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antipatia ..................... pagina
Antipatia
antipatìa s. f. [dal lat. antipathīa, « repulsione o avversione istintiva»]
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Non liquidiamo l’antipatia semplicemente come il contrario della simpatia (anche perché altrimenti sarebbe necessario aprire una parentesi per definire esattamente cio che è opposto e ciò che è invece contrario).
Se è vero, nel suo completo significato, che la simpatia è anche un ponte con il dolore, allora analogamente, l’antipatia dovrebbe proteggerci. Antipatia viene dal latino antipathīa, la cui origine greca è ἀντιπάϑεια, composto di ἀντί «contro» e πάϑος «passione». Qui si vede tutto il diametro del pathos che stavolta assume una connotazione prevalentemente positiva: non è più il dolore e la sofferenza ma diventa moto dell’animo. Altrimenti dovrebbe essere antipatica qualunque cosa o persona amica che si frapponga tra noi e il dolore. Chiunque ci aiuti a non soffrire, a ragion di semantica dovrebbe essere antipatico. Ma come abbiamo visto il pathos ha al suo interno molte vibrazioni che vanno ben oltre la sofferenza; è antipatica ogni cosa che si frappone tra noi e le espressioni della nostra interiorità. Magari ci piace tanto, ne vediamo l’utilità, la apprezziamo, ma è antipatica non solo ogni persona ma anche ogni regola, etichetta o protocollo che ci imponga di tenere a bada le nostre passioni. Quindi in un certo senso tutta la società è antipatica. E invece non è antipatico il vicino di casa che non saluta e lascia aperto l’ascensore, perché quello non si frappone tra
noi e i nostri moti d’animo; anzi, è capace di evocare in noi più biechi istinti omicidi.
Forse è veramente antipatico ciò che ci lascia del tutto freddi, privi di emozioni. Quindi il vero antipatico non è quello che ti fa infuriare, ma quello che ti lascia proprio in balìa di te stesso, che a livello relazionale è come un pezzo di pesce congelato. Comunque, più che stare a cercare le polarità tra simpatico e antipatico, oltre a vederci la differenza tra Charlot e Pinochet, si potrebbe pensare alla differenza tra quell’ἀντί e quell’σύν mi fa pensare alla differenza tra i due enunciati greci συμ βάλλω «mettere insieme, unire» e δία βάλλω «separare, dividere» , dove due piccole preposizioni fanno variare il senso del verbo βάλλω «gettare», generando due parole dall’opposto significato: simbolo e diavolo.
Anche qui l’origine etimologica ci rende trasparente le potenzialità di quel σύν (c’è anche in simpatia), e la rocciosa stabilità di quell’ἀντί che non è solo contro, ma è anche “lì di fronte, è opposto ma è anche allo stesso tempo di, in cambio di, al posto di, per amore di, invece di, paragonato a, equivalente a, né migliore né peggiore di quell’altro”. Quell’anti, è tutte queste cose, e a cercare bene se ne trovano delle altre.
Quindi l’antipatia ci mette di fronte al pathos con un profondo senso di ambivalenza. Può farcelo odiare, e cercare di evitarlo, ma può anche rendersi simile ad esso, paragornarsi al pathos e sostituirlo, prendere il pathos e portarlo dentro di noi.
In genere l’antipatia viene fuori come fastidio, come scabroso contatto quando il destino ci dà il contropelo. Ecco