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parole per la terza età

Uno dei sentimenti di cui mi stupisco di più è l’indifferenza. Parlo di me, naturalmente, ma penso che la questione possa riguardare una buona parte di quello che oggi chiamiamo “il mondo occidentale”, accorpando in un unico blocco anche continenti che sono separati tra loro da un oceano.

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Più che indifferenza, a guardar bene, sembra una specie di narcosi, una catalessi con la quale assistiamo indifferenti a un sacco di cose che non ci piacciono. Ci indigniamo, certe volte usciamo e andiamo in piazza a manifestare, altre volte mettiamo energie o soldi in qualche iniziativa che vorrebbe migliorare le cose, ma abbiamo quasi la certezza che servirà a poco, a niente.

La scomparsa della verità ha contribuito enormemente ad alimentare questa indifferenza. Sospettiamo di tutto: da quello che c’è scritto sulle etichette dei prodotti alle parole dei politici, dalla versione dei fatti fornita dal Tg ai bilanci delle aziende. In un certo senso non c’è più modo di sapere la verità e qualcuno comincia a sospettare che “la verità” non esista per niente. Tuttavia, sul declino del Pianeta, sulle tragedie umanitarie, sul disastro ambientale siamo ormai

quasi certi di essere di vedere una specie di verità, anche se non molto definita: siamo alle porte di un’epoca nota alle cronache con il vezzeggiativo di Apocalisse.

Ieri ho compiuto sessantanove anni e oggi ho incominciato a vivere il settantesimo. E’ strano guardarsi indietro, perché gli eventi passati sembrano tutti schiacciati l’uno sull’altro come vecchie fotografie o quinte teatrali. Eppure, se guardo meglio, c’è stato un punto in cui tutto è cambiato. La mia generazione, pur avendo trascorso la vita nella pace e nel benessere, ha vissuto il più sconvolgente dei cambiamenti: siamo passati da un’epoca in cui quasi tutto era ancora da fare ad un’epoca in cui non c’è più niente da fare. Naturalmente non è vero che non ci sia niente da fare, ma molti sembrano volerci convincere che per quanto ci si dia da fare esiste qualcosa di molto più grande e più potente di noi che in qualche modo determina il nostro destino e i nostri gesti non sono altro che una goccia nel mare.

In ogni caso un sovvertimento c’è stato. Molti lo chiamano cambio di paradigma, ma insomma sembra che ci si debba preparare al Mondo Nuovo del quale però non si sa un accidente, se non che sarà molto diverso da tutte le ipotesi positive che la fantascienza ottimista è riuscita a formulare trovando poi nella tecnica, ovvero nella tecnologia il suo simulacro . (J. Baudrillard, Simulacres et simulation, Éditions Galilée, 1981) .E’ stato un passaggio veramente cruciale, e c’era il rischio di diventare pazzi, e infatti non è escluso che lo siamo diventati veramente, portando quasi a compimento un processo iniziato forse duecentomila anni fa, quando uno

sparuto gruppo di scimmie decise di farsi carico di un compito straordinario, quello di imboccare la strada dell’evoluzione o di ciò che noi chiamiamo così.

C’è da chiedersi se Colui al quale abbiamo chiesto questa deroga dalla natura abbia fatto bene a concedercela. Se abbia fatto bene a dotarci del cosiddetto libero arbitrio senza nel contempo dotarci degli strumenti necessari per farne un buon uso. Oppure ciò che noi chiamiamo “libero arbitrio” è più un sottostare a delle regole più grandi di noi, una specie di servitù di stampo luterano nella cui prospettiva la libertà è semplicemente un’illusione.

Perché in ogni caso non riusciamo a sfuggire ad una visione deterministica, in cui ciò che accade oggi è semplicemente il risultato delle scelte che abbiamo fatto ieri.

Ecco che quindi le cause del presente si troverebbero nel passato. Ma la filosofia ci offre per fortuna una via d’uscita, una specie di fuga da questa lunga catena di cause ed effetti. Una visione in cui le cause sono nel futuro. Un ribaltamento di visione in cui non sono gli eventi del passato a generare il presente, che uscirebbe fuori come il dentifricio dal tubetto quando esercitiamo una pressione sul fondo, ma c’è qualcosa che dal futuro ci trascina verso il nostro destino. Una forza ignota, forse molto lontana, che tira fuori il dentifricio dal tubetto, lo fa passare dallo spazzolino alla nostra bocca e poi finisce giù per lo scarico, verso il suo destino. Questo ci aiuterebbe a vedere il presente non tanto come un effetto del passato ma come una causa del futuro. Tuttavia questa visione, esisteva già nell’antica Grecia in opposizione ai filosofi come Democrito, orientati al

determinismo. Ma dal punto di vista diciamo pratico non è stata vista come funzionale, infatti nella contesa per costruire le coordinate concettuali del cosiddetto mondo occidentale ha vinto il determinismo, anche se riesce difficile comprendere come questa fiducia nel mondo causale possa coesistere con quel famoso libero arbitrio. Comunque, in qualche modo, siamo riusciti a celebrare questo matrimonio, e quindi questo ci colloca direttamente tra le prime cause, e comunque la principale, di tutto ciò che accade nel panorama ambientale, sociale, economico e geopolitico.

Certo, osservando quel panorama ci prende una specie di smarrimento, che poi portato a coscienza diventa colpa se siamo cattolici oppure responsabilità se siamo protestanti, ma che comunque non ci esime dall’essere pienamente coinvolti in ciò che accade. Ma tutto ciò è molto doloroso, e allora si cercano delle vie di fuga, delle strade per non essere più coinvolti in ciò che accade.

Non c’è nessun intento critico in questa affermazione, ma il sentimento prevalente che percepisco intorno a me (anche dentro di me) è appunto questa specie di oblio, questo sonno dato dall’indifferenza. Un brutto atteggiamento che però ci salva da una visione insostenibile. Parlo da anziano (come ho detto ho incominciato da poco il mio settantesimo anno) e credo che il desiderio massimo di ogni anziano che si rispetti sia in gran parte quello di stare in pace, senza patemi d’animo. Invece tutto intorno a noi, specialmente a noi anziani che stiamo più attenti alle notizie e nello stesso tempo abbiamo la pelle più sottile, sembra avvalorare questo senso di disastro imminente. I presupposti non mancano,

ma a volte c’è da chiedersi se non ci sia anche un po’ di strumentalizzazione; se un certo clima di incertezza e di rischio non serva a far stare tutti in una situazione di apatica attesa. Ma siccome mi piace avventurarmi tra le parole, ho cominciato a cercare dei sinonimi e dei contrari a questa indifferenza, che più propriamente dovrebbe essere chiamata adiaforia. Allora ho pensato ad apatia, poi ho pensato ad altre parole, perfino ad anestesia. Quello che vi propongo è un piccolo approfondimento su alcune di esse.

marco vimercati

Genova, 16 dicembre 2022

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