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Anestesia

anesteṡìa s. f. [dal gr. ἀναισϑησία «insensibilità»]

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A volte viene il dubbio che la nostra indifferenza sia determinata (ecco che ricompare il determinismo) da una specie di narcosi. Una catalessi indotta da qualche droga o ipnosi subliminale.

Il linguaggio è stato certamente il più significativo, ma se ci pensate, dopo il linguaggio abbiamo aggiunto così tanti diaframmi tra noi e la realtà, che ormai il nostro racconto (oggi amano tanto dire la narrazione) è quasi una ipnosi che facciamo a noi stessi per ribadirci ed alimentare quel grande sogno che spacciamo a noi stessi per realtà.

E’ un’altra via di fuga, non c’è dubbio. La parola anestesia naturalmente viene dal greco ἀναισϑησία «insensibilità», dove c’è sempre il nostro ἀν- privativo che questa volta ci salva dal dolore. Anche se, in verità, αἴσϑησις è qualsiasi percezione, e può essere tradotto con «sensazione».

Come dire che l’anestesia ha come le altre parole sopraelencate, una polarità potenziale perché nel salvarci dal dolore ci toglie di conserva anche tutte le afferenze piacevoli; come dire che pur di non soffrire siamo disposti a rinunciare ai pasticcini, agli aperitivi e al caffè con gli amici.

Per la verità il termine è molto più contenuto, nel suo significato ordinario. Anestesia è infatti definita l’assenza della sensibilità dovuta a cause organiche o indotta