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VARESE DEVE ESSERE
più giovane
Roberto Grassi
La provincia di Varese è un territorio per giovani? Alla domanda diretta che mi è stata rivolta non molti giorni fa dai ragazzi dell’associazione Politics
Hub durante un’intervista, la mia risposta è stata altrettanto secca: non abbastanza. Non è un’impressione personale ma il risultato di una serie di analisi che abbiamo svolto come Confindustria
Varese studiando, insieme ai ricercatori del think tank
Strategique e della LIUC – Università Cattaneo, tutto un lungo elenco di indici nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050 e dell’elaborazione del Social Progress Index Varese. La conclusione è che il Varesotto faccia più fatica di altre aree a offrire alle nuove generazioni opportunità di realizzazione personale. Per esempio, abbiamo ampi margini di miglioramento sul fronte dell’inclusività o dell’offerta culturale e ricreativa. Nella classifica della qualità della vita per i giovani siamo 91esimi su 107 province. Siamo 93esimi per gli investimenti dei Comuni nella cultura, arranchiamo nel mantenimento della famiglia negli anni post-laurea. È un problema più generale di attrattività. Ciò fa delle politiche giovanili una delle più importanti priorità su cui investire per la nostra competitività. Una sfida
che coinvolge tutti: società civile, amministratori pubblici, politica, scuole e Università.
E, ovviamente, anche le aziende. L’impresa varesina offre buone opportunità di carriera, ma dobbiamo saperci guardare allo specchio e dirci che abbiamo comunque margini di miglioramento. Le aziende devono essere più inclusive in senso ampio. Dobbiamo investire in politiche di conciliazione lavoro-famiglia, in ambienti più accoglienti, in digitalizzazione e sostenibilità anche per venire incontro ai valori delle nuove generazioni. Essere sul mercato del lavoro non vuol dire solo saper competere a livello di buste paga, ma anche offrire una dimensione valoriale in cui ragazze e ragazzi si possano riconoscere. Serve impegnarsi per i giovani. Confindustria Varese lo fa su più fronti. Primo fra tutti quello del rapporto con le scuole. Un impegno che, con l’inizio del nuovo anno scolastico, sta per ripartire. Le imprese entreranno nelle aule e gli studenti nelle imprese per dar vita a percorsi di conoscenza e contaminazione reciproca. Organizzeremo ancora concorsi e iniziative che saranno in grado di liberare la capacità creativa degli alunni anche nello sviluppo di nuove idee di impresa. Mondo dell’istruzione, ma non solo. Confindustria Varese ha iniziato a collaborare anche con
vari attori del territorio per porre argini al fenomeno del disagio giovanile, aderendo per esempio alla recente iniziativa “SOStegno km 0” della Fondazione “Il Ponte del Sorriso Onlus” che interviene sul crescente malessere psicologico adolescenziale e preadolescenziale, di cui parliamo nelle pagine che vi apprestate a leggere. Aiutiamo, inoltre, i dipendenti genitori delle imprese associate con corsi per il miglioramento del dialogo con i figli e con helpline di supporto psicologico. In molti casi si tratta di iniziative che fino a pochi mesi fa nessuno legava alla sfera di intervento di un’associazione datoriale come Confindustria Varese, ma che noi oggi riteniamo prioritarie per la costruzione del futuro dei giovani e delle imprese. Vogliamo essere protagonisti di quel rinnovato fermento a cui assistiamo nelle scuole, nelle associazioni, negli Its e nelle Università del nostro territorio e che raccontiamo ampiamente in questa nuova edizione di Varesefocus, non a caso dedicata in gran parte al mondo dei giovani e della scuola. Quella frammentazione che fino a qualche anno fa ci stava togliendo terreno sotto i piedi, si sta ricomponendo in una voglia diffusa di contribuire, ognuno per la propria parte, alla costruzione di un progetto comune e di una visione per costruire il futuro delle nuove generazioni.
EDITORIALE
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CONVENZIONE RISERVATA
Confindustria Varese
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teamwork-eu.it
della scuola
SOMMARIO
FOCUS
Il futuro (da scrivere) della scuola
La competitività degli atenei
Ripartendo dagli Its
Una provincia che scompare
È questione di attrattività
Per ogni scuola un progetto con le aziende Imprese tra boomers e millennials
Come combattere
Piazza Monte Grappa, 5
21100 Varese
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il disagio giovanile Quando il talento dei giovani va in scena
ECONOMIA
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Un destino di ferro
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Il numero è stato chiuso il 31 agosto
Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore il 23 ottobre 2023
“Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali di Confindustria Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).
SCIENZA & TECNOLOGIA
Cosa può fare ChatGPT per un’azienda
Rubriche su LUOGHI E BELLEZZA
Come nasce un’imbottitura
I luoghi varesini della risata
La nuova via del teatro
L’associazione che non ha “Mai paura”
In cammino verso
il Monte Lema
L’edilizia circolare dei Molini di Gurone
Quando l’arte
è Concreta
Al Ma*Ga, tra fotografia e moda
La nuova vita di Telewire Varese è SMARTT
Il galateo del lavoro
“People oriented”
UNIVERSITÀ
La Varese pensata
dai giovani
Più PROteine
dalla PLAstica
Lo scudetto della sostenibilità economica
Roberto Grassi Silvia Pagani Davide Cionfrini
testata è associata a
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FOCUS
VARESE TORNA A SCUOLA
L’anno scolastico 2023/2024 prende il via. Una nuova sfida non solo per docenti e studenti. Con la riapertura delle aule ripartono anche i tanti progetti e le diverse iniziative di aziende e Confindustria Varese sul fronte education e per coltivare nei ragazzi e nelle ragazze la cultura d’impresa. Obiettivo: trovare strade di dialogo con le nuove generazioni, sempre più esigenti e con le idee sempre più chiare sul proprio futuro. È questione di creare progetti di attrattività per un territorio dove Neet, persone che decidono di andare all’estero, frontalieri sono in crescita. Un pezzo di provincia che scompare. Energie che mancano ad uno sviluppo per il quale servono, invece, idee fresche. Le due Università (LIUC e Insubria) e il mondo degli istituti post-diploma Its Academy sono elementi che il Varesotto può e deve valorizzare per diventare più allettante per i talenti. Ma occorrono anche progetti di contrasto al disagio giovanile, percorsi di confronto intergenerazionale negli uffici e la creazione di spazi di espressione
della scuola
Chiara Mazzetti
Ambienti e programmi didattici immersivi, che sanno andare oltre la tradizionale lezione frontale. La trasformazione delle classiche aule in spazi di studio digitali. Gli investimenti per progetti di contrasto al fenomeno dell’abbandono degli studi, partendo da un buon orientamento. Ma, soprattutto, la capacità di rispondere alle richieste di ragazzi e ragazze sempre più esigenti e con le idee chiare. Il suono della campanella dà il via ad un nuovo anno scolastico. A fare il punto è
ragazzi ci stanno chiedendo qualcosa di nuovo e di diverso e gli Istituti del territorio, oserei dire, stanno rispondendo a tono”. Il nuovo anno scolastico 2023/2024 è al via. Giuseppe Carcano, Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Varese, racconta i cambiamenti in atto nel mondo della scuola varesina, tra le richieste degli studenti, progetti innovativi e tanta tecnologia.
Suona la campanella. Le aule si riempiono e un altro anno scolastico sta per iniziare. Ma i giovani come vorrebbero fosse la loro “scuola ideale”?
I ragazzi e le ragazze di oggi sono decisamente attenti alla realtà e non sono per nulla indifferenti rispetto
a quello che li circonda. Dobbiamo, noi adulti, fare lo sforzo di smetterla di generalizzare e incasellarli nella categoria dei Neet, ovvero giovani che non studiano, non lavorano e non sono nemmeno in cerca di un’occupazione che, pur esistendo, rimangono una minoranza. La scuola, dal canto suo, ha proprio lo scopo di valorizzare i talenti di ciascuno, anche attraverso indirizzi di studio personalizzati e
ad hoc. Non è raro trovare, nei Licei e negli Istituti Tecnici e Professionali del Varesotto, corsi dedicati a tematiche sempre più attuali e di interesse per i giovanissimi. Esistono anche svariati percorsi quadriennali, in provincia di Varese, che prevedono la scelta di alcune discipline opzionali, come teatro, informatica e coro, ad esempio. In altre parole, la scuola non è impermeabile ai cambiamenti e agli stimoli che arrivano dall’esterno.
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Giuseppe Carcano, Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Varese
‘‘I
IL FUTURO (DA SCRIVERE)
Giuseppe Carcano
Cosa sognano di studiare i ragazzi e in quale maniera?
Sono stati, di recente, rilasciati i risultati dell’edizione 2023 dell’indagine sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata ogni anno dall’Associazione Laboratorio Adolescenza e dall’Istituto di ricerca Iard, con la collaborazione di Canale Scuola del Corriere della Sera. A rispondere è stato un campione di 5.670 studenti tra i 13 e i 19 anni. Il risultato? L’80,7% degli intervistati pensa che sarebbe utile introdurre nell’universo scolastico metodi e strumenti innovativi, basati sulle potenzialità offerte da Internet e dalle nuove tecnologie. L’86,6%, poi, vorrebbe che nelle scuole superiori il piano di studi potesse essere in parte personalizzato con alcune materie scelte dal singolo studente. Mentre tra gli argomenti di maggior interesse, che secondo i giovani andrebbero trattati in modo sistematico, ai primi due posti troviamo l’educazione sessuale (80%) e la sostenibilità e protezione dell’ambiente (79%).
Verrebbe da dire che non ci troviamo più di fronte a generazioni di giovani choosy, come più di dieci anni fa, l’allora Ministro del Lavoro Elsa Fornero definiva i ragazzi “schizzinosi” nei confronti del lavoro. Decisamente no. Il cambiamento in corso nel mondo della scuola, e di conseguenza nei suoi studenti, riflette, inevitabilmente, il mutamento della nostra società. Ci troviamo di fronte a trasformazioni oggettive, legate, ad esempio, alla denatalità, che ha ormai raggiunto il primo ciclo di istruzione, riducendo drasticamente il numero delle classi e con il conseguente grosso problema della sostenibilità economica del mantenimento del servizio di istruzione, diffuso in maniera capillare sul nostro territorio. C’è poi il progresso che corre veloce e che, spesso, mette in difficoltà i giovani, sempre più colpiti da diverse forme di disagio. Primi tra tutti quelli di natura psicologica, ancora
legati alla pandemia da Covid-19. Eppure, la stragrande maggioranza dei ragazzi, nonostante tutte le difficoltà sopraelencate, desidera progettare il proprio futuro in maniera proattiva e realizzarsi nella vita. Anche e soprattutto attraverso un lavoro appagante e soddisfacente. I giovani oggi, molto più rispetto alle generazioni precedenti, hanno idee precise e determinate sul proprio futuro impiego. Si aspettano ambienti lavorativi con tempi concilianti con la vita privata e un welfare aziendale di livello, prerequisiti fondamentali in una società matura e in un territorio di benessere diffuso come quello della provincia di Varese. Ma i ragazzi guardano anche molto all’estero, ai Paesi europei e non solo, dove le dinamiche del lavoro sono avanzate e di ispirazione.
E quindi come sta cambiando la scuola, per stare al passo con un “pubblico” di studenti sempre più sul pezzo?
I ragazzi chiedono qualcosa di nuovo e di diverso e gli Istituti del territorio rispondono a tono, oserei dire. Le scuole della provincia di Varese, a tutti i livelli di istruzione, sono dotate di moltissima tecnologia, a partire dalle ormai diffusissime Lim, le Lavagne Interattive Multimediali, passando all’utilizzo di tablet e libri digitali, in sostituzione ai materiali più canonici. Ci sono, inoltre, diverse scuole che si stanno già muovendo nel campo della realtà virtuale e del metaverso,
anche grazie all’utilizzo di visori per determinate attività. Sicuramente il Covid e la Dad (didattica a distanza, ndr.) hanno contribuito a scardinare la classicità delle lezioni frontali in aula, sfruttando la versatilità degli ambienti virtuali. Pian piano anche la scuola sta assimilando le novità e le sta mettendo a regime. Gran parte dei fondi del Pnrr per le dotazioni tecnologiche andranno investiti soprattutto nella ristrutturazione degli ambienti scolastici, creandone di nuovi e più creativi e immersivi. Anche sfruttando risorse importanti che, spesso, non vengono utilizzate come gli spazi esterni e i giardini. Sul tema dell’outdoor, ad esempio, è in programma un percorso di formazione dedicato specificatamente ai dirigenti scolastici.
Per quanto riguarda, invece, il tema della dispersione scolastica?
Di fronte ad un ragazzo che abbandona il proprio percorso formativo, viene da chiedersi cosa sia mancato. La risposta, purtroppo, nella maggioranza dei casi è da ricondurre ad un orientamento non andato a buon fine. Ed è per questo motivo che dedicheremo la seconda tranche di fondi del Pnrr specificatamente al tema dell’orientamento, visto proprio in funzione di barriera all’abbandono scolastico e al disagio giovanile. Stiamo investendo molto su questo aspetto, anche attraverso la formazione di orientatori che lavorino nelle scuole: l’obiettivo è orientare meglio per avere sempre meno casi di dispersione.
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LA COMPETITIVITÀ degli atenei
Nell’anno accademico 2021-2022 il 7,3% degli immatricolati ha abbandonato gli studi entro i primi mesi. Un dato in crescita: tra il 2020-2021 la percentuale era stata del 7,1%, nel 2019-2020 del 6,1%. A certificarlo è il Censis. Un fenomeno che rappresenta una sfida per le Università. Anche quelle varesine. Come invertire la rotta? Quali le strategie da mettere in campo per attrarre giovani? Intervista ai Rettori
Angelo Tagliabue, dell’Università degli Studi dell’Insubria, e Federico Visconti, della LIUC – Università Cattaneo
FOCUS
Alessia Lazzarin
Rettore Visconti, in che modo LIUC attrae nuovi talenti?
Nella mia visione, gli ingredienti sono tanti e la prospettiva non può che essere sistemica. Per essere attrattivi, bisogna avere un brand riconosciuto a livello nazionale e non solo. Serve, poi, un modello didattico che possieda una propria identità.
Nel caso della LIUC, una didattica interattiva, con testimonianze e discussioni di case studies.
La proposta di valore necessita poi di servizi outstanding: una biblioteca sempre più al passo con i tempi, un pacchetto di borse di studio che favorisca la mobilità sociale, sale studio e bar che siano luoghi di vita universitaria, attività culturali e sportive di valore. In LIUC, come in tutte le aziende, alcuni ingredienti funzionano, altri sono da migliorare.
Rettore Tagliabue, anche per lei la stessa domanda. Quali progetti mette in campo l’Insubria per attrarre giovani da tutta Italia?
Puntiamo su un ambiente che sia a misura di studente, sia per la didattica sia per l’accoglienza e i servizi. Abbiamo ampliato la capienza delle residenze universitarie, con il City Hotel in centro Varese e il Collegio Santa Teresa a Como. Crediamo nel concetto di studentato diffuso, che a Varese è già un progetto in fase di realizzazione a Biumo e che consentirà una contaminazione positiva tra studenti e cittadinanza. L’ateneo ha un’ottima politica di borse di studio: dove non arrivano i fondi statali e regionali, interviene l’Università con fondi dedicati per accogliere tutte le domande. Favoriamo lo sport, con college e programmi personalizzati per gli studenti-atleti. L’Università ha la fortuna di essere in città come Varese, Como e Busto Arsizio. E questo è sinonimo di opportunità: a un anno dal conseguimento del titolo trova lavoro il 79,7% dei laureati triennali (media nazionale 74,5%) e l’87,4% dei laureati magistrali (media nazionale 74,6%). Accogliamo gli studenti con dedizione: quest’anno abbiamo formato 180 tutor per le matricole, per gli studenti lavoratori, quelli con difficoltà economica e quelli con disabilità o Dsa, ai
Federico Visconti, LIUC: “Servono diversi ingredienti per ottenere la ricetta perfetta: brand, identità, offerta formativa di qualità e innovativa, servizi che spaziano in vari ambiti e borse di studio”
Si sta lavorando intensamente per farlo, investendo in risorse e competenze funzionali alla causa.
È arrivato il momento di iniziare un nuovo anno accademico. Tra sfide e opportunità da cogliere, come sarà l’offerta formativa per il 2023/2024? Avete introdotto qualche novità nei programmi degli insegnamenti?
Abbiamo puntato da un lato, a migliorare le attività già in essere, dall’altro ad avviare un ciclo di innovazione destinato a dare i propri frutti nell’arco dei prossimi tre anni. Nel breve, abbiamo ampliato il numero di studenti per Business Economics, portandoli da 40 a 60. Introdurremo lo streaming per le Lauree Magistrali, in modo da ampliare il livello di servizio per gli studenti. Puntiamo ad avere, per il secondo semestre, alcuni corsi blended, che prevedono la parte teorica con un format registrato e la parte applicativa in aula. Stiamo lavorando anche per sviluppare l’internazionalizzazione dell’ateneo, potenziando l’offerta formativa in lingua inglese, iniziando ad attrarre studenti dall’estero, portando avanti l’iter per gli accreditamenti AACSB e EFMD.
In uno scenario che sta cambiando velocemente. In un mercato sempre più competitivo. LIUC quali aspettative si pone per il futuro?
In primis, quello di fare il proprio mestiere di Università. In tal senso, per quanto di mia competenza, vedo un posizionamento di nicchia, attorno ai corsi di Laurea di Economia e di Ingegneria Gestionale, nella loro articolazione in triennale e magistrale. Al contorno, l’avvio di qualche progetto di durata annuale, in forma di master universitario, meglio se in collaborazione con partner esterni. In sintesi, più qualità che volumi. Con un “nota bene”: la qualità non deve essere solo nell’offerta formativa, ma anche nella ricerca e nella terza missione, che ha nella LIUC Business School una componente fondamentale. Concludo osservando che la strada verso il futuro non può che ruotare attorno alla faculty di ruolo, perno di funzionamento e vettore di sviluppo di qualsivoglia progetto universitario. Strada se ne è fatta, strada se ne deve ancora fare.
quali prestiamo particolare attenzione.
Manca poco. Tra qualche settimana l’Insubria si presterà ad accogliere nuovi giovani talenti. Quale l’offerta formativa per il nuovo anno accademico?
L’Università dell’Insubria offre 42 corsi di laurea in diverse aree disciplinari: sanitaria, giuridica ed economica, scientifica e tecnologica, delle scienze umane e sociali, sportiva. Quest’anno abbiamo introdotto qualche novità. Ci sarà un nuovo corso “Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”, che sarà erogato a Como nell’ambito delle professioni sanitarie. E poi la versione “Digitale integrato” di “Economia e management dell’innovazione e della sostenibilità”, che permette di svolgere due terzi della didattica a distanza per gli studenti lavoratori. Infine, un’altra new entry sarà “Biologia e sostenibilità” che avrà come sede Busto Arsizio.
I dati sulle immatricolazioni stanno tornando ai livelli pre-Covid. Per quest’anno quali aspettative avete? Abbiamo avuto una grande partecipazione, la più alta di sempre, agli Open Day. Abbiamo fatto un enorme lavoro di orientamento con le scuole anche grazie al progetto ministeriale 4U University-Lab. Ci aspettiamo di accogliere studenti e non numeri. E, come tutti gli atenei, di riportare le immatricolazioni al periodo pre-pandemia, intorno al 9%. All’apertura delle iscrizioni, Biotecnologie è andata sold out in 54 minuti.
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FOCUS ATENEI
Federico Visconti
Angelo Tagliabue
Angelo Tagliabue, Insubria: “L’Università dell’Insubria offre 42 corsi di laurea in diverse aree disciplinari: sanitaria, giuridica ed economica, scientifica e tecnologica, delle scienze umane e sociali, sportiva”
InvestEU: garanzia FEI da 110 milioni di euro al Gruppo BPER Banca per investimenti sostenibili e innovativi
Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI), che fa parte del Gruppo BEI, offre al Gruppo BPER Banca (BPER Banca e Banco di Sardegna), assistito da Banca Finint, una garanzia del valore di 110 milioni di euro. L’accordo promuoverà gli investimenti realizzati dalle piccole e medie imprese (Pmi) e dalle mid-cap di piccole dimensioni nel campo della sostenibilità, dell’innovazione, della digitalizzazione e, in misura minore, nei settori della cultura e della creatività. Le operazioni del FEI beneficiano del sostegno del programma InvestEU.
Grazie al sostegno del FEI e alla garanzia InvestEU da cui è assistito, BPER potrà continuare a promuovere non solo la trasformazione dell’economia per renderla più verde e sostenibile, ma anche gli investimenti nei settori della cultura e della
creatività, favorendo così il fiorente ecosistema italiano, con la sua agilità e innovatività, nonché consolidandone al tempo stesso la resilienza. Il nuovo accordo consentirà al Gruppo BPER di offrire alle imprese italiane garanzie per 110 milioni grazie alle quali si potrà costituire un portafoglio di prestiti garantiti dal FEI per un massimo di 240 milioni di euro. Paolo Gentiloni, Commissario europeo per l’Economia, ha dichiarato: “L’accordo InvestEU favorirà i progressi dell’Italia verso un’economia resiliente che sia al tempo stesso più verde e innovativa. Anche grazie a questo tipo di sostegno le imprese italiane potranno crescere e creare posti di lavoro di qualità”.
Alessandro Tappi, Chief Investment Officer del FEI, ha affermato: “Siamo molto contenti di collaborare ancora
una volta con BPER, una banca che ha beneficiato di diversi programmi di garanzia del FEI a sostegno delle esigenze di investimento delle Pmi in Italia. Questo accordo consentirà alle piccole imprese italiane di portare avanti la propria transizione in senso verde e digitale aumentandone così la competitività e la resilienza”.
Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Banking Officer di BPER Banca, ha aggiunto: “L’accordo è particolarmente importante in quanto punta a rafforzare il sostegno finanziario a favore delle imprese che perseguono gli obiettivi ESG e contribuiscono ad aumentare il livello di innovazione nel nostro Paese. Pertanto, non posso che esprimere piena soddisfazione per l’opportunità che ci è stata offerta di assistere i clienti con questa particolare forma di finanziamento nel quadro del programma InvestEU”.
Il Direttore Generale del Banco di Sardegna, Giuseppe Cuccurese, ha concluso: “Con la firma di questo accordo anche il Banco di Sardegna potrà disporre di un importante strumento a supporto delle imprese che investono in progetti di sviluppo innovativi e sostenibili, affiancando alla propria gamma di prodotti e servizi le opportunità offerte dal Fondo Europeo per gli Investimenti”.
Nella foto, da sinistra, Alessandro Tappi, Chief Investment Officer del FEI e Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Banking Officer di BPER Banca
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RIPARTENDO dagli Its
Chiara Mazzetti
Una leva concreta di attrattività per il territorio.
Un’occasione di rilancio e riscatto per giovani in cerca di una collocazione nel mondo del lavoro.
Un’opportunità di impiego e di contatto diretto con le imprese. I percorsi post-diploma degli Istituti Tecnologici Superiori rappresentano questo e molto altro. A fare il punto sui progetti delle Fondazioni varesine, a ridosso dell’inizio di un nuovo anno scolastico, i Presidenti di
Mobilita Its Academy e Its Incom, Angelo Candiani e Benedetto Di Rienzo
In che modo gli Its Academy del Varesotto possono diventare un elemento attrattivo per il territorio stesso? Cosa cercano i ragazzi negli Its? Cosa fanno gli Its per attrarre giovani? A ridosso dell’inizio di un nuovo anno scolastico, anche gli Its, gli Istituti Tecnologici Superiori che formano super esperti grazie a corsi post-diploma altamente professionalizzanti, fanno il punto della situazione, tra dati occupazionali da record e concrete opportunità di crescita.
Come racconta Angelo Candiani, Presidente della Fondazione Mobilita Its Academy di Case Nuove, specializzata in mobilità sostenibile
per la filiera dei trasporti e della logistica intermodale: “Gli Its Academy hanno la caratteristica di essere progettati per competenze e non a tavolino, ma con il coinvolgimento diretto delle aziende, da cui nasce la proposta di un corso. Si parte, quindi, da quelle che sono le esigenze reali e concrete e questa caratteristica rende unico ciascun percorso. Dove altro è possibile trovare la traduzione, in una proposta didattica e formativa, delle richieste delle imprese? Da nessun’altra parte. La concretezza è immediata e tangibile”.
A confermare le parole di Candiani sono gli esiti occupazionali degli
studenti e delle studentesse che scelgono di specializzarsi in un Its: oltre il 90% di chi frequenta un corso di questo tipo, trova un posto di lavoro, coerente con il proprio percorso di studi, ad un anno dal diploma.
“Il 10-15% dei ragazzi che frequentano Mobilita Its Academy arriva da regioni lontane, come il Lazio, la Campania, la Puglia e il Veneto, proprio per specializzarsi qui, in provincia di Varese ed avere poi l’opportunità di cercare (e trovare) lavoro nelle aziende del territorio. Le possibilità non mancano e sono, in molti casi, istantanee”. A fare eco a Candiani è l’esperienza di Benedetto Di Rienzo, Presidente della Fondazione Its Incom di Busto Arsizio, con focus sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: “Gli Its Academy propongono percorsi formativi altamente qualificati negli ambiti lavorativi più innovativi. Possono perciò essere considerati un elemento attrattivo per giovani diplomati fino ai 29 anni, a livello locale, ma anche su scala nazionale. Far conoscere gli Its del nostro territorio significa contribuire alla riduzione della dispersione scolastica postdiploma e universitaria e assicurare possibilità di realizzazione personale e professionale a ragazze e ragazzi, attraverso modalità di studio concrete e laboratori esperienziali, strettamente
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connessi con il mondo del lavoro e capaci di valorizzare e stimolare i loro contributi creativi”. La scommessa per i prossimi anni? “Recuperare fuori dei confini provinciali, nazionali e anche internazionali le risorse umane disponibili alla formazione professionalizzante che possa garantire una risposta adeguata alla necessità di fabbisogno occupazionale di qualità che le imprese della provincia di Varese richiedono, per un cambio generazionale e di livello di competenze necessarie soprattutto nell’ambito digitale”, precisa Di Rienzo.
E quindi cosa si aspettano i giovani che si approcciano all’universo degli Istituti tecnici superiori della provincia di Varese? Secondo Benedetto Di Rienzo “un ambiente formativo ben strutturato ma non formale o accademico, insegnamenti concretamente attinenti al mondo delle professioni e del lavoro. I ragazzi apprezzano soprattutto la possibilità di mettere le mani in pasta in azienda, lo studio in team pluridisciplinari e le esperienze di tirocinio all’estero tramite i programmi Erasmus”. A detta di Angelo Candiani le aspettative si giocano tutte, di nuovo, sulla possibilità concreta e tangibile di entrare in contatto con le imprese: “Un giovane che sceglie di specializzarsi in un corso Its trova aziende disposte a stringere relazioni per una futura attività lavorativa, fin dalla prima ora del primo giorno di lezione”.
Cosa fanno quindi gli Its del Varesotto per essere attrattivi nei confronti dei giovani ed andare incontro il più possibile alle loro aspettative? Oltre alle classiche attività divulgative come gli open day, l’uso dei social network per far conoscere l’offerta formativa, l’organizzazione di eventi di formazione per i docenti orientatori, il Presidente di Its Incom spiega che “l’attrattiva principale degli Its, soprattutto in provincia di Varese, è data essenzialmente dalla ricca e preziosa collaborazione
che le imprese offrono sia nella partecipazione diretta alla formazione sia nelle lezioni in aula sia nelle attività di tirocinio”.
Il Presidente di Mobilita Its Academy sottolinea infine il potere attrattivo degli Its nei confronti di una determinata fascia di studenti:
“Il 40-45% dei ragazzi che vengono da noi hanno tra i 23 e i 26 anni e, quindi, si sono diplomati già da qualche anno. Molto spesso hanno
alle spalle esperienze lavorative oppure universitarie non andate a buon fine e, volendosi rimettere in gioco, scelgono un percorso Its in grado di garantire una quantità e qualità di competenze che permetta loro di crescere e rilanciarsi. Ci sono, tuttavia, ampi margini di manovra, a cominciare dai giovani in uscita dalle scuole superiori che andrebbero meglio informati sulle opportunità fornite dagli Its”.
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Mobilita Its Academy
Its Incom
UNA PROVINCIA che scompare
Paola Margnini (Responsabile Centro Studi Confindustria Varese)
Ci sono i 65mila varesini residenti all’estero (come Gallarate e Luino messe insieme). I 32mila frontalieri che lavorano in Svizzera (l’equivalente di Saronno). Ma soprattutto i 24.500 giovani Neet (più della città di Tradate).
intero pezzo di territorio in fuga. Senza contare una curva demografica impietosa, a cui si accompagnano gli insufficienti livelli di laureati e di diplomati per far fronte alle richieste di competenze delle imprese
Iproblemi demografici da sempre muovono la storia. L’energia di un popolo dipende anche dal suo equilibrio interno in termini di popolazione. Non serve scomodare il Ratto delle Sabine di romana memoria per comprendere come da questa curva, quella demografica appunto, dipenda la sostenibilità di qualsiasi modello di sviluppo economico e sociale, così come la competitività internazionale di un Paese. Le capacità di crescita di un territorio e delle sue comunità, sotto qualsiasi aspetto le si voglia guardare, dipendono strettamente dalla composizione della sua popolazione. Ed ancor più strettamente dall’energia che riesce ad esprimere. È qui che
diventa fondamentale l’apporto dei giovani e le competenze presenti. Perché lì si nasconde il potenziale.
E Varese sul proprio equilibrio demografico ed energetico ha molto da lavorare.
Le proiezioni demografiche al 2031, che sono già scritte nei dati di oggi, ci avvertono che la provincia progressivamente si squilibra. Con una popolazione anziana dai 65 anni in su che toccherà il 27,5% (contro il 24,5% attuale), con una popolazione attiva che potrebbe scendere al 61,5% ed una fascia di giovani attorno all’11%. Un ragazzino ogni 3 nonni circa.
I territori che progrediscono sono quelli che conservano vitalità, che hanno in sé l’entusiasmo e la creatività
dei giovani capaci di intraprendere sempre nuove iniziative e cambiare il mondo. Eppure, giovani e meno giovani, sono in molti a decidere di portare altrove le proprie competenze.
Solo negli ultimi 5 anni sono saliti del 18,4% i varesini iscritti all’Aire (l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), superando quota 65mila. È come se fossero emigrate le città di Gallarate e Luino messe insieme. E purtroppo non è la sola via di fuga. Su un altro fronte, quello svizzero, “perdiamo” circa 32mila persone che ogni giorno varcano il confine come frontalieri. L’equivalente della città di Saronno. I pendolari verso Milano sono difficilmente quantificabili.
Tuttavia, quello che più preoccupa sono i giovani che non partecipano. Quei Neet (acronimo inglese che sta per “Not engaged in Education, Employment or Training”) che stiamo perdendo alla vita attiva. Un bacino di circa 24.500 giovani (molto più della città di Tradate), tra i 15 e i 29 anni, che per diverse ragioni non risultano né occupati né inseriti in un percorso di istruzione. I motivi possono essere differenti, ma rimane la sensazione di un disagio di fondo che merita attenzione.
Di fronte a queste dinamiche demografiche, il risultato è quello di una provincia che fa sempre più fatica a mantenere un equilibrio soddisfacente in termini di numeri e competenze disponibili sul mercato del lavoro locale.
I numeri sono importanti, ma lo è altrettanto la qualità e le imprese ben lo sanno. Perché sono
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È come se mancasse all’appello dello sviluppo un
chiamate ad affrontare la cosiddetta “metamorfosi del mercato del lavoro” in cui l’interazione uomo-macchina (che apprende) interviene sulle mansioni, sui profili professionali e sulle competenze necessarie in modo profondo. Si sta aprendo un nuovo orizzonte per il lavoro o, meglio, per i lavori (al plurale), come sostiene Daniele Marini nella ricerca del Mercato del lavoro promossa da Federmeccanica. Il tradizionale confine tra lavoro manuale e intellettuale impallidisce di fronte alla realtà oggettiva delle mansioni svolte da molti occupati in una fabbrica moderna in cui tecnologia e servizi sono penetrati profondamente.
Le statistiche tradizionali non arrivano ancora a fornire una descrizione sufficientemente analitica delle competenze soft richieste ai lavoratori di nuova generazione; tuttavia, è interessante ragionare su alcune evidenze.
Innanzitutto, il livello di istruzione della popolazione con più di 15 anni sta migliorando man mano che cambia la distribuzione delle coorti di età nella curva demografica. Sale il tasso di laureati della provincia di
Varese (14,4% nel 2020 vs 10,9% nel 2013), ma rimane al di sotto della media lombarda (16,5%) ed anche della media nazionale (15,3%). Si potrebbe fare di più in una provincia con due importanti poli universitari.
Al contrario con il 39,2% di diplomati Varese rimane invece al di sopra della media sia lombarda (37,7%) sia nazionale (36,6%). Dal punto di vista della composizione, i diplomati appartengono per lo più all’area liceale (46,1%), seguita da quelli dell’area tecnica (36,5%). Sono invece in progressiva diminuzione le aree professionali, attestatisi al 17,4% nell’anno scolastico 202122 contro il 22,7% di appena un quinquennio prima. Una volta raggiunto il diploma, poi, più della metà (54,5%) decide di intraprendere il percorso universitario. Ciò significa che, mal contati e senza distinzione per diploma di provenienza, entrano nel mercato del lavoro poco meno di 3.400 diplomati residenti in provincia di Varese ogni anno. Solo le imprese manifatturiere sono circa 7.700.
Il problema è tutto lì. Problema che si aggrava ulteriormente se si vanno ad indagare le specializzazioni dei
diplomati indipendentemente dalla scelta se proseguire o meno negli studi. Nell’area tecnica si individuano due grandi settori: il settore economico e turismo con 1.350 diplomati ed il settore tecnologico con 1.340 diplomati. A cui si aggiungono i liceali, 3.400 di cui la maggior parte dell’area scientifica (1.400) e l’area professionalizzante dell’istruzione professionale Ip (1.000) e istruzione e formazione professionale IeFP (290).
Anche volendo tenere conto dei circa 4.600 laureati annui residenti in provincia di Varese, che non è detto che qui lavorino, e che si rivolgono a molteplici sbocchi professionali, se si va dall’area umanistica a quella tecnica a quella sanitaria, il problema rimane.
Insomma, incrociando numeri, specializzazioni e fughe dal territorio si intuisce facilmente quale sia il contesto in cui matura il famoso mismatch del mercato del lavoro. Un fenomeno che sta segnando pesantemente le prospettive del nostro sviluppo, di economia, ma anche di società capace di crescere. Di fronte a un pezzo di provincia che scompare, qualcosa dovremo pure inventarci.
NEET | GIOVANI CHE NON LAVORANO E NON STUDIANO (15-29 ANNI IN %)
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DI attrattività
Davide Cionfrini
la costruzione di spazi per garantire condivisione ed espressione. Le idee di Confindustria Varese per una provincia più a misura di giovani
è la sensazione di un disagio di fondo che merita l’attenzione del territorio e con esso di tutte le imprese”. Il riferimento del Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi, è al mondo dei giovani e a quel bacino in crescita dei Neet, un acronimo dell’espressione inglese “Not engaged in Education, Employment or Training”. Ossia tutti quei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, né sono in cerca di un’occupazione. Un fenomeno che in provincia di Varese è più marcato rispetto al resto della Lombardia, con il coinvolgimento del 19,6% della popolazione giovanile, un punto in più della media regionale. Lo scenario preoccupa sempre di più gli industriali varesini anche perché a completarlo ci sono dinamiche demografiche in picchiata e le emorragie di competenze
verso le forze attrattive dei salari svizzeri e della dinamicità milanese. “Il risultato – tira le somme Grassi – è quello di una provincia che fa sempre più fatica a permettere alle persone di realizzarsi nel lavoro e nelle proprie passioni”.
Con quali conseguenze per il sistema economico locale?
Ragionando in termini imprenditoriali potremmo dire di essere di fronte ad un bilancio sociale di territorio dove tutte queste voci andrebbero ascritte alla colonna delle perdite. Perdite di energie,
entusiasmi, capacità, welfare.
Qual è la strategia che Confindustria Varese suggerisce al territorio? Dobbiamo partire dalla consapevolezza che le imprese varesine devono essere più attrattive nei confronti delle persone in generale e dei giovani talenti in particolare. Deve essere più attrattiva, però, anche tutta la provincia di Varese. Non ci possono essere isole aziendali felici in un contesto di aridità di occasioni. Così come non ci può essere un territorio attrattivo
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Gli investimenti sulla vocazione sportiva del territorio anche in ottica di dar vita ad una nuova imprenditorialità di settore. L’impegno delle aziende per creare luoghi ispirati a nuovi modelli organizzativi. La valorizzazione della cultura (prima di tutto quella d’impresa) e dell’arte con
‘‘C’
È
QUESTIONE
Roberto Grassi
senza imprese disposte a ripensare i modelli organizzativi di gestione del lavoro e della sua conciliazione con la vita privata delle persone. Con tutti i loro bisogni. Da quelli di svago a quelli di cura del proprio ambito familiare.
Quali sono le azioni concrete che intendete mettere in campo o che avete già intrapreso?
Uno dei principali progetti strategici lanciati nel mio mandato è destinato proprio al tema del welfare e delle persone: “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme”. Un’iniziativa che fino a qualche anno fa nessuno pensava potesse rientrare nella sfera di azione di un’associazione datoriale, ma che oggi è centrale nella capacità di affiancamento delle imprese nei loro percorsi di crescita competitiva. Cambia il mondo, cambia la rappresentanza. Persone al centro per Confindustria Varese non è uno slogan. È una strategia fatta di piccole e grandi azioni concrete, molte delle quali portate avanti insieme ai Sindacati del nostro territorio.
Mondo delle aziende a parte, cosa può rendere più attrattivo il Varesotto?
Un elemento di forte attrattività è rappresentato sicuramente dalla vocazione sportiva della nostra provincia che ci può aiutare a costruire un’immagine nuova. Anche per questo abbiamo tenuto la nostra ultima Assemblea Generale a luglio al Palaghiaccio di Varese. Per ribadire il nostro nuovo impegno, unito a quello degli altri stakeholder, in primis la Camera di Commercio e la Provincia, per trasformare tutto il territorio di Varese in una wellness destination. Un’area in cui lo sport può rivestire, insieme alla comunicazione delle nostre bellezze naturali ed alla valorizzazione della nostra cultura e delle sue ricadute creative, un elemento di sviluppo economico. Perché l’impegno nel sostegno allo sport, alle sue tante società e associazioni, ai grandi eventi non può limitarsi al
mecenatismo. Negli ultimi 10 anni Varese nella classifica della qualità della vita si è sempre piazzata nelle prime 10 posizioni per indice di sportività. Inteso come un diffuso impegno di persone, associazioni, amministrazioni locali per il mondo dell’agonismo a ogni livello, sia professionistico, sia dilettantistico. E in questo generale fermento c’è un dato che ci rende tutti ancor più orgogliosi. Alla singola voce di indice di sportività nelle discipline paralimpiche Varese è prima assoluta a livello italiano da diversi anni. Se ben comunicata e narrata la Varese dello sport può essere un volano di attrattività di giovani e, perché no, di una rinnovata imprenditorialità di settore. Ma se lo sport è uno dei temi attorno ai quali costruire la nuova immagine di una Varese accogliente in tutti gli ambiti di vita, non possiamo tralasciare di coltivare un’altra attitudine che merita di essere valorizzata. Quella della cultura e dell’arte.
Sul fronte artistico e culturale, però, non crede che altri territori abbiano una vocazione più spiccata? Varese su questo fronte può competere ad armi pari e con quali strumenti?
Il problema è che non siamo abituati a riconoscerci come territorio di arte. Eppure, sono tante le forme legate alla creatività, all’uso del colore e del design che ci caratterizzano anche come industria. Per questo sosteniamo che l’asso nella manica per Varese può essere rappresentato dalla valorizzazione della sua cultura d’impresa. Pensiamo alle tintorie tessili che hanno da sempre lavorato con l’alta moda stampando e colorando magnifici tessuti. Pensiamo all’occhialeria e alle lastre di acetato con le trasparenze multicolore, pensiamo alle lavorazioni jacquard che ci hanno resi famosi nel mondo (con l’arte e i colori di Missoni diventati mostra internazionale), pensiamo ai disegni e alle trame dei ricami. Pensiamo all’arredamento. Pensiamo al design che accompagna
la tecnologia dei nostri elicotteri ed aerei conservati nel Museo Agusta e di Volandia. Pensiamo a ciò che è stata la realtà della ceramica di Laveno con il patrimonio di designer e decoratori che seppe sviluppare attorno a sé. C’è una sensibilità all’arte che spesso ha portato imprenditori, designer, appassionati a realizzare collezioni straordinarie (come quella di Villa Panza e della Rocca di Angera o come quella privata del compianto Giuseppe Merlini), a raccogliere le proprie opere (come Marcello Morandini) e ad ospitare mostre temporanee in luoghi insoliti (come Sea a Malpensa). Ci sono esempi di valore. Abbiamo la fortuna di avere anche un Museo come il MA*GA che consente ai giovani di fruire dei propri spazi con aree di studio, di aggregazione, di scambio artistico. È anche così che si attraggono i talenti e che si creano ambienti culturali in cui la creatività può essere valorizzata alimentando bacini di idee, di confronto e di fermento.
Dunque? Su cosa dovrebbe investire Varese per attrarre i giovani? Sulla creazione di luoghi stimolanti di espressione e condivisione. È così che si lascia spazio alla vitalità e si creano nuove prospettive. È il modello di quanto cerchiamo di fare come Confindustria Varese insieme alla LIUC – Università Cattaneo con la costruzione a Castellanza della cittadella del sapere e del saper fare: Mill – Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics. È un modello che vediamo all’estero e che attrae giovani (e turisti) creando ambienti favorevoli allo sviluppo di cultura. Ambienti di un territorio in cui ciascuno di noi, indipendentemente dall’età, vorrebbe vivere. È un disegno ambizioso quello di cui stiamo parlando. Un disegno di riqualificazione non solo urbana, ma di stili di vita. Un progetto che si costruisce solo insieme. E che mira a valorizzare il brand di una Varese in cui si fanno bene le cose. Un progetto che ci deve portare a scendere su nuovi campi di gioco.
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Per ogni scuola UN PROGETTO CON LE AZIENDE
Chiara Mazzetti
Eureka, il Pmi Day, Generazione d’Industria, gli Its, Latuaideadimpresa, l’Università: l’impegno di Confindustria Varese sul fronte education, portato avanti in stretta sinergia con le imprese del territorio, è totale. Progettualità per tutte le fascia d’età, ciascuna pensata per coltivare negli studenti, indipendentemente dalla loro età, attitudini, creatività
ella prospettiva di un perdurante inverno demografico e quindi di una società sempre più anziana e con pochi giovani, l’unica strada possibile per attrarre talenti nelle imprese del nostro territorio è costruire una partnership con le scuole e dare fiducia ai giovani, ascoltandoli e accogliendoli in azienda per valorizzare le loro capacità. Non basta più parlare con i professori e fare orientamento, ma occorre mettere al centro dell’attenzione i ragazzi e le ragazze, con la loro innata capacità di innovare, stimolandone le curiosità e promuovendone l’impegno”. A parlare è Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese che, da anni, si impegna a coltivare un rapporto sempre più stretto con il mondo della formazione, promuovendo progetti di ogni tipo, a misura di studenti. A
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e fiducia nelle proprie capacità
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In queste pagine le foto del primo Education Day di Confindustria Varese
partire dalle scuole elementari fino ad arrivare ai percorsi post-diploma degli Its, passando per Università e medie. Un’attività pronta a ripartire anche con il nuovo anno scolastico 2023/2024.
“A preoccupare un’associazione datoriale come la nostra sono anche i Neet varesini, un bacino di circa 24.500 giovani (molto più della città di Tradate) che per diverse ragioni non risultano né occupati né inseriti in un percorso di istruzione. I motivi possono essere differenti, ma rimane la sensazione di un disagio di fondo che merita l’attenzione del territorio”, tiene a precisare Grassi.
Cosa fa, dunque, Confindustria Varese, in stretta sinergia con le imprese del Varesotto, per cercare di colmare questo gap tra il mondo dell’industria e quello della scuola? Un progetto scolastico dedicato ad ogni fascia d’età, ciascuno pensato per coltivare nelle nuove generazioni la cultura d’impresa, per far loro conoscere le aziende come comunità di lavoro, ma anche luoghi di condivisione, di relazioni e di benessere per il proprio progetto di vita. Si parte dai più piccoli, con Eureka, una gara di costruzione di giochi tecnologici, per gli studenti delle elementari, organizzata a livello nazionale da Federmeccanica e a livello locale dai Gruppi merceologici di Confindustria Varese delle imprese “Meccaniche” e delle “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie”.
Si passa poi al Pmi Day, manifestazione di orientamento, promossa dal Comitato Piccola Industria di Confindustria Varese, dedicata a quasi 6.000 ragazzi delle medie in procinto di scegliere la scuola superiore. Gli studenti e le studentesse, guidati da imprenditori e manager, vanno alla scoperta delle imprese del Varesotto grazie a tour guidati direttamente nei reparti produttivi, lasciandosi ispirare da ciò che vedono, per creare temi ed elaborati su argomenti come il contrasto alla contraffazione, il valore
del made in Italy, l’importanza della sostenibilità.
Per i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori c’è il progetto Generazione d’Industria, con borse di studio, stage e lezioni per gli studenti degli Istituti tecnici industriali ed economici del Varesotto. E poi ancora Latuaideadimpresa, in capo al Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, rivolto agli alunni degli ultimi tre anni delle scuole superiori, chiamati a formulare idee d’impresa per l’avvio di una startup, con relativo business plan e video di presentazione, che ha visto nelle ultime due edizioni, quella del 2022 e quella del 2023, salire sul gradino più alto del podio nazionale idee made in Varese. Tutte progettualità premiate, nel 2023, nel corso del primo Education Day, un unico grande evento organizzato da Confindustria Varese per celebrare il merito e l’impegno di quasi 200 studenti e studentesse di ogni età del territorio.
“Con i nostri progetti siamo entrati nelle scuole insieme a decine di imprese – afferma Silvia Pagani, Direttore di Confindustria Varese – con migliaia di ragazzi e ragazze e la collaborazione di centinaia di docenti abbiamo costruito prototipi. Abbiamo progettato nuove idee d’impresa. Abbiamo organizzato visite in azienda. Abbiamo fatto lezioni.
Abbiamo parlato di sostenibilità. Abbiamo avviato stage. Abbiamo organizzato concorsi di idee ed elaborati. Abbiamo raccontato il made in Italy. Abbiamo investito nel nostro futuro, introducendo le nostre nuove generazioni alla cultura d’impresa e al saper fare. È stato un arricchimento reciproco. Un grande impegno portato avanti con progetti concreti da tutto il nostro sistema produttivo e pensati per gli studenti di ogni età. Ciò dimostra quanto sia prioritario per le aziende puntare sui giovani e impegnarsi in iniziative di responsabilità sociale insieme al mondo dell’istruzione”.
Come non citare poi la LIUC –Università Cattaneo di Castellanza, fondata oltre 30 anni fa dagli industriali varesini per formare i futuri professionisti d’impresa, gli Its made in Varese, corsi post-diploma altamente professionalizzanti di cui Confindustria Varese è uno dei principali sponsor sul territorio, con la partecipazione a 6 Fondazioni per la formazione di tecnici specializzati, ad esempio, in meccatronica, robotica, edilizia sostenibile, tessile, chimica, logistica e industria aerospaziale. Infine, c’è lo sguardo rivolto al futuro con il progetto della costruzione, a fianco della LIUC, di Mill, la fabbrica del sapere e del saper fare, tra gli obiettivi del Piano Strategico #Varese2050.
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Imprese tra BOOMERS E MILLENNIALS
Francesca Cisotto
Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, il 46,7% degli occupati vorrebbe lasciare la propria mansione. Di questi, il 50,4% è un giovane. Tra le ragioni, in primis, l’impossibilità a progredire in carriera e la mancanza di comunicazione intergenerazionale in azienda. Un malcontento a cui cerca di dare spiegazioni e soluzioni Maria Elettra Favotto, human diamond polisher di Askesis Società Benefit Srl
Come si gestisce in azienda l’incontro tra più generazioni? Cosa chiedono i giovani ai datori di lavoro? Che preoccupazioni hanno i dipendenti con più esperienza di fronte all’ingresso di nuovi talenti con cui lavorare fianco a fianco? Perché le imprese faticano a trovare lavoratori freschi di studi? Queste alcune delle domande a cui cerca di dare risposta Maria Elettra Favotto, human
diamond polisher di Askesis Società Benefit Srl, formatrice specializzata nella gestione dei millennials: quei giovani nati tra l’inizio degli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90, conosciuti anche come “Generazione Y”.
Non sembrano esserci ingredienti segreti per far nascere ottime sinergie tra i senior e i junior. Non esiste una strategia universale per attrarre talenti. E nemmeno un manuale da seguire per far andare d’accordo le generazioni nonostante
le età, talvolta molto distanti, le priorità, spesso differenti e i modi di affrontare le sfide della vita, per ovvi motivi diversi. “Di ricette se ne sentono tante, ma forse non ne esiste solo una corretta – sottolinea Maria Elettra Favotto –. L’importante è essere consapevoli della normale diversità che sussiste tra le persone. Già questo ci aiuterebbe a porci nella maniera giusta davanti e accanto a coloro che andiamo a conoscere”. Perché, come tiene a precisare la
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formatrice Favotto, “laddove ci sono dei problemi, attraverso delle persone che la pensano in modo diverso, abbiamo la possibilità di trovare maggiori soluzioni che ci possono rendere anche più attrattivi agli occhi degli stakeholder”. Un po’ come a dire che più diversità è presente nell’organizzazione e maggiore è la possibilità di acquisire valore. La propensione all’ascolto e la profonda volontà di creare qualcosa di nuovo grazie a quel saper mettere in comune le conoscenze. È questo, forse, il connubio che fa da chiave per schiudere tutte le porte.
E non è solo una questione di equilibrio e armonia all’interno delle mura aziendali. Bensì anche di costi. Sì, perché, come sottolinea la formatrice, “se non comprendiamo che generazioni diverse hanno valori diversi, se non siamo sensibili ai loro bisogni, se non cambiamo ciò che va modificato per essere in grado di ospitarli, è facile che i giovani talenti fuggano dal luogo di lavoro”. Quindi non si tratta solo della capacità di attrarli, ma anche di trattenerli.
Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale (marzo 2023), il 46,7% degli occupati vorrebbe lasciare la propria mansione. Di questi, il 50,4% è una popolazione giovane, mentre solo il
6,3% riguarda i lavoratori più anziani. Ma non è tutto: tra le persone che cambierebbero volentieri incarico, il 41,6% sono impiegati, mentre il 58,6% sono lavoratori con mansioni esecutive; a livello di titolo di studi, invece, il 45,7% sono diplomati e il 37,9% laureati. Tra le ragioni del desiderio di fuggire c’è, in primis, l’impossibilità a progredire in carriera. Un malcontento che accomuna il 65% degli occupati.
Ma perché questa insoddisfazione? Dipenderà forse dalla mancanza di sinergia e di visione? Qual è il clima che queste persone respirano sul luogo di lavoro?
“Non vengo coinvolto”. “Mi danno poco da fare”. “Non capisco il senso di quello che stiamo facendo”. Queste alcune delle frasi che la formatrice di Askesis sente ripetere dai giovani.
“Non capisco perché comunichino con messaggi privi di formalità”.
“Li vedo pigri”. “Vorrei investire in loro, ma non so quanto fidarmi perché se ricevono un’offerta migliore scappano”. Queste, invece, le convinzioni dei vertici aziendali o dei colleghi con più esperienza, che rivelano una difficoltà a capire e a valorizzare i più giovani.
Ecco, allora, dove si inserisce l’importanza dell’ascolto. “Le new entry non possono sapere tutto ma a volte possono stupirci. È da qui che nascono i punti di forza di un’impresa – tiene a chiarire la formatrice –. E poi non potremo mai sapere se il giovane domani andrà altrove, ma se
tutti facessimo lo sforzo di investire nella formazione, per ogni ragazzo o ragazza che andrà via, ne arriveranno altri formati da un’altra azienda che ha creduto in loro”. Tra l’altro, la formazione per una crescita sia professionale, sia personale “è ciò che chiedono i giovani di oggi più di altre generazioni”. Una richiesta legata, forse, alla consapevolezza di doversi reinventare più volte, dati i tempi e le trasformazioni in atto.
Quello tra senior e junior, allora, è un dialogo intergenerazionale che non può essere una scelta ma una via obbligata, perché fondamentale per la crescita dell’intera realtà lavorativa.
La “gamification”, l’applicazione del game design al contesto lavorativo per il raggiungimento degli obiettivi; il “reverse mentoring”, ovvero quei momenti di contaminazione dove sono i più giovani a fare da mentori ai più adulti; le attività di volontariato in organizzazioni giovanili. Queste, ad esempio, le iniziative utili a diffondere quella cultura ospitale per tutte le generazioni che necessariamente devono coesistere, trasferirsi conoscenze e scambiarsi un sapere non solo pratico. “Si tratta anche di valori, identità e anima aziendale che è bene venga tramandata nel futuro”. Un’integrazione tra senior e junior necessaria, in vista anche di quel passaggio di testimone che non avviene solo tra l’imprenditore a capo dell’impresa e i suoi eredi, ma a tutti i livelli, tra veterani e giovani talenti.
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Maria Elettra Favotto
COME COMBATTERE IL disagio giovanile
Alessia Lazzarin
Una piaga sociale in forte crescita tra preadolescenti e adolescenti. Un malessere fisico o psicologico che, nel periodo post-pandemia, ha subìto un’impennata senza precedenti. Le diagnosi, secondo l’equipe dell’Ospedale Del Ponte di Varese, sono raddoppiate. Ansia, autolesionismo, depressione, disturbi alimentari o del sonno: sono alcune delle gravi patologie che stanno colpendo ragazzi e ragazze. Un fenomeno da contrastare anche con l’impegno delle imprese
nche prima della pandemia il disagio giovanile lanciava segnali preoccupanti, l’arrivo del Covid, però, ha drasticamente peggiorato la situazione. I ragazzi più fragili si sono trovati, all’improvviso, senza i loro punti di
riferimento. Ci sono sintomi che sono più che raddoppiati, come per i casi di autolesionismo. È fondamentale intercettare il prima possibile qualsiasi campanello di allarme per intervenire prontamente. Chiunque vive vicino ai giovani deve saper cogliere situazioni critiche. Mi riferisco ai genitori, agli allenatori e agli educatori”. Emanuela Crivellaro, Presidente
e volontaria della Fondazione “Il Ponte del Sorriso Onlus” lancia un grido di allarme a tutta la comunità varesina per combattere il fenomeno del disagio giovanile. Un fenomeno sociale, purtroppo, in forte crescita, sempre più diffuso tra preadolescenti e adolescenti. “Abbiamo deciso di intervenire con un’iniziativa che aiuti concretamente i ragazzi dai 6 ai 18 anni non compiuti della provincia di Varese che si trovano a dover affrontare situazioni critiche –spiega Crivellaro –. ‘SOStegno Km 0’ è un’iniziativa che nasce proprio con questo scopo: supportare bambini, adolescenti e familiari che si trovano a gestire queste problematiche. È meglio fare prevenzione piuttosto che intervenire su situazioni già in stato avanzato”.
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Laura Sinatra
Sharmine Carluccio
Emanuela Crivellaro
GUARDA L’INTERVISTA VIDEO
Il Progetto è stato riconosciuto da Fondazione Cariplo, impegnata nel sostegno e nella promozione di progettualità di utilità sociale. “Cariplo ha emanato il bando ‘Attenta-mente’, al quale abbiamo partecipato in stretta collaborazione con Asst Sette Laghi e in partenariato con il Centro Gulliver di Varese –informa Crivellaro –, ottenendo un finanziamento di ben 185mila euro”.
Ansia, depressione, disturbi alimentari e del sonno o atti di autolesionismo: sono queste alcune delle manifestazioni più frequenti tra i giovanissimi. Sintomi da non sottovalutare. Primi campanelli d’allarme che devono essere riconosciuti in maniera tempestiva. “È bene prestare attenzione a determinati comportamenti – spiega Crivellaro –. Quando, ad esempio, il giovane esce poco o non esce più da casa; salta troppi giorni di scuola; evita di frequentare gli amici; è sempre connesso ad Internet, anche di notte; mostra disturbi alimentari; usa forme di autolesionismo; abusa di alcool o altre sostanze”. È importante intercettare precocemente il disagio prima che sfoci in vere e proprie disfunzioni comportamentali, tenendo costantemente monitorati i primi segnali, mantenendo un dialogo aperto con i ragazzi, invitandoli a riconoscere le proprie emozioni e ad esprimerle senza timore di giudizio. “Cerchiamo di porci sempre in ascolto dei giovani – sottolinea la Presidente Crivellaro –. Ma soprattutto, non sottovalutiamo mai i loro bisogni”. Farsi aiutare, ricevere supporto o
richiedere un intervento immediato è possibile. “Il Ponte del Sorriso ha costituito un’apposita equipe multidisciplinare all’interno del reparto di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Filippo Del Ponte di Varese, composta da psicologici ed educatori, alla quale si può accedere senza impegnativa – precisa Emanuela Crivellaro –. È semplicemente necessario prendere un appuntamento telefonico. L’equipe garantisce un primo colloquio conoscitivo per poi prevedere interventi mirati o dare precise indicazioni di orientamento ai familiari”.
Le famiglie giocano un ruolo cruciale in questo contesto. Ma anche la comunità, gli enti, le associazioni datoriali e le imprese possono fare la loro parte. Serve, sicuramente, maggior informazione su queste tematiche. Ma anche una diffusione a tappeto per raggiungere il maggior numero di persone possibile. È proprio con questo spirito che Confindustria Varese nell’ambito del Progetto “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme”, ha deciso di fare da cassa di risonanza di “SOStegno Km 0” tra le aziende e i loro dipendenti genitori. Altro fronte di impegno di Confindustria Varese, questa volta insieme a Eapitalia World Srl, è quello portato avanti con un ciclo di webinar dedicato proprio al tema del disagio giovanile aperto alla partecipazione degli addetti delle imprese associate. “Offriamo un servizio di Helpline H24 – raccontano Laura Sinatra e Sharmine Carluccio, cofondatrici di Eapitalia World – dove
è possibile richiedere anche supporto psicologico, emotivo, relazionale, management consultation e linee guida legali fiscali e socioassistenziali. I genitori, spesso confusi, disorientati, vulnerabili, affaticati, a volte imbarazzati o soli, arrivano a chiedere aiuto quando hanno la sensazione di averle provate tutte e si sentono giudicati da chi ha tentato di dare loro consigli in via estemporanea”.
Uno dei principali problemi che spesso si riscontra in questa fase è legato alla mancanza di comunicazione in famiglia. “Il genitore prova un senso di impotenza rispetto a qualcosa che lo pone di fronte ad un ignoto spaventoso. Una cultura della genitorialità più rispondente alle esigenze di oggi e fiduciosa nelle proprie risorse educative ed affettive favorisce il potenziamento del tessuto sociale. In questa ottica anche le imprese – concludono Sinatra e Carluccio – possono implementare servizi estesi ai familiari dei dipendenti e, in generale, interventi di welfare capaci di generare un impatto sociale e di governance”.
IN CASO DI AIUTO...
“Il Ponte del Sorriso Onlus” ha costituito un’equipe all’interno del reparto di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Del Ponte di Varese alla quale si può accedere senza impegnativa e velocemente. È necessario prendere un appuntamento chiamando il numero 0332.286946, dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00, il sabato dalle 9.00 alle 13.00. Per maggiori informazioni è possibile scrivere un’email a: disagio@ ilpontedelsorriso.com.
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QUANDO IL TALENTO DEI GIOVANI va in scena
Lisa Aramini Frei
Il Liceo Artistico di Varese porta sul grande schermo la storia della deportata francese Francine Christophe in un docufilm realizzato da alcuni studenti delle classi 3F e 5F, in collaborazione con professionisti del settore. Il tutto attraverso la costruzione di una vera e propria produzione cinematografica, fatta di assistenti regista, costumisti, tecnici delle luci e scenografi
Un bel gruppo di studenti. Una manciata di insegnanti, qualche consiglio da esperti del settore e via, pronti per dare vita ad un vero e proprio film degno delle migliori case cinematografiche indipendenti. Ci hanno provato, e soprattutto, ci sono riusciti, i ragazzi del Liceo Artistico Angelo Frattini di Varese, con una troupe di studenti della 3F dell’indirizzo Scenografica e della 5F dell’indirizzo Audiovisivo Multimediale che, insieme ad un gruppo di lavoro composto da esperti del settore, hanno portato sul grande schermo “Da grande voglio fare teatro”, una docufiction che ripercorre i primi anni della Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi
della francese Francine Christophe, sopravvissuta al regime nazista.
Un film in cui la testimonianza reale di Francine, intervistata per l’occasione nella sua abitazione vicino Parigi, si intreccia con la ricostruzione cinematografica dei momenti della sua vita nei campi di internamento parigini nel 1942. Testimonianza presente nel suo libro “Non sono passata dal camino”, tradotto in italiano da Manuela Vasconi, ex professoressa del Liceo varesino. Partecipando al Bando Cips (Cinema e Immagini per la Scuola) 2022-2023, promosso dal Ministero dell’Istruzione e del merito, sul tema “La storia siamo ‘sempre’ noi”, i ragazzi dell’Artistico si sono trovati a vestire i panni di assistente regista, costumista, tecnico luci e scenografo.
Dagli abiti al set, tutto è stato progettato e realizzato dagli studenti del Liceo sotto la supervisione dei professori, tra cui Luca Scarabelli, a capo del progetto e regista della pellicola.
“Si tratta di una progettualità –racconta Scarabelli – in cui studenti e studentesse lavorano fianco a fianco con dei professionisti per imparare, ad esempio, come si recita una scena o si registra un audio in presa diretta. Partendo dalla sceneggiatura, riadattata da un testo già esistente utilizzato una decina di anni fa per uno spettacolo teatrale, abbiamo poi ingaggiato diversi ragazzi, ex studenti e non solo, per ricoprire i ruoli di professionisti del settore. È stato un bel modo per far lavorare i giovani con altri giovani”.
Una produzione che ha impegnato gli alunni durante tutto l’anno scolastico, dopo l’orario di lezione, e che li ha visti affiancare alcuni di quei ragazzi che come loro, anni prima, erano seduti sugli stessi banchi e che ora dirigono, riprendono e lavorano nel mondo del cinema e del teatro. Diverse le professionalità portate sul set, dal tecnico luci al fotografo di scena che documentava tutta la parte di backstage; i ragazzi hanno avuto l’opportunità di sperimentare l’ambiente cinematografico a 360 gradi, obbiettivo didattico dello stesso bando. Non sono mancati anche
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momenti di approfondimento nel corso dell’anno, grazie ad interventi di alcuni professori dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, che hanno guidato gli studenti in insegnamenti sul periodo storico della Seconda Guerra Mondiale. Fondamentali sono state anche le lezioni frontali di carattere tecnico tenute da Giacomo Coarezza, giovane ex studente del Liceo che per la docufiction si è occupato del montaggio, del sound design e della parte di Color editing e che ha insegnato agli studenti i principi del montaggio video.
“È stato interessante tornare all’Artistico da insegnante – racconta Giacomo –. Partecipare ad un progetto di questo livello dà un senso concreto ai molti anni di studio trascorsi sui libri. Non essendo un insegnante ero inizialmente intimidito, ma i ragazzi si sono dimostrati subito interessati alla materia. Dimostrazione di quanto sia forte il cinema come strumento di contatto, comunicazione e di arte”. Sono diversi i punti di incontro che la settima arte condivide con il mondo del teatro, a partire dallo stile comunicativo. Proprio per questo per la realizzazione della pellicola, gli studenti e le studentesse del Liceo Artistico di Varese hanno ingaggiato attori provenienti proprio da esperienze teatrali, come il professor Andrea Minidio, interprete di Monsieur Viterbo, Direttore di teatro, personaggio che allietava le giornate di Francine con spettacoli di intrattenimento oppure Sarah Collu, che nel film interpreta la madre della giovane.
Per il ruolo della protagonista invece si è scelto di non andare troppo lontano, assegnando il ruolo a Nicole Ferracin, sorella minore di Noemi, una delle studentesse della 5F. “L’atmosfera giovane e i consigli di Sarah Collu in particolare –racconta Nicole – mi hanno aiutata ad interpretare al meglio questo personaggio dalla storia complicata. L’esperienza è stata sicuramente
formativa. Ho già chiesto consiglio a diversi attori sulle possibili figure lavorative di questo settore: mi piacerebbe seguire questa strada già al termine delle scuole medie”.
Il film “Da grande voglio fare teatro” sarà presentato al Cinema
Teatro Nuovo di Varese il 30 settembre, insieme a Filmstudio 90, sarà inoltre caricato sul sito Internet del Bando Cips e poi verrà anche distribuito nelle scuole e in alcuni festival di cinema minori della provincia varesina e non solo.
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Scene dal set del docufilm
Tessuti DA CAMPIONI
Francesca Cisotto
Compie 60 anni Tiba Tricot, realtà produttrice di tessuti indemagliabili per conto terzi. Oggi l’impresa di Castellanza è un punto di riferimento per i brand di svariati comparti, dallo sport, all’automotive, passando dalla moda e l’arredo-casa. Il fondatore era “un visionario, avanti di due pagine, sulla storia dell’innovazione”, racconta con orgoglio il figlio Gianni Brugnoli, Vicepresidente di Confindustria, alla guida dell’azienda
Ha appena spento 60 candeline, detiene un portafoglio ordini internazionale e registra un fatturato di quasi 8 milioni di euro grazie alla forza lavoro di 33 collaboratori. È la Tiba Tricot Srl: l’azienda con sede a Castellanza, specializzata nella
creazione di tessuti indemagliabili, 3D e a maglia circolare.
Una produzione che per circa il 20% si traduce in un export diretto. Senza contare tutta quella parte di commesse destinate, anch’esse, ma indirettamente, ad un’esportazione attraverso un semilavorato del tutto made in Italy in grado di rispondere
alle esigenze di svariati brand di diversi comparti: dal tessile sportivo, a quello destinato all’automotive, fino alla moda e all’arredo-casa. Con mercato, il mondo.
Più precisamente, i tessuti prodotti all’interno delle mura della Tiba, si possono trovare in tutte le sedute dei car seat per bambini dei più famosi
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marchi italiani, così come in qualsiasi giacca da motociclismo di brand noti a livello internazionale, quali Dainese e Alpinestars. Ma anche in prodotti come le scarpe da ginnastica o da lavoro. O ancora, nei capi di intimo di Lise Charmel, nei materassi e nei divani dei top produttori della Brianza. Senza dimenticare l’impiego delle fodere della Tiba, anche all’interno dei caschi dei campioni di Moto GP e Formula 1, come Max Emilian Verstappen oppure nelle maglie di importanti team ciclistici impegnati in circuiti prestigiosi come il Tour de France o il Giro d’Italia. Si tratta di collaborazioni con marchi di abbigliamento tecnico sportivo come Santini, Scott, Castelli, Valcismon e Bioracer.
Esempi concreti, questi, che rendono l’idea non solo dell’ampiezza del ventaglio di collaborazioni della Tiba Tricot, ma anche del loro spessore. “Siamo all’interno di quei prodotti che rappresentano il bello e il ben fatto dei marchi più importanti del nostro Paese – tiene a evidenziare il Presidente dell’azienda, Gianni Brugnoli –. Questo significa che siamo una parte dell’esportazione del made in Italy, ma in pochi lo sanno perché siamo nascosti, ad esempio, sotto al sedile di una Ferrari”.
Ma come ha fatto Tiba ad arrivare fino all’interno dei capi o addirittura delle auto dei più importanti piloti al mondo? Perseguendo le strade della qualità e dell’innovazione. Senza tralasciare la costante analisi dei cambiamenti del mercato. Ma soprattutto concentrando l’attenzione sulle persone e sull’ambiente. Questi gli elementi che hanno contraddistinto l’azienda fin dalla sua nascita, quando il fondatore, Antonio
Brugnoli, nel 1962, iniziò a produrre tessuti indemagliabili, per conto terzi, con soli tre telai in una sede a Sacconago, per poi spostarsi nel ‘72, con una trentina di macchinari, su un’area di 15mila metri quadrati, nell’attuale sede di Castellanza.
Valori che sono rimasti immutati e hanno accompagnato la Tiba in tutti questi anni. Li racconta così il Presidente Brugnoli: “Sono stati sessant’anni di grande fatica, perché quello di allora era un Paese tutto da costruire, ma c’era un entusiasmo talmente forte nel voler far emergere il made in Italy che ha fatto da volano per iniziative imprenditoriali come quella che ha intrapreso mio padre. Un ragazzo che aveva fatto solo la quinta elementare – racconta il Presidente –. Non aveva una rete commerciale e nemmeno l’esperienza e proprio per questo sapeva che l’unica maniera per rimanere competitivo e al passo con i tempi era avere i macchinari, il capannone e l’innovazione di processo sempre ai massimi livelli”.
Ecco che guardare il cambiamento come un’opportunità di crescita e di sviluppo e mai con lo specchietto retrovisore del senno di “poi” è ancora oggi una linea guida per l’impresa. Ed è con la stessa filosofia che per i sessant’anni dell’azienda, Tiba ha investito in un impianto fotovoltaico in grado di coprire circa il 40% del fabbisogno aziendale. “È vero che incide economicamente – precisa Brugnoli –, ma è anche un atto di responsabilità sociale. Se tutti facessero la propria parte, lasceremmo ai nostri figli un Paese migliore”.
Stare al passo con la modernità, però, per la Tiba Tricot, non significa solo questo. Ma anche ascoltare e
valorizzare le persone, in particolare i giovani. “Un collaboratore che viene a lavorare da noi deve trovare un alto grado di comfort per trascorrere piacevolmente le sue ore professionali. Un lavoro mal retribuito in un ambiente poco accogliente è sempre una decrescita per tutti”. E Gianni Brugnoli, che oltre ad essere al timone dell’azienda castellanzese è anche Vicepresidente di Confindustria con delega al Capitale umano, lo sa bene.
“Siamo consapevoli della forte crisi demografica in atto e, al contempo, dell’alta disoccupazione giovanile. Probabilmente i ragazzi e le ragazze di oggi sono lontani dal mondo imprenditoriale che non viene ritenuto così appealing – sottolinea Brugnoli –. Ecco perché crediamo fortemente di dover crescere talenti, tant’è che abbiamo relazioni costanti con gli istituti scolastici della provincia”. Uno degli obiettivi di Tiba è quello di contaminare il proprio saper fare impresa avvicinando i giovani, partendo dai percorsi di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ossia la vecchia alternanza scuola-lavoro), per poi trattenerli con un contratto di apprendistato e successivamente assumerli a tempo indeterminato. E poi? “Possono considerare Tiba come la loro casa, una famiglia su cui poter contare sempre”.
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Gianni Brugnoli
I tessuti prodotti dalla Tiba, si possono trovare in tutte le sedute dei car seat per bambini dei più famosi marchi italiani, così come in qualsiasi giacca da motociclismo di brand noti a livello internazionale, quali Dainese e Alpinestars
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UN DESTINO di ferro
Silvia Giovannini
onteferro è per il settore degli ascensori come la Coca-Cola per i consumatori di tutto il mondo”. La battuta di un cliente, raccontata dall’Amministratore Delegato dell’azienda di Monvalle, Savino Tondo, riassume la notorietà di un’industria che ha fatto e fa la differenza nel settore.
Nata nel 1973 Monteferro ha letteralmente il ferro nel dna: a partire dal nome ispirato dalla vista sul Sasso del Ferro e da un affascinante ritrovamento, durante la costruzione, di una punta di palafitta dell’Età del Ferro, fino agli albori di un’attività che affonda le radici nell’industria metallurgica degli
‘‘Manni ‘40. “Il nostro è un prodotto semplice: la guida per ascensori”, spiega Giancarlo Besana, fondatore di Monteferro con Bruno Bertè, scomparso prematuramente. “Nella sua semplicità è quasi una metafora del nostro modo di lavorare: la guida è l’elemento essenziale per far andare l’ascensore dal basso verso l’alto, proprio come lo sviluppo di un’impresa e dall’alto verso il basso, come la necessità di restare umili, nonostante la crescita. Con la barra dritta, per restare in tema”.
Un percorso che ha portato le guide Monteferro dal prato di Monvalle, agli ascensori di ogni parte del mondo: da quelli più scenografici, come l’Arco de La Défense di Parigi ai più alti come il Burj Khalifa a Dubai, ad alcuni dei
grattacieli milanesi di City Life, fino a quelli sulle navi da crociera. “La richiesta di guide per ascensori già dai primi anni si rivelò molto alta. Date anche le caratteristiche del prodotto semplice, ma costoso da trasportare, per rispondere alla domanda, la soluzione fu da subito quella di avvicinarci ai mercati di riferimento”, racconta Besana. Nacquero così le prime joint venture. Dall’Europa, con l’iniziativa in Repubblica Ceca, che
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Da 50 anni le guide per ascensori Monteferro, da Monvalle, portano il made in Varese in ogni parte del mondo, grazie anche a joint venture in Europa, India, Asia e America. Tra innovazione di prodotto, progetti artistici ed una particolare attenzione al capitale umano, l’impresa varesina si prepara a nuove sfide e obiettivi sempre più ambiziosi
Giancarlo Besana
L’ARTE ENTRA IN AZIENDA
Dall’impresa di un tempo a quella di oggi, il percorso di Monteferro passa da svariati ambiti, diversi da quello industriale. Quello dell’arte, ad esempio. L’idea di portare l’arte in azienda nasce durante il rinnovamento degli uffici milanesi. Il progetto, affidato all’architetto Lorenzo Facchini, ha l’obiettivo di creare un ambiente più accogliente. Ad un certo punto sorge la necessità di arricchire le pareti costruite durante il restyling ed è qui che la guida per ascensori trova un ruolo inedito.
È l’artista milanese Giovanna Canegallo (un’esperienza da assistente di Arnaldo Pomodoro e autrice, tra l’altro, di una grande installazione all’Acquario Civico di Milano) a realizzare il progetto. La sua è una vera passione per l’arte industriale. L’ideale filo conduttore è quello di portare ispirazione negli ambienti professionali, partendo dalla
permise di superare la concorrenza tedesca, fino alle Americhe, all’India più recentemente e alla Cina. Quest’ultima fu un’iniziativa storica perché l’ingresso di Monteferro rappresentò una delle prime joint venture approvate dal governo di Pechino: una nuova pagina per l’economia mondiale.
Il tutto restando focalizzati su un solo prodotto lineare, ma non per questo immutato nel tempo. A evolversi la tecnologia di produzione e processo, realizzata autonomamente attraverso linee brevettate. “La curiosità è che, come spesso accade, senza che l’utente finale se ne renda conto, un prodotto lo accompagna per tutta la vita, migliorandola”, continua Tondo. “La guida fa muovere gli ascensori garantendone sicurezza e comfort: chiunque abbia preso un ascensore negli ultimi 50 anni sa bene quanto siano diminuiti rumori e vibrazioni.
È la guida a fare la differenza”.
materia prima: un modo nuovo di pensare l’architettura industriale. Non si tratta solo di portare bellezza o ripensare spazi ma di partire dal prodotto, dalla meccanica all’apparenza “fredda”, da trasformare in arte. Così la guida assume un grandioso fascino narrativo. “I prodotti Monteferro hanno solo un difetto” racconta l’artista. “Sono pesanti! Non è facile spostarli. Il lavoro artistico ha implicato l’uso di diverse tecniche, pittoriche o di impiego di altri materiali plastici come la resina, per ricreare forme, effetti e posizioni. Il lavoro si è concentrato nella progettazione di installazioni in verticale, bassorilievi da appendere al muro come quadri. La guida, con la sua sezione a T, è diventata protagonista dell’opera ‘Composizione T’ posta all’ingresso degli uffici anche a Monvalle”. L’artista si inserisce nello sviluppo di una nuova cultura d’impresa
che dà valore allo star bene in un ambiente di lavoro e di una nuova cultura della sostenibilità, capace di fare del riuso e della simbiosi industriale il suo punto di forza. “Sono molte le realtà con cui ho collaborato che hanno scelto di portare in azienda l’arte. In settori diversi: dalla ristorazione con il progetto a I Fontanili di Besnate, alla Italbeit chimica di Nerviano, alla Fratelli Tognella di Somma Lombardo. In quest’ultima ho lavorato con le valvole creando una sorta di parete catalogo in linea con l’installazione già esistente costituita da una sfera che ruota sull’acqua. Sempre per Monteferro, con lo studio RKTTS di Facchini, sto realizzando un progetto per l’azienda vinicola del Monferrato di recente acquisita dalla famiglia Liedholm, fondata proprio dal noto calciatore”.
32 ECONOMIA MONTEFERRO
Un’opera dell’artista Giovanna Canegallo
MONTEFERRO, 50 ANNI ALLA GUIDA
“Vorrei raccontare la nostra azienda con parole semplici come per spiegarla ad un bambino”, ha confidato Savino Tondo, una delle voci del volume dedicato alla storia di Monteferro. Nasce da qui un libro, scritto da Silvia Giovannini con grafica di Barbara Colombo, con i contributi di Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese e Giorgio Faccenda, Cfo di Deloitte Central Mediterranean, basato sulle voci dei protagonisti della storia di Monteferro: oltre a Tondo e Besana, Mariele Bertè e Roberto Contini, figlia e nipote del fondatore Bruno. “Abbiamo deciso di
realizzare il libro per due motivi – spiega Giancarlo Besana –. Il primo è il desiderio di tramandare alle future generazioni un insegnamento che va oltre la cronaca e che si inserisce nella traccia di molte imprese della nostra bella Italia, raccontando di come una manciata di uomini e donne, armati di coraggio e creatività, partiti dalla provincia, abbiano costruito un sogno che è diventato il sogno di molti nel mondo. Il secondo è più personale: quella di Monteferro non è solo storia di industria ma soprattutto di affetti. Il volume è un grazie per quanti hanno compiuto questo viaggio”.
Ma quali sono le sfide future per Monteferro? “Dopo aver guardato al mondo, in un modo che non era all’inizio immaginabile, la nuova prova è quella di concentrarci su di noi”, spiega Tondo. “Dobbiamo affrontare sfide importanti: la riorganizzazione interna e la digitalizzazione. Temi che, se una piccola azienda può fronteggiare in maniera rapida e snella, per una realtà complessa come la nostra, implicano tempo e investimenti importanti. Temi su cui riflettere oggi sono lo stare bene in azienda, il welfare, l’essere attrattivi per i giovani e inclusivi. In sintesi, attuare politiche che mettano al centro le persone. Queste sono le sfide. Accanto c’è l’obiettivo sostenibilità per il quale il Gruppo investe sia a livello di prodotto, sia di produzione e logistica senza dimenticare punti di forza e debolezza. La nostra materia prima, l’acciaio, è sostenibile per definizione e può essere riciclato e, inoltre, il nostro essere fisicamente nei mercati diminuisce l’impatto. Tuttavia, è impossibile negare quanto l’industria siderurgica sia energivora. Il nostro impegno è, quindi, collaborare sempre con acciaierie che sposino la nostra filosofia. Tenere la barra dritta significa anche questo”.
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Le guide Monteferro dal prato di Monvalle, agli ascensori di ogni parte del mondo: da quelli più scenografici, come l’Arco de La Défense di Parigi ai più alti come il Burj Khalifa a Dubai, ad alcuni dei grattacieli milanesi di City Life, fino a quelli sulle navi da crociera
Silvia Giovannini
LA NUOVA VITA di Telewire R
iscoprire eccellenze del made in Italy che rischierebbero altrimenti di andare perdute e farle rinascere a Varese. È questo il progetto che la famiglia Osti, già alla guida della Raelcon Spa di Laveno Mombello, porta avanti ormai da anni e che di recente si è arricchito di una nuova avventura. Il nome della new entry probabilmente non dirà molto al consumatore finale, che pure conosce bene il prodotto avendolo sicuramente “in casa”, ma dirà tutto ai professionisti del settore: Telewire. “Abbiamo acquisito il brand bergamasco, che quest’anno compie 40 anni, proprio nell’aprile 2020, in pieno Covid, con un atto notarile telefonico”, racconta Fabio Osti, che oggi per il marchio cura lo sviluppo commerciale. “L’azienda, nome notissimo nel settore dello Smatv (acronimo per Satellite Master Antenna Television, ndr.), rischiava
di chiudere. Un peccato perché si trattava di un vero patrimonio del saper fare italiano”, ci tiene a precisare Osti. Il brand è stato quindi affidato ad una società del gruppo imprenditoriale varesino, guidata dalla moglie di Osti, Moira Peduzzi e dall’Amministratore Massimiliano Guglielminotti.
Telewire, nata come distributore di prodotti elettronici per il mercato nazionale, si è nel tempo specializzata nel settore della ricezione satellitare, raggiungendo già nei primi anni di vita volumi importanti. Il massimo dello sviluppo è arrivato nel 1994 con i primi due ricevitori analogici, che l’hanno portata ad essere una delle imprese di riferimento per il settore
della ricezione Tv da satellite. Agli inizi degli anni 2000 l’azienda ha progettato e creato una ricca gamma di articoli, spostando sempre di più il core business da quelli satellite ai terrestri, in modo tale che insieme puntassero ad una elevata tecnologia e ad un design ricercato. Sempre con una costante: in questo percorso, pur collaborando con imprese straniere, la produzione ha mantenuto il suo focus sull’italianità, sia come elemento distintivo (lo stesso slogan di Telewire è “qualità italiana”), sia come mercato di riferimento.
E così i prodotti Telewire arrivano in tutte le abitazioni, toccando l’intero percorso della distribuzione
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Il marchio quarantenne, eccellenza italiana ben nota a chi opera nel campo della distribuzione di accessori per l’antenna, arriva a Varese per volontà della famiglia Osti, alla guida della Raelcon Spa di Laveno Mombello. Ecco come l’impegno di un’impresa varesina è riuscito a far rivivere un progetto che, altrimenti, sarebbe stato destinato all’archeologia industriale
Fabio Osti
terrestre: dall’antenna, alle centraline, alla presa del televisore. La storia dell’azienda è come un cammino fatto di continuo sviluppo tecnologico e innovazione, fino a che nel 2019 i due soci fondatori, per scelte personali, decidono di chiudere. Ed è qui che le competenze e la visione della famiglia Osti entrano in gioco. “Il nostro obiettivo è quello di riscoprire attività italiane di eccellenza, legate al nostro settore, quello dell’elettronica di consumo, che per vari motivi rischiano la chiusura. Quello che facciamo è semplicemente cercare di recuperare il valore aggiunto che ha reso celebre queste realtà e, attraverso i loro punti di forza, rimetterle sul mercato. Questo processo è stato anche alla base del recupero del celeberrimo marchio di radio Allocchio Bacchini. Se in quel caso però a muoverci era stato un aspetto più sentimentale, quello di Telewire è proprio il nostro ramo di competenza. Nel settore specifico dell’elettronica, questa iniziativa incontra il favore del cliente perché, da una parte, ci sono articoli che rappresentano marchi che hanno fatto la storia, dall’altra l’esperienza della nostra famiglia, alla quale afferiscono diverse società, e in particolare all’expertise di Raelcon, garanzia di affidabilità e di continuità per il mercato”, spiega ancora Osti. E così, a partire dal 2020, è iniziato un ulteriore rinnovamento
dal punto di vista tecnologico per Telewire, con la progettazione di nuove gamme prodotto, adatte alle esigenze del momento, affidate all’ingegner Alessandro Botta. Con anche il via ad una diversa
strategia commerciale, che punti sulla comunicazione digital con l’aiuto della social media brand strategist Ortensia Imbrogno e allo sviluppo tecnico e grafico di Antonio Trudu.
“Pensiamo che questa sia una giusta strada e i numeri ce lo stanno confermando: siamo partiti da un fatturato di 4,5 milioni di euro nel 2019 e arriveremo quest’anno ad un consolidato di gruppo di 14, grazie all’introduzione sul mercato di una gamma completamente rinnovata e unica nel suo genere, che permetterà alla clientela di fruire di un item qualitativo e funzionale”. Ma non si
tratta di una scelta semplicemente legata al fatturato e Osti ci tiene a ribadirlo: “Il nostro impegno è sempre stato legato alla valorizzazione del singolo progetto e, insieme, del nostro territorio: ora lo stabilimento produttivo di Telewire è a Gazzada Schianno dove abbiamo portato le competenze e i talenti del gruppo. L’idea è quella di far rivivere qui le realtà che acquisiamo perché qui restino: il legame con Varese è nel nostro dna. Noi nasciamo a Varese e vogliamo rimanerci. Va da sé che le nuove progettualità comporteranno delle ricerche di personale specializzato sul territorio, in particolare per il secondo semestre del prossimo anno”, chiosa Fabio Osti.
ECONOMIA TELEWIRE
VARESE È SMARTT
Silvia Giovannini
Presentato il progetto, pensato dalla Fondazione Ergo, per promuovere la competitività del territorio varesino e valorizzarne la capacità manifatturiera, grazie alla creazione di un laboratorio del lavoro unico, innovativo e altamente tecnologico che consentirà di fare formazione “esperienziale”. A collaborare alla realizzazione del progetto già quattro imprese: Whirlpool, Leonardo, Tecniplast e Marelli
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‘‘L a provincia di Varese ha bisogno di un riposizionamento competitivo e della creazione di opportunità e laboratori in grado di stimolare la rinascita di un rinnovato fermento imprenditoriale che negli anni si è indebolito e affievolito. Intendiamoci, siamo ancora una terra di imprese, una provincia fortemente manifatturiera. L’industria è nel nostro dna. Ma quello di cui il nostro sistema economico e sociale ha oggi bisogno è un nuovo slancio nelle più importanti trasformazioni in atto: ambientali, tecnologiche e digitali.” Queste le parole di Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese, alla presentazione ufficiale nel giugno scorso, alla presenza, fra gli altri, del Presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana e del Sindaco di Varese Davide Galimberti, del progetto SMARTT VAlley, promosso da Fondazione Ergo. Una progettualità pensata dalla nota fondazione, che si occupa di promuovere l’economia del territorio, per offrire un nuovo strumento concreto per la competitività delle imprese e per la qualità del lavoro di Varese e di tutta la Lombardia.
Ma di cosa si tratta? SMARTT VAlley, presentata al pubblico da Gabriele Caragnano e Rachele Sessa della Fondazione Ergo, nasce per essere un laboratorio del lavoro unico, innovativo e altamente tecnologico che consentirà di fare formazione “esperienziale”. In estrema sintesi sarà possibile imparare sperimentando sul campo nuovi modi di lavorare, acquisendo competenze sulle nuove tecnologie che stanno modificando il mondo del lavoro e tenendo conto non solo degli aspetti digitali, ma anche di quelli legati alla sostenibilità, che sempre di più caratterizza il mondo industriale. Un laboratorio fisico, quindi, che unisce pratica e teoria, tenendo sempre come filo rosso la fabbrica manifatturiera,
valorizzandone l’attrattività per le future generazioni. Acronimo di Space for Manufacturing, Academy, Research & Tech Transfer. SMARTT VAlley vuole infatti intrecciare tecnologia e territorio connettendo in un unico spazio le persone, le imprese, le Università e i centri di ricerca varesini. Il tutto sempre puntando su Varese (da cui le iniziali maiuscole di VAlley) perché l’obiettivo è che il Varesotto continui ad essere attrattivo, in particolare in un ambito per il quale è famoso nel mondo: la qualità del lavoro. Fisicamente il centro sorgerà a gennaio 2024 a Daverio, in un’area di 800 metri quadri in un’ala della Polinelli, marchio ben noto del settore occhialeria. A collaborare con Fondazione Ergo nella realizzazione del progetto ci sono già le prime quattro imprese: Whirlpool, Leonardo, Tecniplast e Marelli.
“La nascita di questo progetto ci trova particolarmente in sintonia come Confindustria Varese”, ha aggiunto il Presidente Grassi. “Si tratta infatti di un’iniziativa perfettamente in linea con i contenuti del Piano Strategico #Varese2050 lanciato ormai un anno fa dalla nostra associazione e del progetto Mill a Castellanza, finalizzato a creare una cittadella del sapere e del saper fare al fianco della LIUC. La sintonia passa da una parte dalla stessa visione per Varese, dall’altra dallo stesso metodo che è, e dovrebbe sempre essere,
quello di fare squadra tra tutti i protagonisti del territorio”.
“La progettualità dell’Experience Tech Transfer Lab (ETTL), SMARTT VAlley – ha aggiunto il Presidente degli industriali varesini – è coerente con gli obiettivi che la nostra associazione si è data per la costruzione della provincia di Varese del futuro. Serve creare un ecosistema proiettato verso l’innovazione in maniera spinta. Non abbiamo bisogno di voli pindarici basati su modelli di sviluppo calati dall’alto, ma di formule che partano proprio da quelle specializzazioni e da quei settori che hanno fatto di Varese nel tempo uno dei territori a maggiore trazione industriale nel Paese. Per questo è importante il progetto SMARTT VAlley, perché va in questa direzione. Abbiamo bisogno di centri di eccellenza e trasferimento tecnologico. Ne hanno bisogno soprattutto le piccole e medie imprese. Sia nell’analisi del lavoro e di una sua riorganizzazione, sia nello sviluppo di nuovi modelli sostenibili. Servono nuove competenze altamente qualificate, così come serve creare capacità di assorbimento delle stesse tra le imprese del territorio. Ciò anche attraverso nuove strade di collaborazione pubblico-privato. Servono spazi di creatività e contaminazione. Siamo sicuri che SMARTT VAlley possa rappresentare un’opportunità in tutti questi fronti di impegno al servizio delle imprese”.
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IL GALATEO DEL LAVORO “People oriented”
Alessia Lazzarin
ttraverso la collaborazione di tutti i dipendenti abbiamo costruito un galateo che mette a fattor comune regole e buone prassi da seguire per integrare lo smart working al lavoro in presenza nel pieno rispetto del tempo altrui. Si tratta di non intralciare con riunioni il tempo dedicato a sé stessi e alla famiglia, usare in modo appropriato le email ed essere rigorosi nell’organizzazione e nei tempi delle riunioni”. A raccontare la filosofia di Opella Healthcare Italy
Srl del Gruppo Sanofi, in tutta Italia, ma nello stabilimento di Origgio in particolare, è Piero Borracci, People Excellence COE Partner. Un approccio che si potrebbe definire “People oriented”, basato sul perfetto bilanciamento tra vita privata e vita
professionale e mirato al benessere dei collaboratori.
“Non siamo solo un Gruppo, una grande realtà industriale. Siamo prima di tutto persone. Individui che devono potersi identificare nella missione e nei valori in cui crede la multinazionale di cui facciamo parte. Abbiamo superato abbondantemente i 10 milioni di euro investiti per favorire attività e azioni di life work-balance – continua Borracci –. Si tratta di un lungo percorso, iniziato negli anni 2000, orientato al benessere e alla cura dei dipendenti”. Un
impegno che nel corso del tempo ha visto arricchirsi sempre di più il pacchetto di servizi che favoriscono la prevenzione, il benessere e la salute, la salvaguardia verso il proprio futuro, l’impiego del tempo libero, la conciliazione vita-lavoro e l’assistenza a familiari anziani o malati.
“Siamo partiti con pacchetti standard assicurativi, con il servizio di mensa e con diverse politiche di welfare aziendale – informa Borracci –. Nel corso degli anni abbiamo intensificato sempre di più l’offerta per i nostri dipendenti.
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La costruzione di un perfetto bilanciamento tra vita privata e professionale passa anche dall’introduzione in azienda di buone prassi. Tempi rigorosi per le riunioni, fasce orarie off-limits per l’invio delle email, rispetto della vita privata dei colleghi. L’esempio arriva dal Gruppo Sanofi che ha superato i 10 milioni di euro investiti a favore del benessere delle proprie persone. Comprese quelle dello stabilimento di Origgio
STORIE DI PEOPLE
Piero Borracci
Il Covid ha un po’ rallentato alcune iniziative già in essere ma contiamo di riprendere a pieno regime già da questo mese”. Dallo smart working all’assistenza e prevenzione sanitaria. Dalle polizze assicurative ai buoni acquisto da spendere in negozi convenzionati. Dall’aiuto nella compilazione del 730 o legato alla sfera familiare, fino ai regali di Natale. Dalla mensa aziendale ai ticket restaurant. Questi sono solo alcuni
esempi di azioni che Opella ha messo a disposizione delle proprie persone. Attraverso un sistema di linee guida da seguire, i collaboratori si sentono parte integrante del Gruppo. “Possono dedicare il proprio tempo extra lavoro ai familiari, allo sport o ad attività ludiche di qualsiasi genere”, sottolinea Borracci.
L’attenzione verso la genitorialità è un’altra delle priorità per Opella. Il Gruppo ha un occhio di riguardo anche per i figli dei propri collaboratori. “Attraverso l’associazione interna ‘Enfants de Sanofi’ e attiva a livello globale diamo supporto ai figli dei nostri dipendenti in momenti di difficoltà educative o economiche, in caso di malattie o disabilità. Con il ‘Premio Alunni Meritevoli’, invece, premiamo i ragazzi che alla fine di ogni ciclo scolastico si distinguono per i propri risultati sui banchi di scuola. E ancora, il programma ‘Holidays Exchange’ che permette ai figli di dipendenti italiani di scambiarsi vicendevolmente l’esperienza con figli di dipendenti Sanofi all’estero – informa Borracci –. Questo programma è stato interrotto durante la pandemia ma verrà riattivato a breve. Non certo di minor importanza, ma anzi uno dei benefit più apprezzati, è il nostro campus aziendale, oggi attivo per lo stabilimento di Scoppito e prepandemia nella sede di Milano: i figli dei nostri collaboratori sono stati
STORIE DI PEOPLE
Con Opella Healthcare Italy
Srl continua il viaggio di Varesefocus tra le imprese del territorio impegnate in azioni di welfare aziendale, conciliazione lavoro-famiglia, sviluppo demografico, supporto alla genitorialità, inclusione di genere. Un racconto coerente con gli obiettivi del Progetto “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme” lanciato da
Confindustria Varese per contribuire all’attrattività del Varesotto con una serie di iniziative ad ampio spettro. Tutte accomunate da un unico filo conduttore: l’investimento e la valorizzazione delle persone in azienda. Per segnalare la storia della tua impresa scrivi a info@varesefocus.it. Per informazioni sul Progetto PEOPLE vai su www.confindustriavarese.it.
accolti per anni durante la pausa delle vacanze estive nei nostri uffici per conoscere il luogo di lavoro dei genitori, pranzare con loro e svolgere attività ludiche in gruppo”. Anche per quanto riguarda l’aspetto psicologico la multinazionale ha introdotto progettualità concrete. “Abbiamo un consolidato e fidato servizio interno di dialogo, ascolto e orientamento offerto da una psicologa esterna all’azienda e da gennaio abbiamo integrato a livello globale l’Employee Assistance Program che fornisce un’ulteriore assistenza di carattere piscologico, legale e finanziaria, anche ai familiari dei dipendenti. Sul fronte della salute, l’attenzione del Gruppo è altissima: offriamo a tutti i dipendenti delle sedi di Milano e Roma e della rete esterna un check up biennale ed un protocollo di esami specifici per i colleghi dei nostri siti produttivi. In aggiunta la presenza di un medico aziendale in ogni nostra sede e la possibilità di eseguire gratuitamente una serie di vaccinazioni”. Senza dimenticare le coperture assicurative per tutti i dipendenti contro ogni rischio professionale, di malattia o infortunio. “Questo servizio – sottolinea Piero Borracci – ci ha dato feedback positivi e un grande valore aggiunto dal punto di vista della prevenzione”. Opella, inoltre, adotta un approccio green e sostenibile. “Promuoviamo da sempre il trasporto pubblico e da quest’anno rimborsiamo ai dipendenti l’intero abbonamento del bus o del treno –conclude il People Excellence COE Partner –. Sul fronte della car policy stiamo rinnovando la nostra flotta aziendale integrando motori elettrici e ibridi in linea con l’obiettivo globale di avere una flotta al 100% ecosostenibile entro il 2030”.
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L’attenzione verso la genitorialità è un’altra delle priorità per Opella
LA VARESE PENSATA dai giovani
Alessia Lazzarin
Cosa accadrebbe se mettessimo lo sviluppo del territorio nelle mani di ragazzi tra i 14 e i 25 anni? Non tanto per dire. Non semplicemente chiedendo ai giovani di proporre delle idee abbozzate su un pezzo di carta da far tradurre in realtà agli adulti, come spesso avviene in molti concorsi. Bensì affidando alle nuove generazioni il ciclo completo di una programmazione per la costruzione dell’attrattività della provincia e per il miglioramento della qualità di vita delle sue comunità. Dall’inizio, alla fine. Dalla progettazione, fino all’esecuzione. Passando per la gestione di un bando
pensato da giovani per mettere in gara idee di altri giovani e per tutte le necessarie attività di controllo di avanzamento lavori e raggiungimento degli
obiettivi. Con risorse finanziarie annesse assegnate ai migliori progetti. Ciò attraverso un nuovo modello formativo che punti a mettere alla prova gli studenti e, soprattutto, a responsabilizzarli in tutte le fasi. Proprio come fossero, allo stesso
tempo dei manager, dei banchieri, degli amministratori della cosa pubblica. E, dunque, se il format fosse questo, quale sarebbe il risultato? La risposta arriverà presto. A pensare ad un nuovo modello formativo che metterà nelle mani di alcune ragazze e ragazzi della provincia di Varese la gestione di risorse finanziarie per la promozione di interventi volti al miglioramento del territorio, generando un impatto sociale, è stata la Fondazione Comunitaria del Varesotto con il bando “viVAi: spazi di protagonismo e sperimentazione per i giovani”. Una sfida raccolta dalla LIUC – Università Cattaneo di Castellanza, che sta portando avanti il progetto a sua
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Fondazione Comunitaria del Varesotto e LIUC – Università Cattaneo insieme per sostenere “viVAio”. Un’iniziativa che mette nelle mani di alcuni ragazzi, tra i 14 e i 25 anni, l’ideazione, la programmazione, l’esecuzione e le fasi di controllo di un progetto con lo scopo di generare un concreto impatto sociale sul territorio. Con tanto di risorse finanziarie e bando da gestire
Elena Galante
Maurizio Ampollini
UNIVERSITÀ VIVAIO
volta soprannominato “viVAio”. Tutto in mano ai giovani. Ma con una piccola spinta iniziale. Anzi due. Da una parte, la Fondazione Comunitaria del Varesotto ha messo a disposizione 5.000 euro che ora un gruppo di studenti dovrà gestire attraverso l’ideazione, appunto, di un bando con cui mettere in gara le idee di altri compagni. Dall’altra, la LIUC–Università Cattaneo ha formato i ragazzi per trasformali in YouthBanker (ovvero giovani banchieri) dando loro le basi per la gestione finanziaria del progetto. Una volta terminata la prima fase in aula, è iniziato il vero e proprio percorso. E tutto è stato rimesso nelle loro mani. Dei giovani.
“Il nostro ruolo è stato quello di formare un gruppo di studenti, tra i 14 e i 25 anni, attraverso un percorso di 40 ore, per diventare YouthBanker –spiega Elena Galante, tutor del progetto in LIUC –. Successivamente, in totale autonomia, i giovani hanno inviato un questionario a tutte le scuole del Varesotto chiedendo ai loro colleghi di banco in quali ambiti sarebbero stati disponibili ad avanzare dei progetti da realizzare”. Sono stati, poi, gli stessi YouthBanker a presentare l’esito del questionario e a proporre alla Fondazione Comunitaria del Varesotto gli ambiti sui cui avrebbero voluto preparare il bando da sottoporre alle
scuole che hanno risposto al sondaggio. Sono 17 gli studenti coinvolti nel progetto di LIUC e tre le scuole della provincia che hanno aderito: il Liceo Manzoni di Varese, il Liceo Curie di Tradate e l’ITE Tosi di Busto.
“Collaboriamo da molto tempo con le scuole superiori del territorio – precisa Galante – e ogni qualvolta vengono diffuse queste iniziative partecipiamo con entusiasmo”. Il bando è una sfida per tutti i soggetti coinvolti. Per gli studenti che partecipano ma anche per gli adulti che li accompagnano e supportano in questa iniziativa. “Per i ragazzi che, dopo un percorso formativo svolto in Università, potranno sperimentare cosa significa essere uno YouthBanker – continua Galante – e per i referenti di progetto che, grazie ai momenti in aula, hanno l’opportunità di confrontarsi su tematiche significative per lo sviluppo di attività che valorizzino il nostro territorio e siano in grado di dare voce al pensiero dei giovani”. Non si tratta, però, solo di politiche di welfare da destinare alla provincia varesina. “L’obiettivo concreto di questo modello – dichiara Maurizio Ampollini, Presidente di Fondazione Comunitaria del Varesotto – riguarda soprattutto il percorso che i giovani intraprendono per realizzare questi interventi: ragazzi e ragazze, infatti,
tramite la stesura e la realizzazione della loro idea progettuale e la gestione concreta del budget, potranno sperimentare competenze tecniche e soft skills, mettendo in pratica modelli di filantropia strategica”.
Un esempio lampante di legame solido tra un ateneo e la comunità di riferimento. “Questa è l’attenzione che tradizionalmente LIUC riserva alla crescita dei talenti – conclude Elena Galante –. Grazie a questo progetto e al supporto della Fondazione Comunitaria del Varesotto, l’Università si impegna a promuovere lo spirito imprenditoriale in ambito sociale, per generare beneficio collettivo e culturale per il territorio e supportare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile”.
Nel corso del mese di settembre il gruppo di YouthBanker della LIUC scriverà e presenterà il bando nelle scuole superiori della provincia di Varese. A quel punto gli studenti del territorio avranno tempo fino a novembre per avanzare le proprie proposte. Dopodiché la palla tornerà agli YouthBanker che selezioneranno le idee migliori, assegneranno i fondi entro gennaio e controlleranno se e come verranno effettivamente utilizzati dai loro compagni per le finalità sociali alla base del progetto. E il cerchio si chiude.
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dalla PLAstica
Francesca Cisotto
È stimato che ognuno di noi abbia in corpo una quantità di plastica pari alla dimensione di una carta di credito. È da questa valutazione che nasce ProPla: il progetto dell’Università degli Studi dell’Insubria volto ad eliminare da fiumi, mari, laghi e dall’acqua che arriva fino ai nostri rubinetti, le microplastiche troppo spesso ingerite dall’essere umano. E che i ricercatori hanno trovato il modo di valorizzare convertendole in aminoacidi da cui ricavare biopolimeri, biodiesel e altri materiali biotecnologici
Al microscopio appaiono di diverse forme e svariati colori. Piccolissime e talvolta invisibili, invece, ad occhio nudo. Sono le microplastiche presenti nell’acqua, che, in modo del tutto inconsapevole, vengono mangiate o bevute dall’essere umano. Quindi no, non è da considerare solo quella dei mari, dei laghi o dei fiumi, ma tutta l’acqua. Compresa quella che scorre dai rubinetti di casa e persino nella lavastoviglie, che è esattamente la stessa con cui si riempiono le pentole per preparare del cibo. Ecco come quei minuscoli e pericolosi frammenti di plastica finiscono nell’organismo. Non è fantascienza. È ciò che dicono gli studi.
“È stato stimato che ognuno di noi abbia in corpo una quantità
di plastica pari alla dimensione di una carta di credito”, spiega il professore dell’Università degli Studi dell’Insubria, Loredano Pollegioni, che proprio da questo fenomeno, insieme a un team di ricercatori dell’ateneo, dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Milano Bicocca e dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr, ha dato vita a ProPla, acronimo di Proteins from Plastics.
Si tratta di un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, nell’ambito del bando 2022 “Economia
Circolare: Promuovere ricerca per un futuro sostenibile”, il cui obiettivo è quello di degradare e, al contempo, valorizzare la plastica raccolta dalle acque, dannosa sia per l’ambiente, sia per tutti gli esseri viventi, da quelli che popolano gli ecosistemi marini e di acqua dolce, fino all’uomo.
Il tutto con un approccio multi
e interdisciplinare, grazie al coinvolgimento e alle competenze di 6 diverse unità di ricerca, attive nello studio dell’inquinamento da plastica, nell’ingegneria enzimatica, nella microbiologia e biologia dei sistemi, nell’entomologia (il ramo della zoologia che studia gli insetti), nell’economia e nello studio del ciclo di vita dei materiali.
Ciò che si propone di fare ProPla è, dunque, convertire le microplastiche a base di Pet, il polietilene tereftalato, più comunemente conosciuto come la plastica delle bottiglie, in qualcosa di utile come gli aminoacidi, ovvero quelle molecole cruciali per ottenere le proteine, componenti fondamentali della nutrizione e, come in questo caso, di materiali biotecnologici.
Ma come è possibile questa
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PIÙ PROTEINE
IL SITO DEL PROGETTO
VISITA
valorizzazione? Praticamente le microplastiche, una volta raccolte dalle acque attraverso dei particolari filtri, vengono degradate con un approccio ecologico, totalmente green: in acqua e senza l’uso di solventi, alte temperature o materiali inquinanti, ma solo grazie a degli enzimi sviluppati ad hoc dal laboratorio dell’ateneo dell’Insubria tramite un particolare processo di ingegneria proteica. In questo modo, la classica plastica delle bottigliette e non solo, viene deteriorata e divisa nei suoi diversi componenti.
Da qui, le molecole componenti il Pet vengono trasformate in aminoacidi attraverso un batterio Escherichia coli ingegnerizzato, cioè un microrganismo integrato di una nuova via metabolica creata artificialmente in laboratorio, apposta per permettergli di svolgere questa metamorfosi. È così che, come spiega il professor Pollegioni, “la componente inquinante non solo viene eliminata, ma viene anche convertita in una risorsa di cui abbiamo bisogno, gli aminoacidi appunto”.
In un terzo e ultimo passaggio, l’Escherichia coli viene inserito anche all’interno dell’intestino di una larva di mosca soldato, un insetto molto utilizzato nella
bio-conversione degli scarti organici. Questo perché, il microrganismo ingegnerizzato, l’Escherichia coli, con il microbiota intestinale già presente nella larva, produce sostanze per alimentare l’insetto stesso che, quindi, in questo modo, si accresce.
Un’innovazione, questa, sul fronte della valorizzazione e della prolificazione delle larve che, come sottolinea Pollegioni, “sono delle vere e proprie fabbriche perché al loro interno possiamo isolare le proteine, gli acidi grassi e la chitina”. Tre componenti essenziali per un’infinità di applicazioni tecnologiche compatibili con la sostenibilità ambientale. “Dalle proteine, ad esempio – continua il professore –, si possono ricavare i biopolimeri, dagli acidi grassi, il biodiesel e, allo stesso modo, dalla chitina altri materiali biotecnologici”.
Ecco perché ProPla può essere
inquadrato come qualcosa in più di un semplice progetto volto all’eliminazione delle microplastiche. Non si propone di avere ricadute solo sul fronte ambientale e della salute. Ma anche su quello tecnologico ed economico. Lo sottolinea così il professore Loredano Pollegioni: “Oltre ad eliminare quei minuscoli frammenti di plastica che sono presenti in grandi quantità nelle acque, tanto da essere stati trovati nei polmoni, nel sangue e persino nel feto umano, ProPla porta con sé anche altri due vantaggi. Da un lato, la capacità di produrre dei nuovi materiali biotecnologici in grado di valorizzare quella stessa plastica. Dall’altro, la potenzialità di ricavare dei materiali biologici di grande valore, come le proteine, gli acidi grassi e la chitina, senza bisogno di usare combustibili fossili o processi inquinanti”.
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Loredano Pollegioni
COSA PUÒ FARE CHATGPT per un’azienda
Luca Mari e Francesco Bertolotti
Professore e ricercatore Scuola di Ingegneria Industriale LIUC – Università Cattaneo Immagine creata da Lisa Aramini Frei con Midjourney
Con la terza puntata dell’inchiesta dedicata ai sistemi di Intelligenza artificiale conversazionale, Varesefocus va alla scoperta degli utilizzi e delle potenzialità dei chatbot in versione personalizzata, in grado di rispondere a esigenze specifiche di singole organizzazioni ed imprese.
Ma in che modo è possibile “allenare” questa nuova tecnologia a rispondere a conversazioni, per esempio, di settore e peculiari?
—terza puntata
Nonostante siano facilmente e ampiamente accessibili solo da pochi mesi, i recenti sistemi di intelligenza artificiale conversazionale, i cosiddetti chatbot, di cui ChatGPT è l’esempio più noto, fanno intravedere la possibilità di cambiamenti radicali che potrebbero influenzare molti aspetti della nostra società. Come abbiamo discusso nella prima puntata di questo speciale (sul numero di maggio di Varesefocus), i chatbot sono entità software, e quindi artificiali, in grado di comunicare con noi nelle nostre lingue, come l’italiano e l’inglese, con un ricco vocabolario e mostrando una solida comprensione dei contenuti, una grande eloquenza, abilità di argomentazione e accesso a un’enorme quantità di informazioni. Chiunque abbia avuto un po’ di esperienza nell’interazione con un chatbot può attestare questa sorprendente novità. Ma come riesce
ChatGPT (o altri chatbot come Bing Chat, Bard, Claude, esempi dei sistemi oggi noti come Large Language Model (LLM)) a dialogare in modo così sofisticato? Nella seconda puntata (sul numero di luglio di Varesefocus) abbiamo provato a dare qualche prima risposta, spiegando come le reti neurali artificiali siano sistemi software il cui comportamento non è determinato da regole di programmazione preordinate, ma dipende da un processo di addestramento, spesso lungo e complesso, realizzato facendoli interagire appropriatamente con grandi insiemi di dati. Insomma, il comportamento che osserviamo nei chatbot è il risultato di addestramento e non di programmazione. Anche coloro che non sono interessati ad “aprire la scatola” e comprendere il funzionamento di una rete neurale possono afferrare il significato e le implicazioni di questo nuovo paradigma.
Mentre sappiamo come un sistema software programmato reagisce agli stimoli, perché le sue regole di comportamento sono esplicite nel codice, interagendo con un chatbot non si conoscono a priori le risposte che produrrà, che dipendono sia dal suo addestramento sia da come gli poniamo le domande. Per interagire in modo efficace con un chatbot è quindi importante imparare non solo, ovviamente, a fargli le domande giuste, ma anche a fargliele nel modo giusto: quanto è opportuno essere specifici nelle richieste? Sono utili esempi o suggerimenti? E così via. Come si vede bene, questa competenza, che si è cominciata a chiamare prompt engineering (letteralmente “ingegneria delle domande”), ha una connotazione prevalentemente linguistica, psicologica e relazionale. Insomma, in riferimento alla tristemente nota separazione tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, ci siamo
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immersi in un inatteso scenario in cui entità tecnologiche ci invitano a sviluppare capacità di dialogo che finora avremmo considerato parte della cultura umanistica. È certamente ancora troppo presto per prevedere se questo produrrà una almeno parziale rivalorizzazione della parola scritta, ma pare una speranza non completamente infondata.
Il prompt engineering è una competenza finalizzata a ottenere un comportamento desiderato da un chatbot, per adattarlo ai nostri scopi e in accordo ai nostri dati e documenti. Sempre più spesso, l’obiettivo principale di coloro che esplorano le potenzialità dei chatbot nell’ambito della propria organizzazione è di crearne una versione personalizzata, in grado di rispondere a esigenze specifiche dell’organizzazione stessa. Prendiamo ad esempio il caso di un’azienda che desidera utilizzare un chatbot per supportare i servizi commerciali, sostenendo conversazioni che richiedono informazioni specifiche
dell’azienda, come dettagli su prodotti o servizi o fornendo i riferimenti corretti di una certa persona o funzione aziendale a partire da una determinata domanda. Quale metodo applicare per ottenere risultati appropriati è una delle domande su cui si sta più sperimentando recentemente: proponiamo qui una prima sintesi, per “non tecnici”.
Come possiamo dunque mettere un chatbot nella condizione di rispondere a domande che richiedano la conoscenza di documenti non pubblici, che si suppone non gli siano stati fatti leggere in precedenza? I chatbot che utilizziamo sono pre-addestrati su un insieme di moltissimi documenti chiamato training set. Tipicamente l’addestramento include anche una seconda fase, chiamata fine tuning, in cui si adatta il chatbot a compiere specifiche attività. Nel caso di ChatGPT, l’attività di fine tuning ha permesso agli sviluppatori di insegnargli a dialogare in modo socialmente appropriato, aspetto che si è rivelato una delle chiavi del
suo successo. Chi vuole personalizzare il comportamento di un chatbot ben pre-addestrato e fine tuned può quindi oggi cominciare a esplorare strategie per adattarne il comportamento a compiti specifici, basati sul contenuto di nuovi documenti.
Alla base della molteplicità di opzioni disponibili c’è il fatto che, almeno per ora, le memorie a lungo e a breve termine dei chatbot sono mantenute separate. In pratica, il
50 SCIENZA & TECNOLOGIA CHATGPT
Il prompt engineering
è una competenza finalizzata a ottenere un comportamento desiderato da un chatbot, per adattarlo ai nostri scopi e in accordo ai nostri dati e documenti
pre-addestramento e il fine tuning intervengono sulla memoria a lungo termine (ciò che è caratterizzato in particolare dal numero dei parametri della rete neurale, dell’ordine delle centinaia di miliardi nel caso di ChatGPT), che però non viene modificata dal contenuto dei dialoghi, mantenuto nella memoria a breve termine, una per ogni dialogo e che alla fine di ogni dialogo si azzera. Questo fa sì che un chatbot adatti il suo comportamento durante ogni dialogo, ma poi una volta terminato si dimentichi di quello che ha imparato (si tratta perciò di un’importante differenza con gli esseri umani, che invece hanno una memoria dinamica che consente di continuare a imparare dalle esperienze quotidiane).
In conseguenza della separazione tra memoria a lungo e a breve termine, i due metodi più ovvi per personalizzare il comportamento di un chatbot sono: proseguire il suo fine tuning, facendogli leggere questa volta i nostri documenti
e dunque modificando la sua memoria a lungo termine e includere nelle nostre domande il contenuto dei documenti, intervenendo perciò solo sulla memoria a breve termine, con una qualche tecnica di prompt engineering.
Nonostante la loro semplicità concettuale, questi due metodi hanno, per ragioni opposte, anche controindicazioni importanti. In breve, operare mediante fine tuning assume di riuscire a modificare i valori dei tanti parametri della rete per far sì che essa riesca a gestire con particolare evidenza i nostri documenti, che sono plausibilmente una minuscola parte dell’intera informazione su cui è stata addestrata: un’impresa che gli stessi gestori dei chatbot considerano problematica e sconsigliano. Al contrario, operare mediante prompt engineering mantiene certamente in evidenza il contenuto dei nostri documenti, che però viene dimenticato alla fine di ogni dialogo: questo può essere un problema, sia perché la
memoria a breve termine potrebbe non essere grande a sufficienza per contenere tutta l’informazione richiesta (attualmente alcune migliaia o alcune decine di migliaia di parole), sia perché il costo dell’uso del chatbot potrebbe dipendere da quanta informazione viene caricata in tale memoria.
Per questi motivi, si stanno sperimentando metodi diversi, e in un certo senso intermedi, a questi due, in particolare in due tipologie chiamate Parameter-Efficient Fine Tuning, per esempio nella forma di Low Ranking Adaptation (LoRA) e Retrieval-Augmented LLM, abilitata da un qualche genere di text embedding. È interessante che, nonostante i pochi mesi di “vita sociale” dei chatbot, si stiano già affrontando questioni di evidente rilevanza applicativa, come, appunto, la possibilità di personalizzare il loro comportamento in riferimento a documenti propri, garantendo nello stesso tempo qualità delle risposte, costi contenuti e riservatezza dei dati.
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RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA
Come nasce un’imbottitura In cammino verso il Monte Lema
Quando l’arte è concreta
COME NASCE un’imbottitura
Chiara Mazzetti Foto di Lisa Aramini Frei
prosegue il viaggio fotografico alla scoperta delle professionalità e dei prodotti della manifattura varesina. I protagonisti questa volta sono piume, fibre sintetiche e materiali riciclati, che, grazie alla pluricentenaria esperienza della A. Molina & C. Spa di Cairate, diventano giacche imbottite, divani, poltrone oppure cuscini. Tra progetti sostenibili e un occhio sempre puntato all’innovazione
Varesefocus
Tre linee di produzione per circa un milione e mezzo di chili di materiale lavorato ogni anno nello stabilimento di Cairate. Le piume e il piumino (la parte più pregiata), arrivano negli stabilimenti già prelavati e vengono poi divisi in base al
peso specifico attraverso una macchina selezionatrice in legno che, grazie ad un ventilatore, crea il vuoto e fa letteralmente viaggiare le piume in silos verticali collegati tra loro. Le piume più pesanti si fermano al primo passaggio mentre quelle più leggere e il piumino proseguono il viaggio fino all’ultima camera. Il materiale così suddiviso viene poi caricato in una enorme macchina, chiamata spolveratrice che ha il compito di eliminare la polvere grossolana. A questo punto, dopo essere state pesate, le piume
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TERRITORIO
TERRITORIO A. MOLINA & C.
passano in una lavatrice e, a seguire, in una camera di sterilizzazione ed essiccazione. Seguono poi il procedimento di raffreddamento ed eventuali trattamenti aggiuntivi e finissaggi come, ad esempio, nel caso di piume ignifughe destinate al settore del mobile imbottito. Questo il processo produttivo che alla A. Molina & C. Spa di Cairate porta, da oltre 170 anni, alla nascita del materiale da imbottitura per capi di abbigliamento, divani, poltrone, cuscini, piumini da letto, guanciali, trapunte e persino topper.
“Noi forniamo la materia prima ai brand della moda e del fashion, come Moncler, Prada, Herno, Stone Island, Woolrich e Colmar. Loro acquistano le piume da noi per poi realizzare capi di altà qualità. Siamo il quinto impianto in tutta Europa per la lavorazione delle piume e per noi il ramo più importante per valore e investimenti è quello dell’abbigliamento, seguito da quello del tessile casa e quello dell’arredamento per le imbottiture di cuscini di divani e poltrone”. Queste le parole di Agostino Molina, Presidente e Amministratore Delegato
dell’impresa fondata dal bisnonno e ora arrivata alla quinta generazione, che dà lavoro ad 80 dipendenti nei vari stabilimenti in provincia di Varese, senza contare le due sedi produttive a Taiwan e Cina e la prossima apertura in Vietnam.
Alla Molina, però, le piume non sono il solo materiale utilizzato per dare vita alle imbottiture.
“L’Italia è il più grande mercato al mondo per utilizzo del piumaggio delle oche nei cuscini di divani e poltrone nel settore dei mobili imbottiti. Sono molti i brand importanti che esportano in tutto il globo il design e il comfort dei divani made in Italy – spiega di nuovo Agostino Molina –. Per restare al passo con le richieste del mercato, è nato il nostro reparto ‘Non solo piuma’, in cui abbiamo iniziato a lavorare fibre sintetiche e microfibre. Portando avanti molti progetti di sostenibilità: gli impianti che abbiamo ci hanno permesso e ci permettono tuttora di trasformare scarti di lavorazione in materie prime”.
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“Noi forniamo la materia prima ai brand della moda e del fashion, come Moncler, Prada, Herno, Stone Island, Woolrich e Colmar. Loro acquistano le piume da noi per poi realizzare capi di altà qualità”
La prima progettualità sostenibile targata Molina puntava al riutilizzo di scarti delle lavorazioni in fibra di cammello. Lavorando i pezzi che sarebbero andati buttati, insieme al poliestere, hanno preso vita imbottiture che un brand di moda può riutilizzare per nuovi capi. Altra sfida è stata quella affrontata con un’importante realtà che opera nel settore dell’alpinismo, attiva nel campo dell’outdoor e della produzione di sacchi a pelo e capi di abbigliamento, che ha chiesto a Molina di riciclare le corde abbandonate dagli alpinisti sulle montagne per farne imbottiture per i loro prodotti.
L’impresa di Cairate, sempre meno energivora e attenta a ridurre i consumi di acqua utilizzata per la lavorazione delle piume, è anche in prima linea nel combattere pregiudizi e false credenze legati proprio a questo materiale. “Non è vero che le piume creano allergie e, vi posso assicurare, che non esiste un materiale più sostenibile. La piuma è uno dei pochi prodotti, assieme alla lana, che, testato in laboratorio, è risultato in totale assenza d’aria, biodegradabile al 97% in 5 mesi”, precisa Agostino Molina.
I LUOGHI VARESINI della risata
Alberto Bortoluzzi Foto di Alberto Bortoluzzi
Il trio composto da Aldo, Giovanni e Giacomo, i Fichi d’India, Claudio Bisio, Enzo Iacchetti, Gene Gnocchi, una giovanissima Luciana Littizzetto.
Questi sono solamente alcuni tra i comici e i cabarettisti che, all’inizio della loro carriera, hanno mosso i primi passi su palchi della provincia di Varese. Tra cui il Caffè Teatro di Samarate e L’Arlecchino di Vedano Olona
Il territorio varesino è da sempre terra di comici e cabarettisti, basti pensare a nomi come Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Enzo Iacchetti, Francesco Salvi, Bruno Arena, Max Cavallari, Stefano Chiodaroli, Max Pisu, Italo Giglioli. E l’elenco non si esaurisce di certo qui. Alcuni di questi personaggi hanno avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare tra gli anni ‘80 e ‘90 esibendosi in alcuni locali del Varesotto, che sono loro serviti come trampolino di lancio per approdare in seguito a palchi di grande prestigio come Zelig, Colorado e in alcuni casi anche al mondo del cinema. Varesefocus va alla scoperta di alcuni di questi luoghi della risata, in cui tutto ebbe inizio.
Prima tappa: il Caffè Teatro in via Indipendenza 10 a Samarate. Il locale, nato a metà degli anni ‘80 a opera di Maurizio Castiglioni, è aperto dal mercoledì alla domenica e si divide in due parti: una all’aperto, che in estate ospita svariati spettacoli e il servizio di apericena e una al chiuso che ricorda in piccolo il “Blue Note” di Milano. I muri di colore scuro sono tappezzati da una miriade di immagini dei tanti artisti che qui si sono esibiti nel corso degli anni. Balza subito all’occhio una fotografia di Aldo, Giovanni e Giacomo in compagnia di Marina Massironi con una dedica: “Grazie,
noi siamo nati qui”. Non mancano poi ritratti di Claudio Bisio, Paolo Rossi, Enzo Iacchetti, Gene Gnocchi, una giovanissima Luciana Littizzetto, Enzo Iannacci, Paolo Cornacchione, i Fichi d’India e tutti i cabarettisti più famosi che hanno calcato la scena italiana dagli anni ‘90 ai giorni nostri. “Abbiamo riaperto nel dicembre del 2022 dopo essere stati chiusi per 6 anni. Della vecchia gestione è rimasto solo uno dei soci storici: Bruno Zanfrillo che, con la sottoscritta e il figlio Niccolò, porta avanti l’attività –racconta Mara Daverio, responsabile del locale –. Tutto è nato quasi per caso: ci siamo ritrovati un pomeriggio ricordando con nostalgia gli anni ruggenti del Caffè Teatro e notte tempo è nata la decisione di riaprire i battenti. Rispetto al passato l’idea è stata di allargare le proposte di intrattenimento non solo al cabaret e alla comicità, ma anche alla musica, per la quale ci siamo avvalsi della direzione artistica di Massimo Genchi, mentre per la programmazione del cabaret ci siamo affidati a Stefano Chiodaroli. Nel contempo però si è voluta offrire anche l’opportunità a giovani sconosciuti di esibirsi, il tutto accompagnato da una proposta culinaria di qualità”. Non a caso Bruno Zanfrillo proviene da 35 anni di ristorazione ne “La Goletta di Gallarate”, ma non è finita qui. “Abbiamo anche cercato di mantenere dei prezzi popolari: alcuni spettacoli sono gratis, altri variano tra i 10 e i 15 euro, mentre il menù è alla carta”, precisa Daverio.
Seconda tappa: L’Arlecchino in via Papa Innocenzo XI 37 a Vedano Olona, nato negli anni ‘90 qualche anno dopo il samaratese Caffè Teatro. Raffaella Orsi, una dei soci, racconta gli inizi, al fianco di un comico diventato icona della risata varesina nel mondo: “Eravamo giovanissimi quando abbiamo aperto, io e Max Cavallari dei Fichi d’India avevamo solo 21 anni; poi c’era suo fratello Ciro che era un musicista e Enrico Bonacina, in arte Bob Rock, che faceva il Dj. Max era agli inizi della sua attività di cabarettista: ai tempi faceva teatro e portava in scena ‘Jesus Christ super star’”.
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TERRITORIO
TERRITORIO I LUOGHI DELLA RISATA
Il locale, inizialmente, era diviso in due parti: una era un vero e proprio circolo frequentato da avventori che trascorrevano le giornate giocando a carte. L’altra parte invece era una paninoteca, chiamata New York. “Poco tempo dopo abbiamo abbattuto il muro che divideva le due parti ed è nato L’Arlecchino – spiega Orsi –. Lo abbiamo chiamato così pensando allo spettacolo ‘Arlecchino servo di due padroni’, perché anche noi eravamo servi di due padroni, in un certo senso: il cabaret e la musica. Io mi occupavo della programmazione del cabaret e facevo anche da agente ai Fichi d’India fino a che non sono approdati al cinema, mentre Ciro si occupava della programmazione musicale. Tra la metà e la fine degli anni ‘90 abbiamo creato una nostra prima compagnia stabile: gli Arleccomics in cui militavano Gegio e Gianfri, Marino Guidi, Max Bunny (Massimo Contati)
Savi e Montieri, Antonella del Curto, Roberto Stoppa, Debora De Benetti, Roberto de Marchi, Fabio Corradi. A metà degli anni 2000 sono nati i Ficodrammatici con Marco Gaio Gaiazzi, Pasquale Bevilacqua, Vincenzo Savino, Manuela Lozza, Alice Villa, Ilenia Torti”. Sul palco de L’Arlecchino si sono avvicendati, oltre alle compagnie stabili, moltissimi cabarettisti e comici di grido, come ad esempio Aldo e Giovanni, (Giacomo si sarebbe unito in seguito, ai tempi si esibiva con Marina Massironi) poi Enrico Bertolino, Antonio Cornacchione, Nanni Svampa, Alberto Patrucco, Enzo Iacchetti, Italo Giglioli, Gegio e Gianfri e molti altri.
“Purtroppo, oggi i nostri appuntamenti con il cabaret si sono molto diradati, da due volte alla settimana siamo passati a una, fino ad arrivare a una sola programmazione mensile – ci tiene a precisare Raffaella Orsi –. Con la musica, invece, stiamo andando alla grande”. Alla richiesta se ci siano delle nuove leve nel mondo del cabaret e della comicità, Raffaella risponde così: “Nel 2019 è nata a Varese una bella iniziativa in Piazza della Motta 6, una scuola dello spettacolo: M.Art.E, voluta da Caterina Rossi e Lia Locatelli, dove vengono insegnate tutte le tecniche dello spettacolo e della performance, sia per chi sta sul palco, sia per chi sta dietro le quinte. Devo dire che ci sono degli allievi che hanno decisamente del talento che sicuramente in futuro si faranno conoscere. Mai come oggi c’è bisogno di ridere: la risata è un appuntamento con la salute”.
L’interno del Caffè Teatro di Samarate (1). Alcuni tra i protagonisti delle serate: Claudio Bisio, Ale e Franz (2), Enzo Iacchetti (3). L’esterno de L’Arlecchino a Vedano Olona (4). Il giardino interno del Caffè Teatro (5) e i suoi “animatori” Rocco Barbaro, Mara Daverio e Bruno Zanfrillo (6). Ciro Cavallari con Raffaella Orsi (7), l’interno de L’Arlecchino (8). Arleccomics con Max Cavallari (9) e i camerini de L’Arlecchino (10).
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LA NUOVA VIA del teatro
Lisa Aramini Frei
Nata 10 anni fa dalla volontà di 5 giovani professionisti del mondo artistico e teatrale, con l’ambizione di lasciare la propria impronta nel territorio varesino, l’Associazione Karakorum è diventata, da poco, impresa sociale. Obiettivo: fare della cultura uno strumento di sviluppo territoriale, anche attraverso la creazione di Kalipè, una community dedicata allo scambio di idee e condivisione, che coinvolge anche le realtà aziendali
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TERRITORIO
Karakorum. A destra, una serata allo Spazio Yak
Alcuni collaboratori di
essuna vetta è insormontabile se c’è la collaborazione di tutti. Come in una cordata in montagna per raggiungere la cima è necessario procedere insieme a passi lenti ma decisi, così Karakorum punta alla diffusione del teatro e dell’arte come mezzo per lo sviluppo sociale ed economico del territorio, con l’aiuto di vari compagni di squadra. A cominciare da artisti del panorama nazionale e internazionale, che condividano le loro conoscenze ed esperienze, per arrivare alle aziende, che sempre di più si offrono come palco per la realizzazione dei diversi progetti portati avanti dall’impresa culturale e creativa di Varese. Karakorum, fondata nel 2013 da 5 giovani artisti varesini che frequentavano la Scuola di Teatro Arsenale a Milano, è nata con la volontà da parte dei soci fondatori di dare un’organizzazione concreta a quelle che, fino a quel momento, erano state attività singole, riconducendole così sotto un unico cappello. Fondamentale per i ragazzi era rimanere legati al territorio varesino: “Noi volevamo assolutamente lavorare a Varese – racconta Stefano Beghi, Presidente e Direttore Creativo di Karakorum –, ma in quegli anni non erano molte le possibilità di realizzarsi nel campo artistico. Per questo motivo abbiamo deciso di fondare un’associazione, proprio qui. Era la forma più ‘convenzionale’ per un’attività come la nostra. Poi siamo arrivati alla decisione che fosse tempo di fare un passo in avanti e diventare una Srl, un’impresa sociale. Siamo la prima impresa sociale di artisti a Varese e tra le prime in Italia”. Con il passare degli anni, Karakorum ha accolto all’interno della sua struttura nuove figure provenienti dal territorio. Dei 5 fondatori originari, Beghi è l’unico rimasto nell’impresa culturale che ora ha ampliato la sua compagine sociale raggiungendo quota 10 soci. La localizzazione sul territorio del Varesotto ha permesso di dare un posto di lavoro a diversi varesini professionisti del settore, evitando così una fuga di talenti e ampliando la cerchia dei collaboratori a circa 20 unità. Ma non solo. Dei 10 soci, 3 provengono da Milano e una da Bologna, a dimostrazione del fatto che la provincia varesina, grazie anche ad operazioni come quelle portate avanti da Karakorum, può essere fortemente attrattiva per giovani talenti. “Uno dei nostri obbiettivi – spiega di nuovo Beghi – è quello di offrire ai ragazzi e alle ragazze che decidono di intraprendere una carriera di tipo artistico una possibilità di
formazione, in primis, e poi di stabilizzazione a Varese”. Le professionalità presenti all’interno dell’impresa culturale comprendono diversi campi dell’arte e della multimedialità: attori, autori, registi, per passare a competenze più trasversali come quelle dei Sound Designer, degli informatici o dei musicisti che si applicano nella produzione di performance immersive. Una compagnia teatrale sì, ma ibrida e fluida, in cui gli artisti sono a tutti gli effetti una risorsa strategica per la produzione di valore. Dall’utilizzo dell’arte performativa come strumento di rigenerazione degli spazi pubblici, all’uso del teatro per attività di formazione per la pubblica amministrazione, dal lavoro sociale al turismo, dalla comunicazione alla consulenza: diversi sono i campi d’azione di Karakorum. A Spazio Yak, quartier generale dell’impresa nel quartiere Bustecche di Varese, vengono svolte, tra le tante, anche attività di inclusione sociale, con laboratori teatrali dedicati a ragazzi, adolescenti e adulti, portando avanti una progettualità di rigenerazione sociale nelle periferie varesine. “Spazio Yak è il nostro progetto ad impatto e con cui vogliamo lasciare un’impronta sul territorio – continua Beghi –. Si tratta di una progettualità su cui noi intendiamo investire sia a livello economico sia a livello di competenze”. La voglia di lasciare la propria traccia sociale ha portato così alla creazione di una community volta allo scambio di idee e condivisione, Kalipè, che prende il nome di un augurio himalayano rivolto a chi si incammina verso la montagna a passo corto ma efficace, come il passo di Karakorum verso il futuro. Rivolta alle aziende che nel quotidiano già trattano temi di sostenibilità sociale, Kalipè vuole essere uno spazio condiviso di promozione della cultura di qualità e di creazione di benessere per i giovani, le famiglie e le comunità del territorio, possibile solo con la collaborazione di più attori come le diverse parti sociali, la popolazione e anche le imprese stesse.
Attività di welfare vengono già svolte all’interno delle aziende, con giornate dedicate in cui proprio negli spazi aziendali vengono realizzati dei momenti di teatro per i dipendenti e i loro figli, con attività di storytelling per raccontare, anche ai bambini, i valori del luogo di lavoro in cui si trovano. “Questo è uno dei modi con cui vogliamo lasciare il segno – conclude Beghi –. La cultura può essere leva di sviluppo sul territorio e nelle aziende, ma ciò può avvenire solo con una collaborazione reciproca delle parti, per arrivare all’obiettivo comune di benessere sociale, e di conseguenza, di crescita su più fronti del territorio varesino”.
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N
L’associazione CHE NON HA “MAI PAURA”
Dall’esperienza dietro al bancone di un negozio alla guida di una barca a vela, fino alla pet therapy in acqua e all’osservazione delle stelle da una vera e propria stazione astronomica. Passando per la mototerapia, il giardinaggio e i corsi di arte o di latino-americano. Questo il ventaglio di attività che propone Mai Paura: l’organizzazione di volontario, nata da un progetto della Farmacia oncologica Bossi di Busto Arsizio, attiva sui fronti della malattia, della disabilità e del disagio.
Racconta così l’impegno la fondatrice dell’associazione e titolare della farmacia, Emanuela Bossi: “È iniziato tutto organizzando degli incontri di oncologia, quando ho intravisto su Internet le iniziative dedicate ai pazienti oncologici di Vanni Oddera (uno dei massimi esperti di freestyle motocross al mondo, ndr.). Ho pensato di contattarlo per uno spettacolo da fare a Volandia (il Museo del Volo a Somma Lombardo, ndr.), a conclusione di questi appuntamenti e da lì mi sono resa conto di quanto sarebbe stato importante aprirci ad altre iniziative, pensate sia
per pazienti con una malattia, sia per persone diversamente abili, sia per quelle ‘semplicemente’ sole. Vogliamo creare delle opportunità, non solo di svago, ma anche di conoscenza reciproca soprattutto fra due mondi che tante volte non si parlano. Quello dell’abilità e della non abilità”.
È fin da queste parole della fondatrice che si può intuire la profonda sensibilità di Mai Paura, un’associazione che non parla mai di disabilità perché, come tiene a sottolineare la stessa Emanuela Bossi, “ognuno ha delle capacità che un altro non ha”. A ciascuno la sua abilità: questa la regola a capo di ogni azione
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Il motto del fondatore della Farmacia Bossi di Busto Arsizio, Enrico, ispira ancora oggi l’azione verso il prossimo della figlia Emanuela, alla guida di un’organizzazione di volontariato dedita a tutti coloro che convivono con una malattia, una “non abilità” o un disagio. Tra i progetti in cantiere: una caffetteria come trampolino di lancio nel mondo del lavoro per quelle persone che con le loro capacità diverse “sono un valore aggiunto per la società”
Francesca Cisotto
TERRITORIO
dell’organizzazione di volontariato. La missione è sempre e solo una: essere al servizio delle persone, in generale, per favorire il “ben d’essere”, perché, come sottolinea la fondatrice Bossi, “se non si può togliere il male o un disagio, si può comunque favorire il bene e creare delle opportunità di vita”. La base, per tutti quelli che vogliono far parte di questa missione, sembra ormai essere il Mai Paura Camp: uno spazio verde, in via Salvator Rosa 29, a Busto Arsizio, dotato di una zona barbecue, una piscina, un orto e persino un osservatorio astronomico denominato “Nebulosa Anima&Cuore”. Un progetto, quest’ultimo, che rappresenta perfettamente ciò che è l’associazione: il frutto della sinergia tra più persone accomunate dal desiderio di fare del bene. Fino all’ultimo. La stazione per esplorare il cielo, infatti, è stata realizzata grazie all’attrezzatura donata da Gabriele, un giovane paziente oncologico nella sua fase terminale, con cui ora i ragazzi e le ragazze, in visita al Camp, guardano stelle e galassie, oltre a cimentarsi in laboratori didattici con pianeti tattili e proiezioni sonore.
“Pensiamo di offrire delle opportunità a delle persone che ne hanno necessità, ma in realtà è l’esatto contrario: sono loro a dare delle occasioni a noi. Di approfondimento, di conoscenza, ma anche di crescita proponendoci un punto di vista differente, talvolta lontano, da quella che è la nostra visione della vita. Non ci si può fermare a sé stessi, se no, non si è completi”, continua Emanuela Bossi che a se stessa non si è mai fermata, ma ha sempre guardato “all’altro e ad altro”. Dai mesi in Africa alle attività in aiuto ai tossicodipendenti, fino a tutte quelle storie e iniziative in cui si è imbattuta con la sua professione di farmacista. Una vita che sta spendendo per gli altri, all’insegna di quel “mai paura” che era il motto di suo padre, Enrico, fondatore della Farmacia di famiglia. Un mantra che, come racconta Emanuela, “ripeteva per qualsiasi situazione si dovesse affrontare, anche piuttosto importante o grave, sia in famiglia, sia con i suoi ragazzi in farmacia. Un po’ come a dire, ok, con calma affrontiamo tutto e tutti”.
E così, oggi, i volontari di Mai Paura prendono per mano le persone in difficoltà, abbracciando con
A destra, dall’alto, la Pet therapy e l’Antigravity Yoga al Mai Paura Camp (Ph. Cactus Production). A sinistra, in barca a vela per l’iniziativa “Prendi il Largo” (Ph. Cactus Production)
iniziative e progetti anche le loro famiglie.
Nella lista dei desideri da realizzare dell’associazione c’è anche “Apotheka del sorriso”: una caffetteria che avrà sede a Busto Arsizio, che sarà dotata di una panetteria per la rivendita di prodotti da forno e gestita dai “ragazzi del sorriso”, come li chiama Emanuela Bossi.
Un progetto ancora in cantiere per mancanza di fondi, ma che risponde ad una serie di buoni propositi, primo fra tutti quello di andare incontro alla preoccupazione dei genitori di figli disabili che si pongono la domanda “cosa farà da grande mio figlio?”
La risposta per la fondatrice, Emanuela Bossi, è semplice: “Lavorerà. Lo potrà fare in un ambiente in cui non ci saranno barriere o pregiudizi. Apotheka del sorriso vuole essere un posto per prendersi cura dell’altro. E in particolare, dei ragazzi e delle ragazze che potranno lavorare, delle loro famiglie che avranno un’apprensione in meno e dei clienti. Vogliamo creare questo posto di lavoro affinché sia un trampolino di lancio per questi giovani che devono imparare una mansione per poi essere assunti da qualche impresa”. E conclude: “Penso a cosa potrebbe diventare Apotheka se delle aziende facessero parte di questa condivisione di intenti. Sarebbe un sogno che si avvera”.
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IN CAMMINO VERSO il Monte Lema
Partendo dal Rifugio Campiglio a Dumenza, in località Alpe Pradecolo, un sentiero sospeso tra due laghi, il Ceresio e il Maggiore e due Nazioni, l’Italia e la Svizzera, conduce in cima ad una vetta, vero e proprio paradiso per gli amanti del parapendio e per i cacciatori di viste mozzafiato. Tra altalene giganti, alpeggi ed escursioni da godersi in tutte le stagioni
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Alessandra Favaro
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Una panchina panoramica sulla cima del Monte Lema
Una passeggiata che abbraccia panorami nel blu sospesi tra due laghi, Ceresio e Maggiore, e due Nazioni, Svizzera e Italia, in un percorso emozionante e sempre diverso, dove in estate prendere fresco, in primavera stupirsi per le migliaia di fioriture diverse e in autunno lasciarsi incantare dai colori del fogliame. È il sentiero che porta dal Rifugio Campiglio, a Dumenza, in località Alpe Pradecolo e conduce fino al Monte Lema, paradiso per gli amanti del parapendio e per i cacciatori di viste mozzafiato. Per arrivare in cima al Monte Lema sono necessari in totale 450 metri di dislivello e circa un’ora e mezza di cammino. Il paesaggio, che qui merita una sosta prolungata, abbraccia colline, boschi e due laghi appunto: a destra il Maggiore e a sinistra i rami del Lago Ceresio.
Una vetta per gli amanti del volo
Il Monte Lema è una montagna situata in Ticino, Svizzera, poco dopo il confine italiano, contrassegnato con un cippo quasi arrivati in vetta. Con i suoi 1.624 metri di altezza, questa è la seconda montagna più alta del Ticino dopo il Monte Generoso. Si tratta di un’ottima destinazione per gli amanti della natura, dello sport e dell’aeronautica. Per i piloti di parapendio, è uno dei punti ideali per la partenza anche di voli di formazione e di lunga distanza. Non è raro poterli ammirare nelle loro evoluzioni, una volta arrivati in cima. E lo spettacolo si arricchisce con i piloti di aeromodellismo, che hanno scelto queste vette per dare sfogo alla loro passione: il Monte Lema è, infatti, ritenuto nell’intera regione alpina una delle destinazioni top per questa pratica. In vetta, diversi cartelli segnalano anche il codice di condotta da tenere in questo “sito di volo” per permettere a tutti di convivere e praticare il loro sport preferito in armonia con gli altri. Anche gli escursionisti e gli amanti della fotografia trovano pane per i loro denti: il Monte Lema offre, infatti, una vista panoramica mozzafiato sulle Alpi, sul Lago Maggiore e sulle valli circostanti. Dalla Svizzera, è possibile raggiungere la vetta anche in funivia da Miglieglia, un piccolo villaggio situato a 1.050 metri di altezza. La funivia percorre un dislivello di 574 metri e impiega circa 15 minuti per raggiungere la cima, dove poi rilassarsi. Dall’Italia, la passeggiata più panoramica parte dal Rifugio Campiglio, dove potersi rifocillare una volta scesi. Anche in vetta c’è un rifugio dove poter fare una sosta gastronomica o una pausa
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Alcuni appassionati di aeromodellismo. Sotto, atmosfere rurali nella parte svizzera del sentiero e una delle altalene del progetto Swing The World
rilassante. Il Monte Lema è anche un luogo ideale per praticare sport: è possibile fare escursioni, mountain bike, parapendio e sci alpino.
L’altalena gigante
Scendendo dalla vetta e proseguendo verso il versante svizzero, dopo aver superato la funivia, si incontrerà un’altra cima panoramica in grado di conquistare sia adulti sia bambini. Qui è installata, infatti, una delle altalene giganti del progetto Swing The World. Immaginatevi seduti su un’altalena enorme, sospesi a un’altezza impressionante, con lo sfondo mozzafiato del Lago di Lugano. Questa è l’esperienza che è possibile vivere una volta arrivati in cima. Nato dall’iniziativa di due giovani ticinesi appassionati di fotografia e video making, il progetto Swing the World mira a esporre angoli nascosti e panorami spettacolari del territorio svizzero in modo originale e giocoso. Queste altalene giganti non sono semplici giochi da cortile, ma vere e proprie opere d’arte, prodotte artigianalmente con materiali naturali per integrarsi armoniosamente nei luoghi in cui vengono installate. Situata sulla cima del Monte Lema, questa altalena gigante è un invito a lasciarsi cullare dalla brezza dell’aria e dai raggi del sole, mentre si ammira l’ampio panorama che si apre davanti ai propri occhi. La sensazione è indescrivibile: un mix di leggerezza, libertà e stupore che solo un’esperienza così può offrire. L’obiettivo del progetto, d’altronde, è proprio intrattenere le persone in modo creativo, stimolandole a trascorrere del tempo fuori dalle mura domestiche, divertendosi all’aria aperta. Le località selezionate possono essere panorami mozzafiato, villaggi remoti o attrazioni naturali, purché siano sempre luoghi che permettono di vivere l’esperienza di dondolarsi tra le nuvole. L’altalena gigante del Monte Lema non è solo
un’avventura avvincente, ma crea anche la cornice perfetta per un’immagine da favola. La possibilità di catturare un momento di pura gioia mentre si dondola immersi nel panorama stupefacente del Monte Lema, è un’occasione che appassionati di fotografia e amanti della natura non vorranno perdere. Swing the World è un progetto pensato per tutti: a partire dai bambini dai 10 anni in su fino ad arrivare ai più grandi. È un invito a liberare la mente, a lasciare da parte ogni pensiero e a godersi il paesaggio circostante in un modo completamente nuovo e stimolante. Una sorpresa inattesa in grado di emozionare durante un’escursione.
Il Rifugio Campiglio
Tra le Prealpi Luganesi, quasi al confine tra Italia e Svizzera, a 1.184 metri di altitudine, sorge l’Alpe Pradecolo, un luogo che ha visto un secolo di storia e trasformazioni. Il suo nome, che tradotto significa “ecco il Prato”, risuona come un invito alla scoperta di questo luogo idilliaco. Acquistata nel 1916 dal Cavalier Antonio Campiglio, l’Alpe Pradecolo iniziò la sua vita come alpeggio estivo per le mandrie del nobiluomo. Il tempo ha poi portato con sé cambiamenti significativi. Negli anni ‘20, accanto alla stalla e alla baita per la stagionatura dei formaggi, vennero costruiti una chiesetta e un ristoro. Inoltre, furono realizzate delle camere sopra quello che oggi è il bar del rifugio. A metà del XX secolo, la famiglia Campiglio decise di ampliare l’offerta dell’Alpe Pradecolo, avviando un’attività ricettiva nel rifugio. Questo segnò l’inizio di una nuova era, che vide un’ulteriore trasformazione nel 2002, quando il rifugio fu completamente ristrutturato.
Nel 2020, il Rifugio Campiglio ha celebrato un importante traguardo: il centenario della sua fondazione. E lo ha festeggiato con una nuova gestione che ha reso il rifugio uno splendido buen ritiro per una sosta mangereccia dopo un’escursione, ma anche un luogo perfetto in cui soggiornare, visto che dispone di alcune camere dove dormire. Un secolo di storia, di cambiamenti e di accoglienza, che ha visto l’Alpe Pradecolo trasformarsi da semplice alpeggio a rifugio apprezzato da escursionisti e amanti della montagna. Anche perchè i sentieri che partono da qui sono percorribili tutto l’anno: a piedi, in mountain bike e a cavallo durante la bella stagione, con le ciaspole in inverno. Tra le mete escursionistiche più note, oltre al Monte Lema, ci sono: la Capanna del Merigetto (1.498 metri, per 4 ore di cammino), il Monte Tamaro (1.961 metri, per 5 ore e mezza), la Chiesa Madonna della Guardia (Alpone, 1.245 metri, 1 ora e 15 minuti di cammino). Inoltre, per chi ama unire un aspetto escursionistico a uno religioso, è possibile arrivare fino a Dumenza in auto e poi proseguire fino al Rifugio Campiglio a piedi percorrendo la scalinata con via crucis dal santuario di Trezzino.
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Panoramica lungo il sentiero con vista sul Lago Maggiore
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L’EDILIZIA CIRCOLARE DEI Molinidi Gurone
Alessandra Favaro
startup innovativa varesina sta portando avanti il recupero di un gruppo di antichi mulini di Malnate, situati lungo il corso del fiume Olona, con un progetto condiviso di circular economy e riuso di materiali edili di scarto. Contribuendo così a preservare la storica testimonianza di attività produttive basate sulla potenza dell’energia
Una
idraulica
Imulini in provincia di Varese sono un’importante testimonianza del patrimonio storico e culturale del territorio. Queste opere sono state costruite nel corso dei secoli per macinare i cereali, ma anche per produrre energia elettrica, per seccare il tabacco e per altre attività produttive. La provincia è ricca di acqua e anche di mulini, che si trovano sia lungo i fiumi sia nei boschi.
A Malnate, in località Gurone, situata lungo il corso dell’Olona, sorge un antico nucleo di mulini unico nel suo genere, i Molini di Gurone. Questo luogo nel corso dei secoli ha saputo adattarsi e resistere al trascorrere del tempo e ai cambiamenti del paesaggio. Fondati sulla forza dell’acqua del fiume, questi mulini e la vicina falegnameria sono stati a lungo il cuore pulsante dell’economia locale. Tracce di attività produttive percorrendo il corso del fiume Olona risalgono addirittura al 200, mentre la costruzione dei mulini in questa specifica zona può essere datata intorno al XVI secolo. Le ruote idrauliche, alimentate dalle acque fluviali, permettevano la macinazione del grano e dei semi oleosi, la lavorazione del riso e la produzione di tessuti, fondamentali per la vita quotidiana della popolazione locale.
L’anello che protegge i mulini di Gurone dalle piene. Sotto, la sede di Legambiente
71 GITA A...
GITA A... MOLINI DI GURONE
I Molini di Gurone
L’attività dei Molini di Gurone, originariamente di proprietà dei conti Bizzozero, fu portata avanti dalla famiglia Sonzini per quasi 150 anni. Tuttavia, a metà del XIX secolo, il lavoro iniziò a rallentare e l’ultimo mulino cessò di funzionare nel 1970, segnando la fine di un’epoca. Oggi, purtroppo, i mulini non sono più bagnati dalle acque del fiume Olona che per secoli ne hanno garantito la vitalità. Questo cambiamento è stato dovuto a lavori di contenimento delle piene del fiume, necessari per proteggere l’area da esondazioni e alluvioni. Tuttavia, il borgo mantiene un fascino particolare, grazie alla sua eccezionale collocazione all’interno di una vasca di laminazione. È inoltre protetto dalle piene del fiume Olona da un terrapieno circolare. Questa struttura trasforma i mulini di Gurone in quella che sembra un’isola, un simbolo di resistenza e resilienza nel tempo. Sulle abitazioni e sugli edifici rimasti, in cui vivono alcune famiglie, probabilmente ricostruiti
o ampliati sui preesistenti, si conservano incise alcune date, testimonianze del passato e della storia del luogo. Non sono più presenti le ruote utilizzate per la macina, ma si conservano alcune rogge, canali artificiali utilizzati per l’irrigazione e l’alimentazione dei mulini ad acqua, un ulteriore segno della loro antica funzione. I Molini di Gurone rappresentano una testimonianza importante della storia locale, un luogo in cui la forza “buona” del fiume ha permesso a intere generazioni di vivere e lavorare. Nonostante le difficoltà e i cambiamenti, i mulini continuano a mantenere viva la memoria di un passato che non deve essere dimenticato.
Oggi, nel borgo, i Circoli di Legambiente di Varese e Malnate, in collaborazione con svariate istituzioni, tra cui la Provincia di Varese, il Comune di Malnate e la Fondazione Cariplo, hanno dato vita a diversi progetti per valorizzare questa zona: dall’Osservatorio sul fiume al presidio permanente al vecchio casello della Valmorea dove è presente una mostra sull’archeologia industriale. La pandemia e il blocco dei cantieri hanno solo rallentato il lavoro di Legambiente, che nel frattempo ha dato vita, proprio all’interno di questi mulini, ad un progetto davvero innovativo: Casamatta.
Casamatta, avamposto di economia circolare
Casamatta è il caso pilota e concreto della startup innovativa Re-sign SB Srl. Il progetto si concentra proprio sulla rivitalizzazione dei Molini di Gurone, borgo unico nel suo genere, che in passato si è trovato in uno stato a rischio
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degrado. Il progetto, attivo da diversi anni, ha contribuito a ristrutturare una parte del borgo da adibire a centro per il volontariato ambientale, attraverso il riuso di materiali di scarto, come mattoni, serramenti, sughero e legno, forniti da aziende del territorio. Non solo: sono stati messi a punto anche strumenti come un forno comune, un orto ed un casello dell’ex ferrovia della Valmorea, necessari per l’attivazione di iniziative a carattere culturale, formativo, sociale e artigianale. E con il passare del tempo, i progetti di restauro e riqualificazione sono proseguiti. Il fine ultimo è valorizzare il borgo come luogo di incontro, aggregazione e promozione socioculturale, creando reti sociali e attività condivise. “Stiamo continuando a riqualificare i Molini di Gurone con iniziative di autocostruzione – spiega Valentina Minazzi, Vicepresidente di Legambiente Lombardia e Presidente di Legambiente Varese –. Il fine ultimo rimane, comunque, l’idea di creare un luogo fatto di spazi che possano essere condivisi per svariete attività. A questo
scopo si affiancano poi i lavori di ristrutturazione, che stiamo portando avanti scegliendo materiali di recupero edilizio. Si tratta, in altre parole, di un vero e proprio esperimento di economia circolare applicato all’edilizia”. A supportare questa iniziativa sono anche diverse figure tecniche, tra cui spicca una collaborazione con alcuni professori del Politecnico di Milano, tra cui Gianluca Brunetti, che invita i suoi studenti a scrivere la tesi di laurea proprio sul progetto Casamatta. Per saperne di più su Casamatta e la riqualificazione dei mulini di Gurone, è possibile seguire le pagine social di Legambiente Varese e Casamatta, su Facebook e Instagram.
Il forno comune
Tra i progetti più storici e “golosi” che si possono osservare nel borgo Molini di Gurone, c’è quello del forno comune, realizzato sotto il cappello di Legambiente, rigenerando in autocostruzione il precedente forno, demolito anni fa. Tante le mani che hanno fisicamente contribuito alla posa dei mattoni per veder rinascere il forno della corte, costruito con materiale di recupero. Il forno è acceso ogni primo sabato del mese ed è a disposizione di tutti i soci di Legambiente.
Mulini nel Varesotto
Non solo lungo il fiume Olona, ma in ogni luogo in cui la pendenza di un corso d’acqua fosse sufficiente a mettere in moto le pale, sono sorti mulini ad acqua in provincia di Varese nel corso dei secoli. Questi mulini erano utilizzati per varie attività, tra cui la macinazione del grano, la produzione di seta e molto altro e si trovavano lungo le sponde del Tresa, del Margorabbia, del Monvallina, del Bardello, del Dovrana e del torrente Strona, solo per citarne alcuni. Il Piano Territoriale di Coordinamento (PTCP) della Provincia di Varese ha censito numerosi mulini, tra cui il Mulino Mascioni ad Azzio, tre mulini ad acqua a Besano, i mulini di Besozzo e il Mulino di Piona a Brebbia. Rappresentano un patrimonio storico e culturale di grande valore, testimoni di un’epoca in cui l’energia idraulica era la principale fonte per le attività produttive. Tra i più significativi, sono da citare il Mulino Zacchetto a Castelseprio, uno dei pochi reperti architettonici di mulini da grano di origine settecentesca. Oppure il Mulino Cattaneo a Castiglione Olona, già esistente nel 1700, che venne successivamente trasformato in abitazioni per le maestranze del Cotonificio. O ancora il Mulino Guidali o delle Sette Mole, posto in prossimità delle rive del fiume Olona, che ha servito la popolazione per secoli.
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Il paesaggio attorno al borgo. Sopra, un antico torchio
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QUANDO L’ARTE è Concreta
Nello spazio della Fondazione Morandini, sono in mostra, fino ad ottobre, le opere di Giuseppe Fronzoni e Gianni Colombo, tra i più importanti esponenti della corrente artistica portata avanti, per anni, insieme all’amico architetto, scultore e designer nato a Mantova, ma varesino d’adozione. Tra giochi di luci ed ombre, chiari e scuri, con cui è possibile anche interagire
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Luisa Negri Foto di Marco Gasparetti
ARTE
Opera omnia, Marcello Morandini
ARTE FONDAZIONE MORANDINI
C’è un momento della sua vita di cui va molto orgoglioso, raccontato nella recente autobiografia (Marcello Morandini, “I miei primi 60 anni”). Quando, alla contestata Biennale del ’68, dove partecipava con una sala monografica, gli artisti ricevevano inviti, telefonate e continue minacce perché chiudessero le loro sale. “Alcuni aderirono e nascosero le opere girandole contro il muro. Io ero il più giovane e non avevo alcuna intenzione, o pensiero funesto, di avallare culturalmente le ragioni di questa inutile contestazione; solo Gianni Colombo condivise con me questa scelta”.
La mostra Geometrie*Design*Ambienti, visitabile fino al 22 ottobre nello spazio della Fondazione Morandini, è anche brillante narrazione dell’incontro di tre artisti, tra i più importanti esponenti dell’Arte Concreta, che hanno collaborato tra loro, scambiandosi preziose informazioni e coltivando sentimenti di affetto e vicendevole stima.
Seppero essere insieme maestri, colleghi, amici: per Gianni Colombo (Milano, 1937-1993) la mostra è anche omaggio a trent’anni dalla morte, per Angelo Giuseppe Fronzoni (Pistoia, 1923-2002) è a sua volta importante ricordo, a 100 anni dalla nascita. Di Morandini, artista di fama internazionale, nato a Mantova nel 1940, affermatosi in Germania e nel mondo, è stato presentato il libro con il racconto dei suoi primi sessant’anni di attività. Chi conosce lo spazio della Fondazione ne apprezza già l’intimità ospitale, l’accoglienza coinvolgente offerta con disponibilità assoluta, da chi lo ha pensato e realizzato, a chi lo visita. Si tratta di un luogo unico, per raffinatezza delle opere esposte e della stessa sede: un’antica villa Liberty, nel cuore di Varese, che si propone ora anche come Centro Internazionale di Arte Concreta.
Nel percorso della dimora di inizio ‘900, perfettamente restaurata nel segno della bellezza e del rispetto del tempo, tutto è raccontato con la consueta nitidezza, che è prerogativa fondamentale del tratto e dell’opera morandiniana, giocata su due colori, il bianco e il nero. C’è però un modo ancor più speciale per catturare il visitatore di una mostra o di uno studio d’artista. Ed è quello di coinvolgerlo nel gioco, non solo da spettatore passivo dell’opera, ma a sua volta da coprotagonista. Per chi vuole “toccare con mano” l’arte di Colombo, interagendo con due dei suoi tre lavori esposti
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al primo piano della villa è possibile avvicinarsi a “Spazio elastico quadrati bianchi” e “Spazio elastico quadrati neri”, entrambi del 1976. E spostare gli elastici passandoli da un gancio all’altro del quadrato ligneo, creando nuove immagini con effetti di tridimensionalità. Un esercizio semplice di esecuzione che ha risposte interessanti e può suscitare sensazioni diverse. Un modo meno tradizionale e meno romantico, che Colombo indicava come innovativo, per guardare all’arte. “La regola del gioco diventa parte dei dati e quindi dato di informazione. Non, dunque, più nascosta e nota solo da conoscitori, ma essa stessa protagonista e significato dell’informazione”.
Accanto, in una sala dedicata, è la terza opera esposta di Colombo, “Luce/Ombra X”, un lavoro ambientale che coinvolge il visitatore in un gioco di luci e ombre con effetto immersivo. Che incrocia, cioè, la percezione fisica e sensoriale dello spettatore, così che “spazio, tempo e provocazione”, temi caratterizzanti della sua opera, siano presenti insieme.
Il giovane Morandini degli anni ‘60 lavorava con Fronzoni, apprendeva, s’intendevano d’arte e non solo. Era un buon modo di arrotondare il bilancio per uno come lui, rimasto orfano di un padre morto in guerra in Russia, abituato a far da solo. Ma soprattutto gli serviva per confrontarsi con un grande, il cui lavoro spaziava dalla grafica all’architettura, dall’editoria all’insegnamento. Morandini si divideva a sua volta tra il lavoro di grafico per Atlantic, la scuola serale a Brera e uno studio proprio.
A Fronzoni è dedicata in mostra una sala al piano terra della villa, con importanti manifesti, come quello per la mostra di Fontana alla Galleria La Polena di Genova nel ‘66 e per Gio Ponti nel ’67. Documenti e foto, materiali d’archivio ed editoriali relativi sono stati selezionati da Lars Müller (Oslo, 1955). Proprio Müller, grafico, editore noto e fondatore della casa editrice svizzera Ars Müller Publishers, specializzata in architettura,
GEOMETRIE * DESIGN * AMBIENTI
M. Morandini, A. G. Fronzoni, G. Colombo
a cura di Marcello Morandini e Lars Müller
Fondazione Morandini
Dal 21 maggio al 22 ottobre
Via Francesco del Cairo 41, Varese info@fondazionemarcellomorandini.com
è curatore della mostra. Di Morandini, nato a Mantova ma varesino a tutti gli effetti dal 1947, accanto alle importanti opere già presenti, è esposta l’Opera Omnia. Un meraviglioso racconto, lungo 35 metri, costituito dalla riproduzione in miniatura dei tanti lavori storici del suo percorso artistico: di spettacolare impatto, per la perfetta esecuzione, per toni e luci, per l’abilità descrittiva che apre universi futuri, ma insieme rimanda ad antiche raffinatezze scultoree ed architettoniche. Così spiega Morandini: “In arte uso i colori bianco e nero, come una grafia su di un foglio, dove per leggere e capire non è necessario nessun altro valore cromatico aggiunto e la forma ha modo di raccontare unicamente la sua bellezza. Se potessimo dare un senso ad ogni nostra casuale attenzione, ci accorgeremmo che anche un piccolo segno su una superficie bianca è sufficiente a determinare l’inizio di un progetto e che la responsabilità di sviluppare questo segno creando comunicazione, illusione, certezza o arte, è totale, affascinante, coinvolgente”.
Ciascuna “tessera” dell’Opera Omnia, racconto di arte e di vita, ha dunque un particolare significato racchiuso nella propria storia e un preciso collocamento nella ricerca dell’autore. Che negli anni ha lavorato ed esposto, oltre che in Italia, in Germania, Austria, Finlandia, Giappone. Ed è stato non solo grafico e designer, ma anche docente, scultore, nonché progettista di importanti architetture come il Das Kleine Museum a Weissenstadt in Germania. Il Morandini contestato anni fa a Venezia, e tuttavia destinato a percorrere tanta strada, mantiene però l’umiltà dei saggi. Come dimostra questa fondamentale riflessione contenuta nel suo profilo biografico: “Ogni progetto, anche il più piccolo, è teso costantemente a capire e conoscere quello che non sempre vediamo. Trovo esaltante scoprire che ‘il niente’ nasconda il ‘tutto’ e che gli occhi vedano solo quello che la mente vuole. Viviamo ore, giorni, anni, guardando sempre le stesse cose, abitando sempre gli stessi luoghi senza conoscerli profondamente, facendoci coinvolgere per un’intera vita dalle stesse emozioni, finché se ne sognano altre in luoghi sconosciuti, non pensando che la fantasia e i nostri occhi potrebbero ovunque proporcene sempre di nuove: in questo trovo la morale appagante nel mio lavoro, scoprire che l’ovvio è sorprendente e può avere la forma della vita”. Il prossimo appuntamento alla Fondazione Morandini, è con una nuova mostra, la terza dedicata dal Maestro all’Arte Concreta.
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ph alberto bortoluzzi
La Fondazione Morandini
Al Ma*Ga, TRA FOTOGRAFIA E MODA
Luisa Negri
Nuovi allestimenti e acquisizioni animano la stagione autunnale del percorso museale gallaratese. In scena una mostra che si propone di portare alla ribalta parte della collezione fotografica del museo, in accostamento alle opere degli artisti che hanno fatto la storia del Premio Città di Gallarate, a partire dagli anni ‘50. Tra le novità anche il riallestimento della Sala degli Arazzi, dedicata ad Ottavio Missoni
Dopo la grande rassegna del 2022 dedicata a Andy Warhol, che ha richiamato visitatori da tutto il mondo, nuove acquisizioni del Ma*Ga e nuovi allestimenti del percorso museale sono le novità per l’autunno 2023 della struttura espositiva di Gallarate. Il tutto è raccontato nella mostra in corso fino al 22 ottobre 2023, “Il profilo dell’immagine. Arte e fotografia in Italia”, a cura di Emma Zanella e Alessandro Castiglioni, che si propone di portare alla ribalta, accanto alle novità, parte della collezione fotografica del museo, in un accostamento, ideale e concreto insieme, alle note opere degli artisti che hanno fatto la storia del Premio Città di Gallarate, a partire dagli anni ‘50. Tre le principali sezioni della rassegna: frammenti del reale, passaggi ripetuti, un’immagine altrove. Nel primo segmento è possibile ammirare opere, realizzate tra gli anni ‘60 e ‘70, di Emilio Isgrò, Franco Vaccari e Mirella Bentivoglio. Riferimenti di frammenti di realtà sublimati o attenzionati con occhi e cuore diversi, in un contesto interpretativo che ha il sapore di anni nuovi, dove tutto si vorrebbe cambiare. Ma, sotto sotto, sembra covare il timore gattopardesco che nulla cambi. Sono istantanee che della fotografia hanno
l’apparentamento col più crudo racconto reale e storico, si vedano le immagini degli anni ‘60 legate alla rivolta studentesca e insieme la fuggevolezza del piccolo mondo italiano del dopoguerra, rurale e operaio, che s’affaccia al domani del miracolo italiano nell’ebbrezza delle novità. Quando nei cortili delle masserie o dei palazzoni popolari, spuntano i primi economici motocicli, utili per portarsi verso le fabbriche della grande città. Le novità sono rappresentate dalle 25 opere del fotografo Armin Linke acquisite grazie al Pac 2021 (Piano di Arte Contemporanea), che si incontrano
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ARTE
Armin Linke, Moltiplicazioni, 2018.
Vaccari e Mirella Bentivoglio
nella seconda sezione e riguardano il discorso della ripetizione, riproduzione e moltiplicazione dell’immagine. Altre new entry sono i due lavori di Bruno di Bello (“Progetti d’intervento sul mio destino”) e della figlia Paola (“La Disparition”). Questi sono stati acquisiti tramite Strategia Fotografia 2022, un progetto promosso dalla Direzione Generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura.
“La Disparition” è un noto collage di 350 fotografie a colori, realizzato dall’artista tra il ‘94 e il ‘95. Lo si trova accanto ai lavori di Francesco Bertocco, Mario Cresci e all’imponente, inquietante installazione “Lo spettro di Malthus”, di Marzia Migliora. Simbolo, quest’ultimo lavoro, di una società che divora se stessa. Accanto l’opera di Gianmarco Porru, fuori percorso, rivela della sua originalità e poliedricità di fotografo, artista e regista, un’attenzione assoluta alla cultura mediterranea. A dimostrarlo è “Stazione Celeste”, installazione ambientale dedicata alla luna nelle sue diverse fasi. Crescente, piena e calante. Rappresentate qui da Artemide, Selene ed Ecate, in dialogo con le costellazioni, cui gli
IL PROFILO DELL’IMMAGINE
umani guardano, per trarne informazioni auspici e forse, consolazione. Altra, non meno importante, novità del Ma*Ga è il riallestimento della Sala degli Arazzi, dedicata ad Ottavio Missoni e alla sua arte di industriale e mago del colore, con la rassegna “Fashion Report: da Alfa a Missoni”, curata da Luca Missoni e realizzata nel programma di Archivi futuri.
A cura dell’Archivio Missoni è stata inserita in esposizione per la prima volta una serie di fotografie d’archivio di Alfa Castaldi. Pubblicate dalle più importanti riviste di moda tra il 1967 e il 1970, raccontano in 22 scatti momenti fondamentali di attività della casa. Con le prime sperimentazioni di maglie-tessuto e Jacquard, di lavorazioni a rete e zig-zag, con tinture di filati fiammati e tanto altro. La conoscenza che legava Ottavio e Rosita, i due fondatori, ad Anna Piaggi, famosa giornalista di moda e moglie del noto fotografo Alfonso Castaldi (1926-1995) avvicinò le due coppie nel segno di un’importante, fondamentale amicizia e collaborazione. Le novità della maison di quegli anni, favorite dal boom della moda firmata, comparivano sui magazine, attraverso le iconografiche immagini di modelle o dive, vere maestre di stile. Nel ‘78, in occasione dei 25 anni di attività della Casa, fondata nel ‘53 da Ottavio e Rosita proprio a Gallarate, Castaldi la omaggiò con una ristampa dei 22 scatti in mostra.
La moda è da sempre parte fondamentale del costume e settore trainante del territorio e dell’industria locale. Che in Missoni, maestri del filato e del colore, ha conosciuto notorietà internazionale. La sala dedicata, con i più belli tra gli arazzi da lui creati, riconosciuti come vere e proprie opere d’arte ed esposte in diverse mostre, è sempre spazio magico di colore, di incontro, di cultura. Il tutto giocato su quell’armonia così cara a Ottavio.
Un laboratorio allestito con 16 telai a pettine liccio (strumento della tradizione artigianale) s’affianca sul posto al racconto dei Missoni, perché i segreti del lavoro possano essere concretamente trasmessi anche a giovani desiderosi di seguire le orme del maestro in un milieu di colori e materia tessile. Il progetto, voluto a suo tempo per i 100 anni di Ottavio (1921-2013), si intitola “Intrecci. Maga e Missoni per l’arte e l’educazione” ed è stato realizzato in collaborazione con l’azienda Missoni, la Fondazione Rosita e Ottavio Missoni e l’archivio della Casa stessa.
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Tre le principali sezioni della rassegna: frammenti del reale, passaggi ripetuti, un’immagine altrove.
Nel primo segmento è possibile ammirare opere, realizzate tra gli anni ‘60 e ‘70, di Emilio Isgrò, Franco
Arte e Fotografia in Italia A cura di Alessandro Castiglioni
Zanella Dal 16 luglio al 22 ottobre 2023 FASHION REPORT: DA ALFA A MISSONI A cura dell’Archivio Missoni Dal 16 luglio al 22 ottobre 2023 Museo MA*GA Via De Magri, Gallarate
Di Bello,
Disparition”, 1994-95
e Emma
Paola
“La
Lo scudetto DELLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA
Luis Scola, lei è l’Amministratore Delegato di una blasonata squadra sportiva a cui il territorio è fortemente legato. I risultati della stagione 2022/2023 hanno messo in evidenza le potenzialità di un progetto di rinascita della Pallacanestro Varese iniziato con il suo arrivo. Quali sono gli elementi di questo piano di crescita?
Crediamo in un piano sostenibile che punti su elementi in grado di garantire una crescita di lungo termine. Parliamo di legame con il territorio, di coinvolgimento di nuovi tifosi che devono sentirsi parte di una community, di settore giovanile e di politiche di responsabilità sociale d’impresa. Vogliamo andare oltre quella che chiamiamo la sola “cultura della domenica”, quella del singolo risultato sul campo, della singola stagione. Siamo un team, ovviamente la partita ha il suo grande peso, ma concentrarsi solo su questo rende debole un progetto sportivo. Puoi fare una stagione grandiosa e, l’anno dopo, con le stesse persone, con le stesse impostazioni,
ritrovarti nella parte opposta della classifica. La vera sfida è, invece, creare valore sostenibile nel tempo. È questa la nostra visione.
Come molti manager, uno dei suoi compiti è scovare talenti e attrarli sul territorio. Con quale strategia lo fa la Pallacanestro Varese?
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Non ci sono solo le partite da vincere sul campo. Il futuro di una società come la Pallacanestro Varese si gioca anche sul fronte di dare basi solide allo sviluppo di un progetto di crescita aziendale. Con il coinvolgimento delle imprese del territorio, della creazione di una community fatta di tifosi, appassionati e settore giovanile. Fino alla capacità di attrarre investitori stranieri a cui restituire valore, non solo trofei. Intervista a Luis Scola
Davide Cionfrini
Foto di Alberto Ossola
SPORT
Luis Scola
La prima cosa che facciamo è creare un luogo che sia un punto di riferimento culturale e sportivo, ovviamente intorno alla pallacanestro. Spesso, però, spaziamo andando oltre il basket. Serve creare una vera e propria community in grado di coinvolgere i giovani, la loro passione, con il tifo, la voglia di giocare. Più ampliamo la base più abbiamo una rosa in cui scovare il campione. Questa è la nostra mentalità. Ma non è solo questione di trovare il giocatore giusto. Noi vogliamo creare valore intorno al brand, andando oltre la pallacanestro. D’altronde il nostro slogan è proprio questo: “È più che pallacanestro”. Dobbiamo sempre di più pensare a iniziative per le famiglie, la cultura, la comunità. A progettualità in grado di dare valore all’azienda.
Talenti ma non solo. Come per ogni impresa anche per la Pallacanestro Varese, la partita della sostenibilità si gioca sul campo dell’attrazione di investimenti stranieri. Quali sono i vostri progetti su questo fronte?
Noi abbiamo grandi potenzialità per attrarre investimenti esteri. Io sono uno di questi. Più che investitori, più che soldi, cerchiamo, però, partner. Persone che condividano la nostra visione, la nostra mission: creare un progetto che sia sostenibile nel tempo. Torno al concetto della “cultura della domenica” che spesso ha portato molti team a fare scelte che hanno dato come risultato sì, delle vittorie, ma non sostenibili da un punto di vista aziendale ed economico. L’urgenza e la pressione di vincere spingono molte società a fare movimenti che poi le mettono in difficoltà. Questo è uno dei principali motivi che sta dietro ai fallimenti economici di molte squadre ai quali abbiamo assistito negli ultimi tempi, più o meno 20 negli ultimi 20 anni. Sono strategie non sostenibili. Vinci oggi, ma cosa fai la prossima domenica, la prossima stagione? Chiedere soldi agli investitori senza restituire un valore porta all’esaurimento delle risorse, ad un capolinea. Che tu sia un proprietario, uno sponsor o un consorzio. Non c’è futuro se chiedi solo soldi. Devi dare un ritorno, solo allora puoi intraprendere un cammino domenica dopo domenica per un decennio. È questo che dà forza ad una società. Questa è la vera sfida a cui siamo chiamati, non quella di vincere un campionato e poi fallire il giorno dopo.
Dopo diverse esperienze internazionali, lei stesso ha scelto Varese come luogo dove costruire una carriera professionale. Lei, in
primis, si è fatto attrarre da questo territorio. Perché? Secondo lei quali sono i punti di forza di questa provincia? Sono venuto a Varese da giocatore come scelta di vita. A mia moglie e a mia figlia è piaciuta da subito quest’area. In realtà all’inizio l’idea era più in generale di vivere in Italia, poi ci siamo guardati intorno sulle varie possibilità. Io avevo la voglia di spendermi per un progetto di pallacanestro alla fine della mia carriera da cestista. È un’idea che ho sempre coltivato dentro di me. Ho trovato in Varese il posto ideale per concretizzare questo progetto. Prima di tutto per la bellezza del territorio, poi ho trovato una società con una storia quasi ineguagliabile a livello europeo che, però, allo stesso tempo era in un momento di difficoltà. C’erano margini, dunque, per un progetto di sviluppo. Poi c’è la posizione strategica del territorio che è una cosa importante. A due passi da Milano, ma senza la sua congestione, senza i suoi costi della vita. Creare un brand da capo qui è più facile. E poi ci sono tantissime aziende, importanti per le partnership necessarie, stakeholder imprescindibili per creare valore intorno allo sport. La realtà di Varese in questo ha pochi paragoni in Italia.
Quali sono le prossime tappe del progetto della Pallacanestro Varese? Siamo in una fase di stabilizzazione. Abbiamo un’idea precisa di gioco. Il settore giovanile sta funzionando bene. C’è da lavorare sulla parte aziendale: ossia gli uffici, il marketing, il finance. Quest’anno dobbiamo riuscire a focalizzarci su questi aspetti per poi entrare in una tappa successiva di crescita dal punto di vista economico e di squadra con contratti più lunghi anche per i giocatori. In questo modo potremo arrivare più lontano, prendere giocatori di ancora maggiore qualità, un palazzetto più bello con più posti. Tutti argomenti di crescita che saranno oggetto di una fase successiva, dopo che ci saremo assestati sulla parte corporate.
Il Palazzetto dello Sport di Varese
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Palace Grand Hotel, un edificio storico, dichiarato bene culturale con vincolo monumentale, ha inaugurato la sua piscina esterna. Qui architettura e ambiente naturale trovano il loro equilibrio per dare vita ad una nuova armonia capace di stupire e ammaliare.
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In cucina PANINO CON TARTARE DI GAMBERO
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1 puccia pugliese
60 gr tartare di gambero
25 gr robiola
15 gr crema di avocado
Pomodoro
Rucola
Granella di pistacchio
Erba cipollina
Per la preparazione della crema di avocado procedere con la frullatura di un avocado fino ad ottenere un composto cremoso ed omogeneo. Condire infine con olio evo, sale, pepe e una spremuta di succo di lime. Con la polpa dei gamberi, preparare una tartare leggermente grossolana. Completare la robiola con olio evo, sale, pepe ed erba cipollina. Procedere ora con l’assemblaggio del panino. Tagliare il pane e scaldarlo in modo da ottenere croccantezza all’esterno e morbidezza all’interno. Posizionare alla base la rucola fresca, aggiungere la tartare di gambero, la crema di robiola, i pomodori datterini, la crema di avocado e completare con una spolverata di granella di pistacchio.
Il Metronis di Villa San Carlo
A pochi chilometri ad est di Verona, nel comune di Montorio, in una delle zone vocate alla coltivazione di vitigni autoctoni e alla produzione di vini d’eccellenza quali il Valpolicella Superiore, il Ripasso e l’Amarone, la tenuta Villa San Carlo, proprietà della famiglia Pavesi dal 1958, è un’oasi di verde incontaminato: 70 ettari di cui 20 vitati. La collina, dominata dall’elegante villa colonica del XVII secolo, è arricchita da antichi terrazzamenti a secco e dal suolo calcareo con una perfetta esposizione a sud-ovest ed un microclima ideale. Una magica trama di vigneti e olivi immersi in una ricca fascia boschiva. Questo è il segreto che si nasconde dietro ai profumi eleganti dalle note fruttate e speziate, agli aromi intensi ed ai sapori equilibrati di questi vini di carattere e grande struttura. Oggi l’azienda, sotto la guida esperta di Antonia e Cristina Pavesi, ha l’obiettivo di creare vini di territorio, di alta qualità che esprimano tutto il meglio della Valpolicella. Alle varietà autoctone quali Corvina, Corvinone e Rondinella negli anni si sono aggiunte piccole parcelle con uve che avrebbero arricchito il vino con nuovi profumi e note al palato come, ad esempio, la Garganega da cui nasce Metronis. Il vino si presenta di colore giallo solare brillante, con riflessi verdognoli, al naso si aprono delicati aromi di fiori bianchi e sentori di frutta fresca a polpa bianca, erbe aromatiche, rosmarino, melissa e foglie di tè. In bocca è avvolgente, caldo, rotondo con retrogusto di mandorla e pepe bianco. La vinificazione in piccole botti di acacia ne arricchisce la struttura e la complessità senza essere invadente. Vino che può invecchiare senza problemi diversi anni regalando soddisfazioni. Divertente l’abbinamento con un panino gourmet con pesce.
sotto alta qualità che esprimano tutto il meglio della Valpolicella. Alle varietà autoctone quali Corvina, Corvinone e Rondinella negli anni sono il nuovi ad con retrogusto invecchiare con
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ELETRE, L’HYPER-SUV DAL CUORE ECOLOGICO
Lotus supera il concetto di sport utility mettendo in strada una vettura dalle prestazioni incredibili, ma in linea con la nuova mobilità sostenibile a zero emissioni di anidride carbonica
ACastelletto sopra Ticino, al numero 128 del Sempione, in quella statale che collega Milano con la Svizzera, una nuova sportiva dal cuore ecologico è in attesa di farvi provare l’adrenalina della guida elettrica. Si chiama Eletre ed è il nuovo hyper-suv completamente elettrico di Lotus.
Eletre è la prima di tre nuove Lotus lifestyle 100% elettriche previste nei prossimi quattro anni. Il suo design prende
ispirazione dal linguaggio della prima hypercar EV britannica, la pluripremiata Lotus Evija. In questo caso, però, Eletre unisce l’anima sportiva di una Lotus con l’usabilità di un SUV. Questa vettura nasce sì in Gran Bretagna, ma dalla collaborazione di diversi team del gruppo Geely sparsi tra Regno Unito, Germania e Cina. In quanto hyper-suv, le prestazioni estreme di Eletre riguardano potenza, velocità, aerodinamica e tecnologia. Valori a salire in base all’allestimento Eletre, Eletre S o Eletre R. Si parte dai 603 CV e 710 Nm di coppia istantanea di Eletre ed Eletre S con accelerazione da 0 a 100 km/h in soli 4,5 secondi e
velocità massima di 258 km/h. Entrambi possono raggiungere un’autonomia WLTP combinata fino a 600 km. A seguire i 905 CV e 985 Nm di Eletre R capace di coprire lo sprint di riferimento in soli 2,95 secondi per una velocità massima di 265 km/h. L’autonomia in questo caso scende a 490 km WLTP. Tutti hanno la trazione integrale, ma la versione R ha in più il motore elettrico posteriore a due velocità. Eletre, il cui nome nei popoli dell’Europa Orientale significa “Coming to life”, ovvero “Venire alla vita”, assorbe fino a 350kW di corrente continua per raggiungere, in soli 20 minuti, 400 km di guida e accetta la ricarica a 22 kW in corrente alternata.
Prestazioni e autonomia che sono garantite anche dalla sua porosità, il principio aerodinamico dell’aria che scorre attraverso il veicolo. Il frontale, ad esempio, incanala l’aria sotto il bordo anteriore per emergere da due prese d’aria nel cofano. Lo stesso vale per i passaruota anteriori, posteriori e dietro il montante D. Ad aiutare l’aerodinamica, il peso contenuto grazie anche all’ausilio della fibra di carbonio e dell’alluminio. Mentre gli interni premium comprendono tessuti sintetici altamente resistenti, oltre a miscele di lana leggera e sostenibile.
Le novità nella Lotus Eletre sono davvero importanti e, tra queste, ci sono quelle che riguardano la sicurezza del conducente e dei passeggeri per rendere i loro viaggi più confortevoli. La serie completa di sensori all’avanguardia è di 34 unità, inclusi i quattro LIDAR, sei radar, sette telecamere HD da 8 MP e 12 sensori a ultrasuoni. Tutti insieme, danno al veicolo una vera visione a 360 gradi del mondo che lo circonda. Prezzi a partire da 98.490 euro.
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apaya Metallizzato, Blu Genziana Metallizzato o Verde Pitone? Nel caso nessuno di queste tre esclusive colorazioni di Porsche Macan facesse al caso vostro, i professionisti di Centro Porsche Varese hanno sempre in serbo l’offerta Colore Personalizzato e Colore a scelta del servizio Porsche Exclusive Manufaktur. Il colore è importante in una Porsche perché sintetizza a livello visivo la scelta di determinate caratteristiche meccaniche e di design. Al resto hanno già pensato gli ingegneri Porsche creando tre versioni da 4 metri e 73 centimetri una diversa dall’altra: la Macan T, la S e la GTS. Modelli che condividono un nuovo telaio ulteriormente ottimizzato e un sistema di ammortizzatori adattati specificatamente per ogni versione. Senza contare che l’ultimo restyling ha previsto anche un nuovo frontale con la cosiddetta Wing e un posteriore ridisegnato con il diffusore nero. Un lavoro che oltre al design, con un nuovo coefficiente d’attrito di 0,35 CX, ha contemplato anche un incremento nelle performance. Tutte e tre le varianti proposte offrono prestazioni significativamente maggiori rispetto alle precedenti. Come portabandiera di questo sport utility di successo, visti i 600.000 esemplari consegnati in tutto il mondo, la Macan GTS assume il ruolo di nuovo modello
di punta con il motore biturbo V6 da 2,9 litri che arriva ora a 324 kW cioè 440 CV, ben 44 kW (60 CV) in più. Grazie alle tipiche caratteristiche GTS in termini di reattività ed erogazione di potenza, in abbinamento al pacchetto Sport Chrono, l'accelerazione da 0 a 100 km/h
scende a 4,3 secondi mentre la velocità massima sale a 272 km/h. Anche la Macan S monta ora un biturbo V6 da 2,9 litri, che con 280 kW (380 CV) sviluppa 20 kW (26 CV) in più rispetto a prima. L’accelerazione da 0 a 100 km/h segna i 4,6 secondi e raggiunge la velocità massima di 259 km/h. L'ingresso nel mondo della Macan è accompagnato da un motore a quattro cilindri in linea sovralimentato di nuova concezione da 195 kW (265 CV). L'accelerazione standard fa segnare 6,2 secondi e la velocità massima arriva a 232 km/h. Tutti i motori sono accoppiati al noto cambio a doppia frizione Porsche (PDK) a sette rapporti e al sistema di trazione integrale Porsche Traction Management (PTM). Tante novità anche negli interni con i nuovi volanti sportivi multifunzione, il display touch full HD da 10,9 pollici che domina su una nuova console centrale moderna ed elegante con superfici touch al posto dei pulsanti tattili. Ora, l'orologio analogico sulla parte superiore del cruscotto fa parte della dotazione di serie.
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BOOM DEL SOLARE IN VENETO, LOMBARDIA, LAZIO E PIEMONTE NEL PRIMO TRIMESTRE DEL 2023
INSTALLATI OLTRE 100.000 NUOVI IMPIANTI FOTOVOLTAICI IN ITALIA DALLO SCORSO ANNO
L’analisi, che mettein luce lo stato attuale delle rinnovabili sul suolo nazionale, mostra che a marzo 2023 sono 1.324.089 il totale degli impianti collocati nel Bel Paese, ben 102.044 in più rispetto alla fine del 2022.
Lombardia, Veneto, Lazioe Piemonte le regioni d’Italia che si sono distinte per maggior numero di installazioni. Sul podio della classifica delle città più “virtuose d’Italia” Brescia, Roma e Padova.
L’Italia continua ad accelerare sulle rinnovabili e mostra come l’adozione di impianti fotovoltaici sia un trend in costante crescita. Infatti, ammontano a oltre 1 milione gli impianti solari installati sul territorio nazionale a marzo 2023, più precisamente 1.324.089, contro i 1.222.045 del 2022, per un totale di oltre 100.000 nuovi impianti installati nei primi tre mesi del 2023
È questa la principale evidenza emersa dalla settima edizione del Barometro del Fotovoltaico di Elmec Solar, l’azienda di Brunello che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali che, con la sua settima edizione, ha presentato la nuova classifica delle 10 province italiane che si sono distinte per maggior numero di installazioni fotovoltaiche nei primi tre mesi del 2023.
“L’Unione Europea ha fissato un obiettivo del 40% di energia rinnovabile entro il 2030 nel pacchetto Fit for 55”, afferma Alessandro Villa, amministratore delegato di Elmec Solar e membro del consiglio di Italia Solare e di Confindustria Varese. “Nel Vecchio continente lo scorso anno c’è stato un vero boom del fotovoltaico in risposta all’aumento dei prezzi dell’energia e alla crisi energetica oltre 40 GW installati in tutta la Ue, +47% rispetto all’anno precedente, e si punta a raggiungere i 50 GW nel 2023. In Italia invece si va più piano. Nonostante il sole sia uno dei simboli del Meridione d’Italia, la maggior concentrazione di impianti fotovoltaici è al Nord. Tuttavia, la fotografia attuale sulla diffusione del solare in Italia mostra risultati molto positivi con oltre 100 mila nuovi impianti nei primi tre mesi del 2023. La strada intrapresa è quella giusta ma serve continuare ad impegnarsi in questa direzione per sfruttare tutto il potenziale ancora inespresso”.
Secondo la rielaborazione da parte di Elmec Solar dei dati pubblicati da Italia Solare, le 10 province d’Italia più “virtuose” sono rispettivamente: Brescia con +3.856 nuovi impianti; Roma con +3.179; Padova con +3.111 nuovi impianti; Torino con +2.907 nuovi impianti; Milano con +2.903 nuovi impianti; Vicenza con +2.820 nuovi impianti; Varese con +2.801 nuovi impianti; Venezia con +2.794 nuovi impianti; Treviso con +2.756 nuovi impianti e Verona con +2.335 nuovi impianti.
Complessivamente, al netto del maggior numero di installazioni realizzate nei primi tre mesi del 2023, la provincia d’Italia che conta più impianti solari a marzo 2023 è Roma (50.887) seguita rispettivamente da Brescia (45.979), Treviso (41.303), Padova (41.168), Vicenza (35.364), Torino (34.718), Venezia (31.619), Bergamo (30.834), Milano (30.371) e Verona (29.817)
-CLASSIFICA 2023-
LE10PROVINCEITALIANE CONMAGGIOREINCREMENTODIIMPIANTI
Numerodiimpiantiinpiùdadicembre2022amarzo2023
Di seguito la classifica delle 10 province italiane che hanno installato il maggior numero di impianti fotovoltaici nei primi tre mesi del 2023. elmecsolar.com
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+4.000 +3.000 +2.000 +1.000 +0
Brescia Roma Padova Torino Milano Vicenza Varese Venezia Treviso Verona
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Sulle orme di Piero Chiara
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Quando la tecnologia decolla
Terza pagina
SULLE ORME DI Piero Chiara
Lisa Aramini Frei
Giunto al trentacinquesimo anno, il premio letterario dedicato allo scrittore luinese si arricchisce di una nuova categoria per la sezione giovani, a tema “Un racconto per un viaggio”. Giudici d’eccezioni i ragazzi e le ragazze vincitori e partecipanti delle precedenti edizioni. In calendario, nei prossimi mesi, anche molti appuntamenti culturali ed artistici
crivere fa bene, è un modo per indagare sui sentimenti, sulla società e su sé stessi”. Con queste parole Antonio Pascale, vincitore del Premio Chiara 2022 e Presidente della Giuria Tecnica per il Premio Giovani, apre la sua riflessione sui 30 racconti finalisti della categoria Giovani 2023, riservata ai ragazzi tra i 15 e i 20 anni, del celebre concorso letterario dedicato allo scrittore luinese Piero Chiara, scomparso nel 1989. I concorrenti, provenienti da tutta Italia e dalla Svizzera italiana, quest’anno sono stati sfidati a creare elaborati sulla traccia “Eccomi”. “Molti degli scritti parlano della fine di un percorso – spiega Antonio Pascale – spesso complicato, al termine del quale il protagonista dichiara, per l’appunto, ‘eccomi’. Come a dire, in un certo senso, ‘mi sono spogliato dei vecchi
vestiti e ora ne indosso di nuovi’”. Abiti nuovi come quelli di un giovane che dall’adolescenza passa all’età adulta e poi magari diventa uno scrittore e addirittura giudice di un prestigioso Premio letterario.
Il vincitore del Premio Chiara 2022, Antonio Pascale. A destra, l’assessore Enzo Laforgia, Bambi Lazzati, Romano Oldrini e il Cav. Carlo Massironi
Nell’edizione 2023, è stato indetto un nuovo riconoscimento, sempre dedicato a ragazze e ragazzi, dal nome “Un racconto per un viaggio”. Una giuria composta da 21 vincitori o premiati nelle
edizioni passate, leggerà e valuterà i 30 racconti finalisti partecipanti al Premio: in palio un viaggio per due persone all’elaborato ritenuto il migliore. Ci sarà, così, una sorta di ritorno alle origini degli ex partecipanti al
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concorso che, per questa occasione, si troveranno ad indossare i panni di coloro che una volta avevano giudicato i loro stessi elaborati.
“È importante tenere viva la scrittura e la lettura nelle persone e in special modo nei più giovani – racconta Bambi Lazzati, Direttore Artistico della kermesse letteraria – per permettere a tutti di esprimersi e mettersi in gioco con un ruolo diverso da quello che ricoprono solitamente ed avere così uno sguardo aperto sul mondo. Ritengo di fondamentale importanza che i ragazzi, vincitori di precedenti edizioni del Premio e non solo, abbiano l’opportunità di incontrare
scrittori come Antonio Pascale, Enrico Albinati o Mario Calabresi. Sentendoli parlare, vedendoli dal vivo alla premiazione, gli scrittori in erba possono sentirsi ispirati da chi hanno di fronte”. Questo momento di incontro avverrà durante l’annuale giornata di premiazione del concorso, che quest’anno avrà luogo il 15 ottobre 2023 alle Ville Ponti di Varese, dove oltre ad essere assegnati i vincitori del Premio Giovani e “Un racconto per un viaggio”, sarà nominato anche il primo classificato della XXXV edizione del Premio Chiara inediti, scelto da una giuria formata da letterati, scrittori, giornalisti e critici letterari. Lo scrittore
che salirà sul gradino più alto del podio sarà anche nominato Presidente della Giuria Tecnica del Premio Giovani. Oltre ad essere un concorso letterario, il Premio Chiara è anche un punto di incontro per promuovere l’utile e il bello. Nel corso dell’anno, infatti, sono diversi gli incontri organizzati dall’Associazione Amici di Piero Chiara per promuovere la cultura in tutte le sue forme. Oltre ai canonici eventi a cui prendono parte figure di spicco del mondo dell’arte e della letteratura, come quello dello scorso marzo in cui è intervenuto il critico Vittorio Sgarbi con una ricostruzione artistica della
città di Roma, l’Associazione ha anche in calendario momenti di scambio con medici e psicologi sui diversi temi legati alla vita familiare, all’infanzia o all’adolescenza. Un esempio è l’appuntamento in programma il 22 settembre, in cui lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini parlerà in una tavola rotonda del tema “Sii te stesso a modo mio: essere adolescente nell’epoca della fragilità adulta” e verrà intervistato dalla giovane filosofa Camilla Manara. Diffusione di idee ma anche di saperi. “Tra le missioni del Premio Chiara c’è anche quella di aiutare le persone – sottolinea di nuovo Bambi Lazzati –. Per questo motivo, il 23 ottobre, daremo la possibilità a professori e laureandi in medicina di poter intervenire all’incontro ‘Tratta con stile il tuo cuore’, un momento di discussione sulla prevenzione cardiovascolare. Uno scambio dal professore, allo studente, all’adulto interessato alla materia. È anche grazie ad occasioni simili che si mantiene vivo nella collettività l’interesse ad eventi letterari come il Premio Chiara”. Un turbinio di proposte e condivisione, insomma, capace di arricchire la stagione culturale varesina con un cardine forte e saldo: quello dell’amore per la scrittura e la cultura.
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Bambi Lazzati: “Ritengo di fondamentale importanza che i ragazzi, vincitori di precedenti edizioni del Premio e non solo, abbiano l’opportunità di incontrare scrittori come Antonio Pascale, Enrico Albinati o Mario Calabresi, per lasciarsi ispirare”
In libreria
Silvia Giovannini
Andrea Fazioli
2022
Nei giorni di inizio della scuola, un’avventura colorata e divertente insegna ad affrontarla con leggerezza e con qualche suggerimento: dai consigli più pratici alla ricerca di nuovi amici, non manca nulla per far sì che anche “la creaturina più selvaggia” si ambienti perfettamente in modo facile e veloce. Una esplorazione del mondo della scuola con gli occhi di chi la scopre per la prima volta. Dal momento del risveglio fino all’ora di coricarsi: cosa aspettarsi e come comportarsi prima, durante e dopo la giornata scolastica. Un vero e proprio manuale a misura di bambino. Con un messaggio profondo: la scuola è il primo ambito dove allenarsi a capire il valore della diversità.
nomosedizioni.it
Signorine quasi per bene Edizioni Drawup, 2023
Quattro signorine per altrettanti racconti in cui, a dispetto del titolo, di “per bene” ci sono soprattutto le apparenze. Impossibile non affezionarsi alle protagoniste, ben tratteggiate, uniche nelle loro caratteristiche e decisamente credibili.
Impossibile non chiedersi se la nostra vicina di casa non possa essere una potenziale “signorina Carla”.
Dall’esperienza giornalistica e d’improvvisazione poetica dell’autrice, scaturisce una prosa evocativa che tiene incollato il lettore dall’inizio alla fine, lasciandogli aperta una domanda: nella vita chi è realmente per bene?
edizionidrawup.it
Un romanzo giallo che ha convinto tutti, vincitore del concorso letterario internazionale Ceresio in Giallo, dedicato a romanzi di genere giallo, thriller, noir e poliziesco.
“Ogni giorno uomini e donne passano il confine tra Italia e Svizzera per andare al lavoro. Si chiamano frontalieri e sono decine di migliaia.
Ernesto Magni è uno di loro. La sua sembra essere una vita come tante, finché tra un brusco licenziamento e una separazione mai accettata, non prende una brutta piega. Nella vicenda viene coinvolto Elia Contini, investigatore privato che sa osservare il mondo con ironia e disincanto”.
guanda.it
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CULTURA E DIGITALE
Laura e Philip Bunting Guida selvaggia per iniziare la scuola Nomos, 2023
Le strade oscure Guanda Noir,
Anna Botter
Tel: 0332.251000. Email: biblioteca@confindustriavarese.it
Il contributo delle nuove generazioni è l’ultimo volume della collana LIUC - Università Cattaneo Libri di Guerini Next, realizzato in collaborazione con Banca Sella e curato dai codirettori di FABULA, il Family Business Lab della LIUC. Il libro nasce con l’obiettivo di analizzare come le nuove generazioni di imprenditori siano in grado di creare valore nelle imprese familiari. Parte, dunque, dalla letteratura scientifica sul tema per poi analizzare le dinamiche di 15 casi imprenditoriali nei quali le nuove generazioni sono state capaci di contribuire al rinnovamento e al successo dell’impresa di famiglia.
liuc.it
L’inchiostro non sporca Macchione Editore, 2023
Romanzo d’esordio per il giornalista varesino.
L’ambientazione è quella che ben conosce: atmosfere di provincia del Nord, durante una campagna elettorale. Protagonista Francesca (nome che i bustocchi riconosceranno), storica libraia: la sua vita è consacrata ai libri. Una quotidianità scandita
dalla ritualità e da pochi e forti affetti. Un sano equilibrio. Che però si rompe quando una notizia piomba sull’imminente campagna elettorale.
“Le sirene della politica, inaspettatamente, suonano anche per la libraia” che si ritrova immersa in un mondo che non conosce, in cui solo i libri sembrano essere una bussola per muoversi senza sporcarsi.
macchionepietroeditore.it
50 candeline per la Nupi Industrie Italiane Spa, nome di eccellenza della manifattura varesina. Fondata nel 1972 da Luigi Genoni, oggi Nupi è in tutto il mondo con gli stabilimenti di Busto Arsizio, Castelguelfo di Bologna, Imola, Houston (Texas) e Early Branch (South Carolina). Una ricetta, quella di Genoni e della Nupi, che l’imprenditore sintetizza
così: “Ho sempre creduto, e continuo a credere, che con le conoscenze e le competenze adeguate, unite alle capacità, alla concretezza e al coraggio, si possano raggiungere i traguardi più ambiziosi. Ho sempre creduto, e continuo a farlo, nel dopodomani dei nostri prodotti”.
nupiindustrieitaliane.com
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Valentina Lazzarotti e Salvatore Sciascia Imprese familiari e creazione di valore Guerini next, 2023
Luciano Landoni Mezzo secolo di coraggio operoso 2023
Marco Linari
I libri di queste pagine sono consultabili, anche in prestito alla Biblioteca “Mauro Luoni” di Confindustria Varese.
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UNISCITI A NOI! Aderisci al Gruppo Giovani di Confindustria Varese Giovani Imprenditori Varese PER SAPERNE DI PIÙ: 0332 251000 334 3040479 segreteria.ggi@confindustriavarese.it ggi.confindustriavarese.it SEGUICI: GiovaniImprenditoriVarese L’iscrizione è riservata a imprenditori, figli di imprenditori, soci e quadri strategici d’impresa, tra i 18 e i 40 anni, di aziende iscritte a Confindustria Varese. Un’occasione unica per entrare a far parte di un network di persone, imprenditori e manager con cui confrontarsi e collaborare su nuove idee e progetti. Ti aspettiamo! Sei un giovane imprenditore o un quadro strategico d’impresa? QUADRI
D’IMPRESA FORMAZIONE VITA ASSOCIATIVA VISITE AZIENDALI NETWORKING ORIENTAMENTO CULTURA D’IMPRESA
STRATEGICI
Dal web
QUANDO LA TECNOLOGIA DECOLLA
Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Solo su varesefocus.it
La stampa 3D che migliora la vita
Ingegnerizzare tessuti, creare ausili deambulatori per coloro che hanno subito l’amputazione di un arto o fornire un supporto alla chirurgia ricostruttiva: questi alcuni dei campi di applicazione della manifattura additiva raccontati durante l’Expo dell’Impossibile organizzato da Elmec 3D.
BTicino, luce accesa sulle risorse umane
Nel podcast “Buongiorno Impresa” anche un approfondimento sulle iniziative di BTicino per le risorse umane. Dalla valorizzazione delle diversità, all’assicurazione sulla vita per i dipendenti: la volontà di creare condizioni migliori per tutti è alla base delle iniziative di welfare e benessere intraprese dall’azienda varesina.
I Break formativi di Riganti
L’impresa di Solbiate Arno racconta nel podcast di Varesefocus “Buongiorno Impresa” l’innovativo metodo di formazione. “Riteniamo che sia uno strumento efficace: la breve durata mantiene alta l’attenzione e la partecipazione è maggiore”, ha spiegato il titolare Marco Riganti.
Alla scoperta del lavoro agile
Il lavoro agile è tema di grande interesse per le imprese. Alla luce dei nuovi scenari, delle sensibilità crescenti che portano a rinnovare modelli organizzativi e dell’evoluzione normativa, Confindustria Varese ha dedicato una monografia al tema. I punti salienti nel podcast “Vita d’Impresa”.
Il LAC vola a Le Bourget
Il salone di Le Bourget 2023 è stato occasione per fare il punto sul progetto che consentirà lo sviluppo di tecnologie innovative nel campo della mobilità aerea avanzata. Le Olimpiadi Invernali di Milano Cortina del 2026 sono attese come banco di prova per le imprese del Lombardia Aerospace Cluster .
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Comunicare
NUOVI Threads
Sarà un autunno caldo per i comunicatori: la partita si giocherà su campi social mai battuti ma non del tutto nuovi. Uno tra questi è la neonata applicazione di messaggistica pensata da Meta, ancora non disponibile in Italia, basata sulle conversazioni testuali di Instagram che, nelle prime due ore di lancio sul mercato, è stata capace di coinvolgere oltre 2 milioni di utenti. Chiara e dichiarata la sfida a Twitter/X
‘‘Non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza”. In una manciata di parole, Albert Einstein riassumeva alla perfezione temi oggi al centro della riflessione sociale e d’impresa: inclusione, integrazione, valorizzazione delle diversità. Forse però nemmeno Einstein avrebbe previsto la commistione di generi e di diversità che caratterizza tutte le relazioni umane e sta alla base anche delle potenzialità della comunicazione contemporanea. Superate le etichette stereotipate che indicano una distanza come
“tra carta e web”, concetti che a dirli oggi ad alta voce ti fanno sentire un dinosauro, la fusione e integrazione di formule e canali di narrazione offre a chi è creativo infinite strade da percorrere. E così, per rispolverare l’etichetta, la carta è diventata digitale da tempo, grazie ai qr
Silvia Giovannini
code, l’innovazione rinnova la tradizione, come nel caso emblematico dei podcast che trasformano chiunque in un novello Omero, i contenuti video assumono potenzialità enormi, per non parlare delle chat e così via. In questo panorama ricco di colori e sfumature, la sfida diventa quella dell’AI (Artificial Intelligence) che apre tanti interrogativi, quante opportunità. E per quanto riguarda i campi di gioco? La partita per i comunicatori si giocherà su campi mai battuti, che pure non sono del tutto nuovi. Inclusione, integrazione, valorizzazione delle diversità è anche la filosofia che sta dietro alle novità e, in buona sostanza, significa innovare attingendo al bacino di quanto già di successo. È il caso di Threads, l’ultima “genialata” di casa Meta, app di messaggistica basata sulle conversazioni testuali di Instagram. Il solo lancio ha
coinvolto 2 milioni di utenti nelle prime due ore!
Chiara e dichiarata la sfida a Twitter/X: nei primi giorni Threads aveva già raggiunto un quinto della base di utenti settimanali di Twitter nel mondo, lasciando a distanza Truth Social, il suo maggior rivale. Aspettando lo sbarco in terra italiana, si possono anticipare alcune riflessioni. La tendenza è chiara: mettere insieme i plus di diverse applicazioni, realizzando progetti ibridi che si arricchiscono delle peculiarità di ciascuna.
“Vecchio” e nuovo da una parte si integrano, dall’altra si affrontano in duelli che, un po’ come sul campo di Wimbledon, non sono per niente scontati nell’esito. Per Twitter, dato per morto più volte e ora alla prova del rebranding, la concorrenza potrebbe essere un tonico. Per il comunicatore, infine, la solita affascinante e impegnativa sfida: stare alla finestra per cercare di usare sapientemente le novità.
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La tendenza è chiara: mettere insieme i plus di diverse applicazioni, realizzando progetti ibridi che si arricchiscono delle peculiarità di ciascuna