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tempo al tempo

Scott Bemand, 44 anni, un passato da mediano di mischia con club illustri come Harlequins, Bath e Leicester, è stato allenatore delle trequarti dell’Inghilterra femminile dal 2015. Nel 2016 ha anche sostituito Simon Middleton come head coach, quando quest’ultimo era concentrato sulla versione a 7 del gioco. Il suo recente ritiro dalle Red Roses ha fornito l’occasione per uno scambio di idee sul torneo appena concluso, ma soprattutto sulle prospettive delle sue protagoniste “minori”.

“Del torneo di quest’anno mi ha colpito soprattutto l’esplosione dell’attenzione mediatica - sottolinea

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-. Siamo sempre stati sotto i riflettori, c’era sempre una storia da raccontare. E in parallelo è cresciuto l’interesse del pubblico, il volume dei commenti sulle partite, positivi o negativi che fossero”.

Più problematico, invece, individuare novità sul piano tecnico rispetto alle edizioni precedenti, non credi?

“Tu mi parlavi di un numero più alto di mete segnate quest’anno, di altri indicatori… mi pare difficile trarre indicazioni precise su questo terre - no, penso che si debba tener conto del fatto che le squadre venivano da una Coppa del Mondo. Questo è il momento in cui gli organici vengono ringiovaniti, in cui alcune giocatrici tirano magari il fiato per via di altri impegni, specialmente tenendo conto che mancano poco più di due anni alla prossima RWC. Per cui è difficile fare confronti con il 6 Nazioni 2022.”

Questo non significa che non vi siano stati dei cambiamenti…

“Come Inghilterra, dopo la Coppa del Mondo volevamo dimostrare di essere in grado di sviluppare un gioco offensivo più variato. Credo che ci siamo riusciti, eguagliando il nostro record di mete segnate (45, ndr). Più in generale, abbiamo visto una chiara evoluzione nel modo in cui le nostre avversarie cercavano di giocare, con squadre più organizzate. Il salto più grande è stato probabilmente quello tattico, in termini di comprensione della partita e strutturazione del proprio gioco. Ad esempio, era chiaro che il Galles aveva individuato un paio di aree su cui potevano metterci in difficoltà, e almeno per il primo tempo ha funzionato. È normale, se giochi contro un avversario forte come l’Inghilterra, cercare di rallentare il flusso del suo gioco. Ci sono peraltro differenze nell’approccio: squadre come il Galles o anche l’Irlanda, quando ci incontrano, cercano soprattutto di limitare i danni; l’Italia invece anche contro di noi cerca comunque di fare il suo gioco (e a tratti a Northampton ci è riuscita, pur perdendo pesantemente). Detto questo, noi sappiamo che il nostro sistema non è perfetto, e che durante un incontro saremo sotto pressione. Per cui ci alleniamo specificamente per essere pronte a superare quegli inevitabili momenti di difficoltà.”

In linea generale, le innovazioni tattiche sono più facili (o meno difficili) da introdurre rispetto a quelle strettamente tecniche.

“Puoi cambiare approccio da una partita all’altra, ma non puoi improvvisamente migliorare le abilità individuali nel calciare o passare. Ci si può lavorare, ma essenzialmente si tratta di competenze che si sviluppano fin da piccoli e che richiedono tempo per essere acquisite. Dopodiché, differenti competenze individuali hanno un peso anche sulla gestione della partita e quindi sulla tattica: sapendo che contro di noi il controllo del territorio sarebbe stato molto importante, la Francia ha schierato Jessy Tremouliére che ha una pedata lunga e precisa. In effetti ne ha tratto qualche vantaggio.”

Ecco, è indubbio che da questo punto di vista l’Italia abbia qualche problema…

“È un aspetto da prendere in seria considerazione. Voi avete giocatrici come Beatrice Rigoni che hanno l’abilità di usare calci corti, di esplorazione, per creare situazioni di attacco. Ma il gioco si basa su alcuni fondamentali e uno di questi è la posizione del campo in cui si gioca. Come si fa a mettere sotto pressione l’avversario? Generalmente stando più vicini alla loro linea di meta. Ad esempio, il gioco al piede ci ha aiutate a reggere momenti di pressione come contro il Galles nel 2022, dopo la frattura alla gamba di Abby Dow.”

Un tratto distintivo di un sistema genuinamente professionistico sta nella capacità di produrre numerose giocatrici con una buona combinazione di competenze tecniche e tattiche, di solidità fisica e mentale. E questo richiede tempo. “Probabilmente il vantaggio dell’Inghilterra sta nella profondità della rosa, rispetto ad altre nazioni. Ma noi ci lavoriamo da almeno quattro anni. Se pensiamo ad esempio al triangolo allargato, abbiamo molte giocatrici di livello assoluto come Ellie Kildunne, Abby Dow, Jess Breach, Lydia Thompson, o Claudia Macdonald. La concorrenza è feroce, al punto che una giocatrice come Emma Sing, che in allenamento ho visto trasformare da metà campo, quest’anno ha potuto trovare spazio soltanto in una partita del 6 Nazioni (contro l’Italia, ndr)... Anche la Francia ha avviato un percorso formativo di grande qualità, quest’anno contro di noi hanno inserito a un certo punto due giocatrici di prima linea poco più che ventenni, con grandi doti fisiche. Anche loro hanno una buona profondità”.

Abby Dow, irresistibile palla in mano, supera di potenza Beatrice Rigoni, a terra. A sinistra, Jessy Trémoulière, World Rugby player of year nel 2018, ha dato l’addio al rugby al termine dello scorso Sei Nazioni.

Parlando di profondità di rosa, il discorso torna inevitabilmente sull’Italia e sulla penuria di giocatrici in alcuni ruoli chiave, specialmente in prima linea. I piloni schierati contro il Galles, Lucia Gai e Gaia Maris, superavano di poco gli 80 chili, mentre Gwenllian Pyrs e Sisilia Tuipulotu erano ben oltre il quintale…

“È una bella fonte di pressione, vero? Hai mai sentito l’espressione ‘you have to be fit for purpose’?

Se pesi 82 chili, puoi correre, correre, e correre, ma quando poi devi spingere, ti trovi sotto pressione e alla fine non riesci nemmeno più a correre perché sei sfinita. La questione è come l’Italia si propone di sviluppare il prossimo gruppo di giocatrici. In Inghilterra per un periodo abbiamo avuto un programma che si proponeva di scoprire giovani giocatrici specificamente per la prima linea. Magari anche individuando atlete che giocavano in altri ruoli ma avevano la giusta combinazione di potenza e dinamismo (in terza linea spesso trovi profili di questo tipo). Il fatto che in Italia il gioco non sia radicato nelle scuole non aiuta, ma l’unica strada è creare un percorso di formazione con una buona continuità nel tempo”.

L’Italia ha in effetti avviato un processo di crescita delle atlete attraverso la creazione di selezioni

Under 18 e Under 20 (vedi Allrugby 181). I numeri da cui pescare però sono ancora molto bassi, e si tratta comunque di attività i cui frutti si vedono a medio-lungo termine. Nel breve, per rafforzare la competitività delle migliori giocatrici si potrebbero forse considerare altre strade, come incoraggiare queste ultime a trasferirsi nei campionati inglese o francese (in fin dei conti, i miglioramenti recenti più marcati sono stati di Galles e Scozia le cui giocatrici giocano al 100% - Galles - e al 70% - Scozia – in campionati stranieri). Oppure si potrebbe costituire una franchigia che sia impegnata in competizioni internazionali. Rispetto a queste opzioni, sia Nicola Bezzati (head coach del Valsugana) che Michela Tondinelli (Villorba), sentiti prima della finale scudetto, erano apparsi molto scettici. Scott Bemand concorda: “Sono soluzioni a breve termine che non risolverebbero il problema di fondo. Per qualsiasi risultato ci vorrà del tempo. Quello che abbiamo notato in Inghilterra è che non si possono fare le cose a metà. Come dicevo, bisogna definire un percorso, consolidare la competizione nazionale, e poi la squadra nazionale, altrimenti si finisce per sprecare i propri soldi. La crisi finanziaria attuale dei club professionistici inglesi ha in alcuni casi toccato anche il settore femminile (ad esempio le Wasps), ma la RFU ha confermato il suo sostegno, e il rugby femminile ha un grande potenziale di attrazione, che al momento è ancora largamente inesplorato”. Si tratta ora di vedere se alla convergenza nelle posizioni dei tecnici corrisponderà un’analoga convergenza, pur nelle ovvie differenze di risorse, nelle strategie delle rispettive federazioni, come del resto espresso da tempo (vedi Allrugby 164, di dicembre 2021) dalla consigliera federale Francesca Gallina. (Mario Diani)

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