIONI. Non hanno grandi necessità di fertilizzazioni e possono, al contrario, soffrire per eccessi di concimazione. Utilizzare prodotti specifici per acidofile, durante i periodi di fioritura e vegetazione (marzo-giugno). Un concime a lenta cessione è sufficiente a coprire, in un’unica somministrazione, tutto l’anno. POTATURA. Le potature sono utili per mantenere la forma della pianta e per rendere la vegetazione più compatta. Intervenire dopo la fioritura, con tagli di raccorciamento, che vanno effettuati sulla parte alta della chioma per ottenere dei cespugli più compatti. Alla fine del periodo di fioritura è consigliabile intervenire con la rimozione manuale delle infiorescenze ormai sfiorite. In questo modo si favorirà la vegetazione, un migliore sviluppo e una abbondante fioritura l’anno seguente.

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TERRITORIO

L’azienda che produce funghi Un po’ impresa agricola e un po’ laboratorio di ricerca avanzato. IoBoscoVivo è una realtà di Vergiate. Il suo business: la micologia, utilizzata sia per il benessere dell’uomo sia per bonificare ambiente e aree altamente inquinate - e abbiamo investito nella ricerca per utilizzare i funghi su ter-

Mariangela Gerletti ritori degradati da inquinanti e metalli pesanti e colonizzati da

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a umili, ma straordinari, “spazzini dei boschi”, a risorse innovative per l’ambiente, la salute e l’economia circolare. Stiamo parlando di funghi, e se a questa parola visualizzate solo un bel piatto di porcini o un’insalata di ovoli freschi la storia dell’azienda IoBoscoVivo di Vergiate vi farà cambiare prospettiva. A guidare questa impresa c’è Luigi Panno, beneventano con una passione per la micologia maturata fin dalla prima giovinezza, approfondita durante gli studi alla facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Napoli, e poi consolidata con una seconda laurea in Biologia e un dottorato di ricerca all’Università di Torino. La frequentazione delle valli piemontesi, patria elettiva di funghi e fungiatt, e l’incontro con l’imprenditore varesino Flavio Vergani - titolare della Kcs srl di Vergiate, specialista in elettronica e tecnologia e appassionato di ambiente - hanno creato le condizioni per far nascere IoBoscoVivo. L’azienda nasce nel 2013 con tre parole d’ordine che ne sintetizzano la filosofia: ambiente, benessere, libertà. Un po’ azienda agricola e un po’ laboratorio di ricerca, IoBoscoVivo è infatti partita dall’utilizzo dei funghi come bonificatori naturali dell’ambiente. “In questo ambito abbiamo messo a frutto diverse e importanti collaborazioni con le Università di Milano, Varese e Pavia - spiega Luigi Panno

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piante esotiche. Grazie all’utilizzo di funghi è iniziata la riqualifica dei suoli e la bonifica di aree come il cosiddetto ‘cono di volo’, un’area boschiva a sud dell’aeroporto di Malpensa pesantemente inquinata dalle emissioni degli aerei”. Successivamente, l’azienda ha deciso di focalizzarsi anche sul benessere dell’uomo specializzandosi nella produzione e commercializzazione di prodotti alimentari nutraceutici, cioè caratterizzati da principi nutrienti che hanno effetti benefici sulla salute, a base di funghi medicinali, definiti “smart functional food”, che permettono di integrare la dieta con prodotti salutistici. Infine, a completare la filosofia aziendale è la volontà di comunicare la libertà legata alla possibilità di entrare in contatto con la natura e conoscere l’importanza dell’ambiente che ci circonda. Un programma ambizioso, che in pochi anni ha portato IoBoscoVivo a diventare la prima azienda produttrice in Italia di funghi Shiitake (Lentinula erode) coltivati in modo biologico, con clienti come Cortilia e il circuito NaturaSì. Si tratta di un fungo di origine asiatica che è attualmente il secondo fungo commestibile più consumato al mondo. Gli Shiitake sono detti anche “funghi del benessere”, buoni e ricchi di sostanze preziose. Quelli prodotti da IoBoscoVivo inoltre hanno una mar-


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IoBoscoVivo è diventata in pochi anni la prima azienda produttrice in Italia di Shiitake, i cosiddetti “funghi del benessere”, buoni e ricchi di sostanze preziose. Quelli di Vergiate sono stati selezionati in laboratorio tra più di 100 ceppi cia in più proprio grazie all’attività di ricerca del laboratorio di Vergiate: “I nostri Shiitake sono stati selezionati nel nostro laboratorio tra più di 100 ceppi di funghi. Il nostro ceppo risulta ricco di vitamine e microelementi (in particolare Vitamina D) e ciò è dovuto all’esclusivo metodo di coltivazione da noi brevettato integrato con la crescita su legno e l’esposizione dei funghi alla luce solare. Possiedono inoltre molecole come il Lentinano (utilizzato per prevenire i tumori), l’Eritadenina (alleata per ridurre il colesterolo) ed altre molecole che rinforzano il sistema immunitario e proteggono il fegato”. La società ha sviluppato dal 2015 un Sistema di gestione integrato per l’ambiente e la responsabilità sociale recentemente sviluppato in base alla Norme ISO 14001:2015 e SA 8000:2014. Inoltre è già in possesso delle Certificazione BIO e sta lavorando per le certificazioni Biosuisse, Vegan e Deme-

ter. Tra gli obiettivi a breve termine anche l’integrazione del sistema di gestione integrato con la qualità (ISO 9001:2015) e la certificazione agri-biodinamica. In catalogo diversi prodotti a base del magico fungo orientale, molto apprezzato anche in macrobiotica: dai funghi essiccati al granulato, fino a preparazioni per risotti, tutti rigorosamente bio. “Per la coltivazione dei nostri funghi abbiamo scelto la zona di Mergozzo, in Val d’Ossola, una zona molto vocata, dove c’è acqua pura e un’altitudine che permette di coltivare in serra tutto l’anno. Abbiamo rilevato le serre di una floricoltura, che sono state convertite in un’ottica di economia circolare”. Alla coltivazione e trasformazione di funghi Shiitake, l’azienda ha affiancato una serie di prodotti per gardening e florivivaismo: “Si tratta di piante micorrizate, inoculi fungini e miceli terricoli che permettono di produrre nel proprio orto o giardino diverse qualità di funghi”. Si possono scegliere inoculi (cilindretti di legno inoculati con micelio di fungo) di diverse specie, da far crescere in un tronco d’albero, oppure inoculi miceliari terricoli pronti per essere seminati in campo, in orto o nel proprio giardino di casa. O infine si può piantare un albero micorrizato, che, se localizzato in un ambiente adatto, può arrivare, dopo qualche anno, a produrre porcini o addirittura tartufi. Dietro a tutto questo, oltre ad una solida attività economica, c’è anche una scelta culturale. “In Italia manca una cultura del fungo - dice Panno -. Eppure sono organismi importantissimi per la terra e per l’uomo. Basti pensare che ogni anno si scoprono circa 600 nuovi metaboliti utili”. 53


TERRITORIO Per avvicinare sempre più persone a questo magico mondo e comunicare l’importanza dei funghi per l’ambiente e per l’uomo, nei progetti di IoBoscoVivo c’è anche la realizzazione di orti botanici micologici, per dare vita ad una “green community” che possa riunire gli appassionati di micologia per con-

dividere il progetto di creare un’oasi micologica nel proprio giardino. A chiudere il cerchio una micoteca per la preservazione dei funghi, in cui sono collezionate differenti specie che possono essere di grande interesse per futuri studi biotecnologici, ecologici e farmacologici.

Varese ha scoperto un nuovo fungo Il variegato e per certi versi ancora sconosciuto mondo dei funghi si è arricchito recentemente di una nuova specie, scoperta nell’area delle Alpi Lepontine da un giovane e appassionato micologo varesino. Il nuovo fungo, che è stato chiamato Otidea saliceticola, è stato individuato all’Alpe Devero, in provincia Verbania, da Marco Cartabia, che da molti anni frequenta la zona dove fino ad oggi ha catalogato circa 250 specie di funghi. Durante un’escursione effettuata l’estate scorsa sul Monte Cazzola, visitando alcuni dei peculiari ambienti artico-alpini che caratterizzano quest’area, la sua attenzione è stata attirata da questo “strano” fungo tra i salici nani. Con l’aiuto di due colleghi micologi (Matteo Carbone e Pablo Alvarado) sono state effettuate una serie di analisi che hanno confermato l’ipotesi iniziale che si trattasse di una specie non ancora descritta alla scienza. Le indagini effettuate in questo studio hanno portato alla luce l’esistenza di un campione attribuibile ad Otidea saliceticola raccolto in contesto simile a quello del Monte Cazzola, in Val Sesia. Il micologo però non era giunto alla conclusione che si trattasse di una specie “nuova” lasciando la questione in sospeso. La scoperta è stata recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Ascomycete.org. (M. G.)

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▶ PROVINCIA DA SCOPRIRE RUBRICHE

Una guida per andare a pesca nel Varesotto Le licenze necessarie, qualche consiglio sulle esche, tutti i pesci che si possono trovare nei vari specchi e corsi d’acqua locali, con le indicazioni delle specie protette. Ecco un piccolo manuale per chi si vuole aggregare agli oltre 4.500 pescatori che si contano sul territorio fronte a un’attività in grado di contagiare - e far sognare - un vero

Andrea Camurani e proprio esercito di appassionati. Gli ultimi dati parlano di circa

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n tenda sul lago per catturare la carpa del secolo, o armati di zaino e scarponi a caccia della regina dei torrenti, la bellissima e colorata trota fario, al confine con la Svizzera. Lucci d’inverno e cavedani a primavera, tinche quando viene il caldo e boccaloni d’autunno dalla barca o sulla riva, con mosca o verme, ma anche “morto manovrato” o “filibustiere”. Siamo approdati nel pianeta pesca: passatempo, divertimento, sport vissuto tutto l’anno seguendo le stagioni dei pesci e le regole per le catture. Siamo di

4.500 iscritti alla Fipsas, la Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee in provincia di Varese, ma nel complesso i pescatori sono di più, almeno di un terzo. I permessi per pescare in tutte le acque pubbliche del Varesotto sono infatti due: oltre al tesseramento federale Fipsas (30 euro annui) c’è anche il bollettino regionale da 23 euro e quindi con una cinquantina di euro si può pescare senza pensieri in fiumi e laghi della nostra provincia, con tanto di copertura assicurativa (e sono previste deroghe speciali di prezzo per gli anziani e i minori di 18 anni).

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RUBRICHE Discorso diverso nei laghetti privati per la pesca alla trota e altri pesci, dove il divertimento è assicurato anche senza licenza pagando a ore in specchi d’acqua dove avvengono frequenti immissioni di capi. Una riserva, in pratica, e non a caso spesso proprio questi laghetti sono campi di gara. C’è solo l’imbarazzo della scelta, insomma: siamo o no la “provincia dei sette laghi”? Quindi è il posto giusto dove mettere l’esca in acqua. Di fatto non occorre una vera e propria licenza come per la caccia: è sufficiente portarsi appresso le ricevute dei pagamenti e un documento d’identità; ma le regole vanno conosciute bene perché un’altra cosa da sapere quando si “esce” riguarda attrezzature consentite e periodi di divieto, misure minime e specie proibite, vedi l’alborella. Tutto si trova comunque sul sito della Fipsas, mentre è la Regione - e non più la Provincia - l’ente su cui ricadono le competenze. Ma i pesci, ci sono? E dove? La risposta è: dappertutto. Un tempo erano le Polaroid ad immortalare la preda, oggi basta accedere all’album fotografico del telefono di un amico pescatore per rimanere impressionati di fronte a prede catturate in posti tutt’altro che sconosciuti, magari solo snobbati dall’occhio del neofita, capaci però di custodire prede ambite. Il Lago Maggiore, principale bacino idrico, con la sua rete di piccoli e grandi affluenti, è il posto per eccellenza da cui si può partire, perché racchiude l’universo di quell’attività che gli eruditi chiamano “alieutica”. Ed è qui che la pesca diventa racconto e leggenda. 56

Lago Maggiore vuol dire la grande trota marmorata del fiume Giona, pesce nobile, vorace predatore del fondo di acque mosse, un tempo catturata con un potente colpo di fiocina e oggi al centro di importanti attività di conservazione: essere crepuscolare e dai disegni ipnotici, fior di pescatori sostengono sia imprendibile, ma chi conosce i luoghi sa come catturarla. Difatti in queste valli c’è ancora chi pesca alla Valsesiana con la “Canna di Nizza” - l’Arundo donax -, un arbusto flessibile e molto comune a cui viene legato un sottile crine di cavallo con attaccate le imitazioni delle mosche, rigorosamente fatte a mano e sommerse: pesca primitiva e micidiale, è pura conoscenza empirica della natura, dei materiali che scivolano sull’acqua, presentando ai pesci piccoli insetti artifi-

Sul Lago di Varese negli ultimi anni si è sviluppato un turismo speciale e legato al “carp fishing”, una tecnica statica dove si deve aspettare così tanto che gli adepti si muovono in tenda


ciali, convincenti imitazioni di quelli veri. Una tecnica simile a quella adottata dai pescatori a mosca del Margorabbia e degli altri fiumi tra Valcuvia e Luinese dove sono state istituite apposite zone “no kill”: il pesce viene rilasciato perché pescato con particolari ami senza ardiglione (ma oltre alla grande abilità, qui è necessario un permesso speciale). Ancora: partenza e arrivo del traghetto, a Laveno Mombello. Un signore pesca lanciando in continuazione un’improbabile imitazione di un pesce di colore giallo fosforescente. Cosa mai potrà prendere con quell’esca che non somiglia neppure alla lontana a un piccolo pesciolino di lago? Dopo diversi minuti di lotta sbuca dalle acque la bocca enorme di un luccio che pesa sei chili: un attimo prima era lì, invisibile e in agguato sotto gli occhi dei turisti che aspettano di imbarcarsi. Una decina di metri più in là ecco il Boesio, anch’esso contributore del Verbano, a prima vista non proprio un esempio di limpidezza. Bene, nell’alto Boesio, dalle parti di Cuvio, sempre sfogliando gli scatti dell’amico pescatore ecco una trota fario dai pallini gialli e rossi di quattro chili catturata - e rilasciata - in una pozza d’acqua fonda qualche spanna. E poi altri laghi, non meno interessanti del Verbano e dei suoi affluenti. Quello di Varese racchiude un patrimonio enorme di lucci, persici e persici trota. Qui i maestri sono i pescatori professionisti che escono all’alba sui barchini, memorie storiche di catture strepitose belle da ascoltare e immaginarsi. Anche ai pescatori sportivi è consentito pescare dalla barca sul lago di Varese, e i permessi possono venir acquistati ora anche sul sito della Cooperativa pescatori. Sempre qui sul lago negli ultimi anni si è sviluppato un turismo speciale e legato al “carp fishing”, una tecnica statica dove si deve aspettare così tanto che gli adepti si muovono in tenda: ad avvisare dell’abboccata ci pensa un rilevatore sonoro collegato alla lenza. Qui, e anche in altri bacini minori come Comabbio e Monate c’è poi l’oramai tradizionale pesca del siluro - tiranno venuto dall’Est con una bocca spaventosa che tutto si mangia - e del suo cugino, il pesce gatto (i diritti di pesca di questi laghi sono di proprietà della società Due Laghi srl e la pesca è consentita solo ai rivieraschi da riva). Ancora, il Ticino, grande fiume azzurro che esce dal Verbano è altro luogo di pesca a partire dai primi metri del suo corso in terra italiana, sotto al ponte di ferro di Sesto Calende e da lì giù giù per tutto il corso dove c’è il regno dei vietatissimi barbi canini e dove di recente è stato addirittura trovato un esemplare di storione, il grande pesce famoso per dare il caviale (anche lui specie protetta che non può essere pescata).

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A Comabbio e Monate si è diffusa da tempo l’oramai tradizionale pesca del siluro - tiranno venuto dall’Est con una bocca spaventosa che tutto si mangia - e del suo cugino, il pesce gatto

Interessanti sono anche i laghi minori, ricchi di fascino e biodiversità come il lago di Brinzio, accessibile alla pesca sportiva previa iscrizione alla locale Associazione Pescatori dilettanti di Brinzio. C’è il lago di Ghirla, casa di predatori come il luccio e la trota che potrebbe diventare presto luogo di ripopolamento con specie alpine quali il pregiato salmerino. Per le tecniche di pesca e le esche da impiegare è sempre bene informarsi, anche se gran parte dei sistemi è consentito. Per i “vecchi” c’è il “morto manovrato”, un sistema dove l’esca è un pesce che viene animato per catturare lucci e sandre (lucioperca) in fiumi e laghi, e c’è il filibustiere, pesciolino finto con un’ancora alla coda molto diffuso nel Lago Maggiore per catturare i cavedani. Gli amanti della modernità, al “cucchiaino” metallico e al “rapalà” (pesce finto realizzato in balsa) preferiscono esche siliconiche, imitazioni di grandi vermi, rane e quant’altro possa venire scambiato per qualcosa da mangiare, da predare dal cacciatore solitario che si nasconde sotto la foglia di ninfea, o tra le erbe sommerse. Ma bisogna fare piano, perché altrimenti il sogno rischia di non avverarsi.

Interessanti sono anche i laghi minori, ricchi di fascino e biodiversità come quello di Brinzio, accessibile alla pesca sportiva previa iscrizione alla locale Associazione Pescatori dilettanti

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▶ GITA A

Vizzola Ticino e Golasecca, una gita nella storia Quella del volo legata ai luoghi dove si sviluppò l’epopea dei pionieri del cielo dei Caproni. Quella legata all’archeologia della civiltà dei “golasecchiani”. La seconda puntata del tour di Varesefocus sulle sponde del Ticino è come un tuffo nel passato Verena Vanetti

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izzola Ticino è la nuova destinazione del tour che, come Varesefocus, proponiamo ai nostri lettori per andare alla riscoperta dei luoghi legati al fiume Ticino. Dopo aver lasciato Somma Lombardo ed Arsago Seprio, raccontati nello scorso numero (Varesefocus 1/2018), il percorso continua col più piccolo comune del Parco del Ticino: un borgo molto antico, come documentano resti archeologici di epoca diversa. Nel secolo scorso ha conosciuto una certa notorietà grazie a Gianni Caproni Conte di Taliedo che a Vizzola Ticino fondò nel 1910 la sua importante industria aeronautica. Contemporaneamente, sempre qui, il fratello di Gianni, Federico Caproni, iniziò una significativa opera di bonifica consistente nel trasformare la brughiera che caratterizzava il territorio circostante in area coltivabile. Il terreno infatti presentava un sottosuolo per lo più ciottoloso con uno strato molto sottile di terra coltivabile, dagli scarsi risultati. Avviata la bonifica, Federico Caproni realizzò una moderna azienda agricola con una varietà di coltivazioni ed allevamenti di bestiame, tra cui le bufale, già presenti nell’area nel periodo longobardo e diede vita ad una fitta colonia agricola di circa 20 ettari. All’interno di questa vasta area coltivata, in posizione dominante, si può ammirare la sontuosa dimora del conte Caproni costruita negli anni Venti del Novecento in stile liberty, con accanto la chiesettaoratorio del 1774. Oggi è diventato l’Hotel Villa Malpensa, un ele58


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Villa Caproni a Vizzola Ticino. A sinistra, una domenica sul Ticino

gantissimo palazzo dal colore tenue, tinta originale dell’epoca, come anche la struttura del parco secolare. Il visitatore viene accolto all’ingresso da un portico con colonne in ghisa e con pensilina in ferro battuto: quest’ultima sul frontespizio riporta un caprone rampante, blasone della famiglia a cui Gabriele d’Annunzio dedicò il motto “Senza cozzar dirocco” per le epiche imprese degli aeroplani Caproni. All’interno il “Salone degli Affreschi” riproduce in originale la “sala reale” ex sala d’aspetto dei Reali d’Italia della vecchia stazione centrale di Milano, impreziosita da stucchi e rilievi con dorature in oro zecchino e con la volta affrescata nel 1933 dall’artista G.B. Jemoli raffigurante alcuni momenti della vita agreste e politica della comunità di Vizzola Ticino. Poco distante, sempre nella storica Bonifica, di fronte all’Hotel Villa Malpensa si trova Villa Caproni, altra residenza della famiglia Caproni. Le sue sale conservano pareti e soffitti a cassettoni decorati da raffinati affreschi e pavimenti originali del Settecento. In una cornice unica e spettacolare, fatta di piante secolari e ampie ramificazione delle acque del Ticino, Villa Caproni è interessante location per matrimoni ed eventi (www.villacaproni.it). Nell’area delle storiche Officine Aeronautiche Caproni è possibile, inoltre, visitare il Parco e Museo del Volo di Volandia, una delle real-

tà museali inerenti il volo e la sua storia più interessanti ed importanti in Italia (www.volandia.it), di cui Varesefocus si è più volte occupato. L’itinerario continua alla volta di Golasecca. Il paese è ricordato principalmente perché si trova al centro di una zona archeologica che dà il nome all’omonima cultura (la Cultura di Golasecca, per l’appunto), coincidente con la prima età del Ferro (IX-V secolo a.

Di probabile etnia celtica, le popolazioni della civiltà di Golasecca si sono sovrapposte senza conflitti a quelle palafitticole: si ritiene che svolgessero commerci con i popoli celtici transalpini attraverso i transiti tra il Ticino e il Verbano 59


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C.). Si tratta di una cultura che si è insediata nel I millennio a. C. con una significativa densità di centri abitati e necropoli sulle rive del Ticino. Di probabile etnia celtica, le popolazioni della civiltà di Golasecca si sono sovrapposte senza conflitti a quelle palafitticole; si ritiene che svolgessero commerci con i popoli celtici transalpini attraverso l’esistenza di transiti molto antichi tra il Ticino e il Verbano, in contatto anche con le culture evolute dell’Italia meridionale e soprattutto con gli etruschi presenti nella Pianura Padana. Le principali notizie provengono dalla scoperta delle loro necropoli avvenuta nel corso dell’Ottocento: i golasecchiani praticavano la cremazione dei defunti, le cui ceneri venivano raccolte in urne poste in tombe formate da lastroni di pietra, di solito corredate da oggetti del defunto come ornamenti o utensili. Tali tombe potevano essere delimitate e segnalate all’esterno grazie alla presenza di “cromlech”, recinti circolari di grosse pietre, talora preceduti da due filari paralleli come a Monsorino. All’interno del Parco del Ticino si sviluppa il sentiero del Monsorino, sull’omonima collina morenica tra Sesto Calende Nella foto, un “cromlech”, recinto di grosse pietre testimonianza di una necropoli golasecchiana

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e Golasecca, un percorso che permette di conoscere questa area archeologica attraversando a piedi i boschi della zona e giungendo al sito archeologico della necropoli dove sono visibili le pietre che indicavano le antiche tombe. Presso l’Antiquarium del Municipio di Golasecca sono inoltre esposti parte dei reperti di questa civiltà, come ciste litiche ed olle fittili, a cui sono anche dedicate sezioni nei musei archeologici di Varese, Sesto Calende, Milano.

La prima puntata del tour è stata pubblicata nello scorso numero di Varesefocus (1/2018) e ha fatto tappa a Somma Lombardo e Arsago Seprio.

Gianni Caproni, Conte di Taliedo, fondò nel 1910 a Vizzola Ticino la sua importante industria aeronautica, pietra angolare dello sviluppo del settore in tutto il Paese



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▶ ARTE RUBRICHE

Da Filadelfia a Milano, con amore Cinquanta capolavori dell’Impressionismo e delle avanguardie a Palazzo Reale. Solo un assaggio, ma dal grande valore artistico, della ben più ampia collezione custodita nel Philadelphia Museum of Art, nato dalla passione dell’imprenditoria americana destinato a crescere negli anni, permise di assecondare quella vo-

Luisa Negri glia di cultura e di attenzione per l’arte del vecchio continente, mai

È

a Milano fino al 2 settembre, nelle sale di Palazzo Reale, la mostra “Impressionismo e avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art” prodotta da MondoMostre

Skira. Si tratta di una selezione di 50 opere, curata da Jennifer Thompson e Matthew Affron, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostreSkira, che comprende capolavori dell’impressionismo e delle avanguardie: acquistate da industriali e collezionisti illuminati, destinate poi ad adornare le eleganti case dei loro proprietari, le opere furono infine generosamente donate dai discendenti all’antico museo di Filadelfia. Che da sempre è considerato una splendida realtà, nata nel 1877 dalla passione per l’arte dell’imprenditoria americana della città fondata, nel segno dell’amore fraterno, dal quacchero William Penn. Lo sviluppo dei commerci, dell’industria (navi a vapore e ferrovie) e del mondo della finanza,

venuta meno da parte dei figli dei padri fondatori. Che gareggiavano anzi per farne la capitale culturale dell’America. Conoscere Filadelfia e il suo museo significa avvicinarsi al lungo racconto di una città che, tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo, fu la Pablo Picasso, più importante tra le metropoli Donna e bambine, 1961 americane. Perché si scrissero lì, rispettivamente nel 1776 e nel 1787, la dichiarazione di indipendenza e la costituzione degli Stati Uniti. E perché l’intreccio vitale tra storia e politica, cultura e filantropia, permise di realizzare i migliori obiettivi di vita possibile. Ogni opera esposta al Philadelphia Museum ha dunque una sua importante storia legata a quel mondo, agli artisti amati e desiderati, e a quei collezionisti interessati al bello e al bene comune. I quali si consideravano abitanti fortunati di una città che sembrava loro la prima e la più intrigante degli States. La voglia di valorizzazione della stessa si tradusse anche nella prima fiera mondiale negli Usa, proprio a Filadelfia: la manifestazione fu visitata, era il 1876, da più di dieci 63


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Claude Monet, Il sentiero riparato, 1873

La rassegna milanese è uno straordinario viaggio nella Parigi di Manet e Monet, dove si possono incontrare anche i raffinati, delicati ritratti femminili di Berthe Morisot sta Samuel Stockton White III: pluripremiato per la sua fisicità. ebbe in sorte di fare da modello a Auguste Rodin. Il lavoro dello scultore francese - L’Atleta - lo immortalò per sempre, rendendolo famoso nei secoli a venire. Tale opera, che Rodin realizzò in argilla nel 1901, poi fusa in bronzo nel 1904, entrerà a far parte del patrimonio artistico del museo di Filadelfia con l ‘intera collezione che verrà donata nel 1967 dalla famiglia a nome di Samuel S. White III e Vera White, costituendone uno dei fondamentali nuclei collezionistici. Di questo nucleo, oltre al Rodin, sono state portate a Palazzo Reale due nature morte di Georges Braque, dedicate rispettivamente a una cesta di pesci e a un piatto di frutta (1910 e 1936), un Cézanne del 1873 “Le quartier du Four à Auvers-surOise”, e un olio su cartone applicato su tavola di Utrillo, “Place du Tertre a Montmartre” (1912). Generosa e fondamentale per la costituzione del patrimonio museale portante anche la donazione dei fratelli Henry P. McIlhennye e Berenice McIlhenny Wintersteen, che acquistarono e do-

milioni di persone provenienti da ogni parte del continente, ma anche dall’Europa. Conseguenza dello scambio commerciale e culturale del grande evento fu anche lo stimolo dei suoi abitanti a viaggiare e conoscere a loro volta l’Europa, dove il bello si poteva vedere, ammirare e persino acquistare, per portarselo nelle case. Ed ecco allora i Monet, che arrivarono a Filadelfia grazie all’interesse di Alexander Cassatt e di Frank Graham Thomson: il primo, proprietario della Pennsylvania Railroad, era fratello della pittrice Mary Cassatt, ben introdotta nel milieu parigino dell’arte, che lo aiutò nella scelta di opere di Manet e Monet, di Degas e Pissarro. Di lei è in mostra un pregevole, raffinato olio su tela del 1879, “Donna con collana di perle in un palchetto”, donato al museo grazie a un lascito della collezionista Charlotte Dorrance Wright. Graham Thomson a sua volta cercò di conoscere personalmente Monet e, sempre attraverso la Cassatt e la galleria parigina di Paul Durand-Ruel, il più noto e influente mercante di arte impressionista del tempo, acquistò ben dodici dipinti del grande artista. Dieci opere degli eredi Cassatt furono poi acquistate nel 1921 dal W.P.Wilstach Fund per il Philadelphia Museum, consentendo l’ingresso dei primi dipinti impressionisti nelle sue sale. Georges Braque, Cesta di pesci, ca. 1910 Curiosa la vicenda del culturi64


ladelfia, da lui giudicato favorevolmente per la “sensazione di stabilità” offerta dall’edificio, che aveva segretamente visitato su richiesta dei coniugi Arensberg. Il secondo portò a sua volta a termine il progetto della donazione nel 1964, aggiungendovi ancora opere di pittori francesi del XIX e XX secolo. Inutile dire che la rassegna milanese è già di suo uno straordinario viaggio nella Parigi di Manet e Monet, dove si possono incontrare anche i raffinati, delicati ritratti femminili di Berthe Morisot, gli interni romantici di Degas, i ritratti ascetici di Cézanne, una ‘maternità contadina’ di Van Gogh, oltre ai Kandinsky, ai Brancusi, ai Dalì, all’eleganza cromatica di Miró. Timothy Rub, attuale direttore del museo, è convinto che la mostra milanese di Palazzo Reale possa far venire la voglia ai visitatori di conoscere il resto, cioè tutto quanto è custodito fino ad oggi a Filadelfia, accanto a questo già di per sé eccezionale assaggio d’arte che rimarrà a Milano nel 2018, estate compresa. E intanto continua a occuparsi del suo museo, nel segno della miglior tradizione, che nel 2020 vedrà l’ampliamento previsto per mano di Frank O. Gehry. Un altro passo da compiere, un altro nome importante da aggiungersi alla lista di tanti nomi che hanno fatto la gloriosa storia del Philadelphia Museum.

narono dipinti di Delacroix, Degas, Renoir, Picasso, Matisse. Di quest’ultimo è a Palazzo Reale la “Natura morta su tavolo”, un olio del 1925, di Picasso si veda invece l’opera “Donna e bambine”, pervenuta al museo nel 1964. Ma a decidere la buona sorte del Philadelphia Museum furono nel 1943 la lungimiranza dell’allora direttore Kimball e del gallerista Albert Eugen Gallatin. Quest’ultimo aveva creato nel 1927 la Gallery of Living Art prima collezione pubblica d’Arte Moderna del XX secolo degli Stati Uniti, con sede all’Università di New York. L’indisponibilità a continuare ad ospitare la crescente, straordinaria collezione di Gallatin negli spazi universitari, profilatasi nel 1942, indusse Kimball ad aprire le porte del suo Museo alla Gallery: nel 1943 fu firmato l’accordo per il prestito immediato, e successivo lascito, delle opere, ben centosessanta straordinari lavori di grandi maestri dell’arte contemporanea. S’aggiungeranno nel tempo altre due donazioni fondamentali: quella di Louise e Walter Arensberg, e quella di Louis E. Stern. I primi, in amicizia con Duchamp, conosciuto negli ambienti artistici di New York dove si erano trasferiti, riempirono letteralmente la loro casa di dipinti, disegni, collage di Picasso, Matisse, Braque, e dello stesso artista amico. Fu sempre Duchamp a consigliarli più avanti ad affidare la loro collezione, richiesta da diversi musei, al bravo, abile direttore Kimball e al museo di Fi-

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Marc Chagall, Nella notte, 1943

IMPRESSIONISMO E AVANGUARDIE CAPOLAVORI DAL PHILADELPHIA MUSEUM OF ART Dall’8 marzo al 2 settembre 2018 Milano Palazzo Reale Lunedì: 14.30-19.30 Martedì, mercoledì, venerdì, domenica: 9.30-19.30 Giovedì, sabato: 9.30-22.30 Biglietto intero12.00 euro, ridotto 10 euro www.impressionismoeavanguardie.it Tel. 02 92800375 65 5 2


▶ ARTE RUBRICHE

La città perduta di Adulis A Varese la documentazione della più recente scoperta archeologica dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, gli esploratori varesini che danno il nome all’omonimo Museo di Villa Toeplitz mi e tradizioni delle diverse popolazioni incontrate: tradotte poi in

Luisa Negri libri, filmati, reportage fotografici, messi sempre a disposizione di

N

egli spazi del Museo Castiglioni di Villa Toeplitz sono in corso due mostre temporanee che meritano entrambe la visita. La prima è dedicata ad “Adulis, la città perduta”, e racconta un’altra delle magnifiche avventure vissute dal 2011 da Angelo e Alfredo Castiglioni nella loro Africa. Il termine avventura è in realtà riduttivo, ma lo usiamo per esprimere quel gusto dell’andare che ha sempre guidato i loro viaggi di ricerca e di studio. Se non ci fosse stato tanto entusiasmo per quella terra amata, i fratelli Castiglioni non avrebbero potuto affrontare infinite difficoltà e imprevisti. Né raggiungere risultati così soddisfacenti sul piano storico e archeologico, né fornire informazioni su usi, costu-

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quanti amano conoscerli. Fino ad arrivare alla creazione del museo varesino, custodito, guarda caso, nel parco creato e amato da Edvige Mrozovska Toeplitz, un’attrice polacca, moglie di Giuseppe Toeplitz, influente personaggio del mondo economico milanese del periodo fra le due guerre. Edvige divenne famosa negli anni Trenta per la sua seconda vita da esploratrice. Nel caso di Adulis, la città eritrea perduta, grazie alle ricerche compiute dai Castiglioni a partire dal 2011- seguendo le indicazioni fornite nel 1906 da Roberto Paribeni - si può dunque parlare di un’altra delle tante avventure o imprese dei due celebri gemelli: da aggiungere alla riscoperta della città mineraria faraonica di Berenice Pancrisia e alle ricerche, compiute nei corsi asciutti dei fiumi, gli uadi, per inseguire i graffiti preistorici: com’è avvenuto tra le rocce del deserto libico, seguendo le anse asciutte dell’Uadi del Bergiug. Tutte imprese testimoniate dal lungo percorso del museo che offre, già di per sé, una visita appagante, integrata anche dalla documentazione di filmati e fotografie di altissimo livello alle quali i Castiglioni hanno da sempre abituato chi ha seguito le loro imprese negli anni. La loro ricerca anche in questa occasione si è basata su


chiesa è stata inoltre effettuata dagli allievi del Politecnico di Milano proprio per il museo. La seconda mostra di cui parlavamo all’inizio, interattiva e per questo particolarmente dedicata alle scuole, s’intitola significativamente “Il canto della terra”. Curata da Antonio Testa, personaggio poliedrico e colto, produtsaggista, percussionista, insegnante di protore, autore musicale e saggist di musica tribale, musicoterapedeutica musicale e studioso stud peuta nonché incantevole incantevol affabulatore per adulti e bambini, sguardo d’insieme su centinaia di oggetla mostra offre uno sgua vegetale o animale raccolti in ti sonori di natura minerale, min ogni parte del mondo. mondo E disposti in bella, e coloratissima vista, in una grande grand sala del museo. Ogni oggetto della natura, sottolinea Testa, ha Il primo esempio che si fa a un suo suono. su è quello del rumore del mare un bambino bam nella conchiglia: ma ci sono anche vegetali che possono esser usati quali ge strumenti a corde, con la loro casst ssa armonica, come certe zucche lucidate e usate in tutte le parti del mondo, dall’Europa, all’A sia, all’America, all’Oceania. E anche il carapace, il guscio di una tartarruga, può diventare parte di uno strumento. E un piccolo recipiente str terracotta può farsi, a sua volta, struin te mento a fiato. Riscoprire l’ecologia del suono, non quello tecnologico, ma quello della natura è scopo della ricerca, dell’intelligente missione che h Testa T conduce d da d anni.i E che lo ha portato al Museo Castiglioni, dove è presente per spiegare la sua ricca collezione di strumenti, la loro storia antica, la remota derivazione spaziale. Testa ha cercato in tutto il mondo, ha confrontato strumenti e suoni, li ha raggruppati per provenienza, per sonorità, e chiede ai visitatori di partecipare ai suoi concerti, coinvolgendoli in un intrigante percorso. Che non è solo appagante per la vista, con la varietà dei colori. Da quelli scuri e ambrati come la crosta bruna della terra, a quelli verdastri come l’erba, alle sgargianti tonalità gialle, turchesi e rubino di oggetti musicali provenienti dal Sud del mondo. Ma lo è soprattutto per l’udito e, più ancora, per l’anima.

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informazioni di esploratori del passato. Paribeni aveva, nel 1906, riportato alla luce, all’interno di una zona archeologica individuata, un monumentale basamento da lui chiamato “Ara del sole”. Nel tempo limo e sabbia avevano di nuovo sommerso, in seguito ad alluvioni di enorme portata, quanto rinvenuto. Ma l’idea del Paribeni era che un’intera città, l’antica Adulis, fosse ancora tutta da scoprire perché sepolta sotto strati di materiali ali trascinati dall’acqua. dall acqua. L’équipe italo-eritrea, guidata e costituita ostituita nel 2011 dai fratelli Castiglioni sotto l’egida dell’Ismeo, l’Ismeo, che prosegue tuttora i suoi studi, comprende anche che archeologi dell’Università Cattolica di Milano, dell’Università Università Orientale di Napoli, del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, ed è affiancato dagli architetti del Politecnico di Milano, incaricati del restauro dei ei monumenti portati alla luce. Ancora oggi, dopo po diversi interventi già effettuati, sono in vista ta scavi archeologici sul luogo che si spera pera possa diventare sito archeologico co o museo. La mostra di documen-tazione proposta dai Castiglioni è strutturata in due sezioni. La prima è dedicata alla conoscenza della storia dell’antica città commerciale del mar Rosso, dove, tra il II e VII secolo d. C., visse una co-munità ricca e raffinata, importante te per i suoi commerci e per la sua posizione privilegiata di scalo che permetermetteva la comunicazione tra Africa orientale e Mediterraneo. La rotta, paragonabile nabile per importanza alle antiche vie della seta e dell’ambra, b era quella ll ddeii traffici ffi i ddel-l le spezie che provenivano dall’India, lungo itinerari leggendari che vedevano accanto al transito di merci di lusso, come avorio, spezie, minerali preziosi, lo scambio culturale di paesi diversi. Il museo custodisce testimonianza della presenza di oggetti fondamentali per capire usanze e peculiarità della vita di Adulis: vasi, coralli, pietre e parecchie monete, riferimento sempre fondamentale per le indicazioni che la numismatica fornisce agli studiosi. Proprio dalla monetazione di alcune di esse potrebbe già arrivare la testimonianza della precoce espansione del Cristianesimo nel Corno d’Africa a pochi decenni dall’editto di Costantino che rese libera nel 313 la professione di fede. Molto interessante anche il filmato girato dai Castiglioni che propone visioni di carovane di dromedari impegnate nel pesante trasporto delle merci: oggi, ma com’era già nell’antichità e come doveva esserlo nel difficoltoso percorso che da Adulis portava verso Axum, la capitale. In altra sezione della mostra, specificamente dedicata agli scavi nel sito archeologico, sono visibili la splendida ricostruzione in dimensione reale (ottenuta grazie anche all’uso di una parete specchiata) e il modello olografico di una basilica paleocristiana scoperta nel sito già oggetto di scavi - a ulteriore testimonianza della precoce espansione del Cristianesimo nel territorio. Una perfetta ricostruzione dei marmi bizantini che decoravano le colonne della stessa

ADULIS LA CITTÀ PERDUTA 18 novembre 2017- 15 aprile 2018

IL CANTO DELLA TERRA 12 febbraio -31 maggio 2018 Museo Castiglioni, Parco di Villa Toeplitz Viale Vico, 46 - Varese info@museocastiglioni.it - Tel. 0332 1692429 Dal giovedì alla domenica: 10.00/13.00-14.00/18.00 www.museocastiglioni.it 67


M O S T R E

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A P P U N T A M E N T I

RUBRICHE

CORTISONICI 2018, QUINDICI ANNI DI CORTI A VARESE Dal 3 al 7 aprile torna il festival internazionale di cortometraggi, con proiezioni, incontri e giovani registi da tutto il mondo. Quattro i premi previsti: il Premio della Giuria, composta per questa edizione da Matteo Bordone, giornalista e conduttore radiofonico; Sara Sagrati, giornalista e critica cinematografica; Katia Visconti, docente universitaria; Claudio Casazza, regista e documentarista; il Premio del Pubblico, con la votazione del pubblico in sala; il Premio Giuria Giovani, che sarà assegnato da alcuni studenti del Liceo Classico Cairoli con cui è stato seguito un percorso di approfondimento; infine il Premio Ronzinanti, assegnato dagli organizzatori del festival al lavoro più sorprendente. www.associazionecortisonici.it

CARLO RAMOUS. SHAPING THE SPACE La Porta di Milano accoglie 6 grandi sculture, modelli in scala per interventi monumentali destinati all’arredo urbano, e un bronzo storico, la Grande donna seduta, del 1955, di uno dei maggiori scultori italiani del Novecento.

ph. marco d’azzi

QUANDO: fino al 30 giugno DOVE: Aeroporto di Malpensa Porta di Milano (Terminal 1) Orari: dalle 8.00 alle 22.00. Informazioni: 02 232323 - ufficiostampa@seamilano.eu

FILIPPO PIANTANIDA. MAPS Mostra in cui saranno protagoniste una serie di opere realizzate tramite collage fotografici di visioni satellitari di aree geografiche selezionate.

QUANDO: dal 13 marzo al 16 aprile DOVE: GHIGGINI 1822 Galleria d’arte - Via Albuzzi 17 – Varese Orari: da martedì a sabato 10.00-12.30 e 16.0019.00 Informazioni: galleria@ghiggini.it www.ghiggini.it

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M O S T R E

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A P P U N T A M E N T I a cura di Maria Postiglione

I SEGNI DI PICCAIA. #NOVECENTOITALIANO

Capace di gestire con grande padronanza sia le grandi dimensioni che il piccolo formato, l’artista propone in questa mostra un progetto articolato, giocato su dittici posti a costruire installazioni ambientali e sulla visione d’insieme dei piccoli quadretti, completato da materiali naturali che trasformeranno il percorso in un’esperienza sensoriale.

Il progetto rientra in Novecento Italiano, il palinsesto di oltre 150 iniziative ideato dal Comune di Milano per esplorare il secolo che ha determinato la costruzione del nostro presente. In questo programma bene si inserisce la mostra sull’arte dei Piccaia, padre e figlio, che tanto hanno contribuito ad arricchire il panorama artistico e culturale del ventesimo secolo.

QUANDO: fino al 7 aprile DOVE: PUNTO SULL’ARTE

QUANDO: fino al 20 marzo DOVE: MA-EC - Milan Art & Events Center

Viale Sant’Antonio 59/61 - Varese Orari: da martedì a sabato 10.00-13.00 e 15.00-19.00 Informazioni: 0332 320990 - info@puntosullarte.it

Via Lupetta 3 (ang. Via Torino) - Milano Orari: da martedì a venerdì 10-13 e 15-19. Sabato ore 1519 - Info: 02 39831335 - info.milanart@gmail.com

COLLETTIVA DI GIORGIO SOVANA, BRUNO BORDOLI E MAURO VALSANGIACOMO

ARMONIE VERDI. PAESAGGI DALLA SCAPIGLIATURA AL “NOVECENTO”

Tre autori molto diversi tra loro, ma che hanno in comune una ricerca interiore ricca di spunti e di significati, tre modalità di leggere la realtà in modo tanto difforme da diventare complementari.

Un suggestivo e affascinante viaggio tra capolavori d’arte di fine Ottocento e prima metà del Novecento, che si snoda lungo scenari di grande poesia, bellezza e colori, per indagare il rapporto senza tempo tra uomo e natura.

QUANDO: fino al 1° aprile DOVE: Civico Museo Parisi Valle

QUANDO: dal 24 marzo al 30 settembre DOVE: Palazzo Viani Dugnani

Via L. Giampaolo 1 - Maccagno con Pino e Veddasca (VA) Orari: venerdì 14.30-18.30. Sabato e domenica 10.0012.00 e -14.30-18.30 Informazioni: www.museoparisivalle.it

RUBRICHE

LUCA GASTALDO. SINESTESIE

Via Ruga 44 - Verbania Orari: da martedì a venerdì 10.00 – 18.00. Sabato domenica e Festivi 10.00-19.00 Ingresso: € 5,00 – Ridotto: € 3,00. Il biglietto comprende la visita alla Gipsoteca Troubetzkoy Informazioni: 0323 557116 - www.museodelpaesaggio.it 69


▶ DI MODA RUBRICHE

La faccina che si crede una parola Come si è passati dalle linee, dai punti e dalle parentesi ai complessi (e spesso poco chiari) emoticon? Com’è cambiato il modo di comunicare delle persone grazie (o a causa) dell’avvento delle faccine stilizzate? Ce lo spiega Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca “Credo che sarebbe davvero troppo elevare gli emoticon al li-

Chiara Mazzetti vello della lingua scritta: si tratta semplicemente di piccoli segni

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aggare, spoilerare, googlare, whatsappare, babbano, inzupposo, apericena, webete. Quanti di questi termini suonano all’orecchio come famigliari e quanti del tutto privi di significato? Navigando sul sito dell’Accademia della Crusca alla ricerca del contatto del Presidente Claudio Marazzini per un’intervista, capita di imbattersi nella sezione “parole nuove”, tra cui spiccano verbi ormai all’ordine del giorno come “impiattare” e “docciarsi”, ma tra cui si celano insospettabili neologismi (o aspiranti tali) della lingua italiana. “Con l’aumentare delle segnalazioni, il nuovo costrutto viene registrato con carattere più grande, segno che riscuote un maggiore consenso, che è stato notato o usato di più”: questo, racconta Marazzini, è l’iter che una parola sconosciuta, e perciò non ancora riconosciuta, deve percorrere prima di poter essere accolta dai lessicografi ed entrare ufficialmente a far parte di un dizionario. E diventare, di conseguenza, parte integrante del linguaggio e del modo di esprimersi di ciascun individuo. Ma se questo diritto lo pretendessero delle faccine stilizzate? Cosa accadrebbe? Questo è il caso delle emoticon, i gialli smile utilizzati decine di volte al giorno da adolescenti, adulti e bambini che da uno smartphone all’altro, viaggiando a velocità della rete, scambiano emozioni, rafforzano concetti e rendono ironica e giocosa anche l’offesa più pesante. E si fanno largo, senza chiedere neppure il permesso, tra lessemi arcaici e regole grammaticali arrogandosi il diritto di essere definiti “linguaggio”.

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grafici, disegni che assumono un qualche significato simbolico; di qui al linguaggio ci passa un bel po’, diciamo lo spazio di un oceano, non soltanto del mare. Anche al tempo delle piramidi, i geroglifici non erano un linguaggio, semmai erano una forma di scrittura, per quanto complessa”, commenta il Presidente dell’Accademia della Crusca. Eppure l’uso smodato di questa forma di comunicazione 2.0


Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca: “Gli emoticon hanno la funzione di modificare il valore delle parole, di accentuare il loro significato negativo, ironico o positivo”

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potrebbe portare, come ogni rivoluzione che si rispetti, ad un cambiamento epocale. Dalle parole, alle abbreviazioni, alle faccine: quale sarà il prossimo passo? Cosa ci si deve aspettare? “Gli emoticon (noto che c’è un’oscillazione di genere tra il maschile e il femminile, registrata anche dal Vocabolario Zingarelli) hanno la funzione di modificare il valore delle parole – prosegue Marazzini –, di accentuare il significato negativo, ironico o positivo dei vocaboli stessi, talora delle frasi”, come a dire che le emoticon non potranno mai sostituire (anche solo in parte) il valore delle parole. Ma, tutt’al più, assumeranno via via una connotazione sempre più esplicativa e rafforzativa. Insomma “nessuno si sveglierà una mattina avendo perso la scrittura e possedendo solo i disegnini”. Semmai, i rischi per le capacità di scrittura delle persone sono altri, incalza Claudio Marazzini, per nulla spaventato da quello che lui stesso definisce “un divertimento assolutamente innocuo”. Tuttavia è fuori da ogni dubbio il fatto che, poco o tanto, il digitale stia trasformando il nostro modo di comunicare. Si tratta, solo, di stabilire in quale misura e se sia o meno un cambiamento positivo. “Il modo di comunicare, nella società attuale, sta sicuramente degenerando, ma non per colpa dei poveri emoticon, che assolvo da qualunque responsabilità – precisa ancora Marazzini –. Questo peggioramento deriva, prima di tutto, da un modo sconsiderato

di organizzare molti dibattiti televisivi, dalla moda di far prevalere le urla e la sopraffazione sul ragionamento civile e pacato, dalla povertà lessicale delle giovani generazioni, dall’analfabetismo di ritorno degli anziani, dalla scarsità di lettura, perché nella lettura gli italiani sono tra gli ultimi in Europa. Poi, la crisi deriva dal fatto che alcuni esponenti del mondo della politica si affidino eccessivamente ai messaggi brevi, come i tweet, siano essi di 140 o di 280 caratteri. Il che ha come effetto una contrazione mentale nell’uditorio, che, alla fine, si trova a dover valutare e giudicare soltanto slogan e quasi mai idee espresse in forma argomentata”. Altro che disegnini, insomma.

Alcune curiosità sull’universo delle emoticon La nascita e la storia delle emoticon è molto discussa. Sembra che la prima faccina in assoluto sia stata digitata il 12 aprile 1979 da un certo Kevin MacKenzie, che proponeva così di animare i testi delle email ritenuti troppi asettici. La sua idea, tuttavia, non ebbe grande successo. Stando, invece, ad una ricerca pubblicata nel febbraio 2002, la paternità delle emoticon sarebbe da attribuire a Scott Fahlman, un informatico statunitense che il 19 settembre 1982 inviò sulla bacheca elettronica della Carnegie Mellon University, nella quale insegnava, la proposta di contras contrassegnare i messaggi di carattere scherzoso con una faccina sorridente(ଇ) ( ) e quelli meno con una triste (͓). ( ). Dalle prime semplici emoticon fatte da linee, punti e trattini, rappresentanti singoli stati d’animo, si è passati poi alla più complessa evoluzione grafica denominata emoji. Insiemi e accostamenti di emoticon e immagini utilizzate per esprimere veri e propri concetti complessi. A creare la prima emoji è stato Shigetaka Kurita, membro del team che si occupava della piattaforma web mobile i-mode della NTT DoCoMo, tra il 1998 e il 1999. Attualmente sui nostri digital device esistono 2.666 faccine differenti, suddivise in 9 categorie di appartenenza: emoticon, persone, animali e natura, cibo e bevande, attività, viaggi, oggetti, simboli e bandiere. Questa nuova tipologia di comunicazione ha invaso la nostra quotidianità a tal punto da diventare un’abitudine condivisa a livello mondiale. Non sorprende, dunque, l’istituzione del World Emoji Day, il giorno dedicato alle emoticon creato nel 2014 dal fondatore di Emojipedia, Jeremy Burge. Il compleanno della versione moderna dell’iconico smile cade il 17 luglio, data che pare sia stata scelta perché compare nell’icona calendario dei sistemi iOS. Lo scorso anno il mondo delle faccine emotive è finito persino sul grande schermo con il film “Emoji - Accendi le emozioni”, una divertente rappresentazione della realtà quotidiana delle emoticon. Nient’altro che il racconto dell’emozionante vita dei piccoli abitanti gialli di una app di messaggistica, sempre pronti ad essere scelti dal proprietario dello smartphone su cui il programma è istallato. Con tanto di posto di lavoro, crisi di identità e relazioni sentimentali. (C.M.)

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Qualunque sia il tuo lavoro

LA SICUREZZA E’ IMPORTANTE Mille e quattro. Tante sono le pagine che costituiscono il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, rev. maggio 2017. Ne esiste anche una versione “pocket” di 750 pagine o poco più. Al di là dell’aspetto editoriale, il Testo Unico, integrato e aggiornato negli ultimi 10 anni, ha trasformato gli aspetti di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Asse portante che determina ogni adempimento in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) che rappresenta e sintetizza l’analisi dei rischi presenti in un’azienda e le necessarie misure preventive e protettive da attuare. Obiettivo dichiarato del DVR aziendale è garantire livelli affidabili per l’eliminazione, riduzione e controllo dei fattori di rischio rilevati, nel rispetto della normativa vigente. All’interno del Servizio di Medicina del Lavoro, nuovo e importante tassello che la struttura sanitaria Fondazione Raimondi Francesco ha introdotto, la consulenza in materia di sicurezza e salute dei lavoratori occupa un posto particolare. Analisi puntuali e mirate sui fattori di rischio derivanti da rumore, vibrazioni, agenti chimici, incendio, esplosione, esposizione

a campi elettromagnetici o radiazioni ottiche – ma l’elenco è lungo – costituiscono il primo approccio alla gestione della sicurezza. La consulenza passa poi attraverso la corretta informazione e formazione dei lavoratori su rischi e misure di prevenzione e protezione, con i Corsi di formazione dedicati a dipendenti e collaboratori. Ne deriva un Organigramma per la gestione della salute e la sicurezza del luogo di lavoro e il Piano di emergenza che dà al Documento di Valutazione dei Rischi la risposta più precisa agli eventi che impattano sulla salute e la sicurezza. Inserito nell’ambito di una struttura ospedaliera consolidatasi in duecento anni di storia e affidato per le parti di competenza al nuovo Poliambulatorio che copre oltre trenta rami di medicina specialistica, il Servizio di Medicina del Lavoro di Fondazione Raimondi rende operative le rilevazioni e raccomandazioni emerse dal DVR aziendale.

POLIAMBULATORIO Medicina Specialistica e Diagnostica • Terapie Fisiche e di Riabilitazione • Punto Prelievi www.fondazioneraimondi.it | Gorla Minore (VA) | 0331-601133 | accettazione@fondazioneraimondi.it


▶ SPORT RUBRICHE

Una vita da crossista Un Campionato Italiano 125 e molti podi nazionali ed internazionali già in bacheca. Intervista al fuoriclasse del motocross varesino: il 25enne Davide Bonini con un Campionato Italiano 125 in bacheca, in compagnia

Andrea Della Bella degli Internazionali Italiani di super cross, di un terzo posto al

C’

è chi ha un mito da seguire e tiene una foto o un poster appesi in camera e chi invece il proprio mito lo insegue in sella a una moto e magari, in gara, a volte lo supera e comunque lo può vedere, spiare, studiare da vicino, parlarci insieme e con lui gareggiare. Come fa Davide Bonini con Tony Cairoli sui campi da cross di tutta Italia e mezza Europa. Fortuna? Anche, perché averne pizzico dalla propria parte non guasta mai. Bravura e passione? Certo! Ma soprattutto talento, che uno ha dentro senza saperlo, tanto che a volte sboccia quasi per gioco. Come per Davide Bonini da Ranco, 25 anni,

Campionato Europeo, due terzi posto agli Assoluti Italiani Elite e un 12° assoluto in Repubblica Ceca. Bonini però ha capito di essere tagliato per il motocross prima ancora di vincere qualcosa di importante e perfino prima di andare a scuola. Davide, tuo papà Michele ha un legame molto particolare con la pista del Ciglione per averla “disegnata”. Questo ha influito sulla tua scelta? Direi di no. All’inizio il cross era solo un gioco e come tanti crossisti anch’io ho iniziato a correre nel minicross a Cairate. Solo più avanti è diventata una vera e propria professione.

Il sogno di riportare un Mondiale sul Ciglione di Malpensa Cambiano i tempi, le regole e le situazioni, ma il motocross continua a esercitare il suo grande fascino. “Anche se – spiega il presidente del Comitato Regionale della Federazione Motociclistica Italiana, Ivan Bidorini – non è più come vent’anni fa. Alcuni campi sono stati chiusi e, inutile negarlo, il nostro sport ha accusato la crisi economica generale. Oltre al fatto che oggi i giovani hanno maggiori possibilità di scegliere quale sport praticare. Nonostante tutto però, negli ultimi due anni i numeri regionali sono tornati a crescere in tutte le specialità”. Attualmente i campi operativi sono quelli di Cadrezzate, Schianno, Laveno Mombello, Cairate e Gorla Minore dedicati al minicross e il Ciglione di Malpensa, forse uno dei più blasonati tra i cosiddetti crossodromi tradizionali, ovvero quelli tracciati in modo “naturale” rispettando le caratteristiche del terreno, dove però un appuntamento mondiale manca da oltre un decennio. “Riuscire a riportare qui un Mondiale credo sia il sogno di tutti coloro che amano il motocross – conclude Bidorini – Impossibile? Nulla è impossibile, piuttosto direi difficile, poiché un evento di questa portata oggi ha costi economici che nessun club può più sostenere, a meno che non si riesca a fare squadra e a quel punto si potrebbe davvero giocare la partita”. La realtà per ora è quella di continuare a lavorare sui temi della sicurezza e sul consolidamento del Comitato, insomma sulle fondamenta, con l’obiettivo di preparare il terreno per realizzare quello che al momento sembra davvero solo un sogno. (A.D.B.)

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Quando hai deciso che la tua vita professionale sarebbe stata in sella? Finito il Liceo sportivo Pantani di Busto Arsizio. Avevo l’età giusta per provare e l’ho fatto. La vita di un crossista è davvero tutta salti e moto? Solo durante la stagione. Negli altri mesi dell’anno quando non corro in moto lo faccio a piedi. E poi nuoto, tantissimo, bicicletta e palestra. Quando parliamo di motori, il cross è forse lo sport più pesante a livello fisico. Allenarsi solo in moto non basta. Serve un’ottima preparazione atletica per aiutare il fisico a reggere tutte le sollecitazioni. Diciamo che faccio motocross, ma mi alleno come un triatleta. Ricordi ancora la tua prima gara? No, ne ho fatte talmente tante.

Davvero? Nemmeno la più bella? Quella sì! Anno 2012, quando ho vinto il Campionato Italiano. Un errore alla penultima gara ha rimesso in discussione la posizione di leader che avevo conquistato e consolidato nel corso della stagione. E così sono arrivato all’ultimo appuntamento con i giochi ancora aperti e con un’unica possibilità: vincere entrambe le manche. Nella prima prova sono riuscito a vincere, anche se a quattro curve dalla fine ero ancora secondo. Forse è stata quella la gara perfetta. L’ultima manche invece è andata liscia. Si correva al Ciglione. La nuova stagione sta per iniziare: Campionato Italiano e Mondiale ti attendono. Ti sei fissato qualche obiettivo particolare? Per quanto riguarda il Campionato Italiano Mx1 voglio arrivare tra i primi cinque e provare a conquistare almeno il terzo posto. Al Mondiale farò le prove che si corrono in Europa e punto a stare subito dietro a quelli che vanno più forte.

La palestra dei campioni è il motoclub Cairatese C’è sempre un inizio e per chi fa motocross coincide con motoclub Cairatese. Davide Bonini, ma anche Rudy Moroni, Gianluca Deghi e Alice Magnoli sono passati tutti da qui. Da questo motoclub, vera culla del cross, anzi grande palestra del minicross, fondato nel 1959 da Antonio Colombo e oggi guidato dalla figlia Patrizia. Il motoclub Cairatese, forse la più grande realtà in termini di numeri di tutta la provincia, è da anni la scuola più autorevole per i giovani crossisti. Qui s’impara certamente ad aprire il gas, ma prima di tutto ad andare in moto. Qui ci si prepara per compiere il salto più importante: quello nelle categorie superiori. Qui si fanno crescere i campioni, che poi prendono la propria strada, senza rimpianti e con tanto orgoglio nel vederli correre e vincere. Patrizia Colombo, crescere campioni è un po’ il vostro marchio. Ma ogni volta che un crossista “va via” bisogna ripartire da capo. Una scelta voluta o obbligata? Direi un progetto basato su quello che abbiamo e su ciò che sappiamo fare. Partiamo da ciò che abbiamo, ovvero una pista dedicata al minicross, curatissima in ogni dettaglio sotto il profilo della sicurezza e dove tutti i bambini possono provare questo sport. E poi abbiamo anche un tecnico federale, Giordano Manzoni e tutti i nostri atleti sono seguiti con attenzione. Non solo, il cross è uno sport molto ambito dai giovanissimi, ma costa, per questo mettiamo a disposizione moto e abbigliamento per chi vuole iniziare. E non sono pochi, oggi abbiamo circa 80 bambini dai 7 ai 12 anni che corrono. Parla da mamma o da presidente? Parlo come una persona che ha iniziato a vivere i campi da cross prima ancora di imparare a camminare. Quando sono diventata Presidente ho dovuto, e a volte succede ancora, vincere i pregiudizi nei miei confronti. Non è stato semplice, ma alla fine il lavoro fatto ha dato i suoi frutti. Certo con i nostri piccoli non mi dimentico di essere anche mamma. Una mamma Presidente, per questo ai ragazzi dico sempre: apri il gas, ma prima di tutto stai attento e metti sempre in pratica ciò che gli istruttori ti hanno insegnato. (A.D.B.)

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il

buon

gioco vicino a te

18 +


“La matematica pura è, a suo modo, la poesia delle idee logiche” (Albert Einstein)

Tra poesia e prosa, cifre, lettere e note musicali, libri da sfogliare aspettando la primavera Silvia Giovannini CAMILLA ANSELMI, VALENTINA FONTANA Ettore il riccio viaggiatore Scalpendi, 2017 Un’avventura a Milano. Ettore scopre

IN LIBRERIA

Ricci, numeri e capricci

una nuova amica di nome Nanda. Lo accompagneranno alla scoperta del Castello Sforzesco, dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e delle geometrie perfette della tribuna di Santa Maria delle Grazie. Salirà sulle terrazze del Duomo per ammirare la città dall’alto e consocerà i colori e i profumi delle piante dell’Orto botanico di Brera, solo alcune delle tappe della fantastica avventura milanese. Una collana nata per educare i bambini alla conoscenza del patrimonio culturale ma che, con la sua poesia e i suoi originalissimi disegni, conquisterà un pubblico adulto. Anzi, cari lettori, vi verrà voglia di viaggiare e non solo con la fantasia.

l’Italia portando con sé il lettore e regalandogli nuovi occhi. Cappellino con visiera, zainetto rosso sulle spalle e una buona dose di curiosità: dopo aver visitato Roma, l’instancabile riccio viaggiatore, parte per una nuova meta. A Milano, infatti, abita la sorella Gaia e qui conoscerà

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SABRINA PRIULLA, LORENZO DORNETTI La matematica del fashion retail Edizioni AGF Group, 2017 Come si misura la prestazione di un punto vendita nell’ambito del fashion retail? Quali sono le azioni da introdurre per aumentare le vendite e gli incassi? Partendo da queste due domande la psicologa varesina Sabrina Priulla, affiancata dal collega lodigiano Lorenzo Dornetti, ha pubblicato un manuale rivolto in particolar modo a store manager e proprietari di punti vendita. Nei capitoli di “La matematica del fashion retail” Priulla approfondisce gli indicatori che vanno monitorati e attraverso i quali si può controllare la situazione dell’andamento del negozio. Inoltre effettua una panoramica delle leve strategiche (l’efficacia dello staff di vendita, il visual e l’allestimento dello store, i social network e la comunicazione finalizzati all’aumento dei potenziali clienti...) che è necessario muovere

per ottenere migliori risultati. Non manca una serie di esempi pratici che rendono il testo molto concreto e utilizzabile all’interno dei punti vendita. Infine viene dedicato un capitolo al ruolo di store manager, vista l’importanza di questa figura per il raggiungimento dei risultati aziendali.

MARCO CORRIAS Il grande atlante castellano del Verbano e del Canton Ticino Pietro Macchione ed., 2017 Storia, curiosità e misteri dalla Preistoria al Rinascimento. Nella terra di mezzo tra il Verbano e il Canton Ticino, popolazioni divise solo da un lembo di terra e d’acqua, nei secoli hanno dato origine ad un patrimonio artistico, culturale e linguistico comune. Attraverso una fedele ricostruzione storica dei paesaggi, delle atmosfere perdute e della vita dei nostri antenati, il Grande Atlante Castellano del Verbano e del Ticino offre moltissimi spunti, originali e innovativi: descrizioni di antiche fortificazioni e di tesori artistici, storie di re e imperatori, ma anche di signori minori, dame, briganti e umanisti. Come e dove vivevano, in cosa credevano, cosa mangiavano.

Viaggiatori e studiosi sono liberi di muoversi alla scoperta di un patrimonio spesso non noto e forse per questo talvolta più romantico e affascinante, grazie alla suddivisione in 34 itinerari territoriali, tra cui le palafitte dell’Isolino Virginia o i megaliti a Montecrestese, il Castello di Tegna, Castelseprio, Castelnovate, la rocca di Orino, il castello di Serravalle, le case-forti ossolane, il torrione di Ornavasso, la rocca d’Angera, il castello visconteo di Locarno, Castel Montebello, Mesocco e tanti luoghi misteriosi.

ALESSANDRO PATALINI La scuola del respiro Zecchini, 2017 La seconda edizione di un’antologia commentata delle testimonianze sulla respirazione nel belcanto. Il punto di partenza di questo volume realizzato dall’editore varesino parte dall’idea che la respirazione sia il fondamento del canto, ma gli insegnamenti che possiamo leggere al propo-


GIUSEPPE SGARBI Il canale dei cuori Skira, 2018 sito in alcuni metodi di canto tra i più antichi e famosi, sono molto diversi da quelli diffusi attualmente. Si deve forse supporre che, nel corso della storia, i cantanti di scuola italiana abbiano

A poche settimane dalla scomparsa dell’autore, ricordiamo l’ultimo lavoro di un vero maestro della narrazione. Dopo tre titoli coronati da un importante successo di pubblico e di critica, lo ritroviamo sulle sponde di quel di Livenza dove, per tanti anni, è andato a pescare e dove a poco a poco il passato riemerge riportando storie, persone ed emozioni. Accanto al vecchio signore prende vita il ricordo del fratello della moglie Rina, Bruno Cavallini, con cui Nino riallaccia il dialogo che si era dovuto interrompere, improvvisamente, più di trent’anni prima, come se il loro ragionare non si fosse mai fermato. Un dialogo intimo, intenso, fatto di ricordi e bilanci di una vita lunga quasi

un secolo, in pagine che scorrono limpide, fresche e vivificanti come le acque del fiume tanto caro all’autore, regalando squarci inediti e sorprendenti di una vita che non c’è più, così come pochissimi l’hanno vissuta. E quasi nessuno l’ha mai raccontata.

GIANLUIGI MARCORA Volare TraccePerLaMeta Ed., 2017

IN LIBRERIA

utilizzato diverse maniere di respirare? Un libro che fornisce agli appassionati di musica e del canto l’occasione di guardare alla respirazione da una prospettiva inedita; per farlo raccoglie e commenta le principali testimonianze riconducibili alla didattica della vocalità fiorita, ne delinea i caratteri fisici, le motivazioni pratiche, e propone alcune ipotesi sul motivo per cui essa fu progressivamente abbandonata. Un percorso che si snoda fra storia, pratica esecutiva e didattica, ponendo al centro l’esperienza del cantante.

Note di poesia in un volo leggero, su ali di farfalla per l’ultimo lavoro dell’autore bustocco. Ma anche prosa, riflessioni, aneddoti. “Di tutto un po’ per dialogare”, si legge in quarta di copertina. “In un Romanzo – di solito – si snocciola un racconto con un contatto diretto fra i protagonisti. In questo libro c’è l’esperienza della Narrativa applicata alla Prosa in un contesto spicciolo che va dritto al cuore attraverso la Poesia. Il lettore si troverà a tu per tu con gli eventi della vita e talvolta si troverà dentro in quei casi, come se quel racconto, quella poesia, quella riflessione avesse lui stesso quale protagonista”.

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▶ DAL WEB

La freccia per il sorpasso L’industria varesina (e non solo) raccontata dal web e dai social network

solo su

varesefocus.it Cresce la produzione tessile

La partecipazione delle imprese varesine all’ultima edizione di Milano Unica è stata l’occasione per fare il punto sull’andamento del settore della moda con delle interviste video agli imprenditori. Stando ai dati dell’Ufficio Studio Univa nell’ultimo trimestre 2017 il 55,8% delle aziende ha dichiarato un aumento dei livelli rispetto ai mesi precedenti. Bene anche l’export: nei primi 9 mesi del 2017 le vendite oltre confine hanno registrato un balzo in avanti del 2,1% rispetto al 2016.

Cluster incontra Cluster

Missione Svizzera per il Lombardia Aerospace Cluster che ha varcato il confine elvetico per incontrare lo Swiss Aerospace Cluster. “Lo scopo dell’incontro - spiega a Varesefocus il Presidente delle imprese svizzere del settore, Roland Hengartner - è stato quello di condividere informazioni su come operano le nostre realtà, ma anche capire quali siano le possibilità di lavorare insieme. È arrivato il tempo di discutere e definire una sorta di accordo sulle possibilità di business future”.

La chimica amica della salute

C’è chi si iscrive in palestra, chi va a nuotare, chi inizia dei regimi alimentari particolari. Poter fare tutto questo e molto di più, insieme ai colleghi, all’interno degli spazi lavorativi, ha rappresentato una vera e propria novità per Hexion Italia Srl, multinazionale americana presente a Solbiate Olona, leader nel settore delle resine fenoliche impiegate in molti settori, tra cui l’automotive e l’edilizia, che aderisce al Progetto WHP di Univa e ATS Insubria. 80

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