Lameziaenonsolo giugno 2022 i vacantusi

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Lamezia e non solo


teatro

Vacantiandu 2022.

Sabrina Pugliese è “Mamè” Un canto alla Calabria di Angelica Artemisia Pedatella

Mamè è uno spettacolo visionario e suggestivo andato in scena al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme nell’ambito della stagione teatrale Vacantiandu 2022 ideata da I Vacantusi, con la direzione artistica di Nico Morelli e Diego Ruiz e quella amministrativa di Walter Vasta, e realizzata in collaborazione con FITA e con il sostegno della Regione Calabria. Lo spettacolo, scritto e diretto dalla scrittrice/attrice/regista Angelica Artemisia Pedatella ha come interpreti Sabrina Pugliese, Massimo Rotundo, Angelica Artemisia Pedatella, Fausta Toscano, Giada Guzzo e Raphael Burgo. Le musiche dal vivo sono eseguite dal M° Daniel Melaragno (fisarmonica). Lo spettacolo è una co-produzione Compagnia teatrale Ba17 e Compagnia teatrale I Vacantusi. Mamè è un canto alla Calabria che l’autrice dedica alla sua terra come “festa del ritorno” andando alle origini della sua storia e costruendo uno spettacolo in cui narrazione, immagini, musica, canto e danza si miscelano dando origine ad un esito teatrale di grande fascinazione laddove il percorso drammaturgico svela una sua dinamica “sensoriale” che amplifica il livello di comunicazione e di discorso scenico. Sul palco solo pochi elementi: lo scheletro di una barca a ricordo dei tanti naufragi sulle coste di Calabria, una linea di tulle sul proscenio a simulare il mare e le quinte che diventano uno schermo che avvolge l’intero perimetro scenico e sul quale si susseguono immagini senza soluzione di continuità che incalzano e smaterializzano la fisicità dei corpi degli attori risucchiandoli come in vortice. Le immagini mostrano il rapporto controverso tra l’uomo e la natura con montagne Lamezia e non solo

invalicabili e mari procellosi. Una natura di morte, ostacolo all’esistenza umana, nemico con cui confrontarsi per meglio conoscere la natura umana si alterna a sequenze panoramiche che descrivono la natura come meraviglia, da rispettare e amare come “compagna di vita”. La regista Pedatella coniuga con grande finezza la sua filosofia naturalista in cui anche l’uomo è

particella di quel congegno affascinante che è il mondo naturale-materiale. Quindi, la natura come cultura e l’idea dell’Arte come legame tra culture diverse. Attraverso la scelta delle immagini - che trascendono lo spazio dell’indagine accademica - il suo sguardo lucido di artista offre allo spettatore la possibilità di riscoprire lo “stupore” di una Calabria diversa attraverso un messaggio di pace, di amore e di speranza. In questa mitologia della “terra carnale” i personaggi si muovono in una dimensione storica perduta, arcaica. Il ruolo di Mamè è affidato ad una vibrante Sabrina Pugliese, in sorvegliatissima interpretazione. Mamè è madre e matrigna, è voce della terra, grembo che accoglie e bocca che divora. Reificata in una roccia, avvolta in un abi-

di Giovanna Villella

to tridimensionale, materico che evoca la sensazione tattile delle asperità della pietra, sapientemente realizzato da Silvana Esposito che firma tutti i costumi e la scenografia, Sabrina/Mamè è immobile, tetra, statuaria. Si ode solo la sua voce che sembra scaturire dalle viscere della terra. Ai suoi piedi le tre Sirene Leucosia, Ligea e Partenope. Con le braccia disegnano un ritmico, aggraziato, movimento d’ali, a ricordare che queste creature - nella tradizione greca - sono uccelli dal volto di fanciulla e dalla voce melodiosa. Ad interloquire con loro un marinaio, interpretato da un ottimo Massimo Rotundo, la cui cifra attoriale improntata ad una vis tragica si traduce, anche, in forza fisica. Naufragato su questo tratto di costa, egli intrattiene con le Sirene un dialogo serrato fatto di dubbi inquietanti e misteriosi, di allusioni e verità bifronti, di storie tritate dalla memoria. E partendo dalla loro narrazione si compie un viaggio à rebours nella natura, nella storia e nei miti di una regione in cui le culture si sono stratificate. Storie antichissime di un Mediterraneo dominato da greci, egizi, etruschi e poi da pirati e altre civiltà perdute. Un luogo antropogeografico in cui l’ospitalità è ancora sacra. Una terra che ha visto la strage di Pentedattilo e il vino di Palizzi, la dolcissima lingua greca padrona per molti secoli, la regina armena senza nome vissuta a Bova, l’insigne Pitagora che ascoltò la musica dei cieli e la rielaborò per la terra, gli occitani venuti dalle Alpi in cerca di libertà, la strage dei valdesi di Calabria a Guardia Piemontese nel 1561, il popolo arbëreshë, l’antico rito della quaresima durante il quale una bambola rivestita di pezze veniva bruciata e le

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ceneri buttate al vento. Una storia di paure e vessazioni, di fughe e ritorni, di conquiste e abbandoni di cui

il marinaio senza identità diventa il simbolo di una nuova narrazione. Perché, in realtà, nulla è fermo nella parabola che profila questa ispirazione di secoli. Così Mamè, immota roccia sacramentale, riportata nella sua nudità/origine come farfalla emersa dalla crisalide di dantesca memo-

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ria, si scopre omologa all’animus del marinaio senza patria che ritrova la sua “terra”. Non paesaggio, madre terra, ninfa di boschi o di acque ma terra umana, molle, soave, tenera e dura quanto basta affinché egli vi si possa, finalmente, posare e riposare. Lunghi spazi sono concessi alla parte musicale eseguita, con grande abilità creativa e tecnica, dal M° Daniel Melaragno che ha saputo realizzare ampie architetture sonore con l’ausilio di un unico strumento: la fisar-

monica e alle suggestive canzoni in lingua grecanica, occitana, arbëreshë e dialetto calabrese, affidate alla voce carezzevole di Fausta Toscano. Laddove la traccia seguita dai danzatori, Giada Guzzo e Raphael Burgo, va dalle linee morbide e flessuose che richiamano le onde marine e le creatu-

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re docili e integrate di una natura madre e rifugio, a ritmi di danza e di vita spezzati, meccanici, spietati fino alla riconquista di una dolcezza che riporta equilibri ormai persi e insperati. Lunghi applausi per tutti. Al termine dello spettacolo, l’omaggio della tradizionale maschera, simbolo della rassegna Vacantiandu ideata dal graphic designer Alessandro Cavaliere e realizzata dal maestro Raffaele Fresca, che il direttore artistico Nico Morelli e il direttore amministrativo Walter Vasta, introdotti da Patrizia Anania, hanno consegnato ad Angelica Artemisia Pedatella. Sabrina Pugliese, attrice della Compagnia teatrale i Vacantusi di Lamezia Terme, ha una lunga carriera di teatro amatoriale durante la quale ha sempre interpretato ruoli brillanti. Il nuovo percorso artistico iniziato nel 2020 con Angelica Artemisia Pedatella e la Compagnia teatrale BA17 ha portato alla luce una sua cifra attoriale più intimistica che Sabrina Pugliese aveva avuto modo di sperimentare con la mise en espace di Inno alla vita, firmandone ideazione e regia. La storia teatrale di Sabrina Pugliese è un crescendo. Donna volitiva e animata da un continuo desiderio di vedere, sapere, provare nuove esperienze, cercare nuovi stimoli è riuscita a trovare una sua dimensione interpretativa che riesce ad esaltare le sue corde più profonde e drammatiche ma senza dimenticare la grande lezione del teatro comico/brillante in cui riesce, comunque, ad eccellere profondendo una insospettata resistenza fisica, una grande agilità di movimento e una incisiva presenza scenica. Recentemente ha intensificato la sua attività di organizzatrice di eventi, lavoro che svolge con impegno, passione e cura dei dettagli. Lamezia e non solo


cultura

Quella povera rosa in un bicchiere

di Franca Maria Mete

Il 14 aprile, è stata ricordata la morte di Franco Costabile (solo una coincidenza!), ha tratto da una Costabile nel 1965, la cui vita mai appassisce grazie storia vera la trama : Rosa, la protagonista, è una alle sue poesie. In quegli anni tragici c’è stato chi giovane donna di ‘Ndrangheta che alza la testa, si ha voluto vederci la Calabria in quella “Rosa nel ribella, rompe gli schemi, squarcia il silenzio con una bicchiere”, e nel bozzetto con cui l’amico Enotrio forza uguale ed opposta a quella dei suoi aguzzini. volle omaggiare la pubblicazione del libro. Una Per il ruolo di Rosa è stata scelta Lina Siciliano, “povera” rosa in un “povero” bicchiere. Una rosa, dalla forte bellezza mediterranea, per la prima volta semplicemente bellissima. Spinosa! Ineffabile. Noi sul set. Strepitosa interprete, passionaria, che lascia figli di questa Calabria struggente e dolente, siamo impresso il messaggio: solo le donne possono consapevoli della radicalità immutabile, che ci lega a rovesciare il sistema guasto. Non vi “spoilero” il film questa Terra , siamo fatalmente collegati ai suoi arcani. ma ne consiglio la visione perché scruta la coscienza Questa Calabria che porta nel nome la quintessenza collettiva di una calabresità impaludata da secoli di di bellezza: nome e destino. Nemesi di un territorio malgoverno , ma soprattutto perché ne fa emergere storicamente depredato, colonizzato, battuto dai venti i punti di forza. Concludo con una frase, del film e e dal sole cocente. Si resta ammaliati dalla Calabria, nostra che può, a mio avviso, essere il fulcro/leva del da questa “rosa” che ipnotizza, intriga, attrae con la cambiamento: TUTTA QUESTA BELLEZZA NON sua forza selvaggia ma resta imprendibile: rosa che CE LA MERITIAMO… non si coglie. Che ferisce. Che fieramente resiste ai paradossi storici. A Franco Costabile dopo Sintesi perfetta “Via degli ulivi” fu contestato un certo lirismo immobile e retorico: di essere solo un manifesto! Come se la poesia, o altre forme d’arte, Nostra è Lamezia. un po’ in affanno debbano per forza essere armi da Riguardo e appartenenza. quando c’è troppo caldo. imbracciare per fare la rivoluzione! È noi . Ventagli variopinti Ogni rivoluzione nasce dalla lucida Sintesi perfetta. logistiche ordinate visione di uno, o di pochi ma finisce Sambiase il buon ritorno pianamente descrivibile. col risuonare della forza collettiva da bambina Tratto in collina che la sottende! La Calabria stessa visionaria e felice. Caronte di acque. chiama i suoi figli all’appello, ci Voci e volti Sulfurea bellezza tra querce e richiama e ci reclama! Noi calabresi, fantasmi di un vicinato castagni. che torniamo regolarmente ma non dell’altro secolo. Noi siamo Lamezia: ne viviamo la quotidianità, della È Nicastro perfetta parte Calabria amiamo tutto! Siamo corso e magnificenza: di perfetta sintesi: consapevoli di portare ovunque Liceo e Chiesa uniti: voli spiccati lo spirito indomito che è nella mie orazioni quotidiane. tra terra nostra natura, consustanziale con Linee montane acqua la nostra Terra. Sempre in questi cieli di cattedrale e cielo. giorni di aprile ho avuto l’occasione ampi respiri verso la salita! Franca Maria Mete di andare a vedere, con mio figlio Santa Eufemia poi cinefilo, un film che racconta la verdeggiante vecchia signora Calabria della ‘Ndrangheta: UNA FEMMINA. Il regista, Francesco Lamezia e non solo GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844 pag. 5


recensioni

Come il pane di Luciana Parlati

di Filippo D’Andrea

Voglio parlare del volume di liriche “Come il pane. Poesie d’altrove”. Incomincio col dire che tra le varie poesie più volte lette e rilette e … assaporate, avvertendo in esse il profumo di ricordi mai sopiti, scavati, direi poi riscoperti dal profondo del cuore, mi ha particolarmente colpito una strofa di una poesia: “Come il pane fumante ancora maneggiavo la mia speranza sui tumulti della mia gioventù, e “l’ultimo sogno eterno mi vince” (p. 459), verso che poi ha dato il titolo alla lirica. Ritorna quindi il riferimento al pane che già in “divina innocenza” …. Il tuo sguardo virgineo “sul passato pane”, ti riporta, caro Filippo, alla infanzia. Ma perché il titolo che dai al libro “Come il pane”? E già la copertina del volume è indicativa: Su uno scuro fondo brunito, offuscato, che ci riporta al calore di un camino acceso o di un antico forno a carbone domestico, spicca la vista di una seggiola, certamente di antica foggia, forse consunta nella sua sottesa paglia intrecciata, ma sulla quale, con amorevole orgoglio è appoggiato un telo impreziosito da un tessuto ricamato a mano, a tratti trasparente, illuminato da una luce che colpisce con il suo bagliore cosa? Una invitante, genuina, profumata, golosa pagnotta, probabilmente da poco sfornata e appoggiata sul sedile… come una regina posta su un trono domestico. Tutto ciò richiama a varie riflessioni. Conosco Filippo da tempo e mi ha concesso il privilegio, ancora una volta, di scandagliare nel tuo vissuto che è sempre un tesoro da scoprire. Dunque il pane… soprattutto il pane… quel pane del passato che ritorna nelle tue liriche rimandandoci nostalgicamente ad un vissuto adolescenziale, fatto di sofferenza, ma ance di speranza, di volenterosa, caparbia ricerca in un Altrove futuro in cui trovare piena realizzazione. Ma ecco che si intravede un Altrove vicino, misterioso, intimo; appare a tratti, si nasconde, riempie come il naufrago da una tempesta, si accovaccia in uno spazio ristretto e celato dell’animo e che, attraverso la poesia, necessaria come il pane, impetuosamente sgorga come lacrima purificatrice a “niagarico pianto”, “zampillo di preghiera” a vivificare il deserto del cuore. E non è solo la poesia che si legge, ma è la musica che ti e ci accompagna, pur in un silenzio religioso, la musica “che versa profumata malinconia” sulla battente chitarra insieme alla visione onirica di una natura fiorita e colorata che accomuna i garofani rossi del balcone sambiasino ai fiori lontani del terrazzo australiano. E si respira l’aria intorno che effonde profumo di origano, finocchi e menta, che inebria non solo i tuoi sensi, ma coinvolge anche chi ti legge in un proustiano ricordo al passato. Mi sembra quindi che il tema del pane, con tutto ciò che esso significa, come essenza di vita, frutto di sacrificio, intriso di dolore ed amore, ma anche fonte di speranza, stimolo di

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ricerca e di riappropriazione del sacro, del puro, dell’autentico, sia il motivo conduttore del testo. Il pensiero, il ricordo del pane fumante che scalda le mani “che parlavano d’anima” si ricollega ad un altrove conosciuto, ma lontano nel tempo (della adolescenza e della prima giovinezza), eppure presente nei ricordi, ma l’altrove di un tempo si riuniva nella ricerca di un “agognato impossibile approdo”. E quindi si avverte il senso della precarietà pur nella malia fascinosa della natura con i suoi colori, profumi, visioni lunari, si avverte il senso di incompiutezza, la percezioni di un “inconcluso” cuore. Ma ecco che, pur in questo vagabondo errare dal passato al presente, dal concreto all’astratto, dal reale al fantasiosi, una meta vicina si intravede ed è la conquista di un “eros soffuso” che pudicamente esplode (ossimoro) e il turbinio dei sentimenti ti avvolge in una bolla di “agognata felicità”. Man mano che si procede nella lettura delle tue liriche, ci si accorge che, attraverso lo scavo che tu operi nel tuo profondo, vien quasi una eccezionale scoperta del tuo Altrove intimo che ritengo sia la parte più nuova e significativa di questa tua raccolta. Mi riferisco a quella inusuale, ardita manifesta rima di svelamento di teso stesso nel momento in cui scopri, anche se tardi, naturalmente tardi, che misteriosamente un nuovo sentimento scuote le tue fibre più riposte, completandoti nella tua umanità, dopo avere per tanto tento tempro “respirato sogni e coraggio”. Mi rinfresco alle tue poesie “I fiori della carne” (p. 26), “Dolce mi sorridi” (p. 28), “Come tralcio ti avvinghi” (p. 23). Mi piace proporvele perché insieme possiamo renderci conto di come traspaia in esse un “eros soffuso” che vivifica il presente pur nel ricordo di un tempo che fu. Mi domando: “E’ questo l’Altrove dell’oggi? Forse cercandolo intorno a noi, non ci accorgiamo che lo conserviamo dentro di noi come il sapore della vita. Per il momento magico c’è stato. Un alto diverso “Altrove” si è rivelato. E poi? … poi tutto ritorna (si fa per dire) una normalità. La parentesi si chiude o si chiuderà come i petali dei fiori della sera che si ripiegano teneramente al sopraggiungere del buio, custodendo come in uno scrigno segreto il cuore e il profumo del fiore. Ed ecco appare in successive liriche, evanescente, perlacea, immortale nel suo peregrinare lunare lei, Elvy, la compagna della vita, con il suo cuore silente, donna, moglie, madre, amica, soffusa da un nembo di sacralità purificatrice. Leggo quindi la lirica in cui si sublima la figura e la concezione della madre. (p. 52). E per finire ancora il ricordo dolcissimo della madre in una lirica dedicata ai genitori per il loro 65° anniversario di matrimonio. “E le mani che parlavano d’anima”, non sono altro che quelle stesse mani miracolose (p. 59) che con amore, forza e vigore impastavano la farina per la fattura di quel pane antico, intriso di dolore, amore e speranza che viene rappresentato sulla immagine della copertina.

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il salotto di piera messinese

Donna sei nata libera

Mi sono spogliata di tutte quelle mie vite strappate alle attese, ai dubbi, alle incertezze e ho restituito loro la dignità negata. Le ho lasciate libere di appartenermi senza più farmi male. Felicità significava anche guarire da un dolore che non esitava a stare col fiato sul mio collo. Niente più compromessi, niente soluzioni intermittenti, né pause né riflessioni né ripensamenti. Niente più inseguimenti disperati, niente colpi di testa. Non farò nulla che possa togliermi il sorriso. Voglio guardarmi senza nascondermi, senza mendicare attenzioni. Voglio che mi si accetti per ciò che sono dentro e fuori. Nessuno deve calpestare più i miei limiti e neppure mettere in cattiva luce i miei pregi. Da questo momento in poi ci sarò io al centro del mio mondo. Non mi interessa affatto barattare la mia serenità con i

La dignità di una donna Le donne sanno riconoscere il momento giusto, quello in cui bisogna chiudere la porta, sbarrarla e, per sicurezza, buttare pure la chiave fuori dalla finestra senza alcuna possibilità di recuperarla. Mostrano grande determinazione e coraggio. Dignitose nella sofferenza, raccolgono tutte le energie residue e scendono in campo per il round finale. Le decisioni sono il risultato di attente e spesso dolorose riflessioni che non sono quasi mai affidate all’improvvisazione. Non c’è spazio né per abbandoni nostalgici né per rimpianti né per rimorsi né per recuperi in zona Cesarini... Il dado è tratto. In definitiva le donne sanno tenersi ciò che desiderano, per allontanarsi da ciò che ha perso dinnanzi ai loro occhi valore, credibilità ed essenza. La donna ha la consapevolezza che in alcune situazioni esiste un luogo fisico del non ritorno e che, per salvaguardare la propria dignità, è opportuno mettere un punto fermo.

fantasmi del passato, con tutte quelle situazioni in cui il pressappochismo sentimentale governa indisturbato, in cui devo confrontarmi con realtà che si trovano distanti anni luce dal mio modo di essere. Non rinnego nulla di ciò che ho fatto, di ciò che sono stata e sono tuttora. Ho solo passato al setaccio tante cose. Adesso sono consapevole di ciò che è necessario rimanga e di ciò che è opportuno debba trovare al più presto una via di fuga. Ho perso troppo tempo lasciandomi vivere. Non sopporto più che attorno a me ci siano registi, attori, comparse. Adesso voglio essere io a condurre la mia vita. Lamezia e non solo

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cara scuola ti scrivo

Irene De Pace. .. studentessa in Arkansas.

Era il lontano settembre 2010 quando, dall’insostituibile Dirigente Albino Cuda, mi venne affidata la classe prima C della scuola primaria da lui diretta. Nell’ istante in cui una maestra prende in carico una classe prima è sempre un tripudio di emozioni oltre che un importante carico di lavoro. Erano circa 20 piccoli bambini pronti ad iniziare insieme a me una meravigliosa avventura. Quanti ricordi! Spesso mi capita di sfogliare vecchie foto e allora diventa ancora più facile rivivere alcuni momenti. Dalla festa di carnevale alla marcialonga, dalle uscite didattiche ai saluti di fine anno. Tutto racchiuso in un misto di felicità e commozione. E poi c’era lei... Irene. De Pace Irene... così recitava l’elenco alfabetico del registro. Quando sollevai gli occhi per guardare bene a chi corrispondesse quel nome vidi una dolce bimbetta. Capelli ricciolini, mora, occhi scuri e sguardo profondo. Piano piano iniziò ad uscire fuori l’alunna che ogni maestra desidera incontrare nel suo percorso. Educata, rispettosa delle regole, desiderosa di non perdere mai neanche un attimo della vita scolastica. Però quel corpicino esile nascondeva dentro già i primi segni di un futuro di successo. pag. 8

di Daniela Magnone

Quegli occhioni neri che si nutrivano di ogni esperienza e di ogni sapere sono gli stessi che ho rivisto qualche giorno fa sul volto però di una ormai donna. “Irene ha conseguito il diploma in Arkansas”queste le parole di accompagnamento alla foto che la sua mamma ha voluto condividere con me. Che gioia immensa! E quanto orgoglio nel mio petto! Io sono stata la maestra di Irene! Irene è stata una mia alunna! E quel legame speciale che la univa a me già da allora permane ancora oggi, con modalità differenti ma l’affetto è sempre uguale e reciproco. E così la mia Irene, con la valigia in mano, ha lasciato la Calabria ed è arrivata in USA (Cotter High School) e lì si è fatta strada dimostrandosi all’altezza di eccellere in svariate materie: Senior english, precalculus, Food Safety and Nutrition, American History... La curiosità dei suoi occhi e la capacità di meravigliarsi innanzi anche alle cose più semplici si sono trasformate oggi in grinta, motivazione, competenze e voglia di oltrepassare i confini dell’usuale e dello scontato. È un percorso questo di Irene, iniziato Già all’età di 12 anni quando partì per Edimburgo e poi per l’Inghilterra, New York... fino ad arrivare ad oggi. Il mio augurio è di poter scrivere altre 10000 pagine come questa per Irene e per tutti i miei alunni, quelli del passato, gli attuali e quelli che vorranno venire. E agli alunni della mitica prima c dico: “Vi aspetto tutti per potervi riabbracciare e per potervi trasmettere l’amore che la vostra maestra custodisce nel suo cuore per ciascuno di voi!”. Con tutto l’amore che ho... maestra Daniela

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eventi IL SABATO DEL VILLAGGIO OSSEQUIA GIACOMO LEOPARDI di Annamaria Davoli ma inganno. Secondo il Leopardi l’infinito non esiste; esso infatti è qualcosa che noi stessi creiamo, cioè un inganno che facciamo a noi stessi quando non vogliamo essere posti di fronte al nulla. L’infinito esprime il declino dell’entusiasmo, l’angoscia che si prova nell’istante in cui si sente il nulla. Le tre parole chiave nelle opere leopardiane sono: cercare, amare, sperare. Egli nel dramma riconosce un’unica salvezza, ossia l’amore e questo lo esprime nelle Operette Morali. L’unica fonte di vita è incontrare l’amore. Egli l’incontrerà, però non sarà corrisposto, quindi non sarà vissuto, bensì ostacolato. Le tre parole chiave nelle opere leopardiane sono: cercare, amare, sperare. Egli nel dramma riconosce un’unica salvezza, ossia l’amore e questo lo esprime nelle Operette Morali. L’unica fonte di vita è incontrare l’amore. Egli l’incontrerà, però non sarà corrisposto, quindi non sarà vissuto, bensì ostacolato. Leopardi sostiene che esiste un’unica goccia di salvezza che non Si è svolto il 14 maggio il terzo appuntamento con il Sabato del Villaggio, Rassegna culturale ideata e diretta dal Prof. Raffaele Gaetano che, invitando di volta in volta illustri ospiti depositari di grande cultura ad approfondire temi e personaggi anch’essi di elevata qualità culturale, attrae un cospicuo gruppo di lametini che amano ritrovarsi puntualmente a questo incontro. Ospiti della serata sono state l’insigne prof.ssa Fabiana Cacciapuoti, studiosa della poesia Leopardiana e Olimpia Leopardi, discendente dell’illustre poeta. La prof.ssa Cacciapuoti ha sostenuto che Giacomo Leopardi è stato definito da molti studiosi uno dei più grandi filosofi dell’Occidente per la sua ironia mista a tragicità. Tipico del poeta è il tema delle illusioni che lo accompagneranno per tutta la vita. Egli non le valuta come un inganno, bensì delle virtù, soprattutto in un mondo pieno di egoismo. In questo Leopardi appare molto attuale. Per quel che riguarda la poesia La Ginestra , questo fiore per il poeta è un’illusione che permette di vivere, proprio per poter dare un senso alla vita, in quanto essa cresce perfino sulla lava; è un fiore che dà profumo al deserto e non si oppone al destino. L’illusione inoltre, secondo il poeta, è biologica, perché proprio quando l’uomo è disperato nasce la speranza. L’estetica leopardiana è fondata sull’illusione che non è il nulla: L’infinito infatti, non è illusione

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abbandonerà mai l’uomo, in quanto espressione della natura, quindi tutte le sue espressioni ed emozioni sono naturali. Se, come sosteneva il poeta, viviamo in un mondo moderno, l’amore diviene mentale e spirituale. Per quel che riguarda la natura secondo il poeta vi è una contraddizione in essa, quando riconosce l’infelicità negli uomini che soffrono. La natura crea e distrugge l’individuo, ma non l’esistenza. Soltanto se esiste l’armonia con la natura possono esistere per il poeta momenti di felicità, anche se egli vede nella civiltà l’egoismo e la diffidenza. Leopardi invitava a soffrire per sentire la vita. Si prefiggeva e inviava a inseguire come meta il ‘sentire’ e non ‘l’utile’ . Sinteticamente il messaggio leopardiano è vivere le proprie emozioni in pieno, altrimenti non si vivrebbe intensamente la propria vita. L’incontro ha riscosso il meritato successo e i presenti, numerosi in sala, hanno accolto con ripetuti applausi ogni intervento.

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PORTO TURISTICO LAMEZIA: Incontro al Ministero delle Infrastrutture promosso dalla Sen. Silvia Vono di Tullio Rispoli Il Sindaco di Lamezia Terme Paolo Mascaro ed il Presidente della Lameziaeuropa spa Leopoldo Chieffallo esprimono grande apprezzamento per l’importante e tempestivo incontro promosso dalla Sen. Silvia Vono sulla tematica del Progetto Waterfront e Porto Turistico di Lamezia svoltosi al Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile alla presenza del Prof. Giuseppe Catalano Coordinatore della Struttura Tecnica di Missione del Ministero. Nel corso dell’incontro la Sen. Silvia Vono Vice Presidente della 8^ Commissione Permanente Trasporti ed Infrastrutture del Senato ha evidenziato di aver voluto avviare una stretta collaborazione istituzionale con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile per consentire una velocizzazione dei tempi necessari per lo studio e la bonifica delle zone demaniali su cui prenderà vita l’hub turistico. Bonifica ambientale, reindustrializzazione e turismo di qualità rappresentano la chiave vincente per una visione comune di sviluppo che attraverso questo grande progetto di waterfront, interamente finanziato con risorse private, potrà portare a generare nuovi flussi di lavoro qualificato e di innovazione sociale. Un porto moderno, accogliente ed attrezzato per le sfide del turismo mondiale che parta da un miglioramento della viabilità interna e dalla bonifica di alcune aree del demanio attualmente caratterizzate da ecomostri, quale il pontile ex Sir, che nulla hanno a che vedere con l’immagine di una Calabria efficiente che si vuole rilanciare su cui anche la Regione, guidata dal Presidente Occhiuto, sta lavorando con grande impegno. Il Vicesindaco di Lamezia Terme Antonello Bevilacqua ed il Dirigente della Lameziaeuropa spa Tullio Rispoli hanno illustrato al Prof. Catalano il Protocollo d’Intesa promosso dalla Regione Calabria e sottoscritto nel 2019, il Masterplan di Sviluppo dell’area industriale di Lamezia Terme 2021 – 2027 e tutte le iniziative ed i progetti di intervento già avviati o in fase di definizione su cui da alcuni anni si sta lavorando in maniera condivisa con Istituzioni Regionali, Locali, Corap ed Investitori internazionali con l’obiettivo di rafforzare e qualificare la vocazione naturale dell’area, inserita con 351 ettari nella ZES Calabria, quale Polo Logistico, Turistico, Produttivo e di Servizi per l’intera Calabria. In particolare è stato illustrato il progetto waterfront e del nuovo porto turistico, interamente finanziato da privati attraverso fondi di investimento internazionali, che in stretta connessione con l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme può rappresentare un concreto strumento per il riposizionamento strategico di Lamezia e dell’area centrale della Calabria nell’ambito dello sviluppo regionale e del Mediterraneo. In tale ottica e vista la rilevanza pubblica del progetto è stata evidenziata l’importanza di poter inserire tale opera tra i progetti strategici per lo sviluppo del Mezzogiorno del Ministero delle Infrastrutture al fine di poter semplificare e rendere più celere l’iter amministrativo e le procedure burocratiche ed

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autorizzative. Inoltre è stato evidenziato che, nell’ambito dell’Accordo sulla programmazione degli interventi sulla viabilità per gli anni 2021 – 2024 sottoscritto nei mesi scorsi tra Regione Calabria ed Anas, sono previsti 11 milioni di euro per il finanziamento di 4 specifici interventi per l’ammodernamento e la messa in sicurezza della SS 18 programmati con la Regione Calabria. Nel corso dell’incontro è stata condivisa l’importanza strategica e l’interesse pubblico del progetto waterfront e porto turistico ai fini del completo rilancio produttivo dell’area industriale ex Sir di Lamezia Terme, della valorizzazione dell’hub infrastrutturale e logistico lametino già esistente e da potenziare in stretto collegamento con aeroporto Internazionale, stazione ferroviaria, autostrada A2 del Mediterraneo e viabilità provinciale SS18 e SS Due Mari, del recupero ambientale dell’area e del tratto di costa di circa 3 km compreso tra il Fiume Amato ed il Torrente Turrina attualmente degradata e non fruita dai cittadini anche attraverso il possibile recupero e riutilizzo, da verificare a livello tecnico e strutturale, del vecchio pontile ex Sir di proprietà del Demanio dello Stato oggi un Ecomostro in stato di abbandono. L’incontro al Ministero segue un precedente incontro operativo svoltosi con la Sen. Silvia Vono presso la Sala Consiliare del Comune di Lamezia Terme nei giorni scorsi.

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di Piera Messinese

Satirellando Lo ammetto, ho perso molti “amici”, perché, nella vita, HO SCELTO di non essere politically correct. Ritengo che l’educazione e il politicamente corretto non siano AFFATTO sinonimi. La prima è la correttezza della sostanza che rispetta l’altro, prescindendo dalla condiscendenza, ma senza trascurare la propria fierezza. Il secondo è condiscendenza pura, per evitare, prima di tutto, qualsiasi fronteggiamento o conflitto, rinunciando al proprio ego, senza battere ciglio, mettendo gli altri al primo posto. Cosa perfetta, se naturale, ma cosa ipocrita, se artefatta. Non potendo sempre conoscerne e distinguerne l’intenzione, ci si ritrova sempre di fronte a qualcuno di correttissimo atteggiamento, senza mai conoscerne la vera natura o opinione. Per riconoscere un politicamente corretto naturale, occorre una profonda conoscenza, ragion per cui, non avendola sempre a portata di mano, non sono votata a fidarmi troppo di chi è formalmente corretto, se non è mio Amico di vecchia data. O parente stretto.

di Maria Palazzo

dire le cose per come più le sento: mi fa fatica barcamenarmi fra le espressioni formalmente corrette. E, purtroppo per molti, bado alla concretezza delle cose dette, piuttosto che all’enunciato: spesso, infatti, colgo molte sfumature d’affetto, in espressioni formalmente aggressive e tanta subdola cattiveria, in quelle che apparentemente non feriscono. Ho sempre chiuso, senza rimpianti, con chi non è sincero. Con chi usa la correttezza, al posto della vera educazione, persino in ambiente lavorativo. Il fare corretto, è CORRETTO, appunto, ma non sempre educato. Io mi ritengo educata, ma, lo ammetto, per forza corretta, QUASI MAI: solo, e, dunque, non per forza, nelle occasioni istituzionali, dove e quando non serve affatto essere se stessi o preoccuparsi degli altri. Satirellare, stavolta, non è d’obbligo, ma scelgo di farlo, di mia sponte.

Per conto mio, però, scelgo e preferisco attenermi al

NON SOPPORTO Non sopporto il come che sta davanti al cosa: sembran tutti in foto, come messi in posa! Tutti a circondarsi di “politicamente corretto”, che a me sembra novella Caporetto! I modi, innanzi tutto, non importa la sostanza: se dici tutto con foga, causi “mal de panza”! Mio Dio che trama odiosa, il convenzionale, se porgi tutto bene, secondo loro, non fai male! Un giorno volli tentare esperimento: avevo una gattina di gran temperamento,

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ma volli dimostrar, terribilmente, che siam piuttosto gatti di mente, che non umani, di buon comprendonio, se le convenzioni causan pandemonio! Urlai a Milù che le volevo bene, ma violentemente e le dissi:”Ti ammazzo”, con far condiscendente. Lei fece le fusa al secondo enunciato, mentre al primo, il braccio m’ avea già graffiato! La percezione istintiva dimostra, a noi lestofanti, che siamo uomini, ma non esseri pensanti: se il “modo” non ti piace, ti senti aggredito,

non rifletti e punti, ipso facto, il dito! Della sostanza non te ne frega niente. dal solo modo giudichi la gente, per cui melliflua e piena di guai, la vita continua, senza cambiar mai! Io, a questo patto strano, non mi sottometto: spesso pago, ma non mi svendo e, al netto, di ogni falsità, a cuor contento, dico, di ogni cosa, per come più la sento.

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grafichéditore “IO NON HO PAURA DI ESSERE COME SONO” e “CON ILCIELO DENTRO GLI OCCHI”

“Grazie all’autrice della fiaba, scritta dalla docente Sina Mazzei, per averci fatto comprendere l’importanza di accettarci per come siamo. Grazie alle maestre che hanno saputo guidare dolcemente gli alunni alla scoperta delle loro emozioni più profonde. Grazie ai genitori che hanno compreso l’importanza di questo percorso di crescita. Grazie a voi bambini per aver condiviso con noi i vostri sogni.” E’ iniziato con queste parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Cinzia Emanuela De Luca, dell’I.C. Don Milani di Catanzaro Sala, l’incontro di presentazione della fiaba “Timere con il cielo dentro gli occhi” con i bambini della classe terza A, Mercoledì 18 maggio 2022 presso la Scuola Primaria Samà, alle ore 15.00 con la scrittrice Sina Mazzei. Presenti all’evento anche le insegnanti Concetta Passafaro, Fiduciaria del Plesso, Enrica Caputo, Elisabetta Pileggi e Anna Vocca. “ Sono onorata e felice di essere qui non più come maestra, ma come scrittrice, a continuare la mia opera educativa, il mio dialogo interrotto con gli alunni, anche al di fuori della mia carriera scolastica. Il mio futuro è continuare a scrivere poiché credo fermamente nella valenza educatrice della lettura, in special modo delle fiabe.” ha poi così esordito la docente in pensione Sina Mazzei, la quale è stata accolta dai bambini con voci squillanti, sbandierando aquiloni colorati e gridando in coro la frase emblematica della maestra Solving” Io non ho paura di essere come sono”. La condivisione delle emozioni accomuna tutti: alunni, insegnanti e genitori presenti all’evento. La storia di Timere è la storia di ognuno di noi, con sogni, speranze e paure. E’ una fiaba antropomorfa, i cui personaggi della classe affrontano un cammino interiore che li porterà verso la crescita personale in autostima. La protagonista Timere è una timida pecorella che giungerà all’accettazione di sé diventando una timida di successo grazie agli interventi di aiuti esterni come la sua insegnante, in una collaborazione di fiducia con la famiglia. Timere ci fa stare con

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i piedi per terra, ma con gli occhi rivolti verso il cielo e quel suo modus vivendi legato al mondo artistico ci dà speranza e ci aiuta a non mollare mai, poiché in ognuno di noi le grandi potenzialità intrinseche aspettano soltanto di emergere nel modo desiderato. Anche l’insegnante Pileggi ha ringraziato la scrittrice e in breve ha illustrato il lavoro svolto all’assemblea, durante l’anno scolastico. Ha preso la parola anche la rappresentante di classe Mariateresa Morello che, facendosi portavoce a nome dei genitori, ha ringraziato per quello che la lettura del libro ha comunicato loro e ai bambini. A questo punto si è iniziato con le domande che gli alunni hanno rivolto alla scrittrice, per passare alla richiesta rivolta alle maestre e alla stessa, di scrivere un sogno su aquiloni simili ai loro. I sogni scritti su tutti gli aquiloni sono stati poi letti da ognuno. La scrittrice ha presentato la fiaba con uno schema didattico di approfondimento legato alla fiaba di formazione o psicologica, su un power point interagendo con gli alunni, facendo così rivivere loro la fiaba con spunti che li hanno resi oltremodo partecipativi e calati nelle emozioni della piccola pecorella. Il compito di presentare un elaborato cartaceo del lavoro svolto dagli alunni, facendo proprie alcune tematiche del libro, è stato affidato alla maestra Enrica Caputo che ha spiegato tutti i vari momenti significativi vissuti dagli alunni. E ancora “Grazie maestra per quello che il suo libro ha dato a mio figlio! La storia di Timere è la sua storia” ha aggiunto la madre di un bambino diversamente abile. L’ulteriore viaggio di presentazione della suddetta fiaba è avvenuto il 24 maggio alle 17,00, in occasione del “Maggiolibrario2022” al Chiostro di Lamezia Terme il cui responsabile è il prof. Giacinto Gaetano.“Mary ho una figlia super entusiasta! Si è divertita e mi sta raccontando da un’ora la storia della pecorella. Solo per dirti grazie! Non sai quanto sia importante per lei l’approccio fuori da casa ai libri… in famiglia lo vede come un “atto dovuto” fuori, invece, diventa curiosità e condivisione! Un bacione” E’ questa la testimonianza dettata da forte emozione, di una madre all’educatrice professionale, responsabile della gestione del laboratorio creativo-didattico del Chiostro, Maria Rosaria Petronetti, in seguito ad un’ora intensa di lettura e di formazione con un laboratorio improntato sulla recitazione e sul riconoscimento delle principali emozioni che ha divertito e coinvolto massicciamente i bambini presenti nel laboratorio. Un altro grande successo di Timere, che continua a coinvolgere magicamente e magistralmente bambini e famiglie.

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