lameziaenonnsolo luglio 2021 francesca ferragine

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Alcuni dei nostri libri in commercio

Via del Progresso - Lamezia Terme


lameziaenonsolo incontra

Francesca Ferragine di Vincenzo Villella La d.ssa Francesca Ferragine è uno di quegli straordinari personaggi che, lasciata la natia Calabria in giovane età, si sono affermati in ogni parte del mondo, raggiungendo ragguardevoli posizioni di prestigio in tutti i campi del sapere. Francesca, la chiamo così in quanto carissima amica da più di 40 anni oltre che compagna d’infanzia di mia moglie, lasciò Sambiase negli anni ’70 del secolo scorso, approdando a Roma. Iniziava una vita piena di eventi e incontri sorprendenti che hanno dato una svolta esemplare alla sua esistenza. Medico, psichiatra, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente, dirigente di due poliambulatori dell’ASL di Roma (Casalotti e Castel di Guido), omeopata presso la Scuola Italiana di medicina omeopatica Hahnemanniana. Nel corso della sua prestigiosa attività professionale ha partecipato a tantissimi convegni scientifici nazionali e internazionali. Suoi scritti sono comparsi su importanti riviste mediche. Una caratteristica che le fa molto onore è il fatto che, oltre alle visite giornaliere programmate, si è sempre dedicata e si dedica ancora a visitare le persone povere e bisognose. Pensando alla sua casa, mi viene in mente innanzitutto l’inginocchiatoio che c’è all’ingresso, con una sua simbologia ben precisa, e i tanti libri in ogni angolo. Nella postfazione che scrisse per il mio libro CAMMINARE PREGANDO (con una prefazione del suo carissimo Padre Camaldolese Guido Innocenzo Gargano) Francesca dichiarava che con la stessa necessità con cui il singolo battito cardiaco, pur non percepito, innesca una macchina precisa e articolata che ci garantisce la vita, così la presenza di Dio, insopprimibile anche quando nascosta, fornisce il senso e lo scopo all’affannarsi dei fatti e delle emozioni. Avrei tante domande da fare alla mia cara amica per i nostri lettori, ma mi limito ad alcune soltanto, partendo proprio da quest’ultima sua riflessione.

Francesca, la tua storia ha aspetti veramente straordinari sia dal punto di vista umano che professionale. Ti va di raccontarci sinteticamente il tuo approdo a Roma, le tue iniziali difficoltà, i tuoi sacrifici, la tua tenacia verso il conseguimento della laurea in medicina? Quale è stata la forza che ha animato la tua esistenza? Ringrazio il professore e storico Vincenzo Villella e la sua gentile consorte per l’amicizia e la stima che hanno avuto ed hanno per me. Grazie ancora, professor Villella, per quest’idea di fare a me un’intervista del tutto inaspettata e gradita. Il professore ed amico mi pone molte domande sulla mia vita e sulla mia persona, tuttavia voglio iniziare a parlare del mio rapporto personale con la fede. La fede, già da piccola, è stata ed è la vera forza che ha animato tutta la mia esistenza. L’ho cercata da bambina quando gli adulti sotto il peso delle loro sofferenze e travagli non erano capaci di darmi risposte. Andando avanti negli anni, ho capito che dovevo

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cercarla dentro di me e che nessuno avrebbe potuto darmi risposte. La fede è un cammino solitario e difficile, dove nessuno ti può aiutare; devi sapere cosa cerchi e cosa è l’inquietudine che è dentro di noi mentre la cerchiamo; è un vero cammino solitario. Non sono passioni, non sono rapporti d’amore, non sono libri letti e riletti, non è filosofia, non è storia, non è arte, non è firmamento, non è luna e non è sole, non è mare, non è figli, non è madri, non è padri, non è età, non è morte, non è etica, non è armonia, eppure è tutte queste cose. È l’incontro dell’uomo con l’uomo, è il fuoco dello Spirito che è dentro di noi che è sempre in divenire. Ho avuto la gioia di incontrare un sacerdote illuminato che ama i poveri, i bimbi e i semplici e in un unico abbraccio caldo spirituale ama tutti: don Vittorio Dattilo. Lui mi ha permesso con i suoi pochi soldi di potermi pagare il biglietto del treno, naturalmente in seconda classe, Lamezia Terme – Roma. Ho nitido ancora il viaggio da Nicastro alla stazione di Sant’Eufemia. Avevo tra le mie

braccia il mio bambino di soli tre mesi e uno zainetto sulle spalle con poche cose utili per il mio piccolo. Don Vittorio mi salutò con un abbraccio ed un sorriso dicendomi: “Sono certo che ce la farai, il Signore Gesù ti ama”. Roma mi ha accolta con il suo calore, con le sue difficoltà di una città grande e bellissima. I primi sei mesi li ho vissuti insieme al mio Roberto, dal quale non mi sono mai separata neppure per un attimo, su uno dei ponti più belli di Roma, Ponte Sisto, insieme ai barboni sui cartoni e vecchie coperte. I miei amici barboni mi hanno sempre aiutata e voluto bene e li porto nel cuore. Una mattina di domenica, girando per Roma, mi sono trovata davanti ad una chiesa bellissima con una grande scalinata: “San Gregorio al Celio”. Incantata da tanta bellezza, sono entrata ed era appena iniziata la santa Messa, mi sono seduta e ho condiviso. Da lì è iniziata la mia avventura-vita con i monaci camaldolesi e l’incontro con padre Benedetto Calati, Superiore del Monastero

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di San Gregorio al Celio di Roma e per 18 anni Priore Generale della Congregazione Camaldolese dell’Ordine di San Benedetto. Padre Benedetto Calati è il monaco illuminato e ha trasmesso la passione profonda del monaco che ricerca la sapienza divina nella storia, avendo saputo interpretare nel suo tempo le Scritture. Si è avverata la profezia di don Vittorio “il Signore Gesù ti ama”. La profezia si identifica con il misterioso progetto di Dio di cui parla il discepolo Paolo nella Lettera agli Efesini. La profezia è ciò che viene annunciato in anticipo, ciò che viene annunciato in segreto, ciò che viene adombrato, ma anche il non detto. La profezia, insomma, è il mistero che si dispiega progressivamente nelle manifestazioni della bellezza cosmica nella storia dei popoli, nel mistero nascosto di ogni uomo-donna e nella crescita di ciascun individuo. Questo è accaduto! E intanto il mio Roberto cresceva alla luce della fede e della sapienza.

Teresa di Calcutta. Ce lo vuoi ricordare? Che cosa ti rimane ancora oggi dell’incontro con quella piccola suora, oggi santa? Nel Monastero c’è stato il grande incontro con Madre Teresa, le sue parole di verità, il condividere insieme il pranzo e la cena, i suoi occhi severi e quel cenno del capo ogni qualvolta superavo un esame, quasi volesse

contro con i miei grandi maestri: Professor Leonardo Ancona, Professor Corrado Pontalti, Professor Pietro Bria e, al terzo anno, l’incontro speciale con il professor Salomon Resnik.

dire: “Hai fatto il tuo dovere”.

seminari di Salomon Resnik. Ad uno mi ci sono trovato a partecipare per caso anch’io che ero a Roma con la famiglia. Conservo ancora il diploma di partecipazione. Chi era Resnik? Quale speciale rapporto hai avuto con questo grande uomo al quale l’Università della Calabria ha conferito nel 2012 la laurea in scienze filosofiche e la città di Cosenza il premio “Telesio d’argento”? Ho collaborato con lui per 25 anni, fondato l’associazione culturale “Dialogos” organizzando due convegni in un anno. Psicanalista e psichiatra, si è prevalentemente occupato di autismo infantile e psicosi e anche della dinamica di gruppo e delle sue applicazioni istituzionali. La sua attività professionale si è svolta a Parigi e Venezia dove ha condotto regolarmente seminari di ricerca e di formazione. Insieme a tanti professori (come

Dopo la laurea hai scelto di conseguire una specializzazione molto particolare e impegnativa. La Laurea in Medicina e Chirurgia conseguita presso l’Università La Sapienza di Roma; la Scuola di Specializzazione in PsiUn momento particolarmente toccante chiatria presso l’Università Cattolica del nella tua vita è stato l’incontro con Madre Sacro Cuore “Agostino Gemelli” e lì l’in-

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Negli anni ’90 hai organizzato nella tua casa di campagna, a Castel di Guido, i

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Renzo Mulato e Pietro Bria, ora miei carissimi amici) e a tanti filosofi ed esponenti della cultura ho partecipato ai corsi di formazione che il prof. Resnik teneva a Venezia al Centro Internazionale Studi Psicodinamici della personalità.

Nel corso di tutti questi anni hai incontrato e frequentato tante figure esimie: attori, intellettuali, editori, giornalisti, scrittori, politici, cardinali alcuni dei quali non ci sono più. Ne puoi ricordare qualcuno? Padre Guido Innocenzo Gargano, monaco Trasferita a Roma da mezzo secolo, che Camaldolese ha dato alla mia vita adulta cosa ti è rimasto del paese d’origine? Hai un’impronta di fede profonda; Professore mantenuto legami con esso? Nella Calabria ritrovo l’amicizia, il mio mare e i miei monti che da bimba mi facevano sognare. Quando ritorno, molti amici mi accolgono con gioia profonda, con alcuni condivido la cultura, con altri la cultura contadina, con altri ancora la cultura nel sociale e con altri semplicemente la gioia di un abbraccio. Tra i tuoi pazienti ci sono stati e ci continuano ad essere anche giovani. Che cosa manca oggi a tantissimi giovani spaesati in una società sempre più priva di valori? I giovani sono una ricchezza e sono migliori di quanto noi pensiamo. Sono motivati nella loro progettualità per il futuro. Abbiamo bisogno di nuovi politici di grande levatura e con un pensiero di grande respiro. Questo è un tempo che deve passare, non lo si può saltare. Nel prossimo futuro avremo ragazzi che saranno uomini politici di spessore. Questo è l’augurio che faccio e che mi faccio. Vorrei dire ai giovani che la vita va affrontata con il coraggio e se c’è dolore lo si deve attraversare.

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Universitario e Teologo, uomo di grande cultura, ha dato grande respiro di pensiero ai giovani. Madre Maria Michela Porcellato, Abbadessa delle Monache Camaldolese, monaca di profonda saggezza, per me amica e sorella in Cristo sempre presente nella mia vita e in quella dei miei familiari, attenta ad ogni mia esperienza di vita. Naturalmente, la mia vita è stata contornata da molti uomini e donne dello spettacolo e della cultura, tra i quali Omero Antonutti, grande attore di cinema e teatro, amico caro e fraterno; Giampiero Bianchi, attore di teatro, con il quale discutevamo sul senso della vita; Alfonso Veneroso, attore di teatro e regista, con il quale continua la mia amicizia con la sua famiglia attuale e di origine, per il suo papà e per la sua mamma il mio affetto è profondo e abbiamo

condiviso momenti di gioia e di cultura. È per me un fratello caro con il quale condivido pensieri e aspettative di vita. La moglie Giusi è una perla di saggezza, la mamma Rosa è un grande sostegno per la mia vita affettiva. Primo, il suo papà, mi è stato amico e aiuto culturale profondo dall’inizio della mia professione; Franco Accursio Gulino, pittore illustre e amico fraterno, da pochi giorni è stata scelta una sua opera da regalare al Presidente della Repubblica; Pippo Franco, amico fraterno insieme alla sua famiglia; Pierluigi Pirandello e sua moglie Giovanna, figlio di Fausto (pittore) e nipote di Luigi Pirandello. Giovanna e Pierluigi mi hanno accolto nella loro splendida casa romana con la gioia nel cuore; abbiamo condiviso eventi per i miei romanzi e presentazione di libri e conferenze nei vari teatri romani, nei licei e nella città di Tarquinia. La famiglia Pirandello è per me una grande risorsa umana e culturale. Giovanna, generosa e brillante come persona, mi ha sempre dato il suo affetto; Andrea Giordana, amico caro che mi è sempre vicino; l’amicizia con Vittorio Sgarbi, conosciuto attraverso la famiglia Pirandello, mi è continuamente di stimolo culturale; Lina Wertmuller; la grande Lorenza Trucchi; Padre Luigi Sabarese, amico fraterno e caro, che conosce perfettamente tutto il mio percorso di vita. È stato il sacerdote che ha presentato il mio primo libro a Lamezia Terme e ha celebrato per me la Santa Messa nella Chiesa Madre, dove io ho

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fatto la Prima Comunione; Marco e Martina sono gli amici cari che mi consentono di vivere il mare, che è la parte di Calabria che più mi manca, nella loro splendida spiaggia di Maccarese con il loro affetto. Le persone illustri e di cultura che ho in-

contrato in questi anni sono tanti e ne ho citato solo qualcuno, perché l’elenco sarebbe lungo. Dopo la laurea e la specializzazione come hai esercitato la tua professione? Ho iniziato come Medico ospedaliero presso l’Ospedale “Santo Spirito” e dopo due anni mi è stata affidata la Dirigenza di due grandi Poliambulatori, ASL Roma 1; Psicoterapeuta individuale e di gruppo analisi; Docente corso di Laurea infermieristica e docente scuola Croce Rossa italiana e Crocerossina. Tu sei devotissima a S. Francesco di Paola. Qualche volta ricordo che siamo andati insieme al santuario. Che cos’ha di straordinario per te questo santo taumaturgo? Ha avuto qualche ruolo significativo in qualche passaggio della tua vita? Non è certo casuale che uno dei tuoi due nipotini si chiami Francesco, come te. La mia devozione per San Francesco di Paola risale alla mia infanzia e da bimba parlavo con lui come si parla ad un papà. Sarà stato forse per il nome che porto, pag. 6

o perché lo sentivo come un atto di grande fede, che mi è rimasto a farmi compagnia sempre fino ad oggi. Tutte le volte che sono in Calabria vado a fargli visita al Monastero, vado a pregarlo e a chiedere di aumen-

Tuttavia, essendo vissuta con loro e medico della comunità, ho potuto avere questo privilegio. La mia emozione è stata tanta nei giorni che hanno preceduto la visita. Non ho parole adeguate per raccontare il

tare la mia fede, di tenermi stretta a lui e al Buon Dio, di non lasciarmi mai sola. Nella mia casa di campagna ho fatto una Cappella, naturalmente consacrata e con tanto di autorizzazione, e l’ho dedicata a lui. Viene sempre tanta gente a pregare.

grande tumulto nella mia anima quando mi ha parlato tenendomi la mano con parole semplici, ma che sono arrivate al mio cuore. Un uomo di grande levatura e umanità. Un Papa che la Chiesa in questo momento storico ha necessità di avere. Ritrovare valori e spiritualità è il dovere di ogni uomo. Lui sta facendo un tentativo con difficoltà di indicare a tutti noi una strada possibile. Si tratta di cercarla. In ogni uomo che soffre fermarsi e curare le ferite. Un compito assai difficile, ma necessario. Ho la gioia di avere nella mia casa l’inginocchiatoio dove Lui quel pomeriggio ha pregato e recitato i Vespri Solenni insieme a noi. La vita mi ha regalato anche questo. Sono grata al Buon Dio!

Visto che abbiamo parlato di S. Francesco, ti chiedo se hai avuto rapporti con Papa Francesco. Nel pomeriggio del 21 novembre 2013 nel monastero delle monache benedettine camaldolesi ho incontrato Sua Santità Papa Francesco. Vespri solenni alla presenza della reverendissima madre Abadessa Maria Michela Porcellato, dei monaci e delle monache. La visita, strettamente privata.

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Vorrei chiudere questa breve conversazione con te, Francesca, ricordando che sei una grande appassionata di scrittura e che sei autrice di due bellissimi libri: Terra calda e Un pianoforte.

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Il primo, che è stato presentato in anteprima a Lamezia, in una sala strapiena, è un viaggio insospettato in noi stessi, nella parte recondita del nostro animo troppo spesso dimenticato ed emarginato dai compromessi della ragione. Alla seconda edizione, è stato presentato, evento eccezionale, nella Galleria Nazionale d’arte moderna e premiato il 27 giugno 2019. Il secondo, che ha avuto premi in tutta Italia, è la storia di un grande amore musicale che va oltre le convenzioni sociali e si snoda fra innumerevoli viaggi ed esperienze di vita, di amore, di morte. È la storia di un mito e di un sogno. Una storia di emozioni e di sentimenti, evocazione di fascinose memorie antiche, esperienza della gioia e del dolore.

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collana calliope

Filippo D’Andrea Sole d’arancia, Poesie del ritorno di Italo Leone Grafichéditore, Lamezia Terme Soffermiamoci un attimo insieme sul titolo: Sole d’arancia. Da una parte è una sinestesia in cui la sensazione visiva del colore del sole si unisce alla concretezza tattile dell’arancia, dall’altra la lettura delle liriche suggerisce un’analogia tra il cammino del sole e il cammino della vita. Ma il sole è considerato nella luminosità color arancio dell’aurora o della sera: l’infanzia o la tarda maturità della vita. La silloge comprende liriche scritte tra l’inizio della primavera del 2019 ed il preludio di primavera del 2020. Come dice l’Autore nella prefazione “Esse tracciano una biografia del profondo, solo esprimibile con il linguaggio lirico contenente un denso contenuto filosofico-sapienziale. La visione della vita impastata di vissuto, vivo nel presente, e con lo sguardo sull’eterno. E poi, riprendendo Platone: l’elemento fondante e fondamentale dell’arte è la bellezza, che è espressione visibile del bene, così come il bene è l’essenza etica della vera bellezza... Non per niente la cultura greca, di cui siamo impastati tra l’altro soprattutto come meridionali, oltre che europei, con una stessa parola intende bellezza e bontà insieme: “kalokagathìa”. Questo impianto teorico proposto da Filippo D’Andrea ci aiuta a comprendere il significato profondo della raccolta, la cui chiave di lettura è riposta nel vissuto dell’autore e nella dialettica costante tra il tempo passato e il tempo presente armonizzati nel quadro di una fede salda, intessuta di richiami ai testi sapienziali dell’Antico Testamento e degli autori cristiani dei secoli passati. D’Andrea ha già scritto molte opere: saggistica a sfondo religioso, un’antologia di poeti dialettali lametini, biografie di personaggi lametini che si sono distinti ognuno nel loro campo, poesie in dialetto sambiasino e in lingua italiana, articoli di argomento vario. La silloge poetica Sole d’arancia rappresenta, a mio giudizio, un’ulteriore tappa di un percorso personale di approfondimento religioso, nel contesto di una faticosa ricerca interiore volta a trovare risposte al senso della vita, e conforto nella poesia lirica intesa come ricerca della bellezza e allo stesso tempo ricerca del bene. Le riflessioni rinviano a Platone e all’idea del Sommo Bene, principio pag. 8

regolatore del mondo delle idee, a S. Agostino con la sua costante ricerca della verità in interiore homine, a San Francesco d’Assisi per il quale tutte le creature, viventi e non viventi, sono fratelli e sorelle dell’uomo, o a San Francesco di Paola, il Santo calabrese erede della tradizione anacoretica dei basiliani di Calabria, impegnato nella difesa degli umili contro l’arroganza dei potenti. Nelle liriche di D’Andrea queste tematiche profondamente sentite si intravedono in trasparenza attraverso una serie di immagini apparentemente irrelate, in cui i ricordi dell’infanzia, rivissuti nella maturità della vita e del pensiero, si armonizzano col paesaggio sambiasino, con le figure di un’umanità lametina laboriosa e semplice, francescanamente in armonia col Creato. E’ così per Antico portone, dove i ricordi affiorano tra gli antichi vicoli del paese, suscitati dalle sinestesie di sensazioni olfattive, auditive e visive, rievocando immagini, suoni e profumi del passato, di una società campagnola ancora non contaminata dal consumismo. Su questo sfondo paesaggistico il poeta recupera tra i ricordi più cari la semplicità di vita degli umili, rievocando una condizione di serenità perduta “in quei vagli nascosti e dimenticati, tra vecchie e ruvide nostalgie”. (p. 16) Nella lirica Il sorriso di mia madre, la condizione di malinconica solitudine propizia il recupero memoriale del dolce sorriso materno, che si trasfigura a poco a poco nel paesaggio della Piana con gli uliveti e le vigne e lo sfondo della spiaggia “che tenta d’afferrare il mare” in un abbraccio ideale, che è il “respiro della grazia” divina, in cui trovano pace le creature viventi e non viventi. La madre umana e la Natura madre, fuse insieme, si ripiegano sul figlio per ridargli un po’ della serenità tanto desiderata e strapparlo per un attimo al senso di solitudine. (p. 59) Nel suo insieme la silloge di D’Andrea rappresenta quindi un’importante maturazione nella produzione lirica del poeta, sia per il manifestarsi di una visione della vita più complessa e personale, sia per la capacità di avvalersi di mezzi tecnici adeguati ad esprimerla: l’analogia, la sinestesia, la raggiunta capacità di trasformare in immagini vive la propria concezione del mondo, in cui la malinconia della condizione umana ritrova serenità solo nella fede.

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naturopatia

STRESS ED EMOZIONI IL BENESSERE QUOTIDIANO NELL’ESSENZA DEI FIORI di Dino Mastropasqua Naturopata - mail: drmastropasqua@gmail.com - facebook: Dr Mastropasqua - cell.: 339 534 9119 Con la primavera e con il risveglio della natura tutto si mette in movimento, anche le nostre emozioni cambiano, a volte ci sentiamo in subbuglio, risentiti, impauriti o arrabbiati con il mondo intero senza un vero motivo apparente. Poi il periodo che abbiamo attraversato, prolungato nel tempo, con un carico di paure fuori dal normale, ha portato il nostro equilibrio emotivo al limite della sopportazione. Ovviamente sappiamo che quando il nostro organismo supera i sistemi di compenso va in squilibrio e crea malessere che da emotivo, se prolungato nel tempo può creare vere e proprie patologie anche di tipo fisico, quindi è cosa buona e giusta interrompere questo circuito deleterio e recuperare nel più breve tempo possibile il nostro equilibri emotivo. Anche in questo caso la natura ci viene in aiuto, ci sono dei rimedi studiati oltre 100 anni fa che sono un toccasana per le nostre emozioni: i Fiori di Bach. Ma cosa sono e come funzionano, diamo uno sguardo.

Secondo il medico inglese Edward Bach, scopritore ed inventore di questo metodo: “La malattia è la concretizzazione di un atteggiamento mentale”. Il metodo di guarigione creato dall’immunologo inglese, infatti, usa le “forze naturali” di alcune varietà di fiori selvatici. L’obiettivo è modificare gli stati mentali negativi: modificando questi stati, la malattia cesserà di esistere. Secondo i cultori del metodo, i fiori agiscono in maniera molto sottile sugli stati mentali ma anche sul corpo, indirettamente. È la mente della persona che cambia prospettiva e permette al corpo di guarire. Bach, così come Samuel Hahnemann, padre dell’omeopatia, e la Metamedicina dopo, vedeva i sintomi della malattia come una sorta di campanello d’allarme. Sono i sintomi ad avvisare la persona della necessità di un cambiamento: dalla dieta allo stile di vita, passando per l’attività fisica e, soprattutto, per la modifica degli atteggiamenti mentali negativi.

I fiori di Bach sono 38 più 1, il rescue remedy. Sono stati individuati individuati dal medico immunologo Edward Bach nel 1930. Sono conosciuti principalmente come sostegno naturale contro stati emotivi negativi e ricorrenti (ansia, depressione, panico, paura, tristezza…) non patologici. Appartengono al mondo della medicina naturale ed in presenza di patologie, sono un efficace sostegno del tono dell’umore. Si presentano come soluzioni idroalcoliche d’essenze floreali. Questi rimedi ‘vibrazionali’ lavorano sugli stati d’animo per effetto di risonanza delle frequenze di riallineamento. Sono molto usati anche durante le diete dimagranti e nella lotta al fumo proprio per la loro capacità di fornire un supporto positivo alle emozioni che si scatenano durante questi percorsi di cambiamento esistenziali. Non sono indicati per sintomi generici ma sono scelti in base a come i disturbi si manifestano, suggerendo una via d’uscita a comportamenti compulsivi e senso di malessere. Il “prontuario” di questi rimedi naturali floreali si concentra sull’individuazione della “tipologia” di persona e su quali caratteristiche emozionali il rimedio deve far vibrare. I fiori di Bach agiscono sulle emozioni positive che vengono evocate durante un trattamento, un cambio di abitudini quotidiane o durante le diete dimagranti, favoriscono un atteggiamento mentale che porta a resistere agli attacchi compulsivi e spinge ad essere più attivi, anche come attività sportiva. Si trovano in farmacia e in erboristeria dove il vostro specialista potrà rispondere ai vostri dubbi. Non ci sono controindicazioni, effetti collaterali, salvo eventuali allergie all’alcol, che, nel caso, viene sostituito da aceto di mele, né interazioni con farmaci. Per scegliere i fiori di Bach più adatti è sempre bene affidarsi ad un naturopata oppure alla vostra erborista di fiducia: ogni fiore, infatti, ha caratteristiche uniche. Ad ogni modo, in generale, i fiori di Bach possono essere usati da soli o in associazione ad altri fiori, senza nessuna controindicazione. Quello più conosciuto e che ognuno di noi dovrebbe avere sempre a portata di mano è il Rescue Remedy (rimedio di pronto soccorso), può essere utilizzato per i casi di shock , svenimento, traumi importanti, situazioni di stress emotivi molto forti ed attacchi di panico. In questi casi si possono prendere da tre a cinque gocce anche ogni 5 minuti fino alla scomparsa dei sintomi. Ovviamente come sempre resto a disposizione per chi ne volesse sapere di più. Buona vita.

Ri-pensando ...

Sto ripensando Pavese. Ho scritto per lui un monologo pubblicato in un libro di qualche anno fa che è stato rappresentato attraverso la magica voce di Giancarlo Davoli accompagnato al pianoforte dal maestro Rossella Mendicino: una potenza musicale che ancora oggi ricordo con profonda emozione. Di Cesare Pavese penso molto spesso al suo “mal de vivre”, ai giorni contati della sua vita, un’attesa non priva di fatalismo per raggiungere il traguardo del gesto estremo e nello di Tommaso Cozzitorto stesso tempo una speranza affinché il suo destino pressoché prestabilito potesse ritrovare quella luce abbandonata nelle Langhe della giovinezza. La sua ricerca dell’amore era sentita come una necessità, per trasformare un doloroso sopravvivere in un “Vivere” autentico. Invece, di vana attesa in vana attesa, quindi di delusione in delusione, nella sua anima anima prende sempre più piede la sensazione di buio, un “mal de vivre” che non gli prospetta alcun sopportabile futuro. Aveva da poco vinto il Premio Strega, eppure si rende conto che il successo non colma vuoti, mancanze, né placa la fame d’amore, si rende conto che il successo acuisce la solitudine, quella solitudine che nasce dal profondo, dalle voragini senza fondo dell’interiorità. Penso a Pavese, come a un nuovo Ortis, aggirarsi tra le ombre della sua mente, in piena estate (l’estate è una tragedia per gli infelici), in una anonima camera d’albergo... E poi niente più... “La mort viendra et elle aura tes jeux”. Lamezia e non solo

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Sport

AMARCORD

A colloquio col direttore sportivo molto legato alla città di Lamezia PAGNI: “LA VIGOR E’ANCORA UNA FERITA PER ME! ERO CONVINTO DI PORTARLA IN B NEL MIO TRIENNIO CONTRATTUALE. DEVE E PUO’ FARE LA B” L’ex diesse vigorino elogia i tifosi biancoverdi: “Chapeau, non è da tutti subire quell’umiliazione con maturità e tolleranza”

Figlio d’arte il papà Dante ha allenato la Vigor Lamezia a metà anni ’60, Danilo Pagni da Castrovillari è tra i direttori sportivi più vincenti. Il capolavoro nel suo curriculum è senza dubbio l’ascesa col Gallipoli di patron Barba dalla Serie D alla B, ma parimenti prestigiosa è stata la salvezza con la Ternana in B nel 2017. Quindi diesse o consulente con tornei vinti e di vertice ovunque: Salernitana (con patron Lotito), Viterbese (Coppa Italia contro il Monza di Galliani e Berlusconi due anni fa), Vittoria, Lamezia, Sorrento, Taranto. Poi due esperienze top: osservatore in giro per il mondo per il col Milan di Mirabelli e Gattuso e per il Chievo Verona, a stretto contatto col ds Sartori. Attualmente ‘fermo’ ai box ma solo virtualmente poiché è sempre operativo sui campi di mezza Italia a vedere partite e studiare talenti. Due le annate di Pagni con la Vigor, entrambe particolari: la prima nel 2009 in veste di consulente di mercato, in quanto già impegnato col Taranto e la seconda da diesse, interrotta sul più bello, nell’estate del 2015, quella che ha spazzato via la storica e gloriosa Vigor Lamezia che ancora oggi ne paga le conseguenze militando in Eccellenza. Iniziamo Danilo: la tua prima collaborazione alla Vigor risale al 2009-2010: la squadra fece quattro cambi di allenatore, Rigoli-Giacomarro-Rigoli-Marulla. Cosa successe in quell’annata che vide poi la Vigor ripescata in C? “Intanto avevo un rapporto non diretto e questo ha fatto sì che le cose venissero gestite in maniera non perfetta e me ne assumo le responsabilità. C’era Fabrizio Maglia come ds, lo indicai io, brava persona ma effettivamente, come ti ha detto Rigoli nell’intervista che gli hai fatto, era un po’ troppo ‘innamorato’ dei giocatori, che invece per me sono solo degli ‘strumenti’ per raggiungere gli obiettivi prefissati. Avevamo i giovani più forti d’Italia: Chiricò, Forte, Lattanzio, Catalano, poi c’erano i grandi, Cosa, Lio, Cordiano, Mangiapane, era uno squadrone. Però la mia assenza ha di fatto creato delle incomprensioni e non si raggiunse il primo posto, tra l’altro meritatissimo. Anche perché il Milazzo, che vinse il torneo, poteva considerarsi un Leicester dei giorni nostri, ma perse al D’Ippolito e mostrammo di non essergli inferiore. La Vigor era una società fortissima, fatta da amici. Fu comunque una pag. 10

di Rinaldo Critelli

bellissima esperienza e comunque la Vigor approdò ugualmente in Serie C col ripescaggio”. La seconda tua collaborazione ebbe inizio nell’estate ‘tribolata’ del 2015, che poi decretò la retrocessione in D. E comunque avevi costruito un altro squadrone! “Sì, mi fregio di quei pochi mesi di collaborazione. L’immagine in quel momento sia della società-Vigor che della città di Lamezia era attaccata da tutti i media nazionali. Io attraverso la mia credibilità ed il sostegno di tutti i dirigenti ero riuscito a portare alla Vigor dei campioni italiani Primavera. Ad iniziare da Lescano capocannoniere col Torino di Longo che quell’anno vinse lo scudetto Primavera, aggregato anche alla prima squadra granata allora allenata da Ventura. Mentre nel secondo grado ci affossavano, Lescano era in aereo e stava raggiungendo Lamezia. Anche il portiere Gomis sempre dal Torino campione d’Italia, oggi in B; Rosanio che sta giocando nel Cittadella in B; Tommasone della Primavera dell’Inter. E poi gli esperti difensori Patti e Moi, un attaccante del calibro di Bonvissuto: con pochi soldi e giovani in gamba stavamo allestendo una squadra capolavoro. Quando ci hanno buttato giù mi sono ritrovato senza squadra né contratto, ma soprattutto fu una cosa triste per tutta la città di Lamezia, veramente una ferita”. Ti suona strano che una piazza come Lamezia non abbia frequentato con continuità la C1 e mai la B nel suo secolo di storia? Perché? “Perché si è fatta un po’ di confusione. Personalmente quando accettai l’incarico, ero convinto di andare in Serie B alla fine del programma triennale stilato. Ciò perché l’idea è più forte di un esercito. Stavamo costruendo qualcosa di importante coi tanti club di Serie A: Torino, Atalanta, Inter. E Lamezia doveva diventare una base per i top club giovanili. Come ti spieghi che una squadra diffamata su giornali e tv riesca a portare campioni italiani Primavera? Perché seppur ero dalla parte dei lametini la mia credibilità era spendibile”. Insomma un’occasione persa…

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“Purtroppo sì, il progetto era ambizioso, ed in più avevamo arricchito quella Vigor di 7-8 giocatori esperti”. Perché uno bravo e abile come te al momento è fermo? “Ammetto che ci ho messo anche del mio, nel senso che pensavo di riuscire ad arrivare in Serie A dalla porta principale, ovvero per meriti acquisiti sul campo e non ho preso in considerazione tante cose. Ma per me parlano i risultati ottenuti dalla Prima Categoria alla Serie A: ovvero i numeri, le tante intuizioni di giocatori scoperti. Soprattutto parlano la correttezza e la stima che mi sono ritagliato nell’ambiente. E’ ovvio che ho forse tirato la corda per quella mia convinzione di farcela, ma non dipende soltanto dalla mia capacità e dai risultati. E poi non faccio piaceri a nessuno”. Confermi che oggi il calcio è un carrozzone? “E’ un dare-avere. Ed io lavoro per la società che mi ha a libro paga. Lo sanno tutti, non ne faccio piaceri io”. Tra le tante collaborazioni (e vittorie) risaltano quelle di osservatore per Chievo e Milan. Che tipo di esperienze sono state? “Ho girato il mondo. Ho studiato tutte le competizioni di prima squadra e giovanili internazionali. Ho preso voli intercontinentali a scovare promesse: studio, ricerca, aggiornamento, sacrificio, conoscenze”. Dimmi due calciatori che hai segnalato in quegli anni? “Grealish oggi all’Aston Villa e nazionale inglese, ma era in B inglese e lo segnalai al Milan; e al Chievo Romulo quando non giocava nel Cruzeiro, oltre ad Acerbi allora a Pavia oggi alla Lazio ed in Nazionale. Potrei fare tanti nomi”. Dove ti sei trovato meglio? “Ovunque. Ho una cena pagata col dolce in tutte le piazze dove ho lavorato. Mi vogliono bene tutti come professionista e come persona: Salerno, Messina, Terni, Taranto, Gallipoli e tante altre, senza inciuciare con nessuno. Mi sono costruito il rispetto e la stima con i risultati ed il comportamento. Purtroppo oggi alcune scelte sono una sorta di offesa al merito. Voglio fare un grande plauso a tutti i dirigenti indistintamente con i quali ho collaborato”.

“Barba”. Due tipi di calcio: la Serie A, e poi il resto. Durerà? “No, è un sistema in default. Non esistono criteri di sostenibilità”. La tua ricetta? “Raiting (solvibilità ed affidabilità) nell’acquisizione delle società, infrastrutture a favore di chi investe nel calcio. Ed una parte dei proventi da reinvestire nel settore giovanile. Per le piccole categorie ci vogliono invece sovvenzioni a fondo perduto dallo Stato. Insomma fuori i ladroni fuori dal Tempio, non vogliamo avventurieri. Se è vero che gli stadi sono obsoleti, è anche vero che in quelli nuovi un panino non può costare 7 euro, ed una famiglia non può portarsi 200 euro per mangiare”. Conosci bene Gattuso… “Rino è una mia profezia”. Ovvero? “Appena finì di giocare ho profetizzato che sarebbe diventato un grande allenatore, oltre a Cristiano Lucarelli”. L’allenatore più bravo oggi? “Italiano, ha fatto la giusta gavetta ed ora raccoglie i frutti”. Cosa ti senti dire alla piazza di Lamezia depressa ormai da anni ed ai suoi tifosi calorosi? “Auguro a questa società di arrivare in Serie B perché Lamezia può e deve fare la B. Ai tifosi puoi dire solo grazie, perché sopportare un’umiliazione del genere, con tutto il rispetto di questi campionati, c’è da dirgli solo chapeau, hanno dimostrato grande maturità e tolleranza”.

Una gara che ricordi di più? “Ascoli-Ternana 1-2, salvezza diretta in B. E poi in C col Gallipoli di Auteri vittoriosi a Salerno uscendo tra gli applausi”. L’allenatore più bravo che hai avuto? “Nel complesso Simonelli”. Il portiere? “In C Lafuenti”. Il difensore? “Gabriel Raimondi”. Il centrocampista? “Falletti”. L’attaccante? “Nacho Castillo”. Il collega che stimi di più? “Giovanni Sartori”. Ed il presidente? Lamezia e non solo

* pubblicate Castillo, Galetti, Sinopoli, Gigliotti, Scardamaglia, Sestito, Forte, Lucchino, Rogazzo, Ammirata, Samele, Sorace, Rigoli.. continua… GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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scuola

“Capitan Ultimo” di Anna Rosa

Penultimo giorno di scuola, penultimo giorno di un anno particolare che volge al termine, altalenante tra chiusure e aperture, attività in remoto e in presenza. Eppure la Dirigente del Liceo Scientifico Galilei, prof.ssa Goffredo, ha voluto salutare gli studenti, lasciando loro un messaggio positivo, invitando un relatore d’eccezione, il colonnello Sergio De Caprio, meglio noto come “Capitan Ultimo”. Ad apertura evento, La Dirigente si dichiara emozionata e felice che il

operazione dell’arresto, su cui è stata anche realizzata una fiction televisiva, sia stata solo una parte della lunga ed eroica carriera che lo ha visto protagonista.

colonnello abbia mantenuto la promessa, fatta durante la “Maratona della Legalità”, di incontrare personalmente gli studenti che nel precedente incontro da remoto, avevano dimostrato particolare interesse per le tante tematiche affrontate. Alla giovane utenza, De Caprio è stato presentato da Don Nino Vattiata, dell’Associazione Capitan Ultimo, non solo come attuale assessore all’ambiente della Regione Calabria, ma anche come colui che ha arrestato il Boss Totò Riina, il 15 gennaio 1993, premettendo come l’intera

dell’Associazione “ConDivisa Sicurezza e Giustizia”. Il Dott. Gaccione ha esortato i ragazzi a non abituarsi all’illegalità, ad essere rivoluzionari per le giuste battaglie, per i grandi ideali e per i loro sogni, perché negli anni futuri di ognuno, aver combattuto le proprie battaglie, significherà poter mostrare ferite di cui essere orgogliosi. La Dott.ssa Staropoli ha esposto emozionata la sua esperienza, come giovane fondatrice dell’Associazione “Ammazzateci Tutti” e poi come Presidente dell’Associazione” ConDivisa”, denunciando

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Prima che si aprisse un vivace e proficuo dibattito tra l’ospite e gli studenti, hanno preso la parola, come relatori, il Dott. Giuseppe Gaccione, VicePresidente dell’Associazione “ConDivisa” e la Dott.ssa Lia Staropoli, Presidente

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come spesso le forze dell’ordine non sempre sono elogiate e apprezzate come sarebbe giusto accadesse. In realtà, la loro divisa è da loro onorata ogni giorno, ed ogni giorno è messa a rischio la loro vita. Gli studenti delle classe 3 E, guidati dalla docente Saveria Sesto, hanno poi voluto rendere omaggio al colonnello, presentando un excursus sulla sua vita e sulle sue operazioni più importanti, come militare e come uomo politico. ,Il tutto attraverso una interessante rassegna stampa.

Quando prende la parola Capitan Ultimo, l’uditorio, attento e silenzioso, ne ascolta l’elogio, fortemente sentito , nei confronti dell’Arma, per quello che fa ogni giorno per la Comunità, mettendo tante volte a rischio la propria vita, soprattutto in quelle realtà in cui forte è la presenza delle associazioni malavitose. Gli studenti, apparsi molto interessati alle problematiche ambientali, hanno rivolto tante domande, nate dalla percezione che avrebbero avuto risposte ai tanti loro dubbi. Partendo dalla importanza di utilizzare le risorse energetiche per il bene di tutti, tanti sono stati poi i temi toccati, tante le domande dei ragazzi: dall’ambiente, alla criminalità organizzata, ai problemi del territorio. Quando si è poi toccato il tema del dono, argomento cardine dell’evento, sulle domande degli studenti, i quali hanno posto il problema se in una società

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materialista e individualista come la nostra, possa ancora essere forte il sentimento del donare, Capitan Ultimo risponde con un grande messaggio da cui fuoriesce una grande umanità e sentimento di speranza: Il dono fa parte della vita di ogni uomo e di ogni tempo. Le numerose risposte offerte dall’ospite si possono racchiudere con l’ultimo intervento quando, rivolgendosi, non senza partecipata emozione, agli studenti , li invita a riappropriarsi di ciò che può valorizzare territorio e ambiente - Cominciamo dalle energie rinnovabili, dalle smart-city, dalle città intelligenti

che non fanno spreco. Valorizziamo ciò che abbiamo. Comprendete i doni che ci circondano, non solo la bellezza dei paesaggi, ma anche della conoscenza, della preghiera e delle attenzioni di coloro che vi stanno vicino e che si preoccupano per voi quando tornate tardi la sera, perché nulla è scontato.- Un messaggio diretto, dunque, quello che arriva da Capitan Ultimo: “perché a salvare il Paese non sono i grandi eroi, ma i giovani che credono nel futuro. Io se guardo voi, non ho paura”. Un lungo e caloroso applauso di congedo,ha poi salutato l’eccezionale ospite dell’evento, che il Dirigente Goffredo ringrazia nuovamente per aver offerto ai suoi studenti un importante e significativo momento di crescita.

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l’angolo di san pietro a maida

“Vi lowo tutti”

il nuovo romanzo-verità di Giuseppe Gallo Rendere difficile la circostanza che la Scuola si trasformi nella Cenerentola delle istituzioni e che che il ruolo dell’insegnante perda lentamente il prestigio della propria autorità, perché fortunatamente esistono docenti che, oltre alla mente, mettono nel lavoro anche il cuore facendo diventare contemporaneamente le loro materie sperimentazione, fantasia, partecipazione, confronto, ascoltando gli alunni, proteggendo e guidando i loro umori e sentimenti, così come il ruolo dei genitori non dovrebbe mai perdersi nell'indifferenza e negligenza. E ancora. Trasmettere invece con successo quella cultura che ahimè "si arrovella e si contorce su se stessa, che gira a vuoto, rinnova le pene dell'incertezza, il labirinto degli enigmi". Percepisco questa profonda sfida nelle bellissime pagine scritte da Giuseppe Gallo nel suo e per amor dei lettori anche loro romanzo "Vi lowo tutti ". Una forte sfida che ora qui diventa e appartiene a Valerio Giga, insegnante di storia e filosofia "in una foresta umana così complessa , che vuole salvare, conoscendo gli stati d'animo degli alunni le loro abitudini, i loro problemi distaccandosi dalla rendevolezza, dovuta ai legami con metodi antiquati. "Perché ricordiamo il passato e non pensiamo al futuro "? "Diamo una speranza a questi ragazzi, ricuciamo qualche strappo, bendiamo qualche ferita". Valerio Giga è uno stoico moderno, un rivoluzionario monco come Enrico Toti, ha un istinto illuminista e positivista, materialista. Con il forte senso di giustizia ed uguaglianza. Uomo dal cuore buono e di ironica esitazione di fronte alle novità, con un alter ego che lo beffeggia quando il reale muta e si trasforma. Calabrese trapiantato a Roma, qui dipinta attraverso le descrizioni dei suoi reticolati, viottoli, piazze avvolti dalla natura cangiante a seconda del clima, ma con un forte sentimento verso le sue origini, Giga crede che ritrovando la sua Patria possa " trovare l'aroma dell'essere riassaporando i luoghi in cui tutto ha avuto un senso "... Ma forse non vuole ritrovare se stesso? Forse è insistente la paura dell'uomo di scoprire profondamente il proprio Io? Con il professor Giga l'autoritarismo scolastico si trasforma in "autorevolezza" e la disaffezione, il sarcasmo, la goliardia, il bullismo del branco si disperde in uno spazio dove per i ragazzi diventa possibile esprimersi, riflettere, domandare , scegliere.. Si scegliere!!! Perché fare delle scelte significa dare un senso alla vita, scelte che poi possono essere anche revocate. " Lei è uno di noi, un amico" gli dice uno studente, per quanto possa bastare bere una birra insieme ai suoi alunni, pagare una pizza, raccontare qualche esperienza da ragazzo, con complicità. In questo romanzo-verità l'autore racconta l'esistenza di Valerio Giga attraverso la vita di Mario e Lucia, di Maria Teresa, di Hazel, di Angelo, Luciano e Carla. Egli è legato loro da un cordone ombelicale. Tutti hanno bisogno di parlare e di essere ascoltati. Lucia, un' alunna sensibile, intelligente, di sentimento forte e genuino, la pelle curata, occhi nitidi, vivaci, contratti nelle lacrime. Ha sperimentato dentro di sé il fallimento e soffre, invasa da un profondo disagio, ansia e smarrimento dovuti alle aspettative del padre, decide di non frequentare più la scuola, mentre tra una clinica e l’altra, si accende la speranza di vita. Giga in tutto questo, oltre il ruolo dell’insegnante, conosce il sentimento di guida responsabile, fino a sentire rodere la coscienza per non aver consigliato Lucia : "avrei dovuto proteggerla dai pericoli, renderla consapevole, evitare la sua assenza a scuola ". Lucia chiede il suo aiuto e ripone piena fiducia nel suo Prof. attraverso le parole della sua poesia, ma soprattutto della sua lettera, questa inpag. 14

di Loretta Azzarito

vece scritta col suo sangue (cit. Nietzsche). E nelle risposte del suo Prof. può trovare cura : "La poesia non è un granché, ma per migliorarla bisogna vivere. Hai capito? Vivere" !!! Poi c'è lo studente Mario, spigliato ed intelligente fin da bambino, pronto ad imparare, con problemi di disortografia e discalculia diagnosticate in ritardo. Innamorato di Lucia e corrisposto, ma assai coinvolto in non pochi problemi familiari. Sempre sotto osservazione non invadente il suo gestirsi in classe dal Prof. Giga, così come quando puntava la sua azione ripetuta con la zip della felpa: " Questo su e giù irrequieto potrà collegarsi al rocchetto di filo che Hans di Freud lanciava e ritirava sotto il letto della madre"? Con quella azione Mario "sta cercando la madre"? Ma ci sono poi gli studenti ai quali diventa difficile sottrarre informazioni più personali perché alimentati dalla convinzione di essere liberi di sperimentare sulla propria pelle delusioni e gioie, sconfitte e vittorie proprio come hanno fatto gli adulti nella loro passata esperienza, ma che piuttosto le domande le pongono: " A cosa serve la scuola Prof. "? " Come possiamo costruire il nostro futuro con gli esempi reali del lavoro nero, un andare avanti senza assicurazione, senza diritti e senza pensione"? Ma sono gli stessi studenti che vedendo elevato il loro coraggio da Giga, che offre vicinanza con un linguaggio senza barriere, allargano lo spettro del proprio io, si confrontano da pari a pari con il loro insegnante e tentano di affermare una coscienza più dignitosa. Parlano al prof. senza il timore di una nota, di un esercizio alla lavagna, di una pagina da scrivere. Perché anche gli alunni provano a conoscere il prof. come quando capiscono che non è aria o giornata, se il prof . sfila i suoi occhiali per pulire le lenti. Poi c'è Maria Teresa insegnante di Inglese e collega di Giga per il periodo di supplenza. Lei "universo concreto fatto di carne, di respiro". Valerio percepisce l'ombra dell'amore e trema di paura. La immagina in punta di piedi, con l'ombrellino sull'orlo fiorito del mondo come nel quadro di Monet. Lui non è un libro aperto, anzi vorrebbe che quegli occhi "ancora azzurri" possano entrare come un bisturi nella trama dei suoi pensieri e nella sua anima, andando oltre i meandri del suo labirinto interiore. Per fortuna c'è lei che addolcisce il senso della sua quotidianità. Una quotidianità con tante cose da fare: la passeggiata con Hazel, l'unico cane che sa sorridere, la lettura, proseguire il suo scritto "La storia meravigliosa" correggere qualche compito, scoprire l'enigma e capire chi sia quel tizio strano col cappotto lungo da nazista, rivedere Maria Teresa. Vi lowo tutti è un innalzarsi del sapere formativo scolastico sopra ogni pandemia, vista, vissuta, sconfitta. Possiamo superare il momento storico, ma con la consapevolezza che l'anima della Scuola deve essere accudita e resa complice, per poter trasmettere cultura. Vi lowo tutti è il percorso da seguire per vincere le più misere prevaricazioni impulsive, è l'essenza della scuola nel suo complesso che salva da ogni problematica relazionale gli alunni ricercando e tessendo le loro personalità. Un gran bel libro, ricco di riflessioni utili, sempre e assai attuali, che sa essere al tempo stesso dolce poesia personificando ogni realtà oggettiva. Sarà pur vero che ogni finale spetta ai vivi, ma come quel libro che significa tanto per Angelo, anche questo è capace di intrecciare quel legame forte, come guida, monito di quanto già ci portiamo dentro. Grazie Giuseppe Gallo d'aver raccontato con questo libro anche di un professore speciale.

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I Meridiani: Voci calabresi in serie e parallelo

Anche le barzellette provengono dal mondo antico… di Francesco Polopoli

Copia romana in Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo

Tra la censura e la liceità la barzelletta si è fatta un solco profondo nella tradizione scrittoria ed orale del mondo antico: tutto questo, malgrado il veto aristotelico e platonico. Lo Stagirita (384-322 a. C.), ad esempio, sosteneva che l’arguzia fosse una forma di educata insolenza, ed ancor prima di lui Platone (427-347 a. C.), nella sua Repubblica, raccomandava una revisione della letteratura, per emendare i passaggi in cui dèi ed eroi sghignazzavano troppo. Checché ne pensassero i padri della filosofia antica, i Greci non seppero rinunciare ai loro Zelig o Colorado Cafè. Ad Atene, a partire dal IV secolo a. C., esisteva persino un circolo di comici, i “Sessanta”, che si riunivano

presso il santuario di Eracle alla periferia della città. Appartenenti all’alta società, erano così famosi che ogni narrazione comica cominciava con “I Sessanta dicono che...”. Oltre a questo non dimentichiamo che ad inventare la barzelletta sarebbero stati nientemeno che due eroi mitici: Radamante e Palamede. Mitico, vero!? Successivamente vien fuori il Philogelos ma con spiritosaggini di una certa levatura stilistica. Nel periodo umanistico questa eredità fu ben accolta dall’anima intellettuale di non pochi pensatori: Poggio Bracciolini (1380-1459), giusto per citarne qualcheduno, nel 1450, riunì nel suo Liber facetiarum storielle scabrose, sottoforma di divertissement, che tra l’altro circolavano come gossip a Roma e per giunta in ambiente pontificio. A dire il vero venivano fuori dal “bugiale”, che, come spiega Poggio, era “mendaciorum officinam”, un vero e proprio club delle barzellette, praticamente! Ciò premesso, facendo un lungo volo pindarico, quando sento le arguzie lametine (le strumbelle, cioè!), le innesto lì, tra quelle radici che mi raccontano il filo unico di una storia che continua ciclicamente, benché i periodi siano diversi tra loro. Una, barzellettata, la sottopongo alla vostra lettura, ringraziando anticipatamente Francesco Domenico Mete per avermela suggerita

e segnalata: «’Nta ’na gghljiasa c’era ’nu priaviti ca cci puzzavanu i mustazza: a fiancu c’era ’na cantina ’i vinu sempri chjina ’i ’mbriacuni: burdillari e scustumati. Gastimavanu, dicianu brutti paroli, cantavanu: Gesù, Giuseppe e Maria, sarvati l’anima mia! ’U priaviti vinia disturbatu in continuazione e dicia: “M’hanu ’i capitari sutta!”. ’Na sira tardu si presenta mastru Pasquali a ‘toppa’, ca si vulia cumpissari. ’U priaviti pinzau: finalmente m’ha capitatu, mo’ vidimu! Prima ’u cumpessa e dopu ppi pinitenza cci ’ndi duna ’na tosta. Mastru Pasquali ’un sapia nenti ’i cosi ’i gghljiasa e inutile ca cci circava ‘Ave mmaria e Patarnuasti’: accussì alla fini ’u priaviti ppi penitenza cci dici ca ha di dijunari ’u juarnu dopu. Mastru Pasquali: “Patri, scrivitimillu in dialettu! Iu ’nta ’sti cundizioni ’un mmu ricuardu”. ’U priaviti scrivi: ‘Mastru Pasquali dumani dijuna’. Dopu dua juarni mastru Pasquali va a fari ’a cumunioni, subitu ’u priaviti: Ha’fattu a pinitenza, ha’ dijunatu’? ‘No’, rispundi mastru Pasquali, ‘vua m’ aviti scrittu: guardati, mastru Pasquali, dumani dijuna, ed iu dumani dijunu, cumu no!? ‘». Chissà quale giorno, mi vien da chiedere! Il classico lunedì delle nostre diete che non rispettiamo mai!?

Satirellando e dintorni

Dopo un anno scolastico disastroso, combattuto fra DaD e pandemia, non ho più frecce al mio arco! Così ho scelto una nuova parodia, che si adatta proprio al momento… Tristan Tzara ci diede la ricetta del poema dadaista e io vi dò la ricetta del karaoke su L’ESTATE STA FINENDO dei Righeira. Dunque: accendete YouTube, ascoltate il ritmo una volta e poi cantate sulle mie parole:

LA DAD STA FINENDO

La DaD sta finendo E un anno (scolastico) se ne va: chi sta diventando vecchio, no, non mi deve invidiar! E’ tempo di andar al mare, lo sai che già mi va, la DaD sta finendo: mi sento di volar! La, lacrime, pianti, come diamanti, ecco che brillano in città: va, va, va, vacanze, io non vedo proprio l’ora!

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E’ tempo che i decrepiti Si chiudano in casa E chi, ormai, è vecchio, deve, certo, crepar! Io sono giovincella, non è una novità; ma chi è incartapecorito, non mi deve scocciar! La, lacrime, pianti, come diamanti, ecco che brillano in città: potete star sicuri,

nulla mi sfuggirà! La DaD sta finendo, anzi è finita già: io sto ringiovanendo, voi scegliete d’invecchiar! La, lacrime, pianti, come diamanti, ecco che brillano in città: va, va, va, vacanze, io non vedo proprio l’ora! La DaD sta finendo,

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di Maria Palazzo l’anno scolastico se ne va: chi si vede vecchio, si sposti un po’ più in là! La DaD sta finendo… La DaD sta finendo… La DaD sta finendo… Com’è andata? Siete tutti ringiovaniti, giusto? Per carità: tutti lontani dalla DaD, mi raccomando! AH, AH, AH!

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blaterando

Klaus Costa di Anna Maria Esposito

Klaus Costa è il governatore della Legione Gladius, un gruppo storico militare di Rievocazione Medievale con assetto giuridico di associazione sportiva dilettantistica, in quanto svolge l’esercizio della scherma storica medievale, rievocando i Cavalieri Crociati, in particolare gli Hospitalieri ed i Cavalieri Normanno-Svevi. Nonché Rettore degli Uffizi D’Arme, Archivio Araldico dove sono registrati gli stemmi dei Membri D’Armi. Incontriamolo.

Klaus, innanzitutto grazie per la tua disponibilità e per aver accettato il mio invito. Che significa essere governatore di un gruppo storico militare? Essere ispiratore e guida di persone che condividono la stessa passione e dedizione verso gli Ordini Cavallereschi di Crociata Memoria, sotto tutti gli aspetti: nelle vestizioni, nelle cerimonialità, nella gerarchia militare, nell’Araldica di ciascun membro e nell’esercizio della spada. Cosa erano gli Ordini Cavallereschi? È strano a dirsi, ma erano ordini monastici che, grazie alla predicazione di San Bernardo di Clairvaux, dovevano imbracciare le armi per difendere i pellegrini nel loro estenuante viaggio verso Gerusalemme e poi per difendere Gerusalemme stessa. Gli Ordini più conosciuti, divenuti monastico militari, erano: “I Cavalieri del Tempio”, più noti come Templari, poi “I Cavalieri dell’Hospitium di San Giovanni” in Gerusalemme, detti Hospitalieri ed, ancora, “I Cavalieri della chiesa di Santa Maria Teutonica”, detti Teutonici. Infine vi erano i Cavalieri che proteggevano il Santo Sepolcro.

causa di Napoleone, sia nel ramo russo che in quello occidentale. I Templari invece ebbero, grazie a Filippo il Bello, il compimento del loro triste destino, anche se in realtà non scomparvero del tutto. Oserei dire che la loro storia non sia affatto conclusa. Prova ne è la Pergamena di Chinon, un documento chiave, perso negli archivi segreti vaticani, ritrovato poi nel 2001 dalla storica Barbara Frale e pubblicato nel 2007 con tutti i documenti relativi al processo. La Pergamena dimostra che il Papa Clemente V, segretamente, assolse definitivamente i capi dell’Ordine, sospendendo e non sciogliendo l’Ordine dei Templari. La realtà degli Hospitalieri è più attinente alla mia passione monastica. Oggi faccio parte dell’Ordine dei Cavalieri di Russia come Ufficiale e Maestro D’Armi, oltre ad essere membro della Consulta Araldica Dell’Accademia Mauriziana. Parlando di vestizione, perché i colori dei mantelli dei cavalieri variano in base all’Ordine di appartenenza? Il miglior modo per trattare questo aspetto è rifugiarsi nell’iconografia a noi pervenuta. La Regola Benedettina, seguita dagli Hospitalieri, prevedeva il nero nell’ambito monastico, ecco perché fino ad oggi i Cavalieri Hospitalieri, nelle loro varie diramazioni, indossano tutti vesti nere. Per quanto riguarda i Templari, il bianco ne rappresenta la purezza divina nel loro agire. I Cavalieri Di Santa Maria Teutonica in Gerusalemme adottarono l’aspetto mili-

Perché come Legione Gladius rappresentate gli Hospitalieri? Ritengo che le storiche vicissitudini, che conosciamo, mostrino come i Cavalieri di San Giovanni abbiano continuato la loro esistenza anche dopo la perdita di Malta, a pag. 16

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tare dei Templari, scegliendo quindi un manto bianco, ma sotto l’aspetto monastico assistenziale si riferiscono agli Hospitalieri, prediligendo una croce di color nero. Qualcuno potrebbe chiedersi:” Ma perché la Croce bianca negli Hospitalieri?” È la Croce della Repubblica Amalfitana. Il loro fondatore era un laico amalfitano, che arrivato a Gerusalemme, aveva ricevuto dall’Emiro, che a quel tempo la governava, un luogo dedicato a San Giovanni, dove poter curare, ristorare, assistere i pellegrini. Il cosiddetto Hospitium, forse la prima forma di Ospedale. Successivamente a dei Cavalieri, provenienti dalla Provenza, furono affidate le stalle del Tempio di Gerusalemme e furono così chiamati i Cavalieri del Tempio. Ai Teutonici fu affidata la chiesetta di Santa Maria Teutonica.

ne, quella che, ai nostri giorni, è conosciuta col nome di colonna sonora, che costituisce, pur essendo una dimensione moderna, la cornice che rende affascinante il tutto. Klaus come vorresti concludere questa nostra chiacchierata? “Noi siamo uomini dei nostri giorni, ma proveniamo da tempi molto antichi. Noi siamo italici, fonte di civiltà. Lo dice la Storia.” Grazie Klaus per averci fatto entrare, in punta di piedi, nel mondo cavalleresco.

In Che cosa consiste una Rievocazione Medievale? È un rifacimento ai nostri giorni di eventi e fatti avvenuti in epoche lontane, mantenendo il principio filologico che è l’arma più potente per vincere questo difficile passaggio dal passato verso il futuro, attraverso uno spazio temporale che costituisce il continuum della nostra vita. Sul campo una Rievocazione si realizza tramite l’utilizzo di strumenti adeguati al tempo che si vuole ripercorrere, quindi la vestizione, le armi, l’aspetto visuale, la location, i riti, le cerimonialità ed infi-

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Coordinamento Soggetti Responsabili Patti Territoriali Calabresi

IL SOTTOSEGRETARIO PER IL SUD E LA COESIONE TERRITORIALE ON. DALILA NESCI INCONTRA DELEGAZIONE DEL COORDINAMENTO DEI PATTI TERRITORIALI CALABRESI. di Tullio Rispoli Una delegazione del Coordinamento dei Soggetti Responsabili dei Patti Territoriali Calabresi composta dal coordinatore Giancarlo Mamone Patto dello Stretto spa, Antonio Ferrazzo Promotir srl e Tullio Rispoli Lameziaeuropa spa, ha incontrato a Tropea l’On. Dalila Nesci Sottosegretario per il Sud e la Coesione territoriale. Il coordinatore dei Patti Territoriali calabresi Mamone, nel ringraziare il Sottosegretario Nesci per la sensibilità dimostrata, ha illustrato i dati salienti del Report sullo stato di attuazione dei 15 Patti Calabresi che hanno determinato, a partire dal 1995, la realizzazione di 575 iniziative imprenditoriali e 33 progetti infrastrutturali, l’attivazione di 523 mln di investimenti, l’erogazione di 326 mln di contributi pubblici e l’occupazione a regime di 5300 unità. Con Legge Regionale n° 42 del 2 agosto 2013, 8 società soggetti responsabili di Patti Territoriali, società miste pubblico-privato a prevalente capitale pubblico i cui principali azionisti sono Enti Locali, Regione Calabria attraverso Fincalabra, Camere di Commercio, Associazioni di Categoria, operanti da anni sul territorio, sono state formalmente riconosciute dalla Regione Calabria quali “Agenzie di Sviluppo Locale” con lo scopo di promuovere lo sviluppo sociale, economico ed occupazionale, di qualificare le competenze e le risorse umane e di accrescere la competitività e l’attrattività dei territori di riferimento valorizzando i sistemi produttivi locali, in piena sinergia con gli strumenti della programmazione regionale e con gli strumenti della pianificazione territoriale. Nel corso dell’incontro è stato evidenziato che il recente Decreto Legge n° 77 del 31 maggio 2021 riguardante la “Governance del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure” prevede, all’art. 9 comma 2, che le Amministrazioni Centrali, le Regioni e gli Enti Locali al fine di assicurare l’efficace e tempestiva attuazione degli interventi del PNRR possono avvalersi del supporto tecnico-operativo assicurato per il PNRR da società a prevalente partecipazione pubblica tra cui possono rientrare i Soggetti Responsabili dei Patti Territoriali. Inoltre sulla Gazzetta Ufficiale del 25 gennaio 2021 è stato pubblicato il decreto del 30 novembre 2020 del Ministero dello Sviluppo pag. 18

Economico avente ad oggetto: “Criteri per la ripartizione ed il trasferimento delle risorse residue dei patti territoriali da utilizzare per il finanziamento di progetti pilota volti allo sviluppo del tessuto imprenditoriale territoriale, anche mediante la sperimentazione di servizi innovativi a supporto delle imprese, nonché disciplina per la loro attuazione”. Trattasi di un provvedimento molto importante che permetterà, a seguito di specifico bando ministeriale in fase di emanazione da parte della Direzione Generale Incentivi alle Imprese del MISE, ai soggetti responsabili ancora operativi in Italia di poter attingere alle risorse residue legate ai Patti. Il Sottosegretario Dalila Nesci ha preso atto ed espresso apprezzamento per il positivo lavoro di concertazione, promozione e animazione economica svolto in questi anni attraverso lo strumento dei Pati sul territorio calabrese in maniera coordinata da parte di tutti i soggetti protagonisti dello sviluppo locale a sostegno del mondo delle imprese e per gli interventi di infrastrutturazione promossi dagli Enti Locali. Ha inoltre evidenziato l’interesse a realizzare una proficua collaborazione istituzionale con i Soggetti Responsabili dei Patti Territoriali Calabresi sulle tematiche legate allo sviluppo locale ed alla coesione territoriale ed ha garantito il suo impegno a seguire l’iter di approvazione del nuovo Bando ministeriale finalizzato a poter utilizzare al più presto sui territori attraverso progetti pilota le risorse finanziarie rivenienti a livello nazionale dalle economie dei Patti.

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Sport

Tempi supplementari di Vincenzo De Sensi

Ricordo la strada di pietre e polvere, la chiesa in fondo alla via e i miei amici di tutte le razze inseguire sogni e aquiloni nell'ebbrezza di un futuro da modellare cosi lontano come le città dei nostri genitori ricostruite nelle lacrime e nei dolori, nel posacenere e nella cantilena del dialetto a rompere la solitudine. E noi bambini correvamo dietro nuvole e sortilegi e quel pallone, quel pallone leggero, scandiva il nostro

tempo dall'affacciarsi del giorno alla vertigine della notte, lo sarò un'ala destra, la più forte ala destra dell'universo come quel campione dalle gambe storte e dal soprannome buffo, quel campione che dicevano allegria della gente e a ogni suo gol un povero cantava, un povero sperava, un povero stringeva i pugni e diceva: anche noi vinceremo. Si, sarò un'ala destra bravo come l'idolo della mia squadra maglia verde come la speranza, un'illusione, un vuoto a rendere, verde come il mare, onde adulte, onde caparbie e quel lungo viaggiare per trovare una risposta: dov'è l'Italia, cos'è l'Italia? nell'ozioso navigare una memoria, una scheggia di nostalgia, un'eco in lontananza. Italia anni sessanta del boom economico scandito dai cronometri dei cottimisti altro che ottimisti! Lotte operaie, lotte sindacali, il sangue di Dallas e delle Pantere nere, il sangue del Vietnam, che roba Contes-

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sa. Volavano alti i lacrimogeni e i cross di Helmut Haller per la testa di Roberto Bettega mentre Anastasi illustrava la sua terra e il suo cielo, Pelè Bianco lo chiamavano. E io volevo diventare come lui, e correre nel vento, e correre nel tempo, alzare le braccia (non per un controllo dei documenti, studia ragazzo, studia e non pensare, la politica lasciala ai grandi). Sì, alzare le braccia dopo una rete al volo, una discesa in dribbling, dopo aver scartato il portiere. Sentivo di potercela fare, hai talento, giudicavano, prima di quel rigore sbagliato di quell'errore che mi lasciò solo, in quel deserto di sguardi e di rimproveri. Anche Anastasi ha sbagliato un calcio di rigore ripetevo nella notte senza fine, con quel portiere a occupare l'incubo a rovesciare i pensieri. Anche un rigore provoca dolore, segna un destino, rompe, frantuma, capovolge. Un ragazzo diventò adulto perché quelle bombe cancellarono la sua giovinezza, cancellarono la sua innocenza. Racconterò di città che avevano prati, spazi aperti, sospiri e tenerezze.

Gli dirò di suo padre di quando urlò per la prima volta "libertà e tolleranza. Il calcio, è come la vita, che ti scivola tra le mani per l'ansia di possederla. E dopo il calcio di rigore ti resta soltanto un senso di smarrimento, la voglia di tornare indietro e dimenticare.

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festival delle erranze

“Dalla Terra che brucia al Cuore che arde”:

cronaca del primo evento del Festival delle Erranze e della Filoxenia

Lamezia Terme, 28 giugno 2021 - Erano in tanti, ieri, domenica 27 giugno, fra San Mazzeo di Conflenti e Monte Faggio, nel Gruppo del Reventino-Mancuso, in Calabria, per il primo evento del Festival delle Erranze e della Filoxenia: la passeggiata comunitaria con messa celebrata nella faggeta sommitale del Monte Faggio a 1329 metri di altitudine. Innanzitutto c’era la comunità ecclesiale della Chiesa di Sant’Anna di San Mazzeo, la grande conca lacustre del Quaternario che si apre fra i monti Reventino ad est e Mancuso ad ovest e che fu un importante transito storico fin dalla romana Via Popilia. La conca di San Mazzeo è disseminata di borghi e frazioni di Lamezia Terme, Martirano Lombardo e Conflenti, dove vivono centinaia di famiglie, a 900 metri di quota, su un territorio assai ampio, tipico delle aree interne dell’Appennino, circondato da fitti ed estesi boschi di querce, castagni, faggi, pini, abeti. La folta comitiva, che comprendeva famiglie intere, gruppi scout della Zona del Reventino, camminatori provenienti da tutta la Calabria ed anche una troupe del Giffoni Film Festival è partita alle 9 dall’area attrezzata della Spernuzzata, copiosa e gelida sorgiva intubata durante l’epopea dei rimboschimenti, nell’immediato dopoguerra. Il lungo serpentone colorato è salito lungo sentieri e sterrate sino alla cima di Monte Faggio, da dove si gode di una magnifica vista che spazia sino al Golfo di Sant’Eufemia, sul Tirreno, e a quello di Squillace, sullo Ionio. Durante il percorso sono stati letti e commentati da don Andrea Latelli, pastore della comunità di San Mazzeo, e da Francesco Bevilacqua, avvocato e scrittore, ideatore del festival, brani dall’enciclica di Papa Francesco “Laudato Si’”, ispirata

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al famoso Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi. Poi, nell’ombra della faggeta, don Andrea ha celebrato messa avendo come altare un tronco d’albero e conversando con i fedeli sul senso di essere comunità in una realtà rurale come quella di San Mazzeo, falcidiata dallo spopolamento, ma dove, nonostante la mancanza di servizi ed i disagi, tante famiglie e tanti giovani hanno scelto di restare, qualcuno anche occupandosi di piccole imprese vocazionali. Si è discusso di civiltà rurali, di accoglienza, di apertura verso il mondo esterno, di conoscenza ed amore per i luoghi, di senso della storia e della memoria, di cura, custodia e servizio verso la Terra, della necessità di riannodare il filo reciso fra gli uomini e i luoghi. Una particolare riflessione hanno posto don Andrea e la comunità di San Mazzeo la problema degli incendi boschivi che annualmente colpisce questa come altre zone della Calabria e dell’Italia.

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l’angolo di gizzeria

Giovambattista Folino ed il suo provvidenziale camioncino di Michele Maruca Miceli - Ricercatore storico

Giovambattista Folino nasce a Gizzeria il 03-08-1905 dal padre Antonio e dalla madre Michelina Ianchello. Frequenta le scuole dell’obbligo e inizia il suo primo lavoro giovanile al servizio della famiglia Trapuzzano di Santa Caterina. Ben presto dimostra attenzione e diligenza pertanto viene mandato, a carico dell’azienda , per un periodo di formazione presso l’officina Fiat di Tripodi di Nicastro con lo scopo di imparare il funzionamento del motore ed a tal fine all’età di 20 anni consegue la patente per la di guida mezzi a motore forse la prima o quantomeno fra le prime patenti di guida di Gizzeria, visto che questa del sig Giovambattista porta il nr. 200 della provincia di Catanzaro. Giovane appassionato dei motori, dotato di tanta buona volontà trova il suo primo lavoro come autista presso l’azienda Trapuzzano di Santa Caterina e ben presto diventa l’autista personale di don Vespasiano e del Commendatore avv. don Antonio, che con la gloriosa fiat 1500, giornalmente si recava in giro per la provincia per il disbrigo burocratico dei vari cantieri di opere pubbliche,dislocati nel lametino. Nel 1930 con l’arrivo della energia elettrica, il nostro Giovambattista assume l’incarico per conto della Compagnia Elettrica della Calabria, oggi trasformatasi in ENEL, di recarsi alla cabina di trasformazione del Timpone per accendere al tramonto e spegnere alle prime luci dell’alba la pubblica illuminazione delle vie del paese. Nel 1950 le esigenze della vita di Giovambattista cambiano, la sua famiglia cresce, con l’arrivo dei figli (Antonio ,Emilio, Gino,Angelina,Rosetta e Michele). Antonio ed Emilio affrontavano gli studi superiori che implicavano l’apporto di un’ entrata maggiore di risorse economiche, tali da convincere Giovambattista a lasciare il vecchio lavoro per dedicarsi in proprio all’attività di trasporto, a tal Lamezia e non solo

fine comprò un vecchio camioncino dal barone Nicotera ed aprì una bottega di generi alimentari in via Albania. Questo di Giovambattista fu veramente il primo mezzo a motore che trasportava derrate da Nicastro a Gizzeria. Ben presto Giovambattista col suo camioncino diventa un riferimento importante per il paese poiché si mise a disposizione di tutti calendarizzando a giorni alterni le necessità dei negozianti per rifornire le botteghe del paese di tutto ciò che serviva, generi alimentari ed altro, prelevandoli presso i negozi all’ingrosso di Nicastro (Lucibello, Scoppetta, Amatruda), per poi consegnarli ai negozi e agli artigiani del paese. Anche i contadini cercano di migliorare le loro condizioni, sostituendo dove si poteva, l’asino con il camion quale mezzo di trasporto per riportarsi a casa il frutto del loro sudore, come il grano e la paglia della trebbiatura, uve e mosti della vendemmia nonché i fichi secchi che in quegli

anni rappresentavano una grande risorsa per le persone che si dedicavano alla loro coltivazione. Era il periodo del dopo guerra che lentamente volgeva verso la ripresa. Molta gente attratta dalla voglia di dare una vita migliore ai propri figli emigra, come il nostro Giovambattsita Folino che nel 1963 lascerà Gizzeria per la nuova terra Canadese, portandosi dietro parte dei figli e con loro i loro sogni che presto vedrà realizzare. Alcuni figli rientrano e ritornano a Gizzeria altri sono rimasti nella loro patria di adozione dove vivono e sognano chissà quando di tornare a Gizzeria. Si ringraziano i figli ins. Emilio, Gino e la nipote ins. Maria Rosaria Folino per le foto e le notizie forniteci al fine di far conoscere una bella parte del passato del nostro amato paese.

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riflessioni

“CI SARA’ GIUSTIZIA FINALMENTE IN QUESTO MONDO! di Alberto Volpe Così il Renzo del lombardo Manzoni, nella sua opera letteraria più conosciuta. Ma il Renzo di allora, che tra la supplica e la minaccia invocava quel giudizio “giusto” sempre a discrezione dei “potenti” dell’epoca, non è poi tanto diversamente invocata dai cittadini come “premialità” dei nostri giorni. Il “caso Brusca” ce ne dà motivo per commentare le reazioni neppure che a quella liberazione sono seguite. Ebbene, non v’è chi, credente o meno in una religione, non abbia avuto un moto di indignazione per la scarcerazione del pluriomicida. Indignazione, forse in qualche modo mitigata dalla pubblicazione del video nel quale colui recita ed invoca un qualche perdono dai famigliari delle sue vittime omicide. E, sì, che non si è fermato il suo accanimento omicida e stragista dinanzi ad un dodicenne figlio di un pentito, non disdegnando di assicurargli una morte in un contenitore pieno di acido. Non che le altre vittime, fatte morire in vili ed atroci attentati siano meno rilevanti penalmente parlando. Con dei precedenti di siffatta gravità e crudeltà, certo che non si può pretendere dalla opinione pubblica, minimamente informata, una reazione demoralizzante per una condanna ed una pena di quella entità. “Ci voleva l’ergastolo, e fargli fare la fine di Riina”: questi i commenti più ascoltati e letti in questi giorni. Per un sistema giudiziario in di implosione, per come dimostrano i “veleni” delle varie componenti interne, certo che anche la Brusca rappresenta un altro duro colpo alla credibilità della istituzione GSM, vitale per una società democratica. E tuttavia, senza rievocare le strumentali categorie politiche che vogliono divisi i rappresentanti politici e

con essi i cittadini, tra giustizialisti e garantisti, come dire tra colpevolisti e innocentisti a priori, le regole e le leggi ,seppur sbagliate vanno rispettate. E nel nostro caso la scarcerazione del soggetto criminale risponde al requisito di aver scontato la pena a lui comminata. Quindi un fine pena previsto da un dispositivo di legge che era stato articolato ed approvato dal giudice Giovanni Falcone. E l e “premialità” carcerarie erano chiaramente previste nei confronti di quei pentiti che con le loro confessioni davano agli inquirenti elementi per penetrare nel sistema organigramma della malavita . E, dunque, sembra del tutto legittima la decisione del giudice di sorveglianza di scarcerare il pluriomicida. E, dunque, anche scontata per il legislatore che siede nel Parlamento italiano. E, dunque, è assolutamente ipocrita e populista quell’alzata di scudi con sconcerto e pure di indignazione dei soliti leaders politici in cerca solo di consenso mediatico, a prescindere dalla giustezza o meno delle loro prese di posizione nel merito. E nel caso specifico è proprio così, considerato che, alla luce del fatto in specie potevano intervenire per tempo ad apportare gli opportuni correttivi a quella stessa legge Falcone. Di che si scandalizzano ? Il cittadino non può intervenire. Ma la Politica con le sue riforme, sì. E non si strumentalizzino questi ultimi, sperando di cercare un consenso impossibile. Piuttosto quella casta cerchi di non approfittare di leggi e leggine ad personam per accreditarsi vitalizi che al cittadino onesto e al contribuente onesto è vietato anche sognare, pur dopo ben 40 anni di LAVORO.

Le perle di Ciccio Scalise

CHINI SA’ CRIDIA (Effettu dù Curonavirus) Chini sà cridia, cà ccù stà pandemia, u mumentu fhussi bbinutu, mù i guagliuni s’anu ricugliutu. Fhinu all’autru aiari, fhacianu i lirbiari, alla casa i vidiamu turnari, quandu ncignava ad’arbiari. Iari sira sunu ristati, alla casa, cumu cani vastunati, mà, si jiavu mù ccì parrati, rispundianu sè, mà ncazzati. U fhattu è cca a ggiuvintù, penza alli divertimenti e nnenti cchjiù, pag. 22

iu ccì vulessi ccitu citu ricurdari, a cchini ha ffattu anni i guerra senza mangiari. Certu u llù capisceranu, e mmali nì rispunderanu, miagliu è mu i lassamu stari, armenu, i vidimu ncasa girari. Nù niputi mia, chì ppì jjiuarni e jjiuarni un bbidia, ccù stù malanova ngiru un ccì và, e llà sira ncasa, ccù nnua stà. Puru a cchilli chi a nnissunu stavianu a ssintiri, u curunavirus, da paura, i sianzi ccià ffattu viniri. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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di Maria Palazzo Carissimi lettori, non sono, lo ammetto, una fan sfegatata, né abbagliata, di Raoul Bova. Eppure, leggendo il suo libro, LE REGOLE DELL’ACQUA, sono rimasta davvero incantata. Raoul Bova è tutto il contrario di quel che, di solito, definiamo un divo. Questo è ciò che me lo rende caro, pur non sopportando le schiere di fans impazzite, con gli occhi a cuoricino. Ho comprato il suo libro, quasi per sfida. Per scoprire il suo volto più vero. Adoro il mondo del cinema e della TV, ma mi piace scoprire il volto autentico di coloro che ne fanno parte: non mi piace fermarmi al fascino e alla bellezza. Neppure nella mia vita personale. Per dirla con Paul Newman, quando fu intervistato da Oriana Fallaci, la bellezza è il dono del buon Dio e dei nostri genitori, ma le vere doti sono altre… Sempre il grande Paul, continuava dicendo che ciò che a lui interessasse veramente, era essere apprezzato per il suo lavoro e per la sua forza d’animo… Ebbene, quanto a forza d’animo, Raoul Bova, ne ha da vendere. Dal suo libro, vien fuori un uomo coraggioso, per quanto sensibile. Un uomo per il quale nulla è risultato scontato. Un uomo enigmatico, non facile da comprendere e lontano dai riflettori, come nessun altro. Spesso, di chi è bello, tendiamo a pensare che sia anche fortunato. Specie in Italia, l’Arte ci ha formati, nell’essere quanto mai attratti dalla bellezza. Più di altri popoli, noi italiani, sappiamo distinguerla come dono e, spesso, ne siamo abbagliati, perdendo di vista il resto. E Raoul Bova è una bellezza statuaria, è impossibile non restare stregati dal suo fascino… Ma, a dire il vero, ho sempre cercato qualcosa di più del suo volto e della sua figura insostituibile. Mi sembra troppo scontato che, di un uomo bello, non si debbano scoprire tanti altri pregi… E così, ecco la sfida: la ricerca di ciò che è in ombra, il far affiorare le qualità, anche da una bellezza suprema che ci tenta di restare immobili, fissi presso un bel volto… LE REGOLE DELL’ACQUA è quasi un diario. E’ un intimo dialogo dell’autore con se stesso, un modo di far emergere dal fondo, come dal suo mare natìo, tutte le emozioni più vere. E’ come un canto, verso i ricordi, verso l’infanzia, la terra delle origini, gli affetti che contano di più. Mi sono oltremodo stupita nel notare un amore intimo, felice e ricambiato, per la Calabria. Nelle sue descrizioni del mare nostrum, ho ritrovato tutto ciò che la calabra terra fa nascere nei cuori di noi autoctoni. Quei momenti semplici, quegli attimi che il mare rende unici e quella voglia di immenso, a cui noi calabri aspiriamo, quasi mai raggiungibile, che ci fa sentire piccoli e, al tempo stesso, grandi… Di fronte al mare, l’autore si sente parte di un tutto. E il rispetto delle regole che l’acqua impone, non si fermano alla distesa azzurra, a lui e a noi tanto cara, ma si estendono a tutta la vita, formando l’individuo. Sorridendo, ho rivissuto io stessa i momenti dell’infanzia, di mia madre che ci preparava il panino, i profumi dei nostri pomodori e dell’origano, che un tempo odiavo e che ora mangio persino a crudo, inondando l’insalata… “Mi sembra quasi di essere ancora lì, sulla spiaggia di Roccella. Mia madre sotto l’ombrellone bagna la fresella con l’acqua di mare che le ho raccolto apposta nel secchiello, per ammorbidirla e insaporirla. La condisce con l’olio che si è portata dietro in una bottiglietta, pomodori e origano calabresre: il mio spuntino preferito. Mio padre, sul bagnasciuga, si gode rilassato il massaggio tonificante delle onde…” (Cfr. pag. 72). E’ di una tale poesia, per noi calabri, tutto questo, tanto che sono grata a Raoul Bova, per aver usato anche le semplici parole che noi usiamo, senza filtri: quella parola chiave: bagnasciuga, che anche mio Lamezia e non solo

padre usava sempre, quando amava rilassarsi, a riva, spesso tenendo noi figli tra le sue braccia… E gli sono grata, per un altro bellissimo passo, a pag. 141: “In una ventosa giornata di inizio marzo sono tornato a Roccella, il paese di mio padre, per una piccola cerimonia commemorativa con cui ricordarlo nella sua terra, quella che mi aveva insegnato ad amare da bambino e a cui lui stesso era rimasto legato, pur essendone stato lontano per gran parte della sua vita. La messa si sarebbe tenuta prima di pranzo, ma io mi sono svegliato molto presto e ho sentito subito la necessità di uscire, per vedere il mare e respirarne il profumo a pieni polmoni. Mi sono incamminato lungo la spiaggia di sassolini in cui avevo trascorso per anni l’estate e i ricordi mi hanno sommerso come una valanga di emozioni e sensazioni legate all’infanzia. Era lì che mio padre mi aveva salvato, quando da piccolo stavo per annegare, era quello il mare in cui mi immergevo, a caccia di piattelli e tra quei ciottoli avevo passato le ore a rovistare, alla ricerca di “pietre preziose”. E’ stato come aprire un cassetto pieno di vecchie foto e lasciarmele scorrere davanti, una dopo l’altra, senza un ordine preciso, se non quello dettato dal rifluire delle emozioni. Alla fine sono arrivato fino al cimitero, in cui sono sepolti i miei nonni, l’uno accanto all’altra, e in silenzio ho affidato loro mio padre, chiedendo di accorglierlo di nuovo in un abbraccio. E’ stato questo il momento in cui ho sentito di avergli detto veramente addio. Ho ripreso a camminare, lentamente, verso la spiaggia da cui ero arrivato. Il mare era scuro, un po’ mosso, ben diverso dalla distesa piatta, di un azzurro intenso, di quando venivamo qui, per le vacanze, ad agosto. Ho raccolto un ramoscello di mimosa da un albero già fiorito, lì, a due passi dalla spiaggia, poi sono tornato sul bagnasciuga a sedermi. Faceva freddo e delle nuvole nere minacciavano pioggia all’orizzonte, ma a un certo punto ho sentito l’impulso irresistibile di farmi una nuotata e mi sono tuffato. L’acqua era gelida, ma tutto quel freddo mi è servito a buttare fuori fisicamente il dolore che mi portavo dentro, ormai da tempo. Le lacrime si sono mischiate con il sale del mare e a un certo punto mi sono fermato a galleggiare con quel ramoscello di mimosa ancora stretto in mano, mentre il mio respiro si calmava e il mare mi restituiva serenità ed energia. E’ stato allora che tra le nuvole si è fatto strada un raggio di sole, un tangibile segno di speranza e di rinascita. Ho schiuso il pugno e lasciato andare la mimosa, consegnando al mare il ricordo di mio padre perché lo portasse con sé e sperimentando finalmente un senso di pace interiore che non provavo da tempo.”. Ma non sono solo questi, i brani significativi. Tutto il racconto, corroborato dall’uso diretto della prima persona, è pieno di magia e di quella poesia che scalda il cuore, che parla di valore e di forza che non si arrende. Non nascondo che, il colore stesso del cartonato che avvolge il libro, azzurro come l’acqua marina, contribuisce al perdersi nell’immagine della Natura e io ho persino trovato un segnalibro, bianco e azzurro, con il disegno di bollicine d’acqua. A dimostrazione del fatto che tutto, nella vita, sia collegato… Buona lettura. Questa volta, amenissima, immersi nell’azzurro dell’acqua e delle sue regole, tanto simile all’azzurro che Raoul Bova racchiude anche nel suo sguardo e nei suoi occhi.

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scuola

PREMIO DARIO GALLI 2ª Edizione di Annamaria Davoli

Si è svolta venerdì 5 giugno a Lamezia Terme, nello spazio all’aperto presso la sede di Grafichè Editore, in Via Del Progresso, la presentazione della 2ª edizione del Concorso Letterario Nazionale Dario Galli e la proclamazione del vincitore Angelo Coco col suo Notturno veneziano. Sono intervenuti, oltre a Coco, Laura Calderini vincitrice della precedente edizione, l’Accademia di Albino Cuda, lo stilista Anton Giulio Grande, il Presidente della giuria Italo Leone, il Magistrato Doris Lo Moro, l’avvocato Paolo Mascaro, l’editore Antonio Perri, da, la

giornalista Maria Scaramuzzino. In questo biennio l’iniziativa realizzata da Grafichè della famiglia Perri ha riscosso esito favorevole. Nella Fragale ha aperto l’incontro salutando e ringraziando gli ospiti e i presenti. L’Accademia di Albino Cuda ha iniziato la serata con un intervento musicale e la giornalista M. Scaramuzzino ha coordinato i numerosi interventi. Il prof. Italo Leone ha esposto che ciò che ha indotto la giuria a scegliere tale opera è stata l’atmosfera surreale di alcuni capitoli; ha inoltre fatto presente che la giuria ha esaminato 180 opere in concorso tra cui poesie, racconti, sillogi, ritenendo opporpag. 24

tuno insieme a Grafiché, scegliere alcune tra queste, riunendole in un’antologia dal titolo Letteratura del terzo millennio, temi e stilemi. Oltre ad angelo Coco sono giunti in finale: Rossana Cilli, Rocco Giuseppe Greco, Daniela Trovato. Gli autori scelti, le cui opere fanno parte dell’antologia sono: Giovanni Malambrì, Gregorio Viglialoro, Antonello Scasseddu, Gloria Venturini, Francesco Brusò, Giovanni Maria Pedrani. Nella sede era stata allestita una mostra dedicata a Dario

riconoscimenti dai presidenti della Repubblica Italiana G. Gronchi, A. Segni e da istituzioni culturali italiane e straniere. Egli frequentava ambienti culturali e conosceva poeti ed autori come Salvatore Quasimodo e Pier Paolo Pasolini. Egli dedicò la propria vita alla famiglia e alla patria della quale fu un nobile difensore e partecipò anche alla Guerra di Spagna, dove iniziò a scrivere alcune liriche. Tra il 50’ e il 60’ collaborò con Calabria Letteraria. Fu nominato Cavaliere della Repubblica dal Presidente G. Gronchi. Donatella Galli dopo aver ringraziato Grafiché Editore, ha espresso il desidero che si possa intitolare una piazza della città di Lamezia a suo padre. Il vincitore Angelo Coco, soddisfatto per il primo premio, ha espresso il parere che sarebbe utile far conoscere il poeta Dario Galli anche e soprattutto nelle scuole e che sarebbe utile valorizzare e proporre in modo adeguato le nostre risorse culturali. L’ Avv. Paolo Mascaro è intervenuto sostenendo l’importanza della cultura che potrà essere sempre un sostegno per la città. Il magistrato Doris Lo Moro ringraziando Nella Fragale, sostenendo anch’ella il valore della cultura, ha puntualizzato che le intitolazioni non devono essere personalizzate, ma ad esse dev’esser dato un significato ben preciso.

Galli, per onorare il letterato e poeta lametino. L’iniziativa è stata realizzata grazie alla collaborazione della figlia Donatella, presente all’incontro. Donatella Galli ha reso noto che il padre è stato insignito di numerosi GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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