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Anche il Nepal fra le rugby-country

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A settant’anni dalla meta più alta, segnata da Edmund Hillary - fisico da seconda linea All Black - agli 8.848 metri dell’Everest (mancavano quattro giorni all’incoronazione di Elisabeth e fu, al tempo stesso, il dono per la giovane sovrana e “l’ultima impresa innocente”, secondo la magnifica definizione dell’inviato Jan Morris), il Nepal è entrato, in compagnia di Turchia e Qatar, in World Rugby e quel buonanima di Tenzing Norgay, che in cima arrivò a due metri di corda da Hillary, può sentirsi, in qualsiasi sfera celeste si trovi dopo la sua dipartita, più vicino al suo compagno d’avventura e di conquista, eletto dai Neri come simbolo del carattere dei neozelandesi. Ora anche il Nepal è una rugby-country.

Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay, sull’Everest nel 1953

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Sotto, rugby ai piedi dell’Himalaya per le ragazze nepalesi

A destra, ufficiali del 44° Gurkhas dell’Indian Army, nel 1896

In questo gioco sempre più riservato a titani, a mischie che puntano ormai alle quattro cifre della tonnellata, a prima vista i nepalesi non possono reclamare grandi possibilità.

Sono piccoli e leggeri e per le touche hanno una sola chance, chiedere l’aiuto dello yeti che, secondo le confuse descrizioni di molti viandanti, deve essere un bel pezzo di peloso marcantonio. Lo stesso Hillary, caduto in eterno amore per il Nepal, andò a dare un’approfondita occhiata ma non riuscì a scorgere né l’uomo delle nevi né ad imbattersi nelle sue grandi orme.

I nepalesi sono piccoli, d’accordo, ma sono determinati e coraggiosi (l’etnia degli Sherpa, cui Tenzing apparteneva, ha queste spiccate caratteristiche) e sanno essere pugnaci, sino alla ferocia. Anche in questo caso un simbolo, molto reale: due pugnali incrociati, lunghi e a lama larga. È il kukri che i gurkha, da quasi due secoli al servizio dell’esercito britannico come volontari retribuiti, portano alla cintura. Sull’uso, meglio non indagare a fondo. Il periodo di ferma serve per mettere assieme, al momento del congedo, un buon gruzzolo, tornare nelle valli natali e acquistare gli yak che devono convincere il suocero a concedere la mano della figlia.

In questo lungo tempo i gurkha hanno combattuto dappertutto, hanno conquistato le loro prime Victoria Cross nella jungla della Birmania dove avevano trovato un comandante che li sapeva apprezzare, il mistico Orde Wingate. Facevano parte anche del corpo di spedizione che navigò da Southampton alle Falkland in un ultimo rigurgito di guerre imperiali e coloniali.

Qualche anno fa il battaglione di stanza ad Aldershot, quartier generale dell’esercito britannico, fornì la banda per Inghilterra-Italia e sul prato di Twickenham i piccoli musicanti sorridenti scesero con i loro eleganti cappottini color tortora. In testa, uno zucchetto con sottogola.

L’altro battaglione è di stanza ad Edimburgo, intitolato al defunto principe consorte, e nei pressi di Murrayfield da anni esiste un take away - insegna, i due coltellacci incrociati, ovviamente - per i soldatini che, in libera uscita e colpiti da attacchi di nostalgia, non possono rinunciare alle specialità avite. Il piatto forte è il montone.

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